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Passaggio a nordovest: Traversata Nufenen - Sempione

Passaggio a nordovest: Traversata Nufenen - Sempione

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Mariuccia e Rinaldo Ballerio<br />

<strong>Passaggio</strong> a <strong>nordovest</strong>:<br />

<strong>Traversata</strong> <strong>Nufenen</strong> - <strong>Sempione</strong><br />

Pensieri e diari di un’avventura a portata di mano.


Ai nostri genitori che ci hanno<br />

trasmesso il desiderio<br />

della montagna.<br />

Ai nostri figli con l’augurio<br />

che lo raccolgano.


Mariuccia e Rinaldo Ballerio<br />

<strong>Passaggio</strong> a <strong>nordovest</strong>:<br />

<strong>Traversata</strong> <strong>Nufenen</strong><br />

<strong>Sempione</strong><br />

Pensieri e diari di un’avventura a portata di mano.<br />

- 5 -


Prefazione<br />

Un passaggio che mette voglia di partire.<br />

Non è facile scegliere i titoli dei libri e quando Rinaldo Ballerio mi ha sottoposto<br />

il suo manoscritto, l’unica cosa che non mi convinceva era proprio il titolo<br />

“<strong>Passaggio</strong> a nord-ovest”. Forse perché mi ricordava troppo la trasmissione<br />

televisiva di Alberto Angela. Poi, leggendo queste pagine, mi sono reso<br />

conto che quel titolo aveva un senso compiuto, non solo perché si trattava<br />

di un taccuino di viaggio, ma perché la parola “passaggio” ha un significato<br />

sia fisico che esistenziale. E il trekking di Mariuccia e Rinaldo, attraverso le<br />

montagne del nord-ovest, a cavallo tra il Piemonte e la Svizzera, ha assunto<br />

ai miei occhi soprattutto quel secondo significato. Hanno camminato, scalato<br />

montagne, sopportato il freddo tagliente sui loro volti, per poi rifocillarsi<br />

al caldo nei rifugi. Hanno ascoltato il fischio delle marmotte, ammirato i<br />

tramonti e assecondato il loro silenzio al cospetto delle vette, senza aspettarsi<br />

nulla in cambio se non la muta bellezza della natura selvaggia. Si puo’ essere<br />

felici avendo negli occhi la tenace delicatezza di una stella alpina o nella testa<br />

il ricordo del sapore deciso del Bettelmatt, un formaggio ricercato quanto il<br />

Santo Graal.<br />

Queste pagine mettono addosso la voglia di partire con leggerezza, come<br />

direbbe l’alpinista-scrittore del Vajont Mauro Corona, perché lo sguardo di<br />

chi ha affrontato il passaggio a nord-ovest ha saputo cogliere l’essenzialità<br />

della vita di montagna. Raccontare un viaggio ha un valore sia per chi scrive<br />

sia per chi legge, perché la bellezza e la felicità non sono tali se non possono<br />

essere condivise con qualcuno.<br />

Michele Mancino<br />

Vicedirettore Varesenews, corrispondente Corriere della Sera<br />

- 7 -


Introduzione<br />

Var pusè n’andà ca cent’andem!<br />

Da qualche tempo pensavo di organizzare un trekking in montagna, così<br />

quando Mariuccia mi ha detto che voleva approfittare della vacanza dei due<br />

piccoli in Svizzera per qualche giorno di riposo assoluto, ho pensato che era il<br />

momento ideale per proporre quest’avventura.<br />

Infatti, l’adesione è stata immediata anche se con la solita scenetta di sospettosa<br />

pigrizia.<br />

L’idea era di un percorso non affollato ma comunque su montagne epiche.<br />

L’alto Piemonte a cavallo della Svizzera costituisce senz’altro un ottimo<br />

territorio perché già conosciuto in seguito ad altre numerose escursioni e in<br />

prossimità del nostro punto di appoggio a Riederalp nel Vallese.<br />

Da tanti anni per via dei bambini piccoli non facevamo un trekking in quota<br />

così lungo, e quindi la preparazione dello zaino ha richiesto una meticolosa<br />

cura, ma già l’eccitazione dell’avventura si anticipava man mano che lo zaino<br />

si riempiva.<br />

Immediatamente abbiamo incominciato a fare i confronti con il trekking<br />

intorno al Monte Rosa di venticinque anni fa. Di quell’avventura, oltre al<br />

paesaggio, non posso dimenticare il peso dello zaino, davvero insopportabile,<br />

penso oltre i 30 kg, tanto che nonostante il fresco allenamento militare,<br />

Mariuccia doveva aiutarmi a caricarlo in spalla.<br />

Questa volta abbiamo rinunciato all’autosufficienza della tenda e confidato di<br />

più sull’appoggio dei rifugi il che, abbinato alla leggerezza straordinaria dei<br />

nuovi materiali e abbigliamento, ci ha consentito di avere uno zaino di peso<br />

tollerabile.<br />

Dopo lo studio delle cartine e degli itinerari, facciamo le prenotazioni dei<br />

rifugi, ed ecco che il nostro viaggio prende corpo.<br />

Il più è fatto.<br />

- 9 -


I tornanti della Tremola


Capitolo 1<br />

Dal <strong>Nufenen</strong> al Busto<br />

Il 25 luglio si parte.<br />

Prima di iniziare portiamo i bambini in vacanza a Disentis nei Grigioni, e<br />

quindi cominciamo il nostro peregrinare sui passi svizzeri attraversando il<br />

Lucumagno.<br />

Lasciati i bambini con pure qualche lacrima, ci si avvia per l’Oberalppass.<br />

Appena fuori Disentis vediamo un signore fare l’autostop, il nostro morale è<br />

così festaiolo che, senza esitazione, lo carichiamo.<br />

Scopriamo con sorpresa che si tratta di un vagabondo inglese di circa<br />

sessant’anni, che da oltre dieci, vaga per la Svizzera. Lo lasciamo ad Andermatt<br />

dopo una divertente chiacchierata, e da qui attacchiamo il terzo passo della<br />

giornata, il Gottardo.<br />

La veloce e moderna strada del passo del Gottardo affianca per qualche km il<br />

vecchio tracciato, la famosissima Tremola.<br />

Questa strada, conosciuta in tutto il mondo, è scalata da numerosi ciclisti<br />

con impegno romantico d’altri tempi, ed è considerato il più importante<br />

monumento viario della Svizzera.<br />

Davvero impressionante ammirare dall’alto questa striscia chiara che<br />

s’inerpica a serpentina da Airolo fino al passo del San Gottardo a testimonianza<br />

dell’arditezza e della tenacia delle popolazioni di montagna.<br />

- 11 -


Il lago Gries<br />

Il Genepì


Nel suo tratto più spettacolare la Tremola supera su una lunghezza di quattro<br />

chilometri un dislivello di 300 metri in ventiquattro tornanti, ognuno dei quali<br />

ha addirittura un proprio nome.<br />

Conserva una parte dei vecchi muri a secco, una parte consistente del<br />

caratteristico lastricato in granito, come pure le pietre chilometriche.<br />

Terminata la discesa verso Airolo, risaliamo la val Bedretto e quindi arriviamo<br />

al <strong>Nufenen</strong>, dove lasciamo la macchina.<br />

Il passo del <strong>Nufenen</strong> (in italiano passo della Novena) a quota 2480 metri mette<br />

in collegamento la valle di Goms e l’alto Vallese con la val Bedretto e quindi<br />

il Canton Ticino.<br />

In val Bedretto nasce il fiume Ticino che partendo proprio dal passo del<br />

<strong>Nufenen</strong> raccoglierà tutte le acque della Svizzera italiana per portarle al<br />

Lago Maggiore. E’ considerato uno dei posti più nevosi delle Alpi insieme<br />

alla val Formazza con cui confina, ed è quindi giustamente rinomato tra gli<br />

appassionati di scialpinismo per le numerose salite, ma soprattutto come<br />

ultima spiaggia per le sciate negli anni di poca neve o ad inizio stagione.<br />

Fanno da corona numerose cime, tra cui spicca sullo sfondo il Pizzo Lucendro<br />

dal nome derivante probabilmente proprio dal luccichio del suo ghiacciaio<br />

quando si ammira da lontano.<br />

La zona del <strong>Nufenen</strong> è anche rinomata per l’abbondanza del genepì. Questa<br />

rara e preziosa erba “Artemisia Genepì” è una pianta protetta, sempre più rara<br />

a causa della smodata raccolta per produrre il famoso e buonissimo liquore,<br />

diffuso in tutte le Alpi e con il quale si è soliti accompagnare le serate nei rifugi.<br />

Cresce a oltre i 2300 metri e si può trovare fino a 3500 metri particolarmente<br />

nelle pietraie e sulle morene. La coltivazione è difficoltosa e ha bisogno di<br />

attenzioni particolari, ma la crescente richiesta consente a diverse aziende<br />

valdostane e piemontesi di dedicarsi alla produzione di quest’erba.<br />

- 13 -


Il passo del <strong>Nufenen</strong> segna un incrocio bizzarro di geografia e cultura. Il valico<br />

costituisce il passaggio tra il nord ed il sud delle Alpi, di qui si parla l’italiano<br />

(in salsa ticinese), di là si parla tedesco, e pochi chilometri più a valle si passa<br />

al francese.<br />

A pochi minuti di cammino troviamo il confine italiano con il Piemonte che<br />

s’incunea impertinente nel cuore della Svizzera più profonda e nascosta. Si<br />

cambiano lingua e moneta e si ritorna nella comunità europea. E’ un crogiolo<br />

di lingue, usanze, culture, che danzano incrociandosi senza il fastidioso<br />

ingombro di dogane e confini. Sono le cinque passate, tira un forte vento e il<br />

cielo è cinereo, coperto da nuvole che si rincorrono. In giro non c’è nessuno, e<br />

l’abbandono dell’auto ci mette un po’ di apprensione sapendo che per quattro<br />

giorni potremo contare solo sulle nostre gambe.<br />

Ci avviamo verso il passo Gries togliendo e mettendo la giacca in base al<br />

vento che tira sempre teso e freddo. Il lago Gries ci accoglie grigio e cupo con<br />

il suo ghiacciaio che, seppure in ritirata a causa dell’effetto serra, incombe<br />

maestoso alle spalle del lago in uno scenario che ricorda i fiordi norvegesi.<br />

Si vedono in lontananza<br />

la punta dei Sabbioni e<br />

il Blindenhorn e tutta la<br />

corona di montagne della<br />

val Formazza.<br />

Il ritmo costante dei passi<br />

sul sentiero, immersi nel<br />

silenzio e nella solitudine,<br />

scandisce e accarezza il<br />

vagheggiare fantasioso<br />

dei nostri pensieri.<br />

Al passo Gries<br />

- 15 -


Il Bettelmatt


Così prendendo a prestito un noto scritto del Manzoni si poteva immaginare:<br />

“Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’animo della<br />

povera Mariuccia , quello che s’è raccontato. Lo spavento di questi ghiacciai e delle<br />

lande solitarie, la minaccia della incombente serata gelida di montagna, nota per<br />

non minacciare invano, una settimana di quieto vivere, che aveva sognato in tutta<br />

l’estate di studio e di pazienza, sconcertata in un momento, e quindi ora in mezzo a<br />

montagne dalle quali non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano<br />

tumultuariamente nel capo basso della Mariuccia. «Se avessi detto subito un bel no,<br />

via; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche<br />

costui è una testa: un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli... ih! E<br />

poi, e poi, perduto dietro a questa idea della traversata, come... un ragazzaccio, che,<br />

per non saper che fare, s’inventa un’avventura, vuol partire, e non pensa ad altro;<br />

non si fa carico de’ travagli in che mette una povera ragazza. Oh povera me! Vedete<br />

se queste montagne dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e costringermi a tutto<br />

sto cammino! Che c’entro io? Son io che voglio fare la traversata? Perché non siamo<br />

andati piùttosto a Riederalp a riposarci... Oh vedete un poco: gran destino è il mio, che<br />

le cose a proposito mi vengan sempre in mente un momento dopo l’occasione. Se avessi<br />

pensato di suggerirgli che andassimo al mare …….”<br />

In giro non troviamo nessuno e camminando di buon passo scendiamo fino<br />

all’alpeggio di Bettelmatt (2117 mt), sì, proprio quello del famoso formaggio<br />

la cui qualità eccellente, abbinata a un sapiente marketing, ha trasformato un<br />

buon formaggio d’alpe in una costosa icona della gastronomia, al punto che<br />

deve essere prenotata con un anno di anticipo.<br />

Il nome deriva dal fatto che il formaggio prodotto in quest’alpe è da sempre<br />

particolarmente pregiato per l’alto contenuto di fiori nei pascoli e quindi era<br />

richiesto quale pagamento delle tasse e dei canoni degli affitti per gli alpeggi.<br />

