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Contratto ImpresaEuropa - Cedam

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PUBBLICAZIONE SEMESTRALE ISSN 1127-2872<br />

ANNO XI - N. 2 LUGLIO-DICEMBRE 2006<br />

<strong>Contratto</strong> e impresa / Europa<br />

2<br />

anno undicesimo<br />

a cura di<br />

F. Galgano e M. Bin<br />

Sentenze su class actions statunitensi ed esecuzione<br />

in Europa<br />

<strong>Contratto</strong>: democrazia economica<br />

e disciplina del contratto europeo;<br />

etica e contratto tra civil law e common law<br />

Antitrust: i nuovi poteri dell’Autorità garante<br />

Diritto comunitario: delocalizzazioni industriali;<br />

notifiche nell’U.E.<br />

Germania: condictio indebiti; Corporate Governance Kodex;<br />

recesso nei contratti porta-a-porta<br />

Restituzioni e arricchimento ingiustificato nei diritti europei<br />

«Discriminazioni a rovescio» nell’accesso alle professioni<br />

Organizzazione Mondiale del Commercio:<br />

telecomunicazioni; attività giurisdizionale (2004-2006)<br />

Privacy e viaggi aerei negli Stati Uniti<br />

La legge comunitaria (2006)<br />

2006


<strong>Contratto</strong> e impresa / Europa<br />

2<br />

anno undicesimo<br />

a cura di<br />

F. Galgano e M. Bin<br />

Sentenze su class actions statunitensi ed esecuzione<br />

in Europa<br />

<strong>Contratto</strong>: democrazia economica<br />

e disciplina del contratto europeo;<br />

etica e contratto tra civil law e common law<br />

Antitrust: i nuovi poteri dell’Autorità garante<br />

Diritto comunitario: delocalizzazioni industriali;<br />

notifiche nell’U.E.<br />

Germania: condictio indebiti; Corporate Governance Kodex;<br />

recesso nei contratti porta-a-porta<br />

Restituzioni e arricchimento ingiustificato nei diritti europei<br />

«Discriminazioni a rovescio» nell’accesso alle professioni<br />

Organizzazione Mondiale del Commercio:<br />

telecomunicazioni; attività giurisdizionale (2004-2006)<br />

Privacy e viaggi aerei negli Stati Uniti<br />

La legge comunitaria (2006)<br />

2006


PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />

´ Copyright 2006 by <strong>Cedam</strong> - Padova<br />

A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la<br />

riproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico,<br />

meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.<br />

Stampato in Italia - Printed in Italy<br />

Fotocomposizione e stampa: Bertoncello Artigrafiche - Cittadella (PD)


<strong>Contratto</strong> e impresa / Europa<br />

DIBATTITI<br />

RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE IN EUROPA<br />

DI SENTENZE STATUNITENSI RELATIVE AD UNA «CLASS ACTION»<br />

The Recognition and Enforcement of US Class Action Judgments in<br />

England di Jonathan Harris . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 617<br />

Would French Courts Enforce U.S. Class Action Judgments? di Marina<br />

Matousekova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 651<br />

SAGGI<br />

Alessandro Somma, Esportare la democrazia economica. Diritti e doveri nella<br />

disciplina del contratto europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 677<br />

Sommario: 1. Dal diritto privato come sistema di diritti al diritto privato<br />

come sistema di doveri. – 2. L’economia sociale di mercato e il sistema dei<br />

diritti e dei doveri nella disciplina del contratto europeo. – 3. Diritto contrattuale<br />

europeo e tutela dell’ambiente: contratto turistico e turismo sostenibile.<br />

– 4. Diritto contrattuale europeo e tutela dei lavoratori: contratto<br />

standard e consumerismo critico.<br />

2<br />

anno undicesimo<br />

a cura di<br />

F. Galgano e M. Bin<br />

INDICE SOMMARIO<br />

Antonio Lordi, Valori etici e principio di complementarità tra sistemi giuridici . . » 697


VI INDICE SOMMARIO<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Economia di mercato e diritto: la nascita della<br />

distinzione tra « contratto isolato » e « contratto di mercato ». – 3. L’influenza<br />

del civil law sul common law: compravendita di beni immobili e rimedi<br />

di Equity. – 4. Etica puritana e diritto dei contratti: dall’absolute contract<br />

al new spirit del contratto. – 5. Il giurista italiano tra civil law e common<br />

law.<br />

Paolo Cassinis, I nuovi poteri dell’Autorità nell’ambito della dialettica tra public<br />

e private enforcement . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 719<br />

Sommario: 1. Premessa. – Parte I: 2. I “nuovi” poteri dell’Autorità Garante<br />

della Concorrenza e del Mercato. – 2.1. Le misure cautelari. – 2.2. Le decisioni<br />

con impegni. – 2.3. Il programma di clemenza. – Parte II: 3. Rapporti<br />

ed interrelazioni tra public e private enforcement – 3.1. Tutela “binaria” del<br />

diritto antitrust: ruoli e funzioni del public e private enforcement. – 3.2. Caratteristiche<br />

degli illeciti antitrust: la natura segreta delle intese hard-core. –<br />

3.3. Rapporti tra procedimento antitrust e giudizi civili antitrust: ambiti e limiti.<br />

– 3.3.1. Coordinamento tra procedimento antitrust e giudizio civile:<br />

efficacia della decisione antitrust nei giudizi civili: A) Le decisioni della<br />

Commissione: artt. 16, 10 e 9, Reg. CE 1/2003; B) Le decisioni delle autorità<br />

di concorrenza nazionali: la « soluzione tedesca »; la « soluzione inglese<br />

»; la « situazione italiana »; le opzioni del Libro Verde. – 3.3.2. Strumenti<br />

di cooperazione e raccordo tra public e private enforcement. – 3.3.3. Garanzie<br />

di funzionalità del procedimento amministrativo: tutela della riservatezza<br />

e le opzioni del Libro Verde. – 4. Conclusioni.<br />

Ermenegildo Mario Appiano, Parlamento Europeo e Commissione a confronto<br />

sulle delocalizzazioni industriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 751<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La posizione iniziale del Parlamento Europeo.<br />

– 3. La posizione iniziale della Commissione. – 4. Il compromesso.<br />

Luigi A. Scarano, Notificazione e comunicazione di atti nell’Unione europea . . » 780<br />

Sommario: 1. Unione europea, spazio giuridico europeo e « comunitarizzazione<br />

» della disciplina in tema di comunicazione e notificazione di atti<br />

giudiziari ed extragiudiziali. – 2. Ambito oggettivo della disciplina. a) La<br />

materia civile e commerciale. – 3. Segue: b) Atti giudiziari ed extragiudiziali.<br />

– 4. Segue: c) Trasmissione a scopo di notificazione o comunicazione.<br />

– 5. Segue: d) Recapito noto del destinatario dell’atto. Recapito ignoto<br />

e destinatario irreperibile. – 6. Caratteri essenziali della disciplina. a) Semplificazione<br />

del procedimento e sistema decentrato. – 7. Segue: b) Accelerazione<br />

della trasmissione. – 8. Segue: c) Lingua dell’atto. – 9. Modalità e<br />

forma principale di notificazione o comunicazione. – 10. Data di notificazione<br />

o comunicazione dell’atto. Il principio della “scissione” tra perfezionamento<br />

ed efficacia della notificazione o comunicazione. – 11. Segue:<br />

Il principio della “scissione” nell’ordinamento italiano. Rilievi critici. – 12.


INDICE SOMMARIO VII<br />

Segue: La soluzione accolta dal Regolamento: critica. – 13. Modalità alternative<br />

o sussidiarie. a) Notificazione o comunicazione (“indiretta” e “diretta”)<br />

per via consolare o diplomatica. – 14. Segue: b) Notificazione o comunicazione<br />

postale “diretta”. – 15. Segue: c) Forme particolari di notifica.<br />

– 16. Segue: d) La domanda “diretta” di notificazione. – 17. L’art. 19 quale<br />

fonte di disciplina processuale uniforme. – 18. Segue: a) La regolare costituzione<br />

del contraddittorio. La sospensione necessaria (cd. europea) del<br />

processo. – 19. Segue: b) Contumacia del convenuto e rimessione in termini.<br />

– 20. Osservazioni conclusive.<br />

André Janssen, La restituzione dei pagamenti fatti agli «Schenkkreise» tedeschi pag. 855<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le fattispecie giustiziate dal BGH. – 3. Le<br />

valutazioni giuridiche contenute nelle due sentenze (letteralmente identiche)<br />

del BGH. – 3.1. I presupposti della condictio indebiti secondo il § 812,<br />

comma 1°, periodo 1°, alternativa 1 a , BGB. – 3.2. L’impedimento alla condictio<br />

di cui al § 817, periodo 2°, BGB nell’ipotesi d’immoralità bilaterale. –<br />

4. In sintesi.<br />

Michele Rondinelli, Il Deutscher Corporate Governance Kodex . . . . . . . . . » 865<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le fasi che hanno preceduto la realizzazione<br />

del DCGK. – 3. I destinatari e la struttura del DCGK. – 4. Il contenuto del<br />

DCGK: raccomandazioni, suggerimenti e altre regole. – 5. Il § 161 della<br />

legge azionaria. Entsprechenserklärung e divergenze dal principio anglosassone<br />

del «comply or explain ». – 6. Gli obblighi pubblicitari previsti dal § 161<br />

della legge azionaria e dai §§ 285 n. 16, 314 comma 1°, n. 8, 325 comma 1°,<br />

del codice di commercio. – 7. Natura e conseguenze giuridiche dell’obbligo<br />

informativo ex § 161 della legge azionaria. – 8. Segue: sull’ipotesi di fehlende<br />

Entsprechenserklärung. – 9. Segue: sull’ipotesi di Entsprechenserklärung non<br />

veritiera. – 10. Segue: sull’ipotesi di Entsprechenserklärung rivolta al futuro<br />

nel caso di devianza da essa nel corso dell’anno. – 11. Il DCGK dalla prima<br />

versione del 2000 alle recenti modifiche. – 12. Il DCGK nella prassi. – 13.<br />

Critiche e prospettive del DCGK. Considerazioni conclusive.<br />

Cristiana Cicoria, Il diritto di recesso dai contratti porta-a-porta: il caso delle<br />

«Schrottimmobilien » in Germania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 901<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il contratto di mutuo porta-a-porta e il<br />

diritto di recesso: la normativa tedesca e comunitaria prima della sentenza<br />

Heininger. – 3. L’applicazione della direttiva in Germania e la sentenza<br />

Heininger: questioni di compatibilità. – 4. Gli effetti del recesso sul contratto<br />

di mutuo. – 5. Gli effetti del recesso sul contratto di vendita: la normativa<br />

sui contratti collegati. – 6. Le critiche alla giurisprudenza del BGH e le<br />

tendenze attuali. – 7. Il giudizio di rinvio: opinioni e pareri e la decisione<br />

della Corte di giustizia delle Comunità europee. – 8. Conseguenze della<br />

decisione della Corte di Giustizia per i consumatori tedeschi: alcune alter-


VIII INDICE SOMMARIO<br />

native. – 9. Il dovere di informativa della banca: le attuali problematiche<br />

nel diritto civile tedesco. – 10. Conclusioni.<br />

Antonio Albanese, Il rapporto tra restituzioni e arricchimento ingiustificato dall’esperienza<br />

italiana a quella europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 922<br />

Sommario: 1. Un problema europeo. – 2. L’influenza del sistema francese.<br />

– 3. L’influenza del sistema germanico. – 4. L’influenza del common law. –<br />

5. Il sistema italiano: commistione e complementarità delle obbligazioni<br />

restitutorie. – 6. I requisiti dell’azione di arricchimento nel modello anglotedesco.<br />

– 6.1. La sussidiarietà. – 7. I Principles of European Unjustified Enrichment<br />

Law.<br />

Najdat Al Najjari-Erica Mussato, L’impatto del diritto comunitario nell’ordinamento<br />

interno: in particolare, il problema della discriminazione « a rovescio<br />

» nell’accesso alle professioni tra giurisprudenza e interventi normativi . . » 962<br />

Sommario: 1. Premessa: il concetto di discriminazione « a rovescio ». – 2.<br />

La discriminazione « a rovescio » e le professioni regolamentate: una ricostruzione<br />

storica. – 3. Origine delle discriminazioni « a rovescio ». – 4. I<br />

possibili rimedi di natura giurisdizionale: Corte di Giustizia e Corte Costituzionale.<br />

– 5. La giurisprudenza recente della Corte di Giustizia e la professione<br />

di avvocato. – 6. Altre decisioni rilevanti in tema di discriminazioni<br />

« a rovescio ». – 7. La posizione della Corte Costituzionale. – 8. Segue. Il<br />

principio di uguaglianza tra Corte di Giustizia e Corte Costituzionale. – 9.<br />

La Corte Costituzionale e le discriminazioni « a rovescio ». – 10. L’articolo<br />

2, comma 1°, lett. h), della legge comunitaria 2005. – 11. Campo di applicazione<br />

soggettivo: le attività professionali e commerciali. – 12. Prospettive<br />

ed attuazione del divieto. – 13. Conclusioni.<br />

Eugenia C. Laurenza-Miriam Kominarecova, Some Reflections from the<br />

WTO Mexico – Telecommunications Dispute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 998<br />

Contents: 1. Introduction. – 2. The WTO Telecommunication Framework.<br />

– 2.1. The General Agreement on Tariffs and Trade and the Annex. –<br />

2.2. The Reference Paper on Telecommunication Services. – 3. The Telmex<br />

Case. – 3.1. Background of the dispute. – 3.2. The Panel Report. – 3.2.1. Interconnection<br />

at « Cost Oriented Rates ». – 3.2.2. The prevention of anticompetitive<br />

practices. – 3.2.3. Access and use of public telecommunication<br />

networks. – 4. Lessons from the Telmex Case. – 5. Conclusions.<br />

OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO<br />

Repertorio dell’attività giurisdizionale dell’Organizzazione Mondiale<br />

del Commercio di Eugenia C. Laurenza-Paolo R. Vergano . . . . . . . . . . » 1016


INDICE SOMMARIO IX<br />

Note minime in margine alla pronuncia della Corte di giustizia delle<br />

Comunità europee sul trasferimento dei dati personali dei passeggeri<br />

dei vettori aerei verso gli Stati Uniti di Alessandro Mantelero . pag. 1075<br />

OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DELLE NORMATIVE CE<br />

L’ITER della comunitaria 2006: lo stato dell’arte del disegno di legge<br />

di Rossana Pennazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1083


Hanno collaborato a questo numero:<br />

Antonio Albanese, avvocato in Bologna; dottore di ricerca in Diritto Civile;<br />

Najdat Al Najjari, avvocato in Treviso;<br />

Ermenegildo Mario Appiano, avvocato in Torino; dottore di ricerca in Diritto delle<br />

Comunità Europee;<br />

Paolo Cassinis, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Servizio Giuridico;<br />

Cristiana Cicoria, referente presso la Camera di Commercio di Amburgo;<br />

Jonathan Harris, Professor of International Commercial Law, School of Law, University<br />

of Birmingham, United Kingdom; Barrister, Brick Court Chambers, London.<br />

André Jannsen, assistente scientifico nell’Università di Münster, Germania;<br />

Miriam Kominarecova, avvocato in Bruxelles;<br />

Eugenia C. Laurenza, avvocato in Bruxelles;<br />

Antonio Lordi, General Counsel - Europe della Union Switch & Signal Inc., Pittsburgh,<br />

Pa., U.S.A.;<br />

Alessandro Mantelero, ricercatore di Diritto commerciale presso il Politecnico di<br />

Torino;<br />

Marina Matousekova, avvocato in Parigi;<br />

Erica Mussato, dottore in giurisprudenza;<br />

Rossana Pennazio, dottore di ricerca in Diritto Civile;<br />

Michele Rondinelli, dottore in giurisprudenza;<br />

Luigi A. Scarano, magistrato;<br />

Alessandro Somma, professore ordinario di Diritto Privato Comparato nell’Università<br />

di Ferrara;<br />

Paolo R. Vergano, avvocato in Bruxelles.<br />

Per eventuali contatti con gli autori si rimanda all’indirizzo e-mail della rivista.


Dibattiti<br />

RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE IN EUROPA DI SENTENZE<br />

STATUNITENSI RELATIVE AD UNA « CLASS ACTION »<br />

La Direzione è lieta di offrire ai lettori due contributi di alto valore scientifico<br />

all’appena sbocciata discussione su un problema nuovo, ma di grande<br />

rilevanza. Sempre più spesso, invero, attori stranieri cercano di intentare<br />

« class actions » negli Stati Uniti: laddove è ovvio che quello relativo alla possibilità<br />

di ottenere il riconoscimento e l’esecuzione dell’eventuale sentenza favorevole<br />

fuori degli Stati Uniti diviene interrogativo fondamentale sul piano<br />

pratico non solo a posteriori, ma addirittura a priori, giacchè i convenuti in<br />

« class actions » davanti a Corti statunitensi tentano di bloccare preliminarmente<br />

il giudizio asserendone l’inammissibilità per inutilità in quanto l’eventuale<br />

sentenza di accoglimento non potrebbe di fatto trovare esecuzione.<br />

*<br />

The Recognition and Enforcement of US Class Action Judgments in<br />

England<br />

1. - Introduction<br />

There is no clear English authority as to whether, and in what circumstances,<br />

a United States class action judgment is entitled to recognition<br />

and enforcement in England. Accordingly, where a class member has not<br />

participated in the US proceedings, and has simply failed to opt out of the<br />

class, one cannot confidently predict whether such a judgment would be<br />

recognised. There are arguments that can be made for and against recognition.<br />

Nevertheless, on the present state of English law, it is suggested<br />

that a cogent case can be made for the recognition and enforcement of<br />

the judgment in England.<br />

There is also academic support for the view that there is a good prospect<br />

of recognition in England. One author, Dixon ( 1 ), remarks as follows:<br />

( 1 ) Dixon, The Res Judicata Effect in England of a US Class Action Settlement, (1997) 46<br />

International and Comparative Law Quarterly, p. 134.


618 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

I reach the conclusion that . . . [a US class action] Order has a good chance of supporting<br />

a plea of res judicata in England. It is a final judgment of a court of competent jurisdiction<br />

which disposes of the rights of the parties . . . The judge, acting under an<br />

obligation to protect the absent class members, held a hearing, considered the evidence<br />

and made a ruling. That ruling is entitled to be upheld by the English court, and<br />

is unlikely to be rejected on the grounds of breach of natural justice ( 2).<br />

This chapter will consider a range of arguments in support of this<br />

viewpoint. We shall see that the English rules on recognition and enforcement<br />

of foreign judgments, as stated in the authorities and leading<br />

works, ( 3 ) are concerned with the position of the defendant and not<br />

that of the claimant. Furthermore, even if an English court were prepared<br />

to consider applying its rules on recognition and enforcement of<br />

foreign judgments to an overseas claimant, a good case can be made<br />

for arguing that the judgment would not normally be considered to be<br />

contrary to English standards of natural justice or public policy, provided<br />

that the court of origin takes reasonable steps to adopt the procedures<br />

necessary to give notice to potential members of the class and<br />

provide procedural safeguards for absent class members. Moreover,<br />

English law itself recognises the concepts of group and representative<br />

actions. A number of important English cases stress that comparison of<br />

the relative merits of the procedures of overseas jurisdictions with<br />

those of English law is best avoided, save in extreme cases. Furthermore,<br />

as a matter of practice, US courts, when considering whether to<br />

certify a class which includes claimants resident in England who have<br />

not opted out of the action, may require a very high standard of proof<br />

by the defendant to show that it is almost certain that the judgment<br />

would not be recognised in England. Given the lack of authority and<br />

the considerable uncertainty as to the position in England, it would be<br />

very difficult to argue that this standard of proof could be discharged<br />

on the present state of English law. This may well be sufficient to satisfy<br />

a US judge that the English claimants should be certified as members<br />

of the class.<br />

( 2 ) At p. 136.<br />

( 3 ) See, in particular, Briggs-Rees, Civil Jurisdiction and Judgments (LLP, 4 th edn,<br />

2005); North-Fawcett (eds.), Cheshire and North: Private International Law (Butterworths,<br />

13th edn, 1999); Collins et al (eds.), Dicey, Morris and Collins on the Conflict of Laws<br />

(Sweet & Maxwell, 14th edn, 2006) and Hill, International Commercial Disputes in English<br />

Courts (Hart Publishing, 3 rd edn, 2005).


DIBATTITI 619<br />

2. – The prospects of a separate action by an absent class member in the English<br />

courts<br />

An important initial point concerns the likelihood of an English<br />

claimant who has been certified as a member of a US class action in practice<br />

choosing to instigate separate proceedings against the defendant in<br />

England. The losses suffered by the claimant would need to be sufficient<br />

to justify the time and expense of commencing proceedings in England.<br />

Given the likelihood that experts on US law may be required, witnesses<br />

from overseas may be necessary and discovery may be difficult, this is<br />

rarely likely to be an attractive prospect ( 4 ). The US class action is likely to<br />

be a more efficient and effective means for the claimant to obtain damages.<br />

Even a claimant who obtains a lesser sum in US proceedings in<br />

which he did not actively participate might prefer to accept the settlement<br />

than to seek to sue afresh in the courts of England ( 5 ). One author observes<br />

that:<br />

The risk that absent class members will sue again in the courts of their home countries<br />

is often more theoretical than actual. A number of barriers, including lack of contingent<br />

fees, smaller damage awards, and the concentration of the evidence outside of<br />

the claimants’ home countries, make suing again on the same set of facts outside of<br />

the United States unrealistic . . . If judges were to weigh these factors more carefully<br />

when considering certification of a class, in most cases they would discover that the<br />

risk of repeat litigation in foreign courts is minor and does not justify exclusion of foreign<br />

claimants ( 6).<br />

Nonetheless, if a claimant were to seek to commence litigation in an<br />

English court ( 7 ) in a matter that was not res judicata, an English court<br />

might well have jurisdiction to hear the case. If the defendant is a company<br />

that is domiciled in a Member State of the European Union ( 8 ) within<br />

( 4 ) See Re Lloyd’s American Trust Fund Litigation, 1998, WL 50211 (SDNY), pp. 15-16.<br />

( 5 ) See further Re DaimlerChrsyler AG Sec Litigation, 216 FRD 291, pp. 300-301 (D Del<br />

2003); Buschkin, The Viability of Class Action Lawsuits in a Globalized Economy- Permitting<br />

Foreign Claimants to Be Members of Class Action Lawsuits in the US Federal Courts (2005) 90<br />

Cornell L Rev., p. 1563.<br />

( 6 ) Buschkin, ibid., p. 1596. The author notes that such a conclusion was reached in Re<br />

US Financial Securities Litigation, Société Generale de Banque v Touche Ross & Co 69 FRD<br />

24, pp. 48-49 (1975).<br />

( 7 ) See also Parsons vs. McDonald’s Restaurants of Canada Ltd 250 DLR (4 th ) 224 (2005)<br />

(Ont CA), where a claimant who did not opt out of an Illinois class action and took no part<br />

in the US proceedings chose to sue afresh in Ontario and was permitted to do so.<br />

( 8 ) Other than Denmark, to which the earlier Brussels Convention applies: see the


620 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

the meaning of Article 60 ( 9 ) of Council Regulation (EC) No 44/2001 of 22<br />

December 2000 on jurisdiction and the recognition and enforcement of<br />

judgments in civil and commercial matters (« the Brussels I Regulation »),<br />

on the basis that its statutory seat (i.e. registered office) is in a Member<br />

State, then the Brussels I Regulation will apply ( 10 ). The same will be true<br />

if the defendant is an individual domiciled in England according to the<br />

statutory rules of English law ( 11 ).<br />

Normally, a claimant should sue a defendant domiciled in a European<br />

Member State in the state where that defendant is domiciled ( 12 ). Nevertheless,<br />

a claimant may have the option to sue in a state other than that of<br />

the defendant’s domicile. For example, Article 5(1) of the Brussels I Regulation<br />

gives special jurisdiction in matters relating to contract to the<br />

courts for the place of performance of the obligation in question. Article<br />

5(3) grants jurisdiction in matters relating to tort to the place where the<br />

harmful event occurred or there is a risk of it occurring. However, although<br />

the claimant may have a choice of fora in the European Union, he<br />

may only commence proceedings in one Member State. Once he does so,<br />

Civil Jurisdiction and Judgments Act 1982, schedule 1. In the case of defendants domiciled<br />

in Iceland, Norway, or Switzerland, the Lugano Convention on jurisdiction and the<br />

enforcement of judgments in civil and commercial matters is applicable: see the Civil Jurisdiction<br />

and Judgments Act 1982, schedule 3C.<br />

( 9 ) Article 60 provides as follows:<br />

1. For the purposes of this Regulation, a company or other legal person or association of<br />

natural or legal persons is domiciled at the place where it has its:<br />

(a) statutory seat, or<br />

(b) central administration, or<br />

(c) principal place of business.<br />

2. For the purposes of the United Kingdom and Ireland "statutory seat" means the registered<br />

office or, where there is no such office anywhere, the place of incorporation or, where<br />

there is no such place anywhere, the place under the law of which the formation took place.<br />

( 10 ) The Brussels I Regulation rules apply, within the scope of the Regulation, to defendants<br />

domiciled in Member States of the European Union (other than Denmark).<br />

( 11 ) There is no European autonomous definition of the domicile of individual defendants.<br />

Each Member State adopts its own rules to determine whether an individual defendant<br />

is domiciled in that state. English provides that a person is domiciled in the United<br />

Kingdom if he resides there and the nature and circumstances of his residence indicate that<br />

he has a substantial connection with the United Kingdom: see Civil Jurisdiction and Judgments<br />

Order 2001, SI 2001/3929, para 9(2) (formerly section 41(2) of the Civil Jurisdiction and<br />

Judgments Act 1982). There is a rebuttable presumption that a substantial connection exists<br />

after three months or more continuous residence: para 9(6) of the 2001 Order. An individual<br />

defendant is domiciled in England if the same criteria are satisfied in relation to that country.<br />

( 12 ) See Article 2 of the Brussels I Regulation.


DIBATTITI 621<br />

the « court first seised » mechanism of Articles 27 and 28 acts to remove<br />

the jurisdictional competence of the courts of other Member States.<br />

If, on the other hand, the defendant is domiciled outside the European<br />

Union ( 13 ) (and, more particularly, in the United States), then, with<br />

certain exceptions, the English common law rules of jurisdiction will normally<br />

determine the English court’s jurisdiction ( 14 ). An English court has<br />

jurisdiction as of right if the defendant can be validly served with a claim<br />

form. This will be permitted where he is present in the jurisdiction ( 15 ).<br />

However, the defendant might seek to obtain a stay of the English proceedings<br />

on the basis that another state is a more appropriate forum ( 16 ). If<br />

the English court could not take jurisdiction as of right, then the claimant<br />

must persuade the court to exercise its discretion to serve the claim form<br />

on the defendant outside the jurisdiction. He must show a good arguable<br />

case that the claim falls within one of the bases contained in the Civil Procedure<br />

Rules (CPR), Part 6.20. These bases include provisions on contract<br />

and tort claims. As to the former, the rules allow for service out, where,<br />

inter alia, a claim is made in respect of a contract where the contract: was<br />

made within the jurisdiction; was made through an agent trading or residing<br />

within the jurisdiction; is governed by English law; or contains a term<br />

to the effect that the court shall have jurisdiction to determine any claim<br />

in respect of the contract ( 17 ). They also apply where a claim is made in respect<br />

of a breach of contract committed within the jurisdiction ( 18 ). Service<br />

of the claim form outside the jurisdiction is possible with the permission<br />

of the court for a claim in tort where damage was sustained within<br />

the jurisdiction or the damage sustained resulted from an act committed<br />

( 13 ) And is also domiciled outside the states to which the Lugano Convention applies.<br />

The common law rules also apply if the litigation falls outside the subject matter of the European<br />

rules.<br />

( 14 ) Pursuant to Article 4 of the Brussels I Regulation. In matters within the scope of<br />

the Brussels I Regulation, the court first seised mechanism of Articles 27 and 28 is still applicable,<br />

even where an English court exerts common law jurisdiction.<br />

( 15 ) In the case of corporate defendants, see the rules on service contained in the Companies<br />

Act 1985; and see the procedures for serving a company detailed in CPR Part 6.<br />

( 16 ) See Spiliada Maritime Corp vs. Cansulex Ltd [1987] AC 460. The defendant must<br />

first prove that there is another available forum which is clearly or distinctly more appropriate<br />

for resolution of the dispute. If he succeeds, the burden of proof passes to the<br />

claimant, who may nonetheless resist a stay if he shows that it would be unjust to require<br />

him to sue overseas. The first limb is concerned with objective questions about the dispute;<br />

the latter deals with more subjective issues relating to the circumstances of the parties.<br />

( 17 ) CPR 6.20(5).<br />

( 18 ) CPR 6.20(6). See also CPR 6.20(7).


622 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

within the jurisdiction ( 19 ). However, since the matter remains within the<br />

discretion of the English courts, the claimant must still satisfy the court<br />

that England is the proper place in which to hear the matter ( 20 ) and assert<br />

in his application that he believes that he has a reasonable prospect of<br />

success on the merits ( 21 ).<br />

It is not necessary to dwell on the question of the English court’s jurisdiction<br />

for present purposes. We have seen that there will rarely be sufficient<br />

incentive for the claimant to commence separate proceedings in<br />

the English courts. Moreover, the English court’s jurisdiction only becomes<br />

relevant if the US judgment does not render the matter res judicata.<br />

The key question is rather whether the English court would recognise and<br />

enforce a US class action judgment between the same parties (including<br />

the absent class members). If so, then this would make the claim res judicata<br />

in England and any aggrieved claimant (unless they had earlier opted<br />

out of the US action) could not in any event commence litigation afresh<br />

in the English courts.<br />

This chapter will consider the position under English law in the event<br />

that an English class member does not participate actively in the US proceedings<br />

and argues that any ensuing US judgment is not entitled to<br />

recognition in England. First, the chapter considers briefly the relevant<br />

rules on the recognition and enforcement of foreign judgments in England.<br />

It then reflects upon the application of those rules to US class action<br />

judgments.<br />

3. – An outline of the common law rules on the recognition and enforcement<br />

of foreign judgments in England<br />

(A) The schemes of recognition and enforcement of foreign judgments applicable<br />

in England<br />

Four major schemes of recognition and enforcement of foreign judgments<br />

are applicable in England: the Brussels I Regulation; the Administration<br />

of Justice Act 1920; the Foreign Judgments (Reciprocal Enforcement)<br />

Act 1933; and the common law ( 22 ). The appropriate scheme depends<br />

upon the court which delivered judgment and/or the basis of its ju-<br />

( 19 ) CPR 6.20(8).<br />

( 20 ) CPR rule 6.21(2)(a). See further Spiliada Maritime Corp vs. Cansulex Ltd [1987] AC<br />

460; Seaconsar (Far East) Ltd vs. Bank Markazi Jomhouri Islami Iran [1994] 1 AC 438.<br />

( 21 ) CPR rule 6.21(1)(b).<br />

( 22 ) For detailed discussion, see Dicey-Morris-Collins, The Conflict of Laws, chapter 14.


DIBATTITI 623<br />

risdiction. In the case of a judgment from the United States, the common<br />

law rules are applicable.<br />

(B) The key requirement for recognition of a foreign judgment at common<br />

law: jurisdictional competence in the eyes of English law<br />

A judgment will not be recognised in England if the foreign court was<br />

not jurisdictionally competent in the eyes of English law. The English<br />

court will assess this question for itself, rather than being concerned with<br />

whether the foreign court considered itself to have jurisdiction. The English<br />

courts will regard the overseas court as jurisdictionally competent either<br />

if the defendant had the requisite territorial connection with the foreign<br />

state, or if the defendant submitted to proceedings in that state.<br />

These alternative requirements are considered in turn below.<br />

(i) Territorial connection<br />

Where the defendant is an individual, it is somewhat uncertain<br />

whether the defendant must be resident in the state of origin, or whether<br />

his presence at the time of instigation of proceedings will suffice. The<br />

judgment of Buckley LJ in Emanuel vs. Symon ( 23 ) suggests that residence<br />

is required. However, the court in Adams vs. Cape Industries ( 24 ) reviewed<br />

the law and suggested (albeit, strictly speaking, obiter) that presence<br />

would also be sufficient.<br />

Where there is a corporate defendant, it was decided in Adams vs.<br />

Cape Industries ( 25 ) that there must be a fixed place of business maintained<br />

at the company’s own expense from which it has carried out its<br />

own business, either directly or through a subsidiary which it controls, in<br />

the overseas jurisdiction. It will suffice that its business is transacted at<br />

that place through representatives of the company carrying out the corporation’s<br />

business ( 26 ). In Adams, an English company was held not to be<br />

caught by these provisions where it operated in the US through a marketing<br />

organisation, since the US company was found to be engaged in its<br />

own business and not that of the defendant. Particularly relevant in this<br />

respect will be whether it may enter into contracts on the corporation’s<br />

behalf. So in Vogel vs. R & A Kohnstamm Ltd ( 27 ), an English defendant<br />

( 23 ) [1908] 1 KB 302.<br />

( 24 ) [1990] Ch 433.<br />

( 25 ) Ibid.<br />

( 26 ) See also Littauer Glove Corp vs. FW Millington (1928) 44 TLR 746.<br />

( 27 ) [1973] QB 133.


624 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

who sold goods in Israel through an agent resisted enforcement of an Israeli<br />

judgment on the grounds that the agent had merely acted as a channel<br />

of communication without any authority to bind the defendant.<br />

Where any defendant is sued in a federal jurisdiction, it was suggested<br />

in Adams vs. Cape Industries that it must have the requisite connection<br />

with the particular State which gave judgment (for example, Texas, not<br />

simply anywhere in the US), unless the judgment is from a federal, rather<br />

than a State, court ( 28 ).<br />

(ii) Submission<br />

A foreign court to which a defendant has submitted will also be seen as<br />

jurisdictionally competent in the eyes of English law. The most obvious<br />

means of submitting is by voluntarily pleading to the merits. However, the<br />

defendant will be protected if he appears solely to challenge the jurisdiction<br />

of the foreign court by section 33 of the Civil Jurisdiction and Judgments<br />

Act 1982, which states that an appearance solely to contest the jurisdiction<br />

of the court or to ask it to dismiss or stay proceedings for another country’s<br />

courts or for arbitration, or to protect or obtain the release of property<br />

seized or threatened with seizure shall not constitute submission ( 29 ).<br />

Nonetheless, the scope of the provision is uncertain ( 30 ) and hence a<br />

defendant still needs to tread very carefully. However, it is tentatively suggested<br />

that appearing, for example, to have a default judgment set aside,<br />

or pleading both to jurisdiction and to the merits at the same time because<br />

local procedure so requires should not constitute submission. In all<br />

cases, the key issue is whether the purpose was solely to challenge jurisdiction.<br />

Hence, an appeal on the merits to a higher court against a default<br />

judgment would constitute submission.<br />

A defendant may also have contractually agreed ( 31 ) to submit litigation<br />

to the courts of a particular State. It is uncertain whether the contractual<br />

term must be express or can also be implied into a contract. It was suggested<br />

obiter in Blohn vs. Desser ( 32 ) that a sleeping partner in a firm which<br />

had been conducting business in Austria could be treated as implicitly<br />

( 28 ) [1990] Ch. 433, pp. 484-492.<br />

( 29 ) Compare the pre-Act position in Henry vs. Geoprosco International Ltd [1976] QB<br />

726.<br />

( 30 ) See Briggs-Rees, pp. 541-543.<br />

( 31 ) In a suitable case of reasonable detrimental reliance on a party’s assurance that he<br />

will agree to litigation in a particular jurisdiction, submission might occur by estoppel.<br />

( 32 ) [1962] 2 QB 116.


DIBATTITI 625<br />

agreeing with all parties who contracted with the firm in Austria to submit<br />

all disputes to the Austrian courts. However, the court in Vogel vs. R & A<br />

Kohnstamm Ltd ( 33 ), thought that an agreement must be express. It is difficult<br />

to see any reason for this. As Briggs and Rees succinctly put it: « as<br />

long as submission is not inferred too loosely, it is hard to see a convincing<br />

doctrinal objection to the implication of . . . [the clause’s] existence » ( 34 ).<br />

Finally, it is important, if not self-evident, to note that a claimant, by<br />

instigating proceedings, will be deemed to have submitted to the court.<br />

This can be very important, since he is then estopped at the enforcement<br />

stage from contesting a judgment against him in a counter-claim by the<br />

defendant. Where there are a number of co-defendants, a submitting codefendant<br />

will be deemed to have submitted to any claims which another<br />

co-defendant might properly bring arising from the action ( 35 ).<br />

(C) No other basis of competence; the focus is on the position of the defendant<br />

No other basis of jurisdictional competence in a foreign court can be<br />

found at common law. The key point to note is that the requirements of jurisdictional<br />

competence are all focused on the position of the defendant.<br />

There is nothing in English law to suggest that a foreign court’s jurisdictional<br />

competence depends upon the position of the claimant to the action.<br />

There is no recognised requirement of competence over the claimant.<br />

As Lindley M.R. remarked in Pemberton vs. Hughes:<br />

There is no doubt that the courts of this country will not enforce the decisions of foreign<br />

courts which have no jurisdiction in the sense above explained - i.e., over the<br />

subject matter or over the persons brought before them . . . But the jurisdiction which<br />

alone is important in these matters is the competence of the court in an international<br />

sense - i.e., its territorial competence over the subject matter and over the defendant.<br />

Its competence or jurisdiction in any other sense is not regarded as material by the<br />

courts of this country ( 36).<br />

Furthermore, this view is fortified by the fact that the private international<br />

law rules on the jurisdiction of English courts at common law are<br />

concerned with competence over the defendant ( 37 ).<br />

( 33 ) [1973] QB 133. The Court of Appeal in Adams thought that clear evidence of agreement<br />

was needed.<br />

( 34 ) Briggs-Rees, p. 543.<br />

( 35 ) Murthy and Another vs. Sivajothi and Others [1999] 1 WLR 467.<br />

( 36 ) [1899] 1 Ch. 781, at p. 791, (emphasis added).<br />

( 37 ) See Dicey-Morris-Collins, The Conflict of Laws, chapter 11.


626 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Hence, assuming that the requisite connection exists between the defendant<br />

and the court giving judgment, a good argument can be made<br />

that the jurisdictional competence requirement for recognition of the foreign<br />

judgment is satisfied, as long as principles of natural justice and public<br />

policy would not be offended ( 38 ).<br />

(D) Judgment must be a final and conclusive judgment on the merits<br />

The judgment of the court of origin must be final and conclusive on the<br />

merits in order to qualify for recognition in England. The word “final”<br />

means that the judgment is binding in the court which gave judgment and<br />

cannot be re-opened therein, even if the same matter can be appealed to a<br />

higher court ( 39 ). Where a default judgment is delivered overseas, that judgment<br />

may not be regarded as final if a given period is laid down for setting<br />

that judgment aside in the foreign court, unless and until the time for setting<br />

aside the judgment has expired ( 40 ). The judgment will not be conclusive<br />

if further defences to its recognition are available in the overseas court.<br />

The requirement that the judgment be « on the merits » means simply<br />

that the decision of the court of origin « . . . establishes certain facts proved<br />

or not in dispute, states what are the relevant principles of law applicable<br />

to such facts and expresses a conclusion with regard to the effect of applying<br />

those principles to the factual situation concerned » ( 41 ). It will be<br />

rare for this requirement not to be satisfied ( 42 ).<br />

(E) Enforcement of foreign judgments<br />

Enforcement of a judgment is required where the claimant seeks a<br />

remedy from the English court, such as damages. For a judgment to be<br />

enforced, it must first be entitled to recognition.<br />

Judgments for specific performance cannot be enforced in England at<br />

common law and a claim for damages can be enforced only if the amount<br />

to be paid can be definitively qualified. The English court will also not enforce<br />

a foreign penal, revenue or public law judgment. This is but a part of<br />

the general private international law rule that such laws will not be enforced<br />

or applied in an English court. An order to pay penal damages will<br />

( 38 ) On which, see below.<br />

( 39 ) Nouvion vs. Freeman (1889) 15 App Cas 1.<br />

( 40 ) Briggs-Rees, p. 547.<br />

( 41 ) The Sennar(No 2) [1985] 1 WLR 490, at p. 500, per Lord Brandon.<br />

( 42 ) A decision that an action was time-barred would be on the merits– Foreign Limitation<br />

(Periods) Act 1984, section 3.


DIBATTITI 627<br />

certainly not be enforceable if payable to a state authority ( 43 ). However,<br />

penal damages which are awarded to a private individual should not be<br />

caught by this exclusion ( 44 ). In any event, if it is possible to sever the<br />

compensatory part of a judgment, that alone may be enforced ( 45 ).<br />

The judgment must also not order the payment of multiple damages.<br />

The Protection of Trading Interests Act of 1980 is particularly concerned<br />

with certain types of orders made in the courts of the United States. It<br />

provides that where a judgment is « for an amount arrived at by . . . multiplying<br />

» the sum assessed as compensation, it shall not be enforced ( 46 ). If<br />

the defendant has already paid the multiple, he may reclaim it in an English<br />

court ( 47 ).<br />

(F) Defences to recognition and enforcement<br />

Assuming that these various requirements are satisfied, the foreign<br />

judgment meets the basic requirements for recognition and enforcement<br />

in England. If so, then one needs to consider the possibility that a defence<br />

to recognition and enforcement of the judgment exists.<br />

It should be noted that it is no defence to the recognition of a foreign<br />

judgment that the judge overseas made an error of law ( 48 ). This serves a<br />

strong public interest in ensuring that matters cannot readily be reopened<br />

in England. Nor is it a defence that the foreign court lacked jurisdiction<br />

by the procedural law of that State: even if it is alleged that the<br />

particular court which heard the case in the State of origin lacked jurisdiction,<br />

this will be irrelevant, unless the error made the judgment null and<br />

void in that State ( 49 ).<br />

However, a number of valid defences exist to the recognition of enforcement<br />

of foreign judgments, including that the judgment: was procured<br />

by fraud; is contrary to natural justice; is contrary to English public<br />

policy; was obtained in breach of a jurisdiction or arbitration clause; or is<br />

inconsistent with an English judgment, or with a prior foreign judgment<br />

entitled to recognition in England. Of these defences, two are particularly<br />

( 43 ) Huntington vs. Attrill [1893] AC 150.<br />

( 44 ) SA Consortium General Textiles vs. Sun & Sand Agencies Ltd [1978] QB 279.<br />

( 45 ) Raulin vs. Fisher [1911] KB 93.<br />

( 46 ) Section 5.<br />

( 47 ) Section 6. See also Lewis vs. Eliades (No.2) [2003] EWCA Civ 1758, [2004] 1 WLR<br />

692; Neuhaus, Power to Reverse Foreign Judgments: The British Clawback Statute Under International<br />

Law, (1981) 81 Colum L Rev 1097, pp. 1102-1103.<br />

( 48 ) Godard vs. Gray (1870) LR 6 QB 288.<br />

( 49 ) Vanqueilin vs. Brouard (1863) 15 CBNS 341; Pemberton vs. Hughes [1899] 1 Ch. 781.


628 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

relevant in the present context: that the foreign judgment is in breach of<br />

natural justice; and that it is contrary to English public policy. These defences<br />

are examined below ( 50 ).<br />

(G) Is the judgment in breach of natural justice?<br />

The defendant must have had the opportunity adequately to defend<br />

himself. This means that he must have been served with due notice of the<br />

proceedings, been allowed properly to arrange his defence, and that the<br />

procedures of the foreign court must have been acceptable. However, it is<br />

important to note that the English courts have traditionally been reluctant<br />

to condemn foreign procedures. In the judgment of Lindley M.R. in Pemberton<br />

vs. Hughes, ( 51 ) his Lordship remarked that:<br />

If a judgment is pronounced by a foreign court over persons within its jurisdiction<br />

and in a matter with which it is competent to deal, English courts never investigate<br />

the propriety of the proceedings in the foreign court, unless they offend against English<br />

views of substantial justice. Where no substantial justice, according to English<br />

notions, is offended, all that English courts look to is the finality of the judgment<br />

and the jurisdiction of the court, in this sense and to this extent - namely, its competence<br />

to entertain the sort of case which it did deal with, and its competence to require<br />

the defendant to appear before it. If the court had jurisdiction in this sense and<br />

to this extent, the courts of this country never inquire whether the jurisdiction has<br />

been properly or improperly exercised, provided always that no substantial injustice,<br />

according to English notions, has been committed.<br />

In Adams vs. Cape Industries, ( 52 ) it was confirmed that the court<br />

could refuse to recognise and enforce a foreign judgment if the foreign<br />

proceedings amounted to a denial of substantial justice. In that case, the<br />

judge in Texas had issued a judgment that had not clearly allocated damages<br />

on the basis of the relative merits of each plaintiff’s claim and in circumstances<br />

which demonstrated a lack of procedural propriety. The<br />

Court of Appeal held that compensation should be objectively and independently<br />

assessed and said obiter that this amounted to a breach of natural<br />

justice ( 53 ).<br />

Unfortunately, considerable uncertainty still surrounds the meaning<br />

of the term « substantial justice ». But, it must be stressed that it is very<br />

rare for a court to deny recognition to a foreign judgment on natural jus-<br />

( 50 ) For discussion of other defences, see the works cited in note 3 above.<br />

( 51 ) [1899] 1 Ch. 781, p. 790.<br />

( 52 ) [1990] Ch. 433.<br />

( 53 ) Ibid., pp. 494-502.


DIBATTITI 629<br />

tice grounds. Cheshire and North ( 54 ) observe that « The English courts<br />

are reluctant to criticise the procedural rules of foreign countries . . . and<br />

will not measure their fairness by reference to the English equivalents<br />

...». They continue: « If the foreign court, in proceedings in personam,<br />

is prepared to dispense with notice of the proceedings, or to allow<br />

notice to be served in a manner inadequate to satisfy an English court, it<br />

is not for the English court to dispute the foreign judgment ...» ( 55 ).<br />

(H) Would recognition of the judgment be contrary to English public policy?<br />

This defence is rarely sustained. The mere fact that a foreign judgment<br />

was obtained on the basis of laws of which an English court disapproves<br />

should be irrelevant, as the defence relates to the judgment itself and not<br />

the underlying cause of action. Dicey, Morris and Collins remark that<br />

«There are very few reported cases in which foreign judgments in personam<br />

have been denied enforcement or recognition for reasons of public<br />

policy at common law » ( 56 ). The defence was, however, applied in Re<br />

Macartney ( 57 ) to deny enforcement of a perpetual maintenance order<br />

made against a father for his illegitimate child.<br />

In Israel Discount Bank of New York vs. Hadjipateras ( 58 ), the defendant<br />

alleged that a New York judgment for the claimant was obtained because<br />

his father had exercised undue influence over him to make him enter into<br />

a contract of guarantee. The public policy defence to enforcement was<br />

rejected by the Court of Appeal, on the basis that New York law on undue<br />

influence was substantially similar to English law. Accordingly, the defendant<br />

could have raised the issue overseas. Having failed to do so, the defendant<br />

could not now raise the defence in the English court.<br />

4. – Application of the English law on recognition and enforcement of foreign<br />

judgments to a US class action judgment<br />

(A) The effect in England of a judgment in favour of the defendant<br />

The most complex situation is where the judgment is in favour of the<br />

defendant, who seeks to rely upon this in England as a defence to a fur-<br />

( 54 ) Cheshire and North’s Private International Law, p. 451.<br />

( 55 ) Citing Jeannot vs. Fuerst (1909) 100 LT 816 and Vallée vs. Dumergue (1849) 4 Exch<br />

290, 303.<br />

( 56 ) At p. 629.<br />

( 57 ) [1921] 1 Ch. 522.<br />

( 58 ) [1983] 3 All ER 129.


630 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ther action by the claimants. It is normally the case that a decision of a<br />

foreign court, between the same parties and concerning the same cause of<br />

action, creates a cause of action estoppel in England, preventing the matter<br />

from being reopened in England ( 59 ). But this, of course, applies only<br />

if the foreign judgment is entitled to recognition.<br />

On this question, there is no governing English law precedent and, accordingly,<br />

the position in England is uncertain. A number of issues need<br />

to be considered.<br />

(B) Can the English rules on jurisdictional competence and the requirements<br />

of natural justice be applied to a claimant in US proceedings?<br />

We have seen that the English rules on the jurisdictional competence<br />

of a foreign court have focused upon the position of the defendant and<br />

not that of the claimant. Similarly, English law has a defence that the foreign<br />

judgment was in breach of natural justice, which is normally pleaded<br />

by the overseas defendant. Indeed, all of the law and learning on the<br />

recognition of foreign judgments concerns the position of the defendant.<br />

The claimant’s position is not normally regarded as relevant ( 60 ).<br />

Briggs and Rees ( 61 ) nevertheless contend that a US class action judgment<br />

should not give rise to an estoppel in respect of an absent claimant<br />

in a US class action ( 62 ). They argue that « [A] claimant who is neither present<br />

nor resident [in the state of origin] cannot be bound by a foreign<br />

judgment any more than can a defendant in the same position: the judgment<br />

cannot therefore be seen as res judicata so far as such a claimant is<br />

concerned » ( 63 ). They go on to suggest that the fact that the absent party<br />

( 59 ) See Briggs-Rees, Civil Jurisdiction and Judgments (4 th edn, 2005), pp. 569-73.<br />

( 60 ) But see Parsons vs. McDonald’s Restaurants of Canada Ltd 250 DLR (4 th ) 224 (2005)<br />

(Ont CA), where the court denied preclusive effect to a foreign judgment in respect of a<br />

claimant who did not opt out of an Illinois class action and took no part in the US proceedings.<br />

The court applied its rules on the recognition and enforcement of foreign judgments<br />

to both parties in the Illinois proceedings. As the claimant had not been given adequate<br />

notice of the Illinois proceedings, he was permitted to sue afresh in Ontario.<br />

( 61 ) Civil Jurisdiction and Judgments (4 th edn, 2005), pp. 572-573.<br />

( 62 ) This view has been accepted on occasion by US courts in refusing to certify a class<br />

including English claimants: see, for example, Bersch vs. Drexel Firestone Inc 519 F 2d 974,<br />

pp. 996-997 (1975); Re US Financial Securities Litigation, Société Generale de Banque vs.<br />

Touche Ross & Co 69 FRD 24, pp. 48-49 (1975); Re Lloyd’s American Trust Fund Litigation<br />

1998 WL 50211 (SDNY); Re DaimlerChrsyler AG Sec Litigation 216 FRD 291, pp. 300-301 (D<br />

Del 2003).<br />

( 63 ) Briggs-Rees, p. 573.


DIBATTITI 631<br />

is a claimant, not a defendant, is immaterial. They argue that if a “natural”<br />

defendant to a class action, D, were to seek a declaration of non-liability<br />

against an absent class member, C, the judgment would not be recognised<br />

unless the court was jurisdictionally competent over C, the defendant<br />

to that particular action; and that it follows that if the absent class<br />

member, C, were instead in the position of a claimant in an action against<br />

D (as is the case in the US class action), it should similarly be the case<br />

that jurisdictional competence must be established over D.<br />

It is suggested that this argument is not altogether compelling. The<br />

fact is that the English conflict of laws does attach a great deal of weight<br />

to the question of which party is the defendant in the proceedings in<br />

question. So, if C sues D in an English court, the question of whether<br />

the court has jurisdiction is determined by the personal connections of<br />

the defendant, D, in the instant proceedings before the English court. If<br />

D instead commences proceedings against C for a declaration that he is<br />

not liable to C, then the court must have in personam jurisdiction over C,<br />

who is the defendant to this particular action. In other words, it is the<br />

defendant in the English action over whom the English court must have<br />

jurisdiction (in the first example, D; in the second example, C), and it is<br />

his situation (the defendant’s situation) which is key to whether the<br />

court has jurisdiction. One cannot, accordingly, argue that just because a<br />

state of affairs is so if C sues D, it should necessarily be so if D sues C<br />

(or if D seeks to invoke a res judicata defence in some future proceedings)<br />

( 64 ). The English authorities on the recognition and enforcement of<br />

foreign judgments are similarly focused upon the position of the defendant<br />

overseas and not the claimant overseas. Barnett, the author of the<br />

only book devoted to the preclusive effect of foreign judgments in England,<br />

( 65 ) comments in relation to class actions that « ‘. . . jurisdiction in<br />

the international sense’ emphasizes jurisdiction over the defendant and<br />

does not refer to the situation where the foreign claimant may deny submission<br />

to the jurisdiction ...» ( 66 ).<br />

In the English Court of Appeal’s decision in Jacobson vs. Frachon ( 67 ),<br />

Atkin LJ remarked that the principles of natural justice require that the<br />

court « has given notice to the litigant that they are about to proceed to de-<br />

( 64 ) See also see Parsons vs. McDonald’s Restaurants of Canada Ltd 250 DLR (4 th ) 224<br />

(2005) (Ont CA), paras 19-21.<br />

( 65 ) Barnett, Res Judicata, Estoppel, and Foreign Judgments (OUP, 2001).<br />

( 66 ) Ibid, at p. 73, n. 81.<br />

( 67 ) [1927] 138 LT 386.


632 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

termine the rights between him and the other litigant » ( 68 ). However, it is<br />

clear that Atkin LJ did not have in mind the rights of the claimant in an action<br />

overseas. Moreover, the remark by Atkin LJ was made when considering<br />

the judgment of Lindley M.R. in Pemberton vs. Hughes ( 69 ), who had<br />

stated the general principle (to which a limited natural justice exception<br />

exists) that « A judgment of a foreign Court having jurisdiction over the<br />

parties and subject-matter - i.e., having jurisdiction to summon the defendants<br />

before it and to decide such matters as it has decided - cannot be impeached<br />

in this country on its merits » ( 70 ). In other words, these cases had<br />

in mind the position of the defendant to the foreign action and do not provide<br />

clear support for the non-recognition of a judgment where it is the<br />

claimant who is bound by proceedings which he did not expressly opt into.<br />

In Campos vs. Kentucky & Indiana Terminal Railroad Company ( 71 ), Mc-<br />

Nair J commented that: « . . . in accordance with English private international<br />

law a foreign judgment could not give rise to a plea of res judicata in<br />

the English Courts unless the party alleged to be bound had been served<br />

with the process which led to the foreign judgment ». This casts some<br />

doubt upon the question of the enforcement of a United States court’s<br />

class action judgment in respect of an absent claimant who did not opt out<br />

of the class. However, this remark did not form part of the ratio of the case,<br />

since the claim failed on other grounds. Moreover, the context of the decision<br />

shows that this comment was induced partly by the prior finding that<br />

even in the United States, the claim in Campos was not thought to be a<br />

class action capable of binding the claimants. Some sentences previously<br />

( 72 ), McNair J had said that «. . . the defendants . . . have not satisfied me<br />

that the . . . action was a true class action or that in accordance with American<br />

law the judgment in that case bound anyone who was not an original<br />

party or did not intervene ». The typical class action scenario case is clearly<br />

distinguishable, in that the intention of the United States action is to bind<br />

all members of the class. Hence, although the Campos decision certainly<br />

requires due consideration, it is by no means a clear or binding authority.<br />

It is suggested that the decision in Rossano vs. Manufacturers Life Insurance<br />

Co ( 73 ) does not add anything to the Campos case. In that case, the<br />

( 68 ) Ibid, at p. 392.<br />

( 69 ) [1899] 1 Ch. 781, 792.<br />

( 70 ) Emphasis added.<br />

( 71 ) [1962] 2 Lloyd’s Rep 459, 473.<br />

( 72 ) At p. 473.<br />

( 73 ) [1962] 1 Lloyd’s Rep 187.


English court did refer to the need for the Egyptian court to have jurisdiction<br />

over the “plaintiff”, Rossano. However, the court was referring to<br />

him as the “plaintiff” in the English proceedings now before it. In respect<br />

of the proceedings in Egypt, Rossano was alleged to owe money to the<br />

would-be garnishor, the Egyptian revenue authorities, who sought to recover<br />

payment from Rossano’s insurers. In other words, he was not a<br />

claimant in Egypt; to the contrary, as an alleged debtor in Egypt, he was,<br />

effectively, in the position of a defendant in that country, and as such, the<br />

English court insisted that the Egyptian court should have jurisdiction<br />

over such a party.<br />

Finally, it should be noted that Briggs and Rees, who had argued that<br />

a US class action judgment against an absent claimant who failed to opt<br />

out of proceedings should not be recognised in England, go on to acknowledge<br />

that the correctness of their view is not free from doubt and<br />

that « . . . it may be said that the class action has been developed in response<br />

to a social problem faced by multiple small claimants confronting<br />

a single powerful defendant, and that the rules on recognition and enforcement<br />

of judgments should be allowed to evolve to accommodate<br />

and support, and not to frustrate, such litigation » ( 74 ). It might be argued<br />

that, given the lack of clear authority on the entitlement to recognition<br />

of a US class action judgment against an absent claimant in the US proceedings,<br />

the English courts should not be actively looking to find ways<br />

to deny recognition in what are expedient, multiple party proceedings in<br />

the US.<br />

In conclusion, it can be argued that unless and until a specific exception<br />

evolves (and none has evolved yet in English private international<br />

law), there is a good case for the recognition of a US class action judgment<br />

in England, where the US court has jurisdiction over the defendant<br />

in the eyes of English law.<br />

(C) Privity of interest<br />

Even if the English courts were to decide that the requirements of jurisdictional<br />

competence could and should be applied to absent claimants as<br />

well as to defendants, a further possibility is that there is a privity of interest<br />

between the absent claimants and other claimants over whom the court<br />

has jurisdictional competence, such as to render the absent claimants<br />

bound by the US class action judgment. There is uncertainty as to the<br />

( 74 ) Briggs-Rees, Civil Jurisdiction and Judgments, p. 573.<br />

DIBATTITI 633


634 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

scope of this doctrine ( 75 ). In Gleeson vs. J Wippell & Co. Ltd, Megarry V-C<br />

stated that:<br />

I do not say that one [party] must be the alter ego of the other: but it does seem to me<br />

that, having due regard to the subject matter of the dispute, there must be a sufficient<br />

degree of identification between the two to make it just to hold that the decision to<br />

which one was party should be binding in proceedings to which the other is party. It is<br />

in that sense that I would regard the phrase ‘privity of interest’ ( 76).<br />

In House of Spring Garden vs. Waite ( 77 ), the court applied the privity of<br />

interest doctrine in the context of the liability of joint tortfeasors. In the<br />

case of a US class action, the US court would not certify the class unless<br />

the interests of the various claimants were sufficiently similar as to merit<br />

such class action and give rise to a number of common questions of fact<br />

and law. It is possible that an English court would conclude that the interests<br />

of claimants in a US class action are not sufficiently different from<br />

the House of Spring Garden scenario and, accordingly, that the absent<br />

claimants should be bound on this basis.<br />

Barnett ( 78 ) comments that “The trend in the common law world has<br />

been that all members of the class whom a party purports to represent<br />

will be deemed parties and thus bound by an order of the court, provided<br />

that the representative party has acted bona fides in the interests of the<br />

class” ( 79 ).<br />

He goes on to suggest that the English courts might additionally require<br />

that:<br />

(i) the claimant in the subsequent proceedings had notice of the foreign class action<br />

and had the chance to withdraw or object; and (ii) the foreign court, acting under an<br />

obligation to protect absent class members, held a hearing, considered the evidence<br />

and made a ruling as to membership.<br />

If the interests of the absent class members are fairly and properly represented<br />

by members of the class participating in the US proceedings, it<br />

( 75 ) See Carl Zeiss Stiftung vs. Rayner & Keeler Ltd and Others (No 2) [1967] 1 AC 853;<br />

Gleeson vs. J Wippell & Co. Ltd [1977] 1 WLR 510; House of Spring Garden vs. Waite [1990] 1<br />

QB 241.<br />

( 76 ) [1977] 1 WLR 510, at p. 516.<br />

( 77 ) [1990] 1 QB 241.<br />

( 78 ) Barnett, Res Judicata, Estoppel, and Foreign Judgments (2001), at p. 73.<br />

( 79 ) Citing Wytcherley vs. Andrews (1871) LR 2 P&D 327; Cox vs. Dublin City Distillery Co<br />

(No 3) [1917] 1 IR 203; Naken vs. General Motors of Canada Ltd (1983) 144 DLR (3d) 385;<br />

and Carnie vs. Esanda Finance Corp (1995) 183 CLR 398, 423-4 (High Court of Australia).


DIBATTITI 635<br />

is, accordingly, possible that the English courts would conclude that there<br />

was sufficient privity of interest to bind those absent claimants ( 80 ). However,<br />

it should be reiterated that this point would only become relevant if<br />

the English courts were first to conclude that they should apply their rules<br />

of jurisdictional competence to claimants at all.<br />

(D) If a natural justice argument could, in principle, be asserted by the<br />

claimant, would it be sustained by an English court?<br />

Doubt surrounds the question of whether an absent claimant in a US<br />

class action could object to the recognition of the US judgment on the<br />

grounds of breach of natural justice. This defence has developed to protect<br />

the position of defendants rather than claimants. Even if it were the<br />

case that a natural justice argument could be made by an absent claimant<br />

in the US action in subsequent proceedings in England in response to a<br />

res judicata defence asserted by the defendant, it does not follow that this<br />

would be made out on the facts of any given case. The leading private international<br />

law commentators in England recognise that the natural justice<br />

defence is narrowly construed and that examples of its successful establishment<br />

are very few and far between.<br />

In this respect, there is a convincing argument that a US class action<br />

judgment would not normally amount to a denial of substantial justice in<br />

the eyes of English law. Unlike in Adams vs. Cape Industries ( 81 ), there will<br />

normally be no suggestion of a lack of procedural proprietary in the US<br />

courts. Notice will usually be provided to the absent class members in the<br />

class action and that they will be informed of their right to opt out, in<br />

clear language, using a number of different media. Indeed, it has been observed<br />

that « If the foreign class members do not receive adequate notice,<br />

they cannot be bound to the class settlement or final judgment, because<br />

binding them without proper notice would violate their due process<br />

rights » ( 82 ).<br />

( 80 ) See also the recent discussion of this issue in Canada: Bank of Montreal vs. Mitchell<br />

(1997), 143 DLR (4th) 697 (Ont Gen Div [Commercial List]), at p 739, aff'd (1997), 151 DLR<br />

(4th) 574 (Ont CA.); Banque Nationale de Paris (Canada) vs. Canadian Imperial Bank of<br />

Commerce (2001), 52 O.R. (3d) 161 (Ont CA); Shaw vs. BCE Inc [2004] OTC 28 (Ont SCJ), aff'd<br />

(2004) 189 OAC 9 (Ont CA); Parsons vs. McDonald’s Restaurants of Canada Ltd 250 DLR<br />

(4 th ) 224 (2005) (Ont CA), paras 44-51.<br />

( 81 ) [1990] Ch. 433.<br />

( 82 ) Buschkin, The Viability of Class Action Lawsuits in a Globalized Economy- Permitting<br />

Foreign Claimants to be Members of Class Action Lawsuits in the US Federal Courts


636 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Nevertheless, in Parsons vs. McDonald’s Restaurants of Canada Ltd ( 83 ),<br />

the Ontarian Court of Appeal ruled that an Illinois class action judgment<br />

did not give rise to an estoppel in respect of a claimant who did not opt out<br />

of the Illinois class action and took no part in the US proceedings. The<br />

claimant was, accordingly, permitted to sue afresh in Ontario. However,<br />

the court accepted that such a judgment could, in principle, qualify for<br />

recognition and enforcement in Ontario. The problem in the instant case<br />

was that the Canadian claimant had not been given adequate notice of the<br />

Illinois proceedings and had not had sufficient opportunity to opt out.<br />

Sharpe JA commented that « . . . comity requires that, in appropriate cases,<br />

Ontario law should give effect to foreign class action judgments » ( 84 ). He<br />

continued:<br />

...provided the interests of non-resident class members were adequately represented,<br />

recognition and enforcement of foreign class proceedings would seem desirable. Recognition<br />

of the judgment would encourage the defendant to extend the benefits of the settlement<br />

to non-residents. Non-resident class members would receive a benefit without<br />

resorting to litigation and the defendant would buy peace from further litigation ( 85).<br />

This illustrates the importance of proper notice being provided to<br />

the claimant. In Parsons, the court found that notice had been provided<br />

in overly-technical language, in a publication not normally used for<br />

this purpose and disseminated to only a small proportion of the<br />

claimants in the class. Recognition of the Illinois judgment was, accordingly,<br />

regarded as contrary to natural justice. If, however, ample<br />

opportunity is given to absent class members to participate in the action<br />

directly and, at a later stage, to object to any proposed settlement,<br />

then the Parsons case suggests that the judgment should be recognised<br />

and enforced ( 86). There is typically no reason to suppose that an action<br />

on behalf of the class will not be fairly and rigorously heard by the<br />

US court, or any cause for concern that it will reach a decision that is<br />

substantively unfair to any claimants who do not opt out ( 87). Howev-<br />

(2005) 90 Cornell L Rev. 1563, pp. 1582-1583, citing Mullane vs. Cent Hanover Bank & Trust<br />

Co 339 US 306, pp. 314-315 (1950).<br />

( 83 ) 250 DLR (4 th ) 224 (2005) (Ont CA).<br />

( 84 ) Ibid, para 15.<br />

( 85 ) Ibid, para 27.<br />

( 86 ) Provided, of course, that it otherwise satisfies the criteria for recognition and enforcement<br />

of foreign judgments in the state where recognition is sought.<br />

( 87 ) See further Phillips Petroleum Co vs. Shutts 472 US 797; Bassett, US Class Actions<br />

Go Global: Transnational Class Actions and Personal Jurisdiction (2003) 72 Fordham L Rev 41.


DIBATTITI 637<br />

er, is important that the measure of damages awarded to an absent<br />

claimant should reflect the extent of their loss or interest. If the damages<br />

are allocated on the basis of the claimants’ recognizable damages<br />

pursuant to a plan that will require approval by the US court, then an<br />

English court may conclude that the US proceedings do not amount<br />

to a denial of substantial justice.<br />

(E) Representative and group actions in English courts<br />

English law permits group and representative actions in English<br />

courts ( 88). The availability of such actions in English courts may be an<br />

indication that English courts will not regard the US class action procedure<br />

as so unfamiliar to an English court as to warrant a refusal to<br />

recognise a US class action judgment.<br />

The Civil Procedure Rules (CPR) Part 19.6 allow for representative<br />

actions. It states that:<br />

(1) Where more than one person has the same interest in a claim –<br />

(a) the claim may be begun; or<br />

(b) the court may order that the claim be continued, by or against<br />

one or more of the persons who have the same interest as representatives<br />

of any other persons who have that interest.<br />

(2) The court may direct that a person may not act as a representative.<br />

(3) Any party may apply to the court for an order under paragraph (2).<br />

(4) Unless the court otherwise directs any judgment or order given in a<br />

claim in which a party is acting as a representative under this rule–<br />

(a) is binding on all persons represented in the claim; but<br />

(b) may only be enforced by or against a person who is not a party to<br />

the claim with the permission of the court.<br />

Hence, a representative action brought under this English procedure<br />

will normally bind those on whose behalf the claim is brought<br />

and may also bind, pursuant to CPR 6.19(4)(b), persons who are not<br />

a party to the claim with the permission of the court ( 89). It is true<br />

that such actions would not be available where damages would have<br />

( 88 ) See Mulheron, The Class Action in Common Law Legal Systems: a Comparative<br />

Perspective (Hart Publishing, 2004), especially chapter 4. See also Hodges (ed.), Multi-Party<br />

Actions (OUP, 2001), especially chapters 13-15; Andrews, Multi-Party Proceedings in England<br />

(2001) 11 Duke J of Comp and Intl Law 249; Mildred in Howells (ed.), The Law of Product<br />

Liability (Butterworths, 2000), p. 375.<br />

( 89 ) Compare Moon vs. Atherton [1972] 2 QB 435, p. 441.


638 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

to be proved individually ( 90), and it may well be that such an action<br />

would not be permitted on the facts which give rise to a class action<br />

in the United States ( 91). Moreover, in Markt & Co vs. Knight<br />

Steamship Co ( 92), Fletcher Moulton LJ commented that « In representative<br />

actions . . . [t]he plaintiff is the self-elected representative of<br />

the others. He has not to obtain their consent. It is true that consequently<br />

they are not liable for costs, but they will be bound by the<br />

estoppel created by the decision”.<br />

It is also the case that section 151(1) of the Supreme Court Act 1981<br />

defines a “party” as « any person who pursuant to or by virtue of rules<br />

of court or any other statutory provision has been served with notice<br />

of, or has intervened in, those proceedings ». But even if one accepts<br />

that an English representative action would not be available on the<br />

facts of a given case, it by no means follows that an English court<br />

would not enforce a US class action judgment in that matter. The approach<br />

taken in the United States may be viewed as a legitimate, albeit<br />

different, method of dealing with actions involving multiple claimants,<br />

to which due deference should be given in English courts.<br />

English law now also recognises the concept of the Group Litigation<br />

Order (GLO) ( 93), where actions raise common issues of fact or<br />

law, but where the interests of the parties concerned are not identical.<br />

CPR 19.12 states that:<br />

(1) Where a judgment or order is given or made in a claim on the group register in<br />

relation to one or more GLO issues –<br />

(a) that judgment or order is binding on the parties to all other claims that are<br />

on the group register at the time the judgment is given or the order is made<br />

unless the court orders otherwise; and<br />

(b)the court may give directions as to the extent to which that judgment or order<br />

is binding on the parties to any claim which is subsequently entered on<br />

the group register.<br />

It is true that English law would require a person to issue a claim<br />

against the defendant and to request to be added to the registered group<br />

( 90 ) Markt & Co vs. Knight Steamship Co [1910] 2 KB 1021.<br />

( 91 ) Although, of course, a procedural mechanism exists in the United States to administer<br />

a plan of allocation after a class action judgment favourable to claimants, whether by<br />

settlement or otherwise, to determine individual losses.<br />

( 92 ) [1910] 2 KB 1021, p. 1039.<br />

( 93 ) For criticism of the uncertain scope of the regime, see Mulheron, The Class Action<br />

in Common Law Legal Systems: a Comparative Perspective, pp. 97-110.


of litigants. However, one must equally recognise that, inevitably, some<br />

differences in the procedural approach of English and United States<br />

courts exist ( 94).<br />

The key question is whether the « opt out » approach in a class action<br />

distinguishes it sufficiently from English law’s « opt in » approach as to<br />

lead to the non-recognition of a United States court’s judgment on natural<br />

justice grounds. In this respect, although the matter is far from certain,<br />

it can be argued that the procedures are not so different as to justify the<br />

habitual non-recognition of US class action judgments. Both the English<br />

and United States procedures are concerned with the virtues of efficient<br />

and consistent handling of multiple claimants’ actions against the same<br />

defendant. Both are concerned, in different manners, with trying to take<br />

reasonable steps to ensure that the action is brought to the attention of<br />

potential claimants, and that they are given sufficient time to decide<br />

whether to participate in the action. It is true that the class action requires<br />

an « opt out »; but all reasonable steps will normally be taken to bring this<br />

to the attention of potential claimants, and a reasonable period of time<br />

given to opt out. The mere fact that the procedure adopted in the United<br />

States is different ought not to be reason enough in and of itself to refuse<br />

to recognise the judgment.<br />

Dixon comments on the enforceability of a US class action settlement<br />

that:<br />

Accordingly, because English law allows absent represented parties to be bound, it is<br />

likely that an English court would hold that a US court was a court of competent jurisdiction<br />

over the parties. This element of the plea of res judicata is thus satisfied ( 95).<br />

Later, he concludes: ( 96 )<br />

DIBATTITI 639<br />

Accordingly, a defendant should be able to maintain in any English litigation that as<br />

the manner in which the judgment was obtained does not offend English concepts of<br />

substantial justice or, more positively, that as the US Order comports with natural justice,<br />

it ought to be upheld . . . This is particularly true because, in the US class action<br />

context, irrespective of the ability of a class member with notice of the action to take<br />

steps to protect his or her own interests . . . the judge is under an obligation to protect<br />

the interests of the absent class members.<br />

Of course, the English court’s own rules of civil procedure do not<br />

need to be mirrored when it comes to the recognition and enforcement of<br />

( 94 ) See also Hodges (ed.), Multi-Party Actions, para 3.28.<br />

( 95 ) (1997) 46 International and Comparative Law Quarterly 134, at p. 146.<br />

( 96 ) Ibid, at p. 150.


640 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

foreign judgments in England. An English court need not necessarily<br />

adopt identical, or even similar, rules in the conflict of laws when recognising<br />

and enforcing foreign judgments to those applied in the domestic<br />

context of litigation in England. But the approach of English courts in the<br />

domestic setting is indicative of the English court’s views as to acceptable<br />

standards of procedural protection, and suitable methods of efficiently<br />

bringing multi-party litigation. There should be cogent reasons for the<br />

court to depart from those values when it comes to the recognition of a<br />

foreign court’s judgment. At the very least, the English court’s view in the<br />

domestic context is persuasive as to the standards of procedural fairness<br />

and natural justice which it is likely to accept from foreign courts. The<br />

standards applied in English domestic law are a benchmark by which an<br />

English court may assess the standards applied in a foreign court. This<br />

point is accepted by Barnett, who observes that: « The addition of these<br />

rules offers, at least, a template for assessing foreign rules governing group<br />

litigation ...» ( 97).<br />

Furthermore, it has been argued that the rules on representative actions<br />

in English courts have been applied sufficiently liberally in more recent<br />

cases as to share many common attributes with class actions. A case<br />

for the introduction of some form of class action procedure in England<br />

has been made ( 98). Mulheron notes that in a recent case, Independiente<br />

Ltd vs. Music Trading On-Line (HK) Ltd ( 99), the court applied the representative<br />

rule to an alleged copyright infringement and acknowledged the<br />

possibility of separate defences, and separate claims for damages for account<br />

of profits, being brought by different class members. Indeed, she<br />

notes that a representative action was permitted even though « The court<br />

indeed accepted that these representative proceedings had not been<br />

specifically authorised by all class members » ( 100). The Independiente decision<br />

was followed in Howells vs. Dominion Insurance Co. Ltd. ( 101) Mul-<br />

( 97 ) Barnett, Res Judicata, Estoppel, and Foreign Judgments, at p. 74.<br />

( 98 ) Mulheron, Some Difficulties with Group Litigation Orders- and Why a Class Action<br />

is Superior (2005) 24 Civil Justice Quarterly 40; Mulheron, From Representative Rule to Class<br />

Action: Steps Rather than Leaps (2005) 24 Civil Justice Quarterly 424.<br />

( 99 ) [2003] EWHC 470 (Chancery Division).<br />

( 100 ) (2005) 24 Civil Justice Quarterly 424, p. 442.<br />

( 101 ) [2005] EWHC 552 (QB). See also Prudential Assurance Co Ltd vs. Newman Industries<br />

Ltd [1981] Ch 229; Irish Shipping Ltd vs. Commercial Union Assurance Co plc (The Irish<br />

Rowan) [1991] 2 QB 206 (CA); Bank of America National Trust and Savings Association vs.<br />

Taylor (The Kyriaki) [1992] 1 Lloyd’s Rep 484 (QB).


DIBATTITI 641<br />

heron observes that: « Thus, the Independiente and Howells decisions affirm<br />

that silence cannot be taken to infer disagreement with the representative<br />

action instituted. This is precisely the same situation as occurs in<br />

class action regimes elsewhere » ( 102).<br />

Mulheron concludes with the following observations:<br />

Various judicial statements have sought to interpret the English representative rule as<br />

containing elements of a class action, a wider device than the strict representative action,<br />

under which a commonality, rather than identicality, of interest is sufficient, and<br />

where separate contracts, separate defences and different claims for damages are easily<br />

tolerated. It is highly arguable that the less restrictive class action criteria which the<br />

English judiciary have struggled to fit over the rubric of the representative action<br />

should be expressly implemented in this jurisdiction. This would serve to lessen the<br />

artificiality of judicial interpretations which strain the boundaries of the language used<br />

in r.19.6. Secondly, it is not a huge leap from the representative rule, as judicially interpreted,<br />

to the class action as legislatively drafted. Somewhat similar superiority assessments,<br />

numerosity tests, attitudes toward class description and members' identities,<br />

adequacy of representation, recognition of sub-classes, and the absence of any requirement<br />

for an express mandate from class members, are evident under both representative<br />

rule and class action ( 103).<br />

In relation to the Group Litigation Order ( 104 ), Mulheron comments<br />

elsewhere that:<br />

All multi-party litigation schemas seek to achieve various economies of scale for their<br />

participants. The GLO is no different in that regard. To decry a structured class action<br />

regime such as that which exists in the US because it allegedly increases the rate of litigation<br />

both ignores the potential for GLOs to do exactly the same; and undermines<br />

the aim of ensuring greater access to justice which both schemas seek to provide ( 105).<br />

Even if English law stops short of introducing a class action ( 106 ), the<br />

( 102 ) (2005) 24 Civil Justice Quarterly 424, 442.<br />

( 103 ) Ibid, at p. 448. See further Mulheron, The Class Action in Common Law Legal Systems:<br />

a Comparative Perspective, pp. 78-90; 111. Mulheron observes (ibid, p. 94) that « The<br />

statutory embodiment of a class action in England would (if it occurred) simply reflect judicial<br />

developments that have already occurred, sporadically, within the English jurisdiction<br />

to combat the restrictions of Markt ».<br />

( 104 ) See also Davies (Joseph Owen) vs. Eli Lilly & Co [1987] 1 WLR 1136 (CA), at p. 1139.<br />

( 105 ) Mulheron, The Class Action in Common Law Legal Systems: a Comparative Perspective,<br />

p. 75.<br />

( 106 ) See ibid, pp. 68-77 for discussion of objections made in England to the introduction<br />

of a class action and for rebuttal of these arguments. Mulheron notes, in particular,


642 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

emergence of the representative action in English domestic law, and the<br />

more liberal interpretation of its constituent ingredients, indicates a level<br />

of tolerance to proceedings which seek to promote the efficiency and expediency<br />

of multi-party litigation. Arguably, such an attitude should be<br />

reflected in a willingness to give effect to foreign class action judgments.<br />

It is in the very essence of private international law, and the recognition<br />

of foreign judgments in particular, that English courts will be faced<br />

by procedures, and substantive rules, applied in a foreign court which are<br />

different to those that an English court might have applied. Arguably,<br />

something more is needed before the judgment can be denied recognition.<br />

Briggs and Rees comment that:<br />

All civilised systems of civil procedure strike their own balance to protect the rights of<br />

the parties and to get at and expose the truth; it is inappropriate to point to an isolated<br />

difference between the corresponding rules of English and foreign law, wrenched<br />

out of their context, and allege that the comparison exposes the risk of an injustice to<br />

the claimant ( 107).<br />

Dicey, Morris and Collins state that a judgment of a foreign court is not<br />

« ...impeachable because the court admitted evidence which is inadmissible<br />

in England or did not admit evidence which is admissible in England<br />

or otherwise followed a practice different from English law » ( 108 ).<br />

In a different, but relevant context, Lord Goff, discussing the English<br />

common law rules on taking jurisdiction, and the question whether an<br />

English court should refuse to stay proceedings where the centre of gravity<br />

of a case lies overseas but the claimant alleges that he would not obtain<br />

justice in the foreign court, stated that:<br />

The key to the solution of this problem lies, in my judgment, in the underlying fundamental<br />

principle. We have to consider where the case may be tried suitably for the interests<br />

of all the parties and for the ends of justice . . . Now, as a general rule, I do not<br />

think that the court should be deterred from granting a stay of proceedings, or from<br />

exercising its discretion against granting leave under R.S.C. Ord. 11, simply because<br />

the plaintiff will be deprived of such an advantage, provided that the court is satisfied<br />

that substantial justice will be done in the available appropriate forum. Take, for example,<br />

discovery. We know that there is a spectrum of systems of discovery applicable<br />

in various jurisdictions, ranging from the limited discovery available in civil law coun-<br />

that concerns that the class action is too inflexible, and that its introduction might lead to a<br />

greatly increased volume of litigation, are overstated and that such fears have not been realised<br />

in Australia and Canada, where forms of the class action have been introduced.<br />

( 107 ) Briggs-Rees, Civil Jurisdiction and Judgments, 4th edn, at p. 315.<br />

( 108 ) At pp. 633-4.


