Trasmissione transgenerazionale, evocazioni ... - Armando Editore
Trasmissione transgenerazionale, evocazioni ... - Armando Editore
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Corrado Bogliolo<br />
Dario Capone - Ilaria Genovesi - Antonio Puleggio<br />
DALLA SCULTURA<br />
ALLA RAPPRESENTAZIONE<br />
SPAZIALE DELLA FAMIGLIA<br />
<strong>Trasmissione</strong> <strong>transgenerazionale</strong>,<br />
<strong>evocazioni</strong>, emozioni nella formazione e<br />
in psicoterapia<br />
ARMANDO<br />
EDITORE
Sommario<br />
Capitolo 1<br />
Le origini e gli sviluppi della scultura della famiglia 9<br />
ANTONIO PULEGGIO<br />
1. Premesse storico-epistemologiche 9<br />
1.1. Origini ed evoluzione 15<br />
1.2. Autori contemporanei 24<br />
Anna Maria Nicolò Corigliano 24<br />
Philippe Caillé 26<br />
Luigi Onnis 28<br />
2. La scultura in psicoterapia familiare: aspetti clinici 33<br />
2.1. La dimensione metaforica 33<br />
2.2. La prassi tradizionale 36<br />
2.3. I limiti imposti dalla disfunzionalità 38<br />
2.4. Il “momento” per la scultura 41<br />
3. La scultura nella formazione degli psicoterapeuti 42<br />
3.1. Il contesto formativo 42<br />
3.2. La scultura del gruppo 43<br />
3.3. La scultura della propria famiglia 47<br />
3.4. La scultura nella supervisione 50
Capitolo 2<br />
La trasmissione <strong>transgenerazionale</strong> 53<br />
CORRADO BOGLIOLO<br />
1. Il dibattito dagli inizi 53<br />
1.1. Interpretazioni psicodinamiche 53<br />
1.2. L’approccio sistemico-relazionale 62<br />
2. La scultura come “rappresentazione spaziale” 71<br />
2.1. Il contesto 71<br />
2.2. La disposizione spaziale rivela relazioni e storie 73<br />
2.3. Lo spazio scenico 75<br />
Capitolo 3<br />
Le applicazioni – 1 77<br />
1. La rappresentazione spaziale nella formazione<br />
CORRADO BOGLIOLO<br />
77<br />
1.1. La procedura 77<br />
1.2. Compiti e ruolo del conduttore<br />
1.3. La rappresentazione della famiglia del futuro terapeuta:<br />
79<br />
la prassi 87<br />
Un esempio introduttivo 87<br />
La famiglia di Monica 90<br />
La famiglia di Alessandra 96<br />
La famiglia di Giuliana 104<br />
La famiglia di Livia 113<br />
Resoconto di una esperienza personale 115<br />
Le applicazioni – 2 121<br />
2. La rappresentazione spaziale in psicoterapia familiare<br />
e nella supervisione 121<br />
DARIO CAPONE - ILARIA GENOVESI<br />
2.1. Introduzione 121<br />
2.2. Il contesto terapeutico e la rappresentazione spaziale 126
Aspetti teorico-clinici 126<br />
La prassi 128<br />
Il ruolo del terapeuta 131<br />
Evocazioni, convocazioni, rappresentazioni 134<br />
La narrazione 137<br />
2.3. Casi clinici 138<br />
La famiglia Orsi 139<br />
Una coppia in difficoltà e la richiesta di adozione 148<br />
La rappresentazione spaziale della famiglia del terapeuta<br />
in supervisione 158<br />
Bibliografia 165
Capitolo 1<br />
Le origini e gli sviluppi della scultura della famiglia<br />
ANTONIO PULEGGIO<br />
1. Premesse storico-epistemologiche<br />
L’essere umano impara a dissimulare le emozioni, secondo sovrastrutture<br />
educative che hanno la funzione di difesa rispetto alle<br />
aggressioni dell’ambiente: nella nostra cultura è disdicevole apparire<br />
fragile, debole o insicuro. La dissimulazione si serve soprattutto<br />
della parola e spesso diviene un vero e proprio paravento delle<br />
emozioni e delle idee: non elicitando le proprie emozioni e aderendo<br />
agli stereotipi emozionali del conformismo, si presume di ottenere<br />
accettazione e appartenenza al gruppo sociale. Dato che ogni fl usso<br />
emozionale è intimamente intessuto di signifi cato (ideo-affettività),<br />
nessun cambiamento, tanto più quello psicoterapico, può avere luogo<br />
senza produrre un cambiamento cognitivo ed emozionale. Quanto<br />
detto a proposito delle risposte individuali vale, ovviamente, nei<br />
modelli sistemici che riguardano la famiglia, che può essere considerata<br />
un’unità emozionale e alla quale, con Gregory Bateson, può<br />
essere assegnata una mente. Ad essa si possono attribuire gli stessi<br />
meccanismi di dissimulazione o di paravento, che solitamente sono<br />
connessi al suo gradiente di rigidità o di disfunzione.<br />
Nell’approccio sistemico-relazionale, i processi evolutivi della<br />
teoria sono stati resi possibili dalla necessità di dotarsi di nuovi<br />
strumenti clinici, più idonei al trattamento di sistemi dal diffi cile<br />
9
equilibrio e dall’organizzazione disfunzionale. L’esigenza clinica<br />
del risultato, il desiderio di offrire delle risposte più effi caci, hanno<br />
spinto molti studiosi a cercare nuove strategie e nuove modalità, più<br />
idonee a rispondere alla sofferenza individuale o sistemica.<br />
Tra queste opportunità, l’esigenza di “raccontare” la famiglia,<br />
utilizzando la modalità rappresentativo-fi gurativa, è presente in<br />
gran parte della letteratura sistemico-relazionale. Il processo di presentazione<br />
per mezzo di immagini, offre, al terapeuta ed ai componenti<br />
della famiglia, un’occasione di “descrizione delle relazioni”,<br />
ma anche di un “viaggio temporale”, che diviene strumento di confronto<br />
e consapevolezza narrativa. Le immagini, infatti, consentono<br />
la composizione di una rappresentazione simbolica più estesa dei<br />
fenomeni che comunemente si manifestano sul piano dei vissuti e<br />
degli agiti.<br />
Le tecniche utilizzate, come rappresentazioni del sistema familiare,<br />
prendono avvio da un’origine bidimensionale: una per tutte,<br />
quella del genogramma, ma possiamo ricordare anche la fotografi a,<br />
considerata un elemento integrativo di indagine e intervento dinamico<br />
sulla famiglia 1 .<br />
Di fatto l’esperienza della rappresentazione iconografi ca permette<br />
la colleganza e l’accesso a mondi di signifi cato interni al sistema,<br />
non direttamente accessibili o meta-comunicabili, sovente protetti<br />
da meccanismi di difesa, celati o occultati all’interno dei codici digitali<br />
del canale verbale, che spesso si rivela depauperato di gran parte<br />
della tonalità emotiva originaria. La rappresentazione iconografi ca<br />
si offre come un primo livello descrittivo, effi cace soprattutto per<br />
la distanza che si crea tra la storia, i protagonisti e loro rappresentazione<br />
narrata: ciò può facilitare l’ascolto reciproco, la rilettura degli<br />
eventi ed una nuova narrazione.<br />
1 Saccu, uno dei suoi utilizzatori, chiede ad esempio ai componenti di una famiglia<br />
di portare nelle prime sedute alcune fotografie, poche ma significative. Si vuole evocare<br />
così momenti importanti e significativi della loro vita, facendo leva sui contenuti affettivi<br />
della memoria autobiografica familiare. Egli sostiene che “Le foto della memoria<br />
sono sempre profondamente connesse con il mondo affettivo ed emozionale delle persone<br />
e si rivelano un materiale prezioso” (Saccu C., 2010).<br />
10
Un altro strumento che ha utilizzato la dimensione rappresentativo-fi<br />