La parola “bettelmatt” pare derivi dall’unione di “battel” che significa<br />

questua, con “matt”, che in tedesco vuol dire pascolo.<br />

- 17 -


Il caldo della stufa<br />

Scendendo dal Città di Busto


Pertanto, quando gustiamo questo formaggio, non facciamo altro che gustare<br />

il “pascolo della questua”.<br />

Ci accingiamo quindi a risalire l’ultimo costone che porta al rifugio città di<br />

Busto, dove abbiamo pianificato di passare la notte.<br />

Saliamo di buon passo, complice anche il vento che si fa più freddo, ma che<br />

non ci convince a mettere la giacca non saprei dire se per pigrizia o per il<br />

desiderio di arrivare più in fretta. Gli ultimi dieci minuti li facciamo di corsa,<br />

sferzati da un vento gelido che ci raggela al punto che, giunti al rifugio, non<br />

riusciamo a slacciare gli scarponi o a chiudere la cerniera della giacca.<br />

Il rifugio città di Busto è una grande costruzione in pietra con circa cinquanta<br />

posti letto situato in cima a un costone a quota 2500 metri. E’ la base privilegiata<br />

per le salite all’Arbola o al Blindenhorn.<br />

Mangiamo al rifugio proprio di fianco alla stufa, alla faccia del caldo torrido<br />

che abbiamo lasciato a valle.<br />

Gli ospiti sono pochi e il clima è quello tipico del rifugio in quota dove, in<br />

rispettoso silenzio, si assapora il passaggio dalla fatica e dalla soddisfazione<br />

del giorno passato verso l’attesa e la trepidazione per la salita dell’indomani.<br />

I custodi, molto gentili e premurosi, si prodigano in consigli e rispondono con<br />

simpatia alle nostre osservazioni. Il cibo è ovviamente da rifugio, ma la fame<br />

è così tanta che tutto viene divorato.<br />

Appena possibile ci infiliamo nel letto, ma il freddo accumulato è tale che ci<br />

corichiamo vestiti di tutto e con doppio piumone.<br />

Fino a mezzanotte non riusciremo a scaldarci, ma ora del mattino siamo di<br />

nuovo in forma per riprendere il nostro viaggio.<br />

- 19 -


Capitolo 2<br />

Verso Crampiolo<br />

Dopo un abbondante caffelatte si parte di buon’ora sapendo che questa è la<br />

tappa più lunga.<br />

Il tempo è bello ma il vento insiste, e ci accompagnerà fino alla fine del viaggio.<br />

Il custode si mostra scettico sulla possibilità di raggiungere Crampiolo in<br />

giornata, in quanto troppo lungo il percorso, ma noi non abbiamo scelta visto<br />

che abbiamo prenotato il rifugio, e poi ci aspetta il geometra per il lavori della<br />

nuova baita. Ma questa è un’altra storia.<br />

Si cammina di buona lena, scendendo al lago di Morasco lungo un sentiero<br />

tortuoso e molto ripido. Girovaghiamo per un po’, fino a quando troviamo<br />

il sentiero che porta al valico di Nefalgiù. Ci accoglie una valle molto aperta<br />

con prati bellissimi e risaliamo senza fatica il passo sempre accompagnati dal<br />

vento.<br />

Queste valli dell’alto Piemonte, Formazza, Antigorio e val Divedro configurano<br />

un imbuto naturale rovesciato che si snoda largo a sud e si stringe a nord<br />

culminando proprio al passo del <strong>Nufenen</strong>.<br />

- 21 -


La cascata del Toce<br />

Verso il Nefalgiu


In questo cuneo, si raccolgono e s’imbottigliano tutte le perturbazioni che<br />

salgono da sud e ci rimangono fino a che non hanno scaricato l’ultima goccia<br />

di pioggia. Siamo quindi in una delle zone più piovose e nevose d’Italia.<br />

E’ la patria dell’energia idroelettrica.<br />

L’acqua è abbondantissima in ogni dove e i numerosi torrenti sono<br />

pazientemente raccolti nelle varie dighe per generare la preziosa energia.<br />

Tutta l’acqua dell’alta val Formazza s’incanala poi verso valle, dove darà<br />

origine alla famosa cascata del Toce, che, con la maestosità dei suoi 143 metri<br />

di altezza e 60 di larghezza, è la seconda più alta d’Europa. A chi venisse<br />

voglia di fare una gita nei paraggi, consiglio di controllare l’orario di apertura,<br />

giacché è di solito chiusa essendo l’acqua deviata nelle condotte idroelettriche.<br />

Aggrappato in cima alla cascata, si staglia il caratteristico alberghetto bianco,<br />

con il ponticello a sbalzo, posizione ideale per ammirare il vertiginoso salto<br />

d’acqua.<br />

Questa è una terra dove acqua e montagna regnano insieme. Solo nel<br />

comprensorio della valle del Devero sono censiti 51 laghi, 41 dei quali sopra<br />

i 2000 metri.<br />

Abbiamo aggirato la cima dell’Arbola, montagna già affrontata tanti anni fa,<br />

e che da qui ammiriamo nella sua faccia rivolta a mezzogiorno. Scendiamo<br />

ora verso il lago del Vannino (2194 m) che dovremo costeggiare sulla sua<br />

riva occidentale per risalire fino al passo di Scatta Minoia (2599 m) passando<br />

dall’alpe Curzalma. Raggiungeremo il passo tagliando a metà i tempi indicati<br />

dai cartelli, tanta è la voglia di arrivare alla locanda La Baita di Crampiolo.<br />

Al passo, riparati in qualche modo dal vento che soffia impetuoso, mangiamo<br />

il pane raffermo che ci ha dato il gabanat (nome colloquiale per indicare il<br />

custode) del rifugio città di Busto come fosse un pranzo da ristorante a cinque<br />

stelle.<br />

- 23 -


Il passo di Scatta Minoia


Le uniche persone che incontriamo sono tre alpinisti svizzeri che scopriamo<br />

casualmente fare il nostro stesso itinerario, e infatti, ci accompagneranno<br />

fedelmente ma senza pianificazione fino alla birreria in piazza a Briga.<br />

Cominciamo la nostra discesa, e dopo una complicata pietraia arriviamo<br />

all’alpe Forno (2213 Mt), dove le mucche pascolano numerose pronte a fornire<br />

la materia prima per il Bettelmat, che si produce qui e in soli altri sei alpeggi<br />

sopra i 2000 metri di quota. La visita è emozionante e istruttiva. Ci mostrano<br />

la loro attrezzatura e i procedimenti con cui fanno il formaggio con la sapienza<br />

accumulata da generazioni.<br />

La tradizionale riservatezza degli alpigiani si scioglie in un dialogo cortese<br />

e amichevole nel quale ci raccontano come il mercato globale sia stato una<br />

salvezza per questi alpeggi, consentendo di nobilitare il loro prodotto e poterlo<br />

vendere a prezzi che ripagano da tanta fatica. Senza questa valorizzazione il<br />

formaggio sarebbe svenduto e alla fine gli alpeggi sarebbero stati abbandonati<br />

e persi per sempre. Ecco, in quel formaggio il prezzo comprende la possibilità<br />

di mantenere in vita questi posti e perpetuare queste tradizioni consentendoci<br />

di gustare un prodotto che ha un’anima, una storia, e come direbbe una ben<br />

riuscita pubblicità, “non si fabbrica, ma si fa”.<br />

Altrimenti Philadelfia all’Esselunga per tutti e via pedalare.<br />

Scendendo ci vengono incontro due bambini di circa dieci anni con il cane e<br />

alcune caprette. Sembrano usciti dai cartoni animati di Heidi. Il loro sorriso è<br />

contagioso e la spensieratezza ci mette invidia.<br />

Scopriremo poi chi sono.<br />

Siamo ormai sul terreno familiare del Devero e quindi scendiamo verso gli<br />

alpeggi, poi il lago di Devero che ci prende quasi un’ora per costeggiarlo e<br />

finalmente la discesa su Crampiolo.<br />

- 25 -


Il lago di Devero


La vista sul lago è impressionante come al solito, questo grande specchio di<br />

acqua azzurra con le montagne riflesse, completamente circondato di larici<br />

e impreziosito da una solitaria isoletta anch’essa ricoperta di vegetazione.<br />

Curioso notare come le montagne sulla destra hanno tutte cime aguzze,<br />

mentre quelle sul lato opposto hanno tutte cime arrotondate. Ciò è dovuto<br />

oltre che ad un tipo di roccia diverso anche all’azione più insistente del vento.<br />

L’Alpe Devero, così come l’Alpe Veglia, è un parco naturale, una grande<br />

conca verde circondata da alte montagne. Quello di Devero è un ambiente<br />

alpino dolce e austero: dolce nelle praterie ondulate d’alta quota e austero<br />

nella severità e imponenza delle montagne nonché nelle immense giogaie<br />

battute dal vento. Siamo nel cuore del “quadrilatero Lepontino” (Veglia<br />

Devero, Formazza, Binntal) che costituisce uno dei luoghi più belli delle Alpi<br />

e un territorio ideale per l’escursionista che vuole leggere il grande libro della<br />

natura in montagna abbinato ai segni storici lasciati dall’uomo.<br />

Le montagne tra Devero e Binn rappresentano uno dei distretti mineralogici<br />

più interessanti al mondo.<br />

Minerali rari, alcuni dei quali unici<br />

al mondo, cristalli di particolare<br />

bellezza provenienti dai massicci<br />

del Monte Cervandone e<br />

dell’Arbola. Quella di Binn è nota<br />

in tutto il mondo come “la valle<br />

dei minerali“: in effetti, sedici dei<br />

suoi minerali non sono mai stati<br />

trovati in nessun altro luogo della<br />

terra e, dei circa 300 minerali<br />

conosciuti in Svizzera, quasi 200<br />

si ritrovano nella Valle di Binn.<br />

L’area del Parco Veglia Devero<br />

non è da meno.<br />

L’alpe Forno<br />

- 27 -


Crampiolo<br />

Le acque limpide del Lago delle Streghe


Qui sono infatti presenti oltre 150 specie minerali, alcune delle quali molto<br />

rare o uniche al mondo, tra queste ad esempio la Cervandonite, il cui nome è<br />

già esplicativo della sua unicità.<br />

Dopo oltre nove ore di cammino senza soste, siamo davvero stanchi e devo<br />

portare lo zaino di Mariuccia per gli ultimi passi.<br />

Ancora una curva ed ecco che all’improvviso ci appare Crampiolo dall’alto.<br />

Il paesino è davvero incantevole con i tetti di sasso realizzati a regola d’arte<br />

secondo una tradizione diffusa su tutte le Alpi, ma qui messa in pratica con<br />

particolare maestria. Scattiamo l’ennesima fotografia con questo scorcio,<br />

davvero irresistibile.<br />

Crampiolo (1767 m) è un paesino di poche decine di baite, con una chiesetta<br />

bianca in mezzo al paese, che ne sottolinea la cura e l’alpinità. Intorno, prati<br />

e montagne senza auto, che devono essere lasciate al Devero, cioè a mezz’ora<br />

a piedi. Questo rende il tutto incantato e fiabesco. Il laghetto delle streghe<br />

provvede ad aggiungere la sua magia non solo per il nome, ma per la sua<br />

acqua cristallina incastonata tra le rocce e i larici. Diramanti radici di abeti<br />

secolari, s’intravedono nelle chiare acque sorgive; avvinghiate tra loro,<br />

donano all’insieme un aspetto spettrale. Quando il leggero vento che scende<br />

dai monti increspa le acque, pare un’anima inquieta in cerca di pace. In questi<br />

momenti sembrano riaffiorare, come nella leggenda, gli spiriti delle streghe.<br />