DIBATTITI 643<br />

tries on the continent of Europe to the very generous pre-trial oral discovery procedure<br />

applicable in the United States of America. Our procedure lies somewhere in the<br />

middle of this spectrum. No doubt each of these systems has its virtues and vices; but,<br />

generally speaking, I cannot see that, objectively, injustice can be said to have been<br />

done if a party is, in effect, compelled to accept one of these well-recognised systems<br />

applicable in the appropriate forum overseas ( 109).<br />

In Lubbe vs. Cape plc ( 110 ), the House of Lords was faced with an action<br />

by a large number of claimants who had suffered asbestos poisoning in<br />

South Africa. They had worked for the South African subsidiary of an<br />

English company. In deciding whether the English courts should hear the<br />

case, Lord Bingham said the following:<br />

The plaintiffs, as a ground for challenging the appropriateness of the South African forum,<br />

relied on the absence of established procedures in South Africa for handling<br />

group actions such as the present. They compared that situation with the procedural<br />

situation here, where the conduct of group actions is governed by a recently-developed<br />

but now tried and established framework of rules, practice directions and subordinate<br />

legislation. I do not regard this objection, standing alone, as compelling. It involves<br />

the kind of procedural comparison which the English Court should be careful<br />

to eschew and the evidence is clear that South African Courts have inherent jurisdiction<br />

to adopt procedures appropriate to the cases they are called upon to handle ( 111).<br />

A similar principle emerges in Connelly Respondent vs. RTZ Corporation<br />

Plc. ( 112 ).<br />

In summarising the principles of jurisdiction of English courts at common<br />

law, Briggs and Rees observe that: « Moreover, the courts have been<br />

firm and consistent in their assertion that any attempt by a claimant to<br />

make general and disparaging comparisons between English and foreign<br />

procedures is impermissible, the more so if there is no firm evidential basis<br />

for the allegations advanced » ( 113).<br />

All this indicates that English courts should show considerable caution<br />

before condemning United States’ procedure as a breach of natural<br />

justice. If English courts routinely did this when the procedural law of a<br />

state of origin differed from English civil procedure, the recognition and<br />

enforcement of foreign judgments would be rendered largely ineffective.<br />

( 109 ) Spiliada Maritime Corp vs. Cansulex Ltd [1987] AC 460, p. 482.<br />

( 110 ) [2000] 2 Lloyd’s Rep 383.<br />

( 111 ) Ibid, at p. 393.<br />

( 112 ) [1998] AC 854.<br />

( 113 ) Civil Jurisdiction and Judgments, 4 th edn, p. 315.


644 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

It does not follow that simply because United States’ procedural law differs<br />

from English law, the foreign judgment would necessarily not be<br />

recognised in England.<br />

(F) Public policy<br />

It has been show that successful invocation of the public policy defence<br />

in English courts is extremely rare. Briggs and Rees comment that:<br />

«The usual colourful examples are an order to pay damages for breach of<br />

a contract to kidnap or to sell narcotics, or those based on openly racist<br />

laws » ( 114). It is clear that the vast majority of US class action judgments<br />

will be very far from the typical, extreme cases where the public policy<br />

has been used successfully. Moreover, this defence normally relates either<br />

to the award itself, or, occasionally, to the substance of the law applied in<br />

the foreign court. In most cases, there will be no reason to object to the<br />

law applied in the US court, and certainly no reason to believe that any<br />

ensuing court judgment will necessarily be repugnant to an English court<br />

on its substance. The only arguments will normally relate to the procedure<br />

adopted in the US court; and we have already seen that English<br />

courts are loathe to make comparisons between the procedures of different<br />

states. It is suggested that the public policy defence adds nothing in<br />

the present context to the defence of natural justice. If the foreign judgment<br />

is unobjectionable on natural justice grounds, there is no reason to<br />

think that it will be objectionable on public policy grounds.<br />

(G) The impact of the European Convention on Human Rights (ECHR)<br />

At this stage, the possible impact of the ECHR on the recognition of<br />

foreign judgments is highly uncertain and undeveloped and one cannot<br />

be sure what effect it will have ( 115). In Pellegrini vs. Italy ( 116), it was suggested<br />

that an Italian court was bound to deny recognition to a judgment<br />

( 114 ) Ibid, at p. 557.<br />

( 115 ) See Dicey-Morris-Collins, pp. 632-3; Briggs-Rees, pp. 559-560; Kinsch, The<br />

Impact of Human Rights on the Application of Foreign Law and on the Recognition of Foreign<br />

Judgments, in Einhorn-Siehr (eds.), Intercontinental Cooperation Through Private International<br />

Law (TMS Asser Press, 2004). See also Muir Watt, Evidence of an Emergent European<br />

Legal Culture: Public Policy Requirements of Procedural Fairness under the Brussels and<br />

Lugano Conventions (2001) 36 Tex Int’l LJ 539; Loudon Vest, Cross-Border Judgments and<br />

the Public Policy Exception: Solving the Foreign Judgment Quandary by Way of Tribal Courts<br />

(2004) 153 U Pa L Rev. 797, p. 819.<br />

( 116 ) (2002) 35 EHRR 44.


DIBATTITI 645<br />

of a non-Member State of the European Union (Vatican) where a fair trial<br />

had not taken place in the state of origin. But in Government of USA vs.<br />

Montgomery (No 2) ( 117), the House of Lords distinguished the decision in<br />

Pellegrini (on the basis that a special Concordat existed between Italy and<br />

the Vatican) and held that the ECHR does not normally apply with respect<br />

to an order from a United States court. Lord Carswell ( 118) commented<br />

thus:<br />

In considering these arguments it is necessary to have regard to the territoriality<br />

principle, governing the territorial reach of the Convention and its limitations, aptly<br />

described in para. [86] of the judgment of the European Court in Soering v United<br />

Kingdom (1989) 11 E.H.R.R. 439,466: ‘Article 1 of the Convention, which provides<br />

that ‘the High Contracting Parties shall secure to everyone within their jurisdiction the<br />

rights and freedoms defined in Section 1,’ sets a limit, notably territorial, on the reach<br />

of the Convention. In particular, the engagement undertaken by a contracting state is<br />

confined to ‘securing’ (‘reconnaître’ in the French text) the listed rights and freedoms<br />

to persons within its own ‘ jurisdiction’. Further, the Convention does not govern the<br />

actions of states not parties to it, nor does it purport to be a means of requiring the<br />

contracting states to impose Convention standards on other states.’<br />

Given this territorial limitation, it is difficult to see how registration of the US<br />

court’s order could constitute a direct breach of its terms . . .<br />

His Lordship went on to note that, in exceptional cases, the provisions<br />

of the ECHR, and Article 6 in particular, could be applied to a judgment<br />

of a state not party to that Convention but noted ( 119 ) that « . . . the European<br />

Court has strongly emphasised the exceptional nature of such a jurisdiction<br />

and the flagrant nature of the deprivation of an applicant’s<br />

rights which would be required to trigger it » ( 120 ) His Lordship referred also<br />

to two other recent decisions of the House of Lords in R (Ullah) vs.<br />

Special Adjudicator ( 121 ) and in R (Razgar) vs. Secretary of State for the<br />

Home Department ( 122). The latter two cases suggested, according to Lord<br />

Carswell in Montgomery, that this « . . . would have to amount to a virtually<br />

complete denial or nullification of his Art. 6 rights, which might be ex-<br />

( 117 ) [2004] UKHL 37; [2004] 1 WLR 2241.<br />

( 118 ) At para 17, p. 2249.<br />

( 119 ) At para 24, p. 2252.<br />

( 120 ) See Soering vs.United Kingdom (1989) 11 EHRR 439.<br />

( 121 ) [2004] UKHL 26; [2004] 2 AC 323.<br />

( 122 ) [2004] UKHL 27; [2004] AC 368. See also Application No 17837/03 Tomic vs. United<br />

Kingdom, judgment of 14 October 2003 (unreported).


646 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

pressed in terms familiar to lawyers in this jurisdiction as a fundamental<br />

breach of the obligations contained in the article » ( 123). Accordingly, even<br />

if it were the case that the ECHR may provide a separate defence to<br />

recognition of foreign judgments from outside Europe in certain cases, it<br />

is clear that the threshold for this to be invoked is extremely high.<br />

Nevertheless, let us consider the position if, for the sake of argument,<br />

a claimant sought to rely upon the ECHR as a defence to a United States<br />

court’s class action judgment, and the English court did not summarily<br />

dismiss the matter. Article 6(1) of the ECHR provides that: « In the determination<br />

of his civil rights and obligations or of any criminal charge<br />

against him, everyone is entitled to a fair and public hearing within a reasonable<br />

time by an independent and impartial tribunal established by<br />

law ». There is no reason to suppose that an action in the United States<br />

will not typically be “fair”, or heard « within a reasonable time » and « by<br />

an independent and impartial tribunal established by law ».<br />

It is true that in Miragall Escolano and Others vs. Spain ( 124). the court<br />

did say that: « The parties must be able to avail themselves of the right to<br />

bring an action or to lodge an appeal from the moment they can effectively<br />

apprise themselves of court decisions imposing a burden on them<br />

or which may infringe their legitimate rights or interests » ( 125). However,<br />

in the preceding sentence, it showed that the facts of the case were concerned<br />

with a different point, namely an allegation that the Spanish court<br />

had infringed the applicants’ right to a fair hearing by ruling that for the<br />

purposes of lodging an appeal, time had started to run from the date of<br />

delivery of its judgment in proceedings. This was alleged to be « . . . an unreasonable<br />

construction of a procedural requirement which prevented a<br />

claim for compensation being examined on the merits and thereby entailed<br />

a breach of the right to the effective protection of the courts » ( 126).<br />

In the typical class action case, there will be no suggestion that the United<br />

States court will do anything other than properly and fairly apply US<br />

law (including the US principles of due process under the US constitution)<br />

on the permissibility of bringing a class action.<br />

In this regard, one could also certainly argue that the typical United<br />

States action will allow a proper consideration of the claim for compensation<br />

and afford the claimant the effective protection of the courts. It<br />

( 123 ) [2004] UK HL 37; [2004] 1 WLR 2241, para 26, p. 2253.<br />

( 124 ) Miragall Escolano and Others vs. Spain (2002) 34 EHRR 24.<br />

( 125 ) Para 37 of the judgment.<br />

( 126 ) Ibid.


would also certainly be difficult to argue that a United States court had<br />

shown a «. . . flagrant . . . deprivation of an applicant’s rights » ( 127). Accordingly,<br />

although there is no precedent, it may cogently be argued that Article<br />

6(1) of the ECHR would not normally provide a basis for an English<br />

court to refuse to recognise a United States class action judgment.<br />

(H) Cause of action estoppel<br />

DIBATTITI 647<br />

Assuming that the conditions for recognition of a US class action<br />

judgment in England are satisfied, there may be a further question as to<br />

whether the causes of action available in the United States and in England<br />

are sufficiently similar so as to give rise to an estoppel, should the<br />

claimant seek to sue afresh in the English courts. In Carl Zeiss Stiftung vs.<br />

Rayner & Keeler ( 128), the court urged caution in the application of the<br />

estoppel doctrine, stressing that it may be very hard to determine whether<br />

a foreign court has decided a particular issue in reaching its judgment. A<br />

court must satisfy itself that the issue in question in the foreign and English<br />

courts is identical, that the parties are identical and that the foreign<br />

ruling was final and conclusive.<br />

However, the court in that case was concerned with issue estoppel and<br />

the problem of determining whether a particular issue was conclusively resolved<br />

in a foreign court. The major issue in the case of the recognition of<br />

a US class action judgment is likely to be one of cause of action estoppel.<br />

The question is if the United States judgment, otherwise entitled to recognition,<br />

creates a cause of action estoppel such as to prevent the matter being<br />

litigated afresh in England. Recent case law tends to suggest that the<br />

phrase « cause of action » is broadly construed in this context. In the<br />

House of Lords case of The Indian Grace ( 129), goods were damaged in<br />

transit. A small amount of the cargo was discarded in France; the remainder<br />

was found to be unusable when unloaded in India. An action was<br />

brought in India in personam for short delivery of the cargo discarded in<br />

France. A second action was then brought in rem in the English courts in<br />

relation to the remaining cargo. The House of Lords held that cause of action<br />

estoppel prevented the second action, notwithstanding that it concerned<br />

a different portion of the cargo. The cause of action was held to be<br />

( 127 ) The language used by Lord Carswell in Government of USA vs. Montgomery (No 2)<br />

[2004] UKHL 37; [2004] 1 WLR 2241.<br />

( 128 ) [1967] 1 AC 753.<br />

( 129 ) [1993] AC 410.


648 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

the same. Nor did the fact that the first action was in personam and the second<br />

action was in rem shake the court’s view ( 130). In short, if the United<br />

States action is otherwise entitled to recognition in England, an English<br />

court may very well conclude that this estopps the claimant from bringing<br />

a fresh action in England on the basis of English rules of procedure.<br />

(J) Judgment in the claimant’s favour<br />

(i) For a sum with which the claimant is not satisfied<br />

Of course, it is possible that the judgment might be delivered in the<br />

claimant’s favour, but for a lesser sum than he had hoped to recover. He<br />

might seek to disregard the United States court’s judgment and instead to<br />

sue afresh in England. Normally, a successful claimant overseas is<br />

estopped from doing so by section 34 of the Civil Jurisdiction and Judgments<br />

Act of 1982, which provides that:<br />

No proceedings may be brought by a person in England and Wales or Northern<br />

Ireland on a cause of action in respect of which a judgment has been given in his<br />

favour in proceedings between the same parties, or their privies, in a court in another<br />

part of the United Kingdom or in a court in an overseas country, unless that judgment<br />

is not enforceable or entitled to recognition in England and Wales or, as the case may<br />

be, Northern Ireland.<br />

In the case of a class action where the claimant did not know of the action<br />

overseas and was awarded a sum of money with which he is not content,<br />

the foreign judgment might be seen effectively as a burden on the<br />

claimant. Accordingly, in such circumstances, it is suggested that the<br />

same principles should apply as where the judgment is given in the defendant’s<br />

favour. For the reasons given above, there is a good argument that<br />

such a judgment should be recognised and enforced in England.<br />

(ii) For a sum with which the claimant is satisfied<br />

If the judgment were to be delivered in the claimant’s favour for a sum<br />

with which he is satisfied, then it might not in any event be necessary for<br />

the claimant to seek enforcement in England. The defendant will very frequently<br />

have substantial assets in the US which can be foreclosed upon. In<br />

any event, if efforts were made by a claimant who had not participated in<br />

( 130 ) The Indian Grace (No 2) [1998] AC 878.


the US proceedings but had failed to opt out of the class to enforce the<br />

judgment in England, a strong case for enforcement would exist. A party<br />

who believes that he has been denied natural justice overseas may have the<br />

right to contest a foreign judgment on that basis; but he cannot sensibly be<br />

obliged to do so. If that party nevertheless chooses to rely upon a judgment,<br />

he has effectively simply waived any objections to that judgment.<br />

Suppose, however, that the defendant seeks to resist recognition and<br />

enforcement of the judgment against it, on the basis that the US court<br />

had no jurisdictional competence in the eyes of English law over the<br />

claimant, or that the claimant was denied natural justice in the US court.<br />

It is suggested that a defence to recognition of a foreign judgment should<br />

be pleaded by the person relying upon it. If the claimant chooses not to<br />

plead that defence, there is no reason to deny recognition to the judgment.<br />

In particular, it would be very curious if the defendant could in such<br />

circumstances seek to resist recognition and enforcement of the judgment<br />

on the basis that the claimants were denied natural justice. For these reasons,<br />

a good argument for the recognition and enforcement of the US<br />

judgment exists in such circumstances.<br />

(iii) Settlements in US proceedings<br />

DIBATTITI 649<br />

If a settlement is reached in a US class action, it is likely that the proof<br />

of claim form will include a release of the defendant’s liability. If an absent<br />

class member in England subsequently accepts the settlement, and<br />

the consequential discharge of the defendant’s liability, the settlement<br />

will then be the product of a consensual agreement between the parties. If<br />

so, then both parties can be viewed as having waived any objections to the<br />

instigation of proceedings in the US court and it seems that the agreement<br />

would be enforceable in England ( 131).<br />

(K) The requisite standard of proof as to whether the US class action judgment<br />

would be recognised in England; certification of the class in US proceedings<br />

Irrespective of whether the judgment is delivered in favour of the<br />

claimants or the defendant, a final, important observation concerns the<br />

( 131 ) Of course, if such a settlement is not reached between absent class members and<br />

the defendant, or is not accepted by those absent class members, more involved questions<br />

arise as to the effect of the US judgment in England. These are considered in detail above.


650 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

burden of proof. The possibility that the English court might not recognise<br />

a US judgment will normally be insufficient to prevent certification<br />

of the class in US proceedings. This chapter demonstrates that there is<br />

considerable uncertainty as to whether, and in what circumstances, a US<br />

class action judgment would be entitled to recognition and enforcement<br />

in England as against an absent claimant. Cogent arguments for the<br />

recognition of the judgment exist. It would be extremely difficult to contend<br />

that it is anything like a certainty, or a near certainty, that the judgment<br />

would not be enforced in England. Indeed, no English author has<br />

expressed the view that it is a near certainty that such a judgment would<br />

not be recognised in England ( 132). This suggests that the high threshold<br />

required in many US states to strike out absent claimants from membership<br />

of a class, on the basis that the judgment would not be recognised in<br />

England, will be very difficult to meet ( 133).<br />

5. – Conclusion<br />

From the above analysis, it has been shown that it is impossible to be<br />

certain on the existing state of English law whether a judgment in a US<br />

class action would be recognised and enforced in England in respect of<br />

absent claimants who did not opt out of the class action. However, a good<br />

case for such a judgment’s recognition and enforcement in England can<br />

be made. This is on the assumption that the United States court is jurisdictionally<br />

competent in the eyes of English law over the defendant and<br />

meets the criteria for recognition. Orthodox principles of English law are<br />

concerned with jurisdictional competence over a defendant and not over<br />

a claimant. Nor does an English court normally apply its natural justice<br />

defence to claimants. Even if it were now to do so, the English court<br />

could well conclude that the fact that United States rules of procedure differ<br />

from the English law on group and representative actions does not<br />

amount to a denial of substantial justice and does not prevent the recognition<br />

of the judgment in England.<br />

Jonathan Harris<br />

( 132 ) Furthermore, as we have seen, there is published support for the view that it<br />

should be recognised.<br />

( 133 ) At least, unless and until there is clear, binding authority as to the position in England.


Would French Courts Enforce U.S. Class Action Judgments?<br />

1. – Introduction<br />

American courts have imported from England ( 1 ) the equity concept<br />

of a collective action. Since the early 1800s, the American practice of<br />

« lawsuits filed by one or few plaintiffs on behalf of a large number of people<br />

who together seek a legal remedy for some perceived [common] wrong » ( 2 ),<br />

nowadays known as « class actions », has considerably developed.<br />

The current set of provisions governing American class actions is contained<br />

in Rule 23 of the United States Federal Rules of Civil Procedure,<br />

which has been enacted in 1938 but was reshaped overtime. Rule 23 was<br />

firstly and mainly amended in 1966, with the definitive abandonment of<br />

the «opt in » procedure in favour of the «opt out » procedure ( 3 ), which<br />

granted American class actions their unique feature. More recently, in<br />

2005, the institution was again reformed, in a more restrictive way, with<br />

the enactment of the Class Action Fairness Act. Such reform aimed at<br />

providing remedies to abuses committed by class action lawyers, broadening<br />

class action litigants’ access to federal courts, and offering greater<br />

protection for class members’ individual interests ( 4 ).<br />

Under Rule 23, one or more individuals, known as class representative(s)<br />

or lead plaintiff(s), may bring an action on behalf of a class of persons<br />

with similar alleged rights. The class representative(s) must have the<br />

( 1 ) Yeazell, From Medieval Group Litigation to the Modern Class Action, Yale Univ.<br />

Press, 1987, cited in Hensler-Pace-Dombey-Moore, et al., Class Action Dilemmas: Pursuing<br />

Public Goals for Private Gain, RAND 2000, p. 10.<br />

( 2 ) Hensler-Pace-Dombey-Moore, et al., Class Action Dilemmas: Pursuing Public<br />

Goals for Private Gain, RAND 2000, p. 3.<br />

( 3 ) Under the «opt in » procedure, individual class members seeking for money damages<br />

in the context of a class action were required to affirmatively join the class. Under the<br />

«opt out » procedure, all individuals meeting the class description are included in the class<br />

unless they explicitly withdraw from the class. Before the 1966 Act, the opt out procedure<br />

existed only in class actions for declaratory or injunctive relief (i.e. in environmental, discrimination<br />

or other social cases) but it was not allowed in class actions for damages.<br />

( 4 ) In the U.S., most of the critics on class action did not target the institution itself but<br />

rather the modalities of its application, which are the consequences of American procedural<br />

tools such as discovery, punitive damages, non professional juries, and the attribution of<br />

class action cases to local courts (instead of federal ones), which elected judges may be motivated<br />

by purely local or political interests.


652 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

class certified by a U.S. court so that the members of the proposed class<br />

may be bound by the result of the action. Rule 23(a) requires, as prerequisites<br />

for certification of a class action, that (1) the class be so numerous<br />

as to render joinder of all members impracticable, that (2) the questions<br />

of law or fact be common to the class, that (3) the claims or defenses of<br />

the representative parties be typical of the claims or defenses of the class,<br />

and that (4) the representative parties fairly and adequately protect the interests<br />

of the class.<br />

Once certification is obtained, the action proceeds as a class action<br />

and includes all similarly situated individuals, known as « class members »,<br />

who, upon notice of the action through a combination of mails, publications<br />

in newspapers, postings on wire services or on the Internet, do not<br />

choose to withdraw (or to «opt out ») from the class.<br />

France does not – or not yet – have an American type of class action<br />

institution. A controversial debate has however arisen as to the necessity<br />

to adopt in France a similar device since the French President made public,<br />

during his 2005 New Year speech to the nation, his intention «to propose<br />

an amendment of the law so as to allow consumers’ group and their associations<br />

to bring collective actions in courts against abusive practices observed<br />

on certain markets » ( 5 ). The EC Commission Green paper on Damages<br />

Actions for Breach of the EC Antitrust Rules has added to the discussion<br />

by stating that «It will be very unlikely for practical reasons, if not<br />

impossible, that consumers and purchasers with small claims will bring an<br />

action for damages for breach of antitrust law. Consideration should therefore<br />

be given to ways in which these interests can be better protected by collective<br />

actions. Beyond the specific protection of consumer interests, collective<br />

actions can serve to consolidate a large number of smaller claims into one action,<br />

thereby saving time and money » ( 6 ).<br />

Apart from that debate, it is noticeable that, in recent years, with the<br />

growing business globalisation trend, some American class action lawyers<br />

have started to appeal to classes including European class members. Moreover,<br />

with the increasing number of international financial scandals, many<br />

securities class actions have involved European multinationals as defendants.<br />

However, apart from securities cases, American practice of class actions<br />

covers a wide range of collective damage cases, including consumer<br />

( 5 ) Declaration of President Jacques Chirac, New Year address to the Nation, 4 January<br />

2005 (www.elysees.fr).<br />

( 6 ) Green Paper Damages actions for breach of the EC antitrust rules, http://europa.eu.int/comm/competition/antitrust/others/actions_for_damages/gp_en.pdf.


DIBATTITI 653<br />

cases, mass torts cases (such as asbestos, tobacco, drugs, breast implants or<br />

environmental cases), employment cases (discrimination cases) and civil<br />

rights cases, which may involve French class members or defendants.<br />

The issue of whether an American class action judgment could be<br />

recognised and enforced in France, which has not yet been referred to any<br />

French judge ( 7 ), is of practical importance for two reasons.<br />

First, in the context of class certification, an American court will certify<br />

a class only if it has some guarantee that the class action judgment may<br />

be enforced against the foreign defendants and may have res judicata<br />

against all foreign class members. Indeed, under Bersch vs. Drexel Firestone,<br />

Inc. ( 8 ), the test for an American court to certify a class including<br />

non-American class members is that there be a «near certainty » that the<br />

foreign legal system at stake will grant the American judgment with a<br />

binding effect upon its citizens. Absent such near certainty, the American<br />

court will exclude the foreign members from the class.<br />

Second, a class action judgment obtained in the U.S. may be relied<br />

upon before a French court, either by the defendants in seeking to dismiss<br />

a similar claim brought in France by an absent class member, or by<br />

absent class members seeking to enforce the judgment against defendants<br />

having assets in France.<br />

Under French law, absent any applicable bilateral or multilateral convention,<br />

recognition of a foreign judgment needs to be endorsed by a<br />

court decision known as exequatur ( 9 ). Such decision of exequatur is a necessary<br />

condition for a party to avail itself of the two legal consequences<br />

resulting from recognition, which are res judicata ( 10 ) and enforcement.<br />

( 7 ) Such fact is not yet very surprising since more than 90% of American class actions<br />

get resolved by way of amicable settlement.<br />

( 8 ) Bersch vs. Drexel Firestone, Inc., 519 F.2d 974, 996 (2 nd Cir. 1975).<br />

( 9 ) Under French law, all “patrimonial” and “declarative” judgments (i.e. judgments of<br />

a patrimonial nature, which effect is to proclaim an existing right) require a decision of exequatur<br />

from a French court so that they may be granted res judicata and/or enforcement in<br />

France. The only exception to that requirement of an exequatur applies to “extra-patrimonial”<br />

judgments (i.e. judgments related to state and capacity of individuals) and to “constitutive”<br />

ones (i.e. judgments creating a new legal situation such as those opening insolvency<br />

proceedings against a company or pronouncing a divorce). Indeed, those judgments are<br />

granted a de plano res judicata effect. However their enforcement still require a decision of<br />

exequatur.<br />

( 10 ) Under Article 1351 of the French Civil Code, the res judicata effect only applies to<br />

the subject matter of a dispute. In other words, said effect may be invoked only if the<br />

claims had the same object and cause, and if they were raised between the same parties and<br />

in the same capacity.


654 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

The conditions for the recognition and enforcement are those provided<br />

by French general principles of Private International Law, as set forth by<br />

the Munzer vs. Munzer ( 11 ) and Fairhurst vs. Simitch ( 12 ) cases.<br />

The Munzer case marked the abandonment of the “revision” of foreign<br />

decisions, whereby French courts used to refuse to recognize a foreign<br />

judgement if they would have reached a different solution, whether in fact<br />

or in law. Such method, which obliged parties to retry their case, was contrary<br />

to the internationalist spirit, which now characterises French Private<br />

International Law.<br />

The policy lying behind Munzer is that the foreign judgement deserves<br />

respect as such. Indeed, it now suffices for the foreign judgment to be recognized<br />

and enforced in France that the five following conditions be met:<br />

(I) the foreign court must have indirect jurisdiction over the case (« compétence<br />

indirecte »), which condition has, as we shall see, been substantially<br />

alleviated by the French Supreme Court in the Simitch case; (II) the foreign<br />

proceedings must have been conducted in a regular manner; (III) the<br />

foreign judge must have applied the law designated by the French rules<br />

on conflicts of laws; (IV) the foreign judgment must not be contrary to<br />

the French conception of international public policy; and (V) the foreign<br />

judgment must not have been obtained by fraud.<br />

We will analyse in turn each of those conditions, as applied to the hypothesis<br />

of a U.S. Class action judgement.<br />

2. – The U.S. Court’s Indirect Jurisdiction<br />

French case law used to require, as a condition for recognition, that<br />

the foreign court have jurisdiction over the case according to the French<br />

rules of conflicts of jurisdiction. Such test has been substantially alleviated<br />

in Fairhurst vs. Simitch ( 13 ), whereby the Supreme Court held that the<br />

foreign court's requirement of indirect jurisdiction is satisfied if the three<br />

following conditions are met: (A) the case does not fall within the exclusive<br />

jurisdiction of a French court, (B) the case is linked in a « characterized<br />

manner » («lien caractérisé ») to the foreign forum, and the choice of<br />

( 11 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 7 January 1964, Munzer vs. Munzer, Grands arrêts du droit international<br />

privé, in Dalloz, 4th Ed., 2001, p. 367 ss.<br />

( 12 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 6 February 1985, Fairhurst vs. Simitch, note by Ancel and Lequette,<br />

Grands arrêts du droit international privé, in Dalloz, 4th Ed., 2001, p. 638 ss.<br />

( 13 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 6 February 1985, Fairhurst vs. Simitch, note by Ancel and Lequette,<br />

Grands arrêts du droit international privé, in Dalloz, 4th Ed., 2001, p. 638 ss.


DIBATTITI 655<br />

the foreign court has not been fraudulent (such condition is also provided<br />

by Munzer and will be dealt with in Section V hereinafter).<br />

A. No Exclusive Jurisdiction of French Courts Over the Case<br />

When ruling on the recognition and enforcement of a U.S. judgement,<br />

French courts will first verify that they had no exclusive jurisdiction<br />

over the case.<br />

Such exclusive jurisdiction could be based on the parties’ will. For example,<br />

in a securities class action, the defendant company’s bylaws could<br />

possibly provide for an exclusive choice of forum clause. Exclusive jurisdiction<br />

of French courts could also possibly be provided by the law, depending<br />

on the subject matter of the dispute. In France, such statutes exist,<br />

for example, for real estate issues ( 14 ), bankruptcy proceedings 15 ,<br />

labour law ( 16 ), patents ( 17 ), capacity ( 18 ) and wills ( 19 ).<br />

Yet, the most likely argument that could be raised against the recognition<br />

of an American class action judgment would rely on the privileges of<br />

jurisdiction conferred by French law on its nationals. Indeed, even absent<br />

any link between the dispute and the French forum, French claimants and<br />

( 14 ) Pursuant to Article 44 of the French Code of Civil Procedure, disputes relating to<br />

real estates are subject to the jurisdiction of the courts of the place where the estate is located.<br />

( 15 ) Article 1 of the Decree n°85-1388 of 13 December 1985 provides that the courts of<br />

the place where the company has its registered offices or, absent registered offices in<br />

France, the courts of the place where the company has its main establishment, have jurisdiction<br />

to hear disputes relating to bankruptcy proceedings.<br />

( 16 ) Pursuant to Article R. 517-1 of the French Labour Code, employment disputes are<br />

subject to the jurisdiction of the Labour Court of the place where the employee performed<br />

his work.<br />

( 17 ) Articles L. 615-17 and R. 631-1 of the French Code of Intellectual Property grant a<br />

limited number of French courts, which are designated by Decree, with exclusive jurisdiction<br />

to hear disputes relating to patents.<br />

( 18 ) Pursuant to Articles 1046 ss. of the French Civil Code of Procedure, disputes relating<br />

to status and legal capacity shall be brought either before the courts of the place where<br />

the record of civil status has been issued, or before the courts of the place where the interested<br />

party has established his residence.<br />

( 19 ) Pursuant to Articles 822 of the French Civil Code and 45 of the French Code of<br />

Civil Procedure, disputes relating to wills are subject to the law of the place where the proceedings<br />

for the settlement of the estate were opened. Article 110 of the French Civil Code<br />

adds that the place where the proceedings for the settlement of the estate are opened is determined<br />

pursuant to the domicile of the deceased, which, according to French case law,<br />

corresponds to his last domicile.


656 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

defendants are respectively provided, by Articles 14 and 15 of the French<br />

Civil Code, with a privilege to sue or be sued before French courts due to<br />

their French nationality. Such privileges apply to both individuals and legal<br />

entities ( 20 ).<br />

Privileges of nationality are set aside by many bilateral conventions on<br />

the recognition and enforcement of foreign judgments, as well as by the<br />

Brussels Convention of 1968, the Lugano Convention of 1988, and EC<br />

Regulation 44/2001 ( 21 ).<br />

In the context of a class action, the issue of nationality privileges<br />

should first be dealt with in respect to the defendant, and second with respect<br />

to the absent class members.<br />

a. Defendants’ Privilege<br />

Article 15 of the French Civil Code ( 22 ) provides that French nationals<br />

“may” be sued before French courts, even in cases where the cause of action<br />

has no link with France. Although Article 15 literally provides for a<br />

mere possibility for French courts to retain jurisdiction over a case involving<br />

a French defendant, French case law has for long construed that provision<br />

as setting an exclusive jurisdiction of French courts ( 23 ).<br />

Assuming that the defendant company is a French company, and that<br />

class members would seek to obtain enforcement of the U.S. class action<br />

judgment in France, the French company could therefore try to invoke<br />

Article 15 to oppose such petition.<br />

b. Absent Class Members’ Privilege<br />

Article 14 of the French Civil Code ( 24 ) provides that a French citizen<br />

may bring proceedings against a foreign defendant before French courts,<br />

( 20 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 3 June 1986, n° 84-17880.<br />

( 21 ) Article 3 of those Conventions expressly state that the provisions of Articles 14 and<br />

15 of the French Civil Code are not applicable against persons domiciled in Contracting<br />

States.<br />

( 22 ) Art. 15 of the French Civil Code states that French persons may be summoned before<br />

French courts for obligations contracted by them in a foreign country, even with an<br />

alien.<br />

( 23 ) Mayer, Private international law, Montchrestien, 8th Ed., 2004, p. 272.<br />

( 24 ) Article 14 of the French civil Code provides that an alien, even if not residing in<br />

France, may be summoned before French courts for the fulfilment of obligations contracted<br />

by him in France with a French person; and that an alien may be summoned before French<br />

courts for obligations contracted by him in a foreign country towards French persons.


DIBATTITI 657<br />

even for obligations contracted by such defendant in a foreign country.<br />

Like for Article 15, French courts have for long construed such provision<br />

as setting an exclusive jurisdiction of French courts. A French absent class<br />

member could therefore seek to oppose the recognition of the U.S. judgment<br />

by arguing that the res judiciata of such decision deprived him of his<br />

“exclusive” right to sue in France.<br />

Article 14 should not, normally, be applied in the context of the recognition<br />

of a foreign decision since, where a French claimant submits a<br />

claim to a foreign court, he is deemed to have waived the privilege of Article<br />

14 by suing abroad and he is thereafter estopped from invoking that<br />

provision to challenge the validity of the foreign judgment rendered<br />

against him. Yet, one could argue that the position of an absent class<br />

member (i.e. of an individual who will be part of the class without any<br />

positive action but merely because he meets the class description and did<br />

not opt out from the class) is peculiar because he never gave his consent<br />

to be part of the class and to be represented by the class representative.<br />

From that perspective, the argument could be made that an absent class<br />

member should be treated, with regard to his right to sue in France, as if<br />

he were a defendant. On such basis, it could be imagined that a French<br />

absent class member would object to the recognition of the U.S. judgment<br />

on the ground that such judgment frustrated his right to pursue the<br />

same cause of action against the defendants in France.<br />

The issue will then be whether the privileges of Articles 14 and 15 apply<br />

in the context of recognition of a foreign judgment, and, in the affirmative,<br />

whether the privilege raised by the defendant or by an absent<br />

class member may be waived.<br />

c. Should Articles 14 and 15 be Applied in the Recognition Context?<br />

There always was an issue as to whether Articles 14 and 15 should be<br />

applied in the context of a French court ruling on the indirect jurisdiction<br />

of a foreign court’s decision. Indeed, apart from the fact that, as seen<br />

above, the wording of those Articles merely provides for an optional<br />

ground for jurisdiction of French courts, the use of French nationals’ privileges<br />

in the context of recognition and enforcement of a foreign decision,<br />

which would be compliant with all other Munzer requirements, characterises<br />

a major distrust of the French system towards regularly rendered<br />

foreign legal decisions.<br />

The French Supreme court had, until now, consistently ruled that the<br />

privilege provided by Article 15 of the Civil Code in favour of French de-


658 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

fendants was to be interpreted as setting an exclusive jurisdiction of<br />

French courts, and could therefore be invoked by French defendants to<br />

oppose the recognition and enforcement in France of a foreign decision.<br />

Said case law has been strongly disapproved by French scholars. As<br />

Prof. Huet rightly wrote: «all contemporary scholars consider that Article 15<br />

only sets a rule of direct jurisdiction in favour of the claimant, and not in<br />

favour of the French defendant. They all denounce its transformation by case<br />

law into a rule of indirect jurisdiction [i.e. a rule on the basis of which a<br />

French judge, ruling on the recognition of a foreign judgment, assesses<br />

whether the foreign court had jurisdiction according to his own rules on<br />

conflict of jurisdiction] and all the evil which derives from this in international<br />

judicial cooperation » ( 25 ). Professor Audit also considers that «Article<br />

15 [...]only permits to initiate [...]an action before French courts against<br />

a French national; nothing authorizes to construe this rule as a rule of indirect<br />

exclusive jurisdiction. [. . .]. From a practical point of view, the appropriateness<br />

of [making a rule of indirect jurisdiction out of a] a privilege of jurisdiction<br />

is also highly debatable. [Such privilege] establishes a discrimination<br />

in favour of French justice in international relations and could dissuade<br />

a well-informed foreigner from dealing with a French citizen. There are very<br />

few examples of [similar privilege] in comparative law (it was abandoned in<br />

Germany [and Italy]) and it is set aside, with regard to France, by many treatises<br />

relating to the recognition and enforcement of judgments. Certainly,<br />

there are in the world countries which judicial practices are open to criticism,<br />

but there are other means to ensure a party’s defense, amongst which the control<br />

of the jurisdiction [of the foreign judge] exercised on the basis of true criterions<br />

instead of a systematic denial of the foreign jurisdiction in respect of<br />

French defendants. Another mean to avoid the consequences of undesirable<br />

case law lies in the concept of procedural public policy » ( 26 ).<br />

Endorsing French scholars’ position, the Paris Court of Appeal had<br />

rendered, years ago, innovative decisions, which denied French defendants<br />

the right to use Article 15 as a ground for refusal of recognition of a<br />

foreign judgment. Even though they were overruled, said lower courts’<br />

decisions apparently paved the way for a reversal of precedent ( 27 ).<br />

( 25 ) Huet, note under Cass. Civ., 1 st Sect., 5 May 1976 and Trib. Paris, 20 May 1976, in<br />

RCDIP, 1977, p. 144.<br />

( 26 ) Note by Audit under App. Court Paris, 22 November 1990, in Dalloz, 1992, Somm.<br />

p. 169; see, in the same direction: Droz, Réflexions pour une réforme des articles 14 et 15 du<br />

code civil français, in RCDIP, 1975, p. 18 ss.<br />

( 27 ) App. Court Paris, 22 November 1990, in Dalloz, 1992, Somm. p. 169, note by Audit;<br />

App. Court Paris, 15 November 1991, in Dalloz, 1992, IR p. 62.


Indeed, the French Supreme Court has, in a very recent case dated 23<br />

may 2006, ( 28 ) finally reversed its prior case law by ruling that: «Article 15<br />

of the French Civil Code only provides for an optional jurisdiction of French<br />

courts, which is unfit to exclude the indirect jurisdiction of a foreign court so<br />

long as the dispute is linked in a characterized manner to the State, which jurisdiction<br />

is seized, and so long as the choice of that jurisdiction is not fraudulent”.<br />

This decision, which has been given the maximum level of publicity<br />

( 29 ), is meant by the Supreme Court to set forth a principle that will<br />

have controlling authority in all cases where the recognition of a foreign<br />

judgment is at stake. Moreover, the decision comes back to a literal interpretation<br />

of Article 15, which language only provides for an optional, and<br />

not an exclusive, jurisdiction of French courts. By implication, the decision<br />

similarly rules out Article 14 of the French Civil Code as a ground for<br />

barring recognition of a foreign judgment ( 30 ).<br />

Articles 14 and 15 of the French Civil Code should therefore no longer<br />

be obstacles to the recognition and enforcement in France of an American<br />

class action judgment. We will nevertheless, for the sake of completeness,<br />

examine how the issue of waiver to Articles 14 and 15 would be dealt with<br />

in the context of an action for recognition of a U.S. class action in France.<br />

d. Waiver of the Privilege<br />

DIBATTITI 659<br />

French rules on privileges of jurisdiction are not mandatory and may<br />

be waived.<br />

In respect to the defendant, the waiver can be inferred from a failure<br />

to challenge the U.S. court’s jurisdiction. French case law considers that a<br />

defendant who appears before a foreign court without raising an objection<br />

for lack of personal jurisdiction is deemed to have waived his right under<br />

Article 15 ( 31 ). Yet, French case law does not require the defendant who<br />

( 28 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 23 May 2006, Prieur vs. Montenach, n° 04-12777.<br />

( 29 ) P + B + R + I: “P” means that the case is published in the «Bulletin des arrêts de la<br />

Cour de cassation », “B” means that it is published in the «Bulletin d’information de la Cour<br />

de cassation », “R” means that it is published in the «Rapport annuel de la Cour de cassation<br />

» and finally “I” means that the case is posted online on the website of the French Cour<br />

de cassation amongst the Grands arrêts de la Cour de cassation (i.e. the greatest cases of the<br />

Cour de cassation).<br />

( 30 ) Although, as seen above, the use of Article 14 in the context of indirect jurisdiction<br />

was very rare since by referring a case to a foreign court a French claimant was presumed to<br />

have waived its privilege.<br />

( 31 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 25 October 1966, Hochapfel vs. Ghebali, in Bull., 1966, I, n° 481;<br />

Cass. Civ., 1 st Sect., 2 May 1979, Verdier vs. Orihuela, in RCDIP, 1980, p. 362; Cass. Civ., 1 st


660 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

wishes to preserve its right to the privilege of jurisdiction to expressly invoke<br />

Article 15; a general denial of the jurisdiction of the foreign court<br />

will suffice to preserve his right ( 32 ). There may be some uncertainty, however,<br />

when the objection to the U.S court’s jurisdiction is raised in a restrictive<br />

way, exclusively with regard to the subject matter of the dispute<br />

and not with regard to the foreign court’s personal jurisdiction.<br />

In respect to the absent class members, the question is more complex.<br />

The issue will be whether, by remaining silent after having received notice of<br />

the action, the absent class member waived its right to the “exclusive” jurisdiction<br />

of French courts, as provided by Article 15 of the French Civil Code<br />

against non-E.U. defendants ( 33 ). This question is debatable. The situation<br />

of an absent class member could be compared to that of a defendant who<br />

failed to appear before the court. French case law is, however, divided on the<br />

issue of whether the failure of a defendant to appear before a foreign court is<br />

equivalent to a waiver of its privilege of jurisdiction. The Paris Court of Appeal<br />

replied affirmatively to that question in a 30 January 1975 decision ( 34 ),<br />

then overruled by a Supreme Court’s decision dated 5 May 1976 in the same<br />

case ( 35 ), while the Paris Tribunal (which is authoritative in international<br />

matters) again ruled in the affirmative in a subsequent case ( 36 ). However,<br />

considerations of good faith should lead to consider that a person who received<br />

notice of the action and failed to react – for example, in the hope that<br />

the action may prove beneficial – should not be allowed to oppose the<br />

recognition of the U.S. judgment. Ultimately, it is the French court’s assessment<br />

of the effectiveness of the notice, which is likely to determine its decision<br />

in respect of the recognition in France of the U.S. judgment.<br />

B. The Link Between the Dispute and the United States<br />

Under Simitch, it is sufficient for the U.S. court to have jurisdiction<br />

that there be a «characterized link » between the case and the foreign forum<br />

seized (i.e. the United States), irrespective of the fact that another<br />

court may also have jurisdiction on the same facts.<br />

Sect., 15 November 1983, Schenk vs. Banque Nationale d’Algérie, n° 82-12626; Cass. Civ., 1 st<br />

Sect., 15 November 1994, X vs. Y, n° 92-18971.<br />

( 32 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 13 June 1978, unpublished.<br />

( 33 ) No such privilege being in force against E.U. defendants pursuant to the Brussels<br />

Convention of 1968, the Lugano Convention of 1988 and the EC Regulation 44/2001.<br />

( 34 ) App. Court Paris, 30 January 1975, unpublished.<br />

( 35 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 5 May 1976, in RCDIP, 1977, p. 144, note by Huet.<br />

( 36 ) Trib. Paris, 20 May 1976, in RCDIP, 1977 p. 144, note by Huet.


DIBATTITI 661<br />

There are no precise criteria to define such « characterized link » between<br />

the case and the foreign forum. Thus, the judge will proceed to a<br />

global assessment of the circumstances of the case, using the so-called<br />

method of the grouping of connecting factors.<br />

French courts adopt a rather liberal interpretation of the characterized<br />

link requirement. In French law, the test is not whether the foreign court<br />

was an appropriate forum, but whether it was not inappropriate in the eyes<br />

of French law ( 37 ). In other words, the Simitch test (as opposed to the previous<br />

Munzer test) does not require the French judge to verify that the foreign<br />

judge had jurisdiction according to the French rules of conflict of jurisdiction,<br />

but only that the case had sufficient connections with the foreign<br />

forum, so that the foreign court’s exercise of jurisdiction was not inappropriate.<br />

In a securities class action, the fact that some allegedly false and misleading<br />

pieces of information were disseminated on the NYSE could, for<br />

instance, be interpreted as a sufficient link with the U.S. forum. Similarly,<br />

in a drug mass tort case, the fact that the deficient drugs were manufactured<br />

or advertised in the U.S., or that some of the victims were American,<br />

could be regarded as a sufficient link.<br />

Lastly, it must be noted that under the Alien Tort Claims Act ( 38 ), U.S.<br />

courts have jurisdiction to rule on any civil action brought by an alien on<br />

the ground of a tort committed in violation of the law of nations or a<br />

treaty of the United States. Such Act provides U.S. courts with a kind of<br />

« universal jurisdiction » in cases involving human rights violations or environmental<br />

violations, as soon as rules seen by the American forum as<br />

«commanding the general assent of civilized nations » ( 39 ) are infringed,<br />

even absent a material link with the U.S. forum. Whether such mere<br />

“moral” link, resulting from a sort of duty to interfere, would be sufficient<br />

in the eye of a French court to recognise the U.S. court’s indirect jurisdiction<br />

is more questionable.<br />

3. – The Regularity of the Proceedings Conducted Abroad<br />

According to Munzer, the judge requested to enforce a foreign judgment<br />

needs to verify that the proceedings before the foreign court were<br />

( 37 ) Ancel-Lequette, Les grands arrêts du droit international privé, in Dalloz, 4th Ed.,<br />

2001, p. 651.<br />

( 38 ) 28 USCA § 1350.<br />

( 39 ) Filartiga vs. Pena-Irala, 630 F.2d 876 (2d Cir. 1980).


662 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

regular. The scope of such verification is, however, limited. The Supreme<br />

Court has in fact ruled, in Bachir vs. Bachir ( 40 ), that «the regularity of the<br />

proceedings before the foreign judge is to be valued exclusively in respect to<br />

the requirements of French international public policy and to the requirements<br />

of due process ».<br />

Thus, what matters is not the compliance by the foreign judge with its<br />

own rules of procedure, but the acceptability of the foreign proceedings<br />

with regard to the French conception of a good administration of justice.<br />

In other words, the condition of regularity of the foreign proceedings is<br />

absorbed by that of compatibility of the proceedings with the French conception<br />

of international procedural public policy. In that respect, the fact<br />

that class actions are not allowed in France will not be sufficient to bar the<br />

recognition and enforcement in France of the U.S. judgment.<br />

The requirement of procedural regularity has two aspects.<br />

First, the judge has to verify that the decision which “exequatur” is<br />

sought qualifies as a judgment according to the foreign applicable law,<br />

and that it is enforceable in the country of origin.<br />

Second, the foreign proceedings have to comply with the French conception<br />

of due process, which basically means that each party must have a<br />

fair opportunity to present its case and to respond to the other’s arguments<br />

(see below Section IV on international public policy).<br />

4. – The Application by the U.S. Court of the Substantive Law Designated by<br />

the French Conflict of Laws Rules<br />

The third Munzer condition requires the foreign court to apply the<br />

substantive law designated by French rules on conflict of laws.<br />

It must be noted that, in practice, French courts almost never apply<br />

such requirement as a ground for refusing the recognition or enforcement<br />

of foreign courts decisions. As Prof. P. Mayer writes, «it is extremely rare<br />

that a refusal of enforcement of a foreign judgment be based on [the condition<br />

that the foreign judge applied the law designated by French rules of<br />

conflict] [. . .]. The review of the law applied by the foreign judge is nowadays<br />

harshly criticized by many scholars. In fact France is amongst the very rare<br />

countries, which impose that condition [...], and many international treaties<br />

exclude it. [. . .] It is perfectly possible, as shown by a comparative private international<br />

law analysis, to assess whether a foreign judgment can be en-<br />

( 40 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 4 October 1967, Bachir vs. Bachir, Grands arrêts du droit international<br />

privé, in Dalloz, 4th Ed., 2001, p. 413 ss.


DIBATTITI 663<br />

forced without caring about the law applied by the foreign judge and his reasoning.<br />

[. . .] Generally speaking, conflict rules are not mandatory, as they only<br />

express an assessment as to the localisation of a particular situation,<br />

which assessment may with no inconvenience be replaced by another one. [...]<br />

Therefore, there is no reason in theory to impose, on a general basis, a review<br />

of the application by the foreign judge of the applicable law » ( 41 ).<br />

The choice of law requirement must, however, still be taken into account.<br />

Yet, it is substantially alleviated by the fact that French law admits<br />

an exception to the rule when there is substantial equivalence between<br />

the law applied by the foreign judge and French law, i.e. when the application<br />

of French law would have led to a substantially equivalent outcome<br />

( 42 ). What matters in this respect is not that the procedures be identical<br />

in the two jurisdictions, but that their outcome be of the same nature,<br />

i.e. that they lead to a possible civil liability and to an obligation to compensate<br />

the loss suffered by the aggrieved parties ( 43 ).<br />

In other words, a law according to which a certain fact is considered to<br />

be lawful would not be considered as equivalent to a law according to<br />

which the same fact is unlawful. To the contrary, two laws qualifying the<br />

same fact as unlawful would be considered equivalent, even though the<br />

procedures to obtain a declaration of liability of the party having committed<br />

such fact may differ.<br />

Likewise, it should not, in our view, be considered that the foreign<br />

and French law are not equivalent on the sole basis that one would qualify<br />

the defendants’ liability as contractual, while the other would qualify it<br />

as tort. As stated above, the concept of equivalence refers to an equivalence<br />

of the solutions, and not to an equivalence of the qualifications. As a<br />

consequence, a tort action could be considered as equivalent to a contractual<br />

action, provided that they both lead to the same result. Finally, the<br />

fact that the amount of damages granted in the two jurisdictions may differ<br />

is similarly irrelevant, as long as no punitive or exemplary damages are<br />

granted by the U.S. court ( 44 ). It should be recalled, in this respect, that<br />

French law considers loss assessment as a matter left to the sovereign valuation<br />

of the judges of the merits, which is not therefore subject to the<br />

( 41 ) Mayer, Private international law, Montchrestien, 8th Ed., 2004, pp. 282-283.<br />

( 42 ) Req. 29 July 1929, Drichemont, Dalloz, 1929, Jur. p. 458.<br />

( 43 ) App. Court Paris, 4 February 1958, in RCDIP, 1959, p. 380; App. Court Paris, 8 May<br />

1980, in RCDIP, 1981, p. 700.<br />

( 44 ) The issue of punitive damages will be analysed in more details in the section of this<br />

article on public policy.


664 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Supreme Court’s review ( 45 ). Likewise, there is no reason to allow French<br />

judges to review the assessment made by a foreign judge in respect to<br />

damages.<br />

5. – The Conformity of the U.S. Class Action Judgement With the French<br />

Conception of International Public Policy<br />

The main objection, which is likely to be raised against the recognition<br />

of a U.S. class action judgment is its purported contradiction with<br />

French principles of public policy.<br />

Based on the Munzer test, French courts may set aside a foreign judgment<br />

where the recognition and enforcement of the judgment would be<br />

contrary to the French conception of international public policy. There is<br />

no precise definition of what international public policy is, as this concept<br />

may evolve over time depending on the values that the French forum<br />

wants to protect.<br />

The concept of international public policy is actually twofold. Indeed,<br />

one must distinguish between rules of substantive public policy and rules<br />

of procedural public policy.<br />

Regarding substantive rules, the concept of public policy is construed<br />

in a restrictive manner. As a consequence, France may tolerate situations,<br />

which would be contrary to French domestic mandatory rules,<br />

when such situations have been created abroad without fraud. The<br />

Supreme Court accordingly held, in Rivière vs. Roumiantzeff, that: «the<br />

reaction [of the forum] against a provision contrary to public policy differs<br />

when such provision relates to a right to be acquired in France, or to the effects<br />

in France of a right acquired without fraud in another country, in accordance<br />

with the law competent pursuant to French rules of private international<br />

law » ( 46 ). In other words, international public policy may only bar<br />

the recognition of a foreign judgment in France in situations involving<br />

breaches of the most fundamental principles (theory of the « effet atténué<br />

de l’ordre public »). In the field of torts, the French Supreme Court has<br />

accordingly determined that «foreign rules on torts are not contrary to the<br />

French conception of international public policy merely because they differ<br />

from mandatory provisions of French law, but only insofar as they infringe<br />

( 45 ) Cass., Ass. Plen., 26 March 1999, n° 95-20640; Cass. Com. 19 October 1999, n° 97-<br />

12554; Mixed Chamber, 6 September 2002, n° 98-14397.<br />

( 46 ) Cass. Civ., 1 st Sect., Rivière vs. Roumiantzeff, 17 April 1953, Grands arrêts du droit international<br />

privé, in Dalloz, 4th Ed., 2001, p. 690 ss.


DIBATTITI 665<br />

principles of universal justice considered in the French conception as having<br />

universal value » ( 47 ).<br />

In the context of a U.S. class action, the issue will therefore be<br />

whether a French court would hold that the class action mechanism hurts<br />

fundamental principles of French law.<br />

It should first be analysed whether class actions should per se be considered<br />

as incompatible with French legal tradition (a). Then, specific arguments<br />

shall be addressed. One should notably wonder whether the class action<br />

mechanism infringes the principle of the parties’ equality (b) and<br />

whether recognition of such action would violate the French rules prohibiting<br />

« regulatory judgments » («arrêts de règlement ») (c) and contingency<br />

fees (d). Three further possible – and maybe more critical – objections<br />

against recognition of a U.S. class action lie in the fact that class members<br />

would be deprived of their individual right of justice (e), in the French principle<br />

«nul ne plaide par procureur » (f), and in the principle according to<br />

which only direct and foreseeable damages may be compensated (g).<br />

a. The Compatibility of the Class Action Mechanism With French Legal<br />

Tradition<br />

As said above, although there is currently a debate on their possible<br />

introduction, class actions similar to those provided by Rule 23 of the<br />

U.S. Federal Rule of Civil Procedure do not exist in France. Nevertheless,<br />

the mere fact that such actions do not currently exist in French law does<br />

not make them incompatible with our legal tradition.<br />

It should be noted, in this respect, that the principle according to<br />

which a plaintiff is allowed to represent a group of individuals is not totally<br />

unknown in France. There are situations, under French law, in which it<br />

is admitted that a legal action be brought in court in the name of individuals<br />

who did not individually and expressly consent to it.<br />

The main example of such tendency may be found in the field of<br />

labour law. French law indeed allows, in specific situations (Article L. 122-<br />

3-16 of the French Labour Code ( 48 )), trade unions to initiate actions in<br />

( 47 ) Cass. Civ., 1 st Sect., Lautour vs. Guiraud, 25 May 1948, Grands arrêts du droit international<br />

privé, in Dalloz, 4th Ed., 2001, p. 239 ss.<br />

( 48 ) Article L. 122-3-16 of the French Labour Code (the same rule is also enshrined in<br />

Art. L. 125-3-1, L. 124-20, L. 123-6, L. 321-15, L. 341-6-2, L. 135-4, L. 721-19) provides that<br />

trade unions may initiate an action in court on behalf of an employee without being authorized<br />

by proxy to do so. The employee must be informed of the action by notice in the


666 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

the individual interest of employees with no requirement of a written authorisation<br />

from the same, provided that (i) said employees have been informed<br />

of the action, (ii) they have not objected to the action being<br />

brought on their behalf, and (iii) they are identified or identifiable.<br />

Those actions are considered, under French law, as protecting both<br />

the individual and collective interests of employees. The French Constitutional<br />

Court ruled, on 25 July 1989 ( 49 ), that said trade unions’ actions<br />

are not contrary to the French Constitution, provided individuals are duly<br />

informed of the action and have the possibility to oppose it.<br />

Another action of a collective nature exists in the field of IP law. Article<br />

L. 321-1 of the Code of Intellectual Property ( 50 ) provides that professional<br />

associations of authors and artists (such as the Société des Auteurs<br />

Compositeurs et Editeurs de Musique – SACEM ( 51 ) have the right to act in<br />

court on behalf of the interests of their members. In application of said<br />

law, the SACEM may for instance request an attachment in guarantee of<br />

amounts due as copyright to an artist ( 52 ). However, the SACEM brings<br />

the action by virtue of an assignment of its members’ copyright ( 53 ), and<br />

not as a trustee or agent ( 54 ).<br />

French consumer law also provides for four a variety of collective actions,<br />

which may to a certain extent be compared to class actions.<br />

Pursuant to Article L.421-1 of the Consumer Code ( 55 ), consumer as-<br />

form of a registered letter and must not oppose the action within 15 days from the notice.<br />

The employee may always intervene in the action and end it at any time.<br />

( 49 ) Constitutional Court, 25 July 1989, n° 89-257 DC.<br />

( 50 ) Article L. 321-1, second paragraph, of the French Intellectual Property Code (formerly<br />

Article 38 of the 3 July 1985 law), provides that duly established associations are entitled<br />

to take legal action to defend the rights for which protection they have been constituted.<br />

Article L. 331-1, second paragraph, of the same Code (formerly Article 65 of the 11<br />

March 1957 law), also provides that entities regularly constituted to protect professional interests<br />

are entitled to institute legal proceedings to defend the interests entrusted to them<br />

by their statutes.<br />

( 51 ) In respect of the SACEM, it is generally held that authors assign their rights to it. As<br />

a consequence, it should be considered that, when it acts in the name of an artist, the<br />

SACEM also does so in its own name, and not only as its assignee.<br />

( 52 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 10 February 1987, n° 85-12074.<br />

( 53 ) Article 17 of the SACEM’s bylaws provide that each member of the SACEM, by adhering<br />

to its bylaws, acknowledges the SACEM’s right to bring an action in court for any<br />

dispute arising out of the exploitation of its works as well as in respect of any dispute concerning<br />

the collective interests of its members.<br />

( 54 ) Cass. Crim., 20 June 1990, n°86-92597; Cass. Crim., 29 March 1990, n° 86-93349.<br />

( 55 ) Under that Article, duly declared associations, which purpose is to protect con-


DIBATTITI 667<br />

sociations may exercise a civil action to obtain compensation for the injuries<br />

caused by criminal offences to the collective interests of consumers.<br />

However, the damages obtained in such action will be allocated exclusively<br />

to the association and not to the individual victims. Under Article<br />

L.421-6 of the Consumer Code, consumer associations may exercise an<br />

action to enjoin a party from pursuing an illicit behaviour or to obtain an<br />

order to suppress an illicit contractual clause ( 56 ). Yet, such action does<br />

not provide for a compensation mechanism in favour of the aggrieved<br />

consumers. Another available procedural device enabling consumers association<br />

to sue for the protection of the collective interests of consumers<br />

is, pursuant to Article 421-7 of the Consumer Code ( 57 ), the right of intervention,<br />

which permits consumers associations to join in a civil action<br />

brought by individual consumers for the compensation of their damages.<br />

Yet, the consumer action closest to class actions is the « joint representation<br />

» provided by Article L. 422-1 of the Consumer Code ( 58 ), which<br />

enables approved associations to take legal action on behalf of at least two<br />

consumers to obtain damages for losses individually suffered by the<br />

same. The main difference with U.S. class actions is that the « joint representation<br />

» action requires the association to be given written proxies to<br />

act on behalf of the concerned individuals. In practice, such action proved<br />

to be inefficient due to its large costs, to the impracticability of the management<br />

of individual mandates, and to the difficulty to collect them<br />

since the only permissible means to solicit the mandates is by press. Such<br />

sumer interests, may exercise the rights conferred upon civil parties in respect of events,<br />

which directly or indirectly prejudice the collective interest of consumers.<br />

( 56 ) Said article provides that the associations mentioned in article L. 421-1 and other<br />

organisations included in the list published in the Official Journal of the European Communities<br />

pursuant to article 4 of directive 98/27/CE of the European Parliament and Council<br />

related to consumer protection may take legal action to obtain an injunction to stop or<br />

prohibit any illicit action in respect of the provisions transposing the directives on consumer<br />

protection.<br />

( 57 ) Under that Article, the associations mentioned in article L. 421-1 may intervene, by<br />

notably requesting the application of the measures provided by article L. 421-2, in proceedings<br />

brought by one or more individual consumers before civil courts to obtain compensation<br />

for damages they suffered due to torts that do not qualify as criminal offences.<br />

( 58 ) Under that article, where several individuals suffered damages caused by the same<br />

action, any approved national representative association may, if its has been duly authorised<br />

in writing by at least two of the consumers concerned, institute legal proceedings to<br />

obtain compensation before any court on behalf of such group of consumers. The mandate<br />

may not be solicited by means of a public appeal on radio or television, nor by means of<br />

posting of information, by leaflets or personalised letters.


668 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

situation brought the French Senate to issue a report envisaging the possibility<br />

of the introduction in France of a true class action mechanism ( 59 ).<br />

Although it is not clear whether French law will adopt a class action<br />

device similar to that in force in the United States, there is undeniably a<br />

trend towards broadening the availability of representative actions. Thus<br />

the fact that a person may act in court on behalf of one or more individuals<br />

should not, in itself, be deemed contrary to the fundamental principles<br />

of our legal tradition.<br />

b. The Principle of the Parties’ Equality<br />

Another argument that could be raised against class actions is their<br />

contrariety with the defendant’s right to a fair trial. Indeed, while claimant<br />

knows who it is litigating against, defendant ignores the identity of each<br />

individual member of the class. Such situation would therefore be in<br />

breach of the principle of equality of parties (which is protected by Article<br />

6 of the ECHR).<br />

The argument, however, disregards the specific nature of the class,<br />

which consists in grouping plaintiffs into a category. As a consequence,<br />

the claimant party that the defendants face in court is the class itself<br />

(through its court appointed representatives and counsel), rather than<br />

each single member of the class. It should be noted, in this respect, that<br />

just like a French trade union is conferred, by French law, a status enabling<br />

it to represent a category of plaintiffs, the class is granted a similar<br />

status by the court decision certifying it.<br />

Besides, the breach of the parties’ equality argument may be successfully<br />

invoked only where the defendant would, by virtue of its ignorance<br />

of the identity of the class’ single members, have been deprived of an opportunity<br />

to raise a defense that would be personal to one of the class<br />

members, such as, for example, contributory negligence. However, such<br />

defenses seem rather unlikely in a class action case.<br />

c. The Prohibition of the So-Called Regulatory Judgments (« Arrêts de Règlement<br />

»)<br />

Another possible argument raised against the recognition of a U.S.<br />

class action judgment is that such decision would be contrary to Article 5<br />

of the French Civil Code. Such Article prohibits the rendering of so-called<br />

( 59 ) French Senate’s Report on Class Actions, presided by J.J. Hyest, 14 March 2006,<br />

n° 249.


« regulatory judgments » («arrêts de règlement »), i.e. judgments, which decide<br />

a solution in general and abstract terms and which do not merely refer<br />

to the case in dispute. In the meaning of Article 5 of the French Civil<br />

Code, « regulatory judgments » are characterized by the fact that (i) they<br />

are meant to abstractly bind all persons in similar situations (e.g. the consumers,<br />

or shareholders in general), and (ii) they are meant to apply to future<br />

similar cases ( 60 ).<br />

However, as Prof. Frison-Roche rightly puts it, class action judgments<br />

are not « regulatory judgments » in that (i) they do not apply to all persons<br />

in a broadly similar situation (e.g. shareholders in general), but only to a<br />

particular category of the same (e.g. those who purchased the securities of<br />

a particular company during a determined period, during which wrongful<br />

acts were purportedly committed by the managers of said company), and<br />

(ii) they do not apply to future situations: «it appears that decisions defined<br />

as regulatory judgments are meant to bind all persons, not only the parties<br />

identified in a particular dispute; furthermore, and the criteria is cumulative,<br />

they set forth a solution that will govern future situations since such situation<br />

will be applied to subsequent cases. Yet, class action judgments do not<br />

apply to future situations; they are very classical jurisdictional acts, which resolve<br />

past disputes » ( 61 ).<br />

d. The Contingency Fees System<br />

DIBATTITI 669<br />

Another argument against the recognition of a U.S. class action judgment<br />

is its alleged speculative character. According to that argument, class<br />

actions would essentially benefit the attorneys’ own financial interests.<br />

Undeniably, the contingency fees system is alien to our tradition and is<br />

opened to criticism in many respects. Nevertheless, it can hardly be denied<br />

that, on their face, class actions are initiated in the interest of class<br />

members, and not merely in the personal interest of class counsels.<br />

To put it in general terms, the fact that lead counsels are paid on a<br />

contingency fees basis should not be deemed contrary to the French conception<br />

of international public policy insofar as such fees compensate a<br />

service effectively rendered in a manner compatible with the local professional<br />

and ethical bar rules.<br />

( 60 ) Cass. Soc., 12 May 1965, Bull. 1965, I, n° 371; Cass. Soc., 23 April 1975, n° 74-12439.<br />

( 61 ) Frison-Roche, Les résistances mécaniques du systèmes juridique français à accueillir la<br />

class action: obstacles et compatibilités, in Les Petites Affiches, 10 June 2005, n° 115, p. 22 ss.


670 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

e. The Absent Class Members’ Right to Sue Individually<br />

An argument against the recognition in France of a U.S. class action<br />

could conceivably be that the absent class members were in a way<br />

“forced” to litigate in the United States, thus losing their right to bring<br />

suit individually, which would be contrary to the French conception of international<br />

public policy.<br />

As convincing as it may seem, the argument is not without flaws.<br />

First, it cannot be said that absent class members are deprived of their<br />

right to be heard. As a matter of fact, such right is ensured before the U.S.<br />

court. The only difference with an ordinary proceeding is that absent class<br />

members will be represented in court instead of acting in their individual<br />

capacity. However, insofar as there are reasonable grounds to believe that<br />

the absent class members received notice of the action, and had a reasonable<br />

opportunity to opt out, it is difficult to see why such situation should<br />

be deemed contrary to their fundamental rights.<br />

It is true, in this respect, that the 25 July 1989 decision of the Constitutional<br />

Court ( 62 ) requires each represented party in the collective action<br />

to be individually informed of the action, which would imply the receipt<br />

of a personal letter. However, that decision refers to the legal conditions<br />

under which a collective action could be introduced in France, and there<br />

is in our view no reason to believe that French case law would necessarily<br />

set such a stringent standard for the exequatur of a foreign class action<br />

judgment. The conditions pursuant to which the class members of a U.S.<br />

class action will be informed are governed by U.S. law, and there is no<br />

reason to believe that a notice by publication should not be accepted by<br />

the French system as long as it complies with the applicable foreign rules<br />

and it is reasonably sufficient to provide each class member with adequate<br />

information.<br />

In this respect, it should be recalled that notifications by way of publication<br />

are not unknown in France. For example, French companies ordinarily<br />

communicate with stockholders and inform them of general meetings<br />

or changes in material corporate matters through non-individual<br />

postings. Indeed, under French company law, even in case of important<br />

decisions affecting shareholders’ rights and obligations (for example,<br />

changes in the company’s bylaws, changes in the composition of the<br />

board, capital increases or reductions, dissolution of the company) notices<br />

to attend the shareholders’ assembly can be made by way of publica-<br />

( 62 ) Constitutional Court, 25 July 1989, n° 89-257 DC.


DIBATTITI 671<br />

tion ( 63 ). We cannot see any reason why French law should permit that<br />

such an important information as the meeting of a shareholders’ assembly<br />

convened to decide an increase of capital be communicated by way of<br />

publication, while requiring that information concerning a class action be<br />

necessarily communicated by individual notice.<br />

More generally, the idea that a party’s right should never be disposed of<br />

without an express declaration of intent is also opened to debate. For example,<br />

French law admits that a party be bound by commitments taken<br />

without his consent where his behaviour was such that third parties could<br />

believe that the author of the commitments was his agent (theory of the<br />

«mandat apparent »). In the field of insurance contracts, Article L. 112-2 of<br />

the Insurance Code ( 64 ) provides that the insured can be bound by an<br />

amendment or an extension of the insurance contract if it remained silent<br />

after having received a notification from the insurer. It is also admitted, in<br />

French civil law, that a party be bound by its silence if it failed to react to the<br />

notification of an offer made in its exclusive interest ( 65 ). Likewise, French<br />

law admits that a party can waive a right by remaining silent ( 66 ). Finally, Article<br />

9-1 of the 17 February 1983 Geneva Convention on agency in international<br />

sales of goods ( 67 ), which has been signed by France, provides that<br />

the mandate given by the principal to the agent may be express or implied,<br />

which does not rule out that silence can be equivalent to an authorization.<br />

In French procedural law, there are also situations in which it is admitted<br />

that a person or legal entity be party to a procedure on the basis of<br />

a publication. For instance, Article 656 of the French Code of civil proceedings<br />

states that, if it is impossible to notify a writ of summons to the<br />

defendant personally, the notification may be deemed valid if published<br />

for three months at the city hall of the place where the defendant had his<br />

last domicile.<br />

( 63 ) Article 124 of the Decree n° 67-236 of 23 March 1967 provides that notices of<br />

meetings are inserted (i) in the official journal of legal notices of the place where the<br />

company has its registered offices, and also (ii) in the Bulletin of legal notices if the company<br />

is listed.<br />

( 64 ) Subparagraph 5 of Article L. 112-2 of the French Insurance Code provides that an<br />

offer made by registered letter to extend or to amend an insurance policy, or to bring a suspended<br />

insurance policy contract back into force, shall be deemed accepted if the insurer<br />

does not refuse said offer within ten days after receipt thereof.<br />

( 65 ) Cass. Civ., 1 st Sect., 1 st December 1969, in Bull., 1969, I, n° 375; Cass. Civ., 1 st Sect.,<br />

10 October 1995, n° 93-14227; Cass. Soc., 21 July 1986, n° 84-11626.<br />

( 66 ) Com. 26 January 1993, n° 91-12606.<br />

( 67 ) Article 9-1 of the Geneva Convention.


672 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

French bankruptcy law provides for another comparable example. Articles<br />

L. 621-43 of the French Code of commerce and 66 of the 27 December<br />

1985 Decree state that, in case of bankruptcy, the proceedings are published<br />

in an official journal (BODACC) and the curator of the bankruptcy<br />

(représentant des créanciers) informs the creditor by letter. Said publication<br />

triggers a two months time-limit (four months if the creditor is domiciled<br />

abroad) for the creditor to petition for the admission of his credit into<br />

the bankruptcy. Failing the creditor to make such petition, the credit is<br />

extinguished. According to consistent case law, if the curator of the bankruptcy<br />

fails to inform the creditors personally, the time-limit is nevertheless<br />

triggered on the basis of the sole publication in the BODACC, with<br />

the consequence that the right of a creditor – be him domiciled in France<br />

or abroad – to participate in the payments made pari passu by the bankruptcy<br />

to all creditors may be extinguished on the basis of his failure to<br />

consult the publication into the BODACC ( 68 ). Such situation can be transposed<br />

to that of an absent class member. As a matter of fact, the opening<br />

of the bankruptcy can, to a certain extent, be compared, for the creditor,<br />

to the initiation of a lawsuit as it triggers a legal and judicial process for<br />

the admission of the credit in the bankruptcy.<br />

Such examples are of course quite different from the situation of an<br />

absent class member, but they illustrate that the American class actions’<br />

opt out mechanism should not necessarily be deemed incompatible with<br />

the French conception of international public policy on the ground that it<br />

permits the disposal of a party’s right absent a clear expression of such<br />

party’s intent.<br />

Ultimately, the issue is one of representation: may the class representatives<br />

validly represent absent class members in court? Given that the issue<br />

of representation applies to proceedings before a U.S. court, such<br />

question should be regulated by U.S. law rather than by French law.<br />

In any event, French case law does not consider the jus standi of the<br />

plaintiff in the foreign proceedings to be part of the French conception of<br />

international public policy ( 69 ). As a consequence, the lack of jus standi<br />

(under French principles) of the class representatives to represent absent<br />

class members before the U.S. court should not constitute a valid ground<br />

to refuse recognizing the U.S. judgment.<br />

( 68 ) Cass. Com., 11 October 1988, n° 87-12791; Cass. Com., 29 January 1991, n° 89-16421;<br />

Cass. Com., 6 July 1999, n° 97-11191; Cass. Com., 23 January 2001, n° 98-15487.<br />

( 69 ) Supreme Court, Commercial Sect., Bail Marine vs. Vessereau, 10 May 1982, n°80-<br />

16125; App. Court Paris, 1 st Sect. C. Gothaer vs. Taffin, 6 December 2001, n° 00-13409.


f. The Principle « Nul Ne Plaide Par Procureur »<br />

DIBATTITI 673<br />

Another possible argument against the recognition of a class action<br />

judgment is that the class action mechanism would be contrary to the<br />

very old French principle according to which no one is entitled to represent<br />

another individual’s interests in court « except the King » («Nul en<br />

France ne plaide par procureur, hormis le roi »).<br />

This principle, however, should not be understood as preventing a<br />

party from representing a class of non-identified individuals in court. The<br />

rule «Nul en France ne plaide par procureur » simply means that a party to<br />

a lawsuit cannot present itself as acting in its own interest when, in reality,<br />

it exercises the rights of a third party whose identity is concealed. In other<br />

words, the purpose of the principle is to avoid procedural fraud (for instance,<br />

to prevent a defendant, who does not know the identity of the real<br />

claimants, from invoking specific defenses against those persons). The<br />

Paris Court of Appeal accordingly held, in the context of an action to set<br />

aside an arbitral award, that «the rule “nul en France ne plaide par procureur”<br />

requires the owner of the rights which are exercised in court not to<br />

hide himself and to reveal his identity in order not to prejudice the respondent’s<br />

defenses which might be linked to his identity, and to avoid procedural<br />

fraud » ( 70 ).<br />

In the case of a class action, there is no concealment of the nature of<br />

the action since the defendant knows that the lead plaintiffs represent the<br />

class members. Class actions are in fact allowed by U.S. courts on the prerequisite,<br />

among others, that the claims or defenses of the representative<br />

parties be typical of those of the class.<br />

In addition, the principle «nul ne plaide par procureur. . .» relates to<br />

the capacity of the plaintiff ( 71 ), and is not part of the French conception of<br />

international public policy ( 72 ). The principle therefore only applies in do-<br />

( 70 ) Paris, 1 st Sect. C. Syrian Arab Republic vs. AAO Golan, 19 June 2003, Les cahiers de<br />

l’arbitrage, Vol. II, July 2004, p. 343; see also App. Court Paris, Gothaer vs. Kansa, 6 December<br />

2001, n° 00-13406; App. Court Montpellier, Piquet vs. Commune de Belveze du Cazes,<br />

26 June 1991, Unpublished; App. Court Aix-en-Provence, Marseillaise de manutention et de<br />

transport vs. Prodelec, 20 November 1980, n° Jurisdata 1980-600747.<br />

( 71 ) Paris, 1 st Sect. C., 6 December 2001, Gothaer vs. Taffin, n° 00-13409; see also the<br />

Supreme Court judgment holding that the inadmissibility defense based upon the lack of<br />

capacity of a party is not of public policy and can therefore not be raised ex officio: Bail Matine<br />

vs. Vessereau, 10 May 1982.<br />

( 72 ) App. Court Paris, 5 th Sect. B, Chenue vs. Brachot, 24 October 1991, n° Jurisdata 1991-<br />

024339; App. Court Colmar, Kruger vs. Fougerolle, 30 April 1996, n° 94-05667; App. Court


674 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mestic actions before French courts ( 73 ), and cannot be used to set aside a<br />

foreign judgment or award. Indeed, in a case where a party objected to the<br />

recognition in France of an Italian decision arguing that the foreign court<br />

had disregarded the principle «nul ne plaide par procureur », the Supreme<br />

Court held that the appellate judges had rightly enforced the Italian decision<br />

and did not have to determine whether the invoked rule also applied<br />

in Italy ( 74 ).<br />

g. The Principle of Direct and Foreseeable Damages<br />

Even though the assessment of the amount of damages is a matter traditionally<br />

left to the sovereign assessment of the judges of the merits, civil<br />

law systems have a general principle according to which damages<br />

should have a compensatory nature, i.e. that their scope should be limited<br />

to compensating direct and foreseeable losses.<br />

In certain types of class actions, namely those related to very serious<br />

offences such as physical injuries, punitive or other special or exemplary<br />

damages may be recovered before common law courts ( 75 ).<br />

Punitive damages may be defined as damages in excess of actual damages,<br />

which are assessed as a form of punishment of the wrongdoer and to<br />

deter both the negligent party and others from committing the same reckless<br />

or malicious acts.<br />

It is doubtful that a French court will accept to enforce a class action<br />

judgment from a U.S. court awarding such punitive damages. France, unlike<br />

other European countries, does not yet, in our knowledge, have case<br />

law on that particular issue. However, German ( 76 ), English ( 77 ) and Italian<br />

( 78 ) courts held that the recognition of an American judgement awarding<br />

punitive damages is contrary to public policy and should be denied. To<br />

the contrary, a Swiss court has enforced a Californian judgment awarding<br />

punitive damages in application of English law ( 79 ).<br />

Paris, 1 st Sect. C., Mandel vs. Coprim, 27 October 1998, n° 97-06011; App. Court Paris, 1 st<br />

Sect. C. Gothaer vs. Taffin, 6 December 2001.<br />

( 73 ) Cass. Civ., 2 nd Sect., 3 April 2003, Fitzpatrick vs. Berner, n° 99-21024.<br />

( 74 ) Cass. Civ., 2 nd Civ., 4 April 1973, Eurasia vs. Agenzia Marittima Tirreno, n° 71-14100.<br />

( 75 ) Laroche-Gisserot, Les Class Actions Américaines, Petites Affiches, 10 June 2005,<br />

p. 7.<br />

( 76 ) Bundesgerichshstof, June 4, 1992, Bundesverfassungsgericht, Dec. 7, 1994.<br />

( 77 ) Lewis vs. Eliades [2003] EWHC 368 (QB), [2003] 1 All. E.R. (Comm.) 85.<br />

( 78 ) Venice Court, October 15, 2001.<br />

( 79 ) Basel Civil Court, February 1 st , 1989, quoted by Court de Fontmichel, L’arbitre,


Assuming that a French court would consider the principle of compensation<br />

of actual damages to be part of the French conception of international<br />

public policy, a partial recognition of the U.S. decision could<br />

however be envisaged since punitive damages are awarded separately and<br />

in addition to compensatory damages.<br />

6. – The Absence of Fraud<br />

Under Munzer, the foreign judgment must not have been obtained by<br />

fraud.<br />

The concept of fraud, which has to be assessed on a case-by-case basis,<br />

is threefold. First, the judge has to verify that the foreign judgment was<br />

not obtained through deceitful procedural manoeuvres or by depriving<br />

the defendant of its due process rights. Second, the judge has to verify<br />

that the action was not brought before the foreign court with the purpose<br />

of avoiding the application of the proper French substantive law rule.<br />

Last, the judge has to verify that the obtaining of a class action judgment<br />

in the U.S. was not geared toward avoiding the effects of a judgment that<br />

could have been rendered by a French court.<br />

7. – Concluding Remarks<br />

DIBATTITI 675<br />

U.S. class actions are the subject of a heated debate, and they are indeed<br />

many valid reasons to consider that the current American procedure<br />

of collective actions for money damages is subject to criticism. Still, such<br />

criticism is not, in our view, sufficient to deny the recognition and enforcement<br />

of U.S. class action judgments in France. Indeed, principles of<br />

international cooperation and comity advocate a liberal approach of foreign<br />

judgments favourable to their recognition. In the context of class actions,<br />

we have seen that most of the conditions traditionally applied by<br />

French courts to assess the regularity of a foreign decision – absent any<br />

applicable bilateral or multilateral convention – are not likely to preclude<br />

the recognition of a U.S. class action. Such is the case of the indirect jurisdiction<br />

requirement, of the review of the law applied by the foreign<br />

judge, of the regularity of the proceedings abroad and of the requirement<br />

of absence of fraud. At the end of the day, the issue comes down to<br />

whether U.S. class actions should be deemed compatible with the French<br />

le juge et les pratiques illicites du commerce international, Panthéon Assas, 2004, p. 392, citing<br />

Brand, Punitive Damages and the Recognition of Judgments, in NILR, 1996, p. 169.


676 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

conception of international public policy. Given that public policy is a<br />

subjective concept, which evolves in time, this is of course an issue for debate.<br />

However, in the authors’ view, the modern needs of international<br />

cooperation and comity in a globalized world impose to restrict the international<br />

public policy defense, which is localistic by nature, to the only<br />

flagrant and intolerable violations of the most fundamental principles of<br />

the forum. Arguably, as criticisable as they may be, foreign class actions<br />

do not constitute such intolerable offence to the French forum.<br />

Marina Matousekova


ALESSANDRO SOMMA<br />

Esportare la democrazia economica.<br />

Diritti e doveri nella disciplina del contratto europeo<br />

Saggi<br />

Sommario: 1. Dal diritto privato come sistema di diritti al diritto privato come sistema di<br />

doveri. – 2. L’economia sociale di mercato e il sistema dei diritti e dei doveri nella disciplina<br />

del contratto europeo. – 3. Diritto contrattuale europeo e tutela dell’ambiente:<br />

contratto turistico e turismo sostenibile. – 4. Diritto contrattuale europeo e tutela dei<br />

lavoratori: contratto standard e consumerismo critico.<br />

1. – I cultori dell’antropologia economica che hanno studiato il succedersi<br />

dei sistemi di redistribuzione della ricchezza, osservano come il modello<br />

esaltato dal liberalismo economico abbia prevalso unicamente nel<br />

diciannovesimo secolo. Solo durante questo arco di tempo si sarebbe imposta<br />

l’idea secondo cui il mercato – l’arena nella quale dall’incontro della<br />

domanda e dell’offerta scaturiscono i prezzi delle merci – deve essere<br />

lasciato « libero ». E solo durante questo periodo ciò avrebbe condotto ad<br />

una sorta di desocializzazione dell’economia: l’isolamento del fenomeno<br />

economico dai restanti fenomeni sociali e in particolare la separazione del<br />

primo dal circuito della politica ( 1 ).<br />

Prima del diciannovesimo secolo la redistribuzione della ricchezza<br />

non sarebbe stata condizionata dal libero mercato o da meccanismi assimilabili.<br />

Questi ultimi non si sarebbero trascurati, ma avrebbero assunto<br />

una posizione subordinata rispetto a sistemi incentrati su « due principi<br />

del comportamento non primariamente associati all’economia: la reciprocità<br />

e la redistribuzione » ( 2 ).<br />

È noto come, sul piano del diritto, una simile evoluzione sia stata supportata<br />

da costruzioni volte ad attrarre entro l’orbita della libera contratta-<br />

( 1 ) Al proposito da ultimo Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo (2004), Torino,<br />

2005, p. 87 ss.<br />

( 2 ) Polanyi, La grande trasformazione (1944), Torino, 1974, p. 62 ss.