gurativa (riportando l’organizzazione spaziale in forma bidimensionale)<br />
è il Family Life Space, ovvero il disegno simbolico dello<br />
spazio di vita familiare. Il Family Life Space aveva l’ambizione di<br />
esprimere e rappresentare pensieri e stati del luogo familiare.<br />
Si rappresenta su un foglio, con un cerchio, la metafora della famiglia:<br />
nella rappresentazione grafi ca si pongono i personaggi. Qualcuno<br />
in posizione più centrale, altri in posizione più periferica, rispetto<br />
al centro del sistema. Chi se ne pone al di fuori non si sente<br />
appartenente a quel sistema. In altre parole all’interno del cerchio le<br />
persone sono chiamate a posizionare se stesse e altri soggetti emotivamente<br />
signifi cativi. “Il presupposto di partenza è la rappresentabilità<br />
spaziale della realtà psichica: strutture e dinamiche in atto nelle<br />
persone e nelle loro relazioni, in questo caso familiari, possono essere<br />
rappresentate attraverso semplici segni grafi ci che rispondono a<br />
necessità interiori” (Mostwin D., 1980) 2 .<br />
È interessante, nel ricorso a fi gure simboliche, citare anche una<br />
pratica conosciuta sotto il nome, certo non originale, di Family<br />
Sculpture. Di essa si deve assegnare la paternità al terapeuta familiare<br />
norvegese David Kvebaek, il quale, nel tentativo di chiarire<br />
situazioni familiari complicate alla sua équipe, cominciò ad usare<br />
delle statuette di legno, dapprima per spiegare le dinamiche della<br />
famiglia ai colleghi, più avanti proponendo la fi gurazione direttamente<br />
ai clienti, sia alla presenza della famiglia, sia individualmente<br />
(Fig. 1).<br />
2 Il Family Life Space è uno strumento ideato da Danuta Mostwin alla fine degli<br />
anni Settanta. Fu concepito per utilizzare lo spazio come dimensione proiettiva per<br />
accedere a informazioni sulla famiglia; ha valenza diagnostica, rilevando quantità e<br />
qualità dei legami, la tensione esistente nelle relazioni, la configurazione strutturale, il<br />
grado di coesione e di distinzione familiare, il rapporto tra interno ed ester no familiare,<br />
la presenza di un eventuale spazio trasformativo. Si ritiene inoltre abbia valenza consulenziale<br />
e terapeutica, aiutando a spostare il focus dal paziente designato alle dinamiche<br />
relazionali, impegnando i membri del sistema familiare in un processo di auto-osservazione,<br />
promuovendo un processo di comunicazione reciproca.<br />
11
Fig. 1. La disposizione spaziale delle statuette è generatrice non solo di<br />
informazioni, ma anche di profonde emozioni e comprensioni.<br />
Si tratta di una singolare “costruzione” della famiglia, derivata a<br />
sua volta dalle più note descrizioni grafi che. È un processo intuitivamente<br />
facile, una particolare scultura, destinata a esprimere relazioni<br />
umane, che fu proposta negli anni ’60. Sul suo metodo si è sviluppato<br />
un test (KFST, Kvebaek Family System Test) che consiste nella<br />
disposizione spaziale di una serie di statuette che rappresentano i<br />
personaggi chiamati in causa per la descrizione delle relazioni esistenti<br />
in una famiglia. Può indurre l’immagine della famiglia interna<br />
quale è vissuta da ciascun suo componente. Talvolta lo scultore può<br />
voler aggiungere il proprio gatto, o un amico signifi cativo. È molto<br />
effi cace coi bambini o con persone con diffi coltà di linguaggio.<br />
12
Fig. 2. In questo caso una bambina descrisse il proprio senso di solitudine<br />
rispetto al resto della famiglia, ma anche aggiunse, accanto a sé, l’adorato<br />
gatto.<br />
Per la verità possono essere disposti nello spazio anche oggetti<br />
di vario tipo, che vengono collocati simbolicamente in relazione fra<br />
loro e con la persona che sta rappresentando la propria famiglia.<br />
Quindi anche piccoli personaggi di plastica con fattezze umane, oppure<br />
fogli su cui si scrive il nome della persona rappresentata, oppure<br />
altri oggetti simbolici. Nella terapia individuale, si chiede ai<br />
personaggi, per bocca del protagonista, come si sentono in quella<br />
posizione; possono essere spostati, creando una nuova disposizione.<br />
Questi semplici metodi possono far rifl ettere una persona sulle relazioni<br />
tra i suoi familiari e di lei con loro. Il che può essere riferito anche<br />
a generazioni diverse, ed aiutare a capire le relazioni e i legami<br />
che si creano tra gli individui di una famiglia, di entrare in contatto<br />
con la loro infl uenza e con la forza vitale trasmessa da generazioni.<br />
Nel lavoro individuale, può essere l’occasione per ampliare l’esplorazione<br />
della propria famiglia.<br />
13
Infi ne, una tecnica di rappresentazione familiare, profondamente<br />
diversa, che offrirà degli spunti per studiare le relazioni familiari<br />
utilizzando corpi reali, sarà lo psicodramma di Moreno.<br />
Lo psicodramma di J.L. Moreno (1987) è una forma di psicoterapia<br />
che in genere viene realizzata in gruppo.<br />
14<br />
Durante le sedute ciascun paziente in qualche modo mette in scena<br />
le proprie vicende interiori, passate o presenti. In questo modo, realizza<br />
una vera e propria drammatizzazione di quanto sta vivendo a<br />
livello intrapsichico con l’obiettivo di potersi riappropriare di parti<br />
di sé che non sente proprie. In parole, “recitando” ciò che sente<br />
dentro di sé, gradualmente recupera un senso di sé unitario, e può<br />
integrare, e sentire come proprie e non scollegate da sé, quelle parti<br />
che sente non appartenenti a lui. Grazie al fatto di realizzare l’esperienza<br />
all’interno del gruppo, si viene a verifi care anche quella che<br />
viene defi nita una catarsi delle tensioni e dei blocchi, del disagio<br />
profondo, come avveniva nelle rappresentazioni misteriche dell’antica<br />
Grecia, dalle quali nacque il teatro.<br />
È importante ricordare questa tecnica, ma precisiamo che questa,<br />
per la sua genesi, la sua applicazione pratica, e soprattutto per l’utilizzazione,<br />
si discosta radicalmente dalla scultura familiare quale<br />
sarà trattata in questa parte del testo.<br />
La tecnica della scultura della famiglia ha presentato, sin dalle<br />
sue origini, dei signifi cativi elementi di evolutività che ne modifi -<br />
cheranno nel tempo la metodologia ed i contenuti, e la porteranno ad<br />
una sempre maggiore defi nizione e accuratezza di applicazione. Soprattutto<br />
ha seguito almeno due grandi fi loni epistemologici: quello<br />
appartenente alla rappresentazione dimensionale della triade spaziotempo-energia,<br />
e quello legato alla rappresentazione del movimento,<br />
secondo la polarità statico-dinamica.<br />
Tra le tecniche che fanno uso del movimento e dello spazio, esordiscono<br />
in campo terapeutico le prime versioni “più statiche” della scultura<br />
che, come vedremo, evolveranno verso formule sempre più complesse,<br />
sino ad arrivare a quella della rappresentazione spaziale, che<br />
sarà descritta nella seconda e terza parte di questo volume (Fig. 3).