Le baite sono ormai tutte ristrutturate sotto le rigide indicazioni del Parco,<br />

quindi con un’architettura strettamente alpina e Walser. Sono una più bella<br />

dell’altra, lambite dal verde prato scintillante e ben tenuto che le avvolge<br />

senza steccati, e colorate dai fiori che spiccano dai balconi di legno antico o<br />

dai muretti di sasso. Entrati in paese, ci accoglie calorosamente Giovanni,<br />

colui che ci ha venduto la stalla che andremo a ristrutturare. Sta terminando<br />

i lavori della sua nuova baita, e così ne approfittiamo per farci presentare il<br />

costruttore che lavorerà per noi.<br />

- 29 -


Rinviamo gli approfondimenti al giorno dopo non vedendo l’ora di togliere<br />

gli scarponi, fare una doccia e soprattutto appoggiare zaino e chiappe.<br />

Mariuccia s’infila nel letto piombando in un sonno profondo dal quale si<br />

scuoterà solo per la cena. E’ dalla mattina che non si mangia, fatto salvo un<br />

tozzo di pane raffermo al passo battuto dal vento.<br />

La notte è prevista alla locanda la Baita, dove abbiamo già passato diverse<br />

vacanze, e quindi ci sentiamo a casa sia per il trattamento amichevole sia per<br />

la conoscenza di usi e costumi del posto<br />

“A cata’ fora ul sit l’e staia un’uvaziun<br />

quan ca se’ dì la Baita cume destinaziun<br />

Par via dul sit ca lè inscì tantu bel<br />

e chi sa mangia infin a crepapel<br />

E po’ l’è chi tacà, propri fora cantun<br />

ca servis nanca la vacinaziun<br />

Parchè al dì d’incoo ormai l’è usanza<br />

d’andà fin in Giapun par fà vacanza.”<br />

Ne approfitto per fare parecchie foto alla nostra baita e al paese (come se non<br />

ne avessi già abbastanza). In particolar modo cerco di immortalare le baite<br />

più belle con l’intenzione di copiarne i dettagli per la nostra, o come minimo<br />

sognare come verrà una volta finita.<br />

Durante le belle giornate, Crampiolo è un brulicare di persone, trovandosi<br />

nel crocevia di tante suggestive passeggiate, eppure alla sera cala una quiete<br />

fiabesca rotta solo da qualche muggìo remoto e accompagnata dal continuo<br />

scrosciare del torrente che tra l’altro, ci terrà compagnia per tutta la notte<br />

essendo la nostra finestra proprio affacciata sull’acqua.<br />

- 31 -


La chiesetta di Crampiolo<br />

Finalmente nella nostra Baita


Ceniamo al tavolo con due simpatici signori di Berna con i quali colloquiamo<br />

amabilmente ora in italiano ora in tedesco scambiandoci ricordi ed esperienze<br />

di montagna.<br />

Anche loro hanno organizzato un trekking di più giorni simile al nostro con<br />

partenza da Briga e arrivo a Binn. Ci raccontano che vivendo in centro a Berna<br />

hanno deciso di non possedere auto, ma di muoversi solo con i mezzi. Sono,<br />

infatti, dotati di un abbonamento annuale (3500 franchi) che, consente loro di<br />

usare qualsiasi mezzo di trasporto pubblico della Svizzera.<br />

Considerata l’efficienza e la capillarità dei mezzi dopo un primo momento<br />

di stupore, ne capiamo perfettamente la ragione e proviamo anche un po’<br />

d’invidia.<br />

In tutto il nostro peregrinare abbiamo trovato prevalentemente alpinisti<br />

stranieri e siamo quindi sorpresi di non trovare italiani. Davvero inusuale,<br />

ma ci rassicurano dicendo che con l’arrivo di agosto arriveranno anche i<br />

connazionali.<br />

Ci rimane una sensazione strana d’internazionalità vuoi per il crogiolo<br />

di lingue vuoi per il danzare del nostro tragitto a ridosso del confine italo<br />

svizzero.<br />

Mariuccia per non sbagliare lascia tutti gli euro a casa e si dota solo di franchi,<br />

non rendendosi conto che sebbene si parta e si arrivi in Svizzera, si dorme<br />

solo in Italia.<br />

Morale, siamo a corto di euro e nessun rifugio prende la carta di credito.<br />

Vedremo come andrà a finire, anche se confidiamo che i franchi svizzeri non<br />

siano disprezzati in Eurolandia.<br />

Dopo tante vacanze al rifugio la Baita, conoscendone bene la cucina,<br />

pregustavamo la tipica cena a base di polenta con tutte le specialità del posto:<br />

salsiccia, funghi, formaggi, che per una volta avremmo attaccato senza sensi<br />

di colpa, consapevoli delle calorie copiosamente bruciate durante la giornata.<br />

- 33 -


La nostra Stalla


Con delusione ci accorgiamo che la cena sarà invece normale e quindi<br />

ripieghiamo su zuppa con le verze e bistecca che assaltiamo comunque con<br />

gusto e appetito.<br />

Ovviamente non facciamo fatica a prendere sonno, cullati dal rumore del<br />

ruscello che accarezza i nostri brevi pensieri e subito dopo i nostri sogni.<br />

“Chel sit chi l’è propi un paradis<br />

ogni veduda l’è ‘n quadar in curnis<br />

E prima de andà in let ghè minga storia<br />

sa dis ul Paternoster l’Ave e il Gloria<br />

Quan ca lè tardi sa tirum su in dul let<br />

in d’un silenzi ca l’è quasi perfet<br />

Sa sent dumà un rumur cal vegn el va<br />

chel par propri ul fracass dul resegà<br />

E la matina propi fora l’usc<br />

sa trova la un muget da resegusc<br />

chel par a dì e fa testimonianza<br />

dul laura’ c’an fai in quela stanza”<br />

Baita a Crampiolo


Capitolo 3<br />

Crampiolesi per un giorno<br />

Passiamo la mattinata a Crampiolo a incontrare le persone che lavoreranno<br />

per la nostra baita.<br />

Nel corso dell’inverno abbiamo, infatti, comprato una vecchia stalla da<br />

ristrutturare appena fuori l’abitato di Crampiolo, proprio davanti ai prati che<br />

portano al lago delle streghe.<br />

La baita dovrà essere demolita e ricostruita secondo le stringenti indicazioni<br />

dell’ente parco, e quindi i progetti sono stati realizzati in conformità, con in<br />

più il desiderio di fare una casa davvero speciale e di buon gusto.<br />

Prima però passiamo per l’immancabile visita alla chiesina del paese, sempre<br />

aperta e ben tenuta dalla Teresina, che avremo il piacere di incontrare più<br />

tardi.<br />

Le chiesette di montagna hanno tutte un fascino particolare che chiama al<br />

raccoglimento ispirando sentimenti di pace e serenità. Anche questa, tutta<br />

bianca e ricca di fiori, con i suoi ornamenti semplici ma suggestivi, nel cuore<br />

del paese, invita alla preghiera anche i più reticenti.<br />

- 37 -


“Apena fora chi ghe na geseta<br />

cun la so campanina e fora na banchetta<br />

e chi ca pasa la matina ed a la sira<br />

sa ferman tucc a digh una preghiera<br />

parchè lè ciar a tucc chi lè evident<br />

ca ghe n’ quaivun in ciel cal suvrintend<br />

e sti muntagn e n’ sit inscì precis<br />

i han prugetà sicur in paradis”<br />

L’eccitazione per la baita aumenta vedendo la realizzazione di Giovanni,<br />

che ci viene mostrata con orgoglio nei minimi particolari. Anche l’incontro<br />

con il costruttore e il falegname ci convincono che il risultato sarà all’altezza<br />

delle attese. Il geometra, e tutti quelli che vi lavoreranno sono del posto,<br />

ed è evidente che desiderano quanto noi fare un bel lavoro che a loro volta<br />

mostreranno quale esempio.<br />

Rispettando le tradizioni, avendo la stalla qualche secolo di storia, a furia di<br />

successioni è finita con l’avere un numero rilevante di proprietari. Metterli<br />

d’accordo tutti, e organizzare l’atto dal notaio ha richiesto non poca pazienza<br />

al geometra Damiano che si occupa dei lavori. Dopo tutte le cerimonie dal<br />

notaio è finito tutto in Gloria come previsto: una solenne bevuta e la promessa<br />

di festeggiare a Crampiolo davanti ad una polentata con il cervo.<br />

Dopo aver discusso un po’ di particolari operativi, ci vengono incontro Tino<br />

e Teresina che si presentano ansiosi di conoscere i nuovi crampiolesi, sia pure<br />

d’importazione. Sono i più autorevoli rappresentanti del paese, custodi della<br />

chiesetta e alpigiani da sempre.<br />

- 39 -


La piana del Devero con le piste del Monte Cistella<br />

Ai primi di Maggio la neve a Crampiolo è ancora abbondante


Tino dichiara con solennità di aver fatto medie, superiori ed anche università<br />

al Sangiatto, alpeggio molto bello incluso nella ristretta cerchia dei produttori<br />

di Bettelmat. Non dubitiamo assolutamente della sua preparazione e della<br />

conseguente laurea che avrà meritato in tanti anni di alpeggio.<br />

Scopriamo, quindi, che i bambini incontrati il giorno prima sono i loro<br />

nipotini i cui genitori gestiscono l’alpeggio Forno. Ne approfittiamo quindi<br />

per chiedere una raccomandazione per prenotare una forma di Bettelmat,<br />

esaurito ancora prima di essere prodotto. Ci daranno conferma più tardi che<br />

l’intercessione è andata a buon fine, così a ottobre potremo ritirare la preziosa<br />

forma.<br />

Il feeling è immediato e siamo quindi invitati nella loro baita per un bicchiere<br />

di vino e un pezzo di formaggio. Terminiamo il nostro sopralluogo con una<br />

vigorosa stretta di mano con il titolare dell’impresa quale sigla del contratto<br />

per l’inizio dei lavori che inizieranno alla fine di agosto per terminare, neve<br />

permettendo, l’autunno dell’anno successivo.<br />

Riprendiamo quindi la nostra traversata, non prima di esserci fermati dai<br />

nuovi amici per un veloce spuntino a base di formaggio e vino.<br />

Ci accolgono nella loro baita, davvero caratteristica e ben tenuta proprio<br />

all’ingresso del paese. Sembra certificare il loro ruolo di custodi di Crampiolo.


Alcuni vasi di stelle alpine fanno bella mostra sul muretto dell’ingresso,<br />

testimonianza della cura e del buongusto di questi valligiani.<br />

A questo punto riterrei farvi cosa gradita dandovi qualche interessante notizia<br />

su questo bel fiore di montagna.<br />

La Stella Alpina, chiamata anche Edelweiss, con nome scientifico di<br />

Leontopodium Alpinum, appartenente alla famiglia delle composite, resta la<br />

regina dei fiori alpini, simbolo per eccellenza delle nostre montagne.<br />

E’ sempre stato un fiore abbastanza raro fino a qualche decennio fa, sottoposto<br />

com’era da sempre ad una raccolta spietata da parte di montanari e non. Per<br />

fortuna ora sta tornando a diffondersi, e non è raro trovarsi davanti distese di<br />

centinaia di fiori nei pascoli più alti, vicini alle pendici delle vette.<br />

La Stella Alpina si nota come una pianta dalle foglie color grigio-verde, con<br />

i fusti e la pagina inferiore<br />

ricoperta da una fitta lanugine<br />

biancastra.<br />

Si tratta propriamente di foglie<br />

trasformate in vari modi<br />

per assolvere particolari<br />

funzioni come il richiamo di<br />

insetti per l’impollinazione<br />

dei fiori che essendo molto<br />

piccoli potrebbero anche<br />

non essere facilmente notati:<br />

naturalmente possono<br />

servire anche per la protezione<br />

di organi delicati<br />

della pianta o del fiore.