678 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

zione le vicende che – stante la prevalenza di sistemi di redistribuzione<br />

della ricchezza diversi dal mercato – erano un tempo condizionate dall’appartenenza<br />

di ceto. Questo è stato il senso delle trasformazioni che<br />

hanno condotto all’affermazione del soggetto unico di diritto e della credenza<br />

nella sua capacità di autodeterminarsi, valutata sulla scorta di criteri<br />

meramente formali. Il tutto al fine di porre la volontà al centro della vicenda<br />

contrattuale – valutata nella sua essenza di atto – e trascurare le vicende<br />

di ordine sostanziale comunemente contemplate in sede di valorizzazione<br />

del vincolo.<br />

Tutto ciò sino alla conclusione del diciannovesimo secolo. Successivamente<br />

si sarebbe invece assistito ad un processo di risocializzazione<br />

dell’economia, in particolare attraverso una sua subordinazione al circuito<br />

della politica. Questo il senso della « grande trasformazione » determinatasi<br />

in occidente nei contesti in cui si è affermato il fascismo. Si tratta<br />

di una trasformazione – richiesta dagli operatori di un « sistema economico<br />

che era in pericolo di disfacimento » – che ha interessato le istituzioni<br />

economiche liberali e che si è realizzata attraverso l’affossamento<br />

delle istituzioni politiche liberali: « la soluzione fascista dell’impasse raggiunta<br />

dal capitalismo liberale può essere descritta come una riforma dell’economia<br />

di mercato, raggiunta al prezzo dell’estirpazione di tutte le<br />

istituzioni democratiche, tanto nel campo dell’industria che in quello<br />

dell’economia » ( 3 ).<br />

Dal punto di vista del diritto, le nuove istanze si sono tradotte nel formale<br />

scardinamento di un principio dello stato moderno: quello secondo<br />

cui il diritto privato costituisce essenzialmente un sistema di diritti dell’individuo<br />

posti a presidio dell’ingerenza dei pubblici poteri. Prevale ora<br />

il profilo dei doveri dell’individuo, che determina fra l’altro l’esaltazione<br />

del contratto come « strumento di cooperazione delle forze economiche<br />

generali e di quelle individuali per il raggiungimento dei fini indicati » dal<br />

potere politico ( 4 ). In tal senso si discorre di transizione dalla « signoria<br />

della volontà » alla « autonomia del volere » che « non è sconfinata libertà<br />

del potere di ciascuno »: « se legittima nei soggetti un potere di regolare il<br />

proprio interesse, nel contempo impone ad essi di operare sempre sul piano<br />

del diritto positivo, nell’orbita delle finalità che questo sanziona » ( 5 ).<br />

( 3 ) Ivi, p. 297.<br />

( 4 ) Putzolu, Panorama del Codice civile fascista, in Riv. dir. civ., 1941, p. 405.<br />

( 5 ) Relazione al Re, n. 8, cit. da Pandolfelli-Scarpello-Stella Richter-Dallari,<br />

Codice civile – Libro delle obbligazioni illustrato con i lavori preparatori e disposizioni di attuazione<br />

e transitorie, Milano, 1942, p. 156 s.


SAGGI 679<br />

Una simile evoluzione ha condotto molti a considerare il controllo statale<br />

sulla contrattazione come un tratto caratteristico dei sistemi totalitari,<br />

anche laddove esso si è sviluppato entro sistemi in cui la risocializzazione<br />

dell’economia avviene nel rispetto dei capisaldi dello stato di diritto ( 6 ). Si<br />

tratta di un evidente equivoco – se non di una ricostruzione volutamente<br />

fondata su forzature – dal momento che la mediazione del meccanismo<br />

democratico conduce a mutare radicalmente l’esito del controllo statale tipico<br />

dei sistemi totalitari. In questi ultimi il controllo è finalizzato a promuovere<br />

la cooperazione dei consociati in funzione del risultato economico<br />

di cui il potere politico si rende garante ed a reprimere così il conflitto<br />

tra consociati. Laddove il meccanismo democratico si limita invece a riequilibrare<br />

la posizione dei partecipanti al conflitto, senza imporre loro un<br />

determinato risultato: valorizza la dialettica tra i consociati, esattamente<br />

come avviene nei modelli liberali, evitando tuttavia di favorire la mera riproduzione<br />

dell’esito determinato dall’azione del mercato ( 7 ).<br />

Inoltre si consideri che la rilettura in chiave totalitaria del diritto contrattuale<br />

non altera l’essenza del sistema delle libertà economiche di matrice<br />

liberale. Queste ultime – diversamente dalle libertà politiche – sono<br />

nate funzionalizzabili e mai sono state viste in termini assoluti: tanto è vero<br />

che i teorici della celeberrima mano invisibile esaltano l’interesse personale<br />

in chiave utilitaristica e lo promuovono quindi nella misura in cui<br />

esso conduce ad un « vantaggio per la società » e in particolare ad incrementare<br />

la « ricchezza delle nazioni » ( 8 ).<br />

Altrimenti detto, la conformazione del mercato, ove costituisca l’esito<br />

di una sua risocializzazione mediata dal meccanismo democratico, non<br />

rende totalitario il sistema in cui essa viene realizzata. E lo stesso dicasi per<br />

la valorizzazione del contratto come vicenda in cui il profilo dei doveri delle<br />

parti prevale su quello dei loro diritti. Come vedremo, totalitario – o almeno<br />

autoritario – è semmai il sistema eretto a livello comunitario. Quest’ultimo<br />

è invero tutto incentrato sulla riaffermazione della separazione<br />

netta tra economia e politica, che è in verità finalizzata ad eliminare la mediazione<br />

del meccanismo democratico nella costruzione del mercato.<br />

( 6 ) Per tutti Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 19.<br />

( 7 ) Cfr. Somma, Buona fede contrattuale e gestione del conflitto sociale, in D’Angelo-<br />

Monateri-Somma, Buona fede e giustizia contrattuale. Modelli cooperativi e modelli conflittuali<br />

a confronto, Torino, 2005, p. 90 ss. V. anche Ruland, Solidarität, in NJW, 2002, p. 3518<br />

e Monateri, Ripensare il contratto: verso una visione antagonistica del contratto, in Riv. dir.<br />

civ., 2003, I, p. 409 ss.<br />

( 8 ) Smith, La ricchezza delle nazioni (1776), Roma, 2005, p. 389 ss.


680 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il tutto riproducendo uno schema perfezionatosi ai tempi del totalitarismo,<br />

quando il controllo della politica sull’economia avveniva nel pieno<br />

rispetto delle istanze provenienti dagli operatori del mercato. Anche all’epoca<br />

si era invero affidato alla politica il compito di generare « una coscienza<br />

che supererà gli interessi di classe e arriverà all’interesse globale<br />

della produzione e quindi agli interessi nazionali, i quali non possono<br />

scindersi dagli interessi della produzione » ( 9 ).<br />

2. – È banale affermare che a livello comunitario la massima della separazione<br />

tra la politica e l’economia sia concepita per escludere o limitare<br />

fortemente la mediazione democratica nella definizione delle modalità<br />

attraverso cui realizzare la redistribuzione della ricchezza. L’intero sistema<br />

delle libertà fondamentali contemplate nel trattato istitutivo viene del<br />

resto inteso, in senso funzionalista, come sistema di divieti di ingerenza<br />

dei pubblici poteri e di obblighi di questi ultimi di assicurarne l’esercizio<br />

anche contro le invadenze dei privati ( 10 ). Se dunque si hanno forme di<br />

conformazione del mercato, e quindi di compressione delle libertà fondamentali,<br />

esse discendono dal proposito di sacrificare la condotta individuale<br />

alle necessità concernenti il mantenimento e lo sviluppo del sistema<br />

nel suo complesso. Del resto nel mercato « contano i flussi complessivi<br />

» e « non gli apporti individuali » ( 11 ).<br />

Il medesimo schema si ritrova nella proposta di Costituzione europea<br />

dove è riassunto nella formula « economia sociale di mercato » (art.<br />

I-3) ( 12 ). Quest’ultima è stata coniata in area tedesca alla conclusione del<br />

conflitto mondiale, per alludere alla situazione in cui il diritto alimenta un<br />

sistema di libero mercato, interpretando in chiave funzionalista i diritti riconosciuti<br />

in capo ai suoi operatori: affermandoli se consentono di ottenere<br />

le finalità assunte ad orizzonte del sistema – riassunte fra l’altro nella<br />

locuzione « crescita economica » ( 13 )– e negandoli invece nel caso con-<br />

( 9 ) Rocco, Il congresso nazionalista di Roma (1919), in Id., Scritti e discorsi politici, vol.<br />

2, Milano, 1938, p. 478 s.<br />

( 10 ) Ad es. Riesenhuber, System und Prinzipien des Europäischen Vertragsrechts, Berlin,<br />

2003, p. 86. In prospettiva generale Mayer-Scheinpflug, Privatrechtsgesellschaft und die<br />

Europäische Union, Tübingen, 1996, part. p. 25 ss.<br />

( 11 ) Schlesinger, Mercato, diritto privato, valori, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 327.<br />

( 12 ) Citazioni in Somma, Tutti per uno. Scienza giuridica, economia e politica nella costruzione<br />

del diritto privato comunitario, in Riv. crit. dir. priv., 2006, p. 307 ss.<br />

( 13 ) Per tutti Fikentscher, Wirtschaftsrecht, Bd. 2, München, 1983, p. 35 s. e Mestmäcker,<br />

voce Diritto dell’economia, in Enc. Sc. soc., vol. 3, Roma, 1993, p. 93. Per rilievi critici<br />

Gärtner, Zum Standort des Verbraucherrechts, in JZ, 1992, p. 73 ss.


SAGGI 681<br />

trario. Ne discende che la redistribuzione della ricchezza costituisce un<br />

esito solo indiretto della mediazione democratica, che si esprime attraverso<br />

interventi normativi direttamente volti a coordinare il mercato. Altrimenti<br />

detto, la conformazione del mercato deve mirare unicamente a rimediare<br />

ai suoi fallimenti, mentre alla redistribuzione della ricchezza tendono<br />

le sole misure che operano fuori dai confini del mercato, attraverso<br />

interventi di carattere prevalentemente fiscale ( 14 ).<br />

Il diritto contrattuale in linea con simili intenti si fonda evidentemente<br />

sulla massima dell’autonomia privata che tuttavia, dal punto di vista<br />

funzionale, viene compressa se il suo esercizio si traduce in comportamenti<br />

capaci di mettere a rischio l’equilibrio del sistema economico e la<br />

sua crescita ( 15 ).<br />

In termini generali, il sistema delle libertà contrattuali funzionalizzate<br />

viene descritto nell’ambito delle note iniziative volte ad « accrescere la<br />

coerenza dell’acquis comunitario » attraverso l’elaborazione di un « quadro<br />

comune di riferimento », in cui siano contenute « le soluzioni ottimali<br />

in termini di norme e terminologia comuni » ( 16 ). Si precisa che occorre<br />

nel merito ispirarsi al principio della « libertà contrattuale » e che esso deve<br />

essere funzionalizzato al proposito di determinare un « armonico funzionamento<br />

del mercato ». E ciò si ottiene, fra l’altro, promuovendo « la<br />

fiducia dei consumatori e delle imprese nel mercato interno attraverso un<br />

elevato livello comune di protezione dei consumatori » e realizzando « l’eliminazione<br />

degli ostacoli al funzionamento del mercato interno » ( 17 ).<br />

Da un simile punto di vista il contratto viene ancora descritto come il<br />

libero incontro di volontà – le volontà in cui si esprime il senso della domanda<br />

e dell’offerta di beni e servizi – che l’ordinamento è chiamato a favorire<br />

tutelando la capacità delle parti di autodeterminarsi. Da ciò l’idea,<br />

su cui si fondano le speranze di chi intende salvare il diritto privato nelle<br />

sue strutture tradizionali ( 18 ), che i contraenti sono deboli se viene intacca-<br />

( 14 ) Müller-Armack, Wirtschaftslenkung und Marktwirtschaft (1946), Bern e Stuttgart,<br />

1976, p. 116 ss.<br />

( 15 ) Per tutti Grundmann, La struttura del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ.,<br />

2002, I, p. 378 ss. e Riesenhuber, System und Prinzipien des Europäischen Vertragsrechts, cit.,<br />

p. 553 ss.<br />

( 16 ) COM (2003) 68 def. (Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al<br />

Consiglio « Maggiore coerenza nel diritto contrattuale Europeo – Un piano d’azione »).<br />

( 17 ) COM (2004) 651 def. (Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al<br />

Consiglio « Diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis: prospettive per il futuro »).<br />

( 18 ) Ad es. Dreher, Der Verbraucher – Das Phantom in den opera des europäischen und<br />

deutschen Rechts?, in JZ, 1997, p. 167 ss.


682 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ta la loro capacità di autodeterminazione. E che devono essere così tutelati<br />

con misure volte prevalentemente a consentire l’accesso alle informazioni<br />

circa i termini dell’affare ( 19 ) e condizioni idonee ad assumere decisioni<br />

razionali e meditate: misure come quelle discendenti dal principio di<br />

trasparenza del contratto o dalla previsione del cosiddetto ius poenitendi.<br />

Peraltro, come si è detto, simili misure hanno il fine di preservare l’autodeterminazione<br />

dei contraenti solo se consentono di evitare alterazioni<br />

del meccanismo concorrenziale. Esse costituiscono pur sempre forme di<br />

risocializzazione dell’economia, che tuttavia sono funzionali a rimediare<br />

ai fallimenti del mercato, ma non anche a redistribuire ricchezza sulla<br />

scorta di meccanismi alternativi all’incontro di domanda e offerta. E lo<br />

stesso dicasi per il divieto di discriminazione che, seppure riferito a vicende<br />

rilevanti per la dimensione sociale della costruzione comunitaria, nasce<br />

e si sviluppa per promuovere il proficuo incontro di domanda ed offerta<br />

in termini sostanzialmente rispettosi del contenuto dell’operazione<br />

economica cui il divieto si riferisce ( 20 ).<br />

Se così stanno le cose, si comprende come il sistema del diritto contrattuale<br />

comunitario sia costruito attorno al concetto di diritto – seppure<br />

funzionalizzato – e come esso non lasci uno spazio apprezzabile al profilo<br />

dei doveri. Questi ultimi consentirebbero infatti forme di risocializzazione<br />

dell’economia capaci di conformare il mercato e renderlo uno strumento<br />

di redistribuzione della ricchezza concepito nei termini e nei modi<br />

decisi all’interno del circuito democratico. A ben vedere di doveri comunitari<br />

si discorre nel Trattato istitutivo, laddove si dice che « i cittadini dell’Unione<br />

godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti » dall’articolato<br />

(art. 17). Non vi sono tuttavia precetti che specifichino l’enunciazione<br />

e lo stesso accade nella proposta di Costituzione europea, in cui si riprende<br />

la formula del Trattato (art. I-10) e si riporta inoltre il preambolo alla<br />

Carta dei diritti fondamentali, con la precisazione che le posizioni in essa<br />

contemplate fanno « sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri<br />

come pure della comunità umana e delle generazioni future » (Preambolo<br />

Parte II). Una diversa soluzione sarebbe del resto « contraria allo spirito<br />

liberale del diritto comunitario e della cittadinanza dell’Unione » ( 21 ).<br />

( 19 ) Per tutti Grundmann, Privatautonomie im Binnenmarkt. Informationsregeln als Instrument,<br />

in JZ, 2000, p. 1133 ss.<br />

( 20 ) Citazioni in Somma, Social Justice and the Market in European Contract Law, in ER-<br />

CL, 2006, p. 187 ss.<br />

( 21 ) Reich, Il consumatore come cittadino – il cittadino come consumatore: riflessioni sull’attuale<br />

stato della teoria del diritto dei consumatori nell’Unione europea, in Nuova giur. civ.,<br />

2004, II, p. 355. V. anche Jarass, EU-Grundrechte, München, 2005, p. 50.


SAGGI 683<br />

Questa situazione pone notevoli problemi dovuti alla progressiva<br />

espansione del mercato – e con esso dello strumento contrattuale – oltre i<br />

suoi confini tradizionali: soprattutto nel campo delle attività classicamente<br />

ricondotte ai compiti attribuiti allo stato sociale ( 22 ). Peraltro in area comunitaria<br />

vi sono ancora forme di resistenza alla desocializzazione dell’economia<br />

in settori dell’ordinamento – quali il diritto del lavoro ed il diritto<br />

ambientale – in cui tipicamente assume rilievo il modo di produrre.<br />

Certo anche il diritto del lavoro e il diritto dell’ambiente sono in fase<br />

di trasformazione: sono sempre più concepiti come la fonte di strumenti<br />

direttamente volti a contribuire al mantenimento ed allo sviluppo del sistema<br />

economico e solo di riflesso a realizzare forme di tutela dell’individuo<br />

e dell’ambiente in cui conduce la sua esistenza. Del resto le sorti del<br />

sistema economico dipendono pur sempre dalla garanzia di un certo livello<br />

di pace sociale e di una corretta allocazione di risorse – quelle ambientali<br />

– non certo inesauribili.<br />

Peraltro i problemi maggiori sorgono nel momento in cui ci si trova di<br />

fronte a beni che circolano in area comunitaria e che sono stati prodotti in<br />

zone del mondo in cui la produzione non avviene in base agli standard lavoristici<br />

e ambientali europei. In simili ipotesi potrebbe essere opportuno<br />

ricorrere al diritto contrattuale – e in particolare al sistema di tutela del<br />

consumatore – per favorire indirettamente il rispetto degli standard in discorso:<br />

per realizzare una sorta di esportazione della democrazia economica.<br />

Nel prosieguo ci dedicheremo a questi aspetti trattando esemplarmente<br />

di due figure: il contratto turistico ed il contratto standard. Lo faremo<br />

muovendo dalle soluzioni individuate a livello comunitario – soluzioni<br />

in linea con lo schema dell’economia sociale di mercato – mettendo in<br />

luce gli ostacoli che di volta in volta impediscono il raggiungimento della<br />

finalità enunciata.<br />

3. – Il proposito di difendere il consumatore turista e nel contempo di<br />

realizzare forme di tutela ambientale può richiedere interventi normativi<br />

inconciliabili. Ciò accade soprattutto quando il turista è un cittadino europeo,<br />

la cui protezione concerne il rispetto di standard occidentali da<br />

parte di operatori turistici attivi nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. In<br />

( 22 ) Al proposito il documento del Gruppo di studio sulla giustizia sociale nel<br />

diritto privato europeo, Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, in<br />

Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 102. V. anche Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo<br />

millennio, in Contr. e impr., 2000, p. 197 e Id., La categoria del contratto alle soglie del terzo<br />

millennio, ivi, p. 919 ss.


684 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

tal caso si determina sovente un depauperamento delle risorse locali –<br />

ambientali e non – che sono messe a disposizione del turista e sottratte alla<br />

popolazione del paese in cui si reca o comunque costrette entro meccanismi<br />

distributivi di tipo mercantile, estranei alla cultura di quel paese ( 23 ).<br />

È questa una delle innumerevoli manifestazioni della tendenza totalizzante<br />

del mercato: « la presenza di un mercato a monte è spesso una condizione<br />

indispensabile per il funzionamento ottimale di un determinato<br />

mercato » ( 24 ).<br />

La disciplina comunitaria del contratto turistico risente di una simile<br />

contraddizione, che si manifesta particolarmente a causa del suo essere<br />

incentrata sulle tematiche tipicamente sviluppate dai fautori dell’economia<br />

sociale di mercato. Così è per le motivazioni che si considerano poste<br />

alla base dell’emanazione della nota direttiva sui cosiddetti servizi tutto<br />

compreso ( 25 ). Essa mira infatti a far fronte ai fallimenti del mercato ed a<br />

creare le condizioni per incrementare la fiducia dei destinatari dei servizi<br />

in discorso: intende porre rimedio – secondo formule ricorrenti nelle norme<br />

di tutela dei consumatori – alle « distorsioni di concorrenza tra gli operatori<br />

» (2° considerando) ed incrementare la capacità di « attirare i turisti »<br />

(7° considerando).<br />

In linea con le massime alimentate in seno all’economia sociale di<br />

mercato sono anche le forme di tutela predisposte dalla direttiva ( 26 ). L’accento<br />

viene invero posto sul tema della trasparenza del contratto turistico<br />

e più in generale sulla chiarezza e completezza delle informazioni relative<br />

al servizio destinate al consumatore (artt. 3 e 4) ( 27 ).<br />

In tal modo la debolezza cui fa fronte la disciplina comunitaria è tale<br />

se assume i connotati della incapacità di valutare razionalmente i termini<br />

dell’affare. La si potrebbe chiamare debolezza individuale, in quanto attiene<br />

al ripristino della capacità di autodeterminarsi, che si suppone intaccata<br />

da momentanee distorsioni del meccanismo di mercato. Diverso sa-<br />

( 23 ) Ad es. Reich, Diverse Approaches to Consumer Protection Philosophy, in Journ.<br />

Cons. Pol., 1992, p. 286.<br />

( 24 ) Deaglio, voce Mercato, in Enc. Sc. soc., vol. 5, Roma, 1996, p. 613.<br />

( 25 ) Direttiva 90/314/CEE.<br />

( 26 ) Anche se essa deve coordinarsi con la disciplina comunitaria sulla contrattazione<br />

standard, che per alcuni aspetti realizza forme di tutela più in linea con il proposito di risocializzare<br />

l’economia. Al proposito citazioni in Somma, Diritto comunitario vs. diritto comune<br />

europeo, Torino, 2003, p. 66 ss.<br />

( 27 ) Per tutti Tonner, Richtlinie 90/314/EWG des Rates über Pauschalreisen – Vorbemerkungen,<br />

in Grabitz-Hilf, Das Recht der Europäischen Union – Kommentar, Bd. 3, München,<br />

1999, p. 8.


SAGGI 685<br />

rebbe se si considerasse la debolezza, che potremmo dire sociale, del contraente:<br />

quella di ordine strutturale, riconducibile al contesto economico<br />

e sociale che irrimediabilmente condiziona la libertà di scelta ( 28 ).<br />

Occorre ora domandarsi quali possano essere gli strumenti di diritto<br />

contrattuale che, pur compatibili con lo schema normativo descritto, consentano<br />

di rendere il contratto sui servizi tutto compreso uno strumento<br />

adatto ad esportare democrazia economica: a divenire, pur con le precisazioni<br />

che formuleremo, un contratto del cosiddetto turismo sostenibile.<br />

Con questa espressione – entrata anche nel lessico comunitario – si intende<br />

il turismo che « svolge un ruolo di rilievo nella conservazione e nel<br />

miglioramento del patrimonio culturale e naturale », con particolare riferimento<br />

a settori da « quello artistico alla gastronomia locale, all’artigianato<br />

o alla tutela della biodiversità » ( 29 ).<br />

La filosofia di fondo cui si ispira il turismo sostenibile è illustrata nell’ambito<br />

delle riflessioni attorno all’idea di sviluppo sostenibile. Se ne parla<br />

nel Trattato CE come di un obbiettivo (art. 2) che deve essere preso in<br />

considerazione nell’adozione di misure in materia di turismo (art. 3) e<br />

ambiente (art. 6) e che deve inoltre informare le politiche di cooperazione<br />

allo sviluppo (art. 177). Il concetto viene evidentemente ripreso nel progetto<br />

di Costituzione europea, in particolare nella medesima disposizione<br />

in cui si parla di economia sociale di mercato (art. I-3). Locuzione che abbiamo<br />

visto alludere a vicende di ordine mercantile, inesorabilmente destinate<br />

ad escludere la mediazione democratica nella definizione dei modi<br />

di essere del sistema economico ( 30 ).<br />

Di ciò si trova conferma nei documenti comunitari, in cui si parla di<br />

sviluppo sostenibile come della situazione in cui « la crescita economica<br />

sostenga il progresso sociale e rispetti l’ambiente » e « la politica sociale<br />

sia alla base delle prestazioni economiche » ( 31 ).<br />

( 28 ) Cfr. Somma, Der Schutz der schwächeren Vertragspartei: Rechtshistorische und rechtspolitische<br />

Aspekte, in Schulze (Ed.), New Features in Contract Law, Baden-Baden, 2006 (in<br />

corso di pubblicazione). V. inoltre Reifner, Der Schutzbereich eines Verbraucherschutzgesetzes<br />

und die Schutzwürdigkeit des Verbrauchers, in Journ. Cons. Pol., 1978, p. 203 ss. e Marella,<br />

Note critiche in tema di soggettività giuridica e diversità, in Pol. dir., 1998, p. 591.<br />

( 29 ) COM (2006) 134 def. (Comunicazione della Commissione « Rinnovare la politica comunitaria<br />

per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo »).<br />

( 30 ) In termini generali v. anche il Preambolo alla Parte II. V. poi gli artt. II-97 e III-119<br />

in materia di tutela dell’ambiente e l’art. III-292 in tema di cooperazione allo sviluppo.<br />

( 31 ) COM (2001) 264 def. (Comunicazione della Commissione « Sviluppo sostenibile in Europa<br />

per un mondo migliore: strategia dell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile »).


686 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Per un verso si utilizzano espressioni da cui ricavare l’intento di promuovere<br />

forme di risocializzazione dell’economica e così di ampliare il<br />

ruolo affidato alla mediazione democratica. Si discorre infatti della necessità<br />

di « una notevole redistribuzione degli investimenti pubblici e privati<br />

verso nuove tecnologie compatibili con l’ambiente » e di « un nuovo approccio<br />

alla politica », capace fra l’altro di intervenire su una delle « principali<br />

minacce per lo sviluppo sostenibile »: « la povertà e l’esclusione sociale<br />

». Il tutto « senza permettere che limitati interessi settoriali prevalgano<br />

sul benessere della società nel suo complesso » e soprattutto avendo presente<br />

la necessità, se non di esportare la democrazia economica, quanto<br />

meno di valorizzare la valenza extraeuropea dei comportamenti economici<br />

comunitari: « i consumi dell’UE hanno effetti che travalicano i nostri<br />

confini e per questo è necessario garantire che tutte le nostre politiche<br />

contribuiscano ad aprire prospettive per lo sviluppo sostenibile su scala<br />

mondiale » ( 32 ).<br />

Si tratta peraltro di enunciazioni di principio che non trovano riscontro<br />

in affermazioni più puntuali. Invero, da un lato, la riflessione è incentrata<br />

sul primato del fenomeno economico rispetto ai restanti fenomeni sociali.<br />

Dall’altro lato, essa muove dal ricorso esclusivo a strumenti mercantili,<br />

tutti fondati sul libero incontro tra domanda ed offerta come motore della<br />

redistribuzione delle ricchezza. In particolare – dopo aver ribadito la necessità<br />

di promuovere lo sviluppo sostenibile con misure concordate ad<br />

esito di « un processo politico aperto » – si precisa che ciò comporta soprattutto<br />

un « dialogo con i rappresentanti dei consumatori » ( 33 ): come se<br />

la mediazione tra la politica e l’economia si possa esaurire nel coinvolgimento<br />

di soggetti individuati attraverso categorie mercantili. Si allude poi<br />

direttamente al meccanismo di formazione dei prezzi, su cui occorre incidere<br />

attraverso l’attribuzione di un prezzo all’inquinamento ( 34 ), ma che<br />

tuttavia non viene messo in discussione: come se la risocializzazione dell’economia<br />

non comportasse, ove combinata con il meccanismo democratico,<br />

l’individuazione di meccanismi di redistribuzione della ricchezza<br />

alternativi al mercato. Ciò mentre la lotta all’esclusione sociale viene concepita<br />

come azione volta a creare « le condizioni economiche necessarie<br />

per una maggiore prosperità » e ad incidere sul mercato del lavoro con so-<br />

( 32 ) Ibidem.<br />

( 33 ) Ibidem.<br />

( 34 ) Ibidem. Si allude al principio « chi inquina paga » di cui all’art. 174 Trattato CE. Sul<br />

punto ad es. Meli, Le origini del principio « chi inquina paga » e il suo accoglimento da parte<br />

della Comunità europea, in Riv. giur. amb., 1989, p. 217 ss.


SAGGI 687<br />

luzioni – come in particolare il divieto di discriminazione tra uomini e<br />

donne – in linea con la massima dell’economia sociale di mercato ( 35 ).<br />

Il primato del mercato come meccanismo di redistribuzione della ricchezza<br />

si conferma anche nei documenti comunitari dedicati al turismo<br />

sostenibile. Quest’ultimo è invero considerato un obbiettivo il cui raggiungimento<br />

è « determinato soprattutto dal consumatore » e dipendente<br />

dal « successo economico che ne deriva ». In tal senso il turismo sostenibile<br />

costituisce un essenziale contributo allo « sviluppo sostenibile » ed in<br />

quanto tale una « condizione » per la « vitalità, crescita economica, competitività<br />

e successo commerciale di questo settore importantissimo dal<br />

punto di vista economico ». Altrimenti detto, il turismo sostenibile assume<br />

rilievo in quanto « produce a sua volta un impatto positivo sulla creazione<br />

di crescita e di occupazione » ( 36 ).<br />

Comunque sia, si tratta di obbiettivi che al momento sono in fase di<br />

studio e che non hanno prodotto molti risultati concreti. E le poche misure<br />

adottate restituiscono il senso della centralità del metro mercantile nella<br />

definizione delle politiche sul turismo sostenibile. Si dice infatti che, dal<br />

punto di vista dell’offerta, alimentare il turismo sostenibile significa incentivare<br />

– nell’ambito di iniziative volte « a liberalizzare ulteriormente il settore<br />

del turismo nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio<br />

e del GATS » – la « crescita della qualità piuttosto che della quantità ». E si<br />

mostra di ritenere che il ricorso al servizio di qualità debba costituire l’esito<br />

di una scelta libera e informata del suo destinatario. In tal senso si intende<br />

l’azione comunitaria come prevalentemente volta a promuovere,<br />

anche attraverso forme di « autoregolamentazione », « la sensibilizzazione<br />

dei consumatori » e l’istituzione di « reti per lo scambio o la divulgazione<br />

di informazioni utili ». Similmente si è promossa la creazione di « sistemi<br />

approvati di gestione, revisione, certificazione ed etichettatura dei prodotti<br />

» ( 37 ). Sistemi il cui funzionamento trae spunto dalla filosofia di fondo<br />

che ha ispirato la direttiva comunitaria sui servizi tutto compreso ( 38 ).<br />

In tal modo l’esportazione della democrazia economica – effetto indiretto<br />

di misure immediatamente volte a far fronte ai fallimenti del merca-<br />

( 35 ) COM (2001) 264 def., cit.<br />

( 36 ) COM (2006) 134 def., cit.<br />

( 37 ) Ibidem. Sulla produzione comunitaria precedente v. Tonner, Europäische Tourismuspolitik<br />

und nachhaltige Entwicklung, in Reich-Heine-Mernick (Hrsg.), Umweltverfassung<br />

und nachhaltige Entwicklung in der Europäischen Union, Baden-Baden, 1997, p. 105 ss.<br />

( 38 ) V. soprattutto il Regolamento CE 1980/2000 relativo al sistema comunitario, riesaminato,<br />

di assegnazione di un marchio di qualità ecologica.


688 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

to – viene fatta dipendere dalla capacità del turista di autodeterminarsi<br />

nella scelta del prodotto turistico. Ma soprattutto l’implementazione delle<br />

politiche di sviluppo sostenibile viene subordinata alle inclinazioni ed<br />

alla sensibilità di chi incarna la domanda e l’offerta del servizio in discorso:<br />

non intacca la centralità che il profilo dei diritti assume entro il sistema<br />

del diritto contrattuale europeo e con ciò la subordinazione del circuito<br />

della politica al circuito dell’economia nella definizione degli obbiettivi<br />

comunitari ( 39 ).<br />

Se dunque non è realistico pensare all’imminente sviluppo di un sistema<br />

di doveri del turista – e di un relativo diritto dei contratti – occorre interrogarsi<br />

circa la possibilità di definire almeno un sistema di diritti del turista<br />

sostenibile. Occorre in altre parole verificare se lo strumentario a misura<br />

di economia sociale di mercato è utilizzabile per ottenere, seppure<br />

entro un ordinamento ispirato al principio della libertà contrattuale funzionalizzata,<br />

alcuni risultati accostabili a quelli cui mirerebbe un processo<br />

di effettiva risocializzazione dell’economia.<br />

Su tali aspetti si è interrogata soprattutto la letteratura nordeuropea.<br />

Sono stati analizzati i termini della tensione tra politiche consumeristiche<br />

e politiche ambientali: le prime tradizionalmente ispirate al principio – corollario<br />

delle teorie sul mercato concorrenziale – secondo cui « la soddisfazione<br />

del consumatore si definisce esclusivamente in termini di guadagno<br />

a corto termine » ( 40 ) e le seconde necessariamente riconducibili a visioni<br />

non edonistiche del consumo ( 41 ). Queste ultime avrebbero iniziato<br />

a trovare riscontro nella produzione normativa comunitaria a partire dall’Atto<br />

unico europeo e soprattutto dal Trattato di Maastricht e tuttavia<br />

non sarebbero chiari i termini del coordinamento tra istanze consumeristiche<br />

tradizionali e istanze ambientaliste ( 42 ).<br />

A ben vedere ci sembra di aver dimostrato – anche alla luce della più<br />

recente proposta di Costituzione europea – che il coordinamento tra le<br />

istanze in discorso avviene nel nome del metro mercantile: che, anche<br />

( 39 ) Per tutti Tonner, Europäische Tourismuspolitik, cit., p. 115.<br />

( 40 ) Hedemann-Robinson, EC Law, the Environment and the Consumers: Adressing the<br />

Challenge of Incorporating an Environmental Dimension to Consumer Protection at Community<br />

Level, in Journ. Cons. Pol., 1997, p. 2. V. anche Codeluppi, I consumatori. Storia, tendenze,<br />

modelli, 3 a ed., Milano, 1995, p. 45.<br />

( 41 ) In termini generali ad es. Scherhorn, Consumers’ concern about the environment<br />

and its impact on business, in Journ. Cons. Pol., 1993, p. 171 ss.<br />

( 42 ) Hedemann-Robinson, EC Law, cit., p. 3. V. anche Thøgersen, The Ethical Consumer.<br />

Moral Norms and Packaging Choice, in Journ. Cons. Pol., 1999, p. 437 ss.


SAGGI 689<br />

nella versione ultima, i concetti di sviluppo e turismo sostenibile si coordinano<br />

con una « visione impreso-centrica » e con il relativo intento di degradare<br />

le istanze extramercantili « da principio a mero limite esterno »<br />

( 43 ). Il tutto mentre sono decisamente insoddisfacenti – o almeno incapaci<br />

di favorire in modo certo forme di risocializzazione dell’economia – gli<br />

interventi della prassi applicativa comunitaria concernenti le ipotesi in cui<br />

sono ammessi divieti o restrizioni alla circolazione dei beni (art. 30 Trattato<br />

CE) o dei servizi (ex art. 55 Trattato CE) ( 44 ).<br />

Se così stanno le cose, occorre, come si è detto, verificare la possibilità<br />

di sviluppare un diritto dei contratti del turismo sostenibile a partire da<br />

strumenti di impostazione mercantile. Ce ne occuperemo trattando di<br />

contrattazione standard e consumo critico: un tema che comprende riflessioni<br />

concernenti la contaminazione tra istanze ambientali e istanze consumeristiche<br />

e che pertanto potrà offrire utili spunti di riflessione.<br />

4. – Come abbiamo detto, il diritto dei consumatori, nella prospettiva<br />

mercantile finora tratteggiata, non costituisce uno strumento di esportazione<br />

della democrazia economica e non realizza pertanto un obbiettivo<br />

formalmente ricondotto alle pratiche di sviluppo sostenibile. Quel diritto<br />

si occupa invero di vicende che concernono la circolazione del prodotto o<br />

del servizio, ma non anche delle circostanze relative alle fasi precedenti il<br />

momento in discorso: almeno se si prescinde dalla disciplina del cosiddetto<br />

contatto sociale con il consumatore ( 45 ) – in qualche modo valorizzata<br />

dalla direttiva sulle garanzie postvendita ( 46 ) – la cui considerazione<br />

non muta tuttavia i termini del discorso.<br />

Le vicende trascurate dal diritto contrattuale comunitario sono esattamente<br />

quelle su cui concentra l’attenzione il consumerismo critico ed in<br />

( 43 ) È il rischio discusso da Lucarelli, Sub Art. 37, in Bifulco-Cartaria-Celotto (a<br />

cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,<br />

Bologna, 2001, p. 262 in sede di analisi della disciplina comunitaria di tutela ambientale.<br />

Sul punto Grasso, Solidarietà ambientale e sviluppo sostenibile tra costituzioni nazionali,<br />

Carta dei diritti e progetto di costituzione europea, in Pol. dir., 2003, p. 593.<br />

( 44 ) Cfr. ad es. D’Acunto, La libera circolazione dei servizi, in Colucci-Sica (a cura di),<br />

L’Unione Europea, Bologna, 2005, p. 238 ss. e Mattera, La libera circolazione delle merci all’interno<br />

dell’Unione Europea, ivi, p. 251 ss.<br />

( 45 ) Su cui per tutti Alpa-Bessone, La responsabilità del produttore, 4 a ed. a cura di Toriello,<br />

Milano, 1999, p. 141 s.<br />

( 46 ) Art. 2 Direttiva 99/44/CE. In prospettiva generale per tutti Bin, Per un dialogo con<br />

il futuro legislatore dell’attuazione: ripensare l’intera disciplina della non conformità dei beni<br />

nella vendita alla luce della direttiva comunitaria, in questa rivista, 2000, p. 403 ss.


690 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

particolare il consumerismo promosso dai fautori del commercio equo e<br />

solidale: il proposito di instaurare rapporti tra produttori e consumatori –<br />

solitamente localizzati nel sud del mondo i primi e nel nord del mondo i<br />

secondi – valorizzando circostanze relative al modo di produrre ( 47 )e valutate<br />

sulla scorta di standard come quelli fissati nei documenti delle Nazioni<br />

Unite ( 48 ).<br />

In un certo senso il consumerismo critico valorizza il meccanismo<br />

mercantile che, facendo leva sull’immagine del consumatore come re del<br />

mercato, ricorre tradizionalmente al motto « un dollaro un voto » ( 49 ). Esso<br />

si coordina eventualmente con la richiesta di misure interventiste, volte<br />

a vietare la commercializzazione di prodotti e servizi realizzati senza tenere<br />

conto di standard concernenti la tutela ambientale e le condizioni in<br />

cui versano i lavoratori ( 50 ). Tuttavia le misure su cui si concentra l’attenzione<br />

incidono sul meccanismo di incontro della domanda e dell’offerta e<br />

concernono l’immissione di valutazioni di ordine in senso lato etico nella<br />

definizione delle scelte di consumo: si invita infatti a premiare con l’acquisto<br />

chi mette in circolazione beni e servizi nel rispetto degli standard<br />

ricordati ed a punire con il boicottaggio chi invece non ne tiene conto ( 51 ).<br />

( 47 ) Per tutti Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio<br />

equo e solidale, 2 a ed., Milano, 2002, part. p. 67 s.<br />

( 48 ) In materia di lavoro cfr. fra le altre la Dichiarazione dell’OIL sui diritti fondamentali<br />

dei lavoratori del 1998. Sulla tutela ambientale v. specialmente l’Agenda 21 dell’ONU – Programma<br />

d’azione per lo sviluppo sostenibile del 1992.<br />

( 49 ) Leoni, La sovranità del consumatore e la legge (1963), in Id., La sovranità del consumatore,<br />

Roma, 1997, p. 117. V. anche Mayer-Scheinpflug, Privatrechtsgesellschaft und die<br />

Europäische Union, cit., p. 26 con specifico riferimento alla dimensione comunitaria.<br />

( 50 ) Cfr. Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni<br />

sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, 3 a ed., Bologna, 2000, p. 25 ss.<br />

Si precisa che, in tema di tutela ambientale, « costituiscono motivo di valutazione negativa:<br />

1. le condanne o le multe per aver trasgredito le leggi di tutela ambientale; 2. le critiche argomentate<br />

di associazioni ambientaliste e della stampa per violazioni ambientali in qualsiasi<br />

parte del mondo; 3. la produzione di pesticidi particolarmente tossici o di altre sostanze<br />

dannose per l’uomo o per l’ambiente; 4. le confezioni che producono molti rifiuti e che non<br />

sono riciclabili ». Con riferimento alle « misure assunte a salvaguardia della sicurezza dei lavoratori<br />

e al rispetto dei loro diritti previsti dai contratti e dalla legge », si afferma che « costituiscono<br />

motivo di giudizio negativo: 1. gli incidenti gravi o mortali dovuti ai ritmi di lavoro<br />

elevati o a scarse misure antinfortunistiche avvenuti negli ultimi cinque anni; 2. multe<br />

subite da parte delle autorità antinfortunistiche; 3. multe e condanne per evasione dei<br />

contributi previdenziali e per la trasgressione di altre leggi sul lavoro; 4. licenziamenti senza<br />

giusta causa e atteggiamenti antisindacali denunciati dai lavoratori o dal sindacato ».<br />

( 51 ) Per tutti Centro nuovo modello di sviluppo, Boycott. Scelte di consumo scelte di<br />

giustizia, 5 a ed., Foggia, 1996, p. 21 ss.


SAGGI 691<br />

È infatti dalla libera scelta dei consumatori – e non da una precisa opzione<br />

del circuito della politica – che deriva la loro trasformazione in « sindacalisti<br />

per il sud del mondo » ( 52 ) e con ciò lo sviluppo di forme di risocializzazione<br />

dell’economia attente al nesso tra produzione e consumo di<br />

beni ( 53 ).<br />

Anche i documenti comunitari che si occupano di commercio equo e<br />

solidale privilegiano una prospettiva in ultima analisi mercantile, senza<br />

peraltro contenere la contestuale richiesta di una forte « azione delle autorità<br />

e delle istituzioni in favore dell’equità e dello sviluppo » ( 54 ). Essi recano<br />

invero un richiamo alle disposizioni del Trattato CE che trattano di<br />

sviluppo sostenibile con riferimento ai rapporti con i cosiddetti paesi in<br />

via di sviluppo, tuttavia enfatizzando il proposito di contribuire in tal modo<br />

alla « integrazione di questi ultimi nell’economia mondiale » (art. 177).<br />

Altrimenti detto – e in ciò risiede l’intento di concepire l’emancipazione<br />

sociale esclusivamente come effetto di misure mercantili – il commercio<br />

equo e solidale viene valorizzato nella sua essenza di strumento attraverso<br />

cui intervenire sui meccanismi di formazione del prezzo idonei a creare<br />

« nuovi sbocchi sul mercato » e, solo di riflesso, « una migliore tutela<br />

sociale ed ambientale nei paesi in via di sviluppo ». Altre misure sono invece<br />

screditate come iniziative che, non facendo leva su « un sistema di<br />

incentivi » e « sulla scelta dei consumatori », « cercano di manovrare il<br />

commercio o di erigere barriere per impedire l’accesso al mercato di taluni<br />

paesi » ( 55 ).<br />

Il tutto nella convinzione, smentita dai fatti, che « il presupposto fondamentale<br />

del commercio equo solidale è quello di consentire ai produttori<br />

dei paesi in via di sviluppo di cogliere le opportunità offerte dalla mondializzazione<br />

» e nel rispetto della filosofia di fondo che ha ispirato la costituzione<br />

dell’Organizzazione mondiale del commercio. Rispetto da cui discende<br />

l’affermazione perentoria secondo cui solo « fintantoché le iniziative<br />

di commercio equo e solidale restano a carattere privato e vengono realizzate<br />

a titolo volontario », esse possono « considerarsi compatibili con un<br />

( 52 ) Becchetti, Il consumo socialmente responsabile nei mercati globalizzati, in Cons. dir.<br />

e merc., 2006, p. 119.<br />

( 53 ) Già Scherhorn, Die Entstehung vom Verbraucherproblem im Spannungsfeld von<br />

Konsum und Arbeit, in Journ. Cons. Pol., 1980, p. 102 ss.<br />

( 54 ) Ibidem.<br />

( 55 ) COM (1999) 619 def. (Comunicazione della Commissione al Consiglio sul « commercio<br />

equo e solidale »). V. anche la risoluzione del Parlamento europeo A3-0373/93 (sulla promozione<br />

del commercio equo e solidale tra nord e sud).


692 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

sistema commerciale multilaterale non discriminatorio ». In altre parole,<br />

« le iniziative di commercio equo e solidale agiscono alla stregua di un<br />

meccanismo di mercato che offre una scelta più ampia sia ai produttori che<br />

ai consumatori » e pertanto, « se i governi volessero introdurre provvedimenti<br />

normativi basati sul commercio equo e solidale, essi dovrebbero tenere<br />

conto degli obblighi derivanti dalla loro appartenenza all’OMC » ( 56 ).<br />

Simili affermazioni sono riprese anche in un recente documento comunitario,<br />

in cui il commercio equo e solidale viene ricondotto alla categoria<br />

più ampia del commercio etico e quindi considerato un aspetto della<br />

cosiddetta responsabilità sociale dell’impresa ( 57 ). In tal senso si esplicita<br />

il proposito di ricorrere ad uno strumentario tipicamente privilegiato<br />

dall’economia sociale di mercato: il meccanismo informativo, inteso come<br />

strumento idoneo a consolidare « il potere esercitato dai cittadini in<br />

qualità di consumatori » in una fase caratterizzata – attraverso i processi di<br />

mondializzazione – dalla « configurazione del mondo come una società di<br />

consumatori ». Il tutto condito da un rilievo riconducibile ad una preoccupazione<br />

ricorrente presso i fautori dell’economia sociale di mercato:<br />

che l’incontro di domanda ed offerta non sia alterato da asimmetrie informative<br />

e che queste non producano « una mancanza di fiducia a scapito di<br />

tutti » ( 58 ).<br />

Alla luce di ciò si ribadisce che il commercio equo e solidale « dipende<br />

da una serie di sistemi basati sulla conoscenza concepiti per informare<br />

i produttori e i fornitori di beni e servizi » e che ciò comporta il ricorso a<br />

misure « che garantiscano ai consumatori il soddisfacimento dei loro desideri<br />

» ( 59 ): misure – evidentemente considerate in linea con un nuovo modo<br />

di intendere l’edonismo consumistico – quali lo sviluppo di un sistema<br />

di certificazione attraverso marchi « fair trade » ( 60 ).<br />

( 56 ) COM (1999) 619 def., cit.<br />

( 57 ) Parere del Comitato economico e sociale sul tema del Commercio etico e programmi di<br />

garanzia per i consumatori del 10 ottobre 2005, in G.U.C.E., C 28, 3 febbraio 2006. Nel documento<br />

si definisce il commercio etico come « il tentativo consapevole di adeguare le attività<br />

commerciali (produzione, vendita, acquisto) di un’impresa, organizzazione o singolo<br />

individuo ad una serie di valori etici ». Il commercio equo solidale è invece « il commercio<br />

in cui gli operatori coinvolti, siano essi produttori, consumatori o acquirenti, non sono<br />

svantaggiati e ottengono un beneficio ragionevole e proporzionato ».<br />

( 58 ) Ibidem. Al proposito i rilievi critici di Wilhelmsson, The Abuse of the « Confident<br />

Consumer » as a Justufucation for EC Consumer Law, in Journ. Cons. Pol., 2004, p. 317 ss.<br />

( 59 ) Parere del Comitato economico e sociale sul tema del Commercio etico, cit.<br />

( 60 ) Su cui ad es. la risoluzione del Parlamento europeo A4-0198/98 (sul commercio<br />

equo e solidale).


SAGGI 693<br />

Si vuole dunque un « approccio non vincolante », in linea « con le necessità<br />

di un mercato libero ed efficiente » e in particolare con le politiche<br />

elaborate a livello comunitario in tema di responsabilità sociale delle imprese<br />

( 61 ). Politiche tutte incentrate sul ricorso a strumenti di soft law, come<br />

le dichiarazioni congiunte e i codici di condotta sui diritti fondamentali<br />

dei lavoratori ( 62 ).<br />

Anche in tema di commercio equo e solidale, come in materia di turismo<br />

sostenibile, l’approccio mercantile promosso a livello comunitario<br />

impedisce così di individuare fondamenti per un diritto contrattuale in linea<br />

con istanze differenti rispetto a quelle espresse in seno all’economia<br />

sociale di mercato. Occorre dunque tentare una rilettura della disciplina<br />

esistente, onde verificare la possibilità di renderla almeno in parte uno<br />

strumento di risocializzazione dell’economia.<br />

In letteratura, constatata l’impossibilità di costruire un sistema di doveri<br />

del consumatore idoneo a trasformarlo in un acquirente equo e solidale,<br />

si è riflettuto circa la possibilità di costruire un sistema di diritti riconoscibili<br />

in capo ad un simile acquirente. Si tratta certo di un sistema incapace<br />

di sostituire misure maggiormente interventiste – siano esse pubblicistiche<br />

o privatistiche ma incentrate sul tema dei vincoli all’azione individuale<br />

– in quanto pensato in funzione dell’interesse del singolo contraente<br />

( 63 ).<br />

Una soluzione muove dal concetto di conformità del bene al contratto<br />

di vendita: concetto che sappiamo essere ora alla base della disciplina<br />

comunitaria sulle garanzie postvendita. Si dice che i valori incarnati dal<br />

commercio equo e solidale possono essere esplicitamente richiamati dal<br />

venditore in occasione della pubblicizzazione del prodotto e divenire in<br />

tal modo il fondamento per azionare un rimedio contrattuale. Si tratta di<br />

una soluzione che in area scandinava ha prodotto risultati apprezzabili,<br />

soprattutto per quanto attiene al rispetto dei valori ambientali ( 64 ).<br />

Ci si è inoltre chiesti se si possa parlare di difetto di conformità anche<br />

nelle ipotesi in cui le caratteristiche del prodotto non sono menzionate in<br />

occasione della sua presentazione al pubblico. Anche in tal caso si muove<br />

( 61 ) Parere del Comitato economico e sociale sul tema del Commercio etico, cit. Tra i documenti<br />

comunitari in tema di responsabilità sociale delle imprese v. COM (2001) 366 def.<br />

(Libro verde « Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese »).<br />

( 62 ) COM (1999) 619 def., cit.<br />

( 63 ) Wilhelmsson, Contribution to a Green Sales Law (1993), in Id., Twelve Essays on<br />

Consumer Law and Policy, Helsinki, 1996, p. 269 ss.<br />

( 64 ) Ivi, p. 276 ss.


694 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

da formule ora contenute nella disciplina comunitaria sulle garanzie postvendita.<br />

Si dice infatti che l’azione del consumatore può fondarsi sulle sue<br />

legittime aspettative e si aggiunge che possono essere tali quelle concernenti<br />

le caratteristiche del bene concernenti il suo impatto ambientale: in<br />

particolare se si tratta di caratteristiche contemplate da provvedimenti amministrativi<br />

relativi agli standard di produzione ( 65 ).<br />

Simili proposte, come la soluzione ora accolta a livello comunitario,<br />

presentano un punto debole: ampliano le ipotesi di responsabilità del<br />

venditore e determinano così lo sviluppo della grande distribuzione a scapito<br />

della piccola distribuzione, con effetti forse positivi sui consumatori,<br />

ma non certo sui lavoratori. È questo un aspetto che forse ha un peso ridotto<br />

nel contesto nordeuropeo, ma che tuttavia può sconvolgere assetti,<br />

economici e non, radicati in area sudeuropea ( 66 ).<br />

Altri hanno riflettuto sull’estensione del ricorso allo ius poenitendi.<br />

Ad esempio un gruppo di studiosi impegnati sul tema della giustizia sociale<br />

nel diritto europeo dei contratti ha proposto di utilizzare il rimedio<br />

del recesso del consumatore per le vendite di beni confezionati sfruttando<br />

il lavoro minorile. Ciò si afferma valorizzando la circostanza che il diritto<br />

comunitario conosce oramai un insieme di norme di livello in senso<br />

lato costituzionale e che è pertanto opportuno accedere ad una rilettura<br />

del diritto privato europeo alla luce dei valori incarnati da dette norme<br />

( 67 ).<br />

Anche questa soluzione presenta alcuni inconvenienti. Riferirsi ai valori<br />

costituzionali europei – in particolare quelli codificati nella Carta dei<br />

diritti fondamentali e trasfusi nella proposta di Costituzione europea – significa<br />

valorizzare schemi di politica del diritto concepiti a misura di una<br />

economia sociale di mercato. E si tratta di schemi, di cui pure si tenta l’esportazione<br />

attraverso l’inserimento di clausole specifiche entro gli accordi<br />

di cooperazione internazionale sottoscritti dall’Unione europea ( 68 ), che<br />

conducono a concepire la conformazione dell’attività economica come<br />

( 65 ) Ivi, p. 279 ss. Cfr. altresì Reich, Diverse Approaches to Consumer Protection Philosophy,<br />

cit., p. 285.<br />

( 66 ) Nella letteratura sociologica v. sul punto Secondulfo, Bottega e ipermercato: luoghi<br />

e non luoghi del consumo, in Triani (a cura di), Casa e supermercato. Luoghi e comportamenti<br />

del consumo, Milano, 1996, p. 66 ss. V. anche Alpa-Bessone, La responsabilità del produttore,<br />

cit., p. 139 s.<br />

( 67 ) Gruppo di studio sulla giustizia sociale nel diritto privato europeo, Giustizia<br />

sociale nel diritto contrattuale europeo, cit., p. 123.<br />

( 68 ) Da ultimo Pinelli, Le clausole sui diritti umani negli accordi di cooperazione internazionale<br />

dell’Unione, in Riv. crit. dir. priv., 2006, p. 39 ss.


SAGGI 695<br />

mera reazione ai fallimenti del mercato, ma non anche per implementare<br />

efficacemente valori sociali ( 69 ).<br />

Da un simile punto di vista sembra opportuno individuare una soluzione<br />

che, pur non determinando l’individuazione di doveri in capo al<br />

consumatore, produca almeno una diminuzione dei diritti ad esso solitamente<br />

riconosciuti e renda così il bene ed il servizio equo solidale competitivo<br />

rispetto ai beni ed ai servizi tradizionali. I primi – e sono i documenti<br />

comunitari a riconoscerlo – sono più costosi dei secondi, in quanto<br />

il loro prezzo risente del trattamento di favore riservato ai loro produttori<br />

o erogatori: tanto che « non tutti i consumatori hanno la capacità economica<br />

di acquistarli » ( 70 ).<br />

Se così stanno le cose, non sono evidentemente sufficienti le iniziative,<br />

come quelle privilegiate a livello comunitario, esclusivamente volte a<br />

far sì che i consumatori « possano avere la certezza » che gli operatori economici<br />

del circuito equo e solidale « mantengano realmente le loro promesse<br />

e non promettano esplicitamente o implicitamente più di quanto<br />

possano mantenere » ( 71 ). Occorre che i beni e servizi del circuito equo solidale<br />

possano circolare a prezzi concorrenziali ottenuti, come abbiamo<br />

detto, attraverso una riduzione dei diritti dell’acquirente. Ciò al fine di determinare<br />

una riduzione dei costi che il produttore o l’erogatore dovrebbe<br />

altrimenti trasferire sul consumatore finale.<br />

Riteniamo che ciò sia possibile muovendo dalla disciplina comunitaria<br />

sulla contrattazione standard e in particolare dalla precisazione che « il carattere<br />

abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della<br />

natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al<br />

momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano<br />

detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto, o<br />

di un altro contratto da cui esso dipende » ( 72 ).<br />

Secondo alcuni autori – sensibili alle riflessioni in termini di analisi<br />

economica del diritto e in tal modo a schemi politico normativi in linea<br />

con i modelli comunitari – la disposizione conduce a ritenere che, per la<br />

disciplina in discorso, « ciò che è abusivo ad un prezzo può essere perfettamente<br />

equo ad un altro » ( 73 ). E nel caso del commercio equo e solidale<br />

( 69 ) Citazioni in Somma, Diritto comunitario e patrimonio costituzionale europeo: cronaca<br />

di un conflitto insanabile, in Pol. dir., 2004, p. 263 ss.<br />

( 70 ) Parere del Comitato economico e sociale sul tema del Commercio etico, cit.<br />

( 71 ) Ibidem.<br />

( 72 ) Art. 4 Direttiva 93/13/CEE.<br />

( 73 ) Pardolesi, Clausole abusive (nei contratti dei consumatori): una direttiva abusata?,<br />

in Foro it., 1994, V, c. 149 che riprende una formula coniata da Atiyah.


696 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ciò conduce a non ritenere abusiva una clausola che sarebbe tale, ove non<br />

fosse bilanciata dall’impegno a soddisfare determinati standard concernenti<br />

la produzione del bene o l’erogazione del servizio: impegno esplicitato<br />

appunto nelle condizioni generali di contratto o eventualmente ricavabile<br />

implicitamente dall’essere il bene o il servizio messo in circolazione<br />

da un soggetto chiaramente riconoscibile come operatore del circuito<br />

equo e solidale ( 74 ).<br />

È appena il caso di rilevare che il percorso ermeneutico proposto può<br />

essere utilizzato anche per il commercio etico, oltre che per il commercio<br />

equo e solidale. Lo può essere a maggior ragione se è vero che – come rilevato<br />

in sede comunitaria – i costi aggiuntivi sostenuti dalle imprese sono<br />

« giustificati dalle ulteriori garanzie ottenute in termini di immagine<br />

delle imprese » ( 75 ).<br />

Come abbiamo anticipato, le soluzioni proposte non consentono di<br />

sviluppare forme di esportazione della democrazia economica che mettano<br />

in discussione la centralità del meccanismo mercantile. Del resto la risocializzazione<br />

dell’economia, in quanto fondata sulla mediazione del circuito<br />

democratico, necessita di un diritto contrattuale incentrato sul tema<br />

dei doveri e non dei soli diritti del contraente debole. Ma un simile sistema<br />

non sembra essere ricompreso nell’attuale agenda comunitaria e pertanto<br />

nel breve e medio termine appare realistico e opportuno riflettere –<br />

come si è tentato di fare – sul modo di alterare attraverso l’interpretazione<br />

l’impostazione dell’attuale disciplina. Non si realizzerà la risocializzazione<br />

dell’economia, ma almeno si eviterà di alimentare l’attuale fase incentrata<br />

sulla sua desocializzazione.<br />

( 74 ) Per ulteriori riflessioni cfr. Somma, Mercato liberista e mercato solidale. Riflessioni<br />

minime sull’equilibrio economico-sociale nel diritto dei contratti, in Vettori (a cura di), Squilibrio<br />

e usura nei contratti, Padova, 2002, p. 623 ss.<br />

( 75 ) Parere del Comitato economico e sociale sul tema del Commercio etico, cit.


ANTONIO LORDI<br />

Valori etici e principio di complementarità tra sistemi giuridici<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Economia di mercato e diritto: la nascita della distinzione tra<br />

« contratto isolato » e « contratto di mercato ». – 3. L’influenza del civil law sul common<br />

law: compravendita di beni immobili e rimedi di Equity.– 4. Etica puritana e diritto dei<br />

contratti: dall’absolute contract al new spirit del contratto. – 5. Il giurista italiano tra civil<br />

law e common law.<br />

1. – « Il genio dell’italiano è per la teoria; il genio dell’inglese è per l’amministrazione<br />

pratica . . . Ciascuno ha ancora molto da imparare dall’altro<br />

. . . Il diritto inglese è il prodotto dei giudici che eseguono il loro lavoro<br />

giornaliero di amministrare la giustizia; il diritto italiano è la creazione del<br />

pensiero » ( 1 ). Stallybrass oltre a stigmatizzare la differenza tra civil law e<br />

common law, continuava esaltando il ruolo di guida del diritto italiano nel<br />

campo del diritto penale, affermando « L’Italia è stata chiamata la patria del<br />

diritto penale, e con giustizia . . . i nomi di Beccaria, Carrara, Lombroso e<br />

Ferri hanno conquistato gli onori non solo dell’Italia, ma del mondo » ( 2 ).<br />

L’Italia ha avuto il primato mondiale del diritto in tre epoche storiche<br />

diverse: durante l’impero romano ( 3 ), nel periodo dei glossatori e dei commentatori<br />

( 4 ) che va di pari passo con lo svilupparsi del diritto canonico, e<br />

( 1 ) Stallybrass, A Comparison of the General Principles of Criminal Law in England<br />

with the « Progetto definitivo di un nuovo codice penale » of Alfredo Rocco, 13 Journal of Comparative<br />

Legislation & International Law, 203, 204 (1931). La traduzione è mia. La versione<br />

originale recita: « The genius of the Italian is for theory; the genius of the Englishman is for<br />

practical administration . . . Each still has much to learn from the other . . . English law is the<br />

product of the judges carrying out their daily duty of administering justice; Italian law is the<br />

creature of thought ».<br />

( 2 ) « Italy has been called the patria del diritto penale, and with justice . . . The names of<br />

Beccaria, Carrara, Lombroso and Ferri have won the homage not only of Italy but of the<br />

world ».<br />

( 3 ) Haskins, ricordando lo Ihering che osservava come Roma conquistò il mondo in tre<br />

modi, con le sue armi, con la sua chiesa e con le sue leggi, aggiungeva che la conquista che<br />

Roma fece con il diritto fu una conquista d’ordine spirituale, « che perdurò quando l’impero<br />

era scomparso da tempo e gli eserciti ridotti in polvere ». Haskins, La rinascita del dodicesimo<br />

secolo, Bologna, 1972, p. 165.<br />

( 4 ) In proposito mi sia consentito di rinviare a Lordi, Towards a Common Methodology<br />

in Contract law, in 22 Journal of Law & Commerce, 1, 2002.


698 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

nel periodo della scuola positiva del diritto penale. Nessun altro sistema<br />

giuridico è riuscito ad esprimere la quantità di concetti, teorie e regole<br />

pratiche che ha prodotto il sistema giuridico italiano nei suoi duemilaequattrocento<br />

anni di storia (se utilizziamo come data di partenza le dodici<br />

tavole ( 5 ). Il diritto italiano ( 6 ) si è costruito con il continuo evolversi del<br />

pensiero giuridico così come si manifesta nelle aule di tribunale, nei lavori<br />

dell’accademia e nella vita degli affari e dell’impresa. Nonostante la professione<br />

di giurista in Italia non sia disciplinata in modo unitario ( 7 ), essendo<br />

le categorie professionali divise in avvocati, magistrati e notai, il diritto<br />

italiano mantiene una sua connotazione culturale tipica che dal diritto<br />

romano sino alle codificazioni ottocentesche esprime i valori dell’italianità<br />

giuridica, trasfusi poi nei valori giuridici dell’occidente ( 8 ).<br />

Nel periodo attuale, sebbene si assista ad un’apparente preponderanza<br />

delle dottrine e della metodologia del common law, dovuta anche alla pratica<br />

necessità dell’utilizzo della lingua inglese nei rapporti commerciali internazionali,<br />

il patrimonio giuridico del civil law, e in particolare l’evoluzione<br />

e gli adattamenti dati ad esso dalla dottrina e dalla giurisprudenza<br />

italiana, giocano un ruolo importante nello sviluppo di una cultura giuridica<br />

internazionale comune sia al civil quanto al common lawyer.<br />

La flessibilità del giurista italiano ( 9 ) si riscontra sia nell’attività professionale,<br />

quanto nella capacità di adottare strumenti e metodi di altre esperienze<br />

giuridiche, avendo quale obiettivo la loro integrazione nel sistema<br />

e quindi tenendo in considerazione la teoria generale del diritto.<br />

Tuttavia, un ruolo di leadership internazionale richiede come tale la<br />

comprensione e il consenso delle altre esperienze e tradizioni giuridiche.<br />

( 5 ) La data delle Leges XII Tabulorum è 451-450 a.C. In argomento v. Guarino, Diritto<br />

privato romano, Napoli, 1976, p. 114.<br />

( 6 ) Ai fini del presente scritto utilizzo una nozione molto lata di diritto italiano ricomprendente<br />

tutto il diritto che ha avuto origine in Italia. Quindi in esso rientra il diritto romano,<br />

il diritto canonico e il diritto dell’alto e basso medioevo sino al diritto pre e postunitario.<br />

Per quanto riguarda i termini Roman law e civil law, essi vengono usati, soprattutto<br />

dalla giurisprudenza e dottrina anglofona, in modo promiscuo, ossia come riferentesi in generale<br />

al diritto di origine continentale. Nel testo utilizzo dei riferimenti consistenti con le<br />

citazioni.<br />

( 7 ) Merryman, The Civil Law Tradition. An Introduction to the Legal Systems of Western<br />

Europe and Latin America, Stanford, Ca., 1985, p. 101 ss.<br />

( 8 ) Alpa, Tradition and Europeanization in Italian Law, London, 2005, p. 1 ss.<br />

Wieacker, Storia del diritto privato europeo, vol. I, Milano, 1980, p. 529 definisce l’Italia<br />

« terra d’origine della scienza giuridica europea ».<br />

( 9 ) Sul punto si veda l’indagine di Alpa che evidenzia le aperture del giurista italiano al<br />

diritto straniero: Alpa, Tradition, cit., p. 97 ss.


SAGGI 699<br />

In particolare di quella anglo-americana, di quella franco-romana e di<br />

quella germanico-romana ( 10 ).<br />

Nel presente scritto mi soffermerò sulle ragioni della separazione del<br />

civil e del common law e sui loro punti di contatto e convergenza, tra etica<br />

ed economia, identificando nello sviluppo di valori etici il vero motore<br />

dell’evoluzione storica del diritto.<br />

2. – Uno dei temi che ha contribuito a separare il civil law dal common<br />

law è stato quello della relazione tra economia di mercato e diritto. La tesi<br />

proposta dai liberisti ( 11 ) è che gli obiettivi dell’economia di mercato siano<br />

meglio raggiungibili se il diritto fosse creato dai giudici, in quanto in<br />

tal modo, il diritto non interverrebbe all’inizio del processo economico,<br />

disciplinandone ogni sua fase, ma, e solo eventualmente, a valle se vengono<br />

a crearsi le condizioni per un intervento giudiziario. Nell’ottica liberista<br />

il common law sarebbe un’ipotesi di ordine spontaneo e per ciò solo<br />

maggiormente in linea con la libertà individuale. In effetti, il modo in cui<br />

il civil law e il common law si atteggiano nei confronti dell’economia di<br />

mercato si presenta in maniera differente per ragioni, sia di carattere logico,<br />

che di carattere ontologico.<br />

Mentre il diritto continentale è nato come risposta ordinatrice al caos<br />

giuridico e al vuoto ( 12 ) di regole creatosi all’indomani della crisi e della<br />

caduta delle istituzioni politiche e religiose d’Europa, e quindi era diretto<br />

a regolare il lassaiz faire, il diritto inglese, sin dal XVII secolo si è svilup-<br />

( 10 ) Questa è la distinzione riportata recentemente da Galgano in Galgano, La globalizzazione<br />

nello specchio del diritto, Bologna, 2005, p. 9. Tuttavia, per le considerazioni che<br />

svolgeremo in prosieguo, la mancata aggettivizzazione di romana al modello anglo-americano<br />

non è del tutto condivisibile. Come si vedrà, infatti, il diritto inglese ha recepito molte<br />

regole e teorie del diritto romano e del civil law. Inoltre il diritto anglo-americano continua<br />

ad essere notevolmente influenzato dal diritto civile continentale. La suddivisione degli<br />

ordinamenti di diritto privato in gruppi e famiglie è terreno tipico del comparatista.<br />

Wieacker propone una divisione generale tra gruppi di diritti dell’Europa continentale e<br />

gruppi di diritti anglosassoni. Nell’ambito del primo gruppo poi distingue tra famiglia romanza<br />

e famiglia mitteleuropea (Wieacker, Storia del diritto privato europeo, vol. II, Milano<br />

1980, p. 223). Una nuova e originale divisione è stata proposta da Glenn, il quale sostiene<br />

la diversità delle diverse tradizioni giuridiche che significherebbe « accettare . . . non tollerare<br />

», considerandole come « reciprocamente interdipendenti » (Glenn, Legal Traditions<br />

of the World, 2000, p. 333). Condivido la tesi di Glenn, ma preferisco parlare di “complementarità”<br />

tra sistemi giuridici per rimarcare la tendenza verso l’unitarietà.<br />

( 11 ) Hayek, Legge, legislazione e libertà, Milano, 1994; Id. The Constitution of Liberty,<br />

Chicago, 1960; Leoni, Freedom and the Law, 1961 (3 a ed., Indianapolis, IN., 1991).<br />

( 12 ) Galgano, op. cit., p. 46.


700 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

pato non quale « prodotto della volontà di qualcuno, ma piuttosto come<br />

una barriera ad ogni potere, incluso quello del re » ( 13 ). Basti pensare al<br />

noto Bonham’s Case (8 Co. Rep. 107a, 114a C.P., 1610) dove Sir Edward<br />

Coke affermava « appare nei nostri libri che in molti casi il common law<br />

controllerà gli atti del parlamento e talvolta li giudicherà totalmente nulli:<br />

quando un atto del parlamento è contrario al diritto comune e alla ragione,<br />

o ripugnante, o impossibile da essere eseguito, il common law lo controllerà<br />

e giudicherà tale atto nullo » ( 14 ).<br />

In realtà, la nascita del pensiero liberista occidentale non è stata il frutto<br />

di una politica del diritto da parte delle nuove istituzioni politiche, nate<br />

all’indomani della rivoluzione francese, ma della crisi delle istituzioni decadute<br />

alla fine del settecento: la Chiesa di Roma e la monarchia assoluta.<br />

In mancanza di direttive da parte delle istituzioni, il mercante poteva finalmente<br />

agire liberamente e, alla richiesta di un intervento statale (« que<br />

faut-il faire pour vous aider? », chiedeva Colbert al mercante Legendre),<br />

rispondere « nous laisser faire » ( 15 ). Il liberismo economico nasce in un<br />

momento di sfiducia nelle istituzioni politiche e sociali, e non è un caso<br />

che quindi anche oggi nelle democrazie post-industriali si faccia appello al<br />

liberismo quante volte tali istituzioni entrino in crisi ( 16 ).<br />

In questi termini possiamo affermare che il sistema giuridico di common<br />

law si è trovato ad essere naturalmente più preparato del sistema di<br />

civil law nell’affrontare la crisi istituzionale e politica della fine del settecento,<br />

e ciò in quanto anche laddove viene a mancare il potere legislativo,<br />

il common law è pur sempre in grado di funzionare e di produrre diritto.<br />

Viceversa, il sistema continentale di civil law, di fronte alla crisi istituzionale<br />

deve logicamente attendere una ripresa delle istituzioni, ossia del potere<br />

legislativo e di governo, e soltanto successivamente, può riprendere<br />

la sua normale attività ( 17 ).<br />

( 13 ) Hayek, Legge, cit., p. 110<br />

( 14 ) In inglese recita come segue: « it appears in our books, that in many cases, the Common<br />

Law will controul Acts of Parliament, and sometimes adjudge them to be utterly void:<br />

for when an Act of Parliament is against common right and reason, or repugnant, or impossible<br />

to be performed, the Common Law will controul it, and adjudge such Act to be void ».<br />

In argomento v. Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, Bologna, 1996, p. 280; in inglese<br />

il titolo dell’opera è A Short History of Western Legal Theory, Oxford, 1992, p. 223.<br />

( 15 ) Keynes, The End of Laissez Faire 1926, Amherst, NY, 2004, pubblicato originariamente<br />

nel 1926, p. 22, nota 2.<br />

( 16 ) È appunto quanto sembra essere avvenuto anche in alcuni Stati dell’Unione Europea,<br />

compresa l’Italia, e negli Stati Uniti.<br />

( 17 ) D’altronde, questo collegamento tra istituzioni politiche e diritto caratterizza il civil


SAGGI 701<br />

Oltre a tale differenza logica, v’era una difficoltà ontologica del civil<br />

law a disciplinare l’economia di mercato così come si andava sviluppando<br />

alla fine del settecento e agli inizi dell’ottocento. Mi riferisco alla caratteristica<br />

personalizzante del civil law ( 18 ) che si era sviluppato su rapporti interpersonali,<br />

e che quindi con il sorgere dell’economia di mercato perdeva<br />

l’oggetto del proprio studio. L’economia di mercato non faceva più riferimento<br />

a questo o quel singolo venditore e/o compratore, ma alle forze<br />

impersonali della domanda e dell’offerta ( 19 ).<br />

Con l’economia di mercato nasce quindi una nuova categoria di contratto:<br />

il contratto di mercato che si affianca a quella già presente del contratto<br />

isolato. In quest’ultimo la disciplina è dettata in funzione della persona<br />

e del rapporto interpersonale che si viene a creare. Nel contratto di<br />

mercato invece la disciplina tende a regolare la domanda e l’offerta ( 20 ).<br />

Tale distinzione trova peraltro anche un fondamento nell’etica degli affari.<br />

In quest’ambito vengono a distinguersi tre livelli di affari. Il livello micro,<br />

ossia le regole dello scambio equo tra due individui, il livello macro<br />

che riguarda le regole istituzionali e culturali del commercio nell’intera<br />

società e infine il livello cd. molare che interessa l’impresa in forma societaria<br />

( 21 ).<br />

La non considerazione di vicende interpersonali o personali nella disciplina<br />

dei rapporti giuridici, trovava terreno fertile nella cultura puritana<br />

anglosassone che si esprimeva anche nella cd. teoria dell’absolute contract<br />

( 22 ). Viceversa, la cultura cattolico-romana era sempre stata attenta<br />

alle vicende personali sottostanti il rapporto giuridico, e aveva costruito<br />

law sin dalle sue origini. Sul punto v. le riflessioni di Grossi, secondo cui, con riguardo al<br />

civil law, la riscoperta del diritto romano giustinianeo « autentico » nell’epoca del rinascimento<br />

giuridico italiano del XII secolo, si inquadrerebbe nell’esigenza del giurista di « trovare<br />

un momento di validità per il proprio discorso », perché « il produttore del diritto è solo<br />

nel vuoto che il potere generalmente lascia intatto ancora per molto tempo ». Grossi,<br />

L’ordine giuridico medievale, Bari, 1995, p. 155 ss.<br />

( 18 ) Sul punto v. Glenn, op. cit., p. 116 ss.<br />

( 19 ) Sul punto Weber, Economy and Society. An Outline of Interpretative Sociology, I,<br />

Berkeley, Ca., 1978, p. 588.<br />

( 20 ) Le categorie del contratto isolato e del contratto di mercato le ho trattate in un precedente<br />

lavoro al quale mi permetto di rinviare Lordi, Il prezzo nel contratto di scambio, Napoli,<br />

2001, p. 162 ss.<br />

( 21 ) Solomon, Business Ethics, in Singer (edited by), A Companion to Ethics, Malden,<br />

Ma., 1991, p. 359 ss.<br />

( 22 ) Paradine v. Jane (1647) Aleyn 26, in Beale-Hartkamp-Kötz-Tallon, Cases, Materials<br />

& Text on Contract Law, Oxford, 2002, p. 608.


702 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

regole giuridiche ispirate al valore dell’equità ( 23 ). Queste regole e questi<br />

valori sebbene non venissero del tutto trascurati dal common lawyer, erano<br />

confinati, data la loro eccezionalità, in una giurisdizione a sé stante, la<br />

Court of Equity, appunto ( 24 ).<br />

La sociologia e la storia economica c’insegnano che l’etica cattolica<br />

mal si confaceva al mutamento sociale portato dalla rivoluzione industriale.<br />

« Qualsiasi tipo di relazione personale tra uomo e uomo, di qualsiasi<br />

sorta persino includendo la schiavitù può essere soggetta a requisiti etici<br />

ed essere eticamente regolata », scriveva Weber, ma « non vi è nessuna<br />

possibilità, in pratica o in teoria, di qualsiasi regolazione caritativa delle<br />

relazioni che sorgono tra azionisti e operai di una fabbrica, tra importatori<br />

di tabacco e operai stranieri della piantagione, o tra industriali e minatori<br />

che hanno scavato dalla terra i materiali grezzi che sono usati nelle<br />

fabbriche di proprietà degli industriali. La crescente impersonalità dell’economia<br />

. . . segue le proprie regole, la disobbedienza delle quali porta al<br />

fallimento economico e, nel lungo periodo, alla rovina economica ». Se<br />

tuttavia secondo i dettami cattolici una carriera nel mondo degli affari era<br />

concepibile solo per chi fosse lassista sotto il profilo etico rendendo quindi<br />

incolmabile la differenza tra la concezione di vita cattolica e quella capitalista<br />

( 25 ), d’altro canto l’etica protestante, e in particolare quella purita-<br />

( 23 ) Rosmini, Filosofia del diritto, vol. I, 1865. La copia da me consultata è in inglese The<br />

Philosophy of Right. Rights of the Individual, vol. II, Glasgow, 1993. In particolare Rosmini<br />

tratta dell’equità nei paragrafi 1185 ss. Sul concetto di aequitas canonica e su come essa sia<br />

stata influenzata dalla scuola civilistica bolognese v. Grossi, op. cit., p. 210.<br />

( 24 ) Kerly, An Historical Sketch of the Equitable Jurisdiction of the Court of Chancery,<br />

Cambridge, 1890. Atiyah osserva che durante il diciottesimo secolo la Court of Equity interveniva<br />

sui contratti e che quindi il motto secondo il quale « la corte non fa il contratto al posto<br />

delle parti » va ristretto al diciannovesimo secolo. Atiyah, The Rise and Fall of Freedom<br />

of Contract, Oxford, 1979, p. 173. Si pensi anche alla tematica della giustizia contrattuale,<br />

sulla quale peraltro negli ultimi anni tanto in Italia, quanto nei paesi anglosassoni, s’è avuta<br />

una notevole produzione editoriale. Di recente in Italia v. Volpe, La giustizia contrattuale<br />

tra autonomia e mercato, Napoli, 2004 e Caccavale, Giustizia del contratto e presupposizione,<br />

Torino 2005 e ivi bibliografia citata. Negli Stati Uniti v. Benson (edited by), The<br />

Theory of Contract Law. New Essays, Cambridge, 2001 e ivi bibliografia citata. Circa le relazioni<br />

tra common law ed Equity in Inghilterra prima e dopo il Supreme Court of Judicature<br />

Acts 1873-1875 v. Eddey-Darbyshire, On the English Legal System, London, 2001, p. 140 ss.<br />

( 25 ) Fanfani, Catholicis, Protestantism and Capitalism, Norfolk, Va., 2003, p. 118. La<br />

versione originale in italiano è Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del<br />

capitalismo, Milano 1934. Recentemente, nella direzione di una convergenza tra pensiero<br />

cattolico e pensiero capitalista v. Todeschini, I mercanti e il tempio, Bologna, 2002; Ceccarelli,<br />

Il gioco e il peccato, Bologna, 2003; Bazzichi, Alle radici del capitalismo. Medioevo e


SAGGI 703<br />

na sviluppatasi nel mondo anglofono, interpretava il successo negli affari<br />

come il frutto di un modo razionale di vita ( 26 ). Per la nuova etica, la più<br />

alta forma di obbligazione morale dell’individuo era proprio quella di<br />

adempiere i suoi doveri negli affari ( 27 ). È questa la nuova etica che permeava<br />

il common law britannico prima, e quello nordamericano, poi. Alla<br />

domanda « quali forze per oltre due secoli trasformarono l’Inghilterra dei<br />

Tudor nell’impero che guidò il mondo e trasformò tredici piccole colonie<br />

nordamericane nel successore dell’impero, gli Stati Uniti » Phillips ( 28 ) risponde<br />

« dei tanti ingredienti, dal commercio all’individualismo, dalla potenza<br />

sui mari, alla forma di governo parlamentare, il più importante fu<br />

inizialmente il protestantesimo . . . Il protestantesimo velocemente diventò<br />

una delle più forti auto-identificazioni dell’Inghilterra. Religione e<br />

nazionalismo inglese iniziarono quello che sarebbe stata una memorabile<br />

convergenza ». Questo processo d’identificazione coinvolse anche il diritto<br />

e « la rivoluzione puritana dal 1640 al 1660 stabilì la supremazia del<br />

common law sui suoi rivali » ( 29 ). In materia di diritto dei contratti la rivoluzione<br />

puritana portò la sostituzione della teoria morale del contratto<br />

con la teoria dell’affare (bargain theory) la cui applicazione si riflette nel<br />

leading case Paradine v. Jane ( 30 ) (su cui infra al paragrafo 4).<br />

Da quanto sin qui descritto, si può affermare che la differenza tra civil<br />

law e common law in riferimento all’economia di mercato riguarda una<br />

differenza di atteggiamento che i due sistemi giuridici hanno avuto di<br />

fronte alla crisi delle istituzioni e all’emergere dell’economia di mercato<br />

alla quale, per le ragioni indicate, meglio si addiceva l’etica puritana che<br />

non quella cattolica. In effetti, se è vero che l’Inghilterra con la sua economia<br />

ha dominato il mondo nell’ottocento, le cause sono da riscontrare<br />

anche in tutta una serie di fattori che poco hanno a che vedere con lo sviluppo<br />

del sistema giuridico di common law. Come scriveva Tawney ( 31 ) a<br />

scienza economica, Torino, 2003; Chafuen, Faith and Liberty. The Economic Thought of the<br />

Late Scholastics », Lanham, Md., 2003.<br />

( 26 ) Weber, Economy and Society, cit., p. 588.<br />

( 27 ) Giddens nella prefazione a Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism,<br />

New York, 2002, p. xii.<br />

( 28 ) Phillips, The Cousins’ Wars. Religion, Politics, & the Triumph of Anglo-America,<br />

New York, 1999, p. 8.<br />

( 29 ) Berman, The Religious Sources of general Contract Law: An Historical Perspective, 4<br />

Journal of Law & Religion 103 (1986) 115, ora in Berman, Faith and Order. The Reconciliation<br />

of Law and Religion, Grand Rapids, Mi., 1993, p. 187 ss.<br />

( 30 ) Paradine v. Jane (1647) Aleyn 26, in Beale-Hartkamp-Kötz-Tallon, op. cit., p. 608.<br />

( 31 ) Tawney, Religion and the Rise of Capitalism, New York, 1926, p. 8.