Fig. 3.<br />
1.1. Origini ed evoluzione<br />
In psicoterapia familiare il lavoro del terapeuta è molto simile a<br />
quello di un regista teatrale: si tratta di osservare (talora di muovere<br />
e collocare i corpi; così in terapia, come nella formazione), sia in<br />
relazione allo spazio fi sico, sia nella “relazione con l’altro”, individuando<br />
posizioni di vicinanza/lontananza spaziale come corrispondenze<br />
di vicinanze/distanze emotive. Il terapeuta familiare analizza<br />
la disposizione spaziale dei membri della famiglia (ad esempio delle<br />
sedie, spazi vuoti, etc.), e questo fornisce informazioni utili sulle<br />
dinamiche relazionali. Andolfi , ne Il colloquio relazionale (1994),<br />
dedica un intero capitolo al “linguaggio del corpo ed il colloquio relazionale”,<br />
prendendo in esame sia come il terapeuta possa utilizzare<br />
l’osservazione delle comunicazioni non verbali dei pazienti (gesti,<br />
segnali emozionali, postura, distanza/vicinanza, etc.), sia come possa<br />
(e debba) utilizzare il proprio corpo, la propria postura e gestualità<br />
per metacomunicare con i pazienti nella stanza di terapia.<br />
15
La scultura della famiglia, nella sua forma tradizionale, oggi<br />
considerata una tecnica terapeutica consolidata, è stata utilizzata per<br />
la prima volta in ambito sistemico-relazionale negli anni ’60, in un<br />
contesto culturale che privilegiava ancora il dato comportamentista<br />
dell’immediato, basato sul paradigma S-R, stimolo-risposta. Defi nita<br />
come una tecnica terapeutica “attiva e non verbale”, che permette<br />
l’espressione di idee e di emozioni attraverso l’uso del corpo, la<br />
scultura sarà utilizzata sia in campo terapeutico che nel percorso di<br />
formazione del terapeuta relazionale. Le premesse teoriche di questa<br />
tecnica trovano comunque riscontro nel lavoro di ricerca di diversi<br />
Autori connessi inizialmente alla tradizione sistemica di Palo Alto 3 .<br />
Come già detto, è una tecnica che si afferma tra la fi ne degli anni<br />
Sessanta e gli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, soprattutto<br />
da parte di terapeuti familiari di matrice psicoanalitica, ma che<br />
successivamente diventerà patrimonio di terapeuti sistemici di ogni<br />
orientamento. Fu proposta per la prima volta da Virginia Satir intorno<br />
alla fi ne degli anni Sessanta e successivamente messa a punto da<br />
Fred e Bunny Duhl e David Kantor, al Boston Family Institute. In<br />
seguito fu ulteriormente rielaborata presso l’Ackerman Family Institute<br />
di New York, da Peggy Papp e da Kitty La Perrière.<br />
Virginia Satir ha sviluppato, nel suo lungo e ricco lavoro con le<br />
famiglie, diverse esperienze che hanno arricchito il patrimonio culturale<br />
e tecnico dei terapeuti familiari. Per la verità non ha parlato<br />
formalmente di scultura, e neppure ne ha descritto un metodo preciso,<br />
ma ha proposto diverse formule che sono risultate molto simili<br />
alla tecnica della scultura attuale. In un suo libro del 1964 (Conjoint<br />
family therapy), la Satir scrive: “Allo scopo di dimostrare che cosa<br />
accade nel comportamento di un individuo […] negli ultimi anni ho<br />
3 A Palo Alto (CA), a partire dal famoso Gruppo Bateson, è stata ampiamente<br />
dimostrata l’esistenza e l’importanza, all’interno della comunicazione umana, di un<br />
metalinguaggio che costantemente accompagna e si sovrappone al linguaggio verbale,<br />
assegnando dunque all’“analogico” un valore comunicativo prevalente rispetto al<br />
“digitale”. Si sosterrà poi come questo tipo di espressività si riveli utile per comprendere<br />
la reale disposizione emotiva dell’altro, poiché utilizza segnali che emergono da<br />
condizioni profonde della personalità, traducendo in atto quanto il linguaggio digitale<br />
generalmente tende a nascondere o distorcere.<br />
16
fatto sempre più spesso uso di giochi, sia nella terapia della famiglia<br />
che nel training per professionisti di varie discipline nel campo delle<br />
relazioni umane”.<br />
La Satir chiedeva alle coppie ed alle famiglie di costruire una<br />
scultura umana usando se stessi come “materia prima” dello scultore,<br />
come fossero argilla plasmabile. La rappresentazione, nelle intenzioni<br />
della Satir, doveva rifl ettere il modo in cui le persone si vedono in<br />
relazione l’una all’altra. Le famiglie erano incaricate di usare gesti,<br />
come indicare, guardare lontano, inginocchiarsi o accovacciarsi, per<br />
esprimere quello che percepivano, l’umore prevalente e la gerarchia<br />
dominante nel loro sistema familiare. Le sculture proposte dalla Satir<br />
non erano né statiche né silenziose, ma piuttosto di movimento,<br />
in quanto permettevano che emozioni e vissuti affi orassero, e che si<br />
venisse a costituire una vera interazione nella quale il terapeuta assumeva<br />
un ruolo attivo, che si manifestava attraverso azioni di sostegno,<br />
di contatto emotivo con le persone, bloccando interazioni sterili<br />
e ripetitive. Virginia Satir usava la scultura della famiglia non solo<br />
per rappresentare le relazioni all’interno della famiglia attuale ma<br />
anche quelle relative alla famiglia trigenerazionale. In tal modo si<br />
occupava non solo di quanto succede sulla dimensione sincronica ma<br />
anche in quella diacronica-storica delle persone. Nelle esperienze si<br />
verifi cava un processo di apprendimento che risultava propedeutico<br />
per trovare una soluzione accettabile, che includesse la percezione di<br />
tutti i membri della famiglia: ovvero il cambiamento del sistema.<br />
Tra le formule sperimentate dall’autrice, troviamo anche la famiglia<br />
simulata (simulated family). La tecnica della famiglia simulata<br />
si diversifi ca dalla tecnica del role-playing, in quanto si esprimono<br />
reazioni “viscerali” ai ruoli che vengono impersonifi cati: infatti, riferisce<br />
l’autrice, è molto comune che alla fi ne dell’esperienza qualcuno<br />
affermi “ora so come si sente la signora X!”.<br />
Duhl e Kantor 4 , co-fondatori nel 1969 e membri rappresentativi<br />
4 David Kantor era uno psicologo con una notevole esperienza nel campo dello<br />
psicodramma e del lavoro con i gruppi, mentre Fred Duhl era uno psichiatra che ha<br />
lavorato al Massachusetts General Hospital con Erich Lindemann.<br />
17
del Boston Family Institute, danno un ulteriore, notevole contributo<br />
alla defi nizione e allo sviluppo della tecnica del family sculpting. La<br />
scultura, per come viene defi nita da Duhl e Kantor, è una tecnica che<br />
permette l’espressione di idee ed emozioni attraverso l’uso del corpo<br />
e dello spazio: essa si propone infatti, di ricreare simbolicamente gli<br />
stati d’animo ed i rapporti emotivi, utilizzando la rappresentazione<br />
tridimensionale delle relazioni tra i membri della coppia, della famiglia<br />
o del gruppo al quale viene applicata. I due Autori arricchiscono<br />
ulteriormente la concezione della scultura, facendo riferimento alla<br />
sua potenza evocativo-simbolica, la quale racchiuderebbe le modalità<br />
relazionali del sistema così come sono vissute, sentite e percepite<br />
dai membri del sistema stesso.<br />
“[…] La scultura familiare suscita inevitabilmente nuovi signifi -<br />
cati ed una nuova immagine delle relazioni familiari, riproducendo<br />
queste in un modo che non potrebbe mai essere realizzato dalla semplice<br />
espressione verbale”. Per questi autori infatti<br />
18<br />
[…] lo scolpire è un gioco terapeutico fondato su un confronto delle<br />
forme pseudostatiche e dinamiche degli atteggiamenti e dei comportamenti;<br />
i membri di una famiglia sono rappresentati e modellati<br />
con il loro corpo nel corso della seduta in posizioni che simbolizzano<br />
le loro modalità di relazione così come sono percepite da uno<br />
o più membri della famiglia. Grazie a questo processo di scultura,<br />
gli avvenimenti e gli atteggiamenti passati, e il modo in cui questi<br />
infl uiscono sul presente, possono essere percepiti e sperimentati. La<br />
scultura familiare suscita inevitabilmente nuovi signifi cati ed una<br />
