Leggi un estratto - Armando Editore
Leggi un estratto - Armando Editore
Leggi un estratto - Armando Editore
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Renato Pigliacampo<br />
LETTERA<br />
AD UNA LOGOPEDISTA<br />
ARMANDO<br />
EDITORE
Sommario<br />
Presentazione alla seconda edizione di ELENA RADUTZKY 9<br />
Lettera ad <strong>un</strong>a logopedista 12<br />
Capitolo 1: Mia carissima 13<br />
Capitolo 2: Le protesi acustiche 25<br />
Capitolo 3: Due lingue a confronto 31<br />
Capitolo 4: Finalmente i segni 53<br />
Capitolo 5: Lezioni di Silenzio 67<br />
Capitolo 6: Padrone della mia vita 101<br />
Nota alla seconda edizione 103<br />
Letture consigliate per approfondire 107
«Amico, guarda ciò che ti dico<br />
il mondo che tu senti<br />
è lo stesso che io vedo.<br />
Dammi la tua mano: sento la tua mano.<br />
Dicono che sono sordo, ma io vedo<br />
gli uccelli cantare e il vento sugli alberi<br />
e i bambini ridere.<br />
Il mio <strong>un</strong>iverso è vuoto senza di te.<br />
Guardami e sorridimi.<br />
E stringi la mia mano nella tua.<br />
Dammi la tua mano e impara la mia lingua.<br />
Io posso parlare per segni nell’aria.<br />
Noi possiamo raggi<strong>un</strong>gere le stelle.<br />
Ci sono tante cose da fare insieme».<br />
(Anonimo sordo francese, recitata nella lingua<br />
dei segni ad <strong>un</strong> amico udente)<br />
Ti ho voluto bene<br />
Con coraggio desiderato<br />
Perché sei il mio EFFETA<br />
Per questo vorrei farti felice<br />
…Insieme nel tuo mondo di voci<br />
Nel mio mondo di segni<br />
Senza più barriere di com<strong>un</strong>icazione<br />
7
Durante la riabilitazione fonica<br />
Non sempre posso<br />
Né sai quanto mi costi<br />
La quotidiana fatica della parola vocale<br />
Che sopprime le altre parole nascoste<br />
Non stimolate alla vita<br />
Sarebbero la salvezza<br />
Favorendomi verso la parola<br />
Tu lo sai<br />
Allora aiutami<br />
Perché ti accontenti<br />
Perché mi accontenti<br />
Insieme integrati nel tuo mondo di voci<br />
Nel mio mondo di segni<br />
Senza più barriere di com<strong>un</strong>icazione<br />
Rispettati per quel che siamo<br />
Ti scrivo questa lettera,<br />
per farti rifl ettere<br />
Renato Pigliacampo<br />
8
Presentazione alla seconda edizione<br />
Il libro è scritto con “rabbia” se, per rabbia, si intende den<strong>un</strong>ciare<br />
<strong>un</strong>a realtà troppe volte ignorata. Renato Pigliacampo è <strong>un</strong> protagonista<br />
del Silenzio, come preferisce indicare se stesso e le persone private<br />
dell’ascolto attraverso il canale acustico. Egli non teme la «sordità»,<br />
l’ha esorcizzata con la cultura, col coraggio e l’assillante richiesta alle<br />
istituzioni di rispondere alle necessità del Silenzio. Non considera il<br />
bambino, con problemi d’udito e parola, svantaggiato se è istruito ed<br />
educato secondo gli specifi ci bisogni. Renato, già docente di sordi in<br />
<strong>un</strong>a scuola dell’obbligo a Roma all’inizio della carriera professionale,<br />
poi pedagogista, sociologo e psicologo dirigente in <strong>un</strong>’ASL delle<br />
Marche, tra i primi professionisti italiani iscritti all’Albo dell’Ordine<br />
degli Psicologi, comprende che il bambino ha immediato bisogno di<br />
appropriarsi di <strong>un</strong>a lingua nell’aprirsi alla vita, alla com<strong>un</strong>icazione,<br />