Quando questo tipo di foglie è predisposto per questi scopi principali viene<br />

denominato con il nome di Brattea.<br />

Però per approfondire e rendere più chiara questa condizione, che potrebbe<br />

anche rappresentare una novità, vorrei portare l’esempio di un’altra pianta<br />

che sicuramente abbiamo avuto in casa e che gode di queste condizioni di<br />

vita.<br />

Si tratta della nota “Stella di Natale” o Euphorbia Pulcherrima, pianta di<br />

appartamento diffusa per decorazioni natalizie.<br />

Le foglie sono verde-chiaro, mentre le piccole infiorescenze sono circondate<br />

da numerose Brattee cremisi-scuro, che possono essere lunghe anche 15<br />

centimetri. Esistono anche varietà Brattee scarlatte, rosa e bianche.<br />

Mentre sto scrivendo di questi argomenti mi viene naturale accennare anche<br />

ai molti fiori, alle erbe, agli arbusti e alle piante cha abbiamo sempre davanti<br />

agli occhi e che potrebbero essere interessanti per raccolte di nomi, e di specie<br />

da ricercare in natura e da catalogare in tanti diversi modi (colori, habitat,<br />

fiori, ecc.) secondo l’interesse di ognuno di noi.<br />

In commercio si trovano tanti libri che sarebbero naturalmente di aiuto per<br />

facilitare questa operazione.<br />

Vi assicuro che ne potrebbero nascere una passione ed un passatempo<br />

bellissimo, serio, istruttivo, e oltremodo coinvolgente! Provateci!<br />

La fantasia popolare ha costruito tante storie e leggende su questo fiore. Storie<br />

che hanno un sapore di profonda sensibilità.<br />

- 43 -


Eccone una efficace e coinvolgente.<br />

Tutti loro avevano un sogno: averla vicina.<br />

Nella grande immensità del cielo una<br />

giovane stella, ogni notte, guardava la<br />

terra ed i suoi abitanti addormentati e<br />

sognanti.<br />

Poteva leggere i sogni di ognuno di loro,<br />

grande o piccolo che fosse; inoltre amava<br />

farsi ammirare da quegli uomini che, con<br />

potenti telescopi, la potevano osservare e<br />

studiare.<br />

Vedeva pure le giovani coppie che si volevano bene e che, guardando il cielo,<br />

esprimevano i loro desideri, sperando di vederli esauditi in futuro.<br />

Cosi, nel tempo, la giovane stella si rese conto che sulla Terra tutti avrebbero voluto<br />

averla vicino; come poteva essere d’aiuto?<br />

Passavano le notti, e la stellina si tormentava al pensiero di come aiutare i terrestri:<br />

non era facile trovare una soluzione.<br />

Una notte i suoi raggi illuminarono un piccolo e semplice filo d’erba in mezzo ad un<br />

deserto di sabbia: come poteva essere nato, questo filo d’erba, era un mistero.<br />

Alla stellina parve bello premiarlo e gli regalò un suo raggio perché non si sentisse più<br />

solo e, subito, questi si trasformò in un piccolo fiore: una stellina.<br />

“Ecco la soluzione!” esclamò la giovane stella, “regalerò i miei raggi a tanti fili d’erba<br />

e gli uomini, in questo modo, potranno sempre avermi vicina”.<br />

Il mattino dopo, una brutta sorpresa attendeva la stellina del deserto.<br />

Un cammello, con il suo carico per il mercato, vedendo il piccolo fiore pensò di<br />

mangiarselo per colazione.


Tornata la notte, la stellina cercò inutilmente, con i suoi raggi, il piccolo fiore: ma capi<br />

presto che per lui non poteva fare più nulla.<br />

In ogni modo, ora poteva trasformare quanta erba voleva e quindi accontentare tutti.<br />

Subito ricoprì, con i suoi raggi, un’immensa pianura di verde prato e questa si<br />

trasformò immediatamente in una distesa di milioni di stelle.<br />

Sorse il nuovo giorno e i contadini che si recarono nei campi non credettero ai propri<br />

occhi: non c’era più erba per il pascolo, ma tante stelle per tutti.<br />

Questi nuovi fiori erano fantastici: tutti ne raccolsero più che poterono ed in breve<br />

tempo di stelline nella pianura non ce n’era più una. Tornò la notte, con la sua giovane<br />

stella e di nuovo esisteva il problema di sempre: come poteva essere d’aiuto?<br />

Gli esseri umani erano troppo avidi e non si accontentavano di ammirare le stelline<br />

nei prati, ma le volevano solo per loro. Era importante trovare altri posti per le future<br />

stelline. Continuando a cercare, i raggi della stellina illuminarono i boschi sulle<br />

colline e, in mezzo agli alberi, nacquero tante piccole stelle. Col tempo, le persone che<br />

si recavano nei boschi diventavano sempre più numerose, curiose d’ammirare il nuovo<br />

miracolo della Natura. Gli alberi diventarono presto gelosi, più nessuno guardava<br />

loro: cominciarono allora a crescere sempre più vigorosi e forti. In breve tempo, la loro<br />

crescita soffocò i nuovi fiori, facendoli morire.<br />

Cosi non poteva funzionare. La giovane stella non sapeva più cosa fare. Restava solo<br />

un angolo della Terra dove posare i suoi raggi: le alte montagne. Così, per incanto, le<br />

montagne si coprirono di un nuovo mantello: quello che ogni uomo ora può amare e<br />

rispettare. Gli alberi non le possono soffocare, gli animali non le possono mangiare e<br />

l’uomo può solo ammirarle.<br />

Questo fiore, bello e puro, ora, ha un nome: Stella Alpina.<br />

Da “Fiabe e Leggende” di Enrico Perola<br />

- 45 -


Crampiolo 2009<br />

According to a long tradition<br />

We organize an expedition<br />

In the mountain in every weather<br />

For the sake of staying together<br />

So after missing for one year<br />

We decided to come here<br />

In Crampiolo for some days<br />

That we enjoy it all the ways<br />

Someone says it’s for the view<br />

But I think it’s for the menu<br />

‘cause the food if great and plenty<br />

You can eat at 4 “palmenti”<br />

But this year we have a novelty<br />

A great soldier from Her Majesty<br />

Used to fight around the world<br />

In the drama that’s the war<br />

But tonight up in the dorms<br />

He won’t hear of shelling bombs<br />

But at most someone who’s snoring<br />

Not that dangerous but annoying<br />

Now it’s time to rest the pen<br />

And go sleeping like a hen<br />

And at morning early tomorrow<br />

With no pain and with no sorrow<br />

Let’s get started from the hut Adriano our commander<br />

That we choose straight from the gut Will be shouting loud the order<br />

So you’ll hear in all the valley<br />

“Up and ready” “zaini in spalle “<br />

Questo tentativo di poesia è stato scritto durante le vacanze di ferragosto del<br />

2009, dove abbiamo avuto come ospite Rupert, un soldato inglese appena<br />

tornato dall’Afghanistan.


La locanda “LA BAITA”


Capitolo 4<br />

Dal Devero al Veglia<br />

Ha ora inizio la terza tappa che ci porterà all’alpe Veglia seguendo il tracciato<br />

del Grande sentiero delle Alpi, ossia un percorso che partendo dal colle di<br />

Tenda arriva a Trieste attraversando tutto l’arco alpino.<br />

Lasciamo Crampiolo e scendiamo all’Alpe Devero (1631 mt) da dove iniziamo<br />

la risalita verso la Scatta d’Orogna.<br />

Il paesaggio è davvero incantevole con le montagne del Devero a fare da<br />

corona a questi immensi alpeggi. Spiccano il Cervandone e lo spigolo della<br />

Rossa, un’enorme pala interamente di roccia rossa che torreggia dominando<br />

tutta la piana, la cui salita impreziosice il curriculum di moltissimi alpinisti.<br />

Salendo, il primo alpeggio è posto su un grande pianoro attraversato da<br />

un lento torrente che gorgoglia sinuoso nei prati dove numerose mucche<br />

pascolano libere forse inconsapevoli di tanta bellezza.<br />

La valle Buscagna è di un’ampiezza inaspettata per chi sale da Devero; di<br />

una malinconia, di una dolcezza, di una solitudine commoventi, paragonabili<br />

forse al grande nord canadese o alla Taiga siberiana.<br />

Sulla sinistra abbiamo modo di ammirare il Monte Cistella dove si snodano<br />

le uniche tre seggiovie del Devero. Il pendio è interamente esposto a nord in<br />

mezzo a boschi radi.<br />

- 49 -


Lo spigolo della<br />

“ROSSA”


Ci raccontano come d’inverno la neve rimanga polverosa fino a tardi<br />

assicurando innumerevoli e sicure discese fuoripista nella neve fresca. Già<br />

m’immagino le discese in solitudine immersi in un metro di polvere lanciando<br />

l’ormai famoso grido di battaglia “Canadà”.<br />

Oltre l’Alpe Buscagna quando il terreno comincia a salire, prima delle<br />

pietraie, troviamo un grande prato completamente coperto di fiori gialli che,<br />

oscillando nel vento, creano l’effetto di un mare dorato increspato dalle onde.<br />

La fantasia trova terreno fertile e anzi uno dei trucchi per poter camminare<br />

ore ed ore consiste nel liberar la mente, e lasciarla vagare senza controllo nei<br />

pensieri qualche volta strampalati. Ciò impedisce di continuare a pensare<br />

allo sforzo presente, a quello delle prossime ore o ai dislivelli da percorrere.<br />

Diversamente il pensiero fisso non farebbe altro che autoalimentare la fatica<br />

fino a sfinirci prematuramente.<br />

Così davanti a questo mare di fiori, accarezzati dal vento, la mente indugia su<br />

una vecchia canzone:<br />

Eppure il vento soffia ancora<br />

spruzza l’acqua alle navi sulla prora<br />

e sussurra canzoni tra le foglie<br />

bacia i fiori li bacia e non li coglie<br />

eppure sfiora le campagne<br />

accarezza sui fianchi le montagne<br />

e scompiglia le donne fra i capelli<br />

corre a gara in volo con gli uccelli<br />

La varietà dei panorami di questa vallata è davvero indimenticabile, con<br />

continui giochi d’acqua e di colori così delicati che sembrano usciti dalla<br />

tavolozza di un impressionista parigino.<br />

- 51 -


La Val Buscagna


Nel nostro andar per monti, il silenzio ha rappresentato una delle caratteristiche<br />

costanti, rotto solo dal fischio della marmotta sentinella e dal fruscio del vento<br />

che sembra spazzar via i pensieri dalla mente per far posto a quelli nuovi<br />

ispirati dalle bellezze del paesaggio.<br />

Se la stella alpina è considerata il fiore simbolo delle Alpi, la marmotta è<br />

sicuramente l’animale più conosciuto della montagna. Le troviamo ovunque<br />

appena raggiungiamo il loro habitat, cioè i pascoli e le pietraie tra i 1800 e<br />

i 3000 metri. E’ un animale molto socievole e si organizza in comunità per<br />

poter passare gli inverni rigidi a queste quote. Con il caratteristico fischio,<br />

la marmotta sentinella avvisa dell’arrivo del pericolo, che è rappresentato<br />

dall’aquila e dalla volpe. Anche al nostro passaggio udiamo i numerosi fischi,<br />

ma ogni tanto la marmotta si apposta vicino alla sua buca e ci guarda senza<br />

paura lasciandosi fotografare da vicino. Spesso incontriamo anche i cuccioli<br />

nati in primavera che con goffaggine e simpatia si muovono tra i sassi.<br />

Si tratta di un animale estremo, in grado di vivere e riprodursi in un ambiente<br />

inospitale come può essere a volte l’alta montagna. A fine settembre, si<br />

ritrovano nelle loro tane e le preparano per affrontare il lungo periodo<br />

invernale. In queste tane possono stare da 3 a 10/15 marmotte. La marmotta<br />

va in letargo, secondo la rigidità del clima, generalmente da ottobre ad aprile.<br />