nuova immagine delle relazioni familiari, riproducendo queste in un<br />
modo che non potrebbe mai essere realizzato dalla semplice espressione<br />
verbale (Duhl e Kantor, 1973).<br />
I membri della famiglia o del gruppo sono rappresentati e modellati<br />
con il loro corpo, nel corso della seduta, in posizioni che simboleggiano<br />
le loro modalità di relazione, così come sono percepite<br />
dai vari membri della stessa, che a turno daranno rappresentazione<br />
della propria visione e dei propri vissuti. Grazie a questo processo di
scultura, gli avvenimenti, gli atteggiamenti ed il modo in cui questi<br />
infl uiscono sulla vita quotidiana possono essere percepiti e sperimentati,<br />
suscitando “naturalmente” nuovi signifi cati ed una nuova<br />
immagine nelle relazioni.<br />
Si può dire che la scultura sia una tecnica terapeutica basata su un<br />
confronto di forme “pseudo-statiche e dinamiche” di atteggiamenti<br />
e comportamenti. Durante le sessioni i membri di una famiglia sono<br />
“fi sicamente modellati” in posizioni che simboleggiano le modalità<br />
di relazioni tra di loro, così come sono percepite all’interno del sistema.<br />
La scultura della famiglia introduce inevitabilmente nuovi<br />
signifi cati e una nuova immagine delle relazioni stesse, come non<br />
potrebbe essere prodotta dalla semplice espressione verbale. Duhl e<br />
Kantor distinguono tre tipi di sculture, in base al numero di persone<br />
implicate nella rappresentazione:<br />
– scultura individuale;<br />
– scultura di confi ne o diadica;<br />
– scultura di famiglia o di gruppo.<br />
Anche per questi Autori il terapeuta assume un ruolo attivo di<br />
aiuto e di stimolo, incoraggiando, sostenendo, etc. Solitamente c’è<br />
una fase statica durante la quale lo scultore esegue la sua rappresentazione.<br />
A questa segue un momento durante il quale il conduttore riassume<br />
a parole quanto lo scultore ha rappresentato. A questa segue<br />
infi ne una terza fase durante la quale lo scultore introduce modifi cazioni<br />
in base a suoi desideri o all’interazione con il terapeuta.<br />
Secondo Paggy Papp e i suoi collaboratori del Nathan Ackerman<br />
Institute di New York (1973), la scultura della famiglia può essere<br />
considerata<br />
[…] una forma d’arte terapeutica in cui ogni membro della famiglia,<br />
invitato dal terapeuta, modella gli altri membri in una fi gura che<br />
simboleggia fi sicamente le loro reciproche relazioni emotive. Ogni<br />
persona crea un ritratto mettendo insieme i membri in termini di po-<br />
19
20<br />
stura e le relazioni spaziali che rappresentano l’azione e sentimento.<br />
Gli elementi essenziali di esperienza familiare vengono proiettate<br />
(Papp P., 1976) 5 .<br />
La modalità della Papp di realizzare la scultura prevedeva un<br />
intervento molto attivo da parte del conduttore tanto che, secondo<br />
alcuni, poteva presentarsi il rischio di un inquinamento nella libera<br />
espressione dello scultore. Comunque ad ogni membro della famiglia<br />
veniva richiesto di fare due sculture:<br />
1. una rappresentazione della famiglia così come lo “scultore” la<br />
vede nel momento attuale, nella fenomenologia delle interazioni<br />
in atto;<br />
2. una rappresentazione del desiderio di “cambiamento”: come<br />
ognuno “vorrebbe” che la famiglia fosse.<br />
La Papp rifl ette sulla possibilità di inserire il canale verbale,<br />
là dove difetta o è insuffi ciente, contemplando un tentativo di<br />
“riparazione” 6 .<br />
Sembra dunque legittimo, in questi casi, parlare di scultura comunicazionale.<br />
Infatti defi nendola “…una forma d’arte terapeutica…”,<br />
la Papp si riferisce al nucleo essenziale del vissuto familiare<br />
che viene vivifi cato e proiettato in un vero e proprio “quadro vivente”,<br />
un quadro che “…vale più spesso delle parole, poiché utilizza<br />
certi aspetti della vita familiare rimasti nascosti fi no a quel momento”.<br />
Va ricordato inoltre che, sempre presso l’Ackerman Institute, con<br />
Kitty La Perrière, era presente anche un’altra modalità di attuare la<br />
scultura che non prevedeva una fase dinamica, ma solo statica. Tale<br />
modo di fare la scultura ha infl uenzato il movimento italiano, dove si<br />
5 Citazione da Guerin (1976), da De Santis, Donini et al., 1982.<br />
6 Anche in questo caso, l’impiego del canale analogico permette di individuare il<br />
problema e di mettere in evidenza altre modalità relazionali che risulteranno utili alla<br />
famiglia per avviare un processo di cambiamento: la scultura è “complementare” alla<br />
parola quando il background culturale e sociale della famiglia, o le resistenze rendono<br />
problematico l’intervento terapeutico.
affermerà, almeno in fase iniziale, un metodo che non prevedeva la<br />
fase dinamica, evitando così i rischi di infl uenzare la libera espressività<br />
dello scultore. Con questo modello “classico”, che diverrà patrimonio<br />
della gran parte dei terapisti sistemico-relazionali, la scultura<br />
fu usata in vari ambiti: nella terapia di coppia, nella terapia familiare<br />
e nell’ambito della supervisione 7 .<br />
Comunque, nel corso dei decenni, la scultura è stata considerata<br />
un effi cace metodo di fusione tra il cognitivo e l’esperienziale fi sicamente<br />
organizzato nello spazio con i familiari, come lo scultore<br />
li vede, al fi ne di ri-formare/ri-strutturare il sistema delle relazioni.<br />
Strumento fi nalizzato a rappresentare un quadro esterno di un processo<br />
interno, fatto di sentimenti, esperienze o percezioni, utilizzerà<br />
le posture del corpo e gli spazi, in rapporto alla comunicazione, al<br />
potere, alla vicinanza e alla distanza. L’individuo ha l’opportunità di<br />
rimuovere se stesso dalla rappresentazione della famiglia per ottenere<br />
un’altra visione, non tanto obiettiva, ma che introduce la possibilità<br />
di “nuova consapevolezza”.<br />
Riassumendo, la scultura in questa fase storica, contempla già<br />
questi aspetti:<br />
– l’esperienza è quasi esclusivamente statica;<br />
– il terapeuta/conduttore osserva, registra ma non partecipa;<br />
– il terapeuta/conduttore svolge solo una funzione di sostegno;<br />
– non c’è alcuna condivisione tra terapeuta/conduttore e famiglia;<br />
– le relazioni, i sentimenti, sono rappresentati e sperimentati;<br />
– i possibili cambiamenti non nascono nell’interazione.<br />
7 Ricordiamo che in terapia di coppia sono entrambi i coniugi, a turno, a rappresentare<br />
attraverso la scultura la loro relazione. L’esperienza si svolge in due tempi: nel<br />
primo viene rappresentato come ognuno vede la relazione attuale, mentre nel secondo<br />
come vorrebbe che fosse: si affiancano così la realtà e il desiderio. Mentre, in terapia<br />
familiare solitamente è il PD che rappresenta come vede i rapporti nella sua famiglia<br />
sempre secondo i due tempi descritti. In supervisione, infine, la scultura è stata usata<br />
per cercare di superare un’impasse terapeutica e cercare di capire dove nascevano i<br />
problemi.<br />
21
Simon (1972) presenta, invece, una concezione più articolata della<br />
scultura, in grado di contemplare suoni e movimenti, tanto che<br />
l’Autore afferma che una defi nizione più esatta potrebbe essere quella<br />
di tableau vivant, in riferimento alle sue valenze psicodrammatiche.<br />
Il fatto poi che la scultura permetta di “[…] ricreare simbolicamente<br />
nello spazio stati d’animo e rapporti emotivi, attraverso una<br />
rappresentazione tridimensionale delle relazioni tra i membri della<br />
famiglia […]” farà dire ad Andolfi che questa tecnica può essere<br />
equiparata ad una vera e propria rappresentazione simbolica della<br />
famiglia, in quanto in essa vengono messi a fuoco gli aspetti comuni<br />
ad ogni sistema, ovvero lo spazio, il tempo e l’energia: “[…] una<br />
modalità non verbale creativa e dinamica dove lo scultore rappresenta<br />
analogicamente le proprie relazioni con i membri del suo gruppo<br />
familiare e le relazioni degli altri tra loro, in un dato momento e<br />
in un dato contesto” (Andolfi M., 1977).<br />
Da notare che il concetto di rappresentazione qui evoca l’idea<br />