704 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

proposito del sorgere del capitalismo, « l’arena più importante è l’Inghilterra<br />

perché è in Inghilterra, con la sua nuova posizione geografica come<br />

l’enterpôt tra l’Europa e l’America, il suo raggiungimento di unità economica<br />

interna due secoli prima della Francia e due secoli e mezzo prima<br />

della Germania, la sua rivoluzione costituzionale, e la potente bourgeoisie<br />

di banchieri, armatori e mercanti, che la trasformazione della struttura<br />

della società è la più anticipata, rapida e completa ». Di recente una<br />

bella, quanto rigorosa, sintesi dei formanti della rivoluzione industriale è<br />

stata offerta da Sachs. « Perché fu prima la Gran Bretagna? Perché non la<br />

Cina, che era stata leader mondiale della tecnologia per quasi un millennio,<br />

dal 500 d.C. al 1500 d.C.? Perché non altri centri di potere sul continente<br />

europeo o in Asia? » ( 32 ). Le risposte per Sachs sono: 1) la società<br />

britannica era relativamente aperta rispetto alle altre società nel mondo e<br />

con maggiore possibilità per iniziativa individuale e mobilità sociale; 2)<br />

aveva rafforzate istituzioni di libertà politiche e proteggeva i diritti di proprietà<br />

privata che reggevano l’iniziativa privata; 3) era il centro europeo<br />

della rivoluzione scientifica (il riferimento è ai Principia Mathematica di<br />

Isaac Newton pubblicati nel 1687); 4) aveva cruciali vantaggi geografici;<br />

5) aveva minori rischi di invasioni militari esterne; 6) aveva il carbone<br />

che, data l’invenzione della macchina a vapore, era la più importante<br />

fonte d’energia dell’epoca. « La combinazione di nuove tecnologie industriali,<br />

il potere del carbone e le forze del mercato crearono la rivoluzione<br />

industriale » ( 33 ). Il common law prima di altri ordinamenti si è trovato<br />

a dover esaminare le problematiche giuridiche che nascevano nella nuova<br />

società che andava formandosi, le cui caratteristiche erano: a) l’urbanizzazione;<br />

b) la mobilità sociale; c) il diverso ruolo dell’uomo e della<br />

donna nella società e quindi i cambiamenti nell’istituzione della famiglia;<br />

d) la divisione del lavoro ( 34 ).<br />

È interessante notare che se il liberismo che ha elogiato il common law<br />

come sistema giuridico più confacente ad un economia di mercato, è stato<br />

capeggiato da un austriaco, Friedrich August von Hayek, la critica mag-<br />

( 32 ) Sachs, The End of Poverty. Economic Possibilties for our Time, New York, 2005, p. 33.<br />

Sul punto si veda anche la ricostruzione che fa Rifkin della scomparsa delle corporazioni<br />

medievali e la nascita dell’economia di mercato. Rifkin, The European Dream. How Europe’s<br />

Vision of the Future is Quietly Eclipsing the American Dream, New York, 2004, p. 161 ss.<br />

( 33 ) Circa le cause della povertà e del perché alcune società si sono evolute più di altre<br />

oltre a Sachs, op. cit. v. Diamond, Guns, Germs, and Steel. The Fates of Human Societies,<br />

New York, 1999, il quale ricollega la differenza a ragioni di carattere geografico-ambientale.<br />

( 34 ) Sachs, op. cit., p. 35 ss.


SAGGI 705<br />

giore al liberismo è provenuta proprio da un inglese, John Maynard Keynes,<br />

il quale nel proclamare la fine del laissez faire affermava: « la conclusione<br />

che gli individui agenti indipendentemente per il proprio vantaggio<br />

producano il massimo volume complessivo di ricchezza dipende da una<br />

varietà di presupposti irreali, come ad esempio, che i processi di produzione<br />

e consumo non sono in alcun modo organici, che esiste una sufficiente<br />

conoscenza preventiva delle condizioni ed esigenze e che vi sono<br />

possibilità adeguate di ottenere questa conoscenza. Perciò gli economisti<br />

in genere riservano ad una fase posteriore del loro ragionamento le complicazioni<br />

che sorgono: (1) quando le unità efficaci di produzione sono<br />

grandi rispetto alle unità di consumo; (2) quando sono presenti costi generali<br />

o costi connessi; (3) quando le economie interne tendono ad estendersi<br />

al complesso della produzione; (4) quando il tempo necessario per<br />

gli adeguamenti è lungo; (5) quando l’ignoranza prevale sulla conoscenza;<br />

e (6) quando monopoli e combinazioni interferiscono con l’eguaglianza<br />

nelle negoziazioni – essi riservano, per così dire, ad una fase successiva la<br />

loro analisi dei fatti reali » ( 35 ). Keynes rigetta così l’individualismo liberista<br />

e la propugnata « armonia sostanziale fra gli interessi sociali e quelli individuali<br />

» ( 36 ), propone un interventismo statale nell’economia, ma non<br />

indica alcuna preferenza per il sistema di civil o di common law.<br />

Al centro del dibattito tra Hayek e Keynes non è il civil law versus il<br />

common law, ma è di come « far sorgere un’organizzazione sociale che sia<br />

la più efficiente possibile senza offendere le nostre nozioni di un soddisfacente<br />

sistema di vita » ( 37 ) o, come scrive Pound ( 38 ), di trovare l’equilibrio<br />

tra il desiderio degli esseri umani di essere uguali e il loro desiderio<br />

di essere liberi. Problema aperto quest’ultimo che continua a stimolare i<br />

contributi soprattutto degli studiosi del contratto ( 39 ).<br />

3. – La materia contrattuale è il campo in cui si è maggiormente verificata<br />

quello che potrebbe definirsi un processo di “osmosi giuridica” tra civil<br />

law e common law ( 40 ). Di fronte allo svilupparsi delle problematiche<br />

( 35 ) Keynes, op. cit., p. 31 ss.<br />

( 36 ) Id., op. cit., p. 23.<br />

( 37 ) Id., op. cit., p. 45<br />

( 38 ) Pound, An Introduction to the Philosophy of Law, New Haven, Ct., 1922, p. 168.<br />

( 39 ) V. bibliografia citata in nota 24.<br />

( 40 ) Molto suggestivi sono anche gli studi che osservano gli scambi culturali avvenuti alle<br />

origini del common law durante il periodo normanno. Circa alcune analogie tra il sistema<br />

giurisdizionale in Sicilia ed in Inghilterra v. Caravale, La monarchia meridionale. Istituzioni<br />

e dottrina giuridica dai Normanni ai Borboni, Bari, 1998, p. 25 ss. Per una tesi che indivi-


706 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

giuridiche della società industriale, i giuristi delle diverse esperienze, così<br />

come è accaduto in altri campi della cultura e del sapere, hanno reagito<br />

interscambiandosi le conoscenze ( 41 ). Il commercio internazionale ha reso<br />

sempre più permeabili le decisioni giudiziarie e arbitrali ai principi e alle<br />

regole di diversi paesi ( 42 ). Lo stesso sta avvenendo in materia societaria e<br />

di tutela del risparmio. Viceversa, altri settori del diritto privato, come ad<br />

esempio il diritto di famiglia e il diritto del lavoro rimangono per il momento<br />

fuori da tale processo. Mentre, un discorso a parte, che non è possibile<br />

svolgere in questa sede, meriterebbe il diritto pubblico ed in particolare<br />

il diritto costituzionale ( 43 ).<br />

Dal punto di vista storico sia il diritto inglese ( 44 ), quanto il diritto<br />

americano ( 45 ), hanno enfatizzato l’attrazione che il civil law ha avuto per<br />

dua le origini del common law nel diritto islamico che sarebbe arrivato nell’Inghilterra normanna<br />

tramite la Sicilia normanna v. Makdisi, The Islamic Origins of the Common Law, in<br />

North Carolina Law Review, 1999, p. 1635 ss.<br />

( 41 ) Stein, Roman Law in European History, Cambridge, 1999, p. 125.<br />

( 42 ) Galgano, op. cit., p. 76.<br />

( 43 ) Nel diritto costituzionale statunitense, sembra che vi sia una separazione tra chi accetti,<br />

almeno in linea di principio, l’influenza di altre culture giuridiche e chi invece rifiuti la<br />

possibile contaminazione del « Con law ». Una decisione della Corte Suprema, nella quale<br />

è possibile vedere le due tendenze a confronto è Lawrence et al. v. Texas 539 US 558 (2003).<br />

Infatti, mentre il redattore dell’opinion, Justice Kennedy, nel supportare la motivazione faceva<br />

riferimento alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo affermando persino che sebbene<br />

« the doctrine of stare decisis is essential to the respect accorded to the judgments of the<br />

Court and to the stability of the law », comunque, « it is not . . . an inexorable command »,<br />

dall’altro lato, Justice Antonin Scalia, nel redigere la sua dissenting opinion rigettava fermamente<br />

la possibilità di complementare il diritto americano con il diritto straniero e, citando<br />

una precedente decisione del Justice Clarence Thomas, affermava « the Court’s discussion<br />

of these foreign views . . . is therefore meaningless dicta. Dangerous dicta, however, since<br />

“this Court . . . should not impose foreign moods, fads, or fashions on Americans.” Foster v.<br />

Florida, 537 U.S. 990, n. (2002) ».<br />

( 44 ) Maitland, English Law and the Renaissance, Cambridge, 1901. Si vedano anche le<br />

riflessioni di Blackstone, Commentaries on the Laws of England, vol. I, Oxford, 1765, p. 19<br />

ss. che osserva come in realtà lo scisma tra civil law e common law sia avvenuto all’interno<br />

della stessa Inghilterra prima di avvenire tra l’Inghilterra e il resto d’Europa. In effetti, il civil<br />

law era il diritto studiato dai vescovi e dal clero, mentre il common law veniva studiato<br />

dalla nobiltà e dai laici.<br />

( 45 ) Hoeflich, Roman & Civil Law and the Development of Anglo-American Jurisprudence<br />

in the Nineteenth Century, Athens, Ga., 1997, p. 2 il quale espone così la sua tesi: « sebbene<br />

il diritto romano e il civil law non siano stati ricepiti nel common law anglo-americano<br />

durante l’era moderna, essi, in realtà, esercitarono una significativa influenza nel pensiero<br />

di alcuni tra i più importanti giuristi e teorici del diritto del diciannovesimo secolo in entrambe<br />

Inghilterra e Stati Uniti e pertanto giocarono un ruolo nello sviluppo del diritto an-


SAGGI 707<br />

il giurista anglofono ( 46 ). Infatti, se anche si è precisato ( 47 ) che l’ordinamento<br />

inglese non ha operato la « recezione » del diritto romano come gli<br />

ordinamenti continentali, d’altro canto se ne riconosce ( 48 ) l’importanza<br />

per i principi e i valori che esso esprime.<br />

Sia nella materia dell’illecito civile che in quella del contratto, il common<br />

law non esita a recepire principi di civil law ( 49 ).<br />

In realtà dalle fonti ( 50 ) si evince che nel XVI secolo in Inghilterra si fece<br />

strada l’idea della « recezione » del civil law affinché si rimediasse ai<br />

« difetti del diritto inglese » ( 51 ). Per il common lawyer « non v’è dubbio »<br />

che il diritto inglese è molto caotico, e la soluzione al problema potrebbe<br />

essere di « recepire il diritto civile dei romani che ora è il diritto comune di<br />

quasi tutte le nazioni cristiane » ( 52 ). Circa la formazione culturale del<br />

common lawyer, sebbene non sembri che la conoscenza del diritto romano<br />

possa essere d’aiuto all’avvocato innanzi le corti inglesi, lo studio del civil<br />

glo-americano ». Sull’utilizzo del diritto romano dalla Corte Suprema degli Stati Uniti v.<br />

Astorino, Roman Law in American Law: Twentieth Century Cases of the Supreme Court, 40,<br />

Duquesne Law Review, 627, 2002.<br />

( 46 ) Holmes, The Common Law, Boston, 1881, p. 196 e p. 265. A p. 196 Holmes cita il caso<br />

Coggs v. Bernard (2 Anne, A.D. 1703) in cui Lord Holt cita ampiamente il diritto romano.<br />

Per altro verso, v. a p. 253 la critica di Holmes al recepimento nel common law del concetto<br />

di causa dell’obbligazione.<br />

( 47 ) Holdsworth, The Reception of Roman Law in the Sixteenth Century, I, 27, The Law<br />

Quarterly Review, 1911, p. 387 ss., il quale a p. 392 richiama Melacthon, nel Lexicon Iuris Civilis<br />

di Jacob Spiegel (1549), c. 255 (visionabile su internet all’indirizzo: http://www.ub.unibielefeld.de/diglib/spiegel/lexicon)<br />

per evidenziare come i civil lawyers, a differenza dei common<br />

lawyers, si mettono a discutere di problematiche puramente teoriche come quella se il<br />

testamento di Lazzaro fosse o meno valido dopo la sua resurrezione. « Nihilo saniores iurisconsulti<br />

fuere qui disputarunt de Lazaro, valueritne testamentum poseaquam revixit, et<br />

hoc genus innumera ».<br />

( 48 ) Kerly, op. cit., passim.<br />

( 49 ) Bacon, The Elements of the Common Lawes of England, London, 1630. Circa l’illecito<br />

civile, mi riferisco alla massima « in jure non remota causa, sed proxima spectatur » (regola<br />

1), circa il contratto, alla massima « verba fortius accipiuntur contra proferentem » (regola<br />

3).<br />

( 50 ) Maitland, op. cit., p. 7, nota 11.<br />

( 51 ) Id., op. loc. cit.<br />

( 52 ) In inglese dell’epoca recita come segue: « thys ys no dowte but that our law and ordur<br />

teherof ys over-confuse . . .Ther ys no stabyl grounde therin, nor sure stay; but euery<br />

one that can coloure reson makyth a stope to the best law that ys before tyme deuysyd . . .<br />

The wych al by thys one remedy schold be amendyd and correct, yf we myght induce the<br />

hedys of our cuntrey to admyt the same: that ys, to receyue the cyuyle law of the Romaynys,<br />

the wych ys now the commyn law almost of al Chrystyan natyonys »: Id., op. loc. cit.


708 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

law è stato considerato importante per la carriera diplomatica e notevole<br />

considerazione ebbe l’insegnamento del diritto civile proprio di un italiano:<br />

Alberico Gentili ( 53 ) (1552-1608), Regius Professor di Civil Law ad<br />

Oxford. La stima che di Gentili ebbe il Maitland fu tale che lo spinse ad<br />

affermare che espellendo dall’Italia uomini come Gentili, l’Italia « rinunciò<br />

alla sua preminenza nel mondo degli studi giuridici » ( 54 ).<br />

Maitland ( 55 ) ricorda come Maine nel suo Roman Law and Legal Education<br />

(1856) avesse a torto ritenuto che negli Stati Uniti il diritto romano<br />

avrebbe avuto gran diffusione. L’erronea valutazione si fondava sull’adozione<br />

nello Stato della Louisiana del codice civile di stampo napoleonico:<br />

« ora è questo codice, e non il common law dell’Inghilterra al quale i nuovi<br />

stati americani stanno attingendo il fondamento delle loro leggi, . . . il<br />

diritto romano, pertanto, sta divenendo la lingua franca della teoria del diritto<br />

universale » ( 56 ).<br />

In realtà il processo d’infiltrazione del civil law nel common law era già<br />

iniziato secoli prima attraverso la Court of Equity ( 57 ). Il civil law veniva<br />

considerato dal common lawyer in Equity come un « repertorio di principi<br />

morali » ( 58 ). Tra le teorie che il common law ha mutuato dal civil law, vanno<br />

ricomprese le seguenti: la specific performance, l’estoppel by deed e l’equitable<br />

conversion. Sebbene queste doctrines attengano alla materia dei<br />

contratti, la loro collocazione sistematica nel common law sono nella compravendita<br />

immobiliare, che viene studiata nell’ambito dei diritti reali.<br />

La specific performance, che potremmo tradurre in esecuzione in forma<br />

specifica, consiste nel rimedio che una Court of Equity può dare a un<br />

venditore o a un compratore se il risarcimento in forma generica, ossia<br />

pecuniario, risulta inadeguato ( 59 ). Si tratta di un rimedio equitativo e come<br />

tale è nella discrezione del giudice di concederlo o meno.<br />

Con l’equitable conversion l’Equity considera come accaduto ciò che<br />

( 53 ) V. alcune note biografiche in Simpson, Biographical Dictionary of the Common Law,<br />

London, 1984.<br />

( 54 ) Maitland, op. cit., p. 14, nota 30.<br />

( 55 ) Id., op. cit., p. 32, nota 73.<br />

( 56 ) « Now it is this code, and not the Common Law of England which the newest<br />

American States are taking for the substratum of their laws . . . The Roman law is, therefore,<br />

fast becoming the lingua franca of universal jurisprudence ». V. anche Stein, op. cit., p.<br />

124, che ricorda un saggio nel quale Maine affermava « the immensity of the ignorance to<br />

which we are condemned by ignorance of Roman Law ».<br />

( 57 ) Kerly, op. cit., p. 100.<br />

( 58 ) Id., op. cit., p. 101.<br />

( 59 ) Dukeminier- Krier, Property, New York, 2002, p. 588.


SAGGI 709<br />

dovrebbe essere accaduto. Si tratta in altri termini di ciò che in diritto italiano<br />

chiameremmo principio del consenso traslativo che rileva soprattutto<br />

ai fini di allocare il rischio per la distruzione della cosa venduta (risk of<br />

loss). Si tratta di un rimedio esercitabile solo in Equity in quanto normalmente<br />

per il common law degli Stati Uniti la vendita non ha efficacia traslativa.<br />

Per meglio chiarire questo punto occorre brevemente menzionare<br />

quali sono le fasi di acquisto di un immobile ( 60 ). Venditore e compratore<br />

dopo aver negoziato il prezzo firmano il contratto di compravendita il<br />

quale stabilisce la data (generalmente sessanta giorni) del closing. Il compratore<br />

al momento della firma del contratto deve depositare una caparra<br />

(earnest money) che il venditore avrà diritto d’incassare se il compratore<br />

recede dal contratto. Nel periodo che intercorre tra la firma del contratto<br />

di vendita e il closing vengono svolte tre attività principali: 1) ci si assicura<br />

che il venditore abbia un valido titolo di proprietà non attaccabile da terzi.<br />

La ricerca del titolo di proprietà può essere o diretta (andando a verificare<br />

tutta la chain of title) oppure fatta tramite estratti. In alternativa il titolo<br />

può essere stabilito da una compagnia assicurativa che rilascia al<br />

compratore apposita polizza assicurativa; 2) il compratore può ispezionare<br />

o far ispezionare l’immobile per verificare che non vi siano vizi tali da<br />

diminuirne il valore (in tal caso potrà ottenere una riduzione del prezzo);<br />

3) il compratore può ottenere il mutuo da un istituto di credito. Al closing<br />

il compratore riceve il titolo di proprietà (il deed) dal venditore e lo registra<br />

presso la county courthouse. Il momento traslativo è quindi rinviato al<br />

closing, essendoci prima d’allora l’efficacia meramente obbligatoria della<br />

vendita. Ne risulta, che tra il momento della conclusione del contratto, e<br />

quello del trasferimento del titolo di proprietà, il rischio per il perimento<br />

della cosa dovrebbe essere sopportato dal venditore.<br />

Pertanto, con il rimedio equitativo dell’equitable conversion i giudici<br />

considerano ( 61 ) il compratore come se fosse il proprietario, affermando<br />

che il rischio per il perimento fortuito della cosa incombe sul compratore<br />

anche se non ha ancora il possesso della cosa. L’Equity regards as done<br />

that which ought to be done. È così che il principio dell’efficacia traslativa<br />

dei diritti reali entra nel sistema anglosassone ( 62 ).<br />

( 60 ) Id., op. cit., p. 559.<br />

( 61 ) Paine v. Meller, 6 Ves. Jr. 349, 31 Eng. Rep. 1088 (Ch. 1801), citato in Dukeminier-<br />

Krier, op. cit., 2002, p. 589.<br />

( 62 ) Ma occorre sottolineare che non entra a far parte del common law, ma del limitato<br />

ed eccezionale mondo dell’Equity. Per tali motivi non appare condivisibile l’inciso di Galgano<br />

secondo cui « il principio consensualistico regola i contratti traslativi nel common


710 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Altro esempio d’influenza del civil law sul common law attraverso la<br />

Court of Equity, è l’istituto dell’estoppel by deed, che presenta notevoli affinità<br />

con la disciplina della vendita di cosa altrui contenuta nell’articolo<br />

1478 c.c. Il tema richiede dei cenni sul concetto di deed a cui si è fatto riferimento<br />

in precedenza. In genere vi possono essere tre tipologie di deed:<br />

1) il general warranty deed con cui il grantor (il garante, così viene chiamato<br />

il venditore al momento del closing) garantisce il titolo di proprietà contro<br />

qualsiasi difetto precedente o successivo al momento in cui egli divenne<br />

titolare; 2) lo special warranty deed, che contiene solo garanzie rispetto<br />

ad atti del garante, ma non di terzi; 3) il quitclaim deed che non contiene<br />

alcun tipo di garanzia.<br />

L’estoppel by deed è applicabile laddove il venditore trasferisca al compratore<br />

un bene immobile di cui non sia proprietario ma garantendone la<br />

proprietà. In tal caso, se il venditore ne dovesse successivamente acquisire<br />

la proprietà, questa passa automaticamente al compratore. In altri termini,<br />

e spiegando l’etimologia giuridica dell’istituto, al venditore è estopped,<br />

ossia impedito, di affermare che non era proprietario al momento<br />

della consegna del deed. Si tratta di un’applicazione del principio di economia<br />

dei mezzi giuridici che evita l’azione del compratore nei confronti<br />

del venditore sulla base del warranty deed, trasferendo automaticamente<br />

la proprietà al compratore.<br />

4. – Una delle aree del diritto dei contratti in cui maggiormente il civil<br />

law ha manifestato la sua influenza sul common law è quella del mutamento<br />

successivo delle circostanze ( 63 ) sia nel senso dell’impossibilità sopravvenuta<br />

della prestazione contrattuale, quanto in quello della sua eccessiva<br />

onerosità. La regola sull’impossibilità sopravvenuta è contenuta<br />

nel Digesto (D. 45, 1, 23), quella sull’eccessiva onerosità ritrova il suo rife-<br />

law ». L’equitable conversion, come si è visto, è un prodotto della Court of Equity, non del<br />

common law: Galgano, op. cit., p. 50.<br />

( 63 ) Sul tema delle sopravvenienze contrattuali e della gestione del contratto, v. da ultimo<br />

Marasco, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in <strong>Contratto</strong><br />

e impresa, 2005, p. 539 ss. (e ivi bibliografia citata), nel quale viene commentato il lodo<br />

del Collegio arbitrale, composto dai professori Alpa, Nanni e Sbisà, che, da un lato, riconosce<br />

che nell’ordinamento italiano « il dovere di correttezza contrattuale possa tradursi<br />

in un obbligo di rinegoziare il contratto » e dall’altro interviene riequilibrando « i termini<br />

del rapporto alle mutate condizioni, dichiarando non dovuto un corrispettivo previsto in<br />

contratto ». Circa il common law, oltre alla considerazione di Atiyah in nota 24 v. infra nel<br />

testo come la teoria dell’absolute contract sia stata lentamente erosa sino a scomparire e con<br />

essa il motto secondo cui « le corti non fanno il contratto per le parti ».


SAGGI 711<br />

rimento principale nel principio rebus sic stantibus ( 64 ) di difficile collocazione<br />

storiografica, ma, per i fini che interessano in questa sede, di sicura<br />

marca civilian.<br />

In effetti, il tentativo di far entrare il principio dell’impossibilità della<br />

prestazione nel diritto inglese fu proprio fatto dal locatario nel leading case<br />

Paradine v. Jane. Il locatore citava in giudizio il locatario per mancato<br />

pagamento del canone. Il locatario eccepiva che a causa di fatti eccezionali<br />

(l’occupazione dell’immobile da parte di militari), non aveva potuto godere<br />

dell’immobile e pertanto non doveva essere tenuto al pagamento del<br />

canone. I giudici affermarono che, trattandosi non di un obbligo derivante<br />

dalla legge, ma di un’obbligazione contrattuale, era solo al contratto<br />

che bisognava far riferimento. Di conseguenza, se nel contratto non era<br />

contemplato l’evento giustificativo dell’inadempimento, il contraente non<br />

poteva andare esente da responsabilità. Le ricerche di Berman e Witte inquadrano<br />

questa decisione nell’emersione in Inghilterra della cultura puritana<br />

nel XVII secolo che attaccò « la giustizia discrezionale del Chancellor<br />

» ( 65 ). Tale sfiducia nella Court of Equity si ricollegava ad una rigida veduta<br />

della responsabilità contrattuale ( 66 ). I tre principi del puritanesimo<br />

del XVII secolo erano: a) la credenza in un superiore ordine divino che richiede<br />

obbedienza e autodisciplina, pena la dannazione eterna; b) la credenza<br />

nella totale depravazione degli uomini e la totale dipendenza della<br />

salvazione dalla grazia di Dio; c) la credenza in una relazione contrattuale<br />

tra Dio e l’uomo in cui Dio promette di redimere la sua gente in cambio<br />

della loro volontaria sottomissione alla Sua volontà ( 67 ). I puritani in questo<br />

modo crearono un collegamento diretto tra l’ordine divino e la responsabilità<br />

contrattuale oggettiva. « Qualsiasi contratto, è un’obbligazione<br />

tra persone circa cose, in cui esse godono di una libertà di volere e hanno<br />

il potere di accettare o di rifiutare. Ma avendo scelto, sono obbligate ad<br />

adempiere » ( 68 ).<br />

Da un lato, abbiamo la cultura puritana con la teoria dell’absolute contract,<br />

dall’altro l’Equity che continua a importare nel diritto inglese princi-<br />

( 64 ) Osti, La così detta clausola « rebus sic stantibus » nel suo sviluppo storico, in Riv. dir.<br />

civ., 1912, p. 1 ss., che traccia l’origine del movimento di pensiero della teoria in Seneca e<br />

Cicerone. Si tratta di un principio morale che lentamente si « infiltra nel campo giuridico »<br />

(p. 11) in Italia attraverso la filosofia scolastica e i glossatori.<br />

( 65 ) Berman, op. cit., p. 118.<br />

( 66 ) Ibidem.<br />

( 67 ) Id., op. cit., p. 119.<br />

( 68 ) Id., op. cit., p. 122.


712 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

pi e teorie del civil law continentale. È da questa tensione dialettica che si<br />

sviluppa sino ai nostri giorni il diritto anglo-americano.<br />

In effetti, la teoria espressa in Paradine v. Jane venne poi superata da<br />

Lord Blackburn ( 69 ) in Taylor v. Caldwell ( 70 ). Anche in questo caso si trattava<br />

della concessione (let, non un lease) di un immobile (un teatro) al fine<br />

di eseguire dei concerti, che, senza colpa del convenuto, andò distrutto<br />

per un incendio. L’attore chiedeva che gli venissero rimborsati i costi<br />

sostenuti in preparazione dei concerti. Il giudice inglese dovendo sancire<br />

il principio della impossibilità sopravvenuta della prestazione contrattuale,<br />

invocava il civil law, citando il Digesto (D. 45, 1, 23) ( 71 ) e Pothier (Traité<br />

des Obligations, parties 3, chap. 6, art. 3, sec. 668) e concludeva affermando:<br />

« sebbene il civil law non sia di per sé autoritativo ( 72 ) per una corte inglese,<br />

esso fornisce grande aiuto nella ricerca dei principi sui quali il diritto<br />

si fonda ».<br />

Anche negli Stati Uniti alla fine dell’ottocento la giurisprudenza inizia<br />

ad utilizzare principi di civil law. Nel caso Tulsa Opera House Co. et al. v.<br />

Mitchell et al ( 73 ) la corte afferma ( 74 ): « è da lungo tempo stabilito dalle<br />

corti inglesi e da quelle di questo paese, statali e federali, che quando le<br />

parti concludono un contratto sul presupposto che una determinata cosa,<br />

essenziale per la sua esecuzione, continuerà ad esistere e sarà disponibile<br />

per lo scopo e nessuna parte accetta di essere responsabile per la sua continuata<br />

esistenza e disponibilità, il contratto dev’essere considerato come<br />

soggetto ad una condizione implicita che, se precedentemente al tempo<br />

dell’adempimento e senza colpa di nessuna parte, la determinata cosa cessa<br />

di esistere o di essere disponibile per lo scopo, il contratto sarà risolto e<br />

le parti liberate dall’obligo di eseguirlo. Taylor v. Caldwell, 3 Best & Smith<br />

826; In re Shipton, Anderson & Co. (1915) 3 K. B. 67; Horlock v. Beal (1916)<br />

1 A. C. 486, 494, 496, 512; Bank Line, Ltd., v. Arthur Capel and Co. (1919)<br />

A. C. 435; The Tornado, 108 U.S. 342, 349-351, 2 S. Ct. 746, 27 L. Ed. 747;<br />

Chi., Milwaukee & St. Paul Ry. Co. v. Hoyt, 149 U.S. 1, 14, 15, 13 S. Ct. 779,<br />

37 L. Ed. 625; Wells v. Calnan, 107 Mass. 514, 9 Am. Rep. 65; Butterfield v.<br />

( 69 ) V. note biografiche in Simpson, op. cit.<br />

( 70 ) Taylor v. Caldwell, King’s Bench, 1863 3 B.&S 826, 122 Eng. Rep. 309 in Farnsworth-Young-Sanger,<br />

Contracts. Cases and Materials, 6 th ed., New York, 2001, p. 803.<br />

( 71 ) Guarino, op. cit., p. 895.<br />

( 72 ) La parola in inglese è authority che ha il significato giuridico di regola giurisprudenziale<br />

vincolante. De Franchis, voce Authority, in Dizionario giuridico, vol. 1, Milano 1984.<br />

( 73 ) 1933 OK 469.<br />

( 74 ) In inglese recita come segue: « it long has been settled in the English courts and in


SAGGI 713<br />

Byron, 153 Mass. 517, 27 N.E. 667, 12 L. R. A. 571, 25 Am. St. Rep. 654;<br />

Dexter v. Norton, 47 N.Y. 62, 7 Am. Rep. 415; Clarksville Land Co. v. Harriman,<br />

68 N.H. 374, 44 A. 527; Emerich Co. v. Siegel, Cooper & Co., 237 Ill.<br />

610, 86 N.E. 1104, 20 L. R. A. (N. S.) 1114 ».<br />

Come si vede il leading case segnalato è proprio Taylor v. Caldwell che<br />

fa riferimento a principi di civil law. In George W. Hall v. School District<br />

Number Ten ( 75 ) la corte afferma « la clausola rebus sic stantibus è da considerare<br />

implicita nei casi in cui sia dalla natura del contratto quanto dai<br />

suoi termini, il contratto sarebbe non operativo senza quell’assunzione ».<br />

Infine, in una delle « più controverse decisioni giurisprudenziali » ( 76 )<br />

in tema di sopravvenienze contrattuali, i giudici etichettano come « vecchio<br />

» ( 77 ) lo spirit of law di Paradine v. Jane e decretano la nascita di un<br />

nuovo spirito del diritto contrattuale. Nel nuovo diritto contrattuale non<br />

c’è più spazio per la massima del common law secondo cui « the courts will<br />

not make a contract for the parties » perché « courts today can indeed<br />

make contracts for the parties » ( 78 ). La decisione è supportata dalla disamina<br />

dei rimedi previsti in altri paesi, quando il contratto, in considera-<br />

those of this country, federal and state, that where parties enter into a contract on the assumption<br />

that some particular thing essential to its performance will continue to exist and<br />

be available for the purpose and neither agrees to be responsible for its continued existence<br />

and availability, the contract must be regarded as subject to an implied condition that, if<br />

before the time for performance and without the default of either party, the particular thing<br />

ceases to exist or be available for the purpose, the contract shall be dissolved and the parties<br />

excused from performing it ».<br />

( 75 ) 1887 WL 1528 (Mo.App.).<br />

( 76 ) Farnsworth-Young-Sanger, op. cit., p. 854 e ivi bibliografia citata. In breve, il caso<br />

riguardava l’adeguamento del prezzo del contratto tra l’Alcoa (Aluminium Company of<br />

America) e il gruppo Essex. Con tale contratto l’Alcoa s’impegnava, per un periodo di sedici<br />

anni, a convertire l’allumina del gruppo Essex in alluminio fuso. Il prezzo venne disciplinato<br />

in una apposita « price formula » (alla cui redazione partecipò peraltro anche l’economista<br />

Alan Greenspan), che, per quanto riguarda i costi diversi dal costo del lavoro, faceva<br />

riferimento all’indice dei prezzi dei beni di consumo (Whole-Sale Price Index-Industrial<br />

Commodities, cd. WPI). Il problema fu che il costo dell’energia (richiesta per il processo<br />

di fusione dell’allumina), era soltanto una minima componente dell’indice WPI, sicché<br />

la formula si manifestò inadeguata con il lievitare dei costi energetici dovuto alle pressioni<br />

dell’OPEC e alla legislazione ambientale. I giudici decisero che sebbene l’Alcoa avesse<br />

l’aspettativa di ricevere un profitto di quattro centesimi per libbra, le parti avevano previsto<br />

un’oscillazione del profitto da uno a sette centesimi per libbra. Di conseguenza, riformarono<br />

il prezzo affinché all’Alcoa venisse corrisposto un profitto non inferiore a un centesimo<br />

per libbra. Le parti poi terminarono la lite con una transazione stragiudiziale.<br />

( 77 ) Alcoa v. Essex co. (499F. Supp., 53, 1980), p. 89.<br />

( 78 ) Alcoa v. Essex co. (499F. Supp., 53, 1980), p. 91.


714 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

zione delle mutate circostanze, non può più essere considerato « giusto ».<br />

Tra questi paesi c’è l’Italia con l’art. 1467 del c.c. il quale riconosce, dicono<br />

i giudici, il concetto di rebus sic stantibus. L’approccio del giurista al<br />

contratto divenuto squilibrato non è più quello del common lawyer, ossia<br />

di tenere le parti obbligate a rispettare i doveri originariamente assunti,<br />

ma quello del civil lawyer (e dell’Equity lawyer anglofono). Gli approcci indicati<br />

dai giudici sono quattro: « 1) cercare di stabilire l’originaria posizione<br />

economica delle parti e il loro intento; 2) cercare di distribuire le conseguenze<br />

dell’evento imprevisto in modo eguale tra le parti; 3) cercare di<br />

determinare che cosa le parti avrebbero accettato se avessero saputo cosa<br />

sarebbe accaduto; e 4) risolvere il contratto a meno che la parte contro la<br />

quale è domandata la risoluzione offre di modificare equamente il contratto<br />

».<br />

Questa decisione consacra la recezione definitiva dei principi civilistici<br />

continentali, e soprattutto italiani, nel diritto anglo-americano dei contratti.<br />

La difficoltà delle problematiche contrattuali che generano liti giudiziarie<br />

come quella di Alcoa v. Essex palesano l’insufficienza dell’etica puritana<br />

sottostante al common law e richiedono l’intervento mitigatrice, modificativo<br />

e distributivo del civil law: « il tempo del diritto mercantile è passato,<br />

– si legge nella motivazione di Alcoa v. Essex – e il nostro sistema<br />

giuridico differisce dai loro, ma l’America non ha il monopolio sulla saggezza<br />

e ben può profittare dall’esperienza e dall’educazione di altre nazioni<br />

» ( 79 ).<br />

5. – A volte il giurista italiano sembra manifestare insofferenza alla<br />

cultura giuridica straniera ( 80 ) e alla sua espansione. In questa direzione<br />

si è mosso di recente il notariato italiano definendo il modello angloamericano<br />

come « essenzialmente individualista » a cui sarebbe « sconosciuto<br />

il concetto di protezione collettiva » e in cui non vi sarebbero<br />

« pubblici registri capaci di fornire certezza erga omnes » ( 81 ). Inoltre ven-<br />

( 79 ) « The time of the Law Merchant is past, and our legal system differs from theirs,<br />

but America has no monopoly on wisdom and may well profit from the experience and<br />

learning of other nations ». Tuttavia, come si è visto in precedenza alla nota 43 del presente<br />

lavoro, alcuni giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti (Scalia e Thomas) continuano<br />

a sostenere un atteggiamento di chiusura verso il diritto straniero.<br />

( 80 ) V. Alpa, Tradition, cit., p. 100 che cita in nota 195, Brugi, I danni dell’imitazione<br />

straniera nella nostra giurisprudenza, in Atti della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere<br />

ed Arti, vol. XXXXVI, 1919, p. 7.<br />

( 81 ) Piccoli, Il congresso di Pesaro: il notaio tra « Civil law » e « Common law », in Notariato,<br />

2005, p. 465.


SAGGI 715<br />

gono a citarsi le riflessioni su globalizzazione ed enti monetari internazionali<br />

di Stiglitz ( 82 ) e ad evidenziare il ruolo di certezza e legalità che<br />

assolve il notaio nella società.<br />

Non credo che sia corretto definire il modello anglo-americano come<br />

«essenzialmente individualista ». Oltre alle considerazioni già svolte in<br />

materia contrattuale, occorre ricordare che gli Stati Uniti, così come l’Inghilterra,<br />

sono caratterizzati da un forte interventismo pubblico nell’economia<br />

( 83 ). Già Schumpeter ( 84 ) notava come le idee degli economisti italiani<br />

dell’epoca corporativa fossero in teoria accettabili agli economisti<br />

americani.<br />

Negli anni trenta Franklin Delano Roosvelt, in linea con quanto ritroviamo<br />

nello scritto di Keynes sulla fine del lassaiz faire, varò una serie di<br />

provvedimenti diretti a creare un forte governo federale e una serie di enti<br />

pubblici. Le riforme del New Deal cambiarono per sempre negli Stati<br />

Uniti il rapporto tra Stati e Governo Federale e posero le fondamenta dell’interventismo<br />

pubblico nell’economia di matrice kelseniana ( 85 ).<br />

Per i motivi che seguono poi non credo che il riferimento a Joseph Sti-<br />

( 82 ) Stiglitz, Globalization and Its Discontents, New York, 2003.<br />

( 83 ) Sul punto v. anche Rifkin, op. cit., p. 159. In effetti, in questo periodo negli Stati<br />

Uniti il tema dell’interferenza dell’Amministrazione nei diritti del cittadino è molto critico,<br />

considerato soprattutto l’effetto che ha avuto sull’opinione pubblica la decisione della Corte<br />

Suprema nel caso Kelo v. New London (545 U.S. 2005). Con tale sentenza i nine justices<br />

estendono il potere di esproprio dal public use, stabilito nel quinto emendamento, anche al<br />

caso di public purpose. Ne deriva che un costruttore privato, avendo subito il rifiuto a vendere<br />

dai proprietari degli immobili di un’area in cui era interessato a costruire un nuovo sviluppo<br />

residenziale, può ottenere a suo vantaggio l’esproprio dell’area e ciò in quanto il progetto<br />

creerà nuovi posti di lavoro e maggiori tasse a vantaggio della pubblica amministrazione.<br />

( 84 ) Schumpeter, History of Economic Analysis, Oxford, 1954, p. 1156, nota 6.<br />

( 85 ) Sul punto v. Friedman, American Law in the 20 th Century, New Haven, Ct., 2002, p.<br />

151 ss. V. anche il discorso inaugurale di Franklin Delano Roosvelt nel marzo del 1933 col<br />

quale veniva delineata la politica del New Deal in Bruun-Crosby, Our Nation’s Archive.<br />

The History of the United States in Documents, New York, 1999, p. 589 ss. dove Roosvelt affermava<br />

« there must be a strict supervision of all banking and credits and investments, there<br />

must be an end to speculation with other people’s money, and there must be provision<br />

for an adequate but sound money ». Circa le riforme in materia di tutela del risparmio e<br />

della costituzione della Securities Exchange Commission, mi sia consentito di rinviare a Lordi,<br />

Corporate governance e prezzo contrattuale. Contributo allo studio delle regole formanti la<br />

giustizia contrattuale. Profili comparativi, in <strong>Contratto</strong> e impresa, 2005, p. 338 ss. Circa l’osservazione<br />

che negli Stati Uniti mancherebbero dei pubblici registri capaci di fornire certezza<br />

erga omnes, mi limito a rinviare a quanto riporta la manualistica statunitense sui diritti<br />

reali, su cui v. Dukeminier-Krier, op. cit., pp. 661-743.


716 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

glitz sia del tutto appropriato. Joseph Stiglitz, così come Jeffrey Sachs, è<br />

membro del Center on Capitalism and Society presso la Columbia University<br />

di New York (http://www.earthinstitute.columbia.edu/ccs). Il<br />

Centro è un think-tank nel quale studiosi di economia e diritto studiano le<br />

istituzioni del capitalismo. L’interrogativo al quale si cerca di dare risposta<br />

è quale siano le ragioni che spiegano l’eccezionale prosperità e produttività<br />

dell’economia americana. Lo scopo della ricerca è di « trasformare il<br />

capitalismo da un oggetto di fede o di odio ad un sistema di istituzioni e<br />

meccanismi ragionevolmente ben compresi le cui fondamenta sociali possono<br />

essere ben valutate in modo illuminato e razionale » ( 86 ). Connotazione<br />

comune a questi studiosi è una riscoperta delle teorie keynesiane,<br />

peraltro come si è notato penetrate già con successo negli Stati Uniti tramite<br />

il New Deal, ed un loro aggiornamento ed applicazione al panorama<br />

economico globale dei nostri giorni. Stiglitz, in particolare, si riferisce a<br />

Keynes paragonando la situazione in cui si trova ora il capitalismo al periodo<br />

della grande depressione ( 87 ) degli anni trenta, e augurandosi che così<br />

come Keynes salvò il capitalismo allora, ciò possa accadere di nuovo.<br />

Nel libro di Sachs è molto suggestiva la citazione di Keynes che alla fine<br />

della prima guerra mondiale fermamente chiese la cancellazione dei<br />

debiti di guerra della Germania: « se questi debiti sono perdonati, sarà dato<br />

uno stimolo alla solidarietà e alla vera amicizia delle nazioni. L’esistenza<br />

di grandi debiti di guerra è una minaccia alla stabilità finanziaria ovunque<br />

» ( 88 ). Keynes avverte che la mancata soluzione al problema dei debiti<br />

avrebbe portato ad una calamità, come è poi accaduto con il sorgere del<br />

bolscevismo e del nazismo ( 89 ). La storia c’insegna che povertà e ingiusta<br />

distribuzione della ricchezza possono portare a conseguenze disastrose se<br />

non arginate in tempo e il drammatico inizio di millennio con l’attentato<br />

al World Trade Center dell’undici settembre sembra confermare la tesi.<br />

Entrambi questi autori ragionano in termini di economia globale e<br />

quindi cercano soluzioni socioeconomiche che siano applicabili su larga<br />

scala ai sistemi economici del pianeta. Non difendono particolarismi e nazionalismi,<br />

ma s’interrogano su come il mondo dei ricchi può salvare il<br />

mondo dei poveri. Se proprio il giurista ( 90 ) dovesse trarre una lezione da<br />

( 86 ) http://www.earthinstitute.columbia.edu/ccs/mission.html/.<br />

( 87 ) Stiglitz, op. cit., p. 249.<br />

( 88 ) Sachs, op. cit., p. 102 che si riferisce a Keynes, The Economic Consequences of the<br />

Peace, 1919.<br />

( 89 ) Id., op. loc. cit.<br />

( 90 ) Altro profilo di ricerca che si presenta interessante per il giurista è quello dei rap-


SAGGI 717<br />

tali autori, questa andrebbe nel senso opposto a quello della difesa dei nazionalismi<br />

giuridici ed, in ogni caso, le loro analisi sembrano essere ben<br />

lontane dall’Italia, paese in cui l’intervento dello Stato nell’economia è<br />

stato sempre molto presente ed in cui viceversa il pensiero liberista non si<br />

è mai fatto strada (basti pensare che solo in tempi relativamente recenti si<br />

è avviato un processo di dismissione del sistema a partecipazione statale,<br />

non ancora terminato) ( 91 ).<br />

A mio parere tra gli ingredienti più importanti per avere il primato<br />

mondiale nella produzione della scienza giuridica, vi dev’essere la consapevolezza<br />

della “complementarità” degli ordinamenti giuridici. La caratteristica<br />

del diritto italiano in passato è stata proprio quella di accogliere<br />

nuove teorie, di trasformarle e incorporarle nel sistema costruendo un’unitarietà<br />

giuridica ( 92 ). Nel diritto, a differenza che nell’economia capitalista,<br />

non avviene quel processo definito da Schumpeter ( 93 ), di « distruzione<br />

creativa ». Lo sviluppo della cultura giuridica non distrugge la precedente,<br />

la globalizzazione non porta con sé la scomparsa delle identità giuridiche,<br />

ma un’osmosi delle culture dirette ad armonizzarsi tra loro. Il<br />

processo di osmosi giuridica di questi anni è caratteristica tipica della<br />

scienza giuridica. La storia del diritto è storia di scambi culturali. Tale processo<br />

è stato interrotto, o soltanto rallentato, nel XIX secolo con la nascita<br />

del razionalismo e del nazionalismo che portarono con loro le codificazioni<br />

e la nascita del diritto comparato, che « in pratica enfatizzava le differenze<br />

tra i vari sistemi giuridici nazionali invece di enfatizzare ciò che<br />

essi avevano in comune » ( 94 ). Ma oggi la situazione è cambiata e il diritto<br />

comparato sembra basarsi più sulle somiglianze, che sulle differenze ( 95 ).<br />

Più che di comparazione si tratta di “complementarità”, si cerca cioè nell’ordinamento<br />

straniero al proprio il principio, la regola o talvolta il meto-<br />

porti tra diritto privato e diritti umani. In argomento, v. Friedmann-Barak-Erez (edited<br />

by) Human Rights in Private Law, Oxford, 2001.<br />

( 91 ) Barca (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Roma<br />

1997; Bemporad-Reviglio (a cura di), Le privatizzazioni in Italia 1992-2000 / IRI, Roma,<br />

2001.<br />

( 92 ) Grossi, op. cit., 159 dove riferendosi ai glossatori e ai commentatori li definisce<br />

« costruttori d’una reale unità giuridica europea ».<br />

( 93 ) Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy, New York, 1942, p. 81 ss.<br />

( 94 ) Berman-Reid, Roman Law in Europe and the Jus Commune: A Historical Overview<br />

with Emphasis on the New Legal Science of the Sixteenth Century, 20 Syracuse J. Int’L & Com.<br />

1, 26, 1994.<br />

( 95 ) Lerner, A proposito dell’armonizzazione, del diritto comparato e delle loro connessioni,<br />

in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, p. 504.


718 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

do che possa aiutare a definire un problema nuovo ( 96 ). Il giurista italiano,<br />

come è già accaduto in passato, si trova a dover elaborare e utilizzare principi,<br />

regole e metodologie esterne. Proprio tra le caratteristiche della scuola<br />

bolognese, v’è stata quella di studiare testi scritti in una lingua diversa<br />

da quella utilizzata (come ad esempio le Istitutiones di Giustiniano, che in<br />

parte erano in greco ( 97 ) e provenienti da una cultura, cronologicamente e<br />

socialmente, a loro distante.<br />

Ho citato Sachs e Diamond per le loro teorie sulle cause della ricchezza<br />

e della povertà, sulle istituzioni del capitalismo e su come intorno<br />

a queste si siano sviluppati il civil law e il common law scambiandosi vicendevolmente<br />

regole, principi e teorie. Ma abbiamo anche visto l’importante<br />

ruolo che il pensiero etico ha svolto nella formazione del sistema<br />

giuridico anglo-americano e quanto quest’ultimo sia stato aperto alle<br />

infiltrazioni del civil law tramite la giurisdizione di Equity, specialmente<br />

in materia contrattuale. La globalizzazione sta certamente accelerando il<br />

processo d’osmosi, ma questo in realtà s’è continuato a svolgere senza<br />

soluzione di continuità sin dal periodo della nascita della scienza giuridica<br />

europea.<br />

La storia del diritto non è l’effetto di condizioni naturali, e la storia,<br />

malgrado i recenti lavori di Sachs e Diamond sembrino indicare una direzione<br />

diversa, « non è già un fenomeno naturale, ma un fenomeno morale<br />

» ( 98 ) e sarebbe un « errore fondamentale » ( 99 ) credere l’inverso. Il primato<br />

nel mondo del diritto non deriva, e non può derivare dalla forza<br />

economica, militare o politica di un paese, ma dai valori etici che è in grado<br />

di esprimere. Ed è sul campo di tali valori e il loro sviluppo che, com’è<br />

avvenuto in passato, il vero confronto tra i sistemi giuridici sta avendo<br />

luogo.<br />

( 96 ) Da ultimo v. Alpa, Il giudice e l’uso delle sentenze straniere. Modalità e tecnica della<br />

comparazione giuridica. La giurisprudenza civile, relazione presentata al congresso avente lo<br />

stesso oggetto tenutosi a Palazzo della Consulta il 21 ottobre 2005, consultabile nella pagina<br />

web della Raccolta Studi Giuridici del Consiglio Nazionale Forense: http://www.consiglionazionaleforense.it/.<br />

( 97 ) Guarino, op. cit., p. 151 ss.<br />

( 98 ) Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, 1925, p. 272.<br />

( 99 ) Ibidem.


PAOLO CASSINIS (*)<br />

I nuovi poteri dell’Autorità nell’ambito della dialettica<br />

tra public e private enforcement<br />

Sommario: 1. Premessa. – Parte I: 2. I “nuovi” poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza<br />

e del Mercato. – 2.1. Le misure cautelari. – 2.2. Le decisioni con impegni.<br />

– 2.3. Il programma di clemenza. – Parte II: 3. Rapporti ed interrelazioni tra public<br />

e private enforcement – 3.1. Tutela “binaria” del diritto antitrust: ruoli e funzioni del<br />

public e private enforcement. – 3.2. Caratteristiche degli illeciti antitrust: la natura segreta<br />

delle intese hard-core. – 3.3. Rapporti tra procedimento antitrust e giudizi civili<br />

antitrust: ambiti e limiti. – 3.3.1. Coordinamento tra procedimento antitrust e<br />

giudizio civile: efficacia della decisione antitrust nei giudizi civili: A) Le decisioni<br />

della Commissione: artt. 16, 10 e 9, Reg. CE 1/2003; B) Le decisioni delle autorità<br />

di concorrenza nazionali: la « soluzione tedesca »; la « soluzione inglese »; la « situazione<br />

italiana »; le opzioni del Libro Verde. – 3.3.2. Strumenti di cooperazione<br />

e raccordo tra public e private enforcement. – 3.3.3. Garanzie di funzionalità del procedimento<br />

amministrativo: tutela della riservatezza e le opzioni del Libro Verde. –<br />

4. Conclusioni.<br />

1. – Il d.l. 223 del 4 luglio 2006 (c.d. Decreto Bersani sulle Liberalizzazioni),<br />

convertito con modifiche con la legge n. 248 del 4 agosto 2006 ( 1 ),<br />

modificando la legge antitrust (n. 287/1990), ha accresciuto i poteri dell’Autorità<br />

garante della concorrenza e del mercato nella sua veste di public<br />

enforcer del diritto nazionale e comunitario della concorrenza.<br />

Si tratta di un intervento che, almeno in parte, si iscrive nell’ambito di<br />

un vasto e rimarchevole processo di spontanea convergenza delle legislazioni<br />

antitrust nazionali degli Stati membri verso il « sistema comunitario<br />

», a seguito delle profonde innovazioni introdotte dal Regolamento<br />

CE 1/2003.<br />

Le predette modifiche normative, inoltre, incidono indirettamente sui<br />

rapporti ed interrelazioni tra public e private enforcement, divenuti oggetto<br />

di particolare attenzione specie a seguito della riforma della “modernizzazione”<br />

introdotta dal predetto Reg. CE 1/2003, il quale, come noto, ha<br />

esteso l’ambito di intervento dei giudici nazionali in materia antitrust, ren-<br />

(*) Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Servizio Giuridico. Le opinioni<br />

espresse non rappresentano necessariamente quelle dell’Istituzione di appartenenza.<br />

( 1 ) Pubblicata in G.U. n. 186 dell’11 agosto 2006, Suppl. ord. n. 183.


720 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dendo direttamente applicabile anche l’art. 81.3 CE (nel sistema della c.d.<br />

«eccezione legale »), nonché stabilendo meccanismi di cooperazione e<br />

coordinamento specie tra l’attività della Commissione europea e dei giudici<br />

nazionali. Il dibattito sui predetti rapporti ed interrelazioni è stato alimentato<br />

dalla pubblicazione, nel dicembre 2005, del Libro Verde della<br />

Commissione sulle azioni di risarcimento del danno per violazione delle<br />

norme antitrust comunitarie ( 2 ), a cui è seguita una consultazione pubblica,<br />

ed ha coinvolto anche l’International Competition Network (ICN) ( 3 ).<br />

Il presente contributo si articola in due parti: la prima descrive brevemente<br />

le modifiche introdotte dalla citata legge n. 248/2006, la seconda<br />

analizza alcune delle problematiche connesse a rapporti ed interrelazioni<br />

tra public e private enforcement in materia di intese ed abusi di posizione<br />

dominante ( 4 ), con particolare riferimento all’ordinamento italiano ed alla<br />

luce dell’esperienza comunitaria.<br />

Quest’ultima analisi sarà preceduta da alcune necessarie considerazioni<br />

sui distinti ruoli e funzioni dei due tipi di enforcement, nonché sulle caratteristiche<br />

degli illeciti antitrust ( 5 ).<br />

Parte I<br />

2. – Come accennato, il d.l. 223 del 4 luglio 2006, convertito con modifiche<br />

con la legge n. 248 del 4 agosto 2006, ha accresciuto i poteri di intervento<br />

dell’Autorità, tramite l’aggiunta di alcune specifiche disposizioni<br />

normative alla legge n. 287/1990. Esse riguardano il potere di disporre misure<br />

cautelari, il potere di adottare decisioni con impegni senza accerta-<br />

( 2 ) (COM(2005)672), disponibile sul sito internet della Commissione europea, DG<br />

Comp. La Commissione ha concluso la consultazione pubblica su tale documento a cui dovrebbe<br />

seguire un Libro Bianco entro il 2007. È atteso per l’inizio del prossimo anno un report<br />

del Parlamento europeo sull’argomento.<br />

( 3 ) Alla conferenza annuale ICN, tenutasi nel maggio 2006 a Città del Capo, è stato<br />

presentato un apposito rapporto: Interaction of public and private enforcement in cartel cases,<br />

disponibile sul sito internet ICN (www.internationalcompetitionnetwork.org/capetown2006/<br />

index.html).<br />

( 4 ) Molte sono le problematiche suscitate dal Libro Verde della Commissione. Di esse,<br />

tuttavia, solo alcune riguardano direttamente i rapporti tra public e private enforcement, come<br />

si avrà modo di dire, mentre molte altre chiamano in causa questioni di carattere più<br />

generale, riguardando i principi stessi che governano la responsabilità civile ed il processo<br />

civile negli ordinamenti nazionali, e non verranno quindi analizzate.<br />

( 5 ) La seconda parte del presente lavoro riprende la relazione dal titolo « Rapporti tra<br />

public e private enforcement » presentata al VII Convegno UAE-LIDC « Antitrust between<br />

EC and national law », Treviso 18-19 maggio 2006.


SAGGI 721<br />

mento dell’infrazione ed il potere di predisporre un programma di clemenza.<br />

2.1. – Il nuovo articolo 14-bis della legge n. 287/90 ( 6 ), al primo comma,<br />

prevede che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – ove ricorra<br />

il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile « per la concorrenza »<br />

– possa disporre, d’ufficio, misure cautelari laddove a seguito di un sommario<br />

esame emerga la sussistenza di un’infrazione antitrust ( 7 ). Nonostante<br />

l’apparente genericità della formulazione usata dal legislatore, la<br />

collocazione della disposizione in oggetto, dopo l’art. 14, che riguarda le<br />

istruttorie per intese ed abusi di posizione dominante (ex artt. 2 e 3, legge<br />

n. 287/90 ed artt. 81-82 CE ( 8 )), induce a ritenere che sia proprio in relazione<br />

a queste tipologie di infrazioni che potranno essere disposte misure<br />

cautelari ( 9 ).<br />

Per quanto riguarda le infrazioni ex artt. 81-82 CE, in realtà la disposizione<br />

in esame esplicita un potere già ricavabile in via interpretativa ( 10 ).<br />

Il nuovo 14-bis, ai commi 2 e 3, precisa talune modalità attuative e profili<br />

sanzionatori connessi all’adozione delle predette misure.<br />

Con riguardo alle modalità attuative, analogamente all’art. 8 Reg. CE<br />

( 6 ) « Art. 14-bis. – Misure cautelari<br />

1. Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per la concorrenza,<br />

l’Autorità può, d’ufficio, ove constati ad un sommario esame la sussistenza di un’infrazione,<br />

deliberare l’adozione di misure cautelari.<br />

2. Le decisioni adottate ai sensi del comma l non possono essere in ogni caso rinnovate o<br />

prorogate.<br />

3. L’Autorità, quando le imprese non adempiano a una decisione che dispone misure cautelari,<br />

può infliggere sanzioni amministrative pecuniarie fino al 3 per cento del fatturato ».<br />

( 7 ) I primi provvedimenti cautelari dell’Autorità sono stati, nell’ordine: A364 Merck-<br />

Principi attivi; I675 Associazione bancaria italiana; I678 Problematiche acquisto farmaci OTC<br />

e SOP. Negli ultimi due casi, le misure cautelari sono state adottate contestualmente al<br />

provvedimento di avvio dell’istruttoria.<br />

( 8 ) L’art. 54, comma 5, l. 52/1996, dispone che l’Autorità applica gli artt. 81-82 CE « utilizzando<br />

i poteri ed agendo secondo le procedure di cui al titolo II, capo II » della legge n.<br />

287/90.<br />

( 9 ) Con riguardo, alle operazioni di concentrazione, l’art. 17, comma 1, legge n. 287/90<br />

già contiene una disciplina specifica della “sospensione temporanea dell’operazione di concentrazione”<br />

in sede di avvio d’istruttoria, mentre un eventuale intervento cautelare in fase<br />

pre-istruttoria appare residuale.<br />

( 10 ) Cfr. Corte CE (ord.), 17 gennaio 1980, causa 792/79R, Camera Care, in Racc., p. 119;<br />

Reg. CE n. 1/2003, art. 5; Tar Lazio, sez. I, n. 1713/2006, caso Merck-Principi Attivi.


722 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

1/2003, viene disposto che il potere dell’Autorità è esercitatile solo d’ufficio<br />

( 11 ), indicando – anche in ciò – una netta distinzione rispetto all’intervento<br />

cautelare del giudice ordinario in sede di private enforcement delle<br />

norme di concorrenza.<br />

Diversamente, invece, da quanto previsto per la Commissione europea<br />

dall’art. 8 del citato regolamento CE, in sede di conversione del d.l.<br />

223/06 in legge, è stata esclusa la possibilità che la misura cautelare, una<br />

volta disposta, possa poi essere rinnovata e prorogata, il che inciderà, probabilmente,<br />

sulla durata iniziale della misura stessa, estendendola per tutta<br />

la durata dell’istruttoria.<br />

Sono infine disciplinate le conseguenze sanzionatorie dell’inottemperanza<br />

alle misure cautelari, stabilendo la possibilità per l’Autorità di irrogare<br />

una sanzione fino al 3% del fatturato dell’impresa (inferiore, quindi,<br />

a quella massima a disposizione della Commissione in circostanze analoghe)<br />

( 12 ).<br />

2.2. – L’articolo 14-ter della legge n. 287/90 ( 13 ), innovando la precedente<br />

disciplina nazionale, prevede che l’Autorità possa chiudere un procedimento<br />

istruttorio senza accertamento dell’infrazione, laddove l’impresa in-<br />

( 11 ) Si veda in proposito la Comunicazione della Commissione sulla procedura applicabile<br />

alle denunce in G.U.U.E., C101, 27 aprile 2004, punto 80: « ... Dall’articolo 8 del regolamento<br />

1/2003 risulta chiaramente che gli autori di una denuncia ai sensi dell’articolo 7, paragrafo<br />

2, del regolamento stesso non possono chiedere misure cautelari. Misure cautelari possono<br />

essere chieste dalle imprese alle giurisdizioni degli Stati membri che sono nella posizione<br />

idonea per decidere in merito a tali misure ». In tal senso si vedano anche le Circolari Assonime<br />

n. 47 del 4 dicembre 2003, p. 23 e n. 43 del 19 ottobre 2006, p. 5.<br />

( 12 ) L’art. 23, par. 2, lett. b, del Reg. CE 1/2003 prevede una sanzione fino al 10% del fatturato.<br />

( 13 ) « Art. 14-ter. – Impegni<br />

1. Entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione<br />

degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese<br />

possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria.<br />

L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento<br />

comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare<br />

l’infrazione.<br />

2. L’Autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma<br />

l può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato.<br />

3. L’Autorità può d’ufficio riaprire il procedimento se:<br />

a) si modifica la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione;<br />

b) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti;<br />

c) la decisione si fonda su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete inesatte<br />

o fuorvianti ».


SAGGI 723<br />

teressata dall’istruttoria presenti impegni valutati come idonei a rimuovere<br />

le preoccupazioni antitrust connesse alle condotte oggetto dell’istruttoria.<br />

In tal caso, come subito si dirà, la norma stabilisce che l’Autorità può, con<br />

propria decisione, rendere gli impegni obbligatori per le imprese, prevedendo<br />

a tal fine una serie di strumenti giuridici (specie sanzionatori), prima<br />

inesistenti, da usare in caso di inottemperanza.<br />

La disposizione riprende la disciplina sostanziale delle decisioni con<br />

impegni introdotta per la Commissione europea dal Reg. CE 1/2003,<br />

estendendola espressamente alle infrazioni “nazionali” (ex artt. 2 e 3, legge<br />

n. 287/90).<br />

Analoga a quella prevista nell’ordinamento comunitario (in particolare<br />

all’art. 9, par. 2 ed art. 23, par. 2, Reg. CE 1/2003) è la disciplina (riapertura<br />

dell’istruttoria ed immediata irrogazione di sanzioni fino al 10% del<br />

fatturato ( 14 )) introdotta per l’ipotesi di inottemperanza degli impegni accettati<br />

e resi obbligatori dall’Autorità. Ancora, analoga a quella comunitaria<br />

(in particolare, l’art. 9, par. 2, Reg. CE 1/2003) è la disciplina relativa alle<br />

ipotesi di riapertura dell’istruttoria già chiusa con decisione con impegni,<br />

salva la precisazione che si tratta di un potere esercitabile « d’ufficio ».<br />

Occorre sottolineare che la disposizione in esame conferisce all’Autorità<br />

un potere ampiamente discrezionale ( 15 ), da esercitarsi caso per caso,<br />

analogo a quello della Commissione europea. La disposizione precisa,<br />

inoltre, che le decisioni con impegni potranno essere adottate dall’Autorità<br />

« nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario », operando così un<br />

rinvio implicito al Reg. CE 1/2003. Il richiamo dei predetti “limiti” indica,<br />

già di per sé, che si tratta di uno istituto non di generale applicazione, ma<br />

il cui ambito conosce delle limitazioni. Invero, il principale compito istituzionale<br />

dell’Autorità, di accertare gli illeciti antitrust e di sanzionare le<br />

imprese che ne sono responsabili (anche al fine di prevenire nuove infrazioni),<br />

non può dirsi radicalmente cambiato dall’art. 14-ter in esame.<br />

Infatti, l’eventuale presentazione di impegni e la loro successiva valutazione<br />

(ai fini dell’art. 14-ter) nell’ambito di un procedimento istruttorio,<br />

rappresenterà pur sempre una fase “eventuale” e “derogatoria” rispetto al<br />

normale iter dell’istruttoria che l’Autorità avrà avviato per accertare una<br />

determinata infrazione antitrust (come ben chiarito dall’art. 14-ter, comma<br />

1, legge n. 287/90, analogamente all’art. 9, Reg. CE 1/2003).<br />

( 14 ) Non sono invece previste penalità di mora.<br />

( 15 ) Si veda in proposito quanto indicato dall’Autorità nel provvedimento di chiusura<br />

dell’istruttoria I641 – Rifornimenti Aeroportuali del 14 giugno 2006, pubblicato nel bollettino<br />

dell’Autorità n. 23/2006, punto 280.


724 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Con riguardo ai predetti limiti all’utilizzo di queste decisioni, esse dovrebbero<br />

essere escluse laddove l’istruttoria abbia ad oggetto condotte<br />

che, ove accertate, rappresenterebbero gravi e palesi infrazioni antitrust e<br />

comporterebbero sicuramente l’irrogazione di pesanti sanzioni ( 16 ), come<br />

in particolare le intese segrete hard-core ( 17 ).<br />

L’esclusione di queste ultime risiede nell’esigenza, sia di non privare di<br />

efficacia deterrente le sanzioni per infrazioni così gravi, sia – in relazione ai<br />

cartelli – di non pregiudicare l’efficacia del programma di clemenza volto a<br />

favorire la loro destabilizzazione ed emersione ( 18 ). Sotto un diverso profilo,<br />

si osserva che nell’esercizio del potere discrezionale sulla scelta se adottare<br />

o meno una decisione con impegni, l’Autorità – al pari della Commissione<br />

europea – potrà comunque considerare l’opportunità di adottare una decisione<br />

di accertamento dell’infrazione per stabilire un chiaro precedente in<br />

relazione a determinate condotte che presentino profili di novità ( 19 ), ovvero<br />

per riaffermare l’illiceità di talune condotte e prevenire la reiterazione.<br />

La conclusione del procedimento istruttorio, nei predetti casi, avrebbe<br />

anche un evidente impatto positivo su eventuali azioni promosse in sede<br />

di private enforcement che troverebbero nell’accertamento svolto dall’Autorità<br />

un valido e talvolta indispensabile supporto fattuale e valutativo<br />

(cfr. oltre punto 3.2).<br />

Problemi particolari sembrano porsi circa l’ammissibilità – salvo al ricorrere<br />

di circostanze eccezionali – del tipo di decisione in parola con riferimento<br />

ad istruttorie aventi ad oggetto condotte già cessate, stante la necessità<br />

che gli impegni (comportamentali o strutturali) siano comunque<br />

idonei a far venir meno « i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria »<br />

che quindi, in linea di principio, dovrebbero esser ancora attuali.<br />

L’adozione di decisioni con impegni potrebbe rivelarsi utile in relazione<br />

a fattispecie nelle quali l’attuazione di rimedi strutturali o comportamentali<br />

può offrire soluzioni immediate ed efficaci a problemi concorrenziali<br />

connessi a condotte aventi caratteristiche di particolare complessità.<br />

A tal fine, gli impegni dovranno consistere in misure specifiche, da realizzare<br />

in tempi rapidi e definiti, il cui pieno rispetto sia di facile verifica. Ciò<br />

( 16 ) Cfr. considerando n. 13, Reg. CE 1/2003.<br />

( 17 ) Analoghe esclusioni sono state previste anche dall’Office of Fair Trading, nel disporre<br />

delle linee-guida in materia di decisioni con impegni: cfr. Enforcement, dicembre 2004,<br />

pp. 11-17, disponibile sul sito internet dell’OFT.<br />

( 18 ) A ciò si aggiunga che, nel caso di un cartello hardcore, l’impegno proposto dalle<br />

imprese non potrebbe che consistere nel mero rispetto per l’avvenire delle norme antitrust.<br />

( 19 ) Si vedano in proposito le considerazioni svolte in dottrina: Cook, Commitment decisions:<br />

The law and practice under article 9, World Competition, June 2006, p. 213.


SAGGI 725<br />

appare anche necessario a garantire l’efficacia e l’economicità dell’intervento<br />

antitrust.<br />

Sotto il profilo procedurale, l’art. 14-ter prevede un termine (tre mesi)<br />

entro cui le imprese possono presentare impegni ( 20 ). Tale termine, in via<br />

transitoria, è stato inteso come decorrente dalla data di entrata in vigore<br />

della legge n. 248/2006, relativamente ai procedimenti istruttori pendenti<br />

dinnanzi all’Autorità. È stata di recente adottata dall’Autorità una comunicazione<br />

recante prime indicazioni di tipo procedurale, tra cui figura la<br />

previsione di una consultazione pubblica sugli impegni ( 21 ).<br />

Sotto un diverso profilo, si segnala che laddove l’istruttoria riguardi infrazioni<br />

ex artt. 81-82 CE, l’eventuale adozione di una decisione con impegni<br />

dovrà seguire la procedura di informazione preventiva della Commissione<br />

europea di cui all’art. 11.4, Reg. CE 1/2003.<br />

In relazione a procedimenti riguardanti operatori del settore delle comunicazioni,<br />

appare dubbia l’obbligatorietà del meccanismo di preventivo<br />

invio della bozza di decisione all’Autorità Garante per le Comunicazioni<br />

(AGCom) per il relativo parere. Invero, dal momento che con una<br />

decisione con impegni l’Autorità non accerta alcuna violazione in base<br />

agli artt. 2, 3, 4 legge n. 287/90, o agli artt. 81-82 CE (quindi, non si da ad<br />

essi applicazione), sembrerebbe che detto parere non debba essere richiesto<br />

(ex art. 1, comma 6, lett. c, n. 11, legge n. 249/97). Ciò appare confermato<br />

anche dall’art. 14-bis della legge n. 248/2006, il quale nell’introdurre<br />

una specifica disciplina per la presentazione di impegni anche nelle procedure<br />

dinnanzi all’AGCom, ha espressamente fatto salve « le competenze<br />

assegnate dalla normativa comunitaria e dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287,<br />

all’Autorità garante della concorrenza e del mercato », senza prevedere alcun<br />

meccanismo di consultazione obbligatoria. Ragioni di opportunità<br />

potranno tuttavia suggerire, caso per caso, la richiesta di un parere all’AGCom<br />

in relazione ad eventuali profili tecnici o regolamentari coinvolti<br />

dagli impegni proposti dall’impresa nel corso della procedura antitrust.<br />

( 20 ) Termine questo non previsto dal Reg. CE 1/2003 il cui art. 9 dispone che gli impegni<br />

sono presentati a seguito di una « Valutazione preliminare » della Commissione circa i<br />

profili antitrust suscitati dalle condotte oggetto dell’istruttoria; quest’ultima, peraltro, come<br />

noto, non è avviata con una decisione formale.<br />

( 21 ) Comunicazione sulle procedure di applicazione dell’art. 14-ter della legge 287/90,<br />

pubblicata sul bollettino dell’Autorità n. 39 del 16 ottobre 2006. In data 23 ottobre 2006 ha<br />

avuto inizio la prima consultazione pubblica su impegni presentati ai fini dell’art. 14-ter, con<br />

la loro pubblicazione sul sito internet dell’Autorità; nel caso di specie, si trattava di uno dei<br />

procedimenti già in corso al momento di entrata in vigore della legge n. 248/06 (I651 – Metro/Audipress).


726 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Infine, benché l’art. 14-ter non lo chiarisca, in analogia con l’art. 9 Reg.<br />

CE 1/2003, sembra possibile che la decisione con impegni sia adottata dall’Autorità<br />

per un periodo di tempo determinato.<br />

2.3. – Il nuovo comma 2-bis dell’art. 15 della legge n. 287/90 ( 22 ) prevede<br />

che l’Autorità possa predisporre – « con proprio provvedimento generale »<br />

– un programma di clemenza (c.d. leniency programme), il quale indichi i<br />

casi e le condizioni al verificarsi dei quali, in cambio della fattiva collaborazione<br />

delle imprese all’accertamento di infrazioni antitrust (sia nazionali<br />

che comunitarie) a cui esse abbiano partecipato, venga concessa una riduzione<br />

della sanzione ovvero la non irrogazione della stessa.<br />

Si tratta di una disposizione a lungo attesa che sana un’anomalia della<br />

nostra disciplina antitrust rispetto a quella della gran parte degli ordinamenti<br />

nazionali degli Stati membri, oltre che comunitario ( 23 ) e dei maggiori<br />

paesi extra-UE, molti dei quali già dispongono da tempo dello strumento<br />

della leniency, che si è dimostrato essere assai efficace nel destabi-<br />

( 22 ) « Art. 15. – Diffide e sanzioni<br />

1. Se a seguito dell’istruttoria di cui all’articolo 14 l’Autorità ravvisa infrazioni agli articoli<br />

2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l’eliminazione delle infrazioni stesse.<br />

Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone<br />

inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del<br />

fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla<br />

notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l’impresa deve procedere al pagamento<br />

della sanzione.<br />

2. In caso di inottemperanza alla diffida di cui al comma 1, l’Autorità applica la sanzione<br />

amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata<br />

applicata la sanzione di cui al comma 1, di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione<br />

già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato come individuato al<br />

comma 1, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere<br />

effettuato. Nei casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività<br />

d’impresa fino a trenta giorni.<br />

2-bis. L’Autorità, in conformità all’ordinamento comunitario, definisce con proprio provvedimento<br />

generale i casi in cui, in virtù della qualificata collaborazione prestata dalle imprese<br />

nell’accertamento di infrazioni alle regole di concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria<br />

può essere non applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario<br />

».<br />

( 23 ) Nell’Unione Europea, a fine agosto 2006, programmi di clemenza, oltre che a livello<br />

comunitario, erano presenti nei seguenti Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Repubblica<br />

Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lituania,<br />

Lussemburgo, Olanda, Polonia, Slovacchia, Svezia e Regno Unito. Altri paesi, tra cui la<br />

Danimarca, stanno lavorando alla loro adozione, mentre il Portogallo ha approvato una legge<br />

sulla leniency il 18 maggio 2006.


SAGGI 727<br />

lizzare i cartelli, incentivando le imprese che ne fanno parte « ad uscire allo<br />

scoperto » ( 24 ). L’inefficacia di un programma di clemenza riposa anche<br />

sull’applicazione di severe sanzioni per chi partecipa ai cartelli ( 25 ).<br />

Occorre sottolineare che la nuova disposizione richiama espressamente<br />

la “conformità” del programma di clemenza all’ordinamento comunitario<br />

e ne limita l’applicabilità alle « fattispecie previste dal diritto comunitario<br />

». Pertanto, si può prevedere che l’Autorità che a breve adotterà il proprio<br />

programma di clemenza terrà conto di quello della Commissione europea,<br />

recentemente rielaborato all’esito del lavoro svolto in seno all’European<br />

Competition Network, culminato con l’adozione di un ECN Model<br />

Leniency Programme, che reca principi comuni ai programmi di clemenza<br />

all’interno dell’Unione Europea ( 26 ).<br />

Parte II<br />

3. - 3.1. – Fatta questa prima ricognizione dei poteri attribuiti all’Autorità,<br />

occorre affrontare l’altro tema dei rapporti tra public e private enforcement.<br />

A tal fine, appare opportuno prendere le mosse dalla considerazione<br />

della distinzione dei rispettivi ruoli e funzioni e più in generale della<br />

“struttura” stessa della tutela della concorrenza.<br />

Nel nostro ordinamento, come nella maggior parte degli altri paesi dell’Unione<br />

Europea, il meccanismo di attuazione delle norme poste a tutela<br />

della concorrenza ha una struttura “binaria”, pubblica e privata, caratteristica<br />

questa assai singolare e non comune a molti altri settori del diritto:<br />

– da un lato, su un piano pubblicistico, opera l’Autorità garante della<br />

( 24 ) A titolo esemplificativo, sono state circa 180 le richieste pervenute alla Commissione<br />

europea sulla base della comunicazione nella leniency del 2002 (comunicazione della<br />

Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende<br />

nei casi di cartelli tra imprese, G.U.C.E., C 45, 19 febbraio 2002).<br />

( 25 ) Wils, Leniency in antitrust enforcement: theory and pratice, di prossima pubblicazione<br />

su World Competition, vol. 30, n. 1, marzo 2007.<br />

( 26 ) Si vedano in proposito i documenti resi disponibili sul sito internet della Commissione<br />

in data 29 settembre 2006: il progetto di nuova comunicazione della Commissione; il<br />

testo dell’ECN Model Leniency Programme, nonché i seguenti documenti illustrativi: Commission<br />

and other ECN members co-operate in use of leniency to fight cross border cartels<br />

(IP/06/1288), MEMO/06/357, Commission proposes changes to the Leniency Notice - frequently<br />

asked questions; MEMO/06/357, the European Commission Network launches a Model<br />

Leniency Programme - frequently asked questions. Si veda anche Kroes, Delivering on the<br />

crackdown: recent developments in the European Commission’s campaign against cartels, The<br />

10th Annual Competition Conference at the European Institute, Fiesole, 13 ottobre 2006, disponibile<br />

sul sito della Commissione europea.


728 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

concorrenza e del mercato, cui è istituzionalmente affidata dalla legge la<br />

funzione di « autorità nazionale competente per la tutela della concorrenza<br />

» ( 27 ) (art. 10, comma 4, legge n. 287/90) e che agisce anche d’ufficio,<br />

nell’interesse pubblico ed in posizione di indipendenza, per dare attuazione<br />

alle norme che vietano intese ed abusi di posizione dominante ( 28 ),<br />

sia nazionali (artt. 2, 3, 4, legge n. 287/90) che comunitarie (artt. 81-82<br />

CE). In quest’ultimo caso, essa opera come parte della rete dell’European<br />

Competition Network (di cui, come noto, fanno parte le autorità di concorrenza<br />

nazionali e la stessa Commissione Europea), nel quadro creato<br />

dal Reg. CE 1/2003 ed avvalendosi degli strumenti di cooperazione e<br />

coordinamento ivi previsti. L’Autorità ha poteri di accertamento degli illeciti<br />

antitrust, poteri di ordinarne la cessazione ( 29 ), di disporre misure<br />

cautelari e di comminare sanzioni pecuniarie di natura amministrativa<br />

idonee a svolgere una funzione deterrente ( 30 ). Inoltre, come accennato,<br />

l’Autorità ha ora il potere di rendere obbligatori impegni presentati dalle<br />

imprese. Infine, essa è dotata di poteri di segnalazione (advocacy), espressione<br />

significativa della missione pubblicistica di tutela oggettiva del<br />

mercato ( 31 );<br />

( 27 ) Il Cons. Stato, sez. VI, nella sentenza n. 1397/2006 resa sul caso Test diagnostici per<br />

diabetici, ha chiarito che la legge n. 287/90 « ha istituito l’Autorità Garante della Concorrenzae<br />

del Mercato (art. 10), la cui funzione è per l’appunto quella di garantire la libera concorrenza e<br />

il corretto funzionamento del mercato, considerati valori riconducibili ai principi sanciti dall’art.<br />

41 della Costituzione, di cui la legge è attuativa (cfr. art. 1, primo comma, della legge stessa).<br />

Per realizzare detta funzione all’Autorità sono stati attribuiti poteri di indagine, di denunzia<br />

e di segnalazione, di diffida, nonché poteri di applicare sanzioni amministrative pecuniarie<br />

(cfr. arti. 15 e 19 della legge) ». Negli stessi termini la sentenza della Corte di Cassazione,<br />

sez. un., n. 8882 del 29 aprile 2005.<br />

( 28 ) Il Consiglio di Stato ha ribadito più volte che l’Autorità è l’istituzione nazionale a<br />

cui è affidato il compito di « perseguire l’interesse pubblico alla tutela oggettiva del diritto di<br />

iniziativa economica » (Cons. Stato, 14 giugno 2004, n. 3865, caso Nokia Italia c. Marconi<br />

Mobile-Ote; 21 marzo 2005, n. 1113, caso S.E.C.I.-Co.Pro.B.-Finbieticola c. Eridania).<br />

( 29 ) Il potere di diffida comprende l’ordine di non reiterazione per il futuro dell’infrazione<br />

accertata (e di condotte analoghe), ordine che può avere contenuto conformativo, al<br />

fine di assicurare la cessazione della condotta illecita e la rimozione dei suoi effetti (Tar Lazio,<br />

sez. I, 12726/2005, caso Sisal c. Lottomatica; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926,<br />

caso Pellegrini c. Consip).<br />

( 30 ) Da ultimo, l’importanza della funzione deterrente che le sanzioni antitrust dovrebbero<br />

assicurare è stato sottolineata dal Consiglio di Stato in alcune pronunce (VI, decisioni:<br />

n. 397/2006, relativa al caso Test Diagnostici per diabete; n. 1271/2006, relativa al caso<br />

Comportamenti abusivi di Telecom Italia).<br />

( 31 ) Il ruolo di advocacy dell’Autorità è stato notevolmente valorizzato dal d.l. 223/2006,<br />

convertito con legge n. 248/2006; cfr. in particolare, l’art. 1, comma 1.