Questo roditore possiede un sonno da record, che le consente di superare il<br />

freddo e nevoso inverno delle alte quote.<br />

Durante il letargo compie<br />

un vero e proprio miracolo<br />

fisiologico, la sua temperatura<br />

corporea scende da<br />

trentacinque a meno di cinque<br />

gradi, il cuore rallenta da<br />

130 a 15 battiti al minuto e la<br />

respirazione diviene appena<br />

percettibile. La marmotta sentinella


Il verde scintillante al Passo di Valtendra<br />

I tetti alla Balma


In questo periodo lentamente consuma le scorte di grasso corporeo accumulate<br />

nella bella stagione e per sei mesi, dorme profondamente accanto al resto della<br />

sua famiglia.<br />

Raggiungiamo il valico detto Scatta d’Orogna posto a 2431 metri e dopo un<br />

boccone veloce ripartiamo verso il secondo valico cioè il passo di Valtendra.<br />

Sotto di noi i ripidi pendii erbosi della val Bondolero mostrano un panorama<br />

insolito per queste quote, con un verde scintillante macchiato solo da qualche<br />

residuo nevaio o da luccicanti laghetti.<br />

Approfittiamo di un lungo nevaio per fare una divertente e veloce sciata fuori<br />

stagione ovviamente con gli scarponi. Lo “sci estivo” sulle lingue di neve<br />

dura con gli scarponi è una specialità dai tempi del militare. Oltre che molto<br />

divertente, consente di perdere quota velocemente, senza affaticare gambe e<br />

piedi con i colpi dei passi durante la discesa.<br />

Il resto della discesa si presenta noioso, o forse la fatica lo rende tale, complice<br />

anche una deviazione nel ripido bosco dopo aver perso il sentiero. Finalmente<br />

ritroviamo la strada e scopriamo di essere arrivati all’alpe La Balma.<br />

E’ un gruppo di baite e stalle posto su un ridente poggio assolato e aperto,<br />

dove pascolano molti cavalli e mucche. Le case sono stupende, appena rifatte,<br />

e in particolare la grande stalla impressiona quando la si vede dall’alto per<br />

il suo enorme tetto tutto fatto di piode con il tipico stile di queste valli. E’ la<br />

prima volta che vedo un tetto così grande interamente in sasso.<br />

Riflettiamo su come l’architettura di montagna sia impregnata di uno<br />

straordinario buongusto, e che pur utilizzando forzatamente i materiali<br />

poveri disponibili in loco, riesca a coniugare la funzionalità e la comodità con<br />

un risultato estetico eccellente. Tetti in piode, balconate in larice, cappellette<br />

e oratori bianchi di calce o in sasso, non esiste costruzione pur semplice che<br />

sia brutta.<br />

- 55 -


Sulle lingue di neve<br />

L’albergo La Fonte


Il Veglia ci accoglie silenzioso e immenso, tanto che dobbiamo girovagare un<br />

po’ per trovare il rifugio del quale non mi ricordavo il nome.<br />

Improvvisamente si apre questa conca verdissima, perfettamente pianeggiante,<br />

solcata da ruscelli che il sole trasforma in lamine d’argento e punteggiata da<br />

larici secolari con i tronchi attorcigliati quasi come fossero tormentati dal vento<br />

e dalla neve. Davanti a questi alberi si comprende fino in fondo il pensiero di<br />

Vincent Van Gogh:<br />

“Vedo ovunque<br />

nella natura,<br />

ad esempio negli alberi,<br />

capacità d’espressione<br />

e, per così dire,<br />

un’anima”<br />

Lo spartiacque principale delle Alpi passa sulle montagne che coronano<br />

il Veglia così che un torrente rivolto a sud porterà l’acqua al Pò e quindi<br />

all’Adriatico, se invece rivolto a nord finirà nel Rodano e quindi nel sud della<br />

Francia.<br />

L’Alberghetto si chiama “ la Fonte” e ci viene indicato da un ragazzino.<br />

Per raggiungerlo dobbiamo impegnarci in un supplemento di salita ripida<br />

essendo il rifugio in un dosso panoramico dominante l’alpe.<br />

Alcuni asini ci accolgono con il loro lamentoso ragliare che farà anche da<br />

buongiorno la mattina seguente. Ritroviamo con piacere gli amici svizzeri<br />

incontrati il giorno prima.<br />

Doccia veloce e poi la ricerca del segnale telefonico (che non troverò fino al<br />

<strong>Sempione</strong>) mi costringe a fare il giro di tutto l’alpe aggiungendo un’altra ora<br />

alla mia passeggiata.<br />

- 57 -


L’enorme piana del Veglia


- 59 -<br />

Il Leone<br />

L’alpe Veglia, seppure<br />

molto famosa, si<br />

differenzia dal Devero in<br />

quanto raggiungibile solo<br />

a piedi da San Domenico<br />

con un paio d’ore di<br />

cammino.<br />

Questo fatto seleziona in modo implacabile i frequentatori consentendo<br />

l’accesso solo ai veri amanti della montagna. Quindi no turisti caciaroni , sì ad<br />

alpinisti ed escursionisti rispettosi. Non vi sono negozi e bar, ma solo alpeggi<br />

e rifugi sebbene l’alpe sia davvero molto grande e accogliente.<br />

Il Monte Leone incombe maestoso su di noi offrendo una vista straordinaria<br />

della sua imponenza e dei suoi ghiacciai pensili. L’indomani ci accompagnerà<br />

per tutto il giorno sempre più vicino.<br />

Senza dircelo ci ricordiamo di quando un quarto di secolo fa, lo abbiamo<br />

scalato in solitudine partendo dall’ospizio del <strong>Sempione</strong>. In montagna la testa<br />

conta più delle gambe, e Mariuccia ha potuto scalarlo solo in quanto, sapendo<br />

che la cima è a 3500 metri, e informandola io che il passo era “duemilaecinque”<br />

si rassicurava che la differenza di quota di mille metri fosse alla sua portata.<br />

In effetti, il passo è a quota 2005, ma l’averlo constatato dopo le ha permesso di<br />

non pensarci troppo e così fare tutta la salita, con i suoi 1500 metri di dislivello.<br />

La salita al Monte Leone richiede una buona preparazione fisica in quanto al<br />

già pesante dislivello si aggiunge l’attraversamento del ghiacciaio con una<br />

corda molla, cioè con una discesa ed una risalita. La lunga e frastagliata cresta<br />

terminale mette poi a dura prova la pazienza e la resistenza dell’alpinista.


La sorgente<br />

L’introvabile etichetta


E’ una cima molto frequentata in modo particolare con gli sci, giacché<br />

ricompensa con una discesa vertiginosa. Viceversa a piedi il ritorno è<br />

interminabile.<br />

L’Albergo la Fonte è una pensione appena rimodernata graziosa e accogliente<br />

con una vista aperta su tutto il Veglia e sulle montagne che lo circondano.<br />

L’albergo prende il nome dalla famosa sorgente ferruginosa che dista pochi<br />

minuti di cammino.<br />

Si tratta di una vera bizzarria della natura che richiama migliaia di visitatori<br />

ogni anno.<br />

L’acqua ferruginosa nasce a 1813 metri ed è la seconda sorgente minerale più<br />

alta d’Europa dopo quella di Perticosa nei Pirenei. Nel mezzo del torrente<br />

Mottiscia, da un tubo posto curiosamente proprio tra l’acqua del torrente,<br />

scorga effervescente e naturale la gustosissima acqua, che oltre alle numerose<br />

e pregiate proprietà terapeutiche, secondo gli abitanti del luogo, “risveglia<br />

felicità e allegria. Contribuisce ad allontanare tristezza, noia e a dimenticare i<br />

bui luoghi in cui si vive durante l’anno”.<br />

Sempre secondo il sito del parco “Molti tra quanti provano l’Acqua<br />

Ferruginosa se ne innamorano immediatamente e non riescono più a farne a<br />

meno. La frizzante combinazione di minerali (tra cui spicca il ferro) induce a<br />

berne sempre più senza riuscire a fermarsi. Purtroppo non piace a tutti. Alcuni<br />

riescono ad apprezzarla solo dopo un periodo di attesa e scoperta, altri invece<br />

si convincono che è cattiva e non cercano in alcun modo di invaghirsene”.<br />

In lontananza si vedono i numerosi e grandi alpeggi, vivaci di mucche con le<br />

rumorose campane e di alpigiani intenti nella mungitura serale. Ci godiamo il<br />

panorama crogiolandoci negli ultimi raggi di sole seduti sul muretto di sasso<br />

fuori dall’Albergo ammirando il sole che tramonta dietro il Leone. La cena<br />

è abbondante anche se un po’ cittadina, quindi veloci a letto a riposare per<br />

l’ultimo giorno.<br />

- 61 -


Verso la Bocchetta d’Aurona


Con la carta di credito fuori uso e i franchi svizzeri al posto degli euro, riesco a<br />

pagare il conto con gli ultimi euro rimasti tanto che lasciandone tre di mancia,<br />

non ci resta neanche un centesimo.<br />

Avessimo preso un grappino in più la sera prima, non avremmo potuto<br />

pagare il conto. La mente corre con terrore a quando nell’ultima tappa della<br />

traversata del Rosa di tanti anni fa, dopo una settimana di girovagare con<br />

lo zaino pesante sulle spalle, dovevamo prendere i mezzi da Zermatt fino<br />

a lago di Mattmark nella valle di Saas. Con la provvista di franchi limitata<br />

(per la verità lo era anche quella di lire), m’informo in stazione sul costo del<br />

biglietto per il giorno dopo. Puntualmente mi dicono che il costo è di “zwei<br />

und achtzig Franken”. Fresco di un anno di militare a Vipiteno non esito a<br />

tradurre in due e otto, cioè ventotto. Ci regoliamo con le spese tenendo conto<br />

di conservare i soldi ritenuti sufficienti.<br />

Peccato che i tedeschi che fanno tutto dritto dicono i numeri all’incontrario,<br />

e quindi il costo del biglietto era 82 franchi, che a questo punto non abbiamo<br />

più a sufficienza. Morale, facciamo il biglietto fin dove i soldi lo consentono,<br />

cioè fino a Saas Grund. Qui il conducente ferma apposta il pullman e si ricorda<br />

implacabilmente di farci scendere senza sentire ragioni, costringendoci a un<br />

paio d’ore di cammino supplementari<br />

sotto la pioggia, che si aggiungeranno<br />

alle altre quattro necessarie ad<br />

arrivare al passo del Moro.<br />

Solo qualche giorno dopo avrò il<br />

coraggio di dire a Mariuccia che<br />

nel fare i biglietti della funivia<br />

per scendere a Macugnaga ho<br />

ritrovato nella tessera del Cai i<br />

franchi che tengo d’emergenza<br />

e che ci avrebbero consentito di<br />

proseguire con il bus.


la Genziana


Capitolo 5<br />

Verso il <strong>Sempione</strong><br />

Il primo giorno è stato di assaggio, il secondo ci ha affaticato con la sua<br />

lunghezza, il terzo dovevamo riprenderci, ma dal quarto in poi l’allenamento<br />

si fa sentire rendendo la fatica inaspettatamente leggera ed il passo veloce.<br />

Questo è l’ultimo giorno e sarà anche il più impegnativo dal punto di vista<br />

alpinistico. Dopo abbondante colazione ci avviamo con passo veloce e<br />

leggero sentendo che la fatica dei giorni precedenti si è ormai trasformata in<br />

allenamento per le gambe e i polmoni. Siamo sempre accompagnati dai nostri<br />

tre casuali compagni di viaggio. Gli asini ci salutano fragorosamente, mentre<br />

alcuni maiali si rotolano nel fango poco sotto il rifugio.<br />

Il Leone svetta imperioso oltre la piana del Veglia stagliandosi verso il cielo<br />

finalmente azzurro e senza nubi. Avremo modo di fotografarlo da molte<br />

angolature giacché dovremo costeggiarlo per tutto il giorno fino al <strong>Sempione</strong>.<br />