della costruzione, nel terapeuta, di una mappa mentale che contenga<br />
le informazioni biografi che legate a fatti, luoghi e personaggi della<br />
famiglia. Il terapeuta deve favorire la costruzione di questa rappresentazione<br />
interiore, perché questa determina la trama modifi cabile<br />
su cui eventualmente riscrivere il copione familiare.<br />
I termini momento e contesto rimandano invece alla presenza attiva<br />
delle coordinate spazio-temporali in cui si sviluppa e prende<br />
corpo la scultura.<br />
Nella rappresentazione dinamica della famiglia gli elementi digitali<br />
della comunicazione si spostano prepotentemente a favore del<br />
canale corporeo-analogico, e questo ne aumenta in modo esponenziale<br />
l’impatto sensoriale: la simbolizzazione metaforica è dunque<br />
un elemento di trait d’union tra il linguaggio logico della razionalità<br />
e il linguaggio simbolico-analogico della fantasia, del desiderio e<br />
dell’affettività 8 .<br />
8 Andolfi e Angelo (1987), evidenziano l’importanza del linguaggio metaforico,<br />
costruito sul canale iconico, che permette “un tempo di permanenza e di elaborazione<br />
mentale molto più lungo e profondo di un linguaggio basato su concetti astratti o<br />
sulla verbalizzazione in seduta di vissuti e stati emotivi”.<br />
22
Sul piano applicativo sono state indicate diverse strutturazioni<br />
della scultura che di seguito elenchiamo.<br />
La scultura d’attrazione.<br />
Si caratterizza sul piano spaziale per la presenza di un centro di<br />
attrazione fi sso, rappresentato sia da un simbolo o da una persona<br />
che occupa una posizione centrale nella struttura della scultura. Questa<br />
centralità può essere indice di una dominazione esercitata sugli<br />
altri. Tutti gli sguardi convergono verso un centro immaginario. La<br />
distanza tra i partecipanti è variabile. Le linee di movimento saranno<br />
centripete. Si ritrova in famiglie patriarcali.<br />
La scultura orizzontale.<br />
Gli elementi sono disposti dagli scultori in una linea e non c’è un<br />
centro di interesse. Anche gli sguardi e le posture mettono in evidenza<br />
la dispersione degli interessi. La distanza tra le persone è di<br />
solito grande. Le linee di movimento saranno centrifughe. Si ritrova<br />
in famiglie con grosso senso di autonomia di tutti i componenti.<br />
La scultura circolare o intricata.<br />
Lo spazio tra le persone è ridotto, tutto sembra mostrare dei segni<br />
di grande coesione interna con aumento delle difese alla frontiera<br />
con l’esterno. Non esistono tendenze vettoriali dirette da qualche<br />
parte, né all’interno né all’esterno. Ogni rapporto sembra essere una<br />
catena, lo spazio è fi sso e immobile e la tensione è forte. Questo tipo<br />
di scultura si trova più facilmente nelle famiglie che Minuchin ha<br />
defi nito “invischiate”.<br />
La scultura puntiforme.<br />
L’autore è il terapeuta che rende visibile, attraverso un’immagine<br />
forte, la diagnosi relazionale. Le statue devono mantenere la posizione<br />
in silenzio per un tempo defi nito e mai comunicato a loro (1<br />
minuto). Le uniche rifl essioni che vengono condivise tra la famiglia<br />
e il terapeuta riguardano le sensazioni fi siche e le emozioni.<br />
23
La scultura dinamica di transizione.<br />
A partire dalla scultura che la famiglia ha dato di sé nel tempo presente<br />
e futuro, viene chiesto di passare dall’una all’altra concretamente,<br />
facendo vedere come pensano di riuscire in questo passaggio. Bisogna<br />
osservare come la famiglia si muove dal presente al futuro: chi si<br />
alza per primo, chi fa più fatica nei passaggi, emozioni, disagio etc.<br />
La scultura individuale.<br />
Questa scultura dà l’immagine di come ciascuno si vive nello<br />
spazio ambiente e nel contesto che lo circonda e dà anche informazioni<br />
sulle relazioni dello scultore con persone per lui signifi cative.<br />
Lo scultore descrive con il corpo una fi gura nello spazio i cui limiti<br />
rappresentano i limiti del suo spazio personale. Successivamente vi<br />
si pone dentro rappresentando le emozioni e i sentimenti che preferisce.<br />
I parametri indicatori sono le posizioni di chiusura, il tipo<br />
di distanza, la capacità o la disponibilità che qualcun altro entri nel<br />
proprio spazio. In questo tipo di scultura, il soggetto sarà particolarmente<br />
infl uenzato dal contesto in quanto un contesto a lui sconosciuto<br />
o che percepisce come poco accettante, potrà più facilmente<br />
stimolargli movimenti di tipo esplorativo o difensivo. Dopo la prima<br />
fase, il terapeuta riassume in parole quanto lo scultore ha agito<br />
e gliene chiede conferma cercando di esaminare quanto questo sia<br />
capace o disponibile ad abbandonare lo spazio che ha delimitato. La<br />
seconda fase studia a quali condizioni e a chi è permesso di superare<br />
la barriera precedentemente delimitata.<br />
1.2. Autori contemporanei<br />
Anna Maria Nicolò Corigliano<br />
L’autrice propone due tipi di esperienza, utilizzando personaggi<br />
esterni.<br />
La scultura di seduta. Questo tipo di scultura può essere assimilata<br />
alla scultura di gruppo che sarà descritta più avanti. Il terapeuta<br />
24
illustra attraverso la scultura i suoi rapporti con l’intero sistema e<br />
con ciascuno dei suoi membri e contemporaneamente dà un’immagine<br />
visiva della lettura che, fi no a quel momento, ha eseguito del<br />
sistema familiare ove opera, delle sue regole, delle sue alleanze e<br />
dei suoi confl itti. Ciascuno dei membri del gruppo di osservazione<br />
impersonerà un membro della famiglia fornendo informazioni al terapeuta<br />
sull’effetto che le sue mosse e i suoi interventi hanno, sulle<br />
retroazioni che potrebbero provocare e molto altro ancora. Il vantaggio<br />
è quello di permettere al terapeuta di studiare e programmare la<br />
sua strategia utilizzando feed-back che la famiglia non gli potrebbe<br />
mai fornire ma nello stesso tempo gli viene offerta la possibilità di<br />
vedere il sistema terapeutico con gli occhi di un osservatore esterno:<br />
un componente del gruppo di osservazione scolpirà il sistema<br />
terapeutico così come egli lo vede. Così il terapeuta potrà osservare<br />
sé stesso attraverso gli occhi di un altro. Spesso questo permette al<br />
terapeuta di focalizzare e superare gli errori ripetitivi che commette<br />
sempre con la stessa famiglia o con le stesse persone.<br />
La scultura di rapporto supervisore-terapeuta. Secondo l’autrice<br />
(1977) uno dei momenti più importanti e delicati nel corso di una<br />
terapia relazionale o di un lavoro di apprendimento in “training” è la<br />
relazione che intercorre tra il terapeuta e il suo supervisore. Ogni terapeuta<br />
ha uno stile terapeutico ed è nel rispetto di questo stile che il<br />
supervisore deve lavorare. Tuttavia il supervisore sa anche di dover<br />
essere garante, proprio perché esterno al sistema famiglia-terapeuta,<br />
che il sistema terapeutico vada verso il cambiamento e che il terapeuta<br />
non ripeta le modalità di interazione ripetitive che caratterizzano<br />
quella famiglia. La scultura è un modo di “visualizzare” questa<br />
relazione e soprattutto di evidenziare i confl itti, le incomprensioni,<br />
le sensazioni e i sentimenti legati alla relazione supervisore-terapeuta.<br />
Posizioni troppo simili del terapeuta e del supervisore possono<br />
paradossalmente essere poco produttive dimostrando che manca una<br />
dialettica interna e una certa e opportuna differenza di vedute su alcuni<br />
punti, garanzia della duttilità del sistema terapeutico.<br />
25
Philippe Caillé<br />
Caillé ricorre in terapia alla tecnica delle sculture viventi, dove<br />
viene fatta la richiesta ai membri del sistema familiare di presentare<br />
il tipo di relazione esistente tra di loro senza impiegare parole,<br />
ma mediante una rappresentazione fi sica. Le spiegazioni dei soggetti<br />
rispetto alla stessa scultura spesso sono contraddittorie, ma solo<br />
in apparenza. Se si considerano infatti gli individui coinvolti come<br />
elementi di un sistema e i comportamenti presentati come parti di un<br />