individuandola nella lingua dei segni.<br />
L’autore non è nuovo a den<strong>un</strong>ciare con i propri scritti <strong>un</strong>a condizione<br />
di svantaggio e di disimpegno delle istituzioni (cfr. Scuola di<br />
Silenzio, Lettera ad <strong>un</strong>a ministro (e dintorni), <strong>Armando</strong>, Roma 2005).<br />
Nel testo pubblicato con lo pseudonimo “Scuola di Silenzio”, ricalca<br />
la den<strong>un</strong>cia di Lettera a <strong>un</strong>a professoressa di Don Lorenzo Milani<br />
che, a cavallo degli anni Sessanta del secolo scorso, fu voce forte di<br />
den<strong>un</strong>cia di <strong>un</strong>a scuola predisposta per pochi eletti o per la casta, come<br />
diremo oggi. L’obiettivo di Renato nella sua Lettera è far conoscere il<br />
recinto in cui è racchiuso – in <strong>un</strong>a apparente libertà normalizzante – il<br />
bambino sordo. Dopo la chiusura delle scuole specializzate (Renato è<br />
9
stato studente di quelle scuole!) il bambino del Silenzio è “sperimentato”,<br />
proprio così, nella classe com<strong>un</strong>e delle pubbliche scuole, a fi anco<br />
dei coetanei “normali” […].<br />
Negli anni l’autore di questo volumetto ha continuato le sue ricerche<br />
psicolinguistiche e sociopedagogiche, ha intensifi cato contatti con<br />
docenti di sostegno e <strong>un</strong>iversitari, è stato relatore nei più importanti<br />
convegni nazionali e internazionali, sempre in primo piano da protagonista<br />
nei dibattiti, nelle associazioni nazionali, den<strong>un</strong>ciando che il<br />
piccolo sordo è privato – dalla com<strong>un</strong>ità sonoroverbale di maggioranza<br />
– di <strong>un</strong>’idonea scolarizzazione attenta ai suoi bisogni.<br />
Il suo essere sordo permette a Renato di sperimentare i processi<br />
dell’apprendimento visivo; la conoscenza e l’utilizzo della lingua dei<br />
segni lo portano oltre.<br />
Pigliacampo non si è mai fermato di fronte alla disabilità dell’udito<br />
e della parola vocale affermando che il soggetto che chiamiamo<br />
“sordo”, subirà sopraffazione dalla com<strong>un</strong>ità di maggioranza solo se<br />
non riusciremo a predisporgli programmi didattici e di com<strong>un</strong>icazione<br />
idonei per l’istruzione.<br />
Renato Pigliacampo ci conduce l<strong>un</strong>go <strong>un</strong> viaggio, con la Logo, di<br />
<strong>un</strong> bambino con gli orecchi mal f<strong>un</strong>zionanti, che non fruisce del canale<br />
acustico per l’intelligibilità della parola, riportando l’attenzione sul<br />
confl itto scolastico tra “metodo orale” e “metodo mimico gestuale”<br />
che, in certi casi, stimola ancora le discussioni dei docenti […]. Tuttavia<br />
se nella prima edizione del 1996 della Lettera la diatriba poteva<br />
avere giustifi cazione per carenza di studi e verifi che, nel frattempo la<br />
lingua dei segni è stata insegnata dai sordi stessi ai docenti udenti nelle<br />
scuole di specializzazione: e Renato Pigliacampo, come scrisse Virginia<br />
Volterra presentando <strong>un</strong> saggio dell’autore, «in questi ultimi anni<br />
si è addentrato nello studio delle più diverse discipline: dalla linguistica<br />
all’antropologia e da ogn<strong>un</strong>a ha rilevato idee e sp<strong>un</strong>ti interessanti» 1 .<br />
1 Cfr. Pigliacampo R., Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, <strong>Armando</strong>,<br />