Nei pianori assolati l’immancabile vento agita l’erba alta facendola sembrare<br />

un mare in tempesta attraversato dalle onde. Appena la prateria lascia il<br />

campo alle sassaie e alle morene, tra l’erba diradata troviamo le inconfondibili<br />

macchie blu di genziana. Il nome deriva dal re dell’Illiria Gentium che per<br />

primo ne apprezzò le proprietà curative. Se la stella alpina è un fiore esclusivo<br />

e raro, la genziana è sicuramente più facile da incontrare, ma questo non toglie<br />

nulla all’emozione che si prova quando ci s’imbatte in questa macchia blu che<br />

spicca tra l’erba.<br />

- 65 -


Il ghiacciaio verso La Bocchetta<br />

L’ultimo sforzo sulla Ferrata


La genziana è molto usata nella preparazione di liquori o amari tipici delle<br />

vallate alpine. In ogni paese di montagna troverete l’albergo Miramonti, la<br />

pensione Edelweiss, e il ristorante Genziana.<br />

Da lontano vediamo un passo impervio, e ci convinciamo che non può essere<br />

il nostro, poiché c’è un ripido ghiacciaio e una parete di roccia da scalare che<br />

non ci aspettavamo.<br />

Man mano che si procede diventa invece evidente che il passaggio è proprio<br />

lì. Combattendo contro la proverbiale fifa di Mariuccia ci avviciniamo e solo le<br />

rassicurazioni di due escursionisti mal in arnese la convincono a proseguire.<br />

Scavando i gradini nel ghiaccio con la punta degli scarponi saliamo il ripido<br />

ghiacciaio, e quando il passaggio sembra ormai evidente e quasi facile,<br />

costatiamo che invece si deve passare proprio nel mezzo della parete, ossia<br />

nel punto che a prima vista sembra proibitivo.<br />

L’ultimo pezzo di ghiacciaio è insidioso e ripido, ma il rischio è limitato a<br />

una scivolata senza strapiombi. Lascio Mariuccia senza zaino così da godersi<br />

l’arrampicata e la seguo con il doppio carico. Non so se per via della sua fifa<br />

o del gusto dell’arrampicata, oppure a causa del doppio peso sulle mie spalle,<br />

ma mi scappa via veloce sulle rocce, tanto che insistendo io nel chiederle di<br />

posare per una foto “ricordo” che non si gira mai e sono costretto a fotografarla<br />

ripetutamente da dietro.<br />

Rivedere Mariuccia salire veloce e leggera senza zaino, mentre io mi attardo<br />

appesantito dal doppio carico, richiama alla mente l’articolo di un noto<br />

scrittore di montagna. Tengo questo scritto sulla scrivania rileggendolo di<br />

tanto in tanto soprattutto nei momenti in cui, prendendomi troppo sul serio,<br />

m’intrappolo in pensieri negativi che appesantiscono la mia giornata, il mio<br />

lavoro, le mie relazioni con gli altri.<br />

- 67 -


Mi permetto di proporvelo così come l’ho trovato:<br />

Leggeri come falchi per vivere meglio<br />

di Mauro Corona alpinista e scrittore<br />

Nella mia vita ho avuto spesso a che fare con il vuoto, con le arrampicate, e lì è un bel<br />

guaio non essere leggeri. In montagna la leggerezza è farsi sostenere dalle correnti,<br />

come i falchi e le poiane, senza battere le ali, senza sprecare forze. Nella vita è lo stesso:<br />

quando si è leggeri, ogni corrente, ogni minima soddisfazione ci sosterrà in aria, ci<br />

terrà allegri.<br />

Per raggiungere una leggerezza nei comportamenti e nell’umore occorre ottenerla<br />

anche fisicamente. Bisogna essere ascetici. Non prendersi troppo sul serio, essere<br />

leggeri nelle esigenze personali, non prendersela troppo quando qualcuno sbaglia una<br />

parola nei nostri confronti. Ricordando sempre che leggerezza nel comportamento non<br />

significa prendere la vita poco seriamente o vivere con la testa tra le nuvole. Significa<br />

donarci, donare agli altri. Significa di scrollarci di dosso la pesantezza, la serietà ed<br />

essere generosi, tolleranti, saper ridere e tentare di perdonare.<br />

Attribuire la pesantezza alla società moderna è un pretesto, mentre ogni individuo<br />

dovrebbe essere leggero nelle proprie vanità, nel proprio orgoglio, nelle proprie pretese.<br />

Per dire: facciamo un libro, crediamo che sia un capolavoro e vorremmo un premio.<br />

Invece bisognerebbe saper dire «ho fatto una cosa, se va, bene, altrimenti pazienza.<br />

Essere leggeri non significa essere sciocchi, ma lasciar correre l’acqua sopra di sé,<br />

come le pietre nel torrente, senza opporsi, brontolare e mugugnare sempre. In amore<br />

essere leggeri significa evitare controllo, gelosie, egocentrismo e possesso. L’amore è<br />

donazione, è silenzio. E il silenzio è leggerezza.<br />

Leggerezza è saper accettare anche la sfortuna, senza precipitare nel tragicismo. Ma<br />

questo dipende dall’educazione che si riceve: un bambino che cresce in una famiglia<br />

dove ogni problema diventa una tragedia, e dove si pretende sempre di più di ciò che<br />

si ha o si raggiunge, è inevitabile che presto vorrà andarsene o diventerà un adulto<br />

pesante, greve.


Quindi la leggerezza va insegnata sin da piccoli, anzi: dovrebbe essere insegnata nelle<br />

scuole! Ma anche da adulti si può imparare: basterebbe fermarsi e ragionare un po’.<br />

Dialogare con il prossimo, non ritenersi indispensabili o migliori degli altri.<br />

Leggerezza è vivere, agire, tentare. Leggerezza è fatica: sembra un paradosso, ma dopo<br />

un’arrampicata, dopo una corsa, perdendo qualche chilo, viene voglia di essere più<br />

allegri, viene appetito, si dorme meglio. Leggerezza è sobrietà negli oggetti di cui ci<br />

circondiamo, anche nelle nostre case, che invece sono piene di orpelli, di marchingegni<br />

a motore... e noi stessi diventiamo oggetti in funzione degli oggetti che dobbiamo<br />

controllare, guidare, riparare.<br />

Leggerezza è generosità, tolleranza, disincanto.<br />

È sapersi trattenere dal suonare il clacson quando l’auto davanti a noi resta ferma<br />

qualche secondo dopo che è scattato il verde. Non assecondare e cadere nella trappola<br />

della pesantezza. Fare qualcosa per gli altri, ma senza aspettarci gratitudine o<br />

riconoscenza, perché questi sono sentimenti che si sciolgono come neve al sole.<br />

E infine, saper riconoscere le cose belle che abbiamo a portata di mano, per esempi<br />

le montagne: qui a Erto sono bellissime. Ma molti personaggi della politica e dello<br />

spettacolo preferiscono andare a Cortina o Courmayeur. Sono vittime della pesantezza<br />

della visibilità e dei luoghi comuni che fanno tendenza.<br />

Impariamo a essere leggeri: è fondamentale per vivere meglio.<br />

- 69 -


L’aquila come i Leader,<br />

vola solitaria, al contrario<br />

delle oche che volano in<br />

stormo.


Rapidamente risaliamo la parete approfittando delle corde fisse e dei pioli<br />

infissi nella roccia.<br />

E’ tutto relativamente semplice, ma siamo davvero esposti nel vuoto. Essere<br />

soli qui in quest’ambiente austero e impegnativo ci fa sentire sempre più nel<br />

cuore di un’avventura anche proprio per gli aspetti atletici e alpinistici.<br />

Al colle appostato proprio sulla cresta, troviamo il bivacco Farello, un vero<br />

nido d’aquila di lamiera a disposizione degli alpinisti.<br />

Se la marmotta è l’animale più famoso della montagna, probabilmente per la<br />

sua simpatia, l’aquila è quello che meglio ne incarna lo spirito audace e severo.<br />

Con attenta osservazione può capitare di vederla volteggiare alta nel cielo<br />

alla ricerca, con la sua vista aguzza, delle prede che possono essere anche di<br />

medie dimensioni come capretti o altri mammiferi. Il rispetto e l’ammirazione<br />

che ispirano l’aquila si riflettono anche nel nostro linguaggio quotidiano<br />

per sottolineare persone acute ed ardite. Queste persone così come l’aquila,<br />

si vedono una alla volta e raramente, al contrario delle oche che invece si<br />

vedono frequentemente ed in stormi numerosi.<br />

Sbuchiamo al passo e attraversiamo il confine svizzero, ovviamente senza<br />

doganieri. Ci sentiamo un po’ come i contrabbandieri che nei tempi passati<br />

utilizzavano questi valichi per trasportare merci con la loro bricolla da e<br />

per il nord dell’Europa, ingaggiando una continua e romantica guerra con<br />

i finanzieri. Gli uni e gli altri condividevano la vita faticosa e pericolosa sui<br />

valichi alpini con il solo scopo di sbarcare il lunario. Spesso erano conoscenti<br />

e non di rado si aiutavano reciprocamente.<br />

A testimonianza di questi tempi ancora oggi su alcuni passi alpini si celebra la<br />

“Messa del contrabbandiere”. In particolare ho partecipato al passo Mondelli<br />

tra Saas Fee e Macugnaga ad una di queste celebrazioni, dove ho visto<br />

pregare gomito a gomito i finanzieri con i vecchi contrabbandieri nel ricordo<br />

dei gloriosi giorni passati a rincorrersi per una bricolla di sigarette.<br />

- 71 -


Sensazioni artiche alla Bocchetta d’Aurona


Dopo il passo, lo scenario<br />

si apre sulle montagne del<br />

Vallese, in particolar modo<br />

la vista spazia sui Mischabel<br />

e sulla parete nord del<br />

Fletchorn. Alla nostra destra<br />

vediamo il rifugio Monte<br />

Leone che funge da base di<br />

partenza per la traversata<br />

Il nevaio scivola nel lago creando colori straordinari<br />

o la salita alla punta di<br />

Terrarossa. Questa montagna potrebbe essere un trattato di geologia, perchè<br />

vi è raccontata la tormentata storia delle Alpi. Si vedono chiaramente gli strati<br />

regolari di roccia ondulati dalle forze immense della crosta terrestre che si è<br />

corrucciata così da sollevarsi e formare le montagne.<br />

Ciò che è descritto nei libri di scienza può qui essere compreso anche da un<br />

profano con semplicità. Il colore rosso vivo delle rocce, contrastato dal bianco<br />

della neve residua, aggiunge un tocco pittoresco alla vista.<br />

Siamo a quota 2800 e il terreno si presenta come uno sterminato pianoro di<br />

sassi e rocce.In mezzo troviamo due laghetti insoliti. Il primo piuttosto piccolo<br />

vede un grande nevaio scivolare fino oltre metà lago creando una gradazione<br />

di colori che va dal bianco della neve a tutti i tipi di turchese ed azzurro man<br />

mano che lo strato di ghiaccio penetra verso il centro del laghetto sempre più<br />

profondo.L’altro lago più grande ci offre uno scenario artico fatto da grandi<br />

banchi di ghiaccio vaganti sulla superficie dell’acqua.<br />

Dopo un po’ incrociamo il sentiero principale che scende dal rifugio<br />

e cominciamo a incontrare numerosi escursionisti. In fondo vediamo<br />

l’inconfondibile costruzione rosa dell’ospizio del <strong>Sempione</strong> con la strada<br />

brulicante di traffico. La caratteristica aquila di pietra, alta 8 metri, domina il<br />

passo quasi a controllare questo passaggio strategico.<br />

- 73 -


Il passo del <strong>Sempione</strong><br />

L’ospizio del <strong>Sempione</strong>


Proprio davanti a noi la parete nord del Fletchhorn brilla ricoperta di ghiaccio.<br />