processo circolare autorinforzantesi, le spiegazioni date non sono che<br />
interpunzioni differenti della stessa situazione. La rappresentazione<br />
del come i membri del sistema percepiscono ciò che avviene tra loro<br />
viene defi nita da Caillé “modello fenomenologico della relazione”.<br />
Caillé (1990) propone le cosiddette sculture sistemiche, o viventi o<br />
fenomenologiche, e poi quadri di sogno o sculture mitiche che, introducendo<br />
analogicamente la possibilità di un contesto relazionale,<br />
permettono alla famiglia di compiere l’esperienza di questo nuovo<br />
contesto, di vedere ciò che apporta, aprendosi così a scelte inedite<br />
nella strutturazione dello spazio. Poiché l’esperienza è nuova, e<br />
tocca le profondità del vissuto familiare, Caillé tiene a sottolineare<br />
quanto sia importante che il terapeuta crei un contesto esperienziale<br />
chiaro e rassicurante, ritualizzi la prescrizione della scultura, impiegando<br />
sempre le stesse istruzioni e ripetendole se necessario, al fi ne<br />
di conquistare l’adesione degli interessati.<br />
L’esecuzione delle sculture sistemiche di Caillé avviene nel corso<br />
delle prime sedute: l’autore propone prima le sculture viventi o<br />
fenomenologiche (una seduta), a cui fa seguire i quadri di sogno o<br />
sculture mitiche (sedute successive). Per le famiglie molto numerose,<br />
o per quelle particolarmente ansiose o inibite, ciascuna delle due<br />
parti potrà naturalmente richiedere più di una seduta.<br />
Con la tecnica degli schemi di sogno, ai familiari viene chiesto<br />
di mettere in scena ciò che caratterizza il rapporto. In tal modo viene<br />
manifestato come gli individui concepiscono la natura, l’essenza<br />
stessa della loro relazione, esplicitando quello che da Caillé viene<br />
defi nito modello mitico della relazione. L’autore fa riferimento al<br />
26
“livello fenomenologico o rituale” di quel modello familiare nelle<br />
sculture che lui stesso ha denominato “sculture viventi della famiglia”,<br />
perché ognuno, se lo desidera, ha il diritto di animarle introducendo<br />
in esse movimento. Il “livello mitico o ideologico” di quel<br />
sistema familiare permette di completare la scultura del modello attuale<br />
della famiglia: il terapeuta chiede a ciascuno di rappresentare<br />
la famiglia in ciò che essa ha di unico, di totalmente singolare, attribuendo<br />
a se stessi ed agli altri una forma non umana, anche vegetale,<br />
animale o altro.<br />
L’insieme delle rappresentazioni esprimerebbe ciò che differenzia<br />
questa famiglia da tutte le altre. L’autore propone una “consegna<br />
tipo” sia per le sculture viventi che per le sculture mitiche, considerando<br />
che il successo della performance mitica (la seconda acquisizione<br />
di informazione analogica) sarà facilitata dalla riuscita<br />
dell’esperienza della scultura vivente. Elemento fondamentale è<br />
dunque rappresentato dalla capacità di indicare alla famiglia in cosa<br />
i due livelli d’interrogazione differiscono. Entrambe le consegne devono<br />
essere chiare, univoche e creare un clima di confi denzialità.<br />
Quando è stata data la consegna ed i partecipanti sembrano in<br />
possesso di u na rappresentazione interna della scultura vivente<br />
(livello fenomenologico) o dei quadri di sogno (livello mitico), le<br />
sculture saranno messe in scena in sala di terapia con l’aiuto dello<br />
psicoterapeuta.<br />
È essenziale che il terapeuta si alzi sempre per primo e non tema<br />
di esprimersi analogicamente toccando i partecipanti, giocando il<br />
ruolo di regista che sostiene emotivamente gli attori, proponendo<br />
attivamente delle alternative espressive possibili per il sistema familiare.<br />
Quando le sculture fenomenologiche e mitiche, eseguite una<br />
prima volta con l’aiuto del terapeuta e con la partecipazione di tutti<br />
i membri della famiglia, ri sultano soddisfacenti per lo scultore, il<br />
terapeuta si ritira dal campo e chiede che tutto sia nuovamente eseguito<br />
in autonomia, senza il suo supporto. Questa rappresenta l’ulti-<br />
27
28<br />
ma prova in cui lo scultore deve prendersi la responsabilità della sua<br />
“opera”, riconoscendola isomorfa al progetto che aveva in mente, ed<br />
infi ne dirsi soddisfatto o correggere cosa o chi non corrisponde alla<br />
rap presentazione.<br />
Secondo Caillé, questa separazione del terapeuta nella fase fi nale<br />
dell’elaborazione è essenziale affi nché ogni membro della famiglia<br />
si assuma pienamente la responsabilità del proprio messaggio analogico,<br />
e affi nché tutti i membri della famiglia possano vivere pienamente<br />
l’esperienza sul piano cinestesico-emozionale.<br />
Nel modello di Caillé il processo di cambiamento diffi cilmente è<br />
controsistemico, perché la scultura si costituisce come trait d’union<br />
di un effetto coesivo nella famiglia: i membri sono portati a pensare<br />
(e percepire) se stessi in termini di unità sistemica, in quanto<br />
ognuno si sente attore partecipe e determinante all’interno della propria<br />
famiglia, le cui regole dipendono dalle decisioni di ciascuno nei<br />
confronti degli altri. Inoltre viene potenziato l’effetto di individuazione<br />
di ciascun membro nei confronti dell’altro. Questa è un’esperienza<br />
spesso effi cace nelle famiglie invischiate, laddove la fusione<br />
dei confi ni, la mancanza di identità e di spazio personale assumono<br />
spesso carattere di disfunzionalità. La scultura diviene signifi cativa<br />
proprio in quanto rappresentazione multidimensionale di una situazione<br />
emotiva agita e non verbalizzata: come tale supera i limiti<br />
espressivi delle parole e permette la liberazione di stati emotivi e di<br />
modalità comunicative spesso sopite o inespresse. Partendo da tali<br />
premesse molti ricercatori hanno ampliato gli studi sul “movimento”<br />
all’interno della scultura, considerato come un linguaggio che sfugge<br />
alle regole razionali e non censura emozioni e vissuti.<br />
Luigi Onnis<br />
“La scultura familiare è un linguaggio terapeutico, essenzialmente<br />
basato sulle modalità analogiche e non verbali, che propone<br />
una rappresentazione metaforica della famiglia nella forma; ossia
l’espressione diretta e dinamica in termini di immagini di quelle che<br />
sono le relazioni, lo spazio, i sentimenti, i vissuti, le interazioni di un<br />
sistema […]” (Onnis L., 1990).<br />
Dobbiamo ricordare che il con cetto di tempo veniva già evocato nella<br />
tecnica del genogramma che, sviluppando una panoramica storica<br />
della famiglia, ne riproduce anche la trama temporale. La rappresentazione<br />
bidimensionale del genogramma agisce come specchio della<br />
mappa relazionale della famiglia e “rispecchia visivamente le relazioni<br />
tra i vari membri, disegnati vicini o lontani, più grandi o più<br />
piccoli, in una rete di rapporti spaziali di cui il soggetto costituisce<br />
il punto costante di riferimento” (Montagano S., Pazzagli A., 1989).<br />
La prospettiva temporale-evolutiva della tecnica del genogramma<br />
permette una ri lettura della propria storia familiare, e con essa la<br />
riappropriazione di ele menti affettivi signifi cativi che possono venire<br />
reintegrati nella memoria storica, e nell’idea di appartenenza<br />
familiare, da cui deriva la nostra identità. Questa riappropriazione e<br />
reintegrazione è alla base di una riattivazione del processo evolutivo<br />
personale e una nuova elaborazione di sé e della propria vita.<br />
Luigi Onnis è forse l’Autore che più di altri si è mostrato fortemente<br />
interessato al fattore tempo, tanto che in questa visione metterà<br />
a punto una variante della scultura familiare, ritenuta strumento<br />
di confi ne tra il diagnostico e il terapeutico: il metodo delle sculture<br />
del tempo familiare. Il metodo di Onnis prevede la messa in scena,<br />
da parte di ciascun membro del si stema familiare, di tre fasi temporali:<br />
la scultura del presente, la scultura del futuro e la scultura del<br />
passato. C’è la richiesta di passare al vaglio del tempo l’immagine<br />
della famiglia che ciascuno porta in dote, cercan do “…di esplorare<br />