SAGGI 729<br />

– dall’altro lato, in sede civile, operano i giudici ordinari ( 32 ) i quali, su<br />

domanda di singoli interessati, garantiscono la tutela delle loro posizioni<br />

giuridiche soggettive che siano state lese da condotte d’impresa in violazione<br />

delle norme antitrust, nazionali e comunitarie, come noto, dotate di<br />

efficacia diretta ( 33 ).<br />

I giudici possono condannare gli autori di un’infrazione antitrust a risarcire<br />

i danni causati, possono accertare la nullità dei negozi tramite cui<br />

si è realizzato l’illecito, ordinare l’esecuzione o la non esecuzione di<br />

un’obbligazione, nonché disporre misure cautelari strumentali a tali azioni<br />

( 34-35 ). In linea di principio, l’azione davanti al giudice civile non è subordinata<br />

ad una previa pronuncia dell’Autorità, in virtù dell’autonomia<br />

dei rapporti tra azione amministrativa e giudiziaria ( 36 ).<br />

La distinzione tra public e private enforcement è stata messa bene in luce<br />

in una recente sentenza del Tar Lazio ( 37 ), nella quale i giudici ammini-<br />

( 32 ) Incidentalmente, si osserva che l’eccessiva frammentazione delle competenze dei<br />

giudici ordinari (Corti d’Appello, per le violazioni ex artt. 2 e 3, legge n. 287/90; Giudici di<br />

Pace e Tribunali, per le violazioni degli artt. 81-82 CE) è oggetto di critica da parte della dottrina,<br />

la quale esprime l’auspicio dell’attribuzione di una competenza “unificata” in capo alle<br />

se- zioni specializzate dei tribunali in materia di proprietà intellettuale e industriale, create<br />

con il d. lgs. n. 168/2003. Giova ricordare, in proposito, che il Codice della proprietà industriale<br />

(d. lgs. n. 30/2005, artt. 120 e 134) ha conferito alla competenza delle sezioni specializzate<br />

i giudizi in materia di illeciti antitrust, nazionali e comunitari, « afferenti all’esercizio<br />

dei diritti di proprietà industriale ».<br />

( 33 ) La diretta applicabilità dell’art. 81.1 e dell’art. 82 CE è stata affermata da costante<br />

giurisprudenza (tra le altre, Corte CE, 30 gennaio 1974, causa 127/73, BRT c. SABAM, in<br />

Racc., p. 51, punto 6; 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage, in Racc. p. I-6297, punto<br />

23; 13 luglio 2006, cause riunite C-295/04 – C298/04, Manfredi ed altri, non ancora pubblicata<br />

in Racc., punto 39). Il Reg. CE 1/2003 (artt. 1, 5, 6) ha inoltre disposto che l’art. 81, nella<br />

sua interezza (incluso quindi anche l’art. 81, n. 3), è direttamente applicabile da autorità<br />

di concorrenza e giudici nazionali.<br />

( 34 ) In virtù di questa distinzione di ruoli e funzioni è stata posta in dubbio la correttezza<br />

della stessa espressione private enforcement in materia antitrust, nel nostro ordinamento:<br />

Fattori-Todino, La disciplina della concorrenza in Italia, 2004, pp. 414-416.<br />

( 35 ) In proposito si osserva che il private enforcement si esplica assai frequentemente attraverso<br />

la richiesta al giudice di misure cautelari che consentono, in via d’urgenza, di tutelare<br />

ciò che – specie in determinate fattispecie (es. rifiuti di accesso ad un’infrastruttura) –<br />

rappresenta l’interesse primario dell’impresa, vale a dire, accedere ad un determinato mercato<br />

ovvero continuare ad operare in esso.<br />

( 36 ) Tavassi-Scuffi, Diritto processuale antitrust, 1998, p. 174; Libertini, Il ruolo del giudice<br />

civile nell’applicazione delle norme antitrust, in Giur. comm., 1998, p. 959.<br />

( 37 ) Tar Lazio, sez. I, n. 1713/2006, caso Merck-Principi Attivi. In essa, dopo aver ricordato<br />

che « l’Autorità è l’istituzione nazionale cui è affidato il compito di perseguire l’interesse pub-


730 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

strativi hanno sottolineato la « diversità dei presupposti » della tutela pubblica<br />

« che soddisfa un’esigenza diversa da quella concessa dal giudice ordinario,<br />

laddove quest’ultimo si pronuncia soltanto su ricorso di parte (in genere,<br />

imprese concorrenti) per la tutela di un interesse privato, mentre l’Autorità<br />

agisce di sua iniziativa per tutelare l’interesse pubblico primario di rilevanza<br />

comunitaria e costituzionale, alla salvaguardia di un mercato concorrenziale<br />

».<br />

Pertanto, a differenza delle autorità antitrust – che anche quando si attivano<br />

a seguito di denuncia perseguono la loro missione istituzionale<br />

coincidente con l’efficace applicazione delle norme antitrust ( 38 ) alle condotte<br />

oggetto di indagine nella loro complessità – l’applicazione delle stesse<br />

da parte dei giudici è, per così dire, sempre un’applicazione « in via incidentale<br />

», nel senso che presuppone l’avvio, su istanza di parte, di un giudizio<br />

tra privati ( 39 ), risolvibile dal giudice con ricorso alle previsioni delle<br />

predette norme antitrust, nei limiti della domanda.<br />

Nonostante questa distinzione di ruoli e funzioni, occorre tuttavia sottolineare<br />

che lo scopo della tutela offerta dalle norme antitrust – a prescindere<br />

da quale sia l’ambito della loro applicazione – è pur sempre « la con-<br />

blico alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica, con l’incarico, espressamente attribuito<br />

dall’art. 54 della legge n.52/1996, di applicare, a livello nazionale, gli artt. 81 e 82 CE »,<br />

il Tar Lazio ha chiarito la distinzione tra il private enforcement del diritto antitrust, ossia « latutela<br />

dei diritti soggettivi dei singoli eventualmente lesi dalla violazione degli artt. 81 e 82<br />

CE», la cui competenza è attribuita ai giudici ordinari, ed il public enforcement, la cui competenza<br />

è attribuita all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, « finalizzato alla<br />

garanzia di un assetto concorrenziale del mercato, che, per costante giurisprudenza, costituisce<br />

un interesse pubblico la cui tutela ha rilevanza costituzionale ».<br />

( 38 ) Sotto questo profilo, i giudici amministrativi, riprendendo un analogo orientamento<br />

comunitario, hanno più volte ribadito che il denunciante non ha diritto a che l’Autorità<br />

avvii un’istruttoria e che « l’unica esigenza di tutela . . . che il denunciante può far valere innanzi<br />

al giudice amministrativo riguarda l’interesse a che l’Autorità prenda in esame e si pronunci<br />

sulla sua denuncia » (tra le altre, Tar Lazio, sez. I, n. 2639/2002 e n. 8329/2002, confermata<br />

da Cons. Stato, sez. VI, n. 7265/2003). Peraltro, il Consiglio di Stato nella decisione<br />

n. 926/2004 ha riconosciuto l’indiretto beneficio che i concorrenti possono ricavare dall’accertamento<br />

di una pratica abusiva da parte di un’Autorità di concorrenza: « il fatto che<br />

dall’accertamento dell’infrazione e dall’irrogazione delle conseguenti sanzioni possano in via<br />

indiretta beneficiare proprio i soggetti denuncianti costituisce un fisiologico effetto della disciplina<br />

antitrust, in cui i soggetti che si ritengono lesi da un comportamento anticoncorrenziale<br />

possono rivolgersi all’autorità per i provvedimenti di sua competenza ».<br />

( 39 ) Pertanto, il raggiungimento di un accordo transattivo tra le parti, fa cessare il giudizio<br />

civile, a differenza del procedimento amministrativo antitrust. Negli Stati Uniti, i giudizi<br />

per danni in materia antitrust si concludono in massima parte con dei settlements.


SAGGI 731<br />

correnza, non i concorrenti », come pacificamente ricordato dalla giurisprudenza<br />

statunitense ( 40 ), dalla stessa disciplina comunitaria ( 41 ) ed anche<br />

dalla Corte di Cassazione ( 42 ). Ciò vuol dire che anche in sede di private<br />

enforcement, il presupposto della tutela interindividuale – ad esempio, risarcitoria<br />

– è pur sempre costituito dall’accertamento di una condotta<br />

avente per oggetto o per effetto un pregiudizio alla struttura concorrenziale<br />

del mercato, che abbia leso posizioni giuridiche soggettive dei singoli.<br />

È anche per questo che la giurisprudenza comunitaria (caso Courage<br />

( 43 ) ed il Reg. CE 1/2003 hanno chiarito che il private enforcement delle<br />

norme comunitarie a tutela della concorrenza (con particolare riguardo<br />

alla tutela risarcitoria) contribuisce a « garantire la piena efficacia di<br />

tali norme ».<br />

In particolare, il Reg. CE 1/2003 (considerando 7) ha sottolineato che<br />

le giurisdizioni nazionali « svolgono un ruolo complementare » rispetto a<br />

quello delle autorità antitrust nazionali e della stessa Commissione.<br />

I vari aspetti di questa “complementarietà” – che le Comunicazioni<br />

della Commissione hanno ben evidenziato ( 44 ) – sono caratterizzati da<br />

un tratto comune, quello per cui forme distinte di tutela della concorrenza<br />

(pubblica e privata), possono tuttavia accrescere l’efficacia complessiva<br />

( 40 ) Corte Suprema, Copperweld Corp. v. Independence Tube Corp., 467 US 752, 767 n. 14<br />

(1984). Sul punto, anche in relazione ai rischi di over-enforcement connessi agli strumenti di<br />

private enforcement presenti nel diritto statunitense, si veda Ginsburg, Comparing antitrust<br />

enforcement in the United States and Europe, in Journal of competition law & economics, vol.<br />

I, n. 3, sept. 2005, p. 427.<br />

( 41 ) Cfr. considerando 9, Reg. CE 1/2003.<br />

( 42 ) La Corte di Cassazione, sez. un., nella sentenza n. 2207/05 ha chiarito che la disciplina<br />

a tutela della concorrenza, risponde all’esigenza di « tutela della struttura e della logica<br />

competitiva del mercato » e che « oggetto immediato della tutela della legge non è il pregiudizio<br />

del concorrente . . . bensì un più generale bene giuridico» (p. 12). Tuttavia, un illecito antitrust,<br />

« può ledere anche il patrimonio del singolo, concorrente o meno, dell’autore » dell’illecito stesso.<br />

In precedenza la Cassazione aveva chiarito che «a fondamento delle tutele che la legge<br />

[n.287/90] introduce sta il libero mercato in quanto tale, cioè l’interesse pubblico a conservarlo<br />

e non quello del singolo a difendere il proprio diritto » (Cass., 1° febbraio 1999, n. 827).<br />

( 43 ) Corte CE, 20 settembre 2001, causa C-453/99, cit., punti 25-27. Da ultimo si veda<br />

anche la sentenza 13 luglio 2006, cause riunite C-295/04 e C298/04, Manfredi ed altri, cit.,<br />

punti 90-91.<br />

( 44 ) Si vedano in proposito: Comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione<br />

tra la Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE ai fini dell’applicazione<br />

degli articoli 81 e 82 del Trattato CE, punto 5; Comunicazione sulla procedura applicabile<br />

alle denunce presentate alla Commissione ai sensi degli artt. 81-82 CE, punti 12-18<br />

(entrambi in G.U.U.E., C101, 27 aprile 2004).


732 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

della tutela offerta dalle norme antitrust ( 45 ). In definitiva, tale « doppio<br />

ambito di tutela » – caratteristico della disciplina antitrust (e di pochi altri<br />

settori del diritto) – arricchisce le possibilità e le conseguenze giuridiche<br />

della sua attuazione, determinando così un rafforzamento dell’efficacia<br />

della disciplina stessa e della sua deterrenza. In altri termini, è indubbio<br />

che il possibile accertamento della nullità di un contratto contrastante<br />

con le norme a tutela della concorrenza così come il risarcimento del<br />

danno causato dall’illecito antitrust da parte del giudice a favore del singolo<br />

finiscano per svolgere, di fatto, anch’essi una funzione dissuasiva ( 46 ),<br />

complementare a quella propria delle sanzioni comminate dalle autorità<br />

antitrust ( 47 ), anche perché l’entità di queste ultime assai difficilmente<br />

può essere fissato ad un livello ottimale che ne assicuri adeguatamente la<br />

deterrenza ( 48 ).<br />

Ciò detto, il Libro Verde della Commissione pone alcune questioni attinenti<br />

i rapporti tra public e private enforcement, che vanno a mio avviso<br />

risolte coordinando al meglio i due tipi di tutela, senza tuttavia confondere<br />

né l’identità, né – soprattutto – pregiudicare la funzionalità di ciascuna<br />

di esse.<br />

È quindi opportuno considerare ora la particolare natura delle forme<br />

più gravi di infrazioni antitrust.<br />

3.2. – Particolare considerazione meritano le caratteristiche degli illeciti<br />

antitrust, segnatamente di quelli ritenuti più gravi per la collettività, vale<br />

a dire i “cartelli” ( 49 ), la cui repressione rappresenta generalmente una<br />

priorità per tutte le autorità di concorrenza.<br />

Ci si riferisce ad un particolare intrinseco di tali illeciti rappresentato<br />

dal fatto che trattasi di condotte che, per sussistere, operare nel tempo<br />

( 45 ) In tal senso si vedano anche le conclusioni dell’Avvocato Generale Geelhoed del<br />

26 gennaio 2006, cause riunite C-295/04, C-296/04, C-297/04 e C-298/04, Manfredi ed altri,<br />

punto 64.<br />

( 46 ) Invero, le conseguenze civilistiche di una infrazione antitrust determinano un aumento<br />

dei costi attesi per le imprese che vi prendono parte: Prosperetti-Siragusa-Beretta-Merini,<br />

Economia e diritto antitrust, Roma 2006, p. 353.<br />

( 47 ) Tavassi, Which role for national courts in competition protection?, atti del Convegno<br />

VI UAE-LIDC «Antitrust between EC and national law », Treviso, maggio 2004, ed. 2005,<br />

p. 88.<br />

( 48 ) Wils, Optimal antitrust fines: theory and practice, in Journal of competition law &<br />

enforcement, World Competition, june 2006, p. 183.<br />

( 49 ) Le forme più gravi di cartelli, detti “hard-core” sono quelle aventi ad oggetto la fissazione<br />

dei prezzi, la ripartizione dei mercati e dei clienti e la limitazione della produzione.


SAGGI 733<br />

(anche per decenni ( 50 )) e raggiungere l’obiettivo collusivo perseguito, devono<br />

rimanere “segrete”. Il loro accertamento, infatti, oltre a condurre ad<br />

un ordine di cessazione, esporrebbe i partecipanti a pesanti conseguenze<br />

economiche (sanzionatorie ( 51 ) e risarcitorie) e, in taluni ordinamenti ( 52 ),<br />

anche penali.<br />

L’esperienza empirica dimostra che le imprese utilizzano particolari<br />

cautele per evitare che le forme di coordinamento diretto da esse poste in<br />

essere nei casi di cartello vengano scoperte, come attestato dalla estrema<br />

difficoltà di reperire le c.d. «smoking guns », vale a dire, prove dirette dell’accordo<br />

collusivo ( 53 ).<br />

Inoltre, le intese anticoncorrenziali possono assumere le forme più<br />

sfumate delle pratiche concordate e delle pratiche facilitanti, nel tentativo<br />

di far passare come normali condotte (o reazioni) di mercato (il c.d. « parallelismo<br />

consapevole »), forme di coordinamento collusivo.<br />

L’accertamento di tali violazioni, in particolare dei cartelli, presenta<br />

problemi particolarmente complessi e delicati, in primo luogo sul fronte<br />

del reperimento di sufficienti prove ed indizi. Per questo, le normative a<br />

tutela della concorrenza generalmente dotano le autorità antitrust non solo<br />

di poteri d’indagine particolarmente penetranti ed efficaci ( 54 ), ma anche<br />

– ed è questo uno degli aspetti qualificanti della riforma introdotta dal<br />

Reg. CE 1/2003 – di strumenti di cooperazione “investigativa” con auto-<br />

( 50 ) Il cartello Organic Peroxides (C37.857) accertato dalla Commissione nel dicembre<br />

2003 ebbe una durata record di quasi 29 anni dal 1971 al 1999 incluso. Si veda in proposito<br />

l’analisi di sintesi svolta da Veljanovski, Penalties for Price Fixers: An analysis of Fines imposed<br />

on 39 cartels by the EU Commission, in European Competition Law Review, n. 9/2006,<br />

p. 510.<br />

( 51 ) Si vedano i criteri sanzionatori particolarmente severi per la partecipazione a cartelli<br />

segreti hard-core ora previsti dalle recenti Linee-guida per il calcolo delle sanzioni<br />

adottate dalla Commissione europea il 28 giugno 2006 (Orientamenti per il calcolo delle ammende<br />

inflitte in applicazione dell’art. 23, paragrafo 2, lettera a, del regolamento CE n. 1/2003,<br />

in G.U.U.E., C210, 1° settembre 2006, punto 25) a cui si ispirerà anche l’Autorità.<br />

( 52 ) Nell’Unione Europea, sanzioni penali sono previste, ad esempio, nel Regno Unito<br />

ed in Irlanda. In altri paesi, tra cui l’Austria, la Germania e l’Italia, condotte di bid-rigging<br />

possono costituire violazioni penali.<br />

( 53 ) Di tale difficoltà di prova vi è piena consapevolezza in giurisprudenza: Corte CE, 7<br />

gennaio 2004, cause riunite C-204/00P-C-219/00P, Aalborg, Racc., p. I 123, punto 55. In ambito<br />

nazionale, si veda da ultimo, Lazio, sez. I, n. 12726/2005; cfr. anche Tar Lazio, sez. I,<br />

nn. 2715, 2717, 2718, 2719, 2721/2004; ed anche Cons. Stato, sez. VI, n. 1671/2001.<br />

( 54 ) Per svolgere i suoi accertamenti l’Autorità si avvale anche della collaborazione della<br />

Guardia di Finanza, Nucleo speciale tutela concorrenza e mercato (legge n. 52/1996, art.<br />

54 e legge n. 262/2005, art. 22).


734 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

rità di altri Stati membri ( 55 ). La medesima difficoltà di accertamento dei<br />

cartelli, inoltre, ha suggerito – in moltissimi ordinamenti – l’adozione di<br />

specifici meccanismi per incentivare l’emersione delle predette violazioni<br />

antitrust tramite auto-denuncia alle autorità di concorrenza da parte di imprese<br />

coinvolte nell’intesa, noti come programmi di clemenza (leniency<br />

programme) (vedi sopra, punto 2.3).<br />

Il public enforcement appare quindi “strutturalmente” più adatto all’accertamento<br />

delle predette condotte, rispetto al private enforcement. Non a<br />

caso, il recente Libro Verde della Commissione sulle azioni risarcitorie<br />

identifica tra i principali ostacoli allo sviluppo delle azioni risarcitorie derivanti<br />

da illeciti antitrust, proprio quello della raccolta delle prove in sede<br />

giurisdizionale, specie, in quegli ordinamenti giuridici – come quelli dell’Europa<br />

continentale – fondati sul principio dispositivo (a cui è sottoposto<br />

il giudice) e dell’onere della prova (in capo all’attore), nei quali non<br />

esiste un meccanismo di discovery che obblighi la parte accusata di aver attuato<br />

un illecito antitrust (che abbia causato danni), di produrre in giudizio<br />

tutta la documentazione in suo possesso ( 56 ). In particolare, con riferimento<br />

al nostro ordinamento, è stato osservato che nel giudizio civile antitrust<br />

la produzione documentale offerta dalle parti ha un rilievo “essenziale”<br />

( 57 ).<br />

Sebbene i giudici civili dispongano di strumenti – quali le presunzioni<br />

(ex art. 2729 c.c.) – che consentono, entro certi limiti, di delineare un quadro<br />

collusivo partendo da prove indirette (di solito, pur sempre documen-<br />

( 55 ) Ben noti sono gli strumenti di cooperazione introdotti dal Reg. CE 1/2003, che consentono<br />

lo scambio e l’uso come prove di informazioni raccolte da altre autorità di concorrenza<br />

facenti parte dell’ECN nei rispettivi territori (articoli 12 e 22). Di tale cooperazione da<br />

conto la Relazione della Commissione sulla politica di concorrenza 2005, punto 201 ss.<br />

( 56 ) Il problema dell’accesso alle prove, come noto, non è l’unico che ostacola le azioni<br />

civili di risarcimento danni, essendo numerosi i disincentivi a tali azioni, tra cui, i costi i legali:<br />

si vedano in proposito le opzioni del Libro Verde della Commissione ed il relativo allegato<br />

tecnico. Per un’analisi del private enforcement nel sistema statunitense ed i relativi<br />

strumenti che ne incentivano l’uso relativamente all’accesso alle prove (discovery), all’entità<br />

del risarcimento (treble damage) ed ai costi legali (contingent fees), si rinvia a Gerber, Private<br />

enforcement of competition law: a comparative perspective, in corso di pubblicazione,<br />

Cambridge U. Press, Moellers and Heinemann, eds. Dopo la novella introdotta dall’art. 2,<br />

legge n. 248/2006, l’art. 2233 c.c. consente ora accordi scritti tra avvocato e cliente sui compensi<br />

professionali, che potrebbero anche assumere la forma di patti di quota lite, agevolando<br />

notevolmente l’accesso al private enforcement da parte di singoli consumatori, sul modello<br />

dei contingency fees arrangements del diritto statunitense.<br />

( 57 ) Scuffi, L’istruttoria nei giudizi antitrust: collaborazione informativa e strumenti di indagine<br />

a disposizione del giudice nazionale, in Dir. ind., 2005, pp. 473-474.


SAGGI 735<br />

tali), tuttavia, di fatto, azioni civili indipendenti (c.d. stand-alone actions)<br />

relative a cartelli segreti sono poco frequenti, persino in ordinamenti caratterizzati<br />

da strumenti di discovery, come quello inglese ( 58 ).<br />

Più frequentemente, le azioni di risarcimento danni seguono (c.d.<br />

follow-on actions) l’accertamento svolto dall’autorità di concorrenza, le<br />

cui decisioni (solo talvolta giuridicamente vincolanti per i giudici) ( 59 )<br />

rappresentano comunque un punto di riferimento valutativo assai rilevante<br />

per il giudice ( 60 ). Se così è, appare quindi necessario che, in caso<br />

di svolgimento in parallelo del procedimento amministrativo antitrust e<br />

del giudizio civile per danni, la funzionalità del primo non venga pregiudicata,<br />

potendo risultare preferibile – anche in considerazione della<br />

minor durata della procedura antitrust (e del relativo giudizio di impugnazione)<br />

– che il public enforcement si concluda e che i suoi esiti vengano<br />

poi utilizzati come valido supporto valutativo per il private enforcement.<br />

Il tratto della segretezza (e le conseguenti difficoltà di prova) non è,<br />

tuttavia, comune a tutte le tipologie di condotte d’impresa che possono<br />

configurare un illecito antitrust. Non lo è, ad esempio, per gli abusi di posizione<br />

dominante che si estrinsecano in rifiuti all’accesso o a contrarre,<br />

nei quali la prova del rifiuto è, di norma, facilmente dimostrabile (anche<br />

documentalmente) ( 61 ) o, per ragioni analoghe, per le intese verticali che<br />

abbiano anch’esse una base contrattuale (es. accordi di distribuzione) ( 62 ).<br />

In relazione a queste fattispecie che non pongono particolari problemi<br />

di prova – tanto che sempre più spesso i soggetti danneggiati chiedono ai<br />

giudici inibitorie cautelari – si pone, piuttosto, il diverso problema dell’ac-<br />

( 58 ) Nazzini, Concurrent Proceedings in Competition Law, Procedure, Evidence and Remedies,<br />

Oxford 2004, p. 84.<br />

( 59 ) Cfr. infra, punto 3.3.1.<br />

( 60 ) Scuffi, L’istruttoria nei giudizi antitrust: collaborazione informativa e strumenti di indagine<br />

a disposizione del giudice nazionale, cit. p. 475.<br />

Talvolta, l’accertamento dell’illecito antitrust in sede civile si esaurisce nel prendere atto<br />

dell’accertamento già svolto dall’Autorità Garante sulla medesima fattispecie. Si veda, in<br />

proposito, App. Napoli, 3 maggio 2005, Nigriello c. Sai, in Foro it., 2005, I, c. 1880.<br />

( 61 ) Evidenze documentali sono di norma disponibili anche nelle ipotesi di boicottaggio<br />

collettivo, che si sostanzi nella interruzione di rapporti contrattuali pregressi (App. Milano,<br />

11 luglio 2003, Bluvacanze c. Viaggi del Ventaglio).<br />

( 62 ) In Francia, la quasi totalità dei giudizi civili antitrust ha riguardato contratti di distribuzione;<br />

Thill-Tayara, Private antitrust enforcement litigation in 19 jurisdictions worldwide,<br />

2006, Global competition review, p. 37.


736 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

certamento e della valutazione del contesto economico e giuridico in cui<br />

esse si collocano, al fine di apprezzarne la restrittività concorrenziale.<br />

3.3. - 3.3.1. – A) Come noto, ai fini della coerente applicazione delle regole<br />

di concorrenza, l’articolo 16 (primo paragrafo) del Reg. CE 1/2003 –<br />

sulla scia di un noto orientamento della Corte di Giustizia (casi Delimitis<br />

( 63 ) e Masterfoods ( 64 ) – ha stabilito per i giudici nazionali un esplicito<br />

vincolo di uniformità con le decisioni adottate (o adottande) dalla Commissione<br />

laddove essi si trovino a dover giudicare sugli stessi casi ( 65-66 ).<br />

Anche le decisioni “positive” di inapplicabilità degli articoli 81-82 CE, eventualmente<br />

adottate dalla Commissione ex art. 10, Reg. CE 1/2003 ( 67 ), rappresenterebbero<br />

un vincolo per i giudici che si trovassero a valutare successivamente<br />

la “stessa” condotta oggetto di tali decisioni. In entrambi i casi,<br />

rimane aperta per i giudici la possibilità di un rinvio pregiudiziale alla Corte<br />

di Giustizia ( 68 ). Sono invece prive di tale efficacia “vincolante” le decisioni<br />

della Commissione di accettazione di impegni ex art. 9 Reg. CE<br />

1/2003, che quindi – in linea di principio – non impedirebbero a giudici na-<br />

( 63 ) Cfr. Corte CE, 28 febbraio 1991, causa C-234/89, in Racc., p. I-935, punto 47.<br />

( 64 ) Cfr. Corte CE, 14 dicembre 2000, causa C-344/98, in Racc., p. I-11369, punto 52.<br />

( 65 ) Si veda in proposito la Comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione<br />

tra la Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE ai fini dell’applicazione<br />

degli articoli 81 e 82 del Trattato CE, cit., punti 12-13. Sebbene con riferimento a decisioni<br />

in materia di aiuti di Stato, si veda Cass. 17 novembre 2005, n. 23269.<br />

( 66 ) Incidentalmente, si ricorda che al fine di garantire coerenza applicativa in caso di<br />

applicazione parallela di norme comunitarie e nazionali di concorrenza, l’art. 3, par. 2, Reg.<br />

CE 1/2003 pone, anche per i giudici nazionali, una «regola di convergenza » nella valutazione<br />

delle intese. In base ad essa, non possono considerasi vietati in base a norme antitrust<br />

nazionali (eventualmente più rigorose) accordi, decisioni o pratiche concordate atte a pregiudicare<br />

gli scambi intra-comunitari, ma che non siano in contrasto con l’articolo 81.1 CE,<br />

ovvero che soddisfino le condizioni dell’art. 81.3 CE, ovvero ancora che siano “coperte” da<br />

regolamenti comunitari di esenzione per categoria.<br />

( 67 ) Questa norma prevede che la (sola) Commissione possa, per ragioni di interesse<br />

pubblico comunitario ed agendo d’ufficio, intervenire eccezionalmente in relazione a singoli<br />

casi ed adottare delle decisioni che accertino la non illiceità di condotte astrattamente<br />

riconducibili alle fattispecie degli artt. 81-82 CE. Sinora, la Commissione non ha adottato<br />

simili decisioni.<br />

( 68 ) Tavassi, Which role for national courts in competition protection?, atti del VI Convegno<br />

UAE-LIDC « Antitrust between EC and national law », Treviso, maggio 2004, ed. 2005,<br />

p. 88; si rinvia a Cassinis, La riforma della “modernizzazione” ed i meccanismi a garanzia della<br />

coerenza applicativa della disciplina comunitaria della concorrenza, atti del VI Convegno<br />

UAE-LIDC «Antitrust between EC and national law », Treviso, maggio 2004, ed. 2005, p. 477.


SAGGI 737<br />

zionali (e neppure alle autorità di concorrenza nazionali) di adottare una<br />

decisione successiva sullo stesso caso, ad esempio, accertando un’infrazione<br />

agli artt. 81-82 CE. Ed invero, l’esclusione dall’ambito di applicazione<br />

del citato art. 16 delle decisioni con impegni, espressamente indicata nel<br />

preambolo del Reg. CE 1/2003 (considerando 13 e 22), deriva proprio dal<br />

fatto che esse non culminano in un accertamento dell’infrazione, ma si limitano<br />

a rendere obbligatori taluni impegni, chiudendo con ciò la procedura<br />

( 69 ).<br />

La mancanza di un accertamento d’infrazione – vincolante in sede civile<br />

– se da un lato rappresenta per le imprese uno dei maggiori “incentivi”<br />

a voler chiudere la procedura comunitaria con una decisione di questo<br />

tipo, dall’altro, lascia potenzialmente aperta la possibilità di successive<br />

pronunce contrarie da parte delle istanze nazionali. Peraltro, appare<br />

ragionevole ritenere che ottemperando le imprese agli impegni assunti<br />

nei confronti della Commissione, esse abbiano rimosso l’eventuale illiceità<br />

antitrust delle proprie condotte per l’avvenire, fatto salvo l’apprezzamento<br />

– anche in sede giudiziaria – delle condotte pregresse e dei danni<br />

da esse eventualmente causati ( 70 ). Non può tuttavia escludersi che<br />

detti impegni possano risultare inadeguati a risolvere completamente<br />

problematiche concorrenziali specifiche in taluni mercati nazionali (o<br />

sub-nazionali) ( 71 ).<br />

B) I rapporti tra decisioni antitrust e giudizi civili sono stati oggetto di<br />

specifiche previsioni normative in taluni ordinamenti nazionali, in vista o<br />

a seguito della riforma della modernizzazione. Appare quindi interessante<br />

una breve ricognizione delle soluzioni più significative.<br />

( 69 ) Le decisioni di accettazioni di impegni sono le uniche che consentono alla Commissione<br />

di chiudere una procedura d’indagine, senza giungere ad un accertamento dell’infrazione.<br />

Esse sono oggetto di una specifica e complessa disciplina da parte di nume-rose<br />

disposizioni del Reg. CE 1/2003, volte tra l’altro, ad assicurare l’efficacia degli impegni assunti<br />

nei confronti della Commissione e la sanzionabilità delle eventuali inottemperanze.<br />

Segnatamente, oltre ai considerando 13 e 22, si vedano gli artt. 9, 14 (par. 1), 23 (par. 2, lett.<br />

c), 24 (par. 2, lett. c), 27 (par. 4), 30 (par. 1).<br />

( 70 ) Per un quadro delle problematiche connesse alle decisioni con impegni, si veda da<br />

ultimo, Temple-Lang, Commitment decisions and settlements with antitrust authorities and private<br />

parties under European antitrust law, Fordham corporate law institute, 2006, pp. 301-302.<br />

( 71 ) In tal senso si veda la decisione con impegni adottata dall’autorità di concorrenza<br />

del Belgio nei confronti di Coca-Cola (in data 30 novembre 2005) (Antypas-Waelbroeck,<br />

European competition journal, vol. 2, n. 1, april 2006, p. 187), successivamente alla decisione<br />

con impegni ex art. 9 Reg. 1/2003, adottata dalla Commissione verso la stessa Coca-Cola in<br />

data 22 giugno 2005, in G.U.U.E., L 253.


738 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

La « soluzione tedesca »<br />

La soluzione più avanzata è senza dubbio quella adottata dalla legge<br />

di riforma della normativa antitrust tedesca, entrata in vigore nel luglio<br />

2005. Essa ha, infatti, introdotto una disposizione (art. 33.4, ARC ( 72 )) assai<br />

simile a quella dell’art. 16, Reg. CE 1/2003, prevedendo la vincolatività<br />

per i giudici tedeschi – nell’ambito di giudizi risarcitori – anche dell’accertamento<br />

di infrazioni ex artt. 81-82 CE contenuto in decisioni definitive<br />

adottate dalle autorità di concorrenza, non solo tedesche (e della stessa<br />

Commissione), ma anche degli altri Stati membri dell’Unione, fatta salva<br />

la possibilità di rinvio alla Corte di Giustizia ex art. 234 CE ( 73 ).<br />

Sotto un diverso profilo, si osserva che la riforma della legislazione antitrust<br />

tedesca ha inoltre previsto che il termine di prescrizione per il risarcimento<br />

dei danni si sospenda per effetto dell’avvio di una procedura ex<br />

artt. 81-82 CE, non solo da parte delle autorità antitrust tedesche, ma anche<br />

da parte di autorità di altri Stati membri dell’Unione, oltre che della<br />

Commissione (art. 33.5, ARC).<br />

Si tratta di disposizioni che evidentemente favoriscono la proposizione<br />

di azioni civili successivamente alla conclusione dell’accertamento dell’infrazione<br />

in sede di public enforcement, come visto, strutturalmente più<br />

idoneo ad accertare taluni illeciti antitrust.<br />

La « soluzione inglese »<br />

Nel Regno Unito, esiste una disciplina più articolata sulla vincolatività<br />

delle decisioni adottate dall’Office of Fair Trading, divenute definitive, in<br />

applicazione (oltre che delle norme antitrust nazionali, anche) degli artt.<br />

81-82 CE. In base all’art. 58 del Competition Act del 1998, le predette decisioni<br />

(di violazione o non violazione) sono vincolanti in successivi giudizi<br />

di nullità o risarcitori, limitatamente all’accertamento in fatto ed alle parti<br />

del procedimento amministrativo; inoltre, si tratta di una vincolatività relativa<br />

e non assoluta.<br />

Tuttavia, con specifico riguardo alle azioni di risarcimento dei danni,<br />

l’articolo 58A del Competition Act (introdotto dall’Enterprise Act del 2002)<br />

( 72 ) Il testo dell’art. 33, dell’Act against Restraints of Competition (ARC) (Gesetz gegen<br />

Wettbewerbsbeschränkungen, GWB), introdotto con un emendamento (VII) in vigore dal 1°<br />

luglio 2005, è disponibile sul sito del Bundeskartellamt (www.bundeskartellamt.de/wEnglisch/).<br />

( 73 ) Böge-Ost, Up and running, or is it? Private enforcement –the situation in Germany<br />

and Policy perspectives, in ECLR, 2006, p. 202.


SAGGI 739<br />

ha rafforzato la predetta efficacia delle decisioni dell’OFT, estendendola non<br />

solo all’accertamento in fatto, ma anche alla qualificazione giuridica, nonché<br />

ai terzi, allorché essa conduca ad accertare la condotta come infrazione agli<br />

artt. 81-82 CE (oltre che alle corrispondenti norme nazionali); inoltre, entro<br />

questi limiti, si tratta di una vincolatività assoluta, non relativa ( 74 ).<br />

La situazione italiana<br />

Non esiste nel nostro ordinamento una disciplina specifica sugli effetti,<br />

in sede di giudizio civile, delle decisioni antitrust; né alcuna modifica è<br />

stata introdotta in relazione alle decisioni adottate in base agli artt. 81-82<br />

CE, a seguito della più volte citata riforma comunitaria del 2003. In linea<br />

di principio, come si è visto, i rapporti tra azione amministrativa e giudiziaria<br />

sono infatti di reciproca autonomia ( 75 ).<br />

Va tuttavia osservato che, nell’ambito di giudizi civili antitrust, successivi<br />

ad una decisione dell’Autorità, quasi mai ( 76 ) i giudici si sono discostati<br />

dagli accertamenti e dalle valutazioni effettuati dall’Autorità all’esito<br />

di una complessa istruttoria avente ad oggetto la medesima fattispecie ( 77 ).<br />

Inoltre, in relazione ad illeciti aventi natura segreta (cartelli), stante la<br />

rilevante difficoltà sul piano probatorio che il loro accertamento comporta<br />

(laddove il complesso quadro indiziario può essere composto anche da<br />

documenti interni o del tutto informali ( 78 )), le azioni promosse in sede ci-<br />

( 74 ) Per un’analisi dettagliata, Nazzini, Concurrent Proceedings in Competition Law, Procedure,<br />

Evidence and Remedies, Oxford 2004, pp. 200-204.<br />

( 75 ) Neppure nell’ordinamento francese alle decisioni delle autorità di concorrenza è riconosciuta<br />

efficacia vincolante per il giudice civile, anche se di fatto costituiscono un valida<br />

base valutativa per quest’ultimo. Tuttavia, si segnala che una recente modifica normativa<br />

(decreto n. 2005-1756 del 30 dicembre 2005) ha riunificato in capo alla Corte d’Appello di Parigi,<br />

la competenza sull’impugnazione sia delle decisioni del Conseil de la concurrence, sia delle<br />

sentenze delle otto corti specializzate a conoscere delle azioni di risarcimento danni da illecito<br />

antitrust (Momege-Bessot, European competition journal, vol. 2, n. 1, april 2006, p. 210).<br />

( 76 ) L’unico caso – di cui si è a conoscenza – di divergenza dell’accertamento dell’illecito<br />

da parte del giudice civile rispetto alla precedente decisione dell’Autorità Garante sulla<br />

medesima fattispecie, è quello relativo ad un boicottaggio collettivo, tramite un’attività di<br />

lobbying: App. Milano, ord. 13 luglio 1998, Tramaplast c. Macplast ed altri.<br />

( 77 ) Da ultimo, si veda Scuffi, L’istruttoria nei giudizi antitrust: collaborazione informativa<br />

e strumenti di indagine a disposizione del giudice nazionale, cit. p. 475.<br />

( 78 ) La casistica in materia di intese e pratiche concordate accertate dall’Autorità dimostra<br />

che sovente elementi di rilievo del quadro indiziario sono rappresentati da e-mail tra dipendenti<br />

di imprese concorrenti, appunti manoscritti, verbali informali di incontri, bozze di accordi<br />

non sottoscritti, trovati – anche presso terzi – nel corso di ispezioni (anche informatiche),<br />

utilizzando i poteri ispettivi di cui l’Autorità è dotata, con l’ausilio della Guardia di Finanza.


740 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

vile (es. di risarcimento dei danni) saranno, di fatto, – se non necessariamente<br />

– prevalentemente azioni “successive” alla decisione antitrust. Ciò,<br />

sia per le citate difficoltà del singolo di assolvere l’onere di fornire al giudice<br />

un adeguato supporto documentale circa la sussistenza dell’infrazione<br />

antitrust, sia anche perché il singolo (specie, se si tratta di un consumatore)<br />

può trovarsi nella impossibilità stessa di conoscere l’esistenza della<br />

predetta infrazione, prima che essa sia stata accertata in sede di public<br />

enforcement.<br />

In dottrina, peraltro, è stato autorevolmente sostenuto che laddove il<br />

giudizio civile verta sugli stessi fatti che hanno costituito già oggetto di accertamento<br />

istruttorio da parte dell’Autorità, la qualificazione adottata da<br />

quest’ultima « dovrebbe considerarsi in linea di principio vincolante in sede<br />

di giudizio », in ragione anche della specifica funzione istituzionale assegnata<br />

dalla legge all’Autorità ( 79 ).<br />

In proposito, può osservarsi che nel quadro delineato dal Reg. CE<br />

1/2003, il ruolo dell’Autorità, quando applica gli artt. 81-82 CE, sia divenuto<br />

quello di un « organo nazionale operante in funzione comunitaria » ( 80 ), che<br />

condivide con la Commissione europea e le altre autorità antitrust nazionali<br />

(facenti parte dell’ECN) una competenza concorrente nell’applicazione<br />

delle predette norme ( 81 ). Inoltre, nel condurre procedimenti istruttori ex<br />

artt. 81-82 CE, essa opera in stretta collaborazione con la Commissione europea<br />

( 82 ), anche tramite i meccanismi di informazione delineati dall’art. 11,<br />

paragrafi 3 e 4, del Reg. CE 1/2003, che prevedono, tra l’altro, l’invio alla<br />

Commissione di un documento esplicativo della linea di azione dell’Autorità<br />

antitrust nazionale, almeno trenta giorni prima dell’adozione del provvedimento<br />

finale, con la possibilità della Commissione di avocare a sé il caso<br />

(art. 11.6), per garantire la coerente applicazione delle predette norme del<br />

Trattato ( 83 ).<br />

( 79 ) Libertini, Il ruolo del giudice civile nell’applicazione delle norme antitrust, in Giur.<br />

comm., 1998, pp. 659-660.<br />

( 80 ) Così il Consiglio di Stato ha incidentalmente descritto la nuova funzione dell’Autorità,<br />

il Reg. CE 1/2003 « qualifica a tutti gli effetti l’autorità nazionale come organo nazionale<br />

operante in funzione comunitaria » (sez. VI, 21 marzo 2005, n. 113).<br />

( 81 ) Cfr. Comunicazione sulla cooperazione all’interno della rete delle autorità di concorrenza,<br />

in G.U.U.E., C101, 27 aprile 2004 (punto 5).<br />

( 82 ) In questi termini si è espressa la Corte CE, causa C-53/03, 31 maggio 2005, Syfait,<br />

punti 34-37.<br />

( 83 ) Per una analisi più dettagliata si rinvia in proposito a Gerber-Cassinis, The “Modernization”<br />

of European Community Competition Law: Achieving Consistency in Enforcement,<br />

part I and II, in ECLR, nn. 1 e 2/2006.


Sembra quindi fondato ritenere che le decisioni dell’Autorità che accertino<br />

un’infrazione antitrust ex artt. 81-82 CE, una volta divenute definitive<br />

(ovvero nella misura in cui siano state confermate dai giudici amministrativi,<br />

Tar Lazio e Consiglio di Stato), possano poi esplicare un’efficacia<br />

“rafforzata” (quasi-vincolante) in sede di giudizio civile successivo,<br />

anche in considerazione del fatto che, specie a seguito del riconoscimento<br />

della legittimazione anche di terzi (concorrenti e consumatori) ad<br />

impugnare i provvedimenti dell’Autorità ( 84 ), già in sede di procedimento<br />

e giudizio amministrativo sui predetti provvedimenti, si svolge un<br />

contraddittorio ampio ed articolato a cui partecipano (in larga misura) gli<br />

stessi soggetti eventualmente legittimati ad instaurare un successivo giudizio<br />

in sede civile.<br />

I giudici dispongono pur sempre dello strumento del rinvio pregiudiziale<br />

ex art. 234 CE, già sperimentato dal giudice amministrativo in sede<br />

di controllo delle decisioni dell’Autorità ( 85 ).<br />

Le opzioni del Libro Verde<br />

SAGGI 741<br />

Nel senso dianzi prospettato è orientata una delle opzioni avanzate<br />

dal Libro Verde (opzione n. 8). Nell’intento di alleviare l’onere probatorio<br />

dell’attore in sede di giudizio civile antitrust, viene prospettato che laddove<br />

già esista una decisione dell’autorità di concorrenza che abbia accertato<br />

un’infrazione ex artt. 81-82 CE in relazione allo stesso caso, essa venga<br />

considerata (i) “vincolante”, o, (ii) comunque idonea a determinare una<br />

« inversione dell’onere della prova » a favore dell’attore, nel successivo<br />

giudizio civile.<br />

Sembra a chi scrive che la seconda delle due ipotesi (sub ii) – vale a dire<br />

l’inversione dell’onere probatorio – possa essere una soluzione equilibrata<br />

(del resto, analoga a quella, di fatto, già esistente) ed in grado di va-<br />

( 84 ) Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3865, Nokia Italia c. Marconi Mobile-Ote; 21<br />

marzo 2005, n. 1113, S.E.C.I.-Co.Pro.B.-Finbieticola c. Eridania. Si segnala, tuttavia, che con<br />

sentenza del 22 febbraio 2006, n. 1371, il Tar Lazio ha escluso la legittimazione dei consumatori<br />

e delle relative associazioni a ricorrere avverso i provvedimenti antitrust, considerando<br />

che l’eventuale lesione loro derivante dall’illecito concorrenziale abbia per essi solo<br />

« natura indiretta », ferma restando « la possibilità di utilizzare la strada della tutela procedimentale<br />

con atti di impulso o di intervento ovvero esperire, ove ne ricorrano i presupposti, l’azione<br />

risarcitoria o di nullità innanzi al giudice civile ».<br />

( 85 ) Oltre al noto rinvio del Tar Lazio che ha dato luogo alla sentenza della Corte CE, 9<br />

settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF), si segnala la recente ordinanza<br />

del Cons. Stato, sez. VI, n. 1998/2006, Autorità c. Ente Tabacchi Italiani ed altri (causa<br />

C-280/06).


742 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

lorizzare la sinergia che può sussistere tra public e private enforcement, all’interno<br />

del sistema della tutela “binaria” della concorrenza, senza tuttavia<br />

determinare un vincolo insuperabile al libero apprezzamento del giudice<br />

civile ( 86 ).<br />

Potrebbe aggiungersi la precisazione che la decisione antitrust, per<br />

esplicare la suddetta efficacia, dovrebbe comunque essere definitiva (perché<br />

confermata – in tutto o in parte – dai giudici amministrativi o non impugnata).<br />

Del tutto estranee da tale effetto, resterebbe, inoltre, l’accertamento –<br />

spesso assai complicato – del nesso causale e del danno, rimessi integralmente<br />

ai giudici.<br />

Un’altra opzione prevista dal Libro Verde, volta a favorire un coordinamento<br />

tra le due tutele, è quella che riguarda la sospensione dei termini<br />

di prescrizione del diritto al risarcimento del danno a partire dall’apertura<br />

di un procedimento da parte della Commissione europea o di un’autorità<br />

antitrust nazionale (opzione n. 36). Siffatta soluzione andrebbe vista<br />

con favore almeno in relazione ad illeciti antitrust caratterizzati da segretezza<br />

(cartelli hard-core), per l’accertamento dei quali, come detto, le autorità<br />

antitrust hanno strumenti di indagine senz’altro più efficaci. Essa favorirebbe<br />

l’inizio di azioni di risarcimento dei danni successive (follow-on)<br />

rispetto all’accertamento dell’illecito in sede amministrativa, senza correre<br />

il rischio di incorrere nella prescrizione del diritto al risarcimento ( 87 ),<br />

ed evitando lo svolgimento di procedure (amministrative e giudiziarie)<br />

parallele. Inoltre, potrebbe essere estesa la stessa durata del termine di<br />

prescrizione, ad esempio da 5 a 10 anni (termine ordinario) ( 88 ).<br />

3.3.2. – Occorre distinguere i due ambiti di rapporti dei giudici, rispettivamente,<br />

con le istituzioni antitrust comunitarie e nazionali.<br />

( 86 ) La soluzione dell’inversione dell’onere della prova è stata indicata dallo Stato italiano<br />

nei suoi commenti al Libro Verde, disponibili sul sito della Commissione Europea.<br />

( 87 ) Prescrizione, che per i danni da illeciti extracontrattuali, nel nostro ordinamento è<br />

di durata quinquennale (art. 2947 c. c.). In proposito, si osservi che la Corte di Giustizia ha<br />

valutato che la previsione di un termine breve di prescrizione, unitamente alla sua decorrenza<br />

dall’attuazione dell’intesa, potrebbe contrastare con il principio di effettività, rendendo<br />

l’esercizio del diritto al risarcimento dei danni praticamente impossibile o fortemente limitato<br />

(Corte CE, 13 luglio 2006, cause riunite C-295/04 – C-298/04, Manfredi ed altri, cit.,<br />

punti 78-79).<br />

( 88 ) È quanto ora previsto in Svezia, con una modifica normativa entrata in vigore nell’agosto<br />

2005; Swartling, Private antitrust enforcement litigation in 19 jurisdictions worldwide,<br />

2006, in Global competition review, p. 81.


SAGGI 743<br />

a) Sul versante della cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione<br />

europea ( 89 ), la disciplina comunitaria (Reg. CE 1/2003, all’art. 15, e<br />

considerando 21; nuova Comunicazione della Commissione sulla cooperazione<br />

con i giudici nazionali ( 90 )) ha previsto una serie di strumenti –<br />

ispirati anche dal reciproco dovere di leale collaborazione ex art. 10 del<br />

Trattato CE – per favorire e migliorare i rapporti tra queste istituzioni e,<br />

per questa via, favorire un’applicazione coerente del diritto comunitario<br />

della concorrenza, nel nuovo contesto del decentramento e dell’applicazione<br />

diretta dell’art. 81.3 CE ( 91 ).<br />

La Commissione è tenuta a fornire assistenza ai giudici nazionali che<br />

ne facciano richiesta in relazione a giudizi in cui si faccia applicazione degli<br />

artt. 81-82 CE. Gli strumenti tramite i quali si può concretare l’attività<br />

di assistenza da parte della Commissione sono: i) la trasmissione di informazioni<br />

su richiesta dei giudici nazionali (art. 15.1), sempreché essi possano<br />

garantire un’adeguata tutela delle informazioni coperte da riservatezza<br />

( 92 ); ii) il rilascio, su richiesta, di pareri relativi a questioni (economiche, di<br />

fatto e di diritto) inerenti all’applicazione del diritto comunitario della<br />

concorrenza (art. 15.1).<br />

Attualmente non risulta che i giudici italiani abbiano ancora fatto uso<br />

di questi strumenti di assistenza della Commissione ( 93 ). Complessiva-<br />

( 89 ) Tesauro, Diritto Comunitario, 2005, p. 736.<br />

( 90 ) Cfr. Comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione tra la Commissione<br />

e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE ai fini dell’applicazione degli articoli 81 e<br />

82 del Trattato CE, in G.U.U.E., C101, 27 aprile 2004.<br />

( 91 ) Sulla opportunità che questi strumenti di cooperazione della Commissione operino<br />

anche nel contesto di arbitrati internazionali in materia antitrust, si veda Nisser-Blanke,<br />

Reflections on the role of the European Commission as amicus curiae in international arbitration<br />

proceedings, in ECLR, 2006, p. 174.<br />

( 92 ) Tra esse sono inclusi i c.d. segreti commerciali ed altre informazioni la cui divulgazione<br />

comporterebbe comunque un grave pregiudizio ad una persona o ad un’impresa, incluso<br />

il rischio di misure ritorsive (cfr. Comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione<br />

tra la Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE, cit., punti 25-<br />

26. Per la identificazione dei segreti aziendali e delle altre informazioni riservate, si veda la<br />

Comunicazione della Commissione riguardante le regole per l’accesso al fascicolo istruttorio<br />

del 13 dicembre 2005, in G.U.U.E., C 325, 22 dicembre 2005.<br />

( 93 ) Invero, non risulta neppure che essi si fossero avvalsi degli strumenti di cooperazione<br />

messi a disposizione dal precedente Reg. 17/62: Tavassi, Il Regolamento CE n. 1/2003:<br />

verso la devoluzione di competenze in materia di concorrenza dalla Commissione europea alle<br />

autorità garanti ed ai giudici nazionali, in Dir. com. scambi intern., 2004, p. 361; Scuffi, I riflessi<br />

ordinamentali ed organizzativi del Regolamento comunitario n. 1/2003 sulla concorrenza,<br />

in Corriere giur., 2004, p. 123 ss.


744 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mente, invece, dall’entrata in vigore del Reg. CE 1/2003 vi sono state 7 richieste<br />

di informazioni e 10 richieste di pareri ex art. 15.1, da parte di giudici<br />

degli Stati membri. In 3 casi, vi è stata una richiesta di parere e di<br />

informazioni ( 94 ). I pareri resi dalla Commissione verranno resi pubblici<br />

una volta che si sia concluso il giudizio dinnanzi al giudice nazionale che<br />

ne abbia fatto richiesta, salvo impedimenti di natura legale ( 95 ); al fine di<br />

evitare indirizzi divergenti nel rendere i pareri, la Commissione e l’autorità<br />

nazionale di concorrenza del paese interessato si informeranno reciprocamente<br />

della richiesta di parere da parte di un giudice nazionale ( 96 ).<br />

Ancora inutilizzato dalla Commissione risulta – salvo che in un recentissimo<br />

caso – l’ulteriore strumento di collaborazione “attiva” rappresentato<br />

dalla possibilità di presentare alle giurisdizioni nazionali osservazioni<br />

scritte (ed orali, ma su autorizzazione del giudice), in merito a giudizi nazionali<br />

che implichino questioni relative all’applicazione degli articoli 81-<br />

82 CE (c.d. amicus curiae) (art. 15.3), al fine di favorire una loro coerente<br />

applicazione.<br />

Peraltro, diversamente dalla gran parte degli Stati membri, nel nostro<br />

ordinamento non sono state ancora introdotte misure volte a coordinare<br />

il nuovo istituto dell’amicus curiae con la disciplina del processo civile,<br />

creando non poche incertezze circa la corretta collocazione dell’istituto<br />

tra le figure di intervento previste nel codice di procedura civile ( 97 ).<br />

Inoltre, nell’ordinamento italiano non risultano essere state adottate<br />

misure o provvedimenti per dare corso alla trasmissione sistematica delle<br />

sentenze dei giudici in applicazione degli articoli 81 e 82 CE (come previsto<br />

dall’art. 15.2, Reg. CE 1/2003) al fine di permettere alla Commissione<br />

di essere tempestivamente informata in merito a siffatte pronunce ed<br />

eventualmente intervenire nelle successive fasi del giudizio. A riprova di<br />

ciò – a differenza dei maggiori Stati membri – nessuna sentenza di giudici<br />

italiani figura nell’apposita sezione del sito internet della Commissione,<br />

dedicata alla pubblicazione delle versioni non confidenziali delle sentenze<br />

comunicate dai giudici nazionali in base al citato art. 15, paragrafo 2, Reg.<br />

CE 1/2003.<br />

In proposito, un modello interessante a cui poter fare riferimento ap-<br />

( 94 ) Dati aggiornati ad agosto 2006.<br />

( 95 ) Si veda in proposito la Relazione della Commissione sulla politica di concorrenza<br />

2005, punto 221.<br />

( 96 ) Relazione della Commissione sulla politica di concorrenza 2005, punto 220.<br />

( 97 ) Scuffi, L’istruttoria nei giudizi antitrust: collaborazione informativa e strumenti di indagine<br />

a disposizione del giudice nazionale, cit., p. 477.


SAGGI 745<br />

pare quello tedesco nel quale le sentenze dei giudici in applicazione degli<br />

artt. 81-82 CE devono essere sistematicamente inviate all’autorità antitrust<br />

nazionale (Bundeskartellamt) e da essa inviate alla Commissione europea<br />

( 98 ); questo sistema è funzionale a consentire anche all’autorità nazionale<br />

lo svolgimento del ruolo di amicus curiae.<br />

b) Come noto, la disciplina dei rapporti tra giudici nazionali ed autorità<br />

di concorrenza nazionali è rimessa essenzialmente alle discipline nazionali.<br />

Il Reg. CE 1/2003, art. 15.3, si limita essenzialmente a prevedere<br />

che anche le autorità nazionali di concorrenza possano svolgere un ruolo<br />

di amicus curiae in relazione a giudizi « in merito a questioni relative all’applicazione<br />

» degli artt. 81-82 CE. In proposito si osserva che, diversamente<br />

dall’ordinamento italiano, in molti Stati membri sono state introdotte<br />

apposite disposizioni per favorire lo svolgimento di tale funzione.<br />

Incidentalmente, deve comunque ritenersi che siffatta mancanza non sia<br />

ostativa all’esercizio di tale potere, direttamente conferito dal regolamento<br />

all’Autorità. Quest’ultima, tuttavia, non è ancora intervenuta come<br />

amicus curiae in giudizi nazionali.<br />

Si segnalano, invece, un numero limitato di richieste, da parte di giudici<br />

italiani, di copia di documenti in possesso dell’Autorità, relativi a procedimenti<br />

istruttori già conclusi con provvedimento finale.<br />

Si è trattato, per lo più, di richieste avanzate ex art. 213 c.p.c. nell’ambito<br />

di giudizi civili di risarcimento danni successivi alla conclusione dell’istruttoria<br />

che aveva condotto all’accertamento di un illecito antitrust da<br />

parte dell’Autorità ( 99 ).<br />

3.3.3. – La cooperazione tra autorità antitrust e giudici civili rappresenta<br />

un elemento importante per rendere nel suo complesso più efficace la<br />

tutela “binaria” della concorrenza, pur nella distinzione di ruoli e funzioni<br />

più volte richiamata.<br />

Appare tuttavia essenziale che siffatta cooperazione non possa incidere<br />

negativamente sulla funzionalità del procedimento amministrativo tramite<br />

il quale, come visto, si realizza la tutela della concorrenza nell’inte-<br />

( 98 ) La legge tedesca (artt. 90, 90a, ARC) prevede l’obbligo da parte dei giudici civili di<br />

inviare al Bundeskartellamt copia non solo delle sentenze adottate in applicazione delle<br />

norme antitrust comunitarie, ma ancor prima, degli atti introduttivi dei relativi giudizi.<br />

( 99 ) Molte delle richieste provenivano da Giudici di Pace nell’ambito di giudizi di risarcimento<br />

avviati da singoli consumatori contro compagnie di assicurazione a seguito della<br />

decisione del 28 luglio 2000 sul caso I377 RC Auto, riguardante una pratica concordata restrittiva<br />

della concorrenza, decisione in massima parte confermata dal Tar Lazio e dal Consiglio<br />

di Stato.


746 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

resse pubblico, ed il quale è strutturalmente più adatto (e forse il solo idoneo)<br />

all’accertamento ed alla repressione delle condotte anticoncorrenziali<br />

“segrete” (cartelli hard-core).<br />

In proposito, due sono le esigenze particolarmente rilevanti emerse<br />

nella disciplina comunitaria. Entrambi attengono alla tutela della riservatezza,<br />

in particolare, riguardanti (i) le informazioni sensibili acquisite al fascicolo,<br />

e (ii) le informazioni acquisite in attuazione dei programmi di clemenza.<br />

– Quanto alla prima, la tutela della riservatezza ha ad oggetto principalmente<br />

i segreti aziendali o le altre informazioni di natura sensibile ( 100 )<br />

che figurano nel fascicolo dell’istruttoria e la cui divulgazione sarebbe lesiva<br />

non solo, direttamente, dei diritti delle imprese che hanno chiesto ed<br />

ottenuto la tutela delle predette informazioni sensibili, ma, indirettamente,<br />

anche della funzionalità ed efficacia del procedimento antitrust in relazione<br />

al quale esse sono state acquisite. In proposito, la Comunicazione<br />

sulla cooperazione con i giudici condiziona espressamente la possibilità –<br />

da parte della Commissione – di fornire le predette informazioni ai giudici<br />

nazionali alla garanzia che essi tutelino adeguatamente la loro riservatezza,<br />

impedendone la divulgazione nell’ambito dei loro giudizi ( 101 ). In<br />

tal senso, si veda anche l’opzione n. 7 del Libro Verde.<br />

Rispetto a questa esigenza, che è propria anche delle istruttorie condotte<br />

dall’Autorità (nelle quali la riservatezza trova specifica tutela ( 102 )), si<br />

( 100 ) In base alla nuova Comunicazione della Commissione sull’accesso riguardante le<br />

regole per l’accesso al fascicolo istruttorio nei casi relativi all’applicazione degli articoli 81 e<br />

82 del Trattato CE, del regolamento (CE) n. 139/2004 (in G.U.U.E., C 325, 22 dicembre<br />

2005) costituiscono « segreti aziendali » tutte quelle informazioni riguardanti le attività<br />

commerciali di un’impresa che, se rese pubbliche, arrecherebbero all’impresa stessa un grave<br />

danno. Tra queste figurano le informazioni « di ordine tecnico e/o finanziario relative al<br />

know-how, i metodi di valutazione dei costi, i segreti ed i processi di produzione, le fonti di approvvigionamento,<br />

le cifre relative alla produzione e alle vendite, le quote di mercato, gli elenchi<br />

dei clienti e dei distributori, i piani di commercializzazione, la struttura dei costi e dei prezzi e<br />

la strategia di vendita ». Per « altre informazioni riservate » si intendono invece tutte le informazioni<br />

diverse dai segreti aziendali la cui divulgazione comporterebbe comunque un grave<br />

pregiudizio ad una persona o ad un’impresa, incluso il rischio di misure ritorsive da parte<br />

dei concorrenti. Tra esse rientrano anche le informazioni che potrebbero consentire alle<br />

parti l’identificazione dei denunzianti o di terzi i quali hanno interesse a rimanere anonimi.<br />

In tale categoria rientrano anche i segreti militari.<br />

( 101 ) Comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione tra la Commissione<br />

e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE ai fini dell’applicazione degli articoli 81 e 82 del<br />

Trattato CE, cit., punti 23, 24, 25.<br />

( 102 ) D.p.r. 217/98, art. 13.


SAGGI 747<br />

segnala che lo strumento della richiesta di informazioni del giudice alla P.<br />

A. previsto dall’art. 213 c.p.c., non sembra offrire garanzie adeguate, posto<br />

che le norme di attuazione ad esso collegate (artt. 76, 96 disp. att. c.p.c.)<br />

sembrano piuttosto volte a garantire pieno accesso al fascicolo alle parti<br />

del giudizio, in ossequio al principio del contraddittorio ( 103 ).<br />

In proposito, si segnala che, invece, la disciplina in materia di proprietà<br />

intellettuale e diritto d’autore (quest’ultima recentemente modificata)<br />

prevede espressamente che il giudice civile possa adottare gli opportuni<br />

accorgimenti per la tutela della riservatezza delle informazioni acquisite<br />

( 104 ). Sarebbe pertanto auspicabile che simili disposizioni venissero introdotte<br />

anche per quanto riguarda il contenzioso civile in materia antitrust.<br />

– Esigenze di riservatezza, se possibile, ancora maggiori sono quelle<br />

che caratterizzano, nel corso del procedimento amministrativo, le dichiarazioni<br />

con le quali le imprese, in attuazione di un programma di clemenza<br />

(leniency programme), forniscono informazioni determinanti per l’accertamento<br />

di intese anticoncorrenziali a cui hanno preso parte ( 105 ).<br />

Qui la riservatezza del trattamento di tali dichiarazioni è posta a salvaguardia<br />

della stessa funzionalità dei programmi di clemenza (per non pregiudicare<br />

gli incentivi delle imprese a farne uso), programmi che, come<br />

( 103 ) Cass., 22 febbraio 1990, n. 1304, in Riv. dir. int. priv. proc., 1991, p. 726.<br />

( 104 ) Si vedano gli artt. 121 e 128, comma 4, del d. lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale)<br />

ed in precedenza l’art. 77, r.d. n. 1127/1939, così come modificato dall’art. 23 del d.<br />

lgs. n. 198/1996, di attuazione in Italia dell’accordo TRIPs del 1994. Si veda anche l’art. 156bis,<br />

comma 3, nella legge 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore), recentemente introdotto<br />

dal d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140. Quest’ultima disposizione, in particolare, dispone:<br />

« Il giudice, nell’assumere i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2, adotta le misure idonee a<br />

garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte ».<br />

( 105 ) Per una rassegna delle specifiche esigenze di riservatezza in materia di leniency e delle<br />

tecniche adottate per assicurarla a livello comunitario, si veda Van Barlingen-Barennes,<br />

The European Commission’s 2002 Leniency Notice in practice, EU Competition Newsletter n.<br />

3/2005, p. 6 ss. Con riferimento all’interferenza degli strumenti di discovery con il funzionamento<br />

dei programmi di clemenza, si veda Nordlander, Discovering discovery – US Discovery<br />

of EC leniency statement, in ECLR, 2004, p. 646. Le esigenze di riservatezza delle dichiarazioni<br />

di leniency sono oggetto di particolare attenzione nell’ambito del modello standard di<br />

leniency programme elaborato in seno all’ECN, adottato il 29 settembre 2006. L’obiettivo è<br />

quello di evitare che la collaborazione di un’impresa nell’accertamento di un cartello possa<br />

esporla, sul piano civilistico, a conseguenze peggiori rispetto ad imprese che hanno rifiutato<br />

tale collaborazione. Si vedano in proposito, oltre allo oral statement, i limiti all’accesso previsti<br />

dai citati documenti: ECN Leniency Model Programme (punto 29); progetto di nuova comunicazione<br />

della Commissione sulla leniency (punti 33 e 34) del 29 settembre 2006.


748 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

detto, rappresentano strumenti preziosi di “emersione” dei fenomeni collusivi.<br />

Gli esiti dell’accertamento svolto dall’autorità di concorrenza – una<br />

volta resa pubblica la sua decisione – potranno poi essere utilizzati in sede<br />

di giudizio civile.<br />

Il Libro Verde ripropone questa esigenza di riservatezza (opzione n.<br />

28) che si ritiene meriti essere sostenuta, per le ragioni dette ( 106 ). Questa<br />

soluzione corrisponde, del resto, a quella già indicata, in generale, nella<br />

Comunicazione sulla leniency ( 107 ), nonché nella Comunicazione sulla<br />

cooperazione tra Commissione e giudici nazionali, come causa di esclusione<br />

dalla trasmissione di informazioni ex art. 15.1, Reg. CE 1/2003 ( 108 ).<br />

Sotto un ulteriore profilo, distinto dal problema della riservatezza ma<br />

pur sempre attinente ai rapporti tra public e private enforcement, si osserva<br />

che, a livello comunitario, l’adesione ad un programma di clemenza opera<br />

sul piano delle sanzioni amministrative, escludendone in tutto o in parte<br />

l’irrogazione, per le imprese che abbiano contribuito in maniera rilevante<br />

all’accertamento di un cartello. Non incide, invece, sulle « conseguenze<br />

sul piano del diritto civile » derivanti dalla partecipazione ad un’intesa<br />

illecita ex art. 81 CE ( 109 ).<br />

Il Libro Verde prevede di “collegare” i due profili, sanzionatorio e risarcitorio,<br />

al fine di rafforzare l’incentivo a far emergere i cartelli da parte<br />

delle imprese coinvolte. Questa impostazione trae spunto dall’esperienza<br />

statunitense, nella quale l’adesione ad un programma di clemenza esclude<br />

l’applicazione della regola del danno triplo (treble damage) in sede risarcitoria.<br />

In proposito, de iure condendo, potrebbe trovare accoglimento la proposta<br />

(Libro Verde, opzione n. 30) di escludere la responsabilità solidale<br />

(prevista nel nostro ordinamento dall’art. 2055 c.c.) nei confronti dell’im-<br />

( 106 ) In senso favorevole, si vedano anche i commenti al Libro Verde della Commissione<br />

formulati dal governo italiano, p. 8, ed anche dall’Office of Fair Trading, punto 3.6 ss. (entrambi<br />

disponibili sul sito della Commissione).<br />

( 107 ) Comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione<br />

dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese del 2002, cit., punti 32-<br />

33, in corso di revisione.<br />

( 108 ) « La Commissione non trasmetterà alle giurisdizioni nazionali le informazioni presentate<br />

volontariamente da un’impresa che abbia richiesto un trattamento favorevole, senza il consenso<br />

di quest’ultima »; cfr. Comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione<br />

tra la Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE ai fini dell’applicazione<br />

degli articoli 81 e 82 del Trattato CE, cit., punto 26.<br />

( 109 ) Comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione<br />

dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese, cit., punto 31.


SAGGI 749<br />

presa che ha chiesto di beneficiare della clemenza, collaborando fattivamente<br />

all’accertamento dell’illecito.<br />

4. – Dalle riflessioni che precedono possono trarsi le seguenti, schematiche<br />

considerazioni conclusive.<br />

Con riferimento ai nuovi poteri introdotti, in tutto o in parte, dalla<br />

legge n. 248/2006, appare corretto affermare che essi hanno rafforzato il<br />

ruolo dell’Autorità come public enforcer del diritto nazionale e comunitario<br />

della concorrenza, inserendosi – al contempo – in un processo di spontanea<br />

convergenza delle legislazioni antitrust nazionali degli Stati membri<br />

verso il « sistema comunitario ».<br />

D’altra parte, la recente legge, nella parte in cui ha novellato l’art. 2233<br />

del codice civile, consentendo accordi scritti tra avvocato e cliente sui<br />

compensi professionali, ha operato una scelta che agevola l’accesso al private<br />

enforcement, specie da parte dei soggetti economicamente più deboli,<br />

aprendo la strada a soluzioni già sperimentate nel diritto statunitense.<br />

Rimane il rammarico che il legislatore non abbia invece colto l’occasione<br />

per razionalizzare lo “spezzettamento ” delle competenze dei giudici<br />

civili in materia antitrust operando una loro riunificazione (come avvenuto<br />

in altri ordinamenti e ripetutamente auspicato da unanime dottrina),<br />

rappresentando tale assetto un obiettivo ostacolo allo sviluppo del private<br />

enforcement nel nostro paese.<br />

Riguardo, invece, al secondo dei profili trattati, quello dei rapporti ed<br />

interrelazioni tra public e private enforcement, si possono sottolineare i seguenti<br />

aspetti.<br />

In primo luogo, va rilevata la complementarietà del public e private<br />

enforcement, nel contesto di una « tutela binaria » della concorrenza.<br />

Siffatta complementarietà, tuttavia, non esclude, ma presuppone la distinzione<br />

di ruoli e funzioni, rispettivamente, delle autorità di concorrenza<br />

e dei giudici nazionali. Essa, quindi, va intesa nel senso che forme distinte<br />

di tutela della concorrenza (pubblica e privata), possono accrescere<br />

sensibilmente l’efficacia complessiva della tutela offerta dalle norme antitrust,<br />

e quindi il benessere della collettività.<br />

In secondo luogo, la distinzione dei ruoli e dei conseguenti strumenti<br />

di indagine e accertamento conferiti, rispettivamente, alle autorità di concorrenza<br />

ed ai giudici nazionali, pone esigenze sia di cooperazione che di<br />

coordinamento tra le due forme di enforcement, in modo che esse possano<br />

operare al meglio in maniera sinergica.<br />

Se da un lato, quindi, occorre un adeguato sviluppo degli strumenti di<br />

cooperazione, come quelli previsti dal Reg. CE 1/2003, appare opportuno


750 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

evitare che il loro operare possa incidere negativamente sulla funzionalità<br />

del public enforcement, in relazione a fattispecie – quali, in particolare, i<br />

cartelli segreti – per il cui accertamento, le autorità di concorrenza sono<br />

dotate di strumenti più efficaci, sia di indagine che di incentivazione alla<br />

loro « emersione spontanea », quali i programmi di clemenza di cui anche<br />

l’autorità di concorrenza italiana si sta dotando. Ciò, in considerazione<br />

del fatto che i risultati degli accertamenti svolti dalle autorità antitrust, già<br />

nella prassi attuale, rappresentano – una volta rese pubbliche le relative<br />

decisioni – degli importanti punti di riferimento valutativi, da cui il giudice<br />

quasi mai si è discostato. Come si è visto, in alcuni ordinamenti nazionali<br />

detti accertamenti vincolano formalmente i giudici. Pertanto, anche<br />

in considerazione dell’ampia partecipazione consentita ai concorrenti ed<br />

ai consumatori (e loro associazioni) – che di solito sono gli stessi soggetti<br />

eventualmente interessati a chiedere il risarcimento dei danni in sede civile<br />

– al procedimento antitrust (e ai relativi giudizi d’impugnazione), si<br />

prospetta l’opportunità che, in relazione alle predette fattispecie, il private<br />

enforcement (segnatamente, il giudizio di risarcimento del danno) segua la<br />

conclusione del procedimento antitrust.<br />

Alcune delle opzioni avanzate dal Libro Verde sono specificamente<br />

volte a migliorare i rapporti tra public e private enforcement, cercando di<br />

evitare che ciò possa pregiudicare la funzionalità dell’accertamento in via<br />

amministrativa ( 110 ) e, quindi, in definitiva la possibilità stessa di accertare<br />

gli illeciti antitrust più gravi, connotati da segretezza. In particolare, tra le<br />

esigenze più rilevanti, si segnalano quelle di garantire la riservatezza delle<br />

informazioni di natura sensibile (tra cui i business secrets) e delle dichiarazioni<br />

acquisite dalle imprese che abbiano aderito ad un programma di clemenza.<br />

( 110 ) In questo senso, si vedano anche i citati commenti dello Stato italiano al Libro<br />

Verde. In essi, è stata espressamente indicata l’opportunità che « il procedimento innanzi all’Autorità<br />

ed il processo dinnanzi all’autorità giudiziaria [vengano] coordinati fra loro e resi<br />

complementari l’uno all’altro, in modo da assicurare un’adeguata tutela degli interessi coinvolti<br />

e da non pregiudicare il procedimento dinanzi all’Autorità. Detto coordinamento, pertanto,<br />

dovrebbe essere differenziato – ad esempio – a seconda che il procedimento innanzi all’Autorità<br />

sia ancora aperto oppure già concluso ».


ERMENEGILDO MARIO APPIANO<br />

Parlamento Europeo e Commissione a confronto<br />

sulle delocalizzazioni industriali<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La posizione iniziale del Parlamento Europeo. – 3. La<br />

posizione iniziale della Commissione. – 4. Il compromesso.<br />

1. – Sulla delicata questione delle delocalizzazioni ( 1 ) industriali, sussisteva<br />

una riguardevole distanza tra la posizione assunta dal Parlamento<br />

Europeo e quella della Commissione. Ciò al punto che fra le due istituzioni<br />

la divergenza di opinione su tale fenomeno non concerneva solo<br />

il giudizio di valore, cosa poi condizionante l’individuazione delle eventuali<br />

reazioni da attuare, ma verteva addirittura sulla sua stessa percezione.<br />

Tale conflitto, da cui è scaturita un’interessante querelle a distanza tra<br />

le due istituzioni valorizzando il ruolo democratico del Parlamento, si è<br />

composto con un compromesso solo verso la metà dell’anno 2006, in occasione<br />

dell’approvazione delle misure di riforma sui Fondi strutturali europei.<br />

L’adozione dei relativi regolamenti ha necessariamente coinvolto<br />

anche il Consiglio, istituzione che sino a questo momento si era tenuta<br />

prudentemente fuori da tale dibattito.<br />

Prima di illustrare le posizioni su cui erano inizialmente attestati i no-<br />

( 1 ) Il tema delle delocalizzazioni è affrontato nella letteratura con tagli molto diversi.<br />

Tra le opere più recenti: Corò, Verso una governance dei processi di delocalizzazione produttiva,<br />

in Quaderni rassegna sindacale, 2004, n. 2, p. 79; Corò-Tattara-Volpe, Andarsene per<br />

continuare a crescere: la delocalizzazione internazionale come strategia competitiva, Roma,<br />

2006; Fintoni, Produrre e distribuire moda: sourcing e delocalizzazione in un contesto globale:<br />

dove, come, con chi, Milano, 2005; Forum internazionale «Testa a testa. Lavoro versus capitale<br />

», Roma, aprile 2004 (pubblicato a Milano nel 2005); Gomierato, Le delocalizzazioni<br />

dell’abbigliamento in Romania: il caso Stefanel, in Economia e società regionale, 2004, n. 2, p.<br />

63; Perulli, Diritti e globalizzazione. Un’anima per il commercio. Come tutelare i lavoratori di<br />

fronte all’accresciuta concorrenza internazionale e ai processi di delocalizzazione produttiva, in<br />

Rassegna Sindacale, 2001, n. 1; Schiavone, Un caso meridionale di delocalizzazione produttiva:<br />

finalità, strategie e ipotesi, in Economia e società regionale, 2004, n. 3, p. 129; Stevanato,<br />

Fisco e delocalizzazione, in Economia e società regionale, 2004, n. 3, p. 84; Unione delle Camere<br />

di commercio lombarde, Delocalizzazione produttiva e investimenti all’estero delle<br />

imprese manifatturiere lombarde, Milano, 1998.


752 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

stri protagonisti, cerchiamo di capire in estrema sintesi quale sia il problema<br />

sul tappeto, rappresentante uno degli aspetti della globalizzazione ( 2 ).<br />

L’apertura mondiale dei mercati spinge – fra l’altro – le imprese a chiu-<br />

( 2 ) Parimenti eterogenea la bibliografia in tema di globalizzazione, di cui si può citare:<br />

Abete, Abitare la società globale per una globalizzazione sostenibile, Milano, 1997; Abravanel,<br />

Le alleanze strategiche come via alla globalizzazione, Milano, 1990; Agnelli, Cultura<br />

europea e globalizzazione, Pontedera, 1996; Agnoletto, Prima persone: le nostre ragioni contro<br />

questa globalizzazione, Roma, 2003; Alston, Diritti umani e globalizzazione: il ruolo dell’Europa,<br />

Torino, 1999; Amoroso, L’apartheid globale: globalizzazione, marginalizzazione<br />

economica, destabilizzazione politica, Roma, 1999; Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia,<br />

Roma, 2002; Baricco, Next: piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che<br />

verrà, Milano, 2002; Beck, Che cos’è la globalizzazione: rischi e prospettive della società planetaria,<br />

Roma, 1999; Bovè- Dufour, Il mondo non è in vendita: agricoltori contro la globalizzazione<br />

alimentare, Milano, 2000; Caroli, Globalizzazione e localizzazione dell’impresa internazionalizzata,<br />

Milano, 2000; Conferenza nazionale sull’Organizzazione mondiale<br />

del Commercio, Le frontiere della globalizzazione: negoziati commerciali e riforma dell’OMC,<br />

Roma, 2001; Della Porta, I new global, Bologna 2003; Ferrara, Stato sociale e<br />

mercato mondiale: il welfare state europeo sopravviverà alla globalizzazione dell’economia?,<br />

Torino, 1993; Federazione universitaria cattolica italiana, Globalizzazione e solidarietà,<br />

Roma, 2002; Fondazione Courmayeur, Atti del convegno Antitrust e globalizzazione,<br />

Milano, 2004; Fortis, Le due sfide del made in Italy; globalizzazione e innovazione: profili di<br />

analisi della seconda conferenza nazionale sul commercio con l’estero, Bologna, 2005; French,<br />

Ambiente e globalizzazione: le contraddizioni tra neoliberismo e sostenibilità, Milano,<br />

2000; Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Roma, 2000; Giddens, Il mondo che cambia:<br />

come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Bologna, 2000; Hardt-Negri, Impero: il<br />

nuovo ordine della globalizzazione, Milano, 2002; Kaldor, L’altra potenza, la società civile:<br />

diritti umani, democrazia, globalizzazione, Milano, 2004; Luttwark, La dittatura del capitalismo:<br />

dove ci porteranno il liberalismo selvaggio e gli eccessi della globalizzazione, Milano,<br />

1999; Lafay, Capire la globalizzazione, Bologna, 1998; Majone, La globalizzazione dei mercati;<br />

storia, teoria, istituzioni, Milano, 2004; Ohmae, Il continente invisibile: oltre la fine degli<br />

Stati-nazione. Quattro imperativi strategici nell’era della rete e della globalizzazione, Roma,<br />

2001; Perfetti-Ravasi, Identità europea geopolitica e globalizzazione, Milano, 2003; Romano,<br />

Globalizzazione del commercio e fenomenologia del diritto: saggio su diritto e identità, Torino,<br />

2001; Rossi, Quali regole per la globalizzazione?, in De Gregorio (a cura di), Temi scelti<br />

di storia e diritto tra cultura e istituzioni, Roma, 2004; Sachs, Ambiente e giustizia sociale: i limiti<br />

della globalizzazione, Roma, 2002; Sen, Globalizzazione e libertà, Milano, 2003; Soros,<br />

Globalizzazione, Milano, 2002; Scott, Le regioni nell’economia mondiale: produzione, competizione<br />

e politica nell’era della globalizzazione, Bologna, 2001; Spybey, Globalizzazione e<br />

società mondiale, Trieste, 1997; Stiglitz, In un mondo imperfetto: stato, mercato e democrazia<br />

nell’era della globalizzazione, Roma, 2001; Stiglitz-Cavallini, La globalizzazione e i<br />

suoi oppositori, Torino, 2002; Tan Kon Yam, Rapporto ASEAN: il futuro del sud-est asiatico<br />

fra integrazione regionale e globalizzazione, Torino, 1996; Tanzi, Globalizzazione e sistemi fiscali,<br />

Arezzo, 2002; Valentini, Responsabilità sociale dell’impresa e globalizzazione: verso<br />

un’internazionalizzazione sostenibile, Milano, 2004; Venier, Il disastro di una nazione: saccheggio<br />

dell’Italia e globalizzazione, Padova, 1999.