Nonostante l’evidente ritirata del ghiacciaio a causa del noto e ormai evidente<br />

innalzamento delle temperature, questa parete nord rimane impressionante<br />

per la sua ripidità. Il ghiacciaio sembra proprio appiccicato.<br />

Questa montagna è ben visibile dalla pianura lombarda essendo l’ultima verso<br />

nord del trittico formato dalla Weissmiess e dal Lagginhorn, e deve parte<br />

della sua notorietà oltre che alla sua bellezza e posizione al fatto che essendo<br />

alta “solo” 3996 metri priva l’alpinista dell’ufficialità di un quattromila.<br />

Nonostante questo piccolo inconveniente è una cima molto frequentata<br />

soprattutto salendo da Saas Grund.<br />

Il passo del <strong>Sempione</strong> è un valico molto importante ma solo dal 1800, grazie a<br />

Napoleone, è stata costruita un’ardita via di comunicazione che ha rilanciato<br />

i collegamenti tra il sud e il nord delle Alpi.<br />

1500 metri sotto di noi scorre il tunnel del <strong>Sempione</strong>, imponente galleria<br />

ferroviaria di 21 Km costruita addirittura nel 1906, e che fino a pochi anni<br />

addietro era la più lunga del mondo.<br />

Scendiamo con passo allegro sul confortevole sentiero che porta all’Ospizio,<br />

pregustando l’ormai prossimo “Zaini a terra” e il conseguente riposo, anche se<br />

poi dovremo spendere ancora diverse ore sui mezzi per il recupero dell’auto e<br />

arrivare a Riederalp, nostra meta per il resto della settimana.<br />

La vista del traguardo certamente ci rallegra e cominciamo a pregustare<br />

i benefici delle comodità della vita quotidiana, ma un velo di tristezza fa<br />

capolino. Sta per finire un’avventura davvero straordinaria, non tanto<br />

per l’aspetto tecnico o alpinistico ma piuttosto per il senso di libertà che<br />

quest’avventura ci ha dato. Mai ci siamo sentiti turisti ma sempre visitatori o<br />

viandanti, abbiamo pianificato e programmato il nostro itinerario da soli con<br />

- 75 -


L’aquila di pietra controlla il Passo<br />

La Nord del Fletchorn


l’ausilio delle cartine, abbiamo conosciuto la gente del posto e soprattutto ci<br />

siamo immersi con rispetto in quest’ambiente e nella sua storia.<br />

Abbiamo cercato di capire e di conoscere, con l’occhio dell’alpinista rispettoso,<br />

la natura che ci circonda, e siamo stati ripagati da panorami mozzafiato e da<br />

dettagli delicati e curiosi.<br />

La lontananza dalle auto, dai computer, dalla tv, spesso anche dai cellulari,<br />

ci ha rigenerato lo spirito, le persone che abbiamo conosciuto ci hanno<br />

arricchito di informazioni e cultura. Il tempo ci ha donato ritmi diversi, lenti,<br />

costanti, amichevoli. La natura ci ha mostrato il suo volto benigno che, solo se<br />

assaporato in questo modo, riesce a lasciarsi accarezzare con tanta dolcezza<br />

ed efficacia.<br />

Le nostre gambe sono ormai allenate e ci danno proprio l’impressione di poter<br />

camminare senza più fare fatica. Si sono dimostrate il mezzo di locomozione<br />

“pedibus calcantibus” più efficace in questi terreni.<br />

Un grande filosofo disse:<br />

“Quando si vuole soltanto arrivare,<br />

si può correre in diligenza.<br />

Ma quando si vuole viaggiare<br />

bisogna andare a piedi.”<br />

JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Emilio<br />

L’ospizio del <strong>Sempione</strong> ci accoglie maestoso come sempre, ben tenuto dai<br />

pazienti frati vallesani di San Bernardo che continuano l’opera originaria<br />

di dare ospitalità ai viandanti e ai pellegrini che si recavano nei santuari<br />

dell’Italia del nord o a Roma. La visita è un’esperienza sempre emozionante<br />

che ci riporta indietro nel tempo.<br />

- 77 -


La costruzione con muri molto spessi, locali ampi e alti ci suggestiona facendoci<br />

immaginare la vita nei castelli e nei monasteri dei secoli scorsi. Chi ha visto il<br />

film “Il nome della rosa” non farà fatica a ritrovare le stesse sensazioni.<br />

La sapienza dei frati di San Bernardo ha saputo ammodernare l’ospizio<br />

rendendolo accogliente anche ai visitatori di oggi, ma senza niente togliere alla<br />

sua magia di un tempo. La chiesina incastonata all’interno della costruzione<br />

è parte integrante della vita dell’ospizio con una vivace attività scandita dai<br />

tempi del convento: quindi i Mattinali, la Messa, e i Vesperi.<br />

La cena si consuma non in un ristorante ma in un refettorio, dove il servizio,<br />

cortese silenzioso e ordinato ci invita a valorizzare un momento tanto prezioso<br />

come mangiare con calma insieme. Lo spezzare del pane, il vino e in generale<br />

il cibo, assumono qui un valore anche simbolico quasi a ricordarci che nella<br />

vita e nelle opere di Gesù il cibo ha sempre rappresentato una metafora e un<br />

momento importante. Non a caso il primo miracolo l’ha fatto alle nozze di<br />

Cana, e uno dei momenti più drammatici e significativi è stata l’ultima cena.<br />

Nelle serate d’estate non è inusuale sentir risuonare il caratteristico, lungo<br />

corno svizzero che viene suonato sul balcone della scala che conduce<br />

all’ospizio. Il corno svizzero è nato come strumento di comunicazione tra un<br />

alpeggio e l’altro, ma con l’avvento dei moderni sistemi stava per scomparire,<br />

quando è stato riscoperto e rilanciato con la tipica cura elvetica che riesce a<br />

coniugare la modernità più evoluta con la tradizione.<br />

Il corno Svizzero risuona al <strong>Sempione</strong><br />

Fuori nel corridoio tra le<br />

varie preghiere appese ai<br />

muri, si evidenzia quella<br />

scritta dal Priore Gratien<br />

Valluz che più di tutti ha<br />

animato la rinascita di<br />

questo posto.


Preghiera del pellegrino della montagna<br />

Signore Gesù che dalla casa del Padre<br />

sei venuto a piantare la tua tenda in mezzo a noi;<br />

tu che sei nato nell’incertezza di un viaggio<br />

ed hai percorso tutte le strade,<br />

quella dell’esilio, quella dei pellegrinaggi,<br />

quella della predicazione :<br />

strappami all’egoismo ed alla comodità,<br />

fa di me un pellegrino.<br />

Signore Gesù, che hai preso così spesso il sentiero della montagna,<br />

per trovare il silenzio, e ritrovare il Padre;<br />

per insegnare ai tuoi apostoli e proclamare le beatitudini;<br />

per offrire il tuo sacrificio, inviare i tuoi apostoli<br />

e far ritorno al Padre:<br />

attirami verso l’alto, fa di me un pellegrino della montagna.<br />

Come San Bernardo,<br />

devo ascoltare la tua parola, devo lasciarmi scuotere dal tuo amore.<br />

A me, continuamente tentato di viver tranquillo,<br />

domandi di rischiare la vita,<br />

come Abramo, con un atto di fede;<br />

a me, continuamente tentato di sistemarmi definitivamente,<br />

chiedi di camminare nella speranza,<br />

verso di te, cima più alta, nella gloria del Padre.<br />

Signore, mi creasti per amore, per amare:<br />

fa ch’io cammini,<br />

ch’io salga, dalle vette, verso di te,<br />

con tutta la mia vita,<br />

con tutti i miei fratelli,<br />

con tutto il creato<br />

nell’audacia e nell’adorazione.<br />

Amen<br />

Padre Gratien Volluz,<br />

priore e guida alpina (1929-1966)<br />

- 81 -


Capitolo 6<br />

L’arrivo<br />

Giunti al passo, ci appostiamo alla fermata del mitico postale sul piazzale<br />

dell’ospizio.<br />

Proprio di fianco al famoso cartello indicante i già ricordati 2005 metri del<br />

passo, c’è la fermata del bus che ci dovrà riportare a Briga e l’orario ci indica<br />

che abbiamo mezz’ora di tempo.<br />

Lo spendiamo a mangiare finalmente qualcosa e a sistemare gli zaini.<br />

Confidando sulla proverbiale puntualità dei postali svizzeri non indugiamo e<br />

ci mettiamo in fila in attesa del bus che deve arrivare da Domodossola.<br />

Il postale svizzero è un’istituzione nazionale con oltre 100 anni di storia,<br />

essendo stato inaugurato nel 1906. Circa 800 di questi bus gialli attraversano<br />

oggi in lungo e in largo la Svizzera raggiungendo ogni minuscola frazione di<br />

montagna con il servizio passeggeri ed in molti casi ancora con la posta.<br />

I suoi segni distintivi – la tromba a tre suoni e il colore giallo – appartengono<br />

all’identità culturale della Svizzera. Il marchio AutoPostale è sinonimo di<br />

affidabilità, sicurezza e fiducia.<br />

I passeggeri aspettano con pazienza il segnale acustico a tre note del tipico<br />

corno dell’autopostale che risuona sulle strade di montagna. Il motivo a tre<br />

note è tratto dall’andante dell’ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini<br />

comprende le note sol diesis-mi-la, in la maggiore.<br />

- 83 -


Il Postale


Oggi con italica soddisfazione prendiamo nota che il postale arriva con ben<br />

quindici minuti di ritardo, che però vengono subito dimenticati appena<br />

nell’aria risuona il famoso corno. In Canton Ticino, l’approssimarsi del bus<br />

è commentato con l’ormai famoso “Ghè scià ul pustal cun la pata verta” che<br />

sottintende l’arrivo a tutta velocità del mezzo.<br />

Ritardo a parte la “Classe Gialla” (come viene identificato il servizio auto<br />

postale) mantiene le promesse nella pulizia, ordine e nella qualità di tutto<br />

il servizio. Alla fermata successiva, sempre annunciata dal Guglielmo Tell,<br />

salgono i nostri compagni di viaggio degli ultimi tre giorni.<br />

Sono come noi felici della loro gita e nel chiacchierare scopriamo che sono<br />

soliti lavorare durante la stagione sciistica al rifugio Concordia, proprio nel<br />

mezzo dello sconfinato ghiacciaio dell’Aletsch che scorre dietro Riederalp, il<br />

nostro posto di vacanza.<br />

Ne approfittiamo per chiedere informazioni con l’intenzione di mettere in<br />

cantiere una traversata anche da quelle parti.<br />

Arriviamo comodamente alla stazione di Briga, proprio nel centro della città,<br />

da dove partirà in circa trenta minuti il trenino che ci porterà a Morel.<br />

Briga è una cittadina di circa 12000 abitanti nel cuore del Vallese. Si trova in<br />

un crocevia naturale al punto d’incrocio del passo del <strong>Sempione</strong> con la valle<br />

del Rodano. Risalendo il famoso fiume, la valle termina con ben tre passi: Il<br />

Furka, il <strong>Nufenen</strong> e il Grimsel.<br />

Scendendo si arriva a Martigny, dove confluisce la valle del Gran San Bernardo,<br />

mentre continuando, s’incontra il lago di Ginevra.<br />

La gigantesca stazione di Briga, con lo scalo merci, testimonia l’importanza<br />

di questo snodo ferroviario, anch’esso circondato da lunghissimi tunnel che<br />

consentono di raggiungere rapidamente la Svizzera centrale o l’Italia.<br />

- 85 -


Il ghiacciaio del Aletschorn


Nelle vicinanze di Briga si trovano<br />

le migliori stazioni turistiche della<br />

Svizzera, quali Zermatt, Saas Fee,<br />

Bettmeralp, Crans Montana. La corona<br />

di montagne è impressionante. In<br />

nessun’altra parte delle Alpi c’e’ una<br />

concentrazione così elevata di vette da<br />

4000 metri.<br />

L’enorme quantità di acqua che scorre<br />

nel Rodano testimonia il numero di<br />

ghiacciai che confluiscono in questo<br />

fiume. Appena a nord di Briga si<br />

spegne l’ultima lingua del ghiacciaio<br />

più lungo delle Alpi, lo sconfinato<br />

Aletschgletcher, lungo ben 23 Km e<br />

da qualche anno diventato patrimonio<br />

dell’Unesco.<br />

Briga è innegabilmente una cittadina<br />

nordeuropea ma la sua posizione le<br />

consente di avere sfumature tipiche<br />

delle città sudalpine, ed anche il<br />

clima beneficia della contiguità con il<br />

versante più caldo delle Alpi.<br />

Il grande castello, proprio nel<br />

mezzo della città, conferisce un<br />

tono autorevole a tutto il panorama<br />

a testimonianza di quanto fosse<br />

importante controllare questo snodo<br />

nelle Alpi.