e di reintrodurre la dimensione del tempo in un sistema che sembra<br />
averla perduta” 9 . Alla base di questa tecnica c’è la richiesta, fatta a<br />
9 L’innovazione proposta da Onnis era stata in qualche modo già anticipata da Andolfi<br />
e Angelo (1987), che per primi parlano di una dimensione storica della scultura,<br />
questa “può essere utilizzata per rappresentare la famiglia in una dimensione storica,<br />
attraverso una riattiva zione della sua vita dal passato a oggi. Il terapeuta può pertanto<br />
solleci tare le persone a scolpire la loro famiglia di origine: tutto ciò fornirà una visione<br />
29
uno o a turno a tutti i membri del sistema familiare, di rappresentare<br />
nello spazio l’immagine familiare, utilizzando i corpi, le posture, gli<br />
sguardi, le vicinanze e le distanze. Si privilegia, attraverso l’uso di<br />
una modalità creativa, l’espressione motoria per rappresentare situazioni<br />
emotive. Ma quando la famiglia narra la sua storia senza particolari<br />
vibrazioni emotive e senza connessioni in grado di restituire<br />
nuovi signifi cati al problema, Onnis ritiene necessario esplorare e<br />
far emergere un’altra storia, che affondi le sue radici nel terreno profondo<br />
della famiglia e dei suoi componenti e ne faccia affi orare gli<br />
aspetti “mitici”, attraverso un linguaggio terapeutico più “vicino” al<br />
linguaggio di quel sintomo: la scultura familiare, rappresentazione<br />
per immagini e per metafore, che consente l’emergere anche di quel<br />
non-detto che è il “mito” della famiglia.<br />
Nella metodologia di Onnis, ad ogni membro della famiglia<br />
viene chiesto di fare due sculture, cioè di “mettere in scena”, due<br />
rappresentazioni della famiglia: una del presente, l’altra del futuro.<br />
L’autore tenta così di esplorare e di reintrodurre la dimensione del<br />
tempo in un sistema che sembra averla perduta: ed è proprio qui, nel<br />
confronto tra queste rappresentazioni che si svela l’aspetto mitico di<br />
queste famiglie; la tutela ad ogni costo dell’unità familiare, attraverso<br />
il blocco di ogni potenzialità evolutiva ed un impossibile arresto<br />
del tempo. La scultura del passato viene collocata al termine della<br />
sequenza (presente-futuro) e non all’inizio, come sarebbe cronologicamente<br />
più logico, in quanto, nelle famiglie anoressiche, ad esempio,<br />
lo scenario del futuro (o la diffi coltà di rappresentarlo) rimanda<br />
paradossalmente al passato. Il ciclo temporale, infatti, si completa<br />
richiudendosi circolarmente su se stesso: il presente, nell’impossibilità<br />
di sviluppo del futuro, ritorna nel passato in una sorta di mitica<br />
sospensione del tempo.<br />
Nella scultura del presente viene chiesto di rappresentare la famiglia<br />
così come “lo scultore” la vede; la scultura del futuro viene proiettata<br />
nel tempo, ad una distanza di almeno dieci anni; nella scultura<br />
più completa della vita emotiva della famiglia nel tempo e per metterà di individuare<br />
canali relazionali funzionali o disfunzionali nel l’arco di più generazioni”.<br />
30
del passato viene chiesto di rappresentare un episodio signifi cativo<br />
che è rimasto impresso nella memoria. Quali messaggi vengono trasmessi<br />
attraverso tutte queste immagini?<br />
Anzitutto, come evidenzia l’autore, i “miti di unità a qualsiasi prezzo”<br />
e i “fantasmi di rottura”, che non trovano facile accesso alla<br />
parola, possono venire rappresentati in queste scene, quasi materializzandosi<br />
davanti agli occhi del terapeuta. E attraverso queste rappresentazioni<br />
si costruisce una “narrazione analogica” nella quale è<br />
possibile rintracciare due fi li conduttori: il primo riguarda il dialogo<br />
che si avvia tra membri della famiglia nel quale ciascuno propone<br />
la propria rappresentazione della realtà familiare, nella specifi cità<br />
della propria identità individuale; il secondo riguarda il sottile legame<br />
di risonanze, di messaggi, di risposte, che va a inscriversi nel<br />
linguaggio del mito della famiglia e dell’appartenenza familiare.<br />
Secondo l’autore, le rappresentazioni analogiche delle sculture<br />
permettono un dialogo che attraversa l’individuo e che si instaura<br />
tra diverse e confl ittuali istanze nei vissuti personali dello stesso. Per<br />
Onnis l’ambivalenza della scelta anoressica, come in tutti i paradossi,<br />
è il tentativo impossibile di conciliare l’inconciliabile, “cambiare<br />
senza cambiare”. Mette in evidenza che spesso è proprio il paziente<br />
designato che intravede e tenta di indicare i percorsi di un possibile<br />
cambiamento. Il modello di lavoro basato sulle sculture familiari<br />
si fonda sull’ipotesi che, con le famiglie che presentano un disagio<br />
a estrinsecazione somatica, la raccolta delle informazioni e l’intervento<br />
debbono non tanto servirsi del livello della comunicazione<br />
verbale, quanto piuttosto utilizzare il livello cinestesico. In questo<br />
senso Onnis cerca di adottare un linguaggio terapeutico omogeneo<br />
al linguaggio del sintomo, che si moduli con le cadenze allusive e i<br />
signifi cati impliciti e metaforici del linguaggio del corpo, utilizzando,<br />
a sua volta, le metafore della corporeità e della spazialità 10 .<br />
10 Nello specifico delle famiglie psicosomatiche, secondo Onnis, la scultura, ma<br />
sempre nei limiti sopra elencati, permette diversi vantaggi: 1. evidenziare il blocco<br />
evolutivo che è all’origine del problema; 2. fare emergere quei miti e fantasmi che sono<br />
nascosti e non verbalizzabili e che solo un linguaggio analogico come quello del sinto-<br />
31
Le sculture familiari di Onnis presentano delle variazioni rispetto<br />
al metodo originario della Papp (1983), in quanto l’autore chiede ad<br />
ogni membro della famiglia di fare due sculture: la prima rappresenta<br />
la famiglia così come lo stesso la vede nel momento attuale,<br />
mentre la seconda rappresenta la famiglia come la immagina dopo<br />
un arco di un decennio di storia futura. È qui che, nel modello di<br />
Onnis, viene introdotta una variazione importante rispetto al metodo<br />
della Papp. Propone, come seconda scultura, una rappresentazione<br />
di “desiderio” e di “cambiamento”, ovvero “come ognuno vorrebbe<br />
che la famiglia fosse”. Questa variazione è stata introdotta in quanto,<br />
secondo l’autore, la seconda scultura proposta (nonostante sia<br />
proiettata nel futuro) non è una rappresentazione di cambiamento,<br />
perché spesso esprime una resistenza e una paura, piuttosto che un<br />
desiderio, di cambiamento. Infatti, in alcuni casi, il tentativo di rappresentare<br />
uno scenario più dinamicamente in sviluppo, si accompagna<br />
a forti ansie e timori, come se la possibile evoluzione della famiglia<br />
fosse percepita più come una minaccia che come un’esperienza<br />
di crescita collettiva. Questa differente impostazione metodologica<br />
nasce dall’esigenza terapeutica di progettare un cambiamento possibile,<br />
e dall’osservazione clinica maturata sul campo.<br />
32<br />
Possiamo trovare nelle formulazioni e nelle procedure terapeutiche<br />
di Onnis molti accostamenti col modello consenziente proposto dalla<br />
Scuola di Pisa-Rimini di C. Bogliolo (1997, 2001, 2010): coincide<br />
infatti il principio che ogni tentativo di forzare la mano al sistema,<br />
sollecitandolo a rappresentare uno scenario più dinamico e in evoluzione,<br />
attraverso ipotesi di sviluppo, evoca un sentimento di diniego,<br />
di resistenza. Altrettanto il fatto che in tal caso si assiste ad una<br />
controreazione di tipo morfostatico intessuta di un sentimento che<br />
assomiglia più alla percezione di una minaccia, che una esperienza<br />
di crescita auspicabile. Così paure, timori, ansie di cambiamento,<br />
sono esternate analogicamente. Fantasmi di perdita, rottura, disgre-<br />
mo (che è il linguaggio ufficiale di queste famiglie) consente di svelare; 3. raccogliere<br />
quegli elementi metaforici importanti per una rilettura del sistema: il sintomo corporeo<br />
può essere ridefinito come problema del sistema familiare e non solo del PD.