SAGGI 753<br />

dere le unità produttive, anche se tecnologicamente avanzate, situate nei<br />

paesi ove i costi di produzione sono maggiori, per trasferire gli impianti in<br />

quegli Stati ove esistono minori vincoli operativi (quali la legislazione a<br />

protezione dell’ambiente nonché a salvaguardia della salute della manodopera),<br />

i salari risultano decisamente inferiori ed i contributi previdenziali<br />

magari addirittura assenti o ridotti al minimo. Trattasi poi di un fenomeno<br />

a cascata: se a delocalizzare è un’impresa di ragguardevoli dimensioni,<br />

anche l’indotto segue suo malgrado la via della chiusura o, quanto<br />

meno, del drastico ridimensionamento.<br />

Evidenti le ripercussioni di tali decisioni sul territorio degli Stati ovvero<br />

delle regioni che subiscono la delocalizzazione: la chiusura delle fabbriche<br />

comporta gravi scompensi non solo a livello occupazionale, ma<br />

dell’intero sistema economico. In altre parole, la società tende ad impoverirsi,<br />

dove avviene una diffusa cessazione delle attività produttive.<br />

È poi vero che, in passato, si sono affrontate gravi crisi industriali, le<br />

quali nell’Europa comunitaria (allora ancora ristretta alla parte occidentale<br />

del continente) hanno talora colpito con maggiore veemenza alcuni<br />

specifici settori imponendone la drastica riduzione, com’è accaduto per<br />

l’industria siderurgica, quella carboniera e la cantieristica navale. All’epoca,<br />

tuttavia, gli altri settori industriali sostanzialmente resistevano, per cui<br />

si poteva confidare nel loro perdurante apporto a sostegno dell’occupazione<br />

e dell’economia nonché puntare a svilupparli investendo in tecnologia,<br />

che era un patrimonio di conoscenze non così diffuso o disponibile come<br />

oggi. Inoltre, all’epoca i mercati mondiali erano più chiusi e le crisi venivano<br />

perlopiù vissute come un momento grossomodo difficile per tutti gli<br />

Stati industrializzati. Al contrario, a fronte di un’annaspante Europa ( 3 ) attualmente<br />

si assiste alla portentosa crescita di nuove potenze economiche<br />

a livello mondiale (quanto meno Cina e India), in precedenza percepite<br />

come paesi “innocui” o addirittura come (ingenuamente sperato? ( 4 ))<br />

« terreno di conquista » per le nostre imprese.<br />

Per chi vive in una regione sviluppata ed assiste a ripetuti episodi di<br />

chiusura delle aziende lì situate, accompagnati dalla mancanza di serie<br />

prospettive sulla creazione di nuove e stabili fonti di reddito in loro sostituzione,<br />

le operazioni di delocalizzazione rappresentano perciò una delle<br />

più preoccupanti criticità discendenti dalla globalizzazione.<br />

( 3 ) Nardozzi, Giganti asiatici e rigidità europee, ne Il Sole/24 Ore, 5 maggio 2006, p. 1.<br />

( 4 ) Basti pensare alla seguente notizia: «Mittal vicina a Arcelor – Atteso oggi il via libera<br />

all’OPA indiana », ne Il Sole/24 ore, 25 giugno 2006, p. 1 (Arcelor è un colosso europeo dell’industria<br />

siderurgica, conteso dall’indiana Mittal e dalla russa Severstal).


754 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Nella dimensione comunitaria, le delocalizzazioni avvengono su due<br />

diverse direttrici, pur partendo principalmente sempre dai medesimi Stati<br />

membri, e cioè quelli al momento più industrializzati.<br />

La prima direzione comporta uno spostamento intra-comunitario delle<br />

unità produttive, che tendono a muovere verso i paesi di nuova adesione.<br />

Ostacolare simile flusso può significare scontrarsi non solo con le<br />

aspettative degli Stati membri di nuova adesione, ma anche con i diritti di<br />

libera circolazione sanciti dal Trattato ( 5 ).<br />

Il pericolo di un simile conflitto non si pone, invece, per la seconda direzione,<br />

rappresentata dal trasferimento delle unità produttive fuori dai<br />

confini comunitari. Semmai, qui insorgono i vincoli contenuti negli accordi<br />

commerciali conclusi dalla Comunità con gli Stati terzi ( 6 ) (primi tra<br />

tutti quelli discendenti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio),<br />

oltre alla eventuale necessità di non compromettere i rapporti di natura<br />

commerciale o politica.<br />

2. – Con una recente risoluzione ( 7 ), che ribadiva e nel contempo approfondiva<br />

considerevolmente il contenuto di una propria posizione<br />

espressa durante il corso della precedente legislatura ( 8 ), il Parlamento Europeo<br />

ha colto senza mezzi termini tutta la drammaticità delle delocalizzazioni:<br />

... omissis ...<br />

C. whereas companies choose to relocate their activities for manifold reasons, some<br />

of which are in no way connected to issues of productivity, efficiency or economic<br />

viability; whereas such relocation is liable, however, to result in major job losses and<br />

economic hardships whose impact on regional development will be all the more pronounced<br />

where there are few employment possibilities in the region abandoned,<br />

... omissis ...<br />

( 5 ) Rapport sur les délocalisations dans le contexte du développement régional (curato da<br />

Alain Hutchinson), 2004/2254 (INI), p. 11.<br />

( 6 ) Commissione europea, Comunicazione sulle ristrutturazioni e occupazione – Anticipare<br />

e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l’occupazione: il ruolo dell’Unione Europea,<br />

COM (2005) 120 def., p. 5.<br />

( 7 ) Risoluzione del Parlamento Europeo sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo<br />

regionale, approvata il 14 marzo 2006 (P6_TA-PROV(2006) 0099; AE-0013/2006), attualmente<br />

ancora non disponibile nella versione in lingua italiana. Da ora: la risoluzione sulle<br />

delocalizzazioni. Si veda anche Il Sole/24 Ore, 4 febbraio 2005, p. 2.<br />

( 8 ) Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 marzo 2003 sulla chiusura delle imprese<br />

dopo la concessione di assistenza finanziaria dell’Unione Europea (P5_TA (2003) 0106, in<br />

G.U.C.E., C 61 E, 10 marzo 2003).


SAGGI 755<br />

E. whereas globalisation, technological progress and the removal of barriers to the<br />

access of certain countries facilitates international trade and presents the European<br />

Union with opportunities in a globalised world, but may also increase the risks of relocation,<br />

... omissis ...<br />

1. Points out that company relocation is a serious concern in several Member States.<br />

Il Parlamento ha preso le mosse da un elemento fattuale notorio: il sistema<br />

produttivo europeo è influenzato in misura sensibile dalla presenza<br />

di numerosi incentivi pubblici alle imprese, rappresentati sia dai finanziamenti<br />

erogati tramite i fondi strutturali europei, sia dagli aiuti di Stato.<br />

Entrambi sono controllati dalla Comunità: i primi, dettando le regole per<br />

l’accesso ai benefici previsti dai Fondi strutturali; i secondi, mediante l’applicazione<br />

delle norme in materia di concorrenza (e cioè stabilendo – in<br />

virtù di quanto disposto dall’art. 87, comma 3°, del Trattato CE – le condizioni<br />

cui devono sottostare gli Stati per concedere, sotto qualsiasi forma,<br />

sovvenzioni alle imprese site sul loro territorio, in deroga al divieto altrimenti<br />

stabilito dal primo comma della medesima norma) ( 9 ).<br />

Ciò considerato, secondo il Parlamento la Comunità deve allora attivarsi<br />

su ogni fronte, sì da evitare che qualsiasi finanziamento pubblico<br />

(comunitario o statale) vada ancora a beneficio di imprese che delocalizzano,<br />

una volta godute le risorse messe a disposizione nel precipuo intento<br />

di evitare la chiusura tout court dei loro stabilimenti ovvero di favorire<br />

lo sviluppo e l’occupazione nella regione europea in cui essi sono siti.<br />

L’adozione di tale misura presenta un’unica difficoltà, insorgente peraltro<br />

solo al livello delle delocalizzazioni intra-comunitarie: conciliare la<br />

tutela dell’occupazione (e della relativa ricchezza) negli Stati membri, dove<br />

si rischia la chiusura degli stabilimenti, con le aspirazioni di crescita in<br />

capo agli altri paesi aderenti all’Unione che sarebbero destinati a ospitare<br />

la nuova sede degli impianti produttivi trasferiti.<br />

Per risolvere il dilemma, il Parlamento si è allora richiamato ai compiti<br />

di coesione economico sociale affidati alla Comunità ( 10 ), individuando<br />

la necessità di operare un attento bilanciamento tra le posizioni dei paesi<br />

diversamente coinvolti dalle operazioni di delocalizzazione. Il punto focale<br />

dell’intero ragionamento – che, sul piano politico, poteva verosimil-<br />

( 9 ) Tesauro, Diritto comunitario, 2005, p. 775, evidenzia come l’applicazione delle regole<br />

del Trattato in materia di aiuti di Stato consente alla Commissione di contribuire alla definizione<br />

di vere e proprie linee di politica industriale a livello comunitario.<br />

( 10 ) Si veda il preambolo al Trattato della Comunità Europea e le seguenti sue disposizioni:<br />

art. 2; art. 3, comma 1°, lettera k; artt. da 158 a 162.


756 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mente svolgere solo il Parlamento Europeo nella sua attuale composizione<br />

allargata agli eletti provenienti dagli Stati di nuova adesione – è negare<br />

di dover privilegiare sempre ed esclusivamente i paesi meno sviluppati. Se<br />

è vero che la politica di coesione impone di aiutare la crescita delle regioni<br />

più in ritardo, per il Parlamento ciò non vale, qualora le loro possibilità<br />

di progresso economico discendano da un’operazione di delocalizzazione<br />

industriale, compiuta ai danni di un’altra regione europea, dove la chiusura<br />

degli stabilimenti lascia dietro sé una grave situazione occupazionale<br />

difficilmente assorbibile:<br />

B. whereas Cohesion Policy is an instrument of the European Union that enables<br />

it to reduce disparities affecting the poorest regions and it is essential to support companies<br />

and invest in infrastructure projects within those regions; whereas public aid is<br />

a legal instrument for achieving that objective,<br />

C. whereas companies choose to relocate their activities for manifold reasons, some<br />

of which are in no way connected to issues of productivity, efficiency or economic<br />

viability; whereas such relocation is liable, however, to result in major job losses and<br />

economic hardships whose impact on regional development will be all the more pronounced<br />

where there are few employment possibilities in the region abandoned,<br />

... omissis ...<br />

2. Calls for the objective of economic, social and territorial cohesion and the strategic<br />

goals of full employment, along with rights and social progress, set out in Article<br />

1-3(3) of the draft Constitutional Treaty, to be respected and implemented, and calls<br />

for practices that are not conducive to the achievement of those goals, such as relocation<br />

that is not justified from the point of view of economic viability or that is liable to<br />

lead to substantial job losses, not to be supported financially by the EU;<br />

3. Points out that the Structural and Cohesion Funds must serve the purpose of<br />

cohesion consisting of promoting cohesiveness and solidarity between Member States,<br />

and that efforts must focus as a priority on the regions lagging behind economically;<br />

... omissis ...<br />

6. Stresses the necessity for the Commission and Member States to initiate the<br />

adoption of measures at national and Community levels to prevent the potential negative<br />

impacts on economic development and the social tragedies engendered by the<br />

loss of direct or indirect employment in regions of the European Union from which<br />

companies pull out and which have little or no ability to restructure themselves.<br />

Sulla base di tale indispensabile e coraggiosa premessa, espressa in<br />

termini ancora più netti nel “rapporto” di accompagnamento al progetto<br />

di risoluzione approvato dall’aula ( 11 ), il Parlamento ha considerato mina-<br />

( 11 ) Rapport sur les délocalisations dans le contexte du développement régional (curato da<br />

Alain Hutchinson), cit., p. 11: «La problématique de la délocalisation se pose de manière quelque<br />

peu différente selon qu’elle se réalise au sein de l’Union européenne ou en dehors de


SAGGI 757<br />

ti gli stessi obiettivi della politica comunitaria di sviluppo regionale, quando<br />

le delocalizzazioni producono effetti devastanti per l’economia dello<br />

Stato membro abbandonato.<br />

Così giustificata la misura proposta, vediamo come il Parlamento ha<br />

pensato di attuarla.<br />

Il primo modo consiste nell’imporre alle imprese di non delocalizzare,<br />

come condizione da accettare liberamente per accedere alle sovvenzioni<br />

comunitarie o agli aiuti di Stato.<br />

Il secondo è recuperare attivamente quanto erogato, magari comminando<br />

anche sanzioni o altre penalità qualora, nonostante gli impegni assunti<br />

dal beneficiario dei provvedimenti di sostegno, egli delocalizzi<br />

egualmente la propria attività, una volta incassati i finanziamenti pubblici.<br />

Introducendo siffatti correttivi all’attuale sistema, si conseguirebbe<br />

contestualmente un duplice obiettivo: creare un deterrente a simili condotte<br />

delle imprese nonché evitare un ingente spreco di fondi preziosi ( 12 ):<br />

celle-ci. Au sein de l’Union, force est de constater que la libre circulation des personnes, des<br />

biens et des capitaux est consacrée par le Traité instituant la Communauté européenne et que,<br />

dès lors, il est difficile de prôner une interdiction absolue de choisir le lieu d’installation de son<br />

siège d’activités, d’autant plus qu’une telle interdiction entraînerait un immobilisme négatif<br />

pour l’économie européenne. Par contre, il convient de s’interroger sur l’opportunité de repenser<br />

une nouvelle politique économique qui s’emploierait notamment à renforcer la cohésion économique,<br />

sociale et territoriale. A cet égard, il convient également de relever que l’article 1-3 du<br />

projet de Traité constitutionnel a érigé en objectif majeur de l’Union le plein emploi et le progrès<br />

social. Dès lors, un encadrement des principes de libre circulation devrait pouvoir se réaliser<br />

dans la mesure où il s’inscrit dans la politique de cohésion, axe prioritaire de la politique de<br />

l’Union. L’objectif de la politique de cohésion repose, en effet, sur un développement harmonieux<br />

et solidaire de l’ensemble des régions d’Europe. Il est, dès lors, contraire à cet objectif de<br />

combler le retard de développement économique et social de certaines régions en favorisant des<br />

méthodes qui conduisent à provoquer un déficit de développement dans d’autres régions d’Europe,<br />

comme le font les délocalisations. ... omissis . . . Par ailleurs, ne devraient pouvoir bénéficier<br />

d’une participation des Fonds, les entreprises ayant leur siège dans un pays membre et qui<br />

délocalisent leurs activités dans un autre pays membre. Une disposition similaire qui vise à interdire<br />

l’octroi d’aides nationales à ces entreprises, devrait faire partie des nouvelles lignes directrices<br />

des aides d’d’État à finalité régionale ».<br />

( 12 ) Emblematico parrebbe il recentissimo caso in Italia dello Zuccherificio di Casei di<br />

Gerola vicino a Pavia. Seppure dotato di impianti tecnologicamente avanzati e capaci di<br />

realizzare un prodotto caratterizzato da un livello qualitativo elevato ed appetibile sul mercato,<br />

detta impresa ha annunciato nell’anno 2006 la propria intenzione di chiudere per delocalizzare<br />

in altro Stato, e ciò dopo aver beneficiato (a quanto si apprende dagli organi di<br />

stampa) di contributi comunitari legati al settore agricolo. Tale scelta gestionale comporta<br />

la minaccia di una grave crisi nel mondo contadino delle province di Pavia, Parma ed Alessandria,<br />

per il quale la coltivazione delle barbabietole da zucchero nelle aree di pianura rap-


758 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

D. . . . omissis ...; whereas the European Parliament, in its resolution of 6 July<br />

2005, called for the adoption of all necessary legal measures to ensure that firms which<br />

receive Community funding do not relocate for a long and predetermined period,<br />

and for a provision ruling out the cofinancing of operations which result in substantial<br />

job losses or the closure of plants at their existing locations; whereas it also considered,<br />

in its resolution of 15 December 2005, that EU aid for company relocations does<br />

not provide any European added value and should therefore be avoided,<br />

... omissis ...<br />

F. whereas public aid must contribute to creating lasting employment,<br />

... omissis ...<br />

16. Calls on the Commission to make the grant and continued payment of public<br />

aid from the budget of the European Union or a Member State conditional on precise<br />

commitments on employment and local development that are binding on the management<br />

of the company and that of the local, regional and national authorities concerned;<br />

17. Alerts the Commission to the importance of ensuring that these subsidies<br />

carry solid guarantees on long-term employment and regional growth;<br />

18. Calls on the Commission to implement effectively the existing provisions with<br />

regard to reimbursement of subsidies by companies which fail to respect their obligations<br />

with regard to investment for which they have received public subsidy and to<br />

submit a report on the implementation of those provisions;<br />

19. Calls likewise on the Commission and the Member States to list companies<br />

which infringe rules on State aid or Community funds by proceeding to relocate their<br />

activity within or out of the EU without having fulfilled the requirement on perenniality<br />

contained in the rules concerned;<br />

... omissis ...<br />

29. Calls on the Commission, in line with its proposals in connection with the<br />

reform of the Structural Funds, to draw up provisions designed to penalise more severely<br />

companies which, after having received public subsidies, relocate all or part of<br />

their activity outside the European Union.<br />

Per il Parlamento, dunque, l’interesse comunitario impone che la concessione<br />

di sussidi alle imprese, a prescindere dalla provenienza dei relativi<br />

fondi, risulti finalizzata a creare occupazione stabile nel tempo e non<br />

evanescenti posti di lavori ( 13 ), suscettibili di volatilizzarsi all’istante, se<br />

l’impresa delocalizza dopo essere stata assistita:<br />

presenta una rilevante componente del proprio reddito. Per scongiurare simile rischio, le<br />

autorità pubbliche sembrano intenzionate (sempre a quanto si apprende dai giornali) a finanziare<br />

una riconversione degli impianti in via di dismissione, in modo che continuino ad<br />

assorbire la locale produzione agricola trasformandola in prodotti differenti dallo zucchero<br />

alimentare. Ciò potrebbe anche influire sui futuri metodi di produzione, esasperandone gli<br />

aspetti intensivi, con conseguenti ripercussioni sul piano ambientale.<br />

( 13 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punti 25<br />

e 26.


SAGGI 759<br />

26. Considers that the use of Community funds, and especially funding for industry<br />

and from the European Social Fund, should be made subject to specific rules relating<br />

to innovation, local development, employment, and to production commitments<br />

within the territory, in the long term ( 14), of the undertakings benefiting from<br />

these funds; calls in particular for the rules on use of the Structural Funds to be respected<br />

and reinforced.<br />

Quanto alle procedure, idonee ad introdurre nell’ordinamento<br />

comunitario i meccanismi giuridici concretamente azionabili per imporre<br />

vincoli idonei al raggiungimento di tale fine, il ruolo del Parlamento<br />

Europeo differisce notevolmente. Mentre esso può concorrere<br />

a stabilire le regole di accesso ai Fondi strutturali comunitari ( 15 ), al<br />

contrario tale istituzione si vede alquanto marginalizzata nella definizione<br />

della politica comunitaria della concorrenza in materia di aiuti<br />

di Stato, che – fatta salva la consultazione prevista dall’art. 88 del<br />

Trattato – risulta principalmente ad appannaggio della Commissione.<br />

Per superare tale discrasia, il Parlamento ha fatto leva sulla necessità<br />

che l’azione della Comunità sia coordinata e coerente nell’abito<br />

di tutte le politiche perseguite:<br />

A. whereas the goal of regional development policy is to encourage the development<br />

of the regions of the European Union, and to this end, it is necessary to ensure<br />

consistency between regional development policy and competition policy, and whereas<br />

this means that public aid must not provide a spur to the relocation of economic<br />

activity.<br />

( 14 ) Neretto e sottolineatura da me aggiunti.<br />

( 15 ) Il Parlamento Europeo è coinvolto – mediante l’applicazione della procedura di codecisione<br />

di cui all’art. 251 del Trattato – per quanto concerne le decisioni: sull’applicazione<br />

del Fondo Sociale Europeo (art. 148 dello stesso), del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale<br />

(art. 162, comma 1°), del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia, sezione<br />

“orientamento” (art. 162, comma 2°); sulle misure comunitarie atte a contribuire all’azione<br />

comunitaria in materia di formazione professionale (art. 150, il quale prevede – tra<br />

l’altro – che la Comunità si adoperi per facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali,<br />

in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale); sull’applicazione<br />

del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (art. 162). Fatto salvo quanto appena detto,<br />

il Parlamento è invece chiamato ad esprimere un parere conforme, qualora il Consiglio<br />

intenda definire i compiti, gli obiettivi prioritari e l’organizzazione dei fondi a finalità strutturale<br />

(art. 161). Lo stesso vale se il Consiglio procede a individuare le norme generali applicabili<br />

ai fondi nonché le disposizioni necessarie per garantire l’efficacia ed il coordinamento<br />

dei fondi tra loro e con gli altri strumenti finanziari esistenti (sempre art. 161). Il<br />

Fondo di Coesione è stato istituito con il regolamento CE del Consiglio del 16 maggio 1994,<br />

in G.U.C.E., L 130, 25 maggio 1994, con parere conforme del Parlamento espresso il 5 maggio<br />

1994.


760 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

In effetti, è il Trattato stesso ad imporre coerenza all’art.161, prevedendo<br />

espressamente la procedura per il coordinamento dei Fondi strutturali<br />

e degli altri strumenti finanziari esistenti, e cioè dei mezzi economici messi<br />

direttamente a disposizione della Comunità per perseguire, tramite le<br />

proprie politiche, gli scopi indicati dal Trattato stesso. Scendendo al livello<br />

di queste ultime, quella in campo industriale ( 16 ) fa carico alla Comunità<br />

di contribuire a promuovere la competitività delle imprese europee,<br />

operando non solo attraverso il ricorso ai predetti mezzi finanziari propri,<br />

ma agendo anche ( 17 ) nell’ambito di tutte le altre politiche attribuite alla<br />

sua competenza, ivi compresa quella in materia di concorrenza. Sarebbe<br />

allora del tutto incongruo sostenere che, nel conseguire gli obiettivi di politica<br />

industriale, l’azione della Comunità possa divergere, a seconda che<br />

vengano utilizzati i Fondi strutturali ovvero le azioni basate sulla politica<br />

della concorrenza, le quali nella fattispecie si attuano definendo le condizioni<br />

cui devono conformarsi gli aiuti di Stato per risultare leciti ( 18 ). Se<br />

così invece fosse, verrebbe infatti meno l’efficacia stessa dell’intera azione<br />

comunitaria.<br />

Tali argomenti emergevano compiutamente già in una precedente risoluzione<br />

del Parlamento ( 19 ):<br />

H. considerando l’opportunità di assicurare la coerenza fra la politica di concorrenza<br />

e quella di sviluppo regionale e che, di conseguenza, gli aiuti pubblici non possono<br />

rappresentare un incentivo alla dislocazione di attività economiche,<br />

... omissis ...<br />

26. conferma che specialmente le imprese recentemente beneficiarie di incentivi<br />

UE non possono ricevere nuovi mezzi di promozione sulla base di semplici delocalizzazioni<br />

di stabilimenti;<br />

( 16 ) Ai sensi dell’art. 157, comma 3°, del Trattato, gli obiettivi di politica industriale vanno<br />

perseguiti dalla Comunità «attraverso politiche ed azioni da essa attuate ai sensi di altre<br />

disposizioni del presente trattato » e mediante misure specifiche eventualmente poste in essere.<br />

( 17 ) Art. 175, comma 3°, del Trattato.<br />

( 18 ) Risoluzioni del Parlamento Europeo: del 15 dicembre 2005 sul ruolo degli aiuti di<br />

Stato diretti quale strumento di sviluppo regionale (P6_TA-PROV(2005)0527; AE-0364/2005),<br />

punti A e B nonché punti 37 e 38; del 22 aprile 2004 sulla comunicazione della Commissione<br />

relativa alla terza relazione sulla coesione economica e sociale (P5_TA(2004)0368; A-<br />

50272/2004), punti 41 e 42.<br />

( 19 ) Risoluzione del Parlamento Europeo del 6 luglio 2005 sulla proposta di regolamento<br />

del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo<br />

sociale europeo e sul Fondo di coesione: P6_TA(2005)0277 – interinstitutional file –<br />

2004/163(AVC).


SAGGI 761<br />

... omissis ...<br />

74. è favorevole al fermo intento di conseguire un coordinamento migliore con altre<br />

politiche settoriali; riconosce in tale contesto che la coerenza e la complementarità<br />

saranno rafforzate dalla concentrazione della politica regionale su tematiche limitate e<br />

dall’esistenza di una strategia globale di coesione;<br />

... omissis ...<br />

78. sollecita la Commissione a provvedere affinché la politica regionale europea<br />

non favorisca la delocalizzazione delle imprese.<br />

Un terreno fertile per le delocalizzazioni all’interno dell’Unione non<br />

scaturisce solo dall’assenza dei vincoli anzidetti all’erogazione di sussidi.<br />

Secondo il Parlamento, ad indurle sarebbe altresì complice l’esistenza di<br />

significative differenze nelle varie regioni europee, specie in quelle rispettivamente<br />

limitrofe, tra i massimali autorizzati dalla Commissione all’intensità<br />

degli aiuti statali ovvero tra le somme all’uopo stanziate dai pubblici<br />

poteri nazionali. Per evitare allora una competizione piuttosto poco<br />

proficua tra sistemi, perché rischia di essere fondata non tanto su elementi<br />

di efficienza quanto sulla concessione di regalie i cui costi vanno a carico<br />

della collettività, il Parlamento ha a sua volta invitato gli Stati membri<br />

a contenere la concessioni di aiuti ( 20 ).<br />

Per quanto invece concerne le delocalizzazioni extra-comunitarie, risulta<br />

meno problematico cercare di contenerle vietandone la realizzazione<br />

alle imprese, che abbiano in precedenza beneficiato di sussidi (fondi<br />

comunitari o aiuti di Stato), ovvero imponendo loro di restituire quanto<br />

percepito. Come già spiegato, in tali circostanze non è necessario giustificare<br />

– sia giuridicamente che politicamente – tale approccio alla luce del<br />

principio di coesione, siccome quest’ultimo non concerne evidentemente<br />

i rapporti tra la Comunità ed i paesi terzi.<br />

Oltre alla strategia sin qui illustrata, contro le delocalizzazioni aventi<br />

questo secondo flusso direzionale il Parlamento ha suggerito anche il ricorso<br />

ad altri strumenti, la cui operatività non pare però immediata sul<br />

piano pratico.<br />

Da un canto, la Commissione è stata invitata a promuovere l’inclusione<br />

di « clausole sociali » nei trattati internazionali di cui è parte la Comunità,<br />

in modo da impegnare gli Stati terzi firmatari a garantire anche sul<br />

loro territorio il rispetto dei diritti umani, ivi compresi quelli sindacali ( 21 ).<br />

( 20 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 15:<br />

«Reiterates its call for State aid law to be coherent and for excessive disparity in assistance<br />

between neighbouring regions to be avoided ».<br />

( 21 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 21:


762 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Se ciò dovesse accadere e gli impegni fossero poi effettivamente rispettati<br />

da tali paesi, oltre ad avere conseguito un risultato di per sé nobile ( 22 ), la<br />

Comunità otterrebbe anche quello di vedere aumentare i costi di produzione<br />

in tali luoghi, cosa suscettibile di dissuadere almeno parzialmente le<br />

operazioni di delocalizzazione lì dirette.<br />

D’altro canto, si è puntato anche sull’informazione dei consumatori<br />

circa la localizzazione dei luoghi di produzione e le relative condizioni di<br />

lavoro, confidando che ciò abbia la forza di orientare le decisioni di acquisto,<br />

sì da condizionare poi in qualche modo sul piano commerciale le<br />

scelte gestionali delle imprese ( 23 ).<br />

Con riferimento ad entrambi i flussi di delocalizzazione, infine, il Parlamento<br />

ha sollecitato la promozione del dialogo sociale a livello europeo ( 24 )<br />

nonché la creazione di due ulteriori strumenti: un Codice europeo di condotta<br />

( 25 ) per le imprese, al momento però nemmeno allo stato di bozza<br />

(cosa che esime dal domandarsi circa la sua forza e le conseguenze pratiche<br />

della sua violazione); uno specifico osservatorio (da affidarsi alla Fondazione<br />

europea per il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro, si-<br />

« Calls on the Commission to work for the inclusion of social clauses in international treaties,<br />

and to do so on the basis of the five International Labour Organization (ILO) conventions considered<br />

to be priorities, namely the right to organise, freedom of assembly, and the elimination<br />

of child labour, forced labour, and discrimination; calls for the implementation of these social<br />

clauses to be backed up by positive measures and incentives for countries and companies to abide<br />

by them; calls on the Commission and Council to work to ensure that this matter is again<br />

placed on the agenda at the World Trade Organization ministerial conference, and that a committee<br />

for trade and human rights is created to deal in particular with issues of human rights in<br />

the working world ».<br />

( 22 ) Denunciano allarmati la violazione dei diritti umani in Cina sia Adornato, La libertà<br />

ed il dragone, sia Foa, I diversi volti dell’oppressione, atti del convegno “Giornate internazionali<br />

del pensiero storico”, 3 a ed., Siena, 22-23 settembre 2006, in corso di pubblicazione<br />

su Liberal, 2006, n. 37.<br />

( 23 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 22.<br />

( 24 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punti 2<br />

e 28.<br />

( 25 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 20.<br />

Qualche indicazione circa il contenuto di tale codice si trova nel Rapport sur les délocalisations<br />

dans le contexte du développement régional (curato da Alain Hutchinson), cit., p. 12:<br />

« Les entreprises devraient avoir l’obligation d’établir un plan social en consultation avec les<br />

syndicats et l’autorité en charge du marché du travail, de rembourser toute subvention éventuelle<br />

reçue pour leur actuel établissement et d’adopter un code de conduite qu’elles devront respecter<br />

où qu’elles aillent dans le monde. Ce code de conduite devrait inclure les bonnes pratiques<br />

européennes et les négociations avec les syndicats devront toujours en constituer le principe fondamental.<br />

Il ne s’agira plus seulement pour ces entreprises d’adopter les lois locales ».


SAGGI 763<br />

ta a Dublino) ( 26 ) per monitorare con maggior precisione gli effetti delle<br />

delocalizzazioni sul piano sociale ed economico ( 27 ).<br />

Sino ad ora si sono esaminate le misure inizialmente proposte dal Parlamento,<br />

per tentare di prevenire o quanto meno contenere le delocalizzazioni.<br />

Quando tuttavia tali fenomeni comunque si verificano (e cioè in<br />

presenza o meno dei rimedi proposti sul piano sia dei fondi strutturali comunitari,<br />

sia degli aiuti di Stato), non resta che far fronte ai conseguenti<br />

licenziamenti collettivi, i quali dovranno avvenire con procedure idonee a<br />

garantire il rispetto dei diritti di informazione attribuiti ai lavoratori dalle<br />

direttive comunitarie in materia ( 28 ) nonché conformemente a quanto previsto<br />

dalla legislazione del paese ove si trova il posto di lavoro.<br />

Chiudendo gli stabilimenti, pare inoltre alquanto improbabile che il<br />

personale licenziato trovi generalmente un lavoro simile a quello perso.<br />

Di conseguenza, la ricerca di un nuovo impiego presuppone una riqualificazione<br />

professionale, impegno che – visti i tempi attuali – non deve però<br />

esaurirsi nel momento in cui sia stata eventualmente trovata una nuova<br />

assunzione. Pertanto, condividendo l’idea che i Fondi comunitari venga-<br />

( 26 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 12.<br />

( 27 ) A quanto si legge nel Rapport sur les délocalisations dans le contexte du développement<br />

régional (curato da Alain Hutchinson), cit., p. 10, non si dispone ancora di precisi studi<br />

sugli effetti a livello comunitario provocati dalle delocalizzazioni. Nell’elaborare il progetto<br />

di risoluzione si è fatto riferimento ad alcune ricerche elaborate da Plasman (i cui dati<br />

non vengono riferiti nel citato rapporto) nonché allo studio di Aubert- Sillard, Délocalisations<br />

et réductions d’effectifs dans l’industrie française, 2005. Si legga anche la nota 41 a<br />

questo scritto.<br />

( 28 ) Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989. Direttiva 94/45/CE del<br />

Consiglio del 22 settembre 1994, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o<br />

di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi<br />

di imprese di dimensioni comunitarie (in G.U.C.E., L 254, 30 settembre 1994); direttiva<br />

98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 concernente il ravvicinamento delle legislazioni<br />

degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (ivi, L 225, 12 agosto 1998); direttiva<br />

2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni<br />

degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti<br />

di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (ivi, L 082, 22 marzo 2001); direttiva<br />

2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce<br />

un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (ivi, L 080,<br />

23 marzo 2002). In giurisprudenza, le sentenze della Corte di Giustizia dell’8 giugno 1994<br />

nelle cause C-382/92 (Mantenimento dei diritti dei lavoratori nel caso di trasferimenti di imprese,<br />

in Raccolta, 1994, p. I-2435) e C-383/92 (Licenziamenti collettivi, ivi, 1994, p. I-2479). In<br />

dottrina: Pocar-Viarengo, Diritto comunitario del lavoro, Padova, 2001; Galantino, Diritto<br />

comunitario del lavoro, Torino, 2001. Risoluzione del Parlamento sulle delocalizzazioni, cit.,<br />

punto 27.


764 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

no anche destinati a promuovere una formazione professionale avente le<br />

suddette caratteristiche («life-long vocational training » ( 29 )), il Parlamento<br />

ha accolto una recente proposta della Commissione, concernente la creazione<br />

di uno specifico Fondo Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione<br />

( 30 ), connotato da tale impostazione.<br />

3. – Preliminarmente, è bene sgombrare il campo da eventuali fonti di<br />

equivoci: il problema delle delocalizzazioni industriali non è stato minimamente<br />

sfiorato dalla cosiddetta « Strategia di Lisbona » ( 31 ), elaborata<br />

dal Consiglio Europeo tenutosi nel marzo 2000 nella capitale portoghese,<br />

convocato in sessione straordinaria onde « concordare un nuovo obiettivo<br />

strategico per l’Unione al fine di sostenere l’occupazione, le riforme economiche<br />

e la coesione sociale nel contesto di un’economia basata sulla conoscenza<br />

».<br />

Sia l’impiego dei finanziamenti comunitari che la disciplina sugli aiuti di<br />

Stato è stata oggetto di attenzione da parte del Consiglio Europeo, concordando:<br />

quanto ai primi, sulla necessità di riorientarne la destinazione ( 32 );<br />

quanto ai secondi, su una generale diminuzione del livello di intervento<br />

statale ( 33 ), accompagnato da una politica comunitaria maggiormente attenta<br />

agli obiettivi di carattere orizzontale, quali l’impiego, lo sviluppo<br />

regionale, la tutela dell’ambiente nonché la ricerca e lo sviluppo ( 34 ). In<br />

( 29 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 25.<br />

( 30 ) Proposta della Commissione di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio,<br />

che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, COM (2006) 91<br />

def., in data 1° marzo 2006.<br />

( 31 ) Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo, Lisbona, 23 e 24 marzo 2000.<br />

( 32 ) Conclusioni della Presidenza, cit., punto 15, ove il Consiglio Europeo domanda «al<br />

Consiglio e alla Commissione di riferirgli entro la fine del 2000 sul riesame in corso degli strumenti<br />

finanziari BEI e FEI nella prospettiva di riorientare i finanziamenti verso il sostegno all’avviamento<br />

di imprese, alle imprese ad alta tecnologia e alle microimprese, nonché verso altre<br />

iniziative a capitale di rischio proposte dalla BEI. »<br />

( 33 ) In tale senso anche il Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles nel marzo 2005.<br />

( 34 ) Conclusioni della Presidenza, cit., punto 16: «sono anche essenziali regole eque ed<br />

applicate uniformemente in materia di concorrenza e di aiuti di Stato onde garantire che le imprese<br />

possano prosperare e operare efficacemente su un piano di parità nel mercato interno ».<br />

Di conseguenza, viene chiesto (punto 17) a Commissione, Consiglio e Stati membri, ciascuno<br />

per quanto di propria competenza, «di proseguire i rispettivi sforzi intesi a promuovere<br />

la concorrenza e a ridurre il livello generale degli aiuti di Stato, spostando l’accento dal sostegno<br />

alle singole imprese o ai singoli settori verso il conseguimento di obiettivi orizzontali di interesse<br />

comunitario, quali l’occupazione, lo sviluppo regionale, l’ambiente e la formazione o la<br />

ricerca ».


SAGGI 765<br />

ogni caso, però, è mancato qualsiasi collegamento tra la disciplina di tali<br />

strumenti e le delocalizzazioni.<br />

Di conseguenza, sebbene la « Strategia di Lisbona » abbia sensibilmente<br />

influenzato i successivi orientamenti della Commissione, in quanto<br />

chiamata a darvi attuazione per quanto di sua competenza, ciò non dovrebbe<br />

affatto valere per la posizione assunta inizialmente da tale istituzione<br />

in merito alle delocalizzazioni.<br />

Per illustrarne il pensiero su detta questione, bisogna allora partire<br />

dalla comunicazione della Commissione sui «Valori europei nel mondo<br />

globalizzato » ( 35 ). Dopo avere evidenziato come le politiche economiche e<br />

sociali nazionali si fondano su valori condivisi a livello europeo, dai quali<br />

emerge una scelta comune in favore di un’economia sociale di mercato<br />

(concetto però forse suscettibile d’essere diversamente inteso nei vari Stati<br />

membri), la Commissione ha individuato nell’invecchiamento della popolazione,<br />

che rischia di mettere in crisi a lungo termine la sostenibilità<br />

dei sistemi sociali, e nella globalizzazione le principali questioni con cui<br />

deve confrontarsi l’economia dell’Unione ( 36 ). Rispetto alla seconda di<br />

dette sfide, la Commissione non ha però condiviso le preoccupazioni<br />

espresse dal Parlamento ( 37 ), ritenendola piuttosto un’opportunità, come<br />

ben sintetizzato nel seguente passaggio di detta comunicazione:<br />

« E la globalizzazione non significa che, se gli altri si arricchiscono, noi dobbiamo necessariamente<br />

impoverirci. La prosperità è un concetto dinamico; la globalizzazione rappresenta<br />

la possibilità di aumentare le dimensioni dell’intera torta, così che tutti ne ricevano<br />

una fetta » ( 38).<br />

( 35 ) Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato<br />

Economico e Sociale ed al Comitato delle Regioni sui valori europei nel mondo globalizzato,<br />

COM (2005) 525 def.<br />

( 36 ) Il tema delle future sfide per la Comunità è più ampiamente trattato nella comunicazione<br />

della Commissione su un nuovo partenariato per la coesione (convergenza, competitività,<br />

cooperazione) – Terza relazione sulla coesione economica e sociale, COM (2004) 107 def.,<br />

2004, p. XXVII.<br />

( 37 ) Rispetto alla posizione del Parlamento Europeo, appare alquanto netta la diversa<br />

sensibilità della Commissione nei confronti delle conseguenze derivanti dalla globalizzazione:<br />

«Vi è una certa incoerenza tra la nostra percezione della globalizzazione e il modo in cui<br />

ci comportiamo; la globalizzazione provoca apprensione, soprattutto nei paesi dell’UE con alti<br />

livelli di disoccupazione, eppure la maggior parte dei posti di lavoro sono creati e perduti all’interno<br />

dell’economia nazionale e non a causa dello spostamento della produzione in altre parti<br />

del mondo ».<br />

( 38 ) L’idea di « espandere la torta » (che nel testo della citata Comunicazione si riduce<br />

purtroppo ad una mera petizione di principio, di cui sfugge il fondamento, se ci si limita al


766 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Visto tale approccio, caratterizzato da una visione “ottimistica” ( 39 ), le<br />

delocalizzazioni sono state percepite dalla Commissione come un fenomeno<br />

meno preoccupante. Esso non è risultato comunque ignorato ( 40 ):<br />

«L’analisi della Commissione giunge alla conclusione che non esistono prove di un<br />

processo generalizzato di deindustrializzazione. Nell’industria europea sono però in atto<br />

trasformazioni strutturali che in generale hanno effetti benefici e devono essere incoraggiate,<br />

in particolare mediante politiche che facilitano la creazione e l’utilizzo della conoscenza.<br />

Da questo punto di vista, i risultati insufficienti ottenuti dall’Europa, in particolare<br />

per quanto riguarda la produttività, la ricerca e l’innovazione, sono preoccupanti. Lo<br />

conferma il fatto che le delocalizzazioni di attività industriali sembrano non limitarsi più<br />

ai soli settori tradizionali a forte intensità di manodopera, ma cominciano ad osservarsi<br />

anche nei settori intermedi che costituiscono i punti forti tradizionali dell’industria europea,<br />

o anche in alcuni settori ad alta tecnologia in cui esistono indizi di delocalizzazione<br />

di certe attività di ricerca, o nei servizi. L’India e la Cina sono i grandi beneficiari di queste<br />

tendenze. Eppure, l’internazionalizzazione dell’economia apre all’industria europea<br />

prospettive favorevoli, a condizione che la politica industriale sostenga le necessarie evoluzioni<br />

».<br />

Ciò nonostante, tornando sul tema delle trasformazioni in corso nell’industria<br />

europea, in altro coevo documento la Commissione ha evitato<br />

l’argomento delle delocalizzazioni, adducendo di non conoscerne ancora<br />

tenore letterale del documento) è verosimilmente riconducibile – e nel contempo ne è indice<br />

– alla propensione liberista della Commissione nel campo della politica commerciale<br />

comunitaria. In proposito, pare illuminante quanto scrivono Carruba-Caroli, L’arte della<br />

libertà, Milano, 2004, voce Protezionismo, p. 169: «C’è, alla base delle diffidenze protezionistiche,<br />

l’equivoco perdurante (già caro ai mercantilisti) che la torta del commercio e dell’economia<br />

mondiale sia finita, per cui la fetta di scambi e di ricchezza che si accaparra un Paese vada<br />

a scapito di tutti gli altri; in realtà il commercio internazionale è tutt’altro che un gioco a<br />

somma negativa. Gli scambi provvedono a far lievitare la torta, non a consumarla: “ogni riduzione<br />

nel volume del commercio mondiale significa prezzi più alti e scelte più scarse per i consumatori,<br />

meno posti di lavoro, e meno opportunità” per i Paesi poveri (Micklethwait e Woolbridge)<br />

». Nella medesima opera, si veda anche la voce Globalizzazione, p. 77. Ciò posto,<br />

emerge allora una certa contraddittorietà, se si guarda alla politica agricola europea (nodo<br />

ancora irrisolto), dove – principalmente per effetto della posizione assunta dagli Stati membri<br />

– la Comunità risulta fortemente protezionista in favore dei produttori locali, al pari di<br />

quanto accade negli Stati Uniti.<br />

( 39 ) Comunicazione della Commissione sugli Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione<br />

2005-2008, COM (2005) 141 def., punto 1.2.; si veda anche la comunicazione sugli<br />

Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione 2005-2008, COM (2005) 141 def., punto<br />

1.1, dove si evidenzia la nuova dimensione internazionale del lavoro.<br />

( 40 ) Comunicazione della Commissione su Accompagnare le trasformazioni strutturale:<br />

una politica industriale per l’Europa allargata, cit., p. 5. Si vedano anche le pp. 10 e 13.


SAGGI 767<br />

i dati precisi ( 41 ). Pertanto, trovandosi a trattare le difficoltà in cui versano<br />

molti settori dell’industria europea, la Commissione ha utilizzato essenzialmente<br />

solo il termine “ristrutturazioni” ( 42 ), avendo comunque curato<br />

di precisare che il territorio dell’Unione non sta subendo un vero e proprio<br />

fenomeno di radicale deindustrializzazione ( 43 ).<br />

Sviluppando la traccia indicata dal Consiglio Europeo a Lisbona, an-<br />

( 41 ) Comunicazione della Commissione su Ristrutturazioni e occupazione – Anticipare e<br />

accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l’occupazione: il ruolo dell’Unione Europea,<br />

COM (2005) 120 def., 31 marzo 2005, p. 10, punto 2.1.7: «l’Osservatorio europeo del cambiamento<br />

di Dublino dovrà elaborare gli strumenti di analisi quantitativa e qualitativa di monitoraggio<br />

delle ristrutturazioni al fine di fornire basi più solide al dibattito pubblico sulle ristrutturazioni<br />

e sulle delocalizzazioni ». Come evidenziato in una nota precedente, anche nel Rapport<br />

sur les délocalisations dans le contexte du développement régional (e cioè la relazione di<br />

accompagnamento al progetto di risoluzione del Parlamento sulle delocalizzazioni, poi<br />

adottato dall’aula), cit., p. 10, veniva evidenziata la mancanza di precisi studi sugli effetti a<br />

livello comunitario provocati dalle delocalizzazioni, ma se ne denunciava comunque la pericolosità.<br />

Semmai, in quest’ultimo documento l’approccio era invertito. Si partiva infatti<br />

dalla constatazione che le delocalizzazioni producono di sicuro un effetto dannoso, anche<br />

se non ancora precisamente quantificato: di conseguenza, è necessario reagire subito, senza<br />

attendere oltre.<br />

( 42 ) Non viene trattato il fenomeno delle delocalizzazioni nelle seguenti comunicazioni<br />

della Commissione: Costruire il nostro avvenire comune – Sfide e mezzi finanziari dell’Unione<br />

allargata 2007-2013, COM (2004) def./3, 12 marzo 2004; Una politica della concorrenza<br />

proattiva per un’Europa competitiva, COM (2004) 293 def., 20 aprile 2004; Un nuovo<br />

partenariato per la coesione (convergenza, competitività, cooperazione) – Terza relazione sulla<br />

coesione economica e sociale, COM (2004) 107 def., 2004; Ristrutturazioni e occupazione<br />

– Anticipare e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l’occupazione: il ruolo dell’Unione<br />

Europea, COM (2005) 120 def., 31 marzo 2005; Orientamenti integrati per la crescita e<br />

l’occupazione 2005-2008, COM (2005) 141 def., 12 aprile 2005; Politica di coesione a sostegno<br />

della crescita e dell’occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo<br />

2007-2013, COM (2005) 299 def., 5 luglio 2005; Proposta di raccomandazione del Parlamento<br />

Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente,<br />

COM (2005) 548 def., 10 novembre 2005; Proposta di regolamento del Parlamento Europeo<br />

e del Consiglio che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, COM<br />

(2006) 91 def., 1° marzo 2006; Realizzazioni politiche nel 2005, COM (2006) 124 def., 14<br />

marzo 2006.<br />

( 43 ) Comunicazione della Commissione su Accompagnare le trasformazioni strutturali:<br />

una politica industriale per l’Europa allargata, cit., p. 6, punto 2.1., e p. 16, punto 2.3.: «Non<br />

si può affermare che sia in atto in Europa una vera e propria deindustrializzazione; si ha piuttosto<br />

una conferma degli effetti del processo permanente di adeguamento, spesso doloroso se i<br />

suoi effetti si concentrano su alcuni settori o regioni, ma complessivamente benefico, mediante<br />

il quale le risorse sono continuamente ridistribuite verso settori in cui esistono vantaggi comparati.<br />

La tendenza di medio/lungo termine che è stata analizzata riflette appunto questo tipo di<br />

adeguamento piuttosto che una deindustrializzazione ».


768 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

che la Commissione ha ritenuto indispensabile sia il coordinamento e la<br />

complementarietà di tutte le politiche comunitarie con quella di coesione<br />

( 44 ), sia la coerenza tra quest’ultima e le decisioni in materia di aiuti di<br />

Stato ( 45 ). Puntando sull’armonizzazione di tutte le azioni fondate su dette<br />

politiche, la Commissione ha allora proposto una strategia di governance<br />

europea ( 46 ) alquanto articolata e complessa per rivitalizzare la nostra<br />

economia che, volendo sommamente sintetizzare, è stata – in via di<br />

massima – condivisa dal Parlamento almeno per quanto concerne le linee<br />

generali, salvo che su un punto.<br />

La dettagliata strategia elaborata dalla Commissione, infatti, non contempla<br />

di utilizzare i rimedi proposti dal Parlamento per lottare contro le<br />

delocalizzazioni.<br />

Secondo la Commissione, per consentire alla Comunità di affrontare<br />

adeguatamente le citate sfide future, la politica di coesione deve preoccuparsi<br />

di eliminare le disparità esistenti tra gli Stati membri, che scaturiscono<br />

dalle seguenti carenze strutturali in settori chiave per la competitività:<br />

dotazione inadeguata di infrastrutture e di competenza della forza lavoro;<br />

mancanza di capacità innovativa e di un efficace sostegno alle imprese;<br />

ambienti naturali e urbani degradati ( 47 ). In tale contesto, la Commissione<br />

ha reputato fondamentale la realizzazione di una società fondata sulla conoscenza<br />

( 48 ) nonché la promozione della formazione professionale continua<br />

( 49 ), vista quest’ultima anche quale via d’uscita dalla disoccupazione<br />

( 44 ) Comunicazione della Commissione su Un nuovo partenariato per la coesione, cit., p.<br />

XXXIII.<br />

( 45 ) Comunicazione della Commissione su: Un nuovo partenariato per la coesione, cit.,<br />

p. XVII e p. 170; Una politica della concorrenza proattiva per un’Europa competitiva, cit., pp.<br />

13, 14 e 20.<br />

( 46 ) Comunicazione della Commissione sugli Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione<br />

2005-2008, cit., punto 1.3: « un nuovo ciclo di governance ».<br />

( 47 ) Comunicazione della Commissione su: Un nuovo partenariato per la coesione (convergenza,<br />

competitività, cooperazione) – Terza relazione sulla coesione economica e sociale, cit.,<br />

p. VII; Costruire il nostro avvenire comune – Sfide e mezzi finanziari dell’Unione allargata<br />

2007-2013, cit., p. 15, punto 2.<br />

( 48 ) Comunicazione della Commissione sugli Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione<br />

2005-2008, cit., punto 1.2.<br />

( 49 ) Comunicazioni della Commissione su: Un nuovo partenariato per la coesione (convergenza,<br />

competitività, cooperazione) – Terza relazione sulla coesione economica e sociale, cit.,<br />

p. 90; Politica di coesione a sostegno della crescita e dell’occupazione: linee guida della strategia<br />

comunitaria per il periodo 2007-2013, cit., punto 4.3.3.; Proposta di raccomandazione del<br />

parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente,<br />

COM (2005) 548 def., 10 novembre 2005; Attuazione del programma comunitario di Li-


SAGGI 769<br />

causata dalle ristrutturazioni aziendali ( 50 ). Questi, dunque, i punti critici<br />

per rendere l’Europa e le proprie regioni più attraenti per gli investimenti<br />

e l’attività delle imprese ( 51 ).<br />

Quanto agli obiettivi delle altre politiche comunitarie, da condurre ottimizzandone<br />

le sinergie ( 52 ), la Commissione ha indicato che nel prossimo<br />

futuro la Comunità dovrà ( 53 ): curare di indirizzare gli investimenti<br />

nella ricerca, anche trattando con particolare favore gli aiuti di Stato erogati<br />

a tal fine; migliorare il funzionamento del mercato interno e la sua regolamentazione;<br />

promuovere una concorrenza efficace tra le imprese; favorire<br />

il loro accesso esterno ai mercati ( 54 ); agevolare il dialogo sociale e<br />

l’emergere di buone prassi; garantire il rispetto delle norme internazionali<br />

del commercio.<br />

Un lieve riavvicinamento alla posizione del Parlamento europeo sulle<br />

delocalizzazioni è poi avvenuto solo nella politica della concorrenza applicata<br />

a due particolari tipologie di aiuti di Stato (quelli a finalità regionale ( 55 )<br />

sbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l’istruzione e l’apprendimento, COM<br />

(2006) 33 def.<br />

( 50 ) Comunicazione della Commissione sulla Proposta di regolamento del Parlamento<br />

Europeo e del Consiglio che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione,<br />

cit., punti 1.2. e 1.3.<br />

( 51 ) Comunicazione della Commissione sulla Politica di coesione a sostegno della crescita<br />

e dell’occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013, cit.,<br />

punto 4.1.<br />

( 52 ) Comunicazione della Commissione su Accompagnare le trasformazioni strutturali:<br />

una politica industriale per l’Europa allargata, cit., punto 4.2., p. 25.<br />

( 53 ) Comunicazione della Commissione su Accompagnare le trasformazioni strutturali:<br />

una politica industriale per l’Europa allargata, cit., punto 4.2., pp. 27-38.<br />

( 54 ) Comunicazione della Commissione su Ristrutturazioni e occupazione – Anticipare e<br />

accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l’occupazione: il ruolo dell’Unione Europea, cit.,<br />

p. 5, punto 1.1.<br />

( 55 ) Comunicazione della Commissione (98/C 74/06) sugli Orientamenti in materia di<br />

aiuti di Stato a finalità regionale (in G.U.C.E., C 74, 10 marzo 1998). Se ne vedano il quarto<br />

periodo dell’Introduzione (« . . . omissis . . . Per privilegiare questo sviluppo e contenere i potenziali<br />

effetti negativi di una delocalizzazione, è necessario subordinare la concessione di tali<br />

aiuti al mantenimento per un periodo minimo degli investimenti e dei posti di lavoro creati nella<br />

regione svantaggiata ») nonché i punti 4.10 (« Gli aiuti all’investimento iniziale devono essere<br />

subordinati, tramite le modalità di versamento o le condizioni di concessione, alla condizione<br />

che l’investimento sia mantenuto in essere per un periodo minimo di cinque anni ») e 4.14<br />

(«Gli aiuti alla creazione di posti di lavoro devono essere subordinati, tramite le modalità di<br />

versamento o le condizioni di concessione, al mantenimento dei posti di lavoro per un periodo<br />

minimo di cinque anni »). Gli effetti di tale comunicazione sono stati prorogati al 31 dicembre<br />

2006, come pubblicato in G.U.C.E., C 110, 8 maggio 2003.


770 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

e quelli a favore dell’occupazione ( 56 )). Per autorizzarne la concessione, la<br />

Commissione ha in effetti imposto alcune condizioni, volte a preservare –<br />

per un certo tempo nel luogo ove si trovano le unità produttive dell’impresa<br />

beneficiaria – i posti di lavoro creati grazie all’erogazione dei fondi<br />

pubblici.<br />

Sebbene il Parlamento abbia plaudito al provvedimento ( 57 ) (dando<br />

verosimilmente così il segnale su come sbloccare la querelle in questione),<br />

a ben vedere le sue richieste apparivano alquanto più rigorose rispetto alla<br />

misura così attuata dalla Commissione. Infatti, nell’interesse comunitario<br />

quest’ultima si è limitata a pretendere che, una volta speso il denaro<br />

statale, non vengano subito cancellati, ma durino per un certo tempo, i<br />

nuovi posti di lavoro promessi da chi ha incassato l’aiuto erogatogli da<br />

uno Stato membro, nell’intento di promuovere lo sviluppo di una regione<br />

nazionale. La Commissione, dunque, non ha fissato altri vincoli alla condotta<br />

del destinatario di tale aiuto. Una volta decorso il lasso di tempo<br />

prefissato, egli sarà allora libero non solo di licenziare chi assunto in conseguenza<br />

all’intervento pubblico, ma anche di chiudere l’intero stabilimento<br />

e delocalizzare la propria attività, con danno immensamente maggiore<br />

sul piano occupazionale. Ciò è alquanto lontano da quanto il Parlamento<br />

aveva indicato in un primo tempo.<br />

Né l’approccio della Commissione ha poi subito sostanziali modificazioni<br />

nella sua comunicazione sui Nuovi orientamenti sugli aiuti a finalità<br />

regionale ( 58 ), la cui applicazione scatterà a decorrere dal 1 gennaio 2007.<br />

( 56 ) Regolamento CE n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002, relativo<br />

all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione,<br />

in G.U.C.E., L 337, 13 dicembre 2002. Se ne vedano il considerando n. 18 («Gli aiuti a favore<br />

della creazione di posti di lavoro dovrebbero essere soggetti alla condizione del mantenimento<br />

dei posti di lavoro creati per un periodo minimo determinato. Il periodo fissato nel presente<br />

regolamento prevale sulla regola dei cinque anni fissata al punto 4.14 degli orientamenti<br />

in materia di aiuti di Stato a finalità regionale ») nonché l’art. 4, comma 4°, lett. b («i posti di<br />

lavoro creati devono essere conservati per un periodo minimo di tre anni o di due nel caso delle<br />

PMI »). Per PMI si intendono le piccole e medie imprese.<br />

( 57 ) Risoluzione del Parlamento del 14 marzo 2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 13.<br />

Nella proposta di risoluzione, il tenore della posizione da esprimere era leggermente diverso:<br />

il Parlamento, infatti, non si compiaceva delle misure adottate dalla Commissione, ma<br />

si limitava semplicemente a prenderne atto.<br />

( 58 ) Comunicazione della Commissione (2006/C 54/08) sugli orientamenti in materia di<br />

aiuti di Stato a finalità regionale per il periodo 2007-2013, in G.U.C.E., C 54, 4 marzo 2006.<br />

Così il punto 40: «Inoltre, onde garantire che l’investimento rappresenti un contributo reale e<br />

sostenibile allo sviluppo regionale, gli aiuti devono essere subordinati, tramite le condizioni di


SAGGI 771<br />

Nello stesso senso anche il progetto di regolamento della Commissione<br />

sugli aiuti di Stato a finalità regionale destinati agli investimenti ( 59 ).<br />

Ipotizzando le ragioni di tale complessivo atteggiamento della Commissione,<br />

almeno in parte esso parrebbe spiegabile ricordando che, a<br />

detta della medesima, nei prossimi anni saranno gli Stati di recente adesione<br />

a venire prevalentemente colpiti da ristrutturazioni, cosa fonte di<br />

preoccupanti squilibri sul piano della coesione economica e sociale a livello<br />

comunitario ( 60 ). Considerata però la forte attrattiva di questi stessi<br />

paesi per gli investitori esteri ( 61 ), le delocalizzazioni intra-comunitarie<br />

rappresenterebbero allora un importante motore di sviluppo da non<br />

bloccare.<br />

Per contro, un simile “riguardo” non sembra dovuto nei confronti delle<br />

delocalizzazioni extra-comunitarie, per cui vanno probabilmente ricercati<br />

altrove i motivi dell’atteggiamento della Commissione, forse riconducibile<br />

al proprio orientamento di apertura nella politica commerciale comunitaria<br />

( 62 ) verso gli Stati terzi, che<br />

concessione o le modalità di pagamento dell’aiuto, alla condizione che l’investimento sia mantenuto<br />

in essere nella regione interessata per un periodo minimo di cinque anni dopo il suo<br />

completamento. Inoltre, qualora gli aiuti vengano calcolati in base ai costi salariali, i posti di<br />

lavoro devono essere occupati entro tre anni dal completamento dei lavori. Ciascun posto di lavoro<br />

creato attraverso l’investimento deve essere mantenuto nella regione interessata per un periodo<br />

di cinque anni dalla data in cui è stato occupato per la prima volta. Nel caso delle PMI,<br />

gli Stati membri possono ridurre questi periodi quinquennali di mantenimento di un investimento<br />

o dei posti di lavoro creati ad un minimo di tre anni ». Questa decisione della Commissione<br />

è stata commentata dal Parlamento Europeo nella propria risoluzione del 14 marzo<br />

2006 sulle delocalizzazioni, cit., punto 14.<br />

( 59 ) Progetto del regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli articoli<br />

87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a finalità regionale agli investimenti (2006/C 120/02),<br />

in G.U.C.E., C 120, 20 maggio 2006. Con riferimento agli aiuti all’investimento iniziale,<br />

l’art. 4, comma 3°, di tale progetto di regolamento ne condiziona fra l’altro l’ammissibilità<br />

al fatto che «l’investimento deve essere mantenuto nella regione beneficiaria per almeno cinque<br />

anni dopo il completamento dei lavori o per tre anni nel caso di PMI ».<br />

( 60 ) Comunicazione della Commissione su Un nuovo partenariato per la coesione (convergenza,<br />

competitività, cooperazione) – Terza relazione sulla coesione economica e sociale,<br />

COM (2004) 107 def., cit., p. IX e pp. 12, 55 e 56.<br />

( 61 ) Comunicazione della Commissione su Accompagnare le trasformazioni strutturali:<br />

una politica industriale per l’Europa allargata, cit., punto 3.1, p. 17.<br />

( 62 ) Circa i recenti orientamenti di natura politica, si rinvia a Mandelson, Scambi commerciali<br />

e investimenti dell’UE con la Cina: cambiamenti, sfide e scelte. Discorso reso dal<br />

commissario europeo responsabile del commercio, in occasione della Conferenza UE – Cina,<br />

Bruxelles, 7 luglio 2006 (http://ec.europa.eu/comm/commission_barroso/mandelson/speeches_articles/temp_icentre.cfm?temp=sppm109_it).


772 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

« seppure globalmente vantaggiosa per l’economia europea e l’occupazione, è la causa<br />

immediata di certi licenziamenti » ( 63).<br />

Tuttavia, tale ipotetica chiave di lettura si scontrerebbe con la circostanza<br />

che la Commissione ha comunque proposto anche recentemente<br />

l’adozione di vari dazi antidumping ( 64 ), quando non ostano vincoli discendenti<br />

da accordi internazionali cui sia soggetta la Comunità (principalmente<br />

quanto concordato in sede di Organizzazione Mondiale del<br />

Commercio, dove la Cina è stata ammessa a decorrere dal novembre<br />

2001). Dazi spesso diretti a colpire merci di origine cinese o indiana, sebbene<br />

sia talora controverso che le misure comunitarie di protezione azionate<br />

abbiano davvero l’intensità necessaria a perseguire effettivamente il<br />

loro scopo ( 65 ).<br />

4. – La riforma dei Fondi strutturali ha rappresentato il terreno su<br />

cui il confronto tra le due istituzioni, in precedenza semplicemente<br />

svoltosi a distanza, è invece divenuto diretto.<br />

( 63 ) Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un<br />

Fondo Europeo di adeguamento alla globalizzazione, COM (2006) 33 (COD), punto 1.1.<br />

( 64 ) Già nei primi mesi quattro mesi dell’anno 2006, la Commissione ha adottato alcuni<br />

regolamenti per istituire dazi antidumping provvisori contro le importazioni di: calzature<br />

provenienti da Cina e Vietnam (regolamento n. 553/2006 della Commissione del 23<br />

marzo 2006, in G.U.C.E., L 98, 6 aprile 2006); cuoi e pelli scamosciati di origine cinese<br />

(regolamento n. 439/2006 del 16 marzo 2006, ivi, L 80, 17 marzo 2006); frigoriferi side by side<br />

coreani (regolamento n. 335/2006 del 28 febbraio 2006, ivi, L 59, 1° marzo 2006); meccanismi<br />

a leva cinesi (regolamento n. 134/2006 del 26 gennaio 2006, ivi, L 23, 27 gennaio<br />

2006). Inoltre, la Commissione ha proposto al Consiglio di adottare o modificare misure<br />

antidumping definitive avverso le importazioni dei seguenti prodotti: i citati meccanismi al<br />

leva, COM (2006) 362 def.; magnesite originaria della Cina, COM (2006) 0165 def.; televisioni<br />

a colori cinesi, COM (2006) 101; pezzi fusi cinesi, COM (2006) 10 def.; acido tartarico<br />

cinese, COM (2005) 711 def.; fogli e nastri sottili di alluminio russi, COM (2007) 707<br />

def.<br />

( 65 ) Il Sole/24 Ore, 24 febbraio 2006, p. 1: «Dazi sulle scarpe asiatiche ». Con il regolamento<br />

CE n. 1472/2006 del 6 ottobre 2006 (in G.U.C.E., L 275, 6 ottobre 2006, p. 1), il<br />

Consiglio ha istituito un dazio antidumping definitivo – della durata di 2 anni – sulle importazioni<br />

di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare<br />

cinese e del Vietnam. Tale decisione è fra l’altro fondata sui dati di un’indagine, annualmente<br />

promossa dalla Commissione, da cui risulta che da ultimo, a fronte di importazioni<br />

più che raddoppiate provenienti dalla Cina e Vietnam (passate da 67 milioni di paia<br />

del 2001 a 165 milioni di paia), le imprese europee hanno perso 30.000 posti di lavoro dal<br />

2002 al 2005, mentre i prezzi sono scesi da 11,8 euro al paio nel 2001 a 8,5 euro al paio nel<br />

2005.


SAGGI 773<br />

In effetti, pronunciandosi preliminarmente ( 66 ) su una proposta legislativa<br />

( 67 ) della Commissione volta a modificare le disposizioni generali<br />

loro applicabili ( 68 ), il Parlamento Europeo ne ha sì globalmente approvato<br />

il contenuto, ma ha anche proposto alcuni emendamenti, in<br />

modo da ottenere fra l’altro l’introduzione di meccanismi atti ad impedire<br />

che i beneficiari dei finanziamenti delocalizzino le proprie attività<br />

dopo avere attinto dalle casse comunitarie:<br />

41. richiama l’attenzione in particolare sul fatto che tutte le politiche dell’UE debbono<br />

contribuire a raggiungere l’obiettivo della coesione economica e sociale e che la<br />

politica commerciale internazionale è anch’essa soggetta a tale obiettivo e non può essere<br />

considerata un’eccezione; chiede che la politica commerciale sia delineata in modo<br />

tale da evitare di produrre effetti choc sulle regioni e richiama in particolare l’attenzione<br />

sul fatto che la delocalizzazione di aziende o unità produttive rappresenta una<br />

grave minaccia per lo sviluppo regionale;<br />

42. ritiene che la proposta della Commissione di imporre correzioni finanziarie alle<br />

aziende che delocalizzano la loro attività sia una misura indispensabile per non mettere<br />

a repentaglio il consolidamento della coesione economica, sociale e territoriale<br />

nelle regioni colpite; propone di istituire sistemi di monitoraggio per quantificare i costi<br />

economici e sociali di ogni delocalizzazione, affinché possano essere definite penalità<br />

appropriate; invita al tempo stesso ad adottare tutte le necessarie misure giuridiche<br />

volte a garantire che le aziende destinatarie di finanziamenti comunitari non delocalizzino<br />

per un periodo lungo e predeterminato;<br />

43. chiede di adottare una disposizione che escluda il cofinanziamento di operazioni<br />

da cui risulti una perdita sostanziale di posti di lavoro o la chiusura di stabilimenti<br />

nel luogo dove essi già esistono.<br />

A fronte di tale indicazione politica, ha fatto seguito una nuova proposta,<br />

già avente il gradimento del Consiglio ( 69 ), in cui sul punto si ricorre<br />

al seguente compromesso.<br />

Il rischio di delocalizzazioni intracomunitarie viene specificamente af-<br />

( 66 ) Risoluzione del Parlamento Europeo del 6 luglio 2005 sulla proposta di regolamento<br />

del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo<br />

sociale europeo e sul Fondo di coesione, P6_TA (2005) 277, interinstitutional file –<br />

2004/163 (AVC).<br />

( 67 ) Soggetta alla procedura di parere conforme.<br />

( 68 ) Proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo<br />

di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, COM (2004) 492,<br />

14 luglio 2004, interinstitutional file – 2004/163 (AVC).<br />

( 69 ) Consiglio, documento 9077/06 (approvato dal COREPER, parte seconda, 6 giugno<br />

2006), interinstitutional file – 2004/163 (AVC).


774 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

frontato: al considerando n. 42, si evidenzia come la Commissione debba<br />

verificarne l’assenza, raccogliendo tutti i dati utili a suffragarlo, prima di<br />

deliberare lo stanziamento dei (soli) finanziamenti concessi ai progetti di<br />

maggiore importanza economica ( 70 ):<br />

42. When appraising major productive investment projects, the Commission<br />

should have all necessary information to consider whether the financial contribution<br />

from the Funds does not result in a substantial loss of jobs in existing locations within<br />

the European Union, in order to ensure that Community funding does not support relocation<br />

within the European Union.<br />

Per contro, si omette di menzionare espressamente il pericolo di delocalizzazioni<br />

al di fuori della Comunità, ma ciò non significa affatto avallarle.<br />

In effetti, il considerando n. 61 puntualizza la necessità che tutti gli impieghi<br />

dei Fondi avvengano per progetti destinati ad avere una lunga durata<br />

operativa, sì da preservare l’efficacia dell’impiego di denaro pubblico:<br />

61. To ensure the effectiveness, fairness and sustainable impact of the intervention<br />

of the Funds, there should be provisions guaranteeing that investments in businesses<br />

are long-lasting and preventing the Funds from being used to introduce undue advantage.<br />

It is necessary to ensure that investments which benefit from assistance under<br />

the Funds can be written off over a sufficiently long period.<br />

Siffatti principi trovano poi riscontro nell’art. 57 del nuovo regolamento<br />

( 71 ), destinato ad applicarsi a qualunque impiego dei Fondi e dettato al<br />

fine di assicurare la durata – e dunque l’utilità – dei progetti finanziati:<br />

CHAPTER IV<br />

DURABILITY OF OPERATIONS<br />

Article 57<br />

Durability of operations<br />

1. The Member State or managing authority shall ensure that an operation retains<br />

the contribution from the Funds only if that operation does not, within five years from<br />

the completion of the operation or three years from the completion of the operation<br />

in Member States which have exercised the option of reducing that time limit for the<br />

maintenance of an investment or jobs created by SMEs, undergo a substantial modification:<br />

( 70 ) Trattasi degli impieghi delle risorse dei Fondi destinate a finanziare i progetti di cui<br />

agli articoli 39, 40 e 41 del nuovo regolamento, aventi cioè un costo totale superiore a 50 milioni<br />

di euro (ad eccezione di quelli in campo ambientale, dove la soglia minima è dimezzata).<br />

( 71 ) L’art. 57 costituisce il capitolo IV («Durability of operations ») del titolo IV (« Effectiveness<br />

») del nuovo regolamento.


SAGGI 775<br />

(a) affecting its nature or its implementation conditions or giving to a firm or a public<br />

body an undue advantage; and<br />

(b) resulting either from a change in the nature of ownership of an item of infrastructure<br />

or the cessation of a productive activity.<br />

2. The Member State and the managing authority shall inform the Commission in<br />

the annual implementation report referred to in Article 67 of any modification referred<br />

to in paragraph n.1. The Commission shall inform the other Member States.<br />

3. Sums unduly paid shall be recovered in accordance with Articles 98 to 102.<br />

4. The Member States and the Commission shall ensure that undertakings which<br />

are or have been subject to a procedure of recovery in accordance with paragraph 3<br />

following the transfer of a productive activity within a Member State or to another<br />

Member State do not benefit from a contribution from the Funds.<br />

Qui risiede il cardine del compromesso: anziché contemplare regole<br />

severe contro le delocalizzazioni, specie per quelle oltre i confini esterni<br />

dell’Unione, ci si accontenta di considerare comunque soddisfatto l’interesse<br />

comunitario alla durata dell’investimento, quando quest’ultimo resta<br />

in essere per almeno cinque anni (temine peraltro riducibile a soli tre<br />

anni, se gli Stati esercitano un’opzione loro riservata).<br />

Reputando tuttavia ciò congruo, il Parlamento ha poi espresso il proprio<br />

consenso alla riforma ( 72 ), cui è immediatamente seguita l’adozione<br />

formale da parte del Consiglio ( 73 ).<br />

Nel contesto della contestuale procedura legislativa ( 74 ) invece concernente<br />

la riforma alla disciplina specifica del Fondo Sociale Europeo, la<br />

Commissione – accogliendo un emendamento formulato dal Parlamento<br />

– ha proposto che in futuro i relativi fondi vadano canalizzati in particolare<br />

a favore delle aree « particolarmente colpite dalla delocalizzazione di imprese<br />

» ( 75 ), cosa peraltro implicante riconoscere l’esistenza del fenomeno,<br />

( 72 ) Risoluzione del 4 luglio 2006, P6_0289/2006, interinstitutional file – 2004/163(AVC).<br />

( 73 ) Adozione formale del Consiglio avvenuta durante la sessione n. 2741 dell’11 luglio<br />

2006, CS/2006/11289, punto 17, interinstitutional file – 2004/163 (AVC).<br />

( 74 ) Soggetta alla procedura di codecisione.<br />

( 75 ) Proposta modificata di regolamento del Consiglio relativo al Fondo Sociale Europeo,<br />

COM (2004) 165, 17 ottobre 2005, interinstitutional file – 2004/165 (COD). Si veda l’art. 4,<br />

comma 2°, del proposto regolamento, che il Parlamento (mediante la risoluzione P6_TA<br />

(2005) 278 del 6 luglio 2005, cit.) aveva richiesto di formulare nel seguente modo: «Nell’ambito<br />

dei programmi operativi le risorse sono canalizzate dove la necessità è maggiore e si concentrano<br />

sui settori nei quali il sostegno del FSE può contribuire significativamente al conseguimento<br />

degli obiettivi del programma. Per massimizzare l’efficacia del sostegno del FSE, i<br />

programmi operativi tengono conto segnatamente delle regioni e località colpite dai problemi<br />

più gravi, tra cui le zone urbane svantaggiate, le zone rurali in declino e le zone dipendenti dalla<br />

pesca, le isole, le regioni montagnose e remote, le regioni a bassa densità di popolazione o


776 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

in precedenza invece messa addirittura in dubbio. Espressosi successivamente<br />

in senso favorevole anche il Consiglio ( 76 ), la posizione comune<br />

contemplante tale mezzo d’intervento è stata da poco definitivamente approvata<br />

dal Parlamento in seconda lettura ( 77 ).<br />

Senza voler affatto discutere in questa sede la bontà della soluzione finale<br />

raggiunta, ma quale mero spunto di riflessione, merita forse spendere<br />

qualche parola su quanto sta attualmente accadendo nell’universo cinese,<br />

sicuramente caratterizzato da una sua peculiare tipicità sia sotto l’aspetto<br />

politico che economico. Il paese è destinatario di un impressionante<br />

flusso di capitali esteri, controllati nonché canalizzati dal governo centrale<br />

e dalle principali municipalità locali negli investimenti ritenuti più<br />

importanti per lo sviluppo dell’immenso territorio. Le pubbliche autorità<br />

concedono sì agevolazioni fiscali limitate nel tempo, ma non contribuiscono<br />

affatto a finanziare le iniziative intraprese dagli investitori privati<br />

(stranieri o nazionali), riservando il denaro erariale al risanamento del settore<br />

pubblico ereditato dal passato regime comunista, problema peraltro<br />

scottante anche per le rilevanti implicazioni di ordine sociale. Quanto alle<br />

privatizzazioni ( 78 ), spesso nascondono misure di favore verso gli acquirenti,<br />

ma l’accesso agli stranieri è fortemente limitato, sia giuridicamente<br />

che di fatto. La politica statale, infine, incentiva gli investitori esteri a reimpiegare<br />

gli utili nel paese nonché premia le imprese orientate all’esportazione<br />

( 79 ).<br />

Passando agli aiuti di Stato, come noto la Commissione ha attualmente<br />

in programma di rivedere globalmente i propri orientamenti in<br />

materia ( 80 ), al fine di adeguarli agli obiettivi messi a fuoco dalla menzio-<br />

che presentano un handicap demografico e quelle particolarmente colpite dagli effetti negativi<br />

delle rilocalizzazioni di imprese ». Gli emendamenti, suggeriti dal Parlamento europeo e<br />

poi accolti, sono evidenziati in grassetto.<br />

( 76 ) Posizione comune adottata il 13 giugno 2006, 9060/4/06, interinstitutional file –<br />

2004/165 (COD).<br />

( 77 ) Risoluzione del 4 luglio 2006, P6_0285/2006, interinstitutional file – 2004/165<br />

(COD).<br />

( 78 ) Per una disamina sui differenti profili in cui l’ordinamento comunitario ha influito<br />

sui processi di privatizzazione in Europa, mi permetto di richiamare il seguente mio lavoro:<br />

Gli influssi del diritto comunitario sulle privatizzazioni: tra favor e rigore, in questa rivista,<br />

2000, p. 636.<br />

( 79 ) Per un approfondimento, si rinvia a Crespi-Reghizzi, Moti e tendenze del diritto<br />

commerciale cinese, in Studi in onore di Pietro Corradini, Roma, 2006.<br />

( 80 ) Comunicazione della Commissione su una politica della concorrenza proattiva per<br />

un’Europa competitiva, cit., punto 3.2 e punto 3.2.3, dove si evidenziano le importanti siner-


SAGGI 777<br />

nata « Strategia di Lisbona » ( 81 ). Siccome il compromesso, raggiunto con<br />

il Parlamento su come affrontare il problema delle delocalizzazioni nel<br />

contesto della disciplina generale dei Fondi strutturali, ricorda in buona<br />

sostanza la soluzione già accolta dalla Commissione in alcuni suoi precedenti<br />

provvedimenti (e cioè, le citate disposizioni sulle sovvenzioni nazionali<br />

a finalità regionale ed all’occupazione), ci si può attendere che tale<br />

impostazione possa trovare ulteriore applicazione nella futura più ampia<br />

riforma delle regole sugli aiuti di Stato, che tenderà a rivestire la forma<br />

di veri e propri regolamenti della Commissione anziché quella di mere<br />

sue comunicazioni.<br />

L’ultimo pensiero va alla politica commerciale comune: in effetti, non<br />

è forse irragionevole ritenere che essa vada condotta, al pari di tutte le altre,<br />

in modo sinergico e coordinato con quella di coesione, onde evitare<br />

ingiustificati scompensi all’interno dell’Unione. Il punto diventa semmai<br />

capire come procedere – democraticamente – a definire nei diversi momenti<br />

storici la corretta miscela tra le politiche medesime ed i loro rispettivi<br />

obiettivi, in considerazione delle finalità ultime assegnate alla Comunità,<br />

anch’esse parzialmente mutate nel corso del tempo ( 82 ).<br />

gie che dovrebbero crearsi dalla contemporanea riforma dei fondi strutturali nonché degli<br />

strumenti esistenti nel settore degli aiuti di Stato (per valutare questi ultimi, la Commissione<br />

manifesta ora l’intenzione di privilegiare un approccio di tipo orizzontale).<br />

( 81 ) Comunicazione della Commissione sul piano di azione nel settore degli aiuti di stato<br />

– Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato<br />

2005/2009 (Documento di consultazione), COM (2005) 107 def.<br />

( 82 ) Mentre viene licenziato alla tipografia il presente scritto, si è in attesa di conoscere<br />

il contenuto della seguente nuova comunicazione della Commissione: Implementing the<br />

Community Lisbon Programme: Financing SME Growth – Adding European Value, COM<br />

(2006) 349 def.


