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Durante la riabilitazione fonica Non sempre posso Né sai quanto mi costi La quotidiana fatica della parola vocale Che sopprime le altre parole nascoste Non stimolate alla vita Sarebbero la salvezza Favorendomi verso la parola Tu lo sai Allora aiutami Perché ti accontenti Perché mi accontenti Insieme integrati nel tuo mondo di voci Nel mio mondo di segni Senza più barriere di comunicazione Rispettati per quel che siamo Ti scrivo questa lettera, per farti rifl ettere Renato Pigliacampo 8
Presentazione alla seconda edizione Il libro è scritto con “rabbia” se, per rabbia, si intende denunciare una realtà troppe volte ignorata. Renato Pigliacampo è un protagonista del Silenzio, come preferisce indicare se stesso e le persone private dell’ascolto attraverso il canale acustico. Egli non teme la «sordità», l’ha esorcizzata con la cultura, col coraggio e l’assillante richiesta alle istituzioni di rispondere alle necessità del Silenzio. Non considera il bambino, con problemi d’udito e parola, svantaggiato se è istruito ed educato secondo gli specifi ci bisogni. Renato, già docente di sordi in una scuola dell’obbligo a Roma all’inizio della carriera professionale, poi pedagogista, sociologo e psicologo dirigente in un’ASL delle Marche, tra i primi professionisti italiani iscritti all’Albo dell’Ordine degli Psicologi, comprende che il bambino ha immediato bisogno di appropriarsi di una lingua nell’aprirsi alla vita, alla comunicazione, individuandola nella lingua dei segni. L’autore non è nuovo a denunciare con i propri scritti una condizione di svantaggio e di disimpegno delle istituzioni (cfr. Scuola di Silenzio, Lettera ad una ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005). Nel testo pubblicato con lo pseudonimo “Scuola di Silenzio”, ricalca la denuncia di Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani che, a cavallo degli anni Sessanta del secolo scorso, fu voce forte di denuncia di una scuola predisposta per pochi eletti o per la casta, come diremo oggi. L’obiettivo di Renato nella sua Lettera è far conoscere il recinto in cui è racchiuso – in una apparente libertà normalizzante – il bambino sordo. Dopo la chiusura delle scuole specializzate (Renato è 9
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