gazione, minacce di confl itti irreversibili ed irrisolvibili, prendono<br />
vita. Ad esempio quando il cambiamento è rappresentato dall’uscita<br />
dal sistema dei fi gli.<br />
Possiamo proseguire negli accostamenti notando che per Onnis il<br />
ruolo del terapeuta è attivo: egli partecipa alla trama narrativa che la<br />
famiglia va dipanando.<br />
Bogliolo, però, esplora il mito familiare con rispetto, astenendosi<br />
da atteggiamenti troppo interpretativi o direttivi e creando invece,<br />
pazientemente, le condizioni perché, insieme alla famiglia, si possa<br />
costruire una storia nuova e lo stesso mito familiare possa evolvere<br />
in una nuova mitopoiesi.<br />
Le sculture aprono al terapeuta un terreno spesso ricco di informazioni,<br />
offrono elementi per una lettura della situazione e permettono<br />
di elaborare strategie di intervento: l’assunzione del linguaggio<br />
del corpo nel linguaggio della terapia può diventare lingua di<br />
nutrimento e di sviluppo. Il setting terapeutico, così arricchito di<br />
una multidimensionalità fi sica, emotiva e simbolica, permette una,<br />
seppur diffi cile, ridefi nizione della sintomatologia (anche quando si<br />
tratta di un sintomo somatico) e una nuova lettura della situazione.<br />
È interessante notare come le sue evoluzioni abbiano modifi cato<br />
lo strumento della scultura perfezionandone una valenza diagnostica<br />
e descrittiva più incisiva, oltre che consentire una più accurata calibrazione<br />
delle potenzialità di cambiamento del sistema. Si tratta di<br />
un modello fondato, appunto, sull’ipotesi che nel lavoro terapeutico<br />
con le famiglie informazioni ed interventi dovessero non tanto servirsi<br />
del livello della comunicazione verbale, quanto piuttosto utilizzare<br />
il livello analogico.<br />
2. La scultura in psicoterapia familiare: aspetti clinici<br />
2.1. La dimensione metaforica<br />
Con la scultura si parla fi nalmente con il corpo, con lo sguardo,<br />
con i gesti, senza lo schermo del linguaggio verbale. Produce l’effet-<br />
33
to di liberare le emozioni che in queste famiglie rimangono spesso<br />
imprigionate in ragionamenti intellettualizzati 11 .<br />
34<br />
Con la scultura, le famiglie, private dei loro canali verbali usuali,<br />
sono portate a comunicare ad un livello più signifi cativo: ciò consente<br />
di evitare razionalizzazioni, resistenze e stigmatizzazioni. Sapendo<br />
che il canale cinestesico rappresenta il veicolo di trasmissione<br />
della comunicazione meno controllabile, l’espressione del volto, la<br />
posizione del corpo, la espressioni gestuali, la vicinanza o lontananza<br />
etc., rappresentano segnali signifi cativi che defi niscono, caratterizzano<br />
e circoscrivono il signifi cato della comunicazione terapeutica,<br />
compresi i sentimenti che pervadono il clima emotivo. Tutto<br />
ciò che fa parte della rappresentazione diviene un grande bacino di<br />
energia psichica che si amplifi ca in questa rete relazionale 12 .<br />
Il linguaggio della scultura è dunque basato sulle modalità analogiche,<br />
poiché la fi nalità è in buona parte connessa alla diffi coltà<br />
nell’esprimere con il linguaggio verbale le emozioni legate alle relazioni.<br />
Grazie alla metafora, che si colloca tra il linguaggio logico del<br />
pensiero razionale ed il linguaggio simbolico, analogico, dell’immagine<br />
e dell’affettività, vengono lasciate emergere in modo più diretto<br />
le valenze emozionali e ci si avvicina di più al piano affettivo.<br />
Inoltre, eludendo alcuni meccanismi di difesa, si aprono spazi per<br />
una espressione più libera da parte di chi la esegue. I vantaggi sono<br />
quelli di fornire una visione d’insieme nelle relazioni di un sistema<br />
senza le razionalizzazioni presenti nel linguaggio verbale.<br />
Ad esempio l’aspetto del “movimento simulato” unito al silenzio,<br />
è molto importante per le famiglie non abituate all’uso analogico del<br />
11 L’aspetto del “movimento” (quando questo viene utilizzato) unito al silenzio è<br />
molto importante per queste famiglie non abituate all’uso spontaneo del corpo; l’introduzione<br />
di nuove modalità comunicative potrà spingere il sistema a cercare una nuova<br />
ristrutturazione.<br />
12 L’attenzione alla cura e all’addestramento della corporeità dovrebbe essere una<br />
materia di studio e di riflessione, non solo quando si pensa ad una famiglia o ad una<br />
coppia ma anche per gli stessi terapeuti relazionali, o gli specializzandi.
corpo. Triangolazioni, alleanze o confl itti sono concreti e collocati<br />
nella sfera visiva, sensoriale e simbolica dove vi sono più ampie<br />
possibilità di comunicare emozioni 13 .<br />
L’utilizzo del canale metaforico avvicina la tecnica della scultura<br />
alla rappresentazione psicodrammatica. La metafora si colloca,<br />
come sottolinea Lottman (1980), nel punto di mezzo tra due linguaggi:<br />
quello logico del pensiero razionale e quello simbolico-analogico<br />
dell’immagina zione e dell’emozione. Perciò la metafora, quando ha<br />
funzione terapeutica è, per usare una signifi cativa espressione di<br />
Paul Ricoeur (1986), una metafora viva, cioè isomorfa alla natura<br />
del problema presentato: coglie più direttamente le valen ze emozionali<br />
e si avvicina al piano affettivo, in larga misura non-consapevole,<br />
del paziente o della famiglia. Inoltre, per la sua potenzialità evocativa<br />
(e non esplicativa) ha il vantaggio di fare allusione al livello<br />
pre-verbale e non-consapevole, senza pretendere di spiegarlo o di<br />
esplicitarlo e, perciò, può aprire spazi per una espressione più libera<br />
e creativa da parte di chi la riceve 14 .<br />
Il linguaggio metaforico, in questo contesto, altro non è che il<br />
linguaggio mitico del sistema familiare, costituito da valori ed affetti<br />
condivisi, largamen te pre-logici ed inconsapevoli. Linguaggio che si<br />
ritiene non sia esprimibile attraverso le sole forme del pensiero lineare,<br />
né possa da queste essere utilmente esplorato. Ciò è particolarmente<br />
vero in relazione alla natura omogenea e sintonica che fa della<br />
metafora un materiale psichico isomorfo, sia rispetto al linguaggio<br />
implicito criptato del mito, sia al linguaggio somatico e non verbale<br />
con cui, nella stragrande maggioranza delle situazioni disfunzionali,<br />
si esprime e si palesa il sintomo.<br />
13 L’osservazione del non verbale è, ancor prima della scultura, uno strumento abituale<br />
del terapeuta: infatti l’osservazione del comportamento non verbale ci permette<br />
di “cogliere soprattutto i legami emozionali tra le persone nel divenire delle generazioni”.<br />
14 Un altro elemento utilizzato è l’oggetto metaforico, che a detta di alcuni autori<br />
può essere concepito come concretizzazione della metafora attraverso l’utilizzo di un<br />
oggetto materiale.<br />
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