Roma 2007.<br />
10
Eccolo continuare l’approfondimento degli strumenti d’indagine socioculturale<br />
e linguistica, sino ad avanzare ipotesi sorprendenti con<br />
l’affermazione dell’utilità d’insegnare la lingua dei segni alla popolazione<br />
scolastica udente anche per il fatto che – la sordità – nei prossimi<br />
due-tre lustri sarà annullata dalle ricerche mediche focalizzate sulle<br />
staminali.<br />
L’autore chiude la Lettera ipotizzando che sarà la lingua dei segni<br />
a conservare e ad arricchire <strong>un</strong>a meravigliosa lingua che vive nel movimento<br />
e nelle immagini.<br />
In <strong>un</strong>a società di informazione verbale di massa, continua e assordante<br />
nella sonorità di strumenti appositamente costruiti per diffonderla<br />
in modo celere e sistematico, i sordi allenati a decodifi care il segno<br />
visivo, nel linguaggio proprio delle persone che lo interpretano nella<br />
cinestetica e nelle posture del corpo dialogante, permetteranno all’individuo<br />
di domani l’accesso a doviziosità dei linguaggi per far sì – e<br />
rifl ettere – che le manine di quel bambino che voleva segnare non si<br />
muovevano a caso.<br />
Elena Radutzky<br />
Direttore del Mason Perkins Deafness F<strong>un</strong>d<br />
Estate 2008<br />
11
Lettera ad <strong>un</strong>a logopedista<br />
Lettera dedicata ai bambini e agli adulti che – in <strong>un</strong> modo o nell’altro<br />
– hanno vissuto con me l’esperienza del Silenzio.<br />
Ai lettori che, nelle righe di queste pagine, rifl etteranno sul “mondo<br />
del Silenzio” come processo di rinnovamento sociopsicopedagogico<br />
della Scuola e della Persona, al fi ne di volgere lo sguardo attorno<br />
a se stessi per intraprendere il cammino l’<strong>un</strong> l’altro a fi anco per raggi<strong>un</strong>gere<br />
la cultura e la civiltà solidali.<br />
Renato Pigliacampo, a 15 anni dalla prima edizione. Aut<strong>un</strong>no 2011<br />
(alc<strong>un</strong>e pagine sono state aggiornate e riscritte, N.d.A.).<br />
12
Capitolo 1<br />
Mia carissima<br />
Mia carissima logopedista,<br />
sono seduto su <strong>un</strong>o scoglio, tra Numana e Porto Recanati: e qui,<br />
immerso nel silenzio da voci e suoni, ho deciso di aprirmi dicendo<br />
quel che penso sull’istruzione e la riabilitazione alla parola vocale dei<br />
bambini sordi gravi e con problemi di ascolto.<br />
Io sono <strong>un</strong>o di loro.<br />
Per decenni ho vissuto lontano da questi stupendi paesaggi leopardiani<br />
per acquisire <strong>un</strong>a buona cultura, senza la quale mi sarebbe stato<br />
diffi cile esprimere compiutamente la mia personalità di sordo. Ho<br />
detto proprio “personalità di sordo”. Defi nizione che non mi umilia;<br />
al contrario vi individuo le reali mie potenzialità psicointellettive per<br />
padroneggiare la cultura e, di fatto, comprendere meglio la vostra società.<br />
Mia Logo stai attenta. Ho detto “la vostra società”. Perché lo preciso?<br />
Sono convinto che sia diffi cile, non affermo impossibile, per il sordo<br />
di nascita o divenutolo nel primo anno di vita, capire questa società<br />
programmata e adatta alle vostre esigenze di udenti-parlanti.<br />
Tu parli e ascolti bene. Se così non fosse stato non avresti svolto<br />
la professione di logopedista. Senza il senso dell’udito – e la capacità<br />