LUIGI A. SCARANO<br />

Notificazione e comunicazione di atti nell’Unione europea<br />

Sommario: 1. Unione europea, spazio giuridico europeo e « comunitarizzazione » della disciplina<br />

in tema di comunicazione e notificazione di atti giudiziari ed extragiudiziali. –<br />

2. Ambito oggettivo della disciplina. a) La materia civile e commerciale. – 3. Segue: b)<br />

Atti giudiziari ed extragiudiziali. – 4. Segue: c) Trasmissione a scopo di notificazione o<br />

comunicazione. – 5. Segue: d) Recapito noto del destinatario dell’atto. Recapito ignoto<br />

e destinatario irreperibile. – 6. Caratteri essenziali della disciplina. a) Semplificazione<br />

del procedimento e sistema decentrato. – 7. Segue: b) Accelerazione della trasmissione.<br />

– 8. Segue: c) Lingua dell’atto. – 9. Modalità e forma principale di notificazione o comunicazione.<br />

– 10. Data di notificazione o comunicazione dell’atto. Il principio della<br />

“scissione” tra perfezionamento ed efficacia della notificazione o comunicazione. – 11.<br />

Segue: Il principio della “scissione” nell’ordinamento italiano. Rilievi critici. – 12. Segue:<br />

La soluzione accolta dal Regolamento: critica. – 13. Modalità alternative o sussidiarie.<br />

a) Notificazione o comunicazione (“indiretta” e “diretta”) per via consolare o diplomatica.<br />

– 14. Segue: b) Notificazione o comunicazione postale “diretta”. – 15. Segue:<br />

c) Forme particolari di notifica. – 16. Segue: d) La domanda “diretta” di notificazione. –<br />

17. L’art. 19 quale fonte di disciplina processuale uniforme. – 18. Segue: a) La regolare<br />

costituzione del contraddittorio. La sospensione necessaria (cd. europea) del processo.<br />

– 19. Segue: b) Contumacia del convenuto e rimessione in termini. – 20. Osservazioni<br />

conclusive.<br />

1. – La notificazione e la comunicazione negli Stati membri di atti giudiziari<br />

ed extragiudiziali in materia civile e commerciale è disciplinata dal<br />

Regolamento del Consiglio dell’U.E. del 29/5/2000 n. 1348 ( 1 ), atto normativo<br />

derivato di fonte comunitaria, con base normativa nell’art. 65 del<br />

Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 ( 2 ).<br />

( 1 ) In vigore dal 31 maggio 2001.<br />

Il presente saggio riproduce, con qualche integrazione, ed aggiorna la rielaborazione<br />

della relazione svolta al Convegno di studi organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Avezzano,<br />

dalla Rivista “Quaderni di diritto” e dalla Sezione Abruzzo dell’Associazione Nazionale<br />

Magistrati sul tema « Diritto civile comunitario e cooperazione giudiziaria civile » (Avezzano,<br />

31 gennaio 2004), pubblicata nel volume AA.VV., Diritto civile comunitario e cooperazione<br />

giudiziaria civile, a cura di Ambrosi-Scarano con Introduzione di S. Ratti, Milano, 2005.<br />

( 2 ) Il Trattato di Amsterdam è in vigore dal maggio del 1999: in argomento v., per tutti,<br />

Pocar, La comunitarizzazione del diritto internazionale privato: una “European conflict of law<br />

revolution”?, in Riv. int. dir. priv. e proc., 2000, 873 n.; Tizzano, Il Trattato di Amsterdam. Con<br />

i testi coordinati del Trattato di Maastricht e del Trattato della Comunità Europea, Padova, 1998.


SAGGI 779<br />

La cooperazione giudiziaria (e giuridica) in materia civile, che nel<br />

Trattato di Maastricht del 1992 sull’Unione Europea faceva parte del Terzo<br />

Pilastro, nel Trattato di Amsterdam è contemplata come materia di Primo<br />

Pilastro.<br />

Da oggetto di cooperazione governativa tra gli Stati membri, realizzata<br />

mediante la conclusione di Accordi tra Stati, essa è quindi divenuta una<br />

delle politiche comuni strumentalmente rilevanti al fine della realizzazione<br />

della finalità fondamentale dell’azione comunitaria, il corretto funzionamento<br />

del Mercato interno ( 3 ), perseguita mediante la progressiva armonizzazione<br />

ed integrazione tra gli ordinamenti degli Stati membri ( 4 ).<br />

Essenziale ruolo riveste al riguardo la creazione di uno « spazio di libertà,<br />

sicurezza e giustizia » ( 5 ), di uno « spazio giudiziario comune », per<br />

la cui integrazione risulta necessario (anche) il ravvicinamento e l’allineamento<br />

delle regole di diritto sostanziale ( 6 ), di diritto internazionale priva-<br />

L’art. 65 del Trattato CE costituisce la norma fondamentale dell’ordinamento comunitario<br />

per la realizzazione, mediante fonti di diritto secondario adottate dagli organi dell’U.E.,<br />

di un sistema armonizzato di diritto internazionale privato e processuale: « Le misure<br />

nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti implicazioni transfrontaliere,<br />

da adottare a norma dell’articolo 67 e per quanto necessario al corretto funzionamento<br />

del mercato interno, includono: a) il miglioramento e la semplificazione: – del sistema<br />

per la notificazione transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali; – . . .;<br />

b) . ..».<br />

In argomento v. Campeis-De Pauli, Prime riflessioni sulla disciplina delle notifiche in<br />

materia civile e commerciale nell’unione europea (Regolamento del Consiglio 29 maggio 2000,<br />

n. 1348/2000/CE), in Giust. civ., 2001, II, p. 239; Biavati, Notificazioni e comunicazioni in Europa,<br />

in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, p. 501 ss., ivi alla p. 502; de Cristofaro, La nuova disciplina<br />

delle notificazioni infracomunitarie in materia civile, in Studium iuris, 2001, p. 517 ss.,<br />

ivi alla p. 518; Frigo-Fumagalli, L’assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, Padova,<br />

2003, p. 61 ss.; Frigo, Il regolamento comunitario sulle notificazioni in materia civile o<br />

commerciale, in Riv. dir. proc., 2002, p. 102 ss.<br />

( 3 ) Cfr. Campeis-De Pauli, op. loc. citt.; Frigo-Fumagalli, op. loc. citt., ivi alla p. 62 ss.<br />

( 4 ) Al riguardo v. Gaja, La cooperazione rafforzata, in Dir. unione eur., 1998, p. 315 ss.<br />

Per il rilievo secondo cui il corretto funzionamento del mercato interno costituisce il<br />

« punto distintivo » tra l’« armonizzazione comunitaria » e quella « universale », e il « corretto<br />

funzionamento del mercato è una sorta di alveo, che limita ma anche incanala, con effetti<br />

di maggiore efficacia, l’armonizzazione europea » v. Biavati, op. cit., p. 506 ss., ivi alla<br />

p. 508.<br />

( 5 ) In argomento v. Carbone, Il nuovo spazio giudiziario europeo. Dalla Convenzione di<br />

Bruxelles al regolamento CE n. 44/2001, Torino, 2002, p. 10 ss.<br />

( 6 ) Nel senso che la scelta del metodo di produzione del « diritto europeo », a seconda<br />

che si intenda privilegiare il « diritto legislativo » o il « diritto giurisprudenziale » o il « diritto<br />

professorale », riflette le divergenze sul concetto e sul contenuto del medesimo e costi-


780 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

to e di giurisdizione, delle regole processuali ( 7 ) e di quelle organizzativoamministrative<br />

necessarie per assicurare il corretto svolgimento dei processi<br />

civili.<br />

Nel perseguimento degli obiettivi fissati dall’art. 65 del Trattato CE, il<br />

Consiglio dell’U.E. ha il potere di adottare misure di cooperazione rafforzata<br />

caratterizzate da implicazioni transfrontaliere [art. 61, lett. c), CE].<br />

Il miglioramento e la semplificazione della trasmissione – con finalità<br />

di notificazione o comunicazione – di atti giudiziari ed extragiudiziali tra<br />

Stati membri rientra nell’ambito generale del diritto processuale comunitario,<br />

quale fenomeno che appare strettamente connesso con i profili della<br />

competenza giurisdizionale e del riconoscimento ed esecuzione delle<br />

sentenze ( 8 ).<br />

Le notificazioni transnazionali costituiscono un fenomeno da sempre<br />

avvertito come di assoluto rilievo nell’ambito della cooperazione giudiziaria<br />

civile tra Stati.<br />

Già nel 1896 veniva adottato uno strumento convenzionale in materia,<br />

seguìto dalle Convenzioni dell’Aja relative alla procedura civile del 17 luglio<br />

1905 e del 1° marzo 1954 ( 9 ), fino alla Convenzione dell’Aja del 15 novembre<br />

1965 ( 10 ). E il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Bruxelles<br />

del 27 settembre 1968 ( 11 ) introduce, al punto IV, la possibilità della trasmissione<br />

transnazionale «direttamente dai pubblici ufficiali dello Stato in<br />

cui gli atti sono formati a quelli dello Stato sul cui territorio si trova il destinatario<br />

dell’atto in questione ».<br />

Gli strumenti pattizi di collaborazione muovono dall’esigenza di rispetto<br />

del principio di sovranità degli Stati, ostativo al compimento da<br />

tuisce il risultato di una opzione di fondo in favore della costruzione normativa, casistica o<br />

scientifico-dommatica, v. Vacca, Cultura giuridica e armonizzazione del diritto europeo, in<br />

Europa e dir. priv., 2004, p. 53 ss., ivi alla p. 55.<br />

( 7 ) Sottolinea l’importanza che il diritto processuale civile assume nella prospettiva europea<br />

ai fini dell’effettività del mercato, in ragione della riscoperta della valenza economica<br />

del processo civile, De Stefano, La procedura civile e il diritto comunitario, in Rass. locaz.,<br />

2002, p. 340 ss., ivi alla p. 342 ss.<br />

( 8 ) In tal senso cfr. Biavati, op. cit., p. 543 ss.; Campeis-De Pauli, op. loc. citt.; Frigo-<br />

Fumagalli, op. loc. citt.<br />

V. anche il secondo Considerando del Regolamento, secondo cui « Il buon funzionamento<br />

del mercato interno presuppone che fra gli Stati membri sia migliorata ed accelerata<br />

la trasmissione, a fini di notificazione, degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile<br />

o commerciale ».<br />

( 9 ) Ratificata e resa esecutiva con L. 3 gennaio 1957, n. 4.<br />

( 10 ) Ratificata e resa esecutiva con L. 6 febbraio 1981, n. 42.<br />

( 11 ) Ratificata e resa esecutiva con L. 21 giugno 1971, n. 804.


SAGGI 781<br />

parte di soggetti stranieri di atti d’imperio e di attuazione di funzioni di<br />

natura pubblicistica riservati a pubblici ufficiali nazionali (nel cui ambito è<br />

ricompresa l’attività di notificazione e comunicazione di atti giudiziali) ( 12 ),<br />

laddove non espressamente consentiti ( 13 ). Ma si spiega anche in ragione<br />

della mancanza, nel diritto internazionale, di una norma o di un principio<br />

generale che obblighi gli Stati a prestarsi reciprocamente assistenza giudiziaria<br />

( 14 ).<br />

Nel 1997 è stata dal Consiglio dell’U.E. adottata la Convenzione ( 15 )<br />

relativa alla notificazione e comunicazione negli Stati membri dell’U.E. di<br />

atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, firmata a<br />

Bruxelles il 26 maggio 1997, dall’Italia ratificata e resa esecutiva (unitamente<br />

al Protocollo sottoscritto in pari data, attributivo alla Corte di Giustizia<br />

CE della competenza ad interpretare la detta Convenzione) ( 16 ) con<br />

L. 19 ottobre 1999, n. 422 ( 17 ). Convenzione peraltro mai divenuta applicabile<br />

in mancanza di un numero sufficiente di ratifiche intervenute prima<br />

dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.<br />

La comunitarizzazione della materia della cooperazione giudiziaria (e<br />

giuridica) in materia civile ne implica la riconduzione alla potestà legislativa<br />

di diretto esercizio da parte degli organi comunitari ( 18 ), nel rispetto<br />

( 12 ) In tal senso v. Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Padova, 1954, p. 262.<br />

( 13 ) V. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 247 ss.; Pocar, Esercizio autorizzato del potere statale<br />

nel territorio straniero, Padova, 1974, p. 167 ss.; Massari, Di una insufficiente assistenza<br />

giudiziaria internazionale: la notificazione di atti all’estero, in Mon. trib., 1961, p. 1122 ss.<br />

In tale quadro si inserisce (anche) la Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni<br />

consolari, resa esecutiva in Italia con L. 9 agosto 1967, n. 804, di applicazione peraltro<br />

eccezionale.<br />

( 14 ) In tal senso v. Pocar, L’assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, Padova,<br />

1967, p. 43 ss., ivi alla p. 60; CARPI, Commento a Corte cost., 2 febbraio 1978, n. 10, in<br />

Nuove leggi civ. comm., 1978, p. 894 ss., ivi alla p. 895.<br />

Si coglie, a tale stregua, il fondamentale rilievo che assume ora in argomento la fonte<br />

di diritto derivato costituita dal Regolamento (CE) n. 1206 del 28 maggio 2001 relativo alla<br />

cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle<br />

prove in materia civile e commerciale: in argomento v. Sandrini, L’assunzione delle prove<br />

all’estero. Dalla Convenzione dell’Aja del 1970 al regolamento CE n. 1206/2001, in Aa.Vv., Diritto<br />

civile comunitario e cooperazione giudiziaria civile a cura di Ambrosi-Scarano, Milano,<br />

2005, p. 215 ss.<br />

( 15 ) Il cui testo può leggersi anche in Riv. int. dir. priv. proc., 1998, p. 668 ss.<br />

( 16 ) Il cui testo può leggersi anche in Riv. int. dir. priv. proc., 1998, p. 691 ss.<br />

( 17 ) Pubblicata nella G.U. 16 novembre 1999, n. 269.<br />

( 18 ) Cfr. Giacalone, La lunga marcia dell’euronotifica rafforza la cooperazione giudiziaria,<br />

in Dir. e giust., 2000, fasc. 25, p. 64 ss.


782 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità ( 19 ), non risultando pertanto<br />

essa più esclusivamente o principalmente rimessa alla regolamentazione<br />

pattizia tra gli Stati ( 20 ).<br />

Esercitando i poteri conferitigli dal Trattato (artt. 61, 65, 67 CE), la<br />

Commissione ha dapprima presentato una proposta di Direttiva, sostanzialmente<br />

riproducente il testo della Convenzione del 1997 ( 21 ).<br />

Dopo breve, essa ha tuttavia optato, così come per le altre iniziative<br />

concernenti gli ambiti di priorità fissati nel citato art. 65 Tratt. Amsterdam<br />

( 22 ), per l’adozione della fonte regolamentare, ravvisata come maggiormente<br />

idonea al perseguimento dell’obiettivo dell’introduzione negli Stati<br />

membri di una disciplina uniforme o quantomeno omogenea e coerente,<br />

immediatamente e direttamente vincolante ( 23 ).<br />

Le norme dei Regolamenti comunitari sono infatti direttamente efficaci<br />

negli Stati membri, e costituiscono fonti (anche) di diritto interno dei<br />

singoli Stati nazionali.<br />

Nell’ordinamento italiano essi sono fonti di rango primario, sovraordi-<br />

( 19 ) V. il quarto Considerando: « In base ai princìpi di sussidiarietà e proporzionalità di<br />

cui all’articolo 5 del Trattato, gli obiettivi del presente regolamento non possono essere sufficientemente<br />

realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello<br />

comunitario. Il presente regolamento non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento<br />

di tali obiettivi ».<br />

( 20 ) In tal senso cfr. Biavati, op. cit., p. 510, il quale pone in rilievo come il Trattato di<br />

Amsterdam abbia « aperto la via ad una tipologia di normazione non più convenzionale ma<br />

legislativa ».<br />

( 21 ) Proposta presentata il 4 maggio 1999: in argomento v. Giacalone, op. loc. citt.<br />

( 22 ) V. Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio 22 dicembre 2000 concernente la<br />

competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, in materia civile<br />

o commerciale e il Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio sulle procedure di insolvenza,<br />

entrambi in G.U.C.E., L 160, 30 giugno 2000; il Regolamento (CE) n. 1347/2000<br />

del Consiglio 29 maggio 2000 relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati<br />

membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale, in<br />

G.U.C.E., L 174, 27 giugno 2001.<br />

( 23 ) Osserva al riguardo Biavati, op. cit., p. 501 ss., ivi alla p. 502 come « il modo di essere<br />

delle norme sulle notifiche si spieghi, nel contesto dell’ordinamento comunitario, in<br />

una chiave di lettura complessiva, che segna il progressivo passaggio da un meccanismo di<br />

relazioni fondato sull’obiettivo della circolazione delle sentenze ad un nuovo meccanismo,<br />

imperniato sulla finalità di un’amministrazione tendenzialmente omogenea della giustizia<br />

civile nell’Unione ».<br />

Sottolinea come, più della semplice armonizzazione, è invero l’unificazione della disciplina<br />

relativa all’esercizio della giurisdizione civile e al riconoscimento delle sentenze straniere<br />

che può compiutamente attuare la cd. quinta libertà, relativa appunto alla circolazione<br />

delle sentenze, Carbone, op. loc. citt., ivi alla p. 11.


SAGGI 783<br />

nato alla legge ordinaria ( 24 ) e paritario rispetto a quella costituzionale ( 25 ).<br />

L’adozione della fonte (regolamentare) comunitaria assume pregnante<br />

significato sotto molteplici profili, dovendo le norme ivi poste, pur se sostanzialmente<br />

mutuate dalla Convenzione del 1977, anzitutto contemperarsi<br />

con i principi del cd. acquis communautaire. In particolare, con i principi,<br />

elaborati dalla Corte di Giustizia, di effettività, non discriminazione,<br />

tutela giurisdizionale adeguata ( 26 ).<br />

Ne emerge a tale stregua un quadro ove « le regole in tema di notificazione<br />

sono evidentemente ancillari al quadro globale del diritto di difesa,<br />

delle disposizioni sulla competenza e del rapporto fra cause nel sistema<br />

europeo » ( 27 ).<br />

L’affermarsi e lo svilupparsi di uno « spazio comune », e la conseguente<br />

considerazione del territorio in (progressivi) termini di unitarietà ( 28 ),<br />

comporta il (progressivo) sostanziale superamento, nell’ambito dell’Unione,<br />

del principio di sovranità degli Stati, e del correlativo principio di territorialità<br />

nella giurisdizione ( 29 ).<br />

Il processo di coordinamento e di armonizzazione, esteso anche alla<br />

notificazione e alla comunicazione degli atti, attiene, come più sopra segnalato,<br />

non solamente all’ambito delle regole processuali, ma altresì a<br />

quello dell’amministrazione della giustizia, ivi ricompresi quindi gli aspetti<br />

di tipo burocratico ed organizzativo. Come del pari gli atti e i rapporti<br />

sostanziali ( 30 ).<br />

Ulteriore corollario della comunitarizzazione della materia è la relativa<br />

sottoposizione all’interpretazione da parte della Corte di Giustizia, in virtù<br />

della competenza a tale Organo attribuita in via generale dall’art. 68 Trattato<br />

CE (versione consolidata a seguito del Trattato di Amsterdam) ( 31 ).<br />

( 24 ) Con la quale viene invece recepita la Direttiva (che non sia self-executing).<br />

( 25 ) In tal senso cfr. Bianca, Diritto civile, 1, Milano, 2002, p. 74 ss.<br />

( 26 ) In tali termini v. Biavati, op. cit., p. 509: il « passaggio dalla convenzione al regolamento<br />

significa che l’ordinamento comunitario fa proprie molte delle soluzioni tecniche<br />

consolidate del diritto internazionale convenzionale . . . ma le assorbe e le riveste con i propri<br />

criteri di fondo ».<br />

( 27 ) Così Biavati, op. cit., p. 522.<br />

( 28 ) Cfr. Biavati, op. cit., p. 521.<br />

( 29 ) In ordine al principio di territorialità nella giurisdizione v. Pocar, L’esercizio non<br />

autorizzato del potere statale sul territorio straniero, cit., p. 167; Morelli, op. cit., p. 167 ss.<br />

( 30 ) Cfr. Biavati, op. cit., p. 542.<br />

( 31 ) Nel senso che tale competenza appare idonea a garantire il « delicato equilibrio fra<br />

il coordinamento indispensabile e il rispetto della differenza », giacché non è realistico ritenere<br />

che « l’armonizzazione processuale europea possa diventare effettiva » con il calare


784 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Ancora, in ambito comunitario il Regolamento prevale ormai sulla<br />

Convenzione dell’Aja del 1965 e sulla Convenzione di Bruxelles del 27<br />

settembre 1968 ( 32 ), nonché su tutti gli altri Accordi o Intese bi o multilaterali<br />

che non siano idonei a garantire sistemi più facili e rapidi di trasmissione<br />

degli atti (art. 20 Reg.) ( 33 ). Rimangono sostituite anche le sopra richiamate<br />

Convenzioni dell’Aja, del 1905 e del 1954, relative alla procedura<br />

civile ( 34 ).<br />

Il Regolamento consente invero che vengano conclusi o mantenuti in<br />

vigore solo Accordi e Intese con esso compatibili, ove cioè idonei ad ulte-<br />

dall’alto un corpo di norme comuni che « si imponga a tradizioni giuridiche secolari e a<br />

prassi operative consolidate », ed essendo la Corte di Giustizia d’altra parte « maestra in<br />

questo compito: è sua, in definitiva, l’invenzione degli standard minimi di tutela giurisdizionale,<br />

come strumento di mediazione fra la necessità di applicare il diritto comunitario e<br />

l’autonomia procedurale riconosciuta agli Stati membri », v. Biavati, op. cit., p. 545.<br />

Criticamente in ordine alla limitazione dell’accesso alla Corte di Giustizia che l’art. 68<br />

CE ha attribuito esclusivamente al giudice nazionale di ultima istanza (« avverso le cui decisioni<br />

non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno »), e non anche, quindi<br />

(come invece consentito dall’art. 17 della Convenzione attraverso un Protocollo redatto<br />

sulla base di quello di Lussemburgo del 3 giugno 1971 sull’interpretazione della Convenzione<br />

di Bruxelles del 1968), anche ai giudici di secondo grado, v. Giacalone, op. cit., p. 66;<br />

Frigo, Il regolamento comunitario sulle notificazioni in materia civile o commerciale, cit., p.<br />

126 ss., ivi alla p. 130.<br />

( 32 ) Convenzioni tuttora in vigore, che trovano applicazione nei rapporti con la Danimarca<br />

e con i Paesi terzi. In argomento v. Biavati, op. cit., p. 512.<br />

( 33 ) Per il rilievo che l’art. 20 Reg. risente della sua origine convenzionale, essendo già<br />

presente nella Convenzione del 1997, giacché è « meno frequente » l’inclusione di tale tipo<br />

di previsione nell’ambito di una fonte regolamentare v. Frigo, op. ult. cit., p. 126; Frigo-<br />

Fumagalli, op. cit., p. 87 ss.; Carella, La disciplina delle notificazioni e comunicazioni intracomunitarie:<br />

dalla cooperazione intergovernativa all’integrazione europea?, in Diritto internazionale<br />

privato e diritto comunitario a cura di Picone, Padova, 2004, p. 130 ss., ivi alla p.<br />

132, per la quale la norma appare « una svista dovuta ad una troppo frettolosa trasposizione<br />

sul regolamento del contenuto della Convenzione sulle notificazioni del 1997 ».<br />

Al riguardo, diversamente, per l’« opportunità di mantenere la disposizione in questione<br />

anche nell’ambito del regolamento », in quanto « essa incide direttamente e<br />

uniformemente in una materia divenuta di competenza comunitaria nella quale l’impatto<br />

dell’accordo internazionale, inteso come fonte di norme giuridiche, riveste un’importanza<br />

particolare », ed altresì in considerazione della circostanza che « le stesse disposizioni<br />

nazionali vengono derogate da una pluralità di convenzioni bilaterali e multilaterali<br />

in vigore », v. invece Frigo, La disciplina comunitaria della notificazione degli atti in<br />

materia civile e commerciale: il Regolamento (CE) n. 1348/2000, in Carbone-Frigo-Fumagalli,<br />

Diritto processuale civile e commerciale comunitario, Milano, 2004, p. 150 ss., ivi<br />

alla p. 151.<br />

( 34 ) Analogamente v. Frigo, op. loc. ultt. citt., ivi alla p. 127.


SAGGI 785<br />

riormente accelerare e semplificare la trasmissione di atti (art. 20, comma<br />

2, Reg.) ( 35 ).<br />

A tale stregua, persistente validità ed efficacia sembra doversi ad<br />

esempio riconoscere alla Convenzione bilaterale conclusa a Vienna il 30<br />

giugno 1975 tra l’Italia e l’Austria ( 36 ), la quale, nel prevedere la possibilità<br />

di invio diretto tra i Tribunali dei due Stati di atti da notificarsi e concernenti<br />

l’esecuzione, anche se redatti nella (sola) lingua dello Stato cui appartiene<br />

il Tribunale richiedente, appare profilarsi come senz’altro idonea<br />

ad ulteriormente semplificare e accelerare la trasmissione dell’atto rispetto<br />

a quanto garantito dal sistema regolamentare (salva peraltro la facoltà<br />

di rifiuto ex art. 5 Reg. da parte del destinatario, in ragione della mancata<br />

conoscenza della lingua dell’atto) ( 37 ).<br />

Ancora, alla Convenzione italo-britannica per l’assistenza giudiziaria<br />

in materia civile e commerciale del 17 dicembre 1930, ratificata e resa esecutiva<br />

con L. 31 marzo 1932, n. 373, che consente la notificazione diretta di<br />

atti giudiziari ed extragiudiziali (redatti nella lingua dello Stato ove deve<br />

essere notificato ovvero accompagnato da una traduzione in tale lingua:<br />

( 35 ) V. la Relazione esplicativa concernente la convenzione stabilita in base all’articolo K.<br />

3 del Trattato sull’Unione europea relativa alla notificazione negli Stati membri dell’Unione europea<br />

di atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale (Testo approvato dal<br />

Consiglio il 26 giugno 1997), in G.U.C.E., C 261, 27 agosto 1997, che si legge anche in Riv. int.<br />

dir. priv. proc., 1998, p. 676 ss.<br />

A tale stregua, non sembra pertanto valevole con riferimento al Regolamento quanto<br />

indicato dalla Relazione esplicativa della Convenzione del 1997 indicato relativamente al<br />

detto strumento convenzionale, ove, con riferimento al combinato disposto di cui agli artt.<br />

1 e 20, si afferma che « nessun altro accordo, convenzione o intesa possono essere applicati<br />

fra gli Stati membri dell’Unione europea (che hanno ratificato la presente convenzione) ».<br />

In tal senso cfr. Frigo, La disciplina comunitaria della notificazione negli Stati membri<br />

dell’Unione europea di atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale: il Regolamento<br />

(CE) n. 1348/2000, cit., p. 150 ss., ivi alla p. 151 ss., il quale segnala altresì l’equivocità<br />

del riferimento alla “compatibilità” di altri Accordi con il Regolamento e, avuto in<br />

particolare riguardo alla Convenzione bilaterale Italia-Austria, alla idoneità della notificazione<br />

dell’atto redatto nella sola lingua dello stato mittente (es., italiano), così come consentito<br />

dallo strumento convenzionale, laddove il Regolamento prevede invece (art. 5) la<br />

facoltà di rifiuto di ricevere l’atto non redatto in una delle lingue di cui all’art. 8 Reg.<br />

( 36 ) In ordine agli Accordi bilaterali in materia di assistenza giudiziaria negoziati con<br />

Paesi quali, tra gli altri, Austria, Regno Unito, Francia, Spagna, Turchia e Giappone, v.<br />

Giuliano-Pocar-Treves, Codice delle convenzioni di diritto internazionale privato e processuale,<br />

Milano, 1981; Miele, Le convenzioni internazionali relative al processo civile, Milano,<br />

1955.<br />

( 37 ) Nello stesso senso v. Frigo, op. loc. ultt. citt., ivi alla p. 128; Frigo-Fumagalli, op.<br />

cit., p. 89 ss.


786 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

art. 3), in sede decentrata, dalle parti interessate a mezzo dei competenti<br />

funzionari o ufficiali del Paese nel quale la notificazione deve essere eseguita<br />

(art. 5), oltre che su richiesta, in Italia, di un agente consolare inglese<br />

al Procuratore generale presso la Corte d’Appello del distretto nel cui<br />

ambito la notificazione deve effettuarsi, che vi provvede secondo la legge<br />

dello Stato ad quem.<br />

2. – L’ambito oggettivo della disciplina è delineato dall’art. 1 Reg. che,<br />

al comma 1, fa al riguardo anzitutto riferimento alla « materia civile e<br />

commerciale ».<br />

La norma non reca invero una definizione di tali concetti, neanche<br />

mediante rinvio al diritto interno.<br />

Trattasi di formulazione peraltro ricorrente negli atti comunitari, essendo<br />

espressamente contemplata, in particolare, nella Convenzione di<br />

Bruxelles del 1968 ( 38 ).<br />

Nella Relazione esplicativa della Convenzione del 1997 si indica la necessità<br />

di farsi in proposito richiamo ai concetti elaborati dalla Corte di<br />

Giustizia in sede di applicazione della Convenzione di Bruxelles, con l’adozione<br />

di un’autonoma definizione che tenga conto « degli obiettivi e<br />

dell’economia della Convenzione nonché dei principi generali risultanti<br />

dai sistemi giuridici nazionali nel loro insieme ».<br />

Tale soluzione appare valida anche all’esito della comunitarizzazione<br />

della materia, con riferimento al Regolamento.<br />

Oltre a quella penale e a quella fiscale, che dalla detta Relazione sono<br />

« escluse a priori » dall’ambito della materia civile e commerciale, nella<br />

stessa non sembrano ricomprendere nemmeno la materia doganale e<br />

quella amministrativa ( 39 ).<br />

( 38 ) Convenzione ormai sostituita dal Regolamento (CE) 44/2001 del 22 dicembre 2000,<br />

in vigore del 1° marzo 2002: al riguardo v. Giacalone, Il Regolamento CE n. 44/2001 sulla<br />

competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale (cd.<br />

Bruxelles I), in Aa.Vv., Diritto civile comunitario e cooperazione giudiziaria civile a cura di<br />

Ambrosi-Scarano, cit., p. 75 ss. Siani, Il regolamento CE n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale<br />

e nell’esecuzione della sentenza, in Dir. comunitario e scomb. int., 2003, 451 n.;<br />

Bonaduce, L’interpretazione della Convenzione di Bruxelles del 1968 alla luce del regolamento<br />

n. 44/2001 nelle pronunce della Corte di Giustizia, in Riv. dir. int., 2003, 746 ss.<br />

( 39 ) Cfr. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 241.<br />

In relazione alla P.A. va tuttavia precisato che si prescinde dalla natura dell’organo giurisdizionale<br />

competente a conoscerne, sicché il Regolamento trova sicuramente applicazione<br />

con riguardo all’agire iure privatorum della P.A.: cfr. Corte CE, 21 aprile 1993, causa C-<br />

172/91, Sonntag, in Raccolta, 1993, p. I-1990. In dottrina cfr. Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 86<br />

ss.; Carbone, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale nello


SAGGI 787<br />

L’ambito di applicazione del Regolamento e quello della Convenzione<br />

di Bruxelles del 1968 non sono tuttavia coincidenti.<br />

Diversamente dallo strumento pattizio, la fonte normativa regolamentare<br />

non esclude infatti la sua operatività in materie quali lo stato e la capacità<br />

della persona, il regime patrimoniale tra coniugi, i testamenti e le<br />

successioni in genere, il fallimento e le altre procedure concorsuali, la sicurezza<br />

sociale, l’arbitrato ( 40 ).<br />

Va peraltro condivisa l’osservazione dottrinaria secondo cui, se nella<br />

Convenzione di Bruxelles del 1968 l’indicazione delle materie escluse si<br />

spiegava essenzialmente in quanto, nei sistemi di common law, il civil law<br />

ricomprende tutto ciò che non appartiene al campo del diritto penale (e<br />

quindi anche il diritto costituzionale, il diritto tributario ed il diritto amministrativo)<br />

( 41 ), analoga esclusione non appare trovare viceversa giustificazione<br />

con riferimento alla disciplina dell’attività di notificazione o comunicazione,<br />

il cui rilievo meramente strumentale depone per l’indifferenza<br />

in ordine al contenuto degli atti che ne costituiscono l’oggetto ( 42 ).<br />

Nel sottolineare l’esigenza di un’interpretazione flessibile al riguardo, la<br />

richiamata Relazione esplicativa indica ricomprese nell’ambito di applicazione<br />

della Convenzione del 1997, al fine di tutelare le parti in causa e in<br />

particolare il loro diritto di difesa, le azioni civili relative alle cause fiscali e<br />

penali.<br />

Soluzione che appare senz’altro meritevole di accoglimento anche con<br />

riferimento al Regolamento ( 43 ).<br />

spazio giudiziario europeo: dalla Convenzione di Bruxelles al regolamento (CE) n. 44/2001, in<br />

Carbone-Frigo-Fumagalli, Diritto processuale civile e commerciale comunitario, cit., p. 10<br />

ss., ivi alla p. 11.<br />

Per il rilievo secondo cui, in ragione della sostanziale identità di contenuti tra la Convenzione<br />

del 1997 ed il Regolamento n. 1348 del 2000, la relazione esplicativa in argomento<br />

può costituire valido strumento ai fini interpretativi anche di quest’ultimo v. Frigo, La disciplina<br />

comunitaria della notificazione degli atti in materia civile e commerciale: il Regolamento<br />

(CE) n. 1348/2000, cit., p. 119 ss., ivi alla p. 122.<br />

( 40 ) Cfr. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 69.<br />

( 41 ) La cui mancata ricomprensione appariva altresì giustificata in relazione ad uno strumento<br />

negoziale in tema di giurisdizione e riconoscimento ed esecuzione di sentenze.<br />

( 42 ) In tal senso cfr. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 241 ss.<br />

( 43 ) A tale stregua devono ritenersi pertanto rientrare nell’ambito di applicazione del<br />

Regolamento ad esempio gli atti concernenti l’invalidità dei contratti oggetto di corruzione,<br />

di cui alla Convenzione civile sulla corruzione adottata a Strasburgo nel 1999: in argomento<br />

v. Rabitti, <strong>Contratto</strong> illecito e norma penale, Roma, 2000, p. 225 ss.; Scarano, La Convenzione<br />

civile anticorruzione tassello europeo di una strategia europea, in Dir. e giust., 2000,<br />

fasc. 35, p. 72 ss.


788 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

3. – Avuto riguardo alla Convenzione dell’Aja del 1965 si è in dottrina<br />

ritenuto che il riferimento alla natura giudiziaria dell’atto sia da intendersi<br />

con riferimento ai soli procedimenti giurisdizionali ed agli atti emanati<br />

dalle autorità e dagli ufficiali di uno Stato contraente ( 44 ).<br />

Secondo un’indicazione offerta dalla citata Relazione esplicativa con<br />

riferimento alla Convenzione del 1997, che sembra da accogliersi anche<br />

per il Regolamento, l’espressione atti giudiziari va invece estensivamente<br />

considerata nel senso di ricomprendere tutti gli atti connessi ad un procedimento<br />

giudiziario ( 45 ).<br />

Quanto alla nozione di atto extragiudiziale si è proposto di fare genericamente<br />

riferimento a tutti gli atti la cui natura o importanza imponga il<br />

ricorso a specifici procedimenti posti in essere da autorità o pubblici ufficiali<br />

dello Stato membro (ad es. diffide notificate a mezzo di ufficiale giudiziario,<br />

atti notarili, ecc.) ( 46 ).<br />

Al riguardo sembra tuttavia più corretta, non prevedendo la legge la<br />

produzione di effetti legata a forme solenni di notificazione, un’interpretazione<br />

ampia del concetto, estesa a qualsiasi atto, anche di parte, pure se<br />

non destinato ad avere rilievo in un (anche solo instaurando) giudizio ( 47 ).<br />

4. – La trasmissione dall’uno all’altro Stato membro deve avvenire a fini<br />

di notificazione o comunicazione dell’atto (« per essere notificato o comunicato<br />

») al suo destinatario.<br />

( 44 ) Con riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1965, per l’esclusione dell’applicabilità<br />

della disciplina alla notificazione di un atto di un procedimento contenzioso, ma non<br />

giurisdizionale « quale la nomina di un arbitro » v. Carpi, sub art. 1, in Carpi-Ciaccia-Cavallari-Magagni,<br />

Convenzione relativa alla notificazione (« signification ») e alla comunicazione<br />

(« notification ») all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale.<br />

Commentario a cura di Carpi e Ciaccia Cavallari, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p.<br />

329 ss., ivi alla p. 330; Frigo-Fumagalli, op. loc. ultt. citt.<br />

( 45 ) Cfr. Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 67 ss.<br />

Per la difficoltà di distinguersi, in alcuni casi, tra ciò che è propriamente attinente al<br />

processo e ciò che ne è viceversa al di fuori v. peraltro Conte, Diritto di difesa ed oneri della<br />

notifica. L’incostituzionalità degli artt. 149 c.p.c. e 4, 3° comma, legge 890/82: una « rivoluzione<br />

copernicana »?, in Corriere giur., 2003, p. 25 ss., ivi alla p. 29.<br />

( 46 ) V. Carpi, sub art. 17, in Carpi-Ciaccia-Cavallari-Magagni, Convenzione relativa<br />

alla notificazione (« signification ») e alla comunicazione (« notification ») all’estero degli atti<br />

giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale. Commentario a cura di Carpi e<br />

Ciaccia Cavallari, cit., p. 357 ss., ivi alla p. 358, il quale esclude pertanto l’applicabilità della<br />

disciplina pattizia ad es. alla diffida ad adempiere; Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 67.<br />

( 47 ) Cfr. Pocar, L’assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, cit., p. 1163, nota<br />

14.


SAGGI 789<br />

La formulazione dell’art. 1, comma 1, Reg. riprende quella recata dall’art.<br />

1 Conv. Aja del 1965, in ordine alla quale si è in dottrina affermato<br />

che ai due termini in questione non è da assegnarsi il significato tecnicogiuridico<br />

ad essi rispettivamente attribuito dall’ordinamento interno di<br />

ciascuno Stato membro, ma entrambi vanno intesi come evocanti il generale<br />

fenomeno della mera consegna dell’atto al destinatario ( 48 ).<br />

5. – Ulteriore requisito necessario per l’applicabilità della disciplina è<br />

che sia noto il recapito all’estero (rectius, nello Stato membro ove deve avvenire<br />

la trasmissione) del destinatario dell’atto (art. 1, comma 2, Reg.).<br />

La ragione è da ravvisarsi nell’esigenza di non addossare allo Stato<br />

richiesto di effettuare all’interno del suo territorio la notificazione o comunicazione<br />

dell’atto (ad quem) oneri ulteriori derivanti dalla necessità<br />

di ricercare (anche) il destinatario il cui indirizzo sia sconosciuto, e di<br />

evitare conseguentemente la configurabilità di eventuali profili di responsabilità<br />

che possano venire a ridondare a carico del medesimo al riguardo.<br />

Qualora l’indirizzo del destinatario non sia noto il Regolamento non<br />

viene in applicazione (art. 1, comma 2, Reg.), non ponendosi pertanto la<br />

questione del suo rapporto con gli altri strumenti convenzionali in materia<br />

ai sensi dell’art. 20, comma 1, Reg.<br />

In tale ipotesi, anche la Conv. dell’Aja del 1965 non trova del resto applicazione<br />

( 49 ).<br />

In assenza di altri strumenti convenzionali, e nell’impossibilità di farsi<br />

ricorso alla via consolare o diplomatica ( 50 ), deve farsi allora riferimento<br />

alla singola legge nazionale.<br />

Trattandosi della legge italiana quale lex fori (art. 12 L. n. 218 del 1995),<br />

è la forma di notificazione ex art. 143 c.p.c. quella cui deve aversi in tal caso<br />

propriamente riguardo ( 51 ). Non già quella viceversa prevista dall’art.<br />

( 48 ) In tal senso v. Panzarola, op. cit., p. 1163; Scalabrino, Considerazioni vecchie e<br />

nuove sulla notifica all’estero degli atti processuali civili, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, p.<br />

1109 ss., ivi alla p. 1145.<br />

( 49 ) V. Carpi, sub art. 1, cit., p. 329.<br />

( 50 ) Cfr. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 243 : « si pensi all’ipotesi estreme in cui lo Stato<br />

di destinazione non tolleri nemmeno l’attivarsi di un nostro console in loco, ovvero che<br />

non sia possibile l’affissione alla casa comunale, ovvero ancora che l’ufficiale giudiziario o il<br />

funzionario straniero, non essendovi tenuto per legge dello Stato di appartenenza o per<br />

convenzione internazionale, non ponga in essere le attività previste dagli artt. 138 ss. del codice<br />

di rito italiano ».<br />

( 51 ) Cfr., in tal senso, Campeis-De Pauli, op. cit., p. 243 ss.


790 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

142 c.p.c., che della persona non residente, né dimorante, né domiciliata<br />

nella Repubblica presuppone essere noto l’indirizzo all’estero ( 52 ).<br />

Ne consegue che rimane invero pregiudicata la possibilità che al destinatario<br />

risulti garantita la effettiva conoscibilità dell’atto trasmessogli ( 53 ).<br />

La circostanza dell’essere ignoto il recapito all’estero (rectius, in altro<br />

Stato membro) del destinatario dell’atto va in ogni caso tenuta distinta<br />

dalla diversa ipotesi della irreperibilità di fatto del medesimo che, diversamente<br />

dalla prima, non comporta la mancata applicazione del Regolamento.<br />

( 52 ) Ove va spedita copia dell’atto in piego raccomandato e consegnata la terza copia a<br />

cura del Ministero degli affari esteri, cui viene trasmessa dal pubblico Ministero (art. 142, 1°<br />

e 2° co., c.p.c.)<br />

( 53 ) Per la considerazione dell’esigenza di garantire al notificatario l’effettiva possibilità<br />

di una tempestiva conoscenza dell’atto notificato, quale espressione del diritto costituzionale<br />

di difesa e « limite inderogabile » che il legislatore incontra nel porre discrezionalmente<br />

la disciplina delle notificazioni, v. Corte cost., 19 dicembre 2003, n. 360, in Giur. it., 2004, p.<br />

663 ss., con nota di Fregni e in Guida al dir., 2004, fasc. 3, p. 34 ss., con nota di Finocchiaro,<br />

Solo la completa riscrittura delle norme consente di superare le attuali incertezze e in Corriere<br />

trib., 2004, p. 471 ss., con nota di Glendi, Incostituzionale l’efficacia differita delle variazioni<br />

anagrafiche per le notificazioni e in Foro it., 2004, I, c. 335 ss. e in Arch. civ., 2004, p.<br />

315 ss.; Corte cost., 23 settembre 1998, n. 346, in Nuove leggi civ. comm., 1998, p. 827 ss., con<br />

nota di Leccisi, In tema di disciplina delle notificazioni degli atti a mezzo posta e in Giur. cost.,<br />

1998, p. 2619 ss., con nota di Punzi, Funzione, scopo e risultato della notificazione: incostituzionalità<br />

delle norme sulle notificazioni degli atti a mezzo del servizio postale e in Foro it.,<br />

1998, I, c. 2601 ss., con nota di Caponi, e in Corriere giur., 1998, p. 1428 ss., con note di Caponi,<br />

La sentenza della Corte Costituzionale sulle notifiche per posta: processi in corso e rapporti<br />

esauriti e Conte, Notifiche a mezzo posta, presunzione di conoscenza dell’atto ed effettività<br />

del contraddittorio e in Resp. civ. e prev., 1999, p. 56 ss., con nota di Tassone, Notificazione<br />

a mezzo del servizio postale a salvaguardia del diritto di difesa; la Corte costituzionale dichiara<br />

l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, secondo e terzo comma, legge 890/1982 e in Arch.<br />

giur. circ., 1998, p. 970 ss., con nota di Tencati, Notificazioni postali e diritto alla difesa e in<br />

Arch. civ., 1998, p. 1330 ss., con nota di Rolleri, Notifica degli atti civili ed amministrativi a<br />

mezzo del servizio postale: illegittimità costituzionale dell’art. 8, commi secondo e terzo della<br />

Legge 890/1982 e in Riv. giur. circ. trasp., p. 1999, p. 63 ss., con nota di Rossetti, Notifiche a<br />

mezzo posta e diritto di difesa: è tutto oro quel che luce? e in Foro pad., 1999, I, p. 321 ss., con<br />

nota di Pinca, Notificazioni a mezzo del servizio postale: la corte accoglie il principio della tutela<br />

del destinatario e in Giust. civ., 1999, I, p. 2253 ss., con nota di Fraulini, Osservazioni<br />

sulla nuova disciplina della notificazione a mezzo posta dopo l’intervento della Corte costituzionale<br />

e in Giur. it., 1999, p. 1568 ss., con nota di Balena, Le notificazioni a mezzo posta dopo<br />

l’intervento della Corte Costituzionale.<br />

In argomento v. da ultimo Dalmotto, La giurisprudenza costituzionale come fonte dell’odierno<br />

sistema delle notificazioni a mezzo posta, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, p. 223<br />

ss., nonché v. amplius infra al § 10, e ai §§ 18 e 19.


SAGGI 791<br />

Si pone la questione se in tal caso allo Stato membro richiesto, che<br />

non preveda una forma di notificazione corrispondente a quella ex art. 140<br />

c.p.c., sia concesso denegare sotto altro profilo la notificazione o la comunicazione,<br />

invocando ad esempio la « situazione eccezionale » di cui all’ottavo<br />

Considerando del Regolamento ( 54 ).<br />

Una tale possibilità sembra in effetti da escludersi ( 55 ), apparendo anzi<br />

per converso possibile che sia lo stesso mittente a richiedere, preventivamente,<br />

quale forma particolare di notifica ai sensi dell’art. 7 Reg., l’esperimento<br />

in via subordinata di formalità analoghe a quelle di cui all’art. 140<br />

c.p.c., che siano in ogni caso compatibili con l’ordinamento italiano ( 56 ).<br />

6. – Come già la Convenzione dell’Aja del 1965, il Regolamento non<br />

introduce una nozione autonoma né un unico ed esclusivo procedimento<br />

di notificazione e di comunicazione ( 57 ).<br />

Movendosi nel solco del suddetto strumento pattizio, e con la finalità<br />

di favorire sempre più l’adozione di soluzioni un tempo viceversa ostacolate<br />

in nome dei principi della sovranità statuale e della territorialità della<br />

giurisdizione, il Regolamento è infatti espressamente volto a realizzare il<br />

(mero) miglioramento e l’accelerazione della notificazione e della comunicazione<br />

degli atti (secondo Considerando), mediante l’eliminazione delle<br />

difficoltà operative e dei ritardi registrati in sede di applicazione della<br />

Convenzione del 1965, soprattutto in ragione dell’intervento di organi terzi<br />

e dei passaggi intermedi tra mittente e destinatario.<br />

La novità introdotta dal Regolamento è costituita essenzialmente dalla<br />

realizzazione, quale espressione di un sistema integrato ( 58 ), della trasmissione<br />

diretta a livello decentrato, tra organi operanti cioè in ambito locale.<br />

Con conseguente omissione del necessario passaggio per il tramite<br />

dell’Autorità centrale.<br />

Una tale possibilità risulta invero già contemplata dalla Convenzione<br />

( 54 ) L’ottavo Considerando recita: « Per garantire l’efficacia del regolamento, la facoltà<br />

di denegare la notificazione o la comunicazione degli atti deve essere limitata a situazioni<br />

eccezionali ».<br />

( 55 ) Analogamente v. Frigo, Il regolamento comunitario sulle notificazioni in materia civile<br />

o commerciale, cit., p. 108 ss., ivi alla p. 110 ss.<br />

Contra v. Biavati, op. cit., p. 514.<br />

( 56 ) Cfr., in tal senso, Campeis-De Pauli, op. loc. ultt. citt.<br />

( 57 ) Cfr. Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 72.<br />

( 58 ) Cfr. Giacalone, La lunga marcia dell’euronotifica rafforza la cooperazione giudiziaria,<br />

cit., ivi alla p. 65, il quale fa altresì richiamo all’ulteriore aspetto della « reciproca fiducia<br />

tra operatori giuridici ».


792 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dell’Aja del 1965 ( 59 ), come pure dal punto IV del Protocollo allegato alla<br />

Convenzione di Bruxelles del 1968 ( 60 ).<br />

Essa non ha trovato peraltro applicazione, in ragione dell’opposizione<br />

al riguardo formulata dagli Stati, come da entrambi i detti strumenti convenzionali<br />

del resto consentito.<br />

La facoltà di opposizione non è al riguardo invece contemplata dal Regolamento.<br />

Ciascuno Stato è tenuto a designare gli organi mittenti (art. 2, comma<br />

1, Reg.) e gli organi riceventi (art. 2, comma 2, Reg.), indicando « pubblici<br />

ufficiali », « autorità » o « altre persone » competenti a – rispettivamente –<br />

trasmettere e ricevere gli atti da Stato membro ad altro Stato membro.<br />

La norma non indica espressamente che tali organi debbano essere<br />

necessariamente “decentrati”. Al comma 3 dell’art. 2 è anzi espressamente<br />

attribuita a ciascuno Stato membro la possibilità di designare «un unico<br />

organo mittente » e «un unico organo incaricato delle due funzioni ».<br />

A tale stregua, correttamente interpretando tale disposizione nel senso<br />

che essa consente agli Stati di designare al riguardo un’Autorità centrale<br />

( 61 ), il Regolamento sembra rendere possibile anche soluzioni che,<br />

ove seguite da tutti o gran parte degli Stati membri, vanificherebbero<br />

( 59 ) Che all’art. 10, lett. b), indica la « facoltà per gli ufficiali ministeriali, i funzionari o<br />

le altre persone competenti dello Stato di origine, di far procedere a notificazioni o comunicazioni<br />

di atti giudiziari direttamente tramite ufficiali ministeriali, funzionari o altre persone<br />

competenti dello Stato di destinazione ».<br />

( 60 ) Anch’esso prevedente la possibilità di una trasmissione degli atti effettuata « direttamente<br />

dai pubblici ufficiali dello Stato sul cui territorio si trova il destinatario dell’atto in<br />

questione ».<br />

( 61 ) V. la Relazione esplicativa, sub art. 2, comma 3°, cit., p. 28 ss.<br />

Criticamente, in ordine alla facoltà riconosciuta agli Stati di designare un « unico organo<br />

» mittente e/o ricevente o che cumuli le due funzioni, in quanto idonea a ridondare in<br />

termini di « ostacolo » al perseguimento dello scopo avuto di mira dal Regolamento della<br />

trasmissione diretta tra organi locali v. Panzarola, op. cit., p. 1164 ss, ivi alla p. 1165 ss.<br />

Al fine di evitare che mediante la designazione dell’Autorità centrale quale organo<br />

mittente e/o ricevente risulti vanificata la novità del superamento del passaggio attraverso<br />

tale « anello » che il regolamento mira a realizzare, per la prospettazione di una possibile<br />

lettura del comma 3 dell’art. 2 Reg. nel senso che la « unicità » dell’organo designando « andrebbe<br />

riferita non alla struttura istituzionale od alla sua competenza, ma alla sua tipologia<br />

», sicché « gli Stati avrebbero sì la facoltà di indicare una sola classe o tipologia di organi<br />

deputati alla trasmissione ed alla ricezione degli atti, ma non quella di designare un organo<br />

che, avendo competenza allargata sull’intero territorio, sarebbe costretto ad avvalersi<br />

di altri organi per condurre a termine l’iter della notifica », v. Ronco, Le notificazioni internazionali<br />

intracomunitarie ed il regolamento n. 1348 del 29 maggio 2000, in questa rivista,<br />

2002, p. 400 ss.


SAGGI 793<br />

quella che costituisce invero una delle principali finalità innovative perseguite.<br />

La possibilità di farsi luogo alla designazione dell’Autorità centrale<br />

quale organo mittente e/o ricevente costituisce soluzione mutuata dalla<br />

Convenzione del 1997, quivi adottata quale soluzione di compromesso<br />

per consentire agli Stati membri meno decisi (Regno Unito e Paesi del<br />

nord Europa) di pervenire gradualmente alla soluzione decentrata.<br />

Nella disciplina diretta ed immediatamente vincolante posta dalla fonte<br />

regolamentare comunitaria tale previsione sembra peraltro trovare meno<br />

sicuro fondamento ( 62 ).<br />

Trattasi di soluzione che si appalesa senz’altro idonea a ritardare, o financo<br />

vanificare, la portata dell’innovazione, tanto più se prolungata nel<br />

tempo ( 63 ).<br />

E in proposito va invero segnalato che anche la stessa Italia, se ha indicato<br />

quali organi mittenti (art. 2 Reg.) gli Uffici unici degli Ufficiali giudiziari<br />

presso le Corti d’Appello nonché presso i Tribunali non sede di<br />

Corte d’Appello e presso le relative Sezioni distaccate (con competenza<br />

territoriale coincidente, rispettivamente, con il circondario del tribunale<br />

delle relative Sezioni distaccate), ha d’altro canto designato quale organo<br />

ricevente (solamente) l’Ufficio Unico degli Ufficiali giudiziari presso la<br />

Corte d’Appello di Roma.<br />

Lo sfavore del Regolamento per la designazione di un’Autorità centrale<br />

quale organo mittente o ricevente si è in dottrina desunto argomentando<br />

dal tenore dell’art. 3, comma 3, Reg., in base al quale « la designazione<br />

è valida per un periodo di cinque anni e può essere rinnovata ogni cinque<br />

anni ». Nonché facendosi richiamo al sesto Considerando, ove si ribadisce<br />

la necessità che la « trasmissione degli atti giudiziari ed extragiudiziali avvenga<br />

in modo diretto e con mezzi rapidi tra gli organi locali designati dagli<br />

Stati membri » ( 64 ).<br />

È al riguardo peraltro da chiedersi se l’operato riferimento alla validità<br />

( 62 ) Del resto il quinto Considerando espressamente avverte che si è inteso assicurare<br />

l’esigenza di « salvaguardare la continuità dei risultati conseguiti nell’ambito dei negoziati<br />

per la conclusione della Convenzione. Pertanto, il presente Regolamento recepisce sostanzialmente<br />

il contenuto della Convenzione ».<br />

In termini analogamente perplessi, se non addirittura critici al riguardo, v. Giacalone,<br />

op. loc. ultt. citt.<br />

( 63 ) La designazione di un’Autorità centrale quale organo mittente è stata effettuata da<br />

Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord e Gibilterra.<br />

In termini analogamente critici v. Carella, op. cit., p. 137 ss.<br />

( 64 ) V. al riguardo De Cristofaro, op. cit., p. 521.


794 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

della designazione per il circoscritto periodo (rinnovabile) di cinque anni<br />

sia da intendersi esclusivamente in ordine all’ipotesi dell’indicazione dell’Autorità<br />

centrale quale organo mittente o ricevente, o non debba ritenersi<br />

viceversa riguardare tutte le designazioni, ivi compresa quella delle<br />

autorità decentrate.<br />

Dubbio appare altresì prefigurare l’avvio da parte della Commissione<br />

di procedure d’infrazione avverso la suddetta designazione di Autorità<br />

centrali ( 65 ), soluzione invero consentita dalla norma regolamentare.<br />

Il favore del legislatore comunitario per la soluzione decentrata sembra<br />

invero emergere piuttosto dall’art. 3, comma 1, lett. c), ove la possibilità<br />

per l’Autorità centrale di fungere da tramite tra organi decentrati – trasmettendo<br />

il notificando o comunicando atto al « competente organo ricevente<br />

» – è prefigurata limitatamente a « casi eccezionali » ( 66 ), ad essa<br />

viceversa istituzionalmente attribuendosi (art. 3) i diversi compiti di: a)<br />

fornire informazioni agli organi mittenti; b) ricercare soluzioni per le difficoltà<br />

che possono sorgere in occasione della trasmissione di atti ai fini della<br />

notificazione o della comunicazione.<br />

L’art. 24 espressamente prevede che entro il 1° giugno 2004, e successivamente<br />

ogni cinque anni, venga attuato il riesame della situazione determinatasi<br />

in virtù dell’applicazione del Regolamento, con presentazione<br />

da parte della Commissione di una relazione al Parlamento, al Consiglio e<br />

al Comitato economico e sociale, ove particolare attenzione venga riservata<br />

al tema dell’efficienza « degli organi designati a norma dell’articolo 2,<br />

nonché dell’applicazione dell’articolo 3, lettera c)...».<br />

Trattasi della sede idonea a favorire la possibile individuazione e la<br />

conseguente intrapresa di eventuali iniziative in materia, anche di tipo legislativo.<br />

Nella prima Relazione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato<br />

economico e sociale sull’applicazione del Regolamento formulata ex<br />

art. 24 [COM (2004) 603 final d.d. 1° ottobre 2004, non pubblicata nella<br />

G.U.C.E.] la Commissione espone che il Regolamento ha nel complesso<br />

migliorato e accelerato la notificazione e comunicazione di atti tra gli Stati<br />

membri anche in virtù della introduzione della possibilità di contratti<br />

( 65 ) In tal senso v. invece De Cristofaro, op. loc. ultt. citt., il quale sostiene che « ove il<br />

mantenimento da parte di uno Stato dell’opzione per un’autorità accentrata ostacolasse il<br />

raggiungimento di tali obiettivi, ne discenderebbe una violazione degli obblighi di conformazione<br />

al diritto comunitario, “perseguibile” dalla Commissione tramite l’avvio della procedura<br />

di infrazione »<br />

( 66 ) Cfr. Giacalone, op. loc. ultt. citt.; Panzarola, op. cit., p. 1167.


SAGGI 795<br />

diretti tra organi addetti a livello locale, pur essendo emersa la necessità<br />

dell’acquisizione di una maggiore padronanza dello strumento.<br />

Nella ravvisata sussistenza di incongruenze e lacune nella disciplina<br />

posta dal Regolamento, il 15 marzo 2005 è stata presentata una Proposta<br />

di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio di modifica del<br />

Regolamento n. 1348 del 2000, volta ad ulteriormente accelerare e semplificare<br />

la trasmissione intracomunitaria di atti giudiziari ed extragiudiziali<br />

[COM (2005) 305 final, non pubblicata nella G.U.C.E.].<br />

7. – Ai sensi dell’art. 4, comma 1, Reg., gli atti sono trasmessi « direttamente<br />

» e « nel più breve tempo possibile » tra gli organi designati ai sensi<br />

dell’art. 2.<br />

L’organo ricevente dà « al più presto », con « i mezzi più rapidi » e comunque<br />

« entro sette giorni » (art. 6, comma 1, Reg.), avviso al mittente<br />

della ricezione dell’atto da notificarsi o comunicarsi.<br />

Ove necessario, esso si mette con quest’ultimo in contatto « il più rapidamente<br />

possibile », per ottenere le informazioni o i documenti mancanti<br />

(art. 6, comma 2, Reg.); ovvero restituisce gli atti « non appena ricevuti<br />

», in caso di impossibilità della notificazione (art. 6, comma 3, Reg.).<br />

Le formalità necessarie per la notificazione o comunicazione sono<br />

espletate « nel più breve tempo possibile », e comunque entro « un mese<br />

» dalla ricezione; altrimenti l’autorità richiesta ne dà avviso al mittente.<br />

Emerge evidente come le avvertite esigenze di celerità ed efficienza<br />

informino pervasivamente la normativa regolamentare.<br />

In ordine al mancato rispetto di tali termini non sono tuttavia previste<br />

conseguenze giuridicamente rilevanti sotto il profilo della validità e dell’efficacia<br />

della notificazione o comunicazione dell’atto, che ben può pertanto<br />

avvenire anche oltre il termine di un mese indicato dall’art. 7, comma<br />

2, Reg.<br />

Il ritardo assume invece senz’altro rilievo sotto il profilo del tempo utile<br />

a consentire la difesa in giudizio ai sensi dell’art. 19, comma 1, Reg. ( 67 ).<br />

( 67 ) In argomento v. amplius infra ai §§ 18 e 19. Al riguardo, si noti, nella Relazione ex<br />

art. 24 Reg. del 1° ottobre 2004 la Commissione pone in rilievo che se i tempi necessari a<br />

notificare e comunicare atti sono stati ridotti, oscillando in genere tra 1 e 3 mesi, è in alcuni<br />

casi ancora necessario attendere fino a 5 mesi. Al paragrafo 1 della citata Proposta di Regolamento<br />

di modifica del Regolamento n. 1348 si introduce pertanto l’obbligo per lo Stato<br />

ad quem di effettuare la notificazione o comunicazione entro 1 mese dalla ricezione dell’atto,<br />

e laddove ciò non sia possibile di darne « immediatamente » informazione all’organo<br />

mittente. Continuano a non essere regolamentate, peraltro, le conseguenze giuridiche della<br />

trasmissione tardiva dell’atto.


796 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

8. – Come generalmente per tutte le fonti normative comunitarie, anche<br />

per il Regolamento la questione linguistica assume, sotto plurimi profili,<br />

centrale rilevanza.<br />

Rispetto alla Convenzione dell’Aja del 1965 va anzitutto evidenziata la<br />

novità, quale riflesso del rilievo che l’uso della lingua riveste anche con riferimento<br />

al diritto di difesa e al principio del contraddittorio in giudizio,<br />

rappresentata dall’essere le lingue ufficiali non più solamente l’inglese ed<br />

il francese bensì tutte le lingue ufficiali dell’U.E.<br />

Ai fini della trasmissione dall’uno all’altro Stato membro, l’atto notificando<br />

o comunicando deve essere redatto nella lingua ufficiale dello Stato<br />

(ad quem) ove la notificazione o comunicazione deve essere effettuata<br />

(ovvero, in caso di Paesi con più lingue ufficiali, come ad esempio l’Italia,<br />

in quella – italiano o tedesco – del luogo particolare del medesimo, ad es.<br />

L’Alto Adige); ovvero in una lingua dello Stato mittente compresa dal destinatario.<br />

In caso contrario, ricorre una delle (due) ipotesi eccezionali ( 68 ) previste<br />

dall’art. 8 Reg. che legittimano il rifiuto di procedere alla trasmissione<br />

da parte dello Stato richiesto, nonché il rifiuto del destinatario di ricevere<br />

l’atto. Di un tanto dovendo essere dato avviso sia al mittente che al destinatario.<br />

Il Regolamento non indica tuttavia quali siano gli effetti del legittimo<br />

rifiuto del destinatario di ricevere l’atto trasmessogli, la cui determinazione<br />

è pertanto rimessa alla lex fori ( 69 ).<br />

L’atto da notificarsi in Italia deve pervenire all’organo ricevente (l’Uf-<br />

( 68 ) L’altra ipotesi eccezionale è quella della manifesta estraneità al campo di applicazione:<br />

art. 6, comma 3°, Reg.<br />

( 69 ) Nello stesso senso v. Giacalone, op. ult. cit., p. 65; Frigo, op. cit., p. 116. L’art. 8 è<br />

uno dei piò profondamente incisi dalla Proposta di Regolamento di modifica del Regolamento<br />

n. 1348, mediante l’introduzione (paragrafo 2) del termine di 1 settimana entro il<br />

quale il destinatario può rifiutare la ricezione dell’atto, rispedendolo al mittente, laddove<br />

stilato in una lingua diversa da quelle ufficiali dello Stato membro ad quem (o del luogo di<br />

esecuzione della notificazione o comunicazione) ovvero di quelle da lui comprese, anche<br />

se si tratta di lingua diversa da quelle ufficiali dell’U.E., non risultando mantenuta la relativa<br />

attuale specificazione. Si prevedono altresì le conseguenze del rifiuto della ricezione dell’atto,<br />

disponendosi che sia possibile ovviare a tale situazione notificando o comunicando al<br />

destinatario una traduzione dell’atto in una delle lingue ammesse, e che in tal caso la data<br />

di notificazione o comunicazione dell’atto è quella della notificazione o comunicazione<br />

della traduzione. Ad eccezione dell’ipotesi in cui in base alla legislazione di uno Stato<br />

membro un atto debba essere notificato o comunicato entro un dato termine per tutelare i<br />

diritti del richiedente, giacché in tal caso è la data della notificazione o comunicazione dell’atto<br />

originale a dover essere presa in considerazione nei confronti del richiedente.


SAGGI 797<br />

ficio Unico degli Ufficiali giudiziari presso la Corte d’Appello di Roma) a<br />

mezzo posta, con modulo standard redatto in lingua italiana o francese o<br />

inglese. E con lo stesso mezzo postale viene restituito ( 70 ).<br />

9. – L’atto da trasmettersi o comunicarsi (esente da legalizzazioni,<br />

quindi anche in copia), corredato da relativa domanda redatta sulla base<br />

del Formulario (il cui modello è allegato al Regolamento) e nella lingua<br />

ufficiale dello Stato membro richiesto ( 71 ), nonché dalla traduzione (a spese<br />

del ricorrente, salvo recupero per decisione giudiziale) in una delle lingue<br />

di cui all’art. 8 ( 72 ), è trasmesso dall’organo mittente all’organo ricevente,<br />

quest’ultimo se del caso individuabile con l’ausilio del Manuale istituito<br />

ex art. 17 Reg. ( 73 ).<br />

Ove territorialmente incompetente, l’organo ricevente non restituisce<br />

gli atti al mittente ma provvede a trasmetterlo all’organo connazionale<br />

competente ( 74 ).<br />

Ai sensi dell’art. 138, ult. co., c.p.c., il rifiuto ingiustificato di ricevere l’atto equivale a<br />

notificazione eseguita a mani proprie: v. Ronco, op. cit., p. 403 ss.<br />

( 70 ) V. Comunicazioni degli Stati membri a norma dell’art. 23 del regolamento (CE) N.<br />

1348/2000 DEL Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione<br />

negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, in<br />

G.U.C.E., C 151/7, 24 maggio 2001.<br />

In argomento v. Frigo, op. cit., p. 114.<br />

( 71 ) O nella lingua del luogo particolare, se lo Stato membro ha più lingue ufficiali. Con<br />

riferimento all’Italia, ad esempio, in italiano o in tedesco, trattandosi di atto da notificarsi in<br />

Alto Adige.<br />

( 72 ) Per l’affermazione che l’art. 8 del Regolamento n. 1348 del 2000 deve essere interpretato<br />

nel senso che qualora il destinatario di un atto lo abbia rifiutato in quanto non redatto<br />

in una lingua ufficiale dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro<br />

mittente che il destinatario comprende, il mittente ha la possibilità di rimediarvi inviando<br />

la traduzione richiesta, secondo le modalità previste dal Regolamento e nel più breve<br />

tempo possibile in tal modo sonando la situazione. Con riferimento v. Giacalone, op.<br />

loc. ultt. citt., il quale sottolinea come esso è invero previsto anche nella Convenzione dell’Aja<br />

del 1965, con la differenza che « nel sistema di questa » la traduzione può essere redatta<br />

solamente in lingua inglese o francese.<br />

( 73 ) V. la Decisione 2001/78/CE della Commissione del 25 settembre 2001 che istituisce un<br />

manuale degli organi riceventi e un repertorio degli atti che possono essere notificati o comunicati,<br />

in applicazione del regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio relativo alla notificazione<br />

e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile<br />

e commerciale, in G.U.C.E., L 298, 15 novembre 2001.<br />

( 74 ) Con riferimento all’ordinamento italiano, ai sensi del combinato disposto di cui<br />

agli artt. 106 e 107 d.p.r. 15 dicembre 1959, n. 1229, costituisce principio fondamentale quello<br />

dell’attribuzione concorrente della potestà notificatoria all’ufficiale giudiziario del luogo


798 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

L’organo ricevente competente, inviata a quello mittente la ricevuta di<br />

cui all’art. 6, comma 1, Reg., ed informato il destinatario dell’atto della facoltà<br />

di rifiuto per ragioni linguistiche ex art. 8 Reg. ( 75 ), procede o fa procedere<br />

alla notificazione o comunicazione dell’atto secondo la legge del<br />

suo Stato, redigendo quindi il certificato delle relative attività espletate di<br />

cui all’art. 10 Reg. ( 76 ).<br />

Le relative spese e tasse, a meno che non risulti richiesta l’adozione di<br />

un particolare mezzo di notificazione o comunicazione ex art. 11, comma<br />

2, Reg., non possono essere fatte gravare sul richiedente la notificazione o<br />

comunicazione (art. 11, comma 1, Reg.), il quale è pertanto tenuto solamente<br />

al pagamento delle spese e delle tasse concernenti il segmento interno<br />

del procedimento di notifica relativo all’intervento dell’organo mit-<br />

in cui deve essere eseguita la notificazione ed a quello addetto all’autorità giudiziaria competente<br />

a conoscere della causa cui attiene la notificazione: v. Cass., 4 febbraio 1983, n. 940.<br />

Per la competenza promiscua a notificare il ricorso per cassazione v., da ultimo, Cass., 18<br />

marzo 2002, n. 3942, in Giust. civ., 2003, I, p. 2227 ss e in Vita not., 2002, I, p. 325 ss.; Cass.<br />

sez. un., 9 agosto 2001, n. 10969.<br />

Trattandosi di notificazione a mezzo posta, l’ufficiale giudiziario è competente a notificare<br />

atti del suo ministero a persone residenti, dimoranti o domiciliate nella sua circoscrizione<br />

territoriale, mentre può procedere a notifiche nei confronti di soggetti residenti altrove<br />

solo se l’atto si riferisce ad un procedimento che sia o possa essere di competenza del<br />

giudice al quale il notificante è addetto: v. Cass., 6 agosto 2002, n. 11758. La nullità conseguente<br />

alla violazione del citato art. 106 d.p.r. n. 1229 del 1959 è peraltro sonata dalla costituzione<br />

in giudizio del destinatario dell’atto notificato: v. Cass., 12 novembre 1997, n. 11210.<br />

Per l’affermazione che l’ufficiale giudiziario può procedere a notifiche a mezzo posta « nei<br />

confronti di soggetti residenti altrove . . . se l’atto si riferisce ad un procedimento che sia o<br />

possa essere di competenza del giudice al quale il notificante è addetto » v. recentemente<br />

Cass., sez. un., 23 marzo 2005, n. 6217, in Giust. civ., 2005, I, 2609 n.<br />

Per la nullità, suscettibile di sanatoria, della notificazione effettuata da ufficiale giudiziario<br />

(territorialmente) incompetente v. in particolare Cass., 17 gennaio 2003, n. 637; Cass.,<br />

12 febbraio 1999, n. 51, in Boll. trib., 1999, p. 1150, con nota di Voglino, Osservazioni sul regime<br />

della prova presuntiva nell’accertamento analitico-induttivo dei redditi determinati in base<br />

alle scritture contabili e in Gazzetta giur., 1999, fasc. 6, IV, p. 64 ss.; Cass., 28 agosto 1998,<br />

n. 8557.<br />

In ordine all’inconfigurabilità viceversa di alcuna questione di limite territoriale con riferimento<br />

alla potestà notificatoria dell’avvocato delineata dalla L. 31 gennaio 1994, n. 53, v.<br />

Cass., 25 giugno 2003, n. 10077; Cass., 19 febbraio 2000, n. 1938. Per la radicale nullità della<br />

notificazione effettuata viceversa dal dottore commercialista v. Cass., 2 maggio 2001, n.<br />

6166, in Foro it., 2001, I, 1833 n.<br />

( 75 ) V. supra al § 8.<br />

( 76 ) Il certificato in questione è peraltro privo di rilevanza ai fini della validità ed efficacia<br />

della notificazione, avendo funzione meramente probatoria in ordine ai tempi e alle<br />

modalità della notifica.


SAGGI 799<br />

tente (a quo); gli Stati membri possono peraltro prevedere che alcune spese<br />

siano a carico del richiedente per l’intervento di un pubblico ufficiale o<br />

di altro soggetto ( 77 ). È fatta in ogni caso salva l’eventuale applicazione del<br />

gratuito patrocinio (art. 21 Reg.) ( 78 ).<br />

La trasmissione di atti può essere effettuata « con qualsiasi mezzo appropriato<br />

», purché idoneo ad assicurare le condizioni di leggibilità, fedeltà<br />

e conformità tra documento spedito e ricevuto (settimo Considerando).<br />

Oltre all’atto scritto, senz’altro idonei debbono ritenersi i sistemi di<br />

trasmissione informatici o elettronici, come il telex ed il telefax, nonché<br />

mediante telecopia o posta elettronica ( 79 ).<br />

Il Regolamento contiene al riguardo una importante valvola di apertura,<br />

idonea a consentirne l’adeguamento all’esito dell’evoluzione dei sistemi<br />

di notificazione, essendo in argomento la Commissione tenuta a fare<br />

periodica relazione, con relative proposte, al Parlamento, al Consiglio ed<br />

al Comitato economico e sociale (art. 24 Reg.).<br />

10. – L’art. 9 Reg. riveste fondamentale rilievo in tema di individuazione<br />

della data di perfezionamento della notificazione o comunicazione.<br />

La norma si presenta di non facile lettura, in quanto frutto di com-<br />

( 77 ) Per la normale gratuità dei servizi espletati dall’Amministrazione dello Stato membro<br />

richiesto, e la previsione che alcune spese possono essere poste a carico del richiedente<br />

solamente nel caso in cui le formalità di notificazione siano espletate da privati, v., con riferimento<br />

alla Convenzione del 1997, la Relazione esplicativa, cit., p. 34, ove altresì si precisa<br />

che gli Stati membri hanno la possibilità di chiedere un anticipo sulle spese di cui al comma<br />

2° dell’art. 11, « prima dell’avvio della procedura di notificazione », secondo le indicazioni<br />

al riguardo precisate nel Manuale approntato dal Comitato esecutivo.<br />

Il problema delle spese di notificazione e comunicazione degli atti è stato segnalato<br />

dalla Commissione, nella sua prima relazione ex art. 24 Reg. n. 1358 del 2004, come uno dei<br />

piò avvertiti dagli Stati membri, anche in ragione delle sensibili differenze palesate dai relativi<br />

sistemi.<br />

Nel Progetto di Regolamento di modifica del Regolamento n. 1348 viene pertanto previsto<br />

(al paragrafo 4) che per agevolare l’accesso alla giustizia le spese occasionate dall’intervento<br />

di un ufficiale giudiziario o di altro soggetto competente a norma della legislazione<br />

dello Stato membro richiesto devono corrispondere ad un diritto forfettario, il cui importo<br />

è fissato preventivamente dal Paese in questione nel rispetto dei principi di proporzionalità<br />

e non discriminazione, tenendo conto dell’importo dei diritti forfettari vigenti per notificare<br />

o comunicare gli atti.<br />

( 78 ) Criticamente, in ragione della scarsa chiarezza della norma, che si limita a richiamare<br />

le disposizioni delle Convenzioni dell’Aja sulla procedura civile del 1905 e del 1954, e<br />

della Convenzione sull’accesso internazionale alla giustizia del 25 ottobre 1980, v. Giacalone,<br />

op. ult. cit., p. 66.<br />

( 79 ) Contra v. peraltro Ronco, op. cit., p. 402 ss.


800 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

promesso tra diversi sistemi e differenti concezioni, che nemmeno la<br />

« comunitarizzazione » della precedente regola pattizia è riuscita a superare.<br />

Lo scopo di pervenire all’individuazione di un’unica data di perfezionamento<br />

della notificazione o comunicazione valevole sia per il mittente<br />

che per il destinatario dell’atto è rimasto infatti vano già in occasione della<br />

negoziazione della Convenzione dell’Aja del 1965, non essendosi all’epoca<br />

riusciti a mediare tra il sistema di matrice francese della cd. signification<br />

au parquet (o della notificazione cd. fittizia), volto a privilegiare le esigenze<br />

del richiedente la notifica o mittente (e, con riferimento al processo,<br />

l’attore), ed il sistema tedesco, viceversa più garantista ed attento a privilegiare<br />

le esigenze di tutela del destinatario della notifica (con riferimento<br />

al processo, il convenuto).<br />

Tale risultato non è stato conseguito neanche dalla Convenzione del<br />

1997 che, a fronte della previsione dell’applicabilità al riguardo della legge<br />

dello Stato ad quem, contempla la possibilità di farsi luogo all’applicazione<br />

della legge dello Stato mittente, in caso di giudizio ivi da iniziarsi o pendente<br />

(lex fori).<br />

Il cd. principio della scissione (soggettiva) tra il momento del compimento<br />

o perfezionamento della notificazione o comunicazione con riferimento<br />

alla parte istante o mittente ed il diverso momento di perfezionamento<br />

della notificazione viceversa valevole per il destinatario dell’atto,<br />

con conseguente formale riconoscimento della rilevanza di una duplice<br />

data di perfezionamento della notificazione ( 80 ), è stato quindi recepito nel<br />

Regolamento, che della Convenzione ha (anche in argomento) sostanzialmente<br />

ripreso la formulazione.<br />

Non condivisibile si appalesa, a tale stregua, la tesi secondo cui l’entrata<br />

in vigore delle disposizioni del Regolamento assicura ormai al riguardo<br />

l’individuazione di « una data precisa ed uniforme per tutti gli Stati<br />

» ( 81 ).<br />

Del pari non accoglibile, in quanto privo di positivo fondamento, appare<br />

l’assunto (invero espresso con riferimento all’ordinamento italiano e<br />

( 80 ) Tale fenomeno appare pertanto distinto da quello della dissociazione tra momento<br />

della perfezione e quello dell’efficacia della notificazione con riferimento ad un unico soggetto,<br />

ad es. il destinatario dell’atto. Al riguardo, con riferimento all’art. 143, ult. comma,<br />

c.p.c., nella formulazione introdotta dal legislatore del 1940, v. Tarzia, Perfezione ed efficacia<br />

della notificazione a destinatari irreperibili o all’estero. Problemi del processo civile di cognizione,<br />

Padova, 1989, p. 492 ss., e già in Riv. dir. proc., 1964, p. 658 ss.<br />

( 81 ) In tal senso v. Panzarola, op. cit., p. 1162.


SAGGI 801<br />

rimasto pressoché isolato) secondo cui il principio della scissione non introdurrebbe<br />

un « doppio momento perfezionativo della notificazione », rimanendo<br />

questo in ogni caso « uno solo » per entrambi i soggetti, quello<br />

valevole per il destinatario dell’atto ( 82 ).<br />

Con riferimento all’art. 9 Reg., va osservato che i primi due commi di<br />

cui esso si compone vengono in applicazione non già alternativamente<br />

bensì cumulativamente, sicché la notificazione o comunicazione ben può<br />

( 82 ) In tali termini v. Glendi, Le nuove frontiere della « notificazione » dopo la sentenza n.<br />

477/2002 della Corte Costituzionale, in nota a Corte cost., 26 novembre 2002, in GT – Riv.<br />

giur. trib., 2003, p. 322 ss., il quale precisa che riguardo al notificante, anziché di perfezionamento<br />

anticipato, è bene parlare di retroattività degli effetti della notificazione o, meglio<br />

ancora, d’inoperatività quad tempus degli effetti decadenziali o prescrizionali a suo carico<br />

dal momento della richiesta notificazione successivamente perfezionatasi.<br />

In proposito v. quanto peraltro diversamente affermato, con riferimento agli artt. 139 e<br />

148 c.p.c. da Corte cost., 23 gennaio 2004, n. 28, in Foro it., 2004, I, c. 645 ss., con nota di<br />

Caponi, Sul perfezionamento della notificazione nel processo civile (e su qualche disattenzione<br />

della Corte Costituzionale) e in Giur. it., 2004, p. 939 ss., con nota di Delle Donne, Il perfezionamento<br />

della notifica per il notificante tra diritto di difesa e principio del contraddittorio:<br />

riflessioni a margine di un recente intervento interpretativo della Consulta e in Corriere giur.,<br />

2004, p. 1307 ss., con nota di Glendi, La notificazione degli atti dopo l’intervento della Corte<br />

Costituzionale e in Corriere trib., 2004, p. 773 ss., con nota di Glendi, In tutte le notificazioni<br />

vale per il notificante la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e in Riv. crit. dir. lav., 2004,<br />

p. 43 ss., con nota di Balestro, La “doppia personalità” della notifica e in Rass. locaz., 2004,<br />

p. 116 ss., con nota di Spagnuolo, La notificazione dell’atto giudiziario si perfeziona al momento<br />

della consegna all’ufficiale giudiziario e in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 305 ss., con nota<br />

di Bruzzone; nonché, in relazione agli artt. 140, 647 e 138 c.p.c., da – rispettivamente –<br />

Corte cost. (ord.), 12 marzo 2004, n. 97, Corte cost., 24 marzo 2004, n. 107 e da Corte cost.<br />

(ord.), 28 aprile 2004, n. 132, tutte in Corriere giur., 2004, p. 1308 ss., con nota di Glendi, La<br />

notificazione degli atti dopo l’intervento della Corte Costituzionale.<br />

Per la distinzione dei due momenti del perfezionamento per l’istante e dell’efficacia per<br />

il destinatario previsti dall’art. 142 c.p.c., ravvisata come « non toccata » dalla declaratoria<br />

d’incostituzionalità dell’art. 143 c.p.c. pronunziata da Corte cost. n. 10 del 1978, ma viceversa<br />

travolta dalla modifica legislativa introdotta dalla L. n. 42 del 1981 che, nell’aggiungere<br />

un comma all’art. 142 c.p.c. in base al quale non è più la presunzione prevista all’ultimo<br />

comma dell’art. 143 c.p.c. ad essere subordinata alla « accertata impossibilità » di eseguire la<br />

notificazione secondo le convenzioni internazionali e la legge consolare, «ma è lo stesso<br />

procedimento notificatorio dell’art. 142 c.p.c. che viene meno, salvo che “risulti impossibile” ricorrere<br />

ai suddetti strumenti », è venuta a sovvertire il precedente sistema di notificazione<br />

all’estero, e, dovendosi appunto prescindere dalle formalità dell’art. 142 c.p.c., ad abolire la<br />

« distinzione fra momento perfezionativo per l’istante e momento di efficacia per il destinatario<br />

», sicché prevale « comunque il momento della consegna », v. Carpi, sub art. 10, in<br />

Carpi-Ciaccia Cavallari, Legge 6 febbraio 1981, n. 42. Ratifica ed esecuzione della Convenzione<br />

relativa alla notifica all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale,<br />

adottata a l’Aja il 15 novembre 1965, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 375.