Degne di menzione le terme di Brigerbad, aperte solo in estate, davvero molto<br />

belle e ben tenute con la grotta termale più vecchia della Svizzera.<br />

Decidiamo di investire i trenta minuti di attesa nella centralissima<br />

Bahnofstrasse, ben animata, e come detto con una vivacità quasi italiana, forse<br />

anche per il sole ben caldo. Apprezziamo con piacere questo tepore dopo<br />

quattro giorni in quota sempre accarezzati (in qualche caso schiaffeggiati) dal<br />

vento.<br />

Se il postale è l’orgoglio giallo del trasporto su gomma, il treno è l’orgoglio<br />

rosso. In particolare da qui passa il Glacier Express, detto anche l’espresso<br />

più lento del mondo. Collega le due città di montagna più famose d’Europa,<br />

Zermatt con St’ Moritz, attraversando numerosi passi sempre con i suoi<br />

vagoni rossi panoramici.<br />

Proprio uno di questi mitici trenini sarà il nostro prossimo mezzo di trasporto.<br />

La stazione si è ormai riempita, ma, sorpresa, anche il treno è in ritardo di 9<br />

minuti, una vera vergogna per gli standard svizzeri. Certamente noi non ci<br />

lamentiamo, vuoi perché abituati a standard ben diversi, vuoi perché dopo<br />

camminate anche di dieci ore non sono certo dieci minuti che ci faranno<br />

perdere la calma.<br />

L’emozione dell’arrivo del postale si rinnova con l’approssimarsi del nostro<br />

treno della Gotthardbahn, rosso e fiammante, proprio come quelli delle<br />

cartoline. L’invidia per tanta organizzazione ed efficienza si mitiga solo con<br />

la consapevolezza che i costi dei trasporti qui sono davvero elevati, oltre il<br />

doppio di quelli italiani. Come per il Bettelmatt, tutto ha un costo. Se vuoi il<br />

formaggio genuino d’alpe, lo paghi quanto vale, se no Certosino o Philadelfia<br />

in 3 per 2 al supermercato. Se vuoi i treni puliti, in orario e disponibili, il<br />

servizio costa.<br />

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Il treno a vapore sbuffa verso il Furka


L’espresso più lento del mondo ci<br />

accompagna risalendo il Rodano<br />

fino a Morel dove prendiamo la<br />

macchina lasciataci dai genitori<br />

di Mariuccia, che ci attendono<br />

a Riederalp, per recuperare la<br />

nostra lasciata quattro giorni<br />

prima. Con pazienza risaliamo<br />

l’alto Vallese seguendo il corso<br />

del Rodano e affrontando infine i ripidi e numerosi tornanti che ci riporteranno<br />

al passo del <strong>Nufenen</strong>. Ultima curva e come per magia, quasi inaspettata, la<br />

nostra auto ci attende solitaria sul ciglio del burrone, dove l’avevamo lasciata.<br />

Inizia a piovere, e non possiamo evitare di pensare alla fortuna che abbiamo<br />

avuto a non avere mai trovato pioggia durante la traversata, circostanza che<br />

avrebbe complicato sicuramente il nostro cammino.<br />

E così ora che siamo a Riederalp, in casa, mi piace ripensare ad ogni passo<br />

percorso, e sono stati tanti, innumerevoli, così tanti e veloci che hanno<br />

permesso nel frattempo ai nostri occhi di girare un film su questa parte di<br />

mondo così ricca di scenari grandiosi.<br />

Tutti gli alpinisti sono affezionati alla propria tessera del Club Alpino Italiano<br />

(CAI), e ciascuno di noi conserva questo passaporto della montagna con cura<br />

e devozione. E’ un libricino piccolo con i bollini che ne certificano il rinnovo<br />

annuale, ed una sola frase vecchia di oltre un secolo scritta da Guido Rey:<br />

“Io credetti e credo la lotta con l’alpe utile come il lavoro, nobile come un<br />

arte, bella come una fede”<br />

Parole forti, anche esagerate e fuori moda, per chi non ha provato le emozioni<br />

di andar per monti. Per noi che abbiamo la possibilità di apprezzare questo<br />

privilegio, l’affermazione suona familiare, e sentiamo l’accostamento al<br />

lavoro, arte e la fede con l’emozione riservata alle cose rare e preziose.<br />

- 91 -


Gli alpinisti sono viceversa anche definiti “i conquistatori dell’inutile”, e, in<br />

effetti, torniamo a casa a mani vuote, ma con gli animi pieni di soddisfazione e<br />

gli occhi luccicanti di bellezze. Non ci resta che raccontare le nostre emozioni,<br />

anche aiutandoci con le numerose fotografie, incoraggiati dalla speranza che<br />

il nostro entusiasmo possa far scattare la voglia di andar per monti anche ai<br />

nostri quattro lettori che avranno avuto la pazienza di leggerci fin qui. (Se<br />

Manzoni ne ha venticinque io spero di averne almeno quattro).<br />

Sempre Guido Rey scrive: “La Montagna è fatta per tutti, non solo per gli<br />

Alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete come per coloro che<br />

cercano nella fatica un riposo ancora più forte”<br />

Da parte nostra rafforziamo la consapevolezza che la fatica più grossa è quella<br />

di rompere la pigrizia, di decidere e partire. Il resto viene da sé. Infatti, in<br />

montagna c’è un detto: “var pusè n’andà ca cent’andem” traducibile come<br />

“vale di più un andare che cento andremo”. E’ proprio così, la fatica più grossa<br />

è quella di rompere gli indugi e vincere l’inerzia che ci impedisce di partire.<br />

La nostra vita è piena d’impegni veri o presunti che ci danno la possibilità di<br />

procrastinare anche le cose che vorremmo fare, come partire per una traversata<br />

in montagna o magari scrivere un libro, anche banale e arruffato come questo.<br />

E così sono arrivato alla conclusione che faranno meno fatica le gambe a<br />

camminare che la mente a decidersi a dare il via e partire. Allo stesso modo<br />

anche per scrivere un libro è molto più faticoso cominciare e dare corpo<br />

all’introduzione che scrivere i capitoli che lo compongono. Non prendetela<br />

però come una minaccia: prometto di partire per un altro trekking, ma non è<br />

detto che scriverò un altro libro.<br />

Rubo anche la chiusura al grande Manzoni :<br />

“Se questa storia non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche<br />

un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete<br />

che non s’è fatto apposta.”<br />

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Scheda tecnica<br />

Giorno 1<br />

Dal passo del <strong>Nufenen</strong> al rifugio città di Busto<br />

Con l’auto raggiungere il passo del <strong>Nufenen</strong> tramite l’autostrada del Gottardo<br />

uscendo ad Airolo e risalendo la val Bedretto. Lasciare il passo scendendo<br />

verso il versante vallesano. Al secondo tornante verso destra trovate un largo<br />

spiazzo dove lasciare l’auto e da dove parte la strada che porta alla diga del<br />

lago Gries.<br />

Risalire la strada e poco prima della diga prendere il sentiero che aggira il<br />

lago sulla sinistra. Raggiungere il passo (45 minuti) e poi scendere fino all’alpe<br />

Bettelmatt. Qui risalire l’evidente costone che troverete alla vostra destra fino<br />

al rifugio.<br />

Tempo totale dal posteggio 2 ore.<br />

Telefono rifugio 347 5566808, 0324 63092<br />

Giorno 2<br />

Dal Rifugio città di Busto a Crampiolo<br />

Lasciare il rifugio scendendo tramite il ripido sentiero sul lato sud, e<br />

raggiungere il lago di Morasco (1 ora). Costeggiare il lago tenendosi sulla sua<br />

destra, e percorrere il sentiero più vicino al lago, non curandosi del sentiero<br />

a mezzacosta che pure sembra più idoneo. Ciò consentirà di individuare con<br />

facilità l’imbocco del sentiero che porta al passo del Nefalgiù, che troveremo<br />

proprio quando il sentiero basso incrocia quello a mezzacosta e prosegue<br />

attraversandolo. Risalire fino al passo (3 ore tot) e scendere verso il lago del<br />

Vannino (tempo tot 4.15). Possibile pernottamento al rifugio Margaroli se si<br />

desidera spezzare la tappa. ( tel. 0324 63155)<br />

Proseguire lasciando il lago alla sinistra e risalire verso l’alpe Curzalma e da<br />

qui a Scatta Minoia (dal Vannino ore 2).<br />

Scendere verso l’alpe Forno dove raccomandiamo sosta per acquisto del<br />

formaggio e visita alle stalle e caseificio.<br />

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Proseguire fino al lago Devero, che si potrà costeggiare indifferentemente a<br />

destra o sinistra, e scendere a Crampiolo (tempo totale di tappa ore 9).<br />

A Crampiolo pernottamento alla locanda La Baita (tel. 0324 619190).<br />

Giorno 3<br />

Da Crampiolo alpe Devero all’alpe Veglia<br />

Scendere da Crampiolo al Devero (30 min) che aggireremo in senso orario<br />

indirizzandoci verso il campeggio. Qui facilmente si trova il sentiero per<br />

l’alpe Buscagna e quindi per la Scatta d’Orogna. (tot ore 3). Proseguire in costa<br />

verso il passo di Valtendra (ore 4 tot), quindi scendere al Veglia rimanendo sul<br />

sentiero principale (tot ore 6).<br />

Pernottamento all’albergo La Fonte 0324 72576<br />

Giorno 4<br />

Dal Veglia al <strong>Sempione</strong><br />

Seguire il sentiero verso destra e dopo pochi minuti imboccare il ben segnalato<br />

sentiero che sale verso la Bocchetta d’Aurona. Risalire il ghiacciaio, prestando<br />

attenzione a indirizzarsi verso il non evidente passaggio situato nel mezzo<br />

della parete rocciosa. Per la risalita del ghiacciaio è suggerito l’uso della<br />

piccozza e di uno spezzone di corda.<br />

La risalita del costone di roccia è ben attrezzata, ma essendo molto esposta si<br />

suggerisce l’attrezzatura da ferrata. Il passo si raggiunge in circa tre ore dal<br />

Veglia. Per sassaie e nevai si cammina su e giù fino a incrociare il largo sentiero<br />

che scende dal rifugio, seguendo il quale facilmente si arriva al <strong>Sempione</strong><br />

Tempo totale ore 5.30).<br />

Per il recupero dell’auto, prendere il Postale giallo (frequenza ogni ora) fino<br />

al capolinea di Briga. Con il treno risalire fino a Ulrichen e da qui affidarsi<br />

all’autostop per la risalita al passo del <strong>Nufenen</strong> per il recupero dell’auto.<br />

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Versione aggiornata di un classico da rifugio


INDICE<br />

Prefazione p.7<br />

Introduzione p.9<br />

Dal <strong>Nufenen</strong> al Busto p.11<br />

Verso Crampiolo p.21<br />

Crampiolesi per un giorno p.37<br />

Dal Devero al Veglia p.49<br />

Verso il <strong>Sempione</strong> p.65<br />

Preghiera del pellegrino p.81<br />

L’Arrivo p.83<br />

Cartina Escursione p.94<br />

Scheda Tecnica p.96<br />

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Si ringrazia per la collaborazione:<br />

Renato Pegoraro (Illustrazioni)<br />

Michele Mancino (Prefazione e revisione di bozze)<br />

Giuseppe Cottini (Impaginazione e grafica)<br />

Prima edizione Novembre 2010 - Seconda edizione Novembre 2011

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