di com<strong>un</strong>icare a voce – che cosa avresti combinato nella vita?<br />
Suppongo che non saresti uscita dalla nicchia del silenzio e forse non<br />
avresti nemmeno l’idea cosa signifi chi “parola vocale”. Non avresti<br />
conosciuto la musica né il canto d’usignolo che, d’inverno, svolazza<br />
13
nelle fattorie della valle di Recanati, né la voce insicura del bambino<br />
rivolto alla mamma, né il frusciare del vento tra le secolari querce di<br />
Potenza Picena, né il rumore dell’aeroplano che via via scompare in<br />
lontananza…<br />
Tu, privata dalle esperienze sonoro-verbali, saresti come io sono,<br />
andresti nelle braccia del Silenzio, quel Silenzio che, per il bambino<br />
sordo, è messaggio di speranza per <strong>un</strong>a piena e reale com<strong>un</strong>icazione<br />
con gli altri e col mondo tutto.<br />
Ma qual è questo Silenzio? Leggendo, come noti, io lo scrivo con<br />
la “S” maiuscola. Perché? Probabilmente perché deduco che il mio<br />
Silenzio ha <strong>un</strong>a storia che deve essere raccontata, conosciuta.<br />
La mia storia è iniziata tanti secoli fa. Me ne hai accennato durante<br />
i faticosi colloqui avuti con te – e sei logopedista! –. Non avendo chiare<br />
risposte alle mie insistenti domande, l’altro ieri, deciso, sono entrato<br />
nella macchina del tempo e, a ritroso, ho percorso i secoli, sino ad Atene,<br />
la città di Fidia, di Aristotele, della bellezza. Passeggiando per la<br />
polis ellenica 2 ho notato <strong>un</strong>a coppia di sposi discutere animatamente.<br />
Antèo: «Ho fatto voto al dio Amman che, se avremo <strong>un</strong> fi gliolo<br />
normale, passeremo per il fuoco il nostro disgraziato Kofos».<br />
La moglie, Agata, grida al consorte: «Antèo mio, perché hai tanto<br />
osato con gli dèi?! È sempre nostro fi glio!».<br />
Antèo, taciturno, replica: «Il nostro grande Aristotele ha affermato<br />
che il sordo(muto) di nascita è kofos 3 . È chiaro, mia Agata, il nostro<br />
primogenito non ha futuro. Rassegnati, nostro fi glio non ha diritto alla<br />
vita».<br />
Agata, spaventata, insiste: «Antèo, come puoi pensare che il dio<br />
Amman permetta l’efferato delitto?»<br />
Antèo, deciso: «Amman conosce ciò che è giusto da quel che non<br />
lo è».<br />
2 Città greca.<br />
3 In greco significa “sordo/sordità”, ma anche “idiota”. Molti filosofi consideravano<br />
il sordo <strong>un</strong>a persona “vuota”.<br />
14
Agata china il capo ferita nel suo dolore di madre, mortifi cata dalle<br />
parole del consorte; poi, turbata, alza gli occhi dal suo seno confessandogli<br />
di aspettare <strong>un</strong> bambino.<br />
Antèo reagisce con <strong>un</strong>’irrefrenabile gioia e grida di giubilo. «Amman<br />
ha esaudito, mia diletta moglie, la nostra invocazione!» Otto mesi dopo<br />
nasce il fratello di Kofos. Il bambino è sano. Antèo, rattristato: «Bisogna<br />
mantenere la promessa fatta ad Amman», dice rivolto ad Agata.<br />
Il piccolo Kofos, alc<strong>un</strong>e settimane dopo la nascita del fratello, è<br />
afferrato da <strong>un</strong>o schiavo del padre e condotto sul monte Taigeto, da lì è<br />
scagliato nel dirupo come fosse <strong>un</strong> sacco d’immondizia; è buttato via,<br />
nel luogo destinato ai bambini deformi, all’umanità infelice e negletta<br />
che, se lasciata in vita, avrebbe fatto sfi gurare la grande Polis, e stomacato<br />
i saggi della politica e i cultori dell’arte. Oh, avrebbe vagabondato<br />
e mendicato per le strade di Atene!<br />
Devo dire di aver visto sm<strong>un</strong>ti corpicini con braccia rattrappite, con<br />
teste deformi, con occhi stral<strong>un</strong>ati, con gambe a penzoloni lanciati nel<br />
burrone, verso <strong>un</strong>a morte certa […].<br />
La stessa sorte è toccata al nostro piccolo Kofos. Egli è “volato”<br />
l<strong>un</strong>go il dirupo del monte Taigeto.<br />
Tu sai, Logo, che io provengo dal Rifi uto, che è il peggiore maestro<br />
di tutte le scelleratezze umane. Ti chiedo pertanto di accettarmi<br />
come sono. Con la mia sordità. Se dici di no al mio silenzio, io resterò<br />
solo perché, anche se mi conducessi nel mondo delle parole vocali,<br />
sarò sempre <strong>un</strong> bambino senza speranza, perché non accolto nella mia<br />
identità.<br />
Molta gente ha espresso giudizi su di me e, per secoli, ha creduto di<br />
conoscermi. Qualche pres<strong>un</strong>tuoso aveva ipotizzato la sua verità disponendo<br />
regole precise, all’ingresso principale della scuola che dirigeva<br />
con alterigia. Per esempio il tedesco Heinichke, educatore, che chiedeva<br />
denaro a chi voleva assistere alle sue lezioni.<br />
Te lo dico chiaro e tondo, Logo: noi sordi abbiamo sofferto queste<br />
ipocrisie degli udenti, le molte volgarità e dicerie, le umiliazioni!<br />
15
Voglio che tu sia a conoscenza che ho sperimentato il vissuto nelle<br />
scuole speciali. Ho frequentato le lezioni di coloro che lì insegnavano.<br />
Ho verifi cato che ci sono state tante defi cienze didattiche. La storia dei<br />
sordi è composta di <strong>un</strong> insieme di scelte che gli udenti hanno deciso<br />
per loro. Te lo ricordo!<br />
Non porto rancore perché per questo, sarebbe ott<strong>un</strong>dere 4 l’ingegno,<br />
non operare razionalmente per superare gli ostacoli, presenti nel nostro<br />
cosiddetto Paese “civile” e democratico.<br />
Talvolta capisco e giustifi co le persone come te, per cui è <strong>un</strong> po’<br />
diffi cile integrarsi nella realtà dei sordi. Voi, udenti, siete immersi in<br />
<strong>un</strong> mondo di suoni e voci, che vi forgiano il cervello […]. Forse allontanandovi<br />
dai vostri sentimenti, dalle rifl essioni più profonde! Ma io<br />
non ho timore di attingere al mio Silenzio, che mi rimanda ad <strong>un</strong>a persona<br />
sorda che s’impegna per la labiolettura. Le vostre parole talvolta<br />
sono “assordanti”, <strong>un</strong> continuo bla-bla con cui vi presentate davanti al<br />
nostro cospetto, affermando: «Questi codici verbali fanno di noi persone<br />
normali». Io – te lo dico – non ho il complesso di chi ode. Credo<br />
d’essere <strong>un</strong>a persona con i problemi e le gioie di tante. Il mio sforzo è<br />
far comprendere alla com<strong>un</strong>ità di accogliere il sordo nelle sue strutture,<br />
affi nché essa si impegni per superare le barriere che ostacolano<br />
l’accesso alla vita di relazione. Ovviamente, questo diritto, è per tutti<br />
i disabili quando ci si accorge che sono le strutture inadatte e il personale<br />
dequalifi cato a generare l’handicap, a bloccare la partecipazione<br />
socioculturale e politica. Le pari opport<strong>un</strong>ità sbandierate per i disabili,<br />
in primis per i sordi, sono proposte astute e miserevoli di fanfaroni nel<br />
periodo elettorale, se non agiscono.<br />
Sai bene questo; lo noto nei tuoi occhi. Non hai il coraggio di guardare<br />
i miei. Perché ti vergogni.<br />
16<br />
4 Consumare, sciupare.
Lascia che ti stia accanto nel viaggio, insieme, per accertarci degli<br />
ostacoli, superati e no, per la conquista della favella 5 , possibilmente<br />
sforzo comprensibile anche agli udenti.<br />
Anni dopo, mia madre, mi aveva raccontato il drammatico colloquio<br />
avuto con te, mentre eravamo seduti su questo scoglio. Ti ricordo<br />
le sue parole.<br />
«Che ne sarà di mio fi glio? Potrà parlare come gli altri bambini?»<br />
Erano interrogativi di <strong>un</strong>a mamma angosciata. E tu la consolavi con<br />
le parole:<br />
«Non se ne faccia <strong>un</strong> cruccio, signora» rispondevi. «Parlerà come<br />
tutti i bambini normali. Il linguaggio è vario, ricco d’imprevisti, appare<br />
e scompare».<br />
Mia madre insisteva:<br />
«Voglio sapere con certezze se riuscirà a parlare a voce come tutti<br />
gli altri».<br />
«Certo, signora, suo fi glio avrà <strong>un</strong>a voce perfetta. La parola vocale<br />
per lui non avrà segreti».<br />
Con forza accentavi le risposte a mia madre.<br />
Il racconto di mamma del vostro dialogo mi aveva riportato indietro<br />
nel tempo. Mi ero rivisto in quel luogo, mentre guardavo il volo dei<br />
gabbiani nello spazio, pensando che il mio silenzio di vita si annullava<br />
nell’immensità dell’azzurro. Proprio in quel momento compresi che<br />
cos’era il Silenzio. E di soppiatto ti avevo osservata per alc<strong>un</strong>i minuti<br />
pensando fra me e me: «Mia Logo, tu sai che cos’è il Silenzio?» Non<br />
avevi intuito i miei pensieri. Continuavi a parlare con mia madre su<br />
come sarei divenuto parola verbale. Mi sembrava che tu e mia madre, di<br />
tanto in tanto, alzavate gli occhi per seguire il volo dei gabbiani, ascoltavate<br />
gli schiamazzi dei fanciulli che si rincorrevano allegri per la spiaggia,<br />
il fi schio del treno che sopraggi<strong>un</strong>geva dal nord, il rumoreggiare dei<br />
pescatori di Porto Recanati che tiravano a riva le reti da pesca.<br />
5 Facoltà di parlare a voce.<br />
17
Io so che tu conosci, e intensamente sperimenti, il mondo delle voci<br />
e dei suoni, le parole dialettali che ascolti e memorizzi, adattandole<br />
alle tue emozioni e necessità, che rimandi poi, in lingua vocale, alle<br />
persone incontrate nel corso principale della città.<br />
Non pensare che mi sia ignoto il processo di apprendimento della<br />
parola… Vi è stato infatti <strong>un</strong> tempo in cui sperimentai l’ascolto delle<br />
voci e dei suoni. Cascata di parole e di musica che mi investivano<br />
d’improvviso come le onde del mare investono la spiaggia. E mirando<br />
il mare mi scoprivo <strong>un</strong> cuore capace d’abbracciare tutto l’<strong>un</strong>iverso!<br />
Esso era immenso come il mare che avevo davanti agli occhi, ondivago<br />
6 nelle onde che mi sfi oravano le mani e i piedi. Amavo salutare con<br />
le mani il mare amato che forgiava la mia vita, gli atavici 7 richiami<br />
di pescatori e pesciarole 8 trainanti il carretto carico di pesce appena<br />
pescato.<br />
Mia Logo, in quel tempo non conoscevo questo silenzio! Qualc<strong>un</strong>o<br />
me ne aveva accennato di fretta, ma pensavo che a me non sarebbe mai<br />
toccata la disgrazia.<br />
Tu, nel discorrere con mamma del mio passato, ti eri tutta illuminata<br />
chiedendole «Ma questo bambino non è stato sempre immerso<br />
nel silenzio?». Mamma aveva accennato, col capo, di no. Tu ti eri<br />
illuminata in viso e mi avevi stretto forte la manina, facendomi male,<br />
pareva avessi scoperto in me il bambino sempre cercato, per attuare le<br />
tue teorie sulla riabilitazione del linguaggio.<br />
Ora ricordo bene la storia. Sì, ormai sono cosa tua e ti sto dietro<br />
senza fi atare. Siamo diretti nella sede in cui si “apprende a parlare”.<br />
Nel mio trotterellare, per tenere il tuo passo, s’impadronisce di me<br />
<strong>un</strong>’abulia 9 che, di sicuro, si rifl etterà sull’apprendimento. Sinceramente<br />
lo dico: sono stufo delle tante parole che mi sono state propinate.<br />
Non le conosco come le conosci tu; ti entrano negli orecchi; mi han-<br />
18<br />
6 Incerto sul mare o sulle onde.<br />
7 Antichi.<br />
8 Termine dialettale per “pescivendole”.<br />
9 Debolezza di volontà.
no pure spiegato che ogni parola udita continua il percorso sonoro<br />
per raggi<strong>un</strong>gere la corteccia cerebrale, qui interpretata correttamente<br />
sia nella tonalità che nel signifi cato. Ecco la parola “pollo”, la parola<br />
“collo”, la parola “albero” e così via. Com’è facile appropriarsi delle<br />
parole ascoltandole! Sono gli altri, come in <strong>un</strong> gioco, a farti innamorare<br />
di esse. Dici a mia madre, con autorità:<br />
«Signora, riconoscerà che ogni persona normale com<strong>un</strong>ica a voce.<br />
Se suo fi glio vorrà appartenere a questa categoria dovrà impegnarsi decisamente<br />
nell’apprendimento della parola vocale». La tua fermezza,<br />
nel pron<strong>un</strong>ciare questa frase, raggelò mamma. Mi ricordo che restai con<br />
la manina a mezz’aria nello scorgerla sbiancare in volto, nell’istante<br />
in cui, allegramente, imitavo il volo dell’aquilone pensando che, con<br />
te, mi sarebbe stato diffi cile utilizzare le mani per «esprimermi». Ti<br />
opponevi a qualsiasi imitazione visiva. D’improvviso il fi lo dell’aquilone<br />
s’impigliò sui lampioni di via del Sole, vicino casa mia. Ah, mi<br />
sono sbagliato! Non si chiamano lampioni. Sono aste l<strong>un</strong>ghe, in cima<br />
ricurve dov’è <strong>un</strong>a lampada luccicante, color avana. Non so il nome di<br />
quel coso. Ness<strong>un</strong>o si è dato peso di fornirmene il nome. Nemmeno tu<br />
che di professione dovresti portarmi a conoscenza di tutte le parole del<br />
mondo, in particolare come vengono pron<strong>un</strong>ciate. Voi udenti date <strong>un</strong><br />
nome a tutte le cose, a tutto quel che è animato; basta che ci caliamo<br />
in quelle parole perché… ogni conoscenza è risolta. Così rapidamente,<br />
ve li passate l’<strong>un</strong> l’altro in lingua o in dialetto quelle parole! Tuttavia,<br />
te lo dico con sincerità, le tue frasi in lingua italiana e quelle dei genitori<br />
in dialetto, mi creano confusione. Mi sto convincendo che sarà<br />
molto diffi cile, per me, apprendere la vostra lingua.<br />
Sono nella tua bella casa, ornata di cristalli e piante. Mi prendi per<br />
mano portandomi di fronte allo specchio, dici: «Sii bravo. Ora guardati<br />
bene le labbra e la bocca, poi pron<strong>un</strong>cia <strong>un</strong>a vocale». Sono perplesso.<br />
Azzardo <strong>un</strong>a vocale, e tu, in <strong>un</strong> lampo: «Mio Dio, non così!». Sono<br />
stupito della tua faccia. «Ma non ho pron<strong>un</strong>ciato niente» deduco. Mi<br />
blocchi. «Sei insicuro nell’impostare la b, la confondi con la p. Dài,<br />
19