802 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

perfezionarsi in momenti diversi, uno valevole per il richiedente o mittente e<br />

l’altro viceversa per il destinatario dell’atto ( 83 ).<br />

Al comma 3 del medesimo articolo 9 gli Stati membri vengono peraltro<br />

autorizzati a derogare, in tutto o in parte, a tale sistema.<br />

Si richiede che la deroga avvenga per « giusti motivi », e per « un periodo<br />

transitorio di cinque anni », potendo essere tuttavia dagli Stati rinnovata<br />

« ogni cinque anni », per « motivi connessi con i loro ordinamenti<br />

giuridici ». E così di seguito, senza un termine finale predeterminato o<br />

predeterminabile.<br />

Della possibilità di avvalersi della deroga in questione si sono in effetti<br />

avvalsi numerosi Stati membri, per ragioni riflettenti le differenti valutazioni<br />

già in passato in proposito manifestate e da ultimo ribadite in sede<br />

di negoziazione della Convenzione nonché di consultazioni prodromiche<br />

all’adozione del Regolamento.<br />

Così, mentre alcuni Stati hanno dichiarato di non voler applicare le disposizioni<br />

del comma 2 dell’art. 9, in ragione di esigenze di « certezza giuridica<br />

» e del « diritto alla tutela giuridica » ravvisate ostative a che « venga<br />

considerata data della notificazione una data diversa da quella prevista al<br />

paragrafo 1» ( 84 ) (Spagna) in quanto l’« esistenza di due date di notificazione<br />

e di comunicazione distinte, da fissare in riferimento a due ordinamenti<br />

giuridici distinti, crea una situazione di indeterminatezza e ambiguità<br />

che va a discapito della certezza del diritto » (Portogallo), altri Stati<br />

(Francia) hanno espresso viceversa la volontà di derogare al comma 1 dell’art.<br />

9. Sempre nell’asserito « intento di garantire la certezza del diritto »,<br />

ma riguardando tale certezza alla stregua dell’esclusivo profilo dell’interesse<br />

del richiedente a « conoscere senza indugio e con sicurezza la data di<br />

rilascio dell’atto » ( 85 ).<br />

Deroghe hanno altresì comunicato il Belgio (anche per gli atti extra-<br />

( 83 ) V. al riguardo la Relazione esplicativa, cit., sub art. 9, C/261/33: « Tenuto conto di<br />

talune legislazioni, una situazione siffatta potrebbe, per esempio, registrarsi nel caso in cui<br />

una citazione interrompa una prescrizione e contenga un invito a comparire », dovendosi<br />

fare in tal caso riferimento alla legislazione dello Stato mittente (a quo) per quanto concerne<br />

il momento dell’interruzione della prescrizione nei confronti del richiedente, e alla<br />

legislazione dello Stato ad quem per il calcolo del termine di comparizione.<br />

( 84 ) La data di notificazione o comunicazione al destinatario secondo la legge dello Stato<br />

richiesto.<br />

( 85 ) Al riguardo la Francia ha sintomaticamente dichiarato che l’interesse del richiedente<br />

la notifica impone di considerare quale data della notificazione o comunicazione esclusivamente<br />

« la data della trasmissione dell’atto da parte dell’organo mittente francese »: v.<br />

Comunicazioni degli Stati membri, cit., sub art. 9, p. 7.


SAGGI 803<br />

giudiziali), l’Irlanda, l’Olanda, la Finlandia, la Svezia ed il Regno Unito ( 86 ).<br />

L’Italia ha, per parte sua, al contrario dichiarato di non voler derogare<br />

dall’applicazione del sistema posto dall’art. 9 Reg. ( 87 ), che pertanto accetta<br />

nella sua complessiva formulazione e portata.<br />

Un tanto evidentemente si spiega in considerazione del fatto che la<br />

scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio<br />

costituisce, all’esito delle declaratorie d’incostituzionalità dell’art.<br />

143, ultimo comma, c.p.c. ( 88 ) e degli artt. 142, 3° comma, e 143, 3° comma,<br />

nonché 680 c.p.c. (in tema di sequestro conservativo) ( 89 ), principio<br />

ormai dall’ordinamento italiano recepito in termini generali, e non solo<br />

con riferimento alla notificazione all’estero ( 90 ).<br />

11. – Il principio della scissione (soggettiva) risulta essere stato nell’ordinamento<br />

introdotto in conseguenza della ravvisata insufficienza ed illegittimità<br />

del sistema di matrice francese della remise au parquet, dal legi-<br />

( 86 ) V. Comunicazioni degli Stati membri, cit., passim.<br />

( 87 ) V. Comunicazioni degli Stati membri, cit., p. 9 nonché Primo aggiornamento delle comunicazioni<br />

degli Stati membri, in G.U.C.E., C 202, 18 luglio 2001 (sub art. 9).<br />

Deroghe non apportato nemmeno Austria, Belgio, Lussemburgo e Grecia: cfr. Biavati,<br />

op. cit., p. 512 ss., ivi alla p. 517.<br />

( 88 ) V. Corte cost., 2 febbraio 1978, n. 10, in Foro it., 1978, I, c. 550 ss., con nota di Proto<br />

Pisani e in Nuove leggi civ. comm., 1978, p. 889 ss., con nota di Carpi e in Giur. cost., 1978, I,<br />

p. 54 ss. e p. 787 ss., con nota di Andrioli e in Giust. civ., 1978, III, p. 93 ss. e in Giur. it., 1978,<br />

I, 1, c. 1397 ss. e in Riv. dir. int. priv. proc., 1978, p. 549 ss., che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale<br />

dell’art. 143, ultimo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevedeva, per quanto<br />

attiene all’operatività della notifica nei confronti del destinatario dell’atto da notificare,<br />

nei casi previsti dall’art. 142 c.p.c., che la sua applicazione fosse subordinata all’accertata<br />

impossibilità di eseguire la notificazione nei modi consentiti dalle Convenzioni internazionali<br />

e dal d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 200, recante nuove disposizioni sulle funzioni e sui poteri<br />

consolari.<br />

( 89 ) V. Corte cost., 3 marzo 1994, n. 69, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 399 ss., con<br />

nota di Campeis-De Pauli, La tutela del richiedente la notificazione all’estero fra novelle legislative<br />

ed interventi della Corte Costituzionale e in Giur. cost., 1994, p. 740 ss., con nota di<br />

Soana e in Foro it., 1994, I, c. 2336 (con ampia nota di richiami) e in Giust. civ., 1994, I, p.<br />

1164 ss. e in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, p. 79 ss. e in Riv. dir. int., 1994, p. 193 ss., che ha dichiarato<br />

l’illegittimità costituzionale degli artt. 142, comma 3, 143, comma 3, e 680, comma<br />

1, c.p.c., nella parte in cui essi non prevedevano che la notificazione all’estero del sequestro<br />

si perfezioni, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, con il tempestivo compimento<br />

delle formalità imposte al notificante dalle Convenzioni internazionali e dagli artt. 30 e 75<br />

d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 200.<br />

( 90 ) Nel senso che debba considerarsi permanere un carattere di pur attenuata internazionalità<br />

delle notifiche intracomunitarie v. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 252.


804 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

slatore italiano del 1940 accolto all’art. 142 c.p.c. ( 91 ), a salvaguardare (stante<br />

il carattere formalistico che lo connota risolventesi in una notificazione<br />

meramente fittizia, in grado di realizzare una conoscenza meramente legale<br />

dell’atto trasmesso) l’interesse (viceversa) del destinatario-convenuto<br />

ad una conoscenza reale ed effettiva, e, conseguentemente, a garantire il rispetto<br />

del suo diritto di difesa (art. 24 Cost. ) ( 92 ).<br />

Proprio all’esito della declaratoria d’incostituzionalità di tale sistema<br />

della remise au parquet o della cd. notificazione fittizia, idonea a consentire<br />

la produzione di effetti nei confronti del destinatario a prescindere dal<br />

pervenimento dell’atto nella sua sfera di conoscenza ( 93 ), il legislatore si è<br />

quindi indotto a dare finalmente ingresso nell’ordinamento (con ben sedici<br />

anni di ritardo) alla Convenzione dell’Aja del 1965, emanando la relativa<br />

legge di ratifica 6 febbraio 1981, n. 42 ( 94 ).<br />

( 91 ) Cfr. Carpi, op. ult. cit., p. 373 ss., ivi alla p. 374 ss., nota 8, il quale pone in rilievo come<br />

la Francia abbia peraltro « modificato a fondo la propria legislazione (cfr. art. 683 ss.<br />

nuovo c.p.c.), ispirandosi appunto alla convenzione dell’Aja del 1965, che essa ha ratificato<br />

fin dal 1972 con decreto 72-1019 del 9 novembre ».<br />

L’istituto della remise au parquet trova attualmente applicazione in Olanda, Belgio,<br />

Lussemburgo e Grecia: v. Panzarola, op. cit., p. 1183, nota 100.<br />

( 92 ) Osserva Carpi, op. loc. ultt. citt., che « La Corte costituzionale nel 1978 si è mossa<br />

sulla scia di precedenti interventi a tutela del diritto di difesa che, a giudizio della Corte,<br />

non è rispettato quando si faccia ricorso ad una forma di notifica dalla quale deriva una presunzione<br />

legale di conoscenza, pur essendo possibile una notificazione tale da portare il<br />

contenuto dell’atto nella effettiva sfera di conoscibilità del destinatario. . . La corte ha, cioè,<br />

giustamente privilegiato la conoscenza effettiva e reale rispetto a quella presunta...».<br />

Per la riaffermazione dell’esigenza di garantire al notificatario l’effettiva possibilità di<br />

una tempestiva conoscenza dell’atto notificato, quale espressione del diritto costituzionale di<br />

difesa e « limite inderogabile » che il legislatore incontra nel porre discrezionalmente la disciplina<br />

delle notificazioni, v. recentemente Corte cost., 19 dicembre 2003, n. 360, cit.; Corte<br />

cost., 23 settembre 1998, n. 346, cit.<br />

( 93 ) In ordine al sistema posto dal legislatore del 1942 agli artt. 142 e 143 nella loro originaria<br />

formulazione v. Tarzia, Perfezione ed efficacia della notificazione a destinatari irreperibili<br />

o all’estero, in Riv. dir. proc., 1964, p. 653 ss.; Carnelutti, Note in margine alle leggi<br />

processuali, in Riv. dir. proc., 1962, p. 599 ss., per il quale tale tipo di notificazione finiva peraltro<br />

« per avere due date, secondo che si tratti del compimento degli atti ad opera del notificante,<br />

oppure della acquisizione della conoscenza da parte del notificando ».<br />

( 94 ) Al riguardo v. Politi, La convenzione dell’Aja del 1965 sulle notificazioni civili all’estero<br />

e le notifiche a cura dei consoli italiani, in Riv. dir. int., 1983, p. 575 ss.; Carpi-Ciaccia<br />

Cavallari, Notificazioni all’estero in materia civile e commerciale, in Nuove leggi civ. comm.,<br />

1982, p. 321 ss.; Pocar, Note sull’esecuzione italiana della convenzione de L’Aja del 1965 sulle<br />

notificazioni all’estero, in Riv. dir. int. priv. proc., 1982, p. 574 ss.; Proto Pisani, In tema di notifica<br />

all’estero e di modifica degli artt. 142 e 143 c.p.c., in Foro it., 1981, I, c. 1970.


SAGGI 805<br />

Emerge evidente, già alla stregua di quanto fin qui osservato, che all’adozione<br />

del principio della scissione nell’ordinamento italiano abbia<br />

presieduto una logica (esigenza di tutela del destinatario della notificazione/convenuto)<br />

esattamente contraria rispetto a quella che tale principio ha<br />

condotto ad accogliere nel Regolamento (tutela dell’interesse del mittente<br />

o richiedente la notifica/attore).<br />

L’applicazione del principio della scissione, dapprima affermata con riferimento<br />

alla notificazione ex artt. 142 e 143 c.p.c. ( 95 ), e successivamente<br />

considerata applicabile a tutti i casi di notifica all’estero ( 96 ), è stata nel<br />

tempo ulteriormente estesa fino ad essere considerata riferibile « ad ogni<br />

tipo di notificazione », anche con riferimento a quella cd. « interna »: non<br />

solo se effettuata a mezzo del servizio postale ( 97 ), ma anche, facendosi ri-<br />

( 95 ) V. Corte cost., 3 marzo 1994, n. 69, cit.<br />

( 96 ) V. Corte cost., 22 ottobre 1996, n. 358, in Foro it., 1997, I, c. 1006 ss., con nota di<br />

Gambineri, In tema di notifiche all’estero e in Giur. it., 1997, I, 1, c. 448 ss., con nota di M.<br />

De Cristofaro, Sui termini per la notifica all’estero nel processo cautelare e sulla conseguente<br />

articolazione del procedimento iniziato inaudita altera parte e in Riv. dir. proc., 1998, p. 895<br />

ss., con nota di Valcavi, In ordine a taluni dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 669 octies<br />

cod. proc. civ. in caso di notificazione all’estero e in Giust. civ., 1997, I, p. 604 ss. e in Riv.<br />

dir. int. priv. proc., 1997, p. 681 ss. e in Riv. dir. int., 1997, p. 240 ss.<br />

( 97 ) V. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, in Giur. it., 2003, p. 626 ss., con nota di Simonetti,<br />

Il perfezionamento delle notificazioni a mezzo posta tra costituzione e “diritto vivente”:<br />

ovvero la Cassazione suona (sempre) due volte alla porta della Consulta e p. 1549 ss., con<br />

nota di Dalmotto, La Corte manipola la norma sul perfezionamento della notifica postale:<br />

vecchie alternative e nuovi problemi e in Foro it., 2003, I, c. 13 ss., con nota di Caponi, La notificazione<br />

a mezzo posta si perfeziona per il notificante alla data di consegna all’ufficiale giudiziario:<br />

la parte non risponde delle negligenze di terzi e in Corriere giur., 2003, p. 23 ss., con<br />

nota di Conte, Diritto di difesa ed oneri della notifica. L’incostituzionalità degli artt. 149 cod.<br />

proc. civ. e 4, comma 3, Legge 890/82: una “rivoluzione copernicana”? e in Giur. cost., 2003, p.<br />

1068 ss., con nota di Basilico, Notifiche a mezzo del servizio postale e garanzie per le parti e<br />

in Arch. civ., 2003, p. 861 ss., con nota di Dell’Agli, Ancora una pronuncia della Corte Costituzionale<br />

in tema di notifiche a mezzo posta: autentico corollario di tutela del diritto di difesa<br />

e differenti effetti di notifica per il notificante e per l’accipiens e in Riv. dir. trib., 2003, II, p.<br />

131 ss., con note di Lupi, Sulla legittimità della costituzione in giudizio a mezzo posta, con<br />

spedizione degli atti entro i termini per la costituzione, di Scalinci, Modi e tempi ragionevoli<br />

nel processo tributario ed effettività del diritto di difesa: in attesa della svolta telematica e di<br />

Canino, La costituzione in giudizio del ricorrente dopo l’intervento della corte costituzionale e<br />

in GT – Riv. giur. trib., 2003, p. 319 ss., con nota di Glendi e in Corriere trib., 2003, p. 151 ss.,<br />

con nota di Bruzzone e in Foro amm., 2003, I, p. 861 ss., con nota di Cogliani, Notificazioni:<br />

tempestività e garanzie del contraddittorio e in Dir. e giust., 2002, fasc. 44, p. 21 ss., con nota<br />

di Giacalone, Nuove regole per le notificazioni a mezzo del servizio postale. Diverso il momento<br />

di efficacia per mittente e destinatario e in Rass. locaz., 2002, p. 501 ss., con nota di<br />

Spagnuolo, La notificazione dell’atto giudiziario a mezzo del servizio postale con la scissione


806 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

corso all’interpretazione (non già letterale bensì) sistematica dell’art. 149<br />

c.p.c, a quella « eseguita direttamente dall’ufficiale giudiziario » ( 98 ).<br />

Con conseguente generalizzazione del principio secondo cui il mittente<br />

o richiedente la notificazione non risponde degli effetti sfavorevoli che<br />

conseguono al compimento delle relative formalità sfuggenti alla sua disponibilità<br />

e ai suoi poteri di controllo ( 99 ).<br />

temporale tra il perfezionamento per il notificante e l’efficacia per il destinatario; Corte cost., 3<br />

marzo 1994, n. 69, cit.<br />

In tema di notificazione postale v. anche Corte cost., 23 settembre 1998, n. 346, cit., che<br />

ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, 2° comma, L. 8 novembre 1982, n. 890<br />

nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro<br />

di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso di mancato recapito<br />

per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle<br />

persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego<br />

sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento;<br />

nonché dell’art. 8, comma 3°, della medesima legge nella parte in cui non prevede che il<br />

piego sia restituito al mittente, in caso di mancato ritiro da parte del destinatario, dopo dieci<br />

giorni dal deposito presso l’ufficio postale.<br />

( 98 ) Così Corte cost., 23 gennaio 2004, n. 28, cit.<br />

( 99 ) V. Campus, Notificazioni a mezzo posta e principio di sufficienza delle “formalità” che<br />

non sfuggono alla disponibilità del notificante, in Studium iuris, 2003, p. 685 ss.<br />

Peraltro, per l’affermazione secondo cui « A ben vedere, però, tra le righe della motivazione<br />

può trarsi un argomento che conduce ad una limitazione dell’ambito applicativo<br />

del principio espresso dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 477/2002 e che non consente<br />

la sua applicazione all’infuori dei casi analoghi. Essa, infatti, afferma espressamente<br />

che è “. . . palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che<br />

un effetto di decadenza possa discendere – come nel caso di specie – dal ritardo nel compimento<br />

di un’attività riferibile non al medesimo notificante ma a soggetti diversi (l’ufficiale<br />

giudiziario e l’agente postale)”. In altri termini, dal testuale riferimento agli effetti di decadenza<br />

deriva che solo nei casi in cui la notificazione rappresenta il dies ad quem, la consegna<br />

del piego all’ufficiale giudiziario è atto idoneo a evitare il prodursi della decadenza medesima.<br />

. . La pronuncia della Consulta, quindi, trae origine da una fattispecie ben determinata:<br />

si tratta, infatti, di un effetto di decadenza (processuale) al quale la parte può sottrarsi attraverso<br />

la notificazione dell’atto di impugnazione. . . Del resto, l’argomento che impone di interpretare<br />

la decisione della Consulta tenendo conto della motivazione e dell’ambito nel<br />

quale è sorta la questione di costituzionalità è stato preso in considerazione, più volte, dalla<br />

prevalente giurisprudenza per delimitare e chiarire la portata dei principi enunciati dalla<br />

Corte Costituzionale. . . In conclusione, stando all’indirizzo giurisprudenziale suesposto,<br />

deve escludersi che, per la determinazione del momento dal quale prendono a decorrere i<br />

dieci giorni per iscrivere la causa a ruolo, possa trovare applicazione la regola della consegna<br />

dell’atto all’ufficiale giudiziario, quale momento perfezionativo del procedimento notificatorio<br />

di cui all’art. 149 c.p.c. », v. Rusciano, Decorrenza del termine per la costituzione dell’attore,<br />

in Riv. dir. proc., 2004, p. 908 ss., ivi alla p. 911 e p. 914 ss., ivi alla p. 915, la quale ritiene<br />

altresì « criticabile nelle sue premesse » la soluzione secondo cui il momento di decorrenza


SAGGI 807<br />

L’adozione del principio della scissione è stata dalla Corte Costituzionale<br />

( 100 ) e dalla Corte di Cassazione ( 101 ) spiegata con la ravvisata sua<br />

del termine di cui all’art. 165 c.p.c. è da individuarsi nella consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario,<br />

in quanto « vi è un dato legislativo che induce l’interprete a preferire la tesi che<br />

esclude qualsiasi incidenza alla pronuncia della Corte Costituzionale sul problema in esame:<br />

l’art. 4, comma 4°, della già citata l. 20 novembre 1982, n. 890 – non oggetto di sindacato<br />

di costituzionalità da parte della Consulta – dispone testualmente che “i termini, che decorrono<br />

dalla notificazione eseguita per posta, si computano dalla data di consegna del piego<br />

risultante dall’avviso di ricevimento e se la data non risulti, ovvero sia comunque incerta,<br />

dal bollo apposto sull’avviso medesimo dall’ufficio postale che lo restituisce”». Concludendo<br />

al riguardo: « Anche a seguito della pronuncia di incostituzionalità del combinato disposto<br />

dell’art. 149 c.p.c. e dell’art. 4, comma 3°, della l. 890/1982, il dato legislativo induce<br />

a ritenere che ai fini della tempestività o meno della costituzione in giudizio dell’attore occorre<br />

fare riferimento alla data di consegna del piego al destinatario, ovvero al momento di<br />

perfezionamento del procedimento notificatorio per tutte le parti del giudizio ».<br />

( 100 ) V. Corte cost., 3 marzo 1994, n. 69, cit.; e, da ultimo, le citate Corte cost. n. 28 del<br />

2004, Corte cost. (ord.) n. 97 del 2004; Corte cost. n. 107 del 2004 e Corte cost. (ord.) n. 132<br />

del 2004. Con riferimento a quest’ultime, osserva peraltro Rusciano, op. cit., p. 925 ss., che<br />

«. . . sembra emergere, tra le righe, l’intenzione della Corte di limitare il principio di perfezionamento<br />

unitario della notificazione alla decorrenza dei termini per l’esercizio dei poteri<br />

che sorgono in capo al solo destinatario per effetto della notificazione non anche per<br />

quelli che nascono dalla notificazione medesima per il notificante. In sostanza, con la sentenza<br />

28/2004 sembra che la Corte Costituzionale, nel generalizzare il principio enunciato<br />

in precedenza (prima con riferimento alle notifiche all’estero, poi con riguardo a quelle effettuate<br />

a mezzo posta), scinda il momento perfezionativo della notificazione, quando essa<br />

rappresenta il dies a quo per la decorrenza di termini perentori, a seconda che vengano in rilievo<br />

oneri per il destinatario o per il notificante: nel primo caso, occorre avere riguardo al<br />

momento in cui l’atto è conosciuto (o quanto meno conoscibile) dal “notificato”; nel secondo<br />

caso, invece, il termine iniziale coincide con la spedizione del piego all’ufficiale giudiziario<br />

». Mentre, con riferimento alla sentenza n. 107 del 2004, l’a. rileva che la Consulta<br />

« ha adottato una soluzione che prima facie può definirsi ibrida: da un lato, essa ha inteso<br />

esprimere la propria adesione all’orientamento che identifica il momento di decorrenza del<br />

termine per la costituzione in giudizio dell’attore nella ricezione dell’atto da parte del soggetto<br />

« notificato »; dall’altro ha ribadito la possibilità per il notificante di costituirsi in un<br />

momento anteriore. Detta sentenza, vista la sua natura non vincolante, non fornisce una sicura<br />

soluzione al problema in esame e si inserisce, forse, tra quelle pronunce della Consulta<br />

che entrano nel merito di questioni rilevanti di interpretazione, non costituzionalmente<br />

necessitate ».<br />

( 101 ) V. Cass., sez. un., 5 marzo 1996, n. 1729, in Giust. civ., 1996, I, p. 669 ss., con nota<br />

di Murra, Notificazione a mezzo posta: sancita la diversa decorrenza degli effetti tra notificante<br />

e destinatario e in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, p. 803 ss., con nota di Dalmotto, Il<br />

responso delle Sezioni Unite sul momento perfezionativo della notificazione a mezzo posta all’assente<br />

e in Corriere giur., 1996, p. 648 ss., con nota di Conte, Sul perfezionamento della notificazione<br />

a mezzo posta e in Foro it., 1996, I, c. 1234 ss. e in Giur. it., 1996, I, 1, c. 1196 ss. e<br />

in Arch. civ., 1996, p. 1137 ss. Conformemente v. Cass., 19 maggio 2003, n. 7839; Cass., 24


808 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

maggiore idoneità a garantire la tutela dell’interesse dell’attore, tenuto a<br />

compiere un’attività processuale entro termini perentori, la cui erosione si<br />

è avvertito essere violativa del relativo diritto di difesa.<br />

Si è presa in considerazione, in particolare, l’ipotesi in cui « la notificazione<br />

viene in rilievo come compimento di attività da parte del notificante,<br />

alla quale si collega il rispetto di un termine posto dalla legge a suo carico,<br />

quale è, ad esempio, il termine per proporre impugnazione » ( 102 ).<br />

Avuto riguardo al sistema della notificazione a mezzo del servizio postale,<br />

e in particolare alle ipotesi di cui all’art. 8 L. n. 890/92 (rifiuto di ricevere<br />

l’atto da parte delle persone abilitate; mancanza o inidoneità o as-<br />

marzo 2004, n. 13065: « In tema di notificazioni, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale<br />

n. 477 del 2002 – dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto<br />

dell’art. 149 del codice di procedura civile e dell’art. 4, terzo comma, della legge 20<br />

novembre 1982, n. 890, nella parte in cui prevede che la notificazione di atti a mezzo posta<br />

si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché<br />

a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario –, e come dalla Corte<br />

Costituzionale ribadito anche nella sentenza n. 28 del 2004, nell’ordinamento deve ritenersi<br />

operante un principio generale in base al quale, qualunque sia la modalità di trasmissione,<br />

la notifica di un atto processuale, almeno quando debba compiersi entro un determinato<br />

termine, si intende perfezionata in momenti diversi rispettivamente per il richiedente<br />

e per il destinatario della notifica, le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte di quest’ultimo<br />

dovendo contemperarsi con il diverso interesse del primo a non subire le conseguenze<br />

negative derivanti dall’intempestivo esito del procedimento notificatorio per la parte<br />

di questo sottratta alla sua disponibilità ». Nello stesso senso v. Cass., sez. un., 4 maggio<br />

2006, n. 10216; Cass., 16 marzo 2006, n. 5853; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2593; Cass., 11 gennaio<br />

2006, n. 239; Cass., 17 novembre 2005, n. 23294; Cass., 16 novembre 2005, n. 23089;<br />

Cass., 28 luglio 2005, n. 15809; Cass., 26 luglio 2005, n. 15616; Cass., 1 aprile 2005, n. 6836;<br />

Cass. 2 settembre 2004, n. 17714, in Boll. Trib. inf., 2005, 881 n.; Cass., 11 giugno 2004, n.<br />

11140, in Foro it., 2004, I, c. 2356 ss., con nota di Caponi, Sulla legittimazione dell’ufficiale<br />

giudiziario a notificare il ricorso per cassazione a mezzo del servizio postale; Cass., 13 aprile<br />

2004, n. 7018; Cass., 8 aprile 2004, n. 6906; Cass., 1° aprile 2004, n. 6402; Cass., 19 gennaio<br />

2004, n. 709; Cass., 3 luglio 2003, n. 10481, cit.; Cass., 19 maggio 2003, n. 7839; Cass., 27 agosto<br />

2002, n. 12544.<br />

Contra, nel senso che il termine per il deposito del ricorso per cassazione, ex art. 369<br />

c.p.c., decorra dalla data nella quale il procedimento notificatorio si è perfezionato anche<br />

per il destinatario, e, quindi, nel caso della notifica effettuata a mezzo posta, dalla data di ricezione<br />

dell’atto, certificata nell’avviso di ricevimento, v. Cass., 8 settembre 2004, n. 18087.<br />

V. altresì Cass., 30 maggio 2003, n. 8720; Cass., 29 novembre 2002, n. 16992, in Arch. civ.,<br />

2003, p. 372 ss.; Cass., 22 maggio 2002, n. 7503; Cass., 4 aprile 2002, n. 4825; Cass., 4 gennaio<br />

2002, n. 70, in Foro it., 2002, I, c. 1792 ss., con nota di Barone; Cass., 18 settembre 2001,<br />

n. 11744; Cass., 28 ottobre 1999, n. 12108; Cass., 11 giugno 1999, n. 5738; Cass., 4 febbraio<br />

1999, n. 965; e già Cass., Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1605.<br />

( 102 ) Così Cass., sez. un., 5 marzo 1996, n. 1729, cit.


SAGGI 809<br />

senza delle stesse; temporanea assenza del destinatario), nel ravvisarne<br />

una « sostanziale identità » con la fattispecie della notificazione eseguita ai<br />

sensi dell’art. 143 c.p.c., si è in giurisprudenza di legittimità ritenuto « razionale<br />

che la tempestività dell’atto si consideri verificata con il compimento,<br />

appunto, di quell’attività, restando indifferente, a tal fine, l’ulteriore<br />

vacatio temporale prevista dalla legge », trattandosi di decorso temporale<br />

meramente preordinato a favorire la possibilità di presa di conoscenza<br />

dell’atto da parte del destinatario o comunque a tenere, per la durata<br />

del medesimo, quest’ultimo indenne dagli effetti sfavorevoli (decorrenza<br />

di termini e simili) dell’attività del notificante ( 103 ).<br />

La generalizzazione dell’applicazione del principio della scissione in<br />

campo processuale, con conseguente emersione di un vero e proprio principio<br />

generale secondo cui gli effetti della notificazione debbono essere riconosciuti<br />

a vantaggio del notificante in conseguenza del compimento<br />

delle sole formalità che non sfuggono alla di lui disponibilità, ha consentito,<br />

secondo quanto dalla stessa Corte Costituzionale affermato, di evitare<br />

la pronunzia di ulteriori declaratorie di incostituzionalità ( 104 ).<br />

( 103 ) V. Cass., sez. un., 5 marzo 1996, n. 1729, cit.: « Più sinteticamente, nel primo caso<br />

il notum facere rileva come attività e con il compimento di questa è realizzato, mentre nel<br />

secondo rileva come risultato, che in tanto può considerarsi raggiunto in quanto la conoscenza<br />

effettivamente si produca con il ritiro dell’atto (art. 8, comma 6°) ovvero tutti gli elementi<br />

previsti per consentirla o per propiziarla, ivi compreso il decorso del tempo, si siano<br />

verificati (art. 8, comma 4°) ».<br />

( 104 ) In tal senso v. Corte cost., 16 aprile 1999, n. 132, in Giur. cost., 1999, p. 1056 ss. e in<br />

Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 790 ss. in ordine all’art. 669 sexies, e, relativamente all’art.<br />

669 octies, v. Corte cost., 22 ottobre 1996, n. 358, cit. (che fa richiamo alla precedente pronunzia<br />

Corte cost., 3 marzo 1994, n. 69, cit.).<br />

Diversamente, in dottrina, v. Dalmotto, La Corte manipola la norma sul perfezionamento<br />

della notifica postale: vecchie alternative e nuovi problemi, in nota a Cass., 26 novembre<br />

2002, n. 477, Cass., 2 febbraio 2002, n. 1390, Corte cost. (ord.), 27 luglio 2001, n. 322,<br />

Cass., 19 maggio 2000, n. 453, in Giur. it., 2003, p. 1555 ss., secondo cui (ivi alla p. 1556 ss.),<br />

alla stregua della generalizzazione – con riferimento ad ogni modalità notificatoria – del<br />

principio per cui gli effetti della notificazione debbono essere riconosciuti a vantaggio del<br />

notificante in conseguenza del compimento delle sole formalità che non sfuggono alla di<br />

lui disponibilità, discende la sospetta incostituzionalità di disposizioni che individuano il<br />

perfezionamento della notifica, dal lato del notificante, nel momento della spedizione dell’atto,<br />

lasciando aperta la possibilità che una decadenza maturi a causa del possibile ritardo<br />

dell’ufficiale giudiziario nello svolgere gli adempimenti di sua competenza (e quindi, recarsi<br />

alle poste per la spedizione ovvero eseguire la notifica a mani), come l’art. 134, comma 5°,<br />

disp. att. c.p.c., in tema di ricorso e controricorso per cassazione (secondo cui il deposito si<br />

ha per avvenuto alla data della spedizione dei plichi raccomandati; l’art. 16 d. lgs. 31 dicem-


810 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Al riguardo deve peraltro obiettarsi che il principio della scissione,<br />

considerato nel suo significato pregnante in base al quale sono individuabili<br />

due diversi momenti di perfezionamento, non appare invero applicabile<br />

quantomeno laddove viene a profilarsi idoneo a ridondare in termini<br />

di lesione di garanzie fondamentali come quelle del contraddittorio e del<br />

diritto di difesa (art. 24 Cost.).<br />

Tale principio non sembra ad esempio contemperabile con l’ipotesi<br />

della notificazione della citazione o del ricorso e del pedissequo decreto<br />

di fissazione dell’udienza effettuata in violazione dei termini di comparizione<br />

di cui all’art. 163-bis c.p.c. ( 105 ).<br />

bre 1992, n. 546, sulle comunicazioni e notificazioni nel processo tributario; l’art. 2 d.p.r. 24<br />

novembre 1971, n. 1199, sui ricorsi gerarchici nella giustizia amministrativa; gli artt. 138, 140<br />

e 143 c.c. sulle notificazioni direttamente eseguite dall’ufficiale giudiziario, che, secondo il<br />

loro tenore letterale e comunque secondo l’interpretazione consolidata, prevedono, rispettivamente,<br />

che la notificazione si perfeziona al momento della ricezione dell’atto da parte<br />

del destinatario; alla data della spedizione della raccomandata con cui il destinatario della<br />

notifica viene avvertito che la copia dell’atto è stata depositata nella casa comunale; con il<br />

deposito di copia nella casa del comune e affissione di altra copia nell’albo dell’ufficio giudiziario<br />

avanti al quale si procede; Conte, op. cit., p. 28.<br />

( 105 ) Per la nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c., non sonabile, ove il convenuto<br />

non si sia costituito, dal rinvio d’ufficio ex artt. 318 c.p.c. e 57, 1° co., disp. att. c.c. v. la citata<br />

Cass., 12 aprile 2006, n. 8523.<br />

Per l’affermazione del principio secondo cui la nullità dell’atto introduttivo del giudizio<br />

per violazione dei termini a comparire è sanata dalla costituzione del convenuto, tuttavia,<br />

se quest’ultimo eccepisce tale vizio, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 164, terzo comma,<br />

cod. proc. civ. (nel testo novellato dall’art. 9 della legge n. 353 del 1990), a fissare nuova<br />

udienza nel rispetto dei termini. L’inosservanza di tale obbligo essendo deducibile in sede<br />

di legittimità, senza che il convenuto debba indicare il danno arrecatogli dalla inosservanza<br />

del termine, atteso che la violazione di un termine dilatorio, tempestivamente denunciata,<br />

comporta la nullità dell’atto compiuto prima della sua maturazione, v. Cass., 13<br />

maggio 2004, n. 9150; Cass., 7 marzo 2002, n. 3335.<br />

Nel senso che nel procedimento d’appello in materia di lavoro o di previdenza e assistenza<br />

obbligatorie, i vizi della “vocatio in ius” consistenti nell’omissione o nella nullità della<br />

notificazione del ricorso, ovvero (come nella specie) nella nullità dipendente dalla concessione<br />

all’appellato di un termine a difesa inferiore a quello previsto dall’art. 435, terzo comma,<br />

cod. proc. civ., non determinano l’inammissibilità dell’impugnazione, se il deposito del<br />

ricorso, integrante l’“editio actionis”, è avvenuto entro i termini di decadenza stabiliti per<br />

l’appello, e neanche comportano l’improcedibilità del gravame, dato che può operare – anche<br />

nel caso in cui siano ormai scaduti i termini per l’impugnazione – la sanatoria per effetto della<br />

costituzione in giudizio dell’appellato o, in mancanza di questa, della rinnovazione della<br />

notificazione entro il termine perentorio che allo scopo deve assegnare il giudice, in applicazione<br />

dell’art. 421, ovvero anche di una lettura estensiva dell’art. 291, in caso di assegnazione<br />

di un termine a difesa insufficiente. In quest’ultima ipotesi, le indicate modalità di sanatoria<br />

con efficacia “ex tunc” sono giustificate anche dall’applicazione analogica delle disposizioni


SAGGI 811<br />

Si determina infatti in tal caso l’indebita compressione o vanificazione<br />

del tempo minimo dalla legge garantito al convenuto per apprestare adeguata<br />

difesa e costituirsi in giudizio, con conseguente violazione degli<br />

artt. 3 e 24 Cost. In relazione alla quale nessuna valenza sembra potersi<br />

invero riconoscere alla circostanza che la data di perfezionamento della notificazione<br />

valevole con riferimento all’attore sia viceversa « tempestiva ».<br />

Trattasi di problematica che si ripropone ogni qual volta, a far data dal<br />

compimento della notificazione, è prevista la decorrenza di un termine<br />

(perentorio o dilatorio) o il compimento di un’attività ( 106 ).<br />

Con riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1965 si è in dottrina osservato<br />

al riguardo che, « se fra la data di consegna dell’atto al destinatario<br />

e l’udienza di comparizione finisca per esservi un termine inferiore a<br />

quello determinato dall’art. 163-bis o dall’art. 415, ult. comma, c.p.c...»,<br />

l’attore può considerarsi al riparo da decadenze, ma non anche dalla nullità<br />

ex art. 164 c.p.c. ( 107 ).<br />

Ad analoga conclusione si perviene anche con riferimento all’ordinamento<br />

italiano, sostenendosi, al di là di mere avvertenze di carattere pragmatico<br />

( 108 ), che tale aspetto si profila tuttavia come « meno drammatico »<br />

contenute nel nuovo testo dell’art. 164 cod. proc. civ. (ove la nullità si sia verificata nel tempo<br />

successivo all’entrata in vigore delle relative disposizioni della legge n. 353 del 1990), salva<br />

la fissazione di una nuova udienza nel rispetto del termine di comparizione, ove la violazione<br />

dello stesso sia dedotta dal convenuto in sede di costituzione, v. Cass., 10 dicembre<br />

1998, n. 12447; Cass., 11 aprile 1996, n. 3373, in Foro it., 1996, I, 2411 ss., con nota di Fortini.<br />

In ordine alla sussistenza dell’obbligo di rispetto dei termini di comparizione anche in<br />

sede di riassunzione del processo, « come si desume dal tenore dell’art. 125, n. 4, disp. att.<br />

cod. proc. civ., che espressamente dispone che la comparsa di riassunzione deve contenere<br />

l’indicazione dell’udienza in cui le parti devono comparire, « osservati i termini stabiliti dall’art.<br />

163 bis del codice », v. Cass., 15 giugno 1999, n. 5941.<br />

( 106 ) In tema di tariffe dei premi dovuti dal datore di lavoro all’INAIL, in ordine alla rilevanza<br />

che la data della ricezione della comunicazione (a mezzo lettera raccomandata con<br />

avviso di ricevimento) del provvedimento di variazione dei tassi (che è atto amministrativo<br />

contemplato dalla legge al fine di rendere liquida ed esigibile l’obbligazione ex lege) ex art.<br />

40 d.p.r. n. 1124 del 1965, ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni entro il quale<br />

il datore di lavoro può proporre ricorso alla Commissione prevista all’art. 39, 3° comma, del<br />

medesimo d.p.r. n. 1124 del 1965, v. Cass., 3 agosto 2004, n. 14842.<br />

( 107 ) Così Carpi, Commento, cit., p. 897 ss, ivi alla p. 898 ss.<br />

( 108 ) V. Conte, op. cit., p. 24 ss., ivi alla p. 27, che avverte: « La parte che richiederà la notifica<br />

dovrà forse solo curare di segnalare all’ufficiale giudiziario l’imminente scadenza<br />

(questa era una condizione prevista esplicitamente nella citata ordinanza della Cass. 12 novembre<br />

1986, n. 649) e determinare un’udienza di comparizione in data tale da far sì che,<br />

pur in caso di tardività della notificazione, non facciano di fatto difetto i termini minimi a<br />

comparire...».


812 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

all’esito della cd. miniriforma “urgente” del 1990, giacché « il mancato rispetto<br />

dei termini a comparire comporta, ai sensi del nuovo testo dell’art.<br />

164 c.p.c., una nullità dell’atto di citazione sanabile con la rinnovazione<br />

dell’atto stesso con effetti ex tunc » ( 109 ).<br />

Da altri si sostiene viceversa, in termini che si profilano invero come<br />

intimamente contraddittori, che la circostanza per la quale « per il notificante<br />

la notifica si perfeziona con la presentazione dell’atto da notificare<br />

all’ufficiale giudiziario non significa che essa debba anche considerarsi definitivamente<br />

compiuta in quel momento e che l’interessato possa prescindere<br />

dal successivo suo esito...» ( 110 ).<br />

Orbene, vale al riguardo osservare che entrambe le suindicate tesi non<br />

sembrano riuscire in effetti a spiegare quale rilevanza assuma in concreto,<br />

in tali casi, l’affermazione secondo cui, con riferimento al (solo) mittente o<br />

richiedente, la notificazione o comunicazione si perfeziona al momento<br />

della spedizione (o della consegna all’organo competente per la notificazione<br />

o comunicazione) dell’atto.<br />

Particolare e sintomatico valore assume al riguardo l’avvertita necessità<br />

di fare richiamo, in presenza di violazione dei termini a comparire, all’operare<br />

dell’istituto della rinnovazione ex art. 291 c.p.c.<br />

A tale stregua la suddetta tesi giunge infatti a sostanzialmente riconoscere<br />

la non esaustività al riguardo di siffatto perfezionamento della notificazione,<br />

la sua inidoneità a valere di per sé.<br />

Laddove si ammette che, benché la notificazione sia per il mittente<br />

“perfezionata, la nullità per violazione dei termini a comparire” rimane<br />

nel caso ciononostante integrata, e che soltanto mediante l’operare della<br />

rinnovazione della notificazione della citazione (che di tali termini sia ri-<br />

( 109 ) In tali termini Conte, op. loc. ultt. citt.<br />

( 110 ) Così Dalmotto, op. cit., p. 1555, il quale precisa ulteriormente: « Così, non gioverà<br />

al notificante aver tempestivamente consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario quando abbia<br />

chiesto di effettuare la notificazione presso un indirizzo che non abbia riferimento con i<br />

luoghi dove il destinatario deve essere cercato o che comunque non sia stato trovato dall’agente<br />

postale. Né potrà giovare la notifica fatta al soggetto sbagliato o a persona non abilitata<br />

a ricevere il piego. Inoltre per dare la prova che la notifica è stata compiuta, si dovrà seguitare<br />

a depositare in giudizio la cartolina di ricevimento, che, secondo la giurisprudenza,<br />

costituisce il solo documento idoneo a provare l’intervenuta consegna quindi l’avvenuta<br />

notificazione postale ».<br />

Al riguardo, si noti, nel trarne le riportate conclusioni l’a. sembra fare riferimento alla<br />

pronunzia della Corte cost. n. 477 del 2002, che peraltro si limita a diversamente condizionare<br />

la produzione degli effetti della notificazione per il mittente « al perfezionamento del procedimento<br />

notificatorio anche per il destinatario »: V. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, cit.


SAGGI 813<br />

spettosa) ( 111 ) la stessa può considerarsi “sanata” (l’invalidità altrimenti<br />

permanendo e travolgendo gli altri atti del processo e la stessa sentenza<br />

eventualmente emessa) ( 112 ), non è chi non veda come evidente emerga<br />

invero (anche) l’intrinseca consapevolezza dell’insufficienza del principio<br />

affermato.<br />

Ad ulteriore conferma in tal senso depone il ritenersi tale perfezionamento<br />

della notificazione per il mittente o richiedente come sottoposto a<br />

condizione ( 113 ) nei casi in cui la relativa effettuazione venga richiesta con<br />

riferimento a « luogo inidoneo », in caso cioè di « luogo che non ha alcun<br />

riferimento col destinatario dell’atto » o di « errore nell’indirizzo » o di<br />

« trasferimento del destinatario » ( 114 ).<br />

Ancora, l’escludersi che l’anticipazione per l’attore del momento di<br />

perfezionamento della notificazione comporti « un diverso computo del<br />

( 111 ) V. Cass., 4 febbraio 1988, n. 1126, in Rass. giur. energia elettrica, 1989, p. 387 ss; Cass.,<br />

16 febbraio 1982, n. 951; Cass., 11 settembre 1980, n. 5223; Cass., 11 gennaio 1978, n. 95.<br />

Il regime di sanatoria delle nullità formali afferenti all’atto introduttivo del giudizio ed<br />

alla sua notificazione, posto dagli artt. 156, 162, 164 e 291 c.p.c. trova applicazione anche nel<br />

rito del lavoro: v. Cass., 10 dicembre 1998, n. 12447; Cass., 11 aprile 1996, n. 3373, cit.; Cass.,<br />

3 marzo 1992, n. 2579, in Giust. civ., 1992, I, p. 2089 ss., con nota di Jaccheri, Nullità del ricorso<br />

per inosservanza del termine a comparire nel processo del lavoro, de iure condito e de iure<br />

condendo; ed anche nelle controversie soggette a tale rito i termini dilatori a difesa debbono<br />

essere osservati, determinandosi altrimenti una violazione del contraddittorio che affetta<br />

di nullità anche la sentenza che lo concluda: v., da ultimo, Cass., 8 settembre 2003, n.<br />

13105; Cass., 18 aprile 2000, n. 4994; Cass., 11 aprile 1996, n. 3373, in Foro it., 1996, I, c. 2411<br />

ss., con nota di Fortini.<br />

( 112 ) V. Cass., 24 marzo 2006, n. 6634; Cass., 22 giugno 2005, n. 13410: « In relazione ai<br />

procedimenti ai quali si applica la disciplina anteriore alla legge n. 353 del 1990, se l’atto di<br />

citazione non rispetta i termini a comparire, è consentita la rinnovazione della citazione<br />

prima della declaratoria di nullità dell’atto stesso per inosservanza del termine a comparire,<br />

con la conseguenza che, qualora una citazione nulla per inosservanza dei termini di comparizione<br />

venga rinnovata, il rapporto processuale si costituisce validamente con decorso<br />

della notificazione del nuovo atto di citazione. Cass., 9 ottobre 1998, n. 10008: « Il rapporto<br />

processuale si instaura con una valida notifica e pertanto, nel caso sia rinnovata, gli effetti<br />

processuali non retroagiscono alla prima notifica...».<br />

( 113 ) Per tale configurazione v. Conte, op. loc. ultt. citt. V. anche Dalmotto, op. loc. citt.,<br />

ivi alla nota 29, il quale indica consistere la condizione nel « valido compimento » della notificazione<br />

medesima.<br />

( 114 ) V. Conte, op. loc. ultt. citt., il quale esclude che in tali ipotesi la mancata notifica<br />

dell’atto possa essere considerata « addebitabile » all’ufficiale giudiziario. V. anche, pur se in<br />

termini apparentemente più perplessi, Spagnuolo, La notificazione dell’atto giudiziario a<br />

mezzo del servizio postale con la scissione temporale tra il perfezionamento per il notificante e<br />

l’efficacia per il destinatario, in nota a Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, in Rass. locaz.,<br />

2002, p. 505 ss., ivi alla p. 506.


814 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

termine per la sua costituzione », questo considerandosi pertanto ai sensi<br />

dell’art. 165 c.p.c. comunque decorrente « dalla notifica al convenuto, indipendentemente<br />

dal momento (antecedente) in cui la notifica stessa si è<br />

perfezionata per l’attore » ( 115 ).<br />

Sintomatico appare allora il distinguo operato sia dalla Corte Costituzionale<br />

( 116 ) che dalla Corte di Cassazione ( 117 ) rispetto ad ipotesi in cui<br />

non vengono viceversa in rilievo decadenze conseguenti al tardivo compimento<br />

di attività riferibili a soggetti diversi dal richiedente la notifica<br />

(quali l’ufficiale giudiziario o il di lui ausiliario agente postale), e risulti<br />

per converso dalla norma presupposta la decorrenza di un termine che<br />

debba decorrere o altro adempimento da compiersi dal tempo dell’avvenuta<br />

notificazione ( 118 ): ipotesi in cui, si afferma, « la suddetta distinzione<br />

dei momenti di perfezionamento della notificazione non trova applicazione<br />

», dovendo quest’ultima «intendersi pertanto per entrambi compiuta ...<br />

al momento della sua effettuazione nei confronti del destinatario » ( 119 ).<br />

( 115 ) Così Conte, op. loc. ultt. citt., il quale in tal senso dichiara di correggere il diverso<br />

avviso in precedenza espresso al riguardo.<br />

( 116 ) V. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, cit. V. anche Corte cost., 23 gennaio 2004,<br />

n. 28, cit.<br />

( 117 ) V. le sentenze citate infra alla nota 119. Al riguardo, nel senso che per « estendere<br />

la regola di protezione del notificante dalle conseguenze pregiudizievoli dei ritardi del procedimento<br />

notificatorio non v’era, e non v’è, bisogno di elevare a rango di principio l’asserita<br />

dualità di perfezionamenti della notifica stessa rispettivamente per il notificante e per il<br />

notificatario », ed in ordine alla necessità di tenere in considerazione, oltre all’interesse del<br />

mittente, anche quello « del destinatariuo della notificazione ad essere posto in grado di conoscere<br />

se siano definitivamente maturate o meno nei confronti del notificante preclusioni<br />

a suo carico », v. C. Glendi, Commento a Corte Cost. 23 gennaio 2004, n. 28, cit., p. 778 ss.,<br />

il quale osserva ulteriormente che « analoga esigenza » sussiste invero anche « per il giudice<br />

o per chi altri debba tener conto del verificarsi o meno di siffatte preclusioni ».<br />

( 118 ) Come nella fattispecie prevista dall’art. 369 c.p.c., concernente il deposito in cancelleria<br />

del ricorso nel termine di venti giorni dall’ultima delle notificazioni alle parti contro<br />

le quali il ricorso per cassazione è proposto: v. Cass., 14 luglio 2004, n. 13065.<br />

( 119 ) In tali termini v. Cass., 24 marzo 2004, n. 13065, cit. Nello stesso senso v. altresì<br />

Cass., 17 luglio 2003, n. 11201, in Foro amm., 2004, I, p. 1146 ss.<br />

La S.C. si è quindi spinta ad aprire un vero e proprio contrasto interpretativo là dove,<br />

dopo aver introdotto dei distinguo affermando che la diversità dei momenti di perfezionamento<br />

della notifica rispettivamente valevoli per il mittente e per il destinatario «non trova<br />

applicazione » quando «non vengono in rilievo ipotesi di decadenza conseguenti al tardivo<br />

compimento di attività riferibili a soggetti diversi dal richiedente la notifica . . . e viceversa la<br />

norma preveda che un termine debba decorrere o altro adempimento debba essere compiuto dal<br />

tempo dell’avvenuta notificazione (come nella fattispecie prevista dall’art. 369 cod. proc. civ.<br />

con riferimento al deposito in cancelleria del ricorso nel termine di venti giorni dall’ultima


SAGGI 815<br />

Nel restringersi, proprio nel mentre se ne afferma la validità, la concreta<br />

operatività del principio della scissione ad ipotesi meramente ridotte<br />

delle notificazioni alle parti contro le quali il ricorso è stato proposto) . . . (così Cass., 14 luglio<br />

2004, n. 13065. Distinguo recentemente ribadito dalle Sezioni Unite in riferimento alla<br />

notificazione eseguita ex art. 140 c.p.c.: v. Cass., Sez. Un., 13 gennaio 2005, n. 458, in Dir. e<br />

giust., 2005, fasc. 7, p. 14 ss., con nota di Evangelista, Notificazioni, arrivano regole più eque.<br />

Vale il principio dell’effettiva conoscibilità per la controparte e in Giust. civ., 2005, I, p. 935 ss.,<br />

con nota di Saraceni, Notificazioni all’irreperibile: la pronuncia delle sezioni unite sulla scissione<br />

del perfezionamento del procedimento notificatorio ed ivi, p. 1503 ss., con nota di Giordano,<br />

La notifica a destinatari irreperibili in un gran arrêt delle sezioni unite e in Corriere<br />

giur., 2005, p. 351 ss., con nota di Conte, Revirement delle sezioni unite sulle formalità di notifica<br />

ex art. 140 c.p.c.: si sana un’incongruenza, ma ne resta aperta un’altra e in Corriere trib.,<br />

2005, p. 851 ss., con nota di Glendi, Occorre la ricevuta di ritorno per la validità della notifica<br />

ai sensi dell’art. 140 c.p.c.e in Dir. e pratica trib., 2005, p. 77 ss., con nota di Glendi, Manca<br />

la ricevuta? La notifica è nulla. Conformemente v. altresì Cass., 6 maggio 2005, n. 9510),<br />

è quindi addivenuta, movendo in particolare dalla considerazione della notificazione a<br />

mezzo posta e nell’indicare al riguardo la « indispensabilità » della produzione in giudizio<br />

dell’« avviso di ricevimento » quale « prova del perfezionamento della notifica », a precisare<br />

che la pronunzia della Corte Costituzionale incide « sulla sola disciplina del momento<br />

(“quando”) in cui la notifica si considera efficace non anche su quella dei requisiti del suo<br />

perfezionamento (“an”) » (così Cass., 10 marzo 2004, n. 4900, in Foro it., 2004, I, c. 2383 ss., e<br />

in Cons. stato, 2004, II, p. 564, con nota di Casali, Ricorso per Cassazione notificato a mezzo<br />

del servizio postale: oneri del ricorrente. Nello stesso senso v. altresì Cass., 10 febbraio 2005,<br />

n. 2722; Cass., 10 febbraio 2005, n. 2723).<br />

Al riguardo, si noti, la recentissima Cass., 12 aprile 2006, n. 8523 ha (con riferimento alla<br />

notificazione a mezzo posta) significativamente posto in rilievo che ai fini dell’osservanza<br />

dei termini a comparire, per “giorno della notificazione”, ai sensi dell’art. 163-bius cod.<br />

proc. civ., s’intende quello in cui si realizza, non l’effetto, anticipato e provvisorio, a vantaggio<br />

del notificante, ma il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti<br />

del destinatario, procedimento che resta ancorato al momento in cui l’atto è ricevuto dal<br />

destinatario medesimo o perviene nella sua sfera di conoscibilità: e ciò in quanto, al fine<br />

suindicato, il notum facere rileva come risultato, che in tanto può considerarsi raggiunto in<br />

quanto la conoscenza effettivamente si produca con il ritiro dell’atto ovvero tutti gli elementi<br />

previsti per consentirla o per propiziarla, ivi compreso il decorso del tempo, si siano<br />

verificati. V. altresì sez. un., 4 maggio 2006, n. 10216, ove, nell’affermarsi che per effetto delle<br />

pronunzie Corte Cost. n. 69 del 1994, relativa alla disciplina delle notifiche all’estero,<br />

Corte Cost. n. 358 del 1996, Corte Cost. n. 477 del 2002, Corte Cost. n. 28 e 97 del 2004 e<br />

Corte Cost. n. 154 del 2005 « risulta così ormai presente nell’ordinamento processuale civile,<br />

tra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale – relativamente<br />

alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo,<br />

la notificazione è destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve<br />

considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona<br />

per il destinatario. Con la conseguenza che, alla luce di tale principio, le norme in<br />

tema di notificazioni di atti processuali vanno interpretate, senza necessità di ulteriori interventi<br />

da parte del giudice delle leggi, nel senso (costituzionalmente, appunto, adeguato)


816 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

(impugnazioni, reclami), si viene invero a negarsene sostanzialmente la<br />

portata quale regola generale, evidentemente avvertendosi l’insufficienza<br />

di tale principio a valere come tale.<br />

Rimane avvalorata, a tale stregua, la necessità di aversi in tal caso viceversa<br />

riguardo ad un’unica data di perfezionamento della notificazione.<br />

Data non altrimenti individuabile se non in quella della ricezione dell’atto<br />

da parte del destinatario-convenuto, quale soluzione senz’altro maggiormente<br />

garantista ( 120 ), la scissione potendo semmai valere quale principio<br />

che a tale regola faccia eccezione.<br />

che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna<br />

dell’atto all’ufficiale giudiziario », sintomaticamente si perviene ad affermare che « ove tempestiva<br />

» la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario « evita appunto alla parte la decadenza<br />

correlata alla inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata »,<br />

quale peraltro « effetto provvisorio » ed « anticipato » a vantaggio del notificante, che « si<br />

consolida » invero solamente « col perfezionamento del procedimento notificatorio nei<br />

confronti del destinatario »; per il quale « a tal fine, rileva la data, invece, in cui l’atto è da<br />

lui ricevuto o perviene nella sua sfera di conoscibilità ».<br />

Per l’intrinseca debolezza della soluzione al riguardo adottata, consistente nel distinguere<br />

tra effetti provvisori ed effetti definitivi della notificazione, v. peraltro Caponi, Svolta<br />

delle sezioni unite nella disciplina delle notificazioni ex art. 140 c.p.c., in Foro it., 2005, I, 699<br />

ss.; Basilico, Riflessioni sull’orientamento della giurisprudenza di cassazione successivo alle<br />

recenti decisioni costituzionali in tema di notificazione, in nota a Cass., sez. un., 13 gennaio<br />

2005, n. 458, in Riv. dir. proc., 2006, 396 n., ivi alla p. 400 n.<br />

In argomento, con particolare riferimento al procedimento avanti alla Commissione<br />

tributaria, v. Glendi, Commento, cit., p. 779: « Se per il notificante vale la data di consegna<br />

dell’atto all’agente della notificazione, da quando decorre il termine decadenziale di deposito<br />

del ricorso introduttivo alla segreteria della commissione tributaria? Da questa data, da<br />

quella di spedizione del plico in caso di notificazione diretta a mezzo posta, o da quella del<br />

perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario? E ancora, se l’istanza di trattazione<br />

in pubblica udienza viene presentata alla notifica nei dieci giorni liberi prima della<br />

data fissata, ma pervenga alla controparte costituita dopo questo termine, come debbono<br />

essere regolate le situazioni processuali delle parti ed i poteri della Commissione? E infine:<br />

quid iuris, se la notifica dell’atto è nulla? Il rischio della nullità ricade sul notificante o è ancora<br />

evitabile dal notificante stesso con una rinnovata notificazione? Trattasi di interrogativi<br />

ai quali non è facile rispondere. In ogni caso è da escludere possano essere fornite appaganti<br />

soluzioni attraverso la semplicistica via dei doppi momenti di perfezionamento della<br />

notificazione, per il soggetto istante e per il destinatario ».<br />

( 120 ) Emblematico appare al riguardo quanto affermato da Corte cost., 23 settembre<br />

1998, n. 346, cit.: « La funzione propria della notificazione è quella di portare l’atto a conoscenza<br />

del destinatario, al fine di consentire l’instaurazione del contraddittorio e l’effettivo<br />

esercizio del diritto di difesa. Compete naturalmente al legislatore, nel bilanciamento tra<br />

l’interesse del notificante e quello del notificatario, determinare i modi attraverso i quali tale<br />

scopo possa realizzarsi individuando altresì i rimedi per evitare che il diritto di agire in


SAGGI 817<br />

La tutela dell’interesse del mittente a non subire pregiudizio da attività<br />

che sfuggono al suo potere di impulso e controllo appare dover essere<br />

allora altrimenti perseguita.<br />

Al riguardo sembrano poter utilmente soccorrere gli istituti della rimessione<br />

in termini e della rinnovazione della notificazione. Il primo è<br />

istituto funzionalmente volto a rimuovere ex post le conseguenze pregiudizievoli<br />

conseguenti alla violazione di un termine dipendente da causa<br />

non imputabile a chi ne invoca la concessione ( 121 ), di cui andrebbe peraltro<br />

configurata una generalizzata applicabilità, sia in ambito processuale,<br />

con rimozione dei limiti attualmente previsti, che avuto riguardo ai<br />

rapporti sostanziali ( 122 ), ogniqualvolta l’onerato fornisca la prova di ave-<br />

giudizio del notificante sia paralizzato da circostanze personali – come ad esempio l’assenza<br />

dall’abitazione o dall’ufficio – riguardanti il destinatario della notificazione. I termini di tale<br />

bilanciamento di interessi possono naturalmente essere i più vari come emerge dalle soluzioni<br />

adottate in alcuni degli ordinamenti processuali europei a noi più vicini per cultura e<br />

tradizione. Ciò premesso non sembra in ogni caso potersi dubitare che la discrezionalità del<br />

legislatore incontri un limite nel fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad<br />

essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare<br />

ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura<br />

instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo<br />

ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli ».<br />

Per l’indicazione dell’esigenza di garantire al notificatario l’effettiva possibilità di una<br />

tempestiva conoscenza dell’atto notificato, e quindi del suo diritto di difesa, quale « limite<br />

inderogabile » alla discrezionalità del legislatore nella disciplina delle notificazioni v. anche<br />

Corte cost., 19 dicembre 2003, n. 360, cit.<br />

( 121 ) Cfr. Proto Pisani, in nota a Corte cost., 2 febbraio 1978, n. 10, in Foro it., 1978, I, c.<br />

550 ss., ivi alla c. 552 ss.; Carpi, op. loc. ultt. citt.; Carpi, Sub artt. 8, 9 e 10, in Carpi-Ciaccia<br />

Cavallari, op. cit., p. 373 ss, ivi alla p. 376 ss.<br />

( 122 ) Nello stesso senso v. Caponi, Le notificazioni a mezzo posta di nuovo al giudizio della<br />

Corte Costituzionale, in nota a Cass. (ord.), 19 maggio 2000, n. 453, in Foro it., 2000, c.<br />

2514 ss., ivi alla c. 2516; Caponi, in nota a Corte cost., 23 settembre 1998, n. 346, in Foro it.,<br />

1998, I, c. 2601 ss.; Caponi, La causa non imputabile alla parte nella disciplina della rimessione<br />

in termini del processo civile, in Foro it., 1988, I, c. 2658 ss.; Caponi, La rimessione in termini<br />

nel processo civile, Milano, 1996, c. 125 ss. e c. 284 ss. L’a. (Le notificazioni a mezzo posta<br />

di nuovo al giudizio della Corte Costituzionale, loc. cit.), nel sottolineare il profilo di garanzia<br />

costituzionale dell’effettività del contraddittorio che connota l’istituto della rimessione<br />

in termini trovante espressione in molteplici norme della legislazione ordinaria, ed in<br />

particolare in quelle di cui agli artt. 184-bis, 294, 650, 668 c.p.c., e nel rilevare come non esista<br />

peraltro « una norma di rimessione in termini che riguardi il potere d’impugnare (e gli<br />

altri poteri esterni allo svolgimento del giudizio) », perviene ad affermare, in termini del<br />

tutto condivisibili, che « L’introduzione di tale norma, costituzionalmente doverosa, consentirebbe<br />

di risolvere anche il problema sotteso » dal principio della scissione: « la notificazione<br />

continuerebbe a perfezionarsi al momento della ricezione dell’atto, ma al notifi-


818 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

re mantenuto una condotta conforme alla diligenza nel caso richiesta ( 123 ).<br />

Soluzione invero già accolta in ordinamenti vicini quale soluzione<br />

idonea a consentire di lasciare immutata la regola di una unica data di perfezionamento<br />

della notifica sia per il mittente che per il destinatario, tale<br />

individuando il momento della ricezione dell’atto da parte del destinatario,<br />

senza peraltro sacrificare i diritti del mittente, escludendo in particolare,<br />

in nome del principio di effettività della tutela giurisdizionale, che i ritardi<br />

postali possano essere imputati alla parte notificante, quest’ultimo essendo<br />

ammesso a beneficiare dell’istituto della rimessione in termini tutte<br />

le volte in cui, facendo affidamento su tempi normali di consegna del<br />

plico, non sia stato possibile proporre una impugnazione tempestiva ( 124 ).<br />

cante incorso in una decadenza sarebbe dato di dimostrare, per ottenere la rimessione in<br />

termini nel potere d’impugnare, che la decadenza è dovuta ad un ritardo postale a lui non<br />

imputabile »).<br />

Va al riguardo sottolineato quanto indicato da Cass., 13 gennaio 2005, n. 458: « l’avviso<br />

di ricevimento deve essere allegato all’atto notificato e la sua mancanza provoca la nullità<br />

della notificazione, che resta sanata dalla costituzione dell’intimato o dalla rinnovazione<br />

della notifica ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. ».<br />

In argomento v. ora le interessanti “aperture” al riguardo operate da Cass., sez. un., 4<br />

maggio 2006, n. 10126.<br />

( 123 ) Per la natura eccezionale del rimedio della remissione in termini v., per tutti, Caponi,<br />

La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 416.<br />

In ordine alla esclusione della configurabilità come provvedimento concessivo di una rimessione<br />

in termini della fissazione di un nuovo termine per la riassunzione del processo poco<br />

dopo la scadenza di quello semestrale di cui all’art. 305 c.p.c. v. Cass., 8 luglio 2005, n.<br />

14371, in Corriere giur., 2006, 677 n., con nota di Gasparini, Rimessione in termini e poteri esterni<br />

allo svolgimento del processo: le Sezioni Unite riconoscono la rilevanza dell’errore scusabile.<br />

Da ultimo, per l’ammissibilità della deroga al principio generale di improrogabilità dei<br />

termini perentori enunziato dall’art. 153 c.p.c., in caso di mancato rispetto del termine concesso<br />

ex art. 291 c.p.c. per un vizio implicante la nullità della notificazione stessa dipesa dal<br />

fatto che il notificante non era in condizioni di conoscere ed in concreto sottratto ai suoi<br />

poteri d’impulso v. Cass., 20 gennaio 2006, n. 1180.<br />

( 124 ) Con riferimento a tale soluzione adottata nell’ordinamento tedesco ove « la Corte<br />

costituzionale esclude, in nome del principio di effettività della tutela giurisdizionale, che i<br />

ritardi postali possano essere imputati alla parte notificante ed ammette quest’ultima a beneficiare<br />

dell’istituto della rimessione in termini tutte le volte in cui, facendo affidamento<br />

su tempi normali di consegna del plico, non sia stato possibile proporre una impugnazione<br />

tempestiva », v. Dalmotto, La giurisprudenza costituzionale come fonte dell’odierno sistema<br />

delle notificazioni a mezzo posta, cit., p. 230 ss., che si esprime in favore della configurazione<br />

dell’istituto della rimessione in termini quale rimedio generale restitutorio, operante<br />

non solo in relazione alle decadenze verificatesi all’interno di un grado del processo già<br />

pendente, come oggi previsto dall’art. 184-bis c.p.c. «ma anche ai fini dell’esercizio dell’azione<br />

nonché della proposizione delle impugnazioni e delle opposizioni ».


SAGGI 819<br />

L’esigenza dell’introduzione di siffatto rimedio con valenza generale si<br />

avverte anche con riferimento alle notifiche intracomunitarie, ed un suo<br />

inserimento nel Regolamento in sede di relativa modifica, ovvero da parte<br />

di altra fonte comunitaria, verrebbe anzi a positivamente riverberare<br />

anche all’interno dei singoli ordinamenti nazionali, e di quello italiano in<br />

particolare ( 125 ).<br />

La rinnovazione ( 126 ), da disporsi da parte del giudice che pronunzia<br />

la nullità (art. 162 c.p.c.), è, con particolare riferimento alla notificazione,<br />

nel codice di procedura civile prevista in ordine (solamente) alla citazione<br />

(art. 291) e all’atto di appello (art. 350) ( 127 ), per le ipotesi di nullità<br />

( 128 ) specificamente contemplate dall’art. 160 (inosservanza delle disposizioni<br />

circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia;<br />

incertezza assoluta sulla persona cui è fatta o sulla data) ovvero espressamente<br />

previste da altre disposizioni di legge, nonché in ragione del<br />

difetto di un requisito all’uopo essenziale, indipendentemente dalla cir-<br />

( 125 ) In argomento v. anche infra al § 19.<br />

( 126 ) Per una rassegna giurisprudenziale sui vari profili dell’istituto v. V. Carbone-<br />

Frangini-Spirito, Le notificazioni, Milano, 1997, p. 114 ss.<br />

( 127 ) V. Cass., 27 luglio 2001, n. 10278; Cass., 22 dicembre 1983, n. 7570; Cass., 23 aprile<br />

1983, n. 2804.<br />

( 128 ) Non anche, si specifica in giurisprudenza, in caso di inesistenza della notificazione:<br />

v. Cass., 28 luglio 2003, n. 11623: « L’ipotesi della inesistenza giuridica della notificazione ricorre<br />

quando quest’ultima manchi del tutto o sia effettuata in modo assolutamente non<br />

previsto dalla normativa, tale, cioè, da impedire che possa essere assunta nel modello legale<br />

della figura, mentre si ha mera nullità allorché la notificazione sia stata eseguita, nei confronti<br />

del destinatario, mediante consegna in luogo o a soggetto diversi da quelli stabiliti<br />

dalla legge, ma che abbiano pur sempre un qualche riferimento con il destinatario medesimo.<br />

Conseguentemente, la notificazione della impugnazione al procuratore domiciliatario<br />

nel precedente grado del giudizio ma nelle more cancellato dall’albo, in quanto eseguita<br />

nei confronti di persona collegabile al destinatario, è affetta non da giuridica inesistenza<br />

bensì da nullità sanabile ex tunc per effetto della sua rinnovazione, disposta ai sensi dell’art.<br />

291 cod. proc. civ. o eseguita spontaneamente dalla parte. (Nella specie la Suprema Corte<br />

ha disatteso l’eccezione di inammissibilità di un ricorso per cassazione notificato dopo la<br />

scadenza del termine utile per la proposizione del gravame alla parte personalmente ad<br />

opera del ricorrente che aveva di sua iniziativa rinnovato la notifica del ricorso già effettuata<br />

una prima volta, tempestivamente, presso il domicilio eletto ove il procuratore indicato,<br />

cancellatosi dall’albo dopo la conclusione del giudizio di secondo grado, si era ricevuto l’atto<br />

notificando) »; Cass., 17 dicembre 2003, n. 19333; Cass., 27 luglio 2001, n. 10278. V. anche,<br />

in tema di notificazione a mezzo posta ex art. 149 c.p.c. del ricorso per cassazione, per l’inesistenza<br />

della notificazione, con conseguente impossibilità di disporne la rinnovazione<br />

ex art. 291 c.p.c., in caso di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, Cass., 15 luglio<br />

2003, n. 11072.


820 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

costanza che la nullità sia addebitabile all’ufficiale giudiziario o alla stessa<br />

parte ( 129 ).<br />

Essa opera con efficacia ex tunc ( 130 ), e rimane sanata dalla costituzione<br />

del destinatario, risultando in tal caso comunque raggiunto lo scopo dell’atto,<br />

come all’uopo richiesto dall’art. 156 c.p.c. ( 131 ).<br />

Anche di tale istituto andrebbe peraltro configurata un’applicazione<br />

ampia e generalizzata, al di là degli odierni limiti oggettivi di applicazione.<br />

Nella sentenza n. 1729 del 1996, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione<br />

hanno in effetti incentrato l’attenzione esclusivamente sugli aspetti<br />

procedurali e sui riflessi processuali della notificazione di un atto, soffermandosi<br />

su ipotesi indicate come « casi limite » ( 132 ).<br />

Il principio della scissione è stato tuttavia in altre pronunzie dal giudice<br />

di legittimità ritenuto applicabile non solo in campo processuale ( 133 ),<br />

( 129 ) V. Cass., 7 febbraio 1966, n. 397. Con riferimento alla notifica dell’opposizione a<br />

decreto ingiuntivo tempestivamente consegnata all’ufficiale giudiziario ma non effettuata<br />

per mancato completamento della procedura notificatoria nella fase sottratta al potere d’impulso<br />

della parte, per la rinnovazione della notificazione secondo il modulo e nel termine<br />

previsto per l’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c. v. ora Cass., sez. un., 4 maggio<br />

2006, ???????<br />

( 130 ) V., da ultimo, Cass., 1° giugno 2004, n. 10495; Cass., 28 luglio 2003, n. 11623.<br />

( 131 ) V., da ultimo, Cass., 26 aprile 2004, n. 7891; Cass., 20 novembre 2003, n. 17599.<br />

Efficacia sanante della irregolare notificazione dell’atto è del pari riconosciuta alla rinnovazione<br />

cui la parte abbia spontaneamente provveduto senza attendere il provvedimento<br />

giudiziale: v., da ultimo, Cass., 14 maggio 2004, n. 9242.<br />

( 132 ) Ipotesi che pertanto ben possono rimanere invero confinate nel campo dell’eccezionalità.<br />

Per l’applicazione estensiva della rinnovazione della notificazione ex art. 291 c.p.c. v.<br />

invece Cass., 29 novembre 2004, n. 22470.<br />

( 133 ) V. Cass., 22 maggio 2003, n. 8099, Cass., 25 giugno 2003, n. 10087, Cass., 3 luglio<br />

2003, n. 10491, in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 45 ss., con nota di Glendi, Primi approcci alla<br />

sentenza n. 477/2002 della Corte Costituzionale da parte della sezione tributaria della Corte<br />

di Cassazione in tema di « notificazioni », che hanno applicato il principio della scissione ai<br />

ricorsi per cassazione effettuati a mezzo posta con spedizione del relativo plico entro il termine<br />

(breve o lungo) d’impugnazione e con ricevimento del plico stesso da parte del destinatario<br />

oltre detti termini.<br />

Contra v. peraltro Cass., 15 luglio 2003, n. 11072: « La notifica a mezzo del servizio postale<br />

non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo<br />

plico al destinatario e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 cod. proc. civ. è il<br />

solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna, sia la data di essa, sia l’identità<br />

della persona a mani della quale è stata eseguita; ne consegue che, ove tale mezzo sia<br />

stato adottato per la notifica del ricorso per cassazione, la mancata produzione dell’avviso<br />

di ricevimento comporta non la mera nullità, bensì l’inesistenza della notificazione (della<br />

quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc.


SAGGI 821<br />

ma con riferimento « ad ogni tipo di notificazione » ( 134 ), con estensione<br />

anche ai rapporti sostanziali ( 135 ).<br />

Tale estensione desta tuttavia perplessità ( 136 ).<br />

Con riferimento agli atti di natura sostanziale, l’operatività del principio<br />

della scissione appare infatti di difficile contemperamento quantomeno<br />

con la disciplina degli atti recettizi, i quali producono effetto dal momento<br />

del loro pervenimento al destinatario ( 137 ).<br />

civ.) e l’inammissibilità del ricorso medesimo. A tale conclusione non osta la sentenza della<br />

Corte costituzionale n. 477 del 2002 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale<br />

del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e dell’art. 4, terzo comma, della<br />

legge 20 novembre 1982, n. 890, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona,<br />

per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella,<br />

antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario –, atteso che detta decisione presuppone<br />

l’avvenuto accertamento della sussistenza della notificazione »; Cass., 5 agosto<br />

2002, n. 11700. V. anche Cass., 18 luglio 2003, n. 11257; Cass., 18 marzo 2004, n. 5481.<br />

( 134 ) V. Cass. (ord.), 24 giugno 2003, n. 10040, in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 46 ss., con<br />

nota di Glendi; Cass., 3 luglio 2003, n. 10481, in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 53 ss., con nota<br />

di Glendi, ove il principio della scissione risulta applicato alla trasmissione diretta (e<br />

non già tramite ufficiale giudiziario) per posta ad opera della parte di ricorso alla Commissione<br />

tributaria.<br />

( 135 ) V. Cass., 26 ottobre 1999, n. 12025; Cass., 3 luglio 2003, n. 10476, in GT – Riv. giur.<br />

trib., 2004, p. 52 ss. con nota di Glendi e in Boll. trib. inf., 2004, 593 n.; Cass., 1 settembre<br />

2004, n. 17625, in Dir. e pratica soc., 2005, 76 n., con nota di Cardamellis, Tasso di concessione<br />

governativa: decorrenza dei termini per il rimborso; Cass., 7 luglio 2004, n. 12447.<br />

( 136 ) Contra v. peraltro Glendi, Primi approcci alla sentenza n. 477/2002 della Corte Costituzionale<br />

da parte della sezione tributaria della Corte di Cassazione in tema di « notificazioni<br />

», in nota a Cass., 22 maggio 2003, n. 8099, Cass., (ord.), 24 giugno 2003, n. 10040, Cass.,<br />

25 giugno 2003, n. 10087, Cass., 3 luglio 2003, n. 10476, Cass., 3 luglio 2003, n. 10481, Cass.,<br />

3 luglio 2003, n. 10491, in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 57 ss, il quale ritiene tale estensione<br />

viceversa non sorprendente e anzi « del tutto giustificata », sostenendo che « la problematica<br />

dello hiatus temporale tra consegna dell’atto e ricevimento dell’atto stesso nelle notificazioni<br />

(e comunicazioni) di atti non si pone in termini diversi per gli atti giudiziari, o processuali<br />

in genere, da un lato, e atti non giudiziari e/o sostanziali, dall’altro. Si pone in termini<br />

assolutamente identici anche per gli atti sostanziali a rilevanza civilistica (si pensi alle<br />

disdette, diffide, opzioni, prelazioni, e quant’altro) e per gli atti sostanziali a rilevanza amministrativa<br />

o tributaristica in specie (provvedimenti, avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione,<br />

cartelle di pagamento, opzioni, invio di questionari, comunicazioni di variazione<br />

dati, istanze di rimborso, ecc.) . . . Non v’è alcun plausibile motivo per non fare pure qui applicazione<br />

del principio affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza di cui trattasi<br />

mettendo il notificante al riparo da prescrizioni, decadenze, preclusioni, sempre che, beninteso,<br />

gli atti vengano comunque notificati o comunicati al destinatario »; Garufi, Notificazione:<br />

la scissione degli effetti è principio generale per l’ordinamento, in Dir. e giust., 2004,<br />

fasc. 6, p. 70 ss.<br />

( 137 ) V. Bianca, Diritto civile, 3, Milano, 2000, p. 217, il quale (ivi alla p. 220 ss., e p. 209


822 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

A fronte di tale rilevanza esclusiva del momento della ricezione dell’atto<br />

da parte del destinatario non si coglie invero il significato da riconoscersi<br />

alla considerazione quale data di perfezionamento della notificazione<br />

o comunicazione per il mittente dell’atto della diversa ed anteriore data<br />

della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o della spedizione.<br />

Non sembra infatti possibile dare ingresso a soluzioni in base alle quali<br />

debba considerarsi ad esempio al contempo avvenuta la cessione del<br />

contratto o del credito per il cedente e non anche per il ceduto; integrata<br />

la mora (del debitore) per il creditore e viceversa ancora sussistente una<br />

situazione di semplice ritardo per il debitore; violato il termine essenziale<br />

per il creditore ed essere l’atto o l’attività viceversa tempestivi per il debitore.<br />

Ancora, in caso di diffida volta ad interrompere l’usucapione ( 138 ), che<br />

la prescrizione acquisitiva possa considerarsi interrotta per il proprietariomittente<br />

e viceversa ancora in corso o addirittura compiuta per il possessore<br />

( 139 ).<br />

ss., ivi alla p. 210), precisa che per gli atti unilaterali recettizi a destinatario determinato la<br />

relativa comunicazione viene a porsi quale elemento che ne integra la emissione, osservando<br />

che a tale stregua deve essere spiegata la massima giurisprudenziale secondo cui « In tema<br />

di dichiarazioni unilaterali recettizie (come la proposta e l’accettazione ex art. 1326 c.c.), a<br />

soddisfare il requisito della recettizietà non è sufficiente che la dichiarazione sia percepita<br />

da altri soggetti, bensì occorre che essa sia portata a conoscenza da soggetti determinati, destinatari<br />

della medesima, e ciò con modalità ed attività da reputare idonee, in assenza di<br />

prescrizione legislativa, quando la dichiarazione sia trasmessa all’indirizzo del destinatario<br />

e le modalità ed attività impiegate siano tali da dimostrare la volontà del dichiarante di portare<br />

la dichiarazione a conoscenza del destinatario per gli effetti propri che, nei suoi confronti,<br />

la stessa è destinata a produrre »: così Cass., sez. un., 5 novembre 1981, n. 5823, in<br />

Giur. it., 1983, I, 1, c. 1734 ss., con nota di Costanza, Volontarietà della trasmissione e degli<br />

effetti.<br />

Per la tesi secondo cui negli atti unilaterali recettizi a destinatario determinato la ricezione<br />

contribuisce alla perfezione della dichiarazione v. Ravazzoni, La formazione del contratto,<br />

vol. I, Milano, 1966, p. 331 ss.<br />

Contra v. peraltro Giampiccolo, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 138.<br />

( 138 ) V. Cass., 13 marzo 1964, n. 539, in Giur. agr. it., 1964, II, p. 691, con nota di Colasurdo,<br />

Sulle cause di interruzione della usucapione e in Riv. dir. lav., 1964, II, p. 88.<br />

Irrilevante, ai fini del discorso sviluppato nel testo, è la circostanza che la giurisprudenza<br />

– con orientamento invero non condivisibile – da tempo non ritiene più la diffida e<br />

la messa in mora quali idonei atti interruttivi della prescizione acquisitiva: da ultimo v.<br />

Cass., 19 giugno 2003, n. 9845.<br />

( 139 ) Nel senso che in tema di usucapione non è il possessore, sia che agisca come attore<br />

o che resista come convenuto, tenuto a dimostrare la continuità del possesso ma è onere<br />

della controparte che neghi essersi verificata l’usucapione provarne l’intervenuta interru-


SAGGI 823<br />

Al riguardo si è in dottrina proposto di distinguere tra termini sostanziali<br />

di decadenza ( 140 ) e termini di prescrizione, soggetti ad una diversa disciplina<br />

( 141 ), ritenendosi « particolarmente arduo » introdurre una « discriminazione<br />

» tra « prescrizione e decadenza » e tra « decadenza di ordine<br />

processuale e decadenza di ordine sostanziale », concludendosi che per<br />

l’interruzione di un termine, sia esso di decadenza o di prescrizione, a<br />

mezzo di « atto giudiziario » ( 142 ) deve considerarsi valere il principio della<br />

scissione, « salvo che una norma non disponga diversamente » ( 143 ).<br />

Ne consegue, peraltro, che lo stesso regime posto dall’art. 1334 c.c.<br />

verrebbe a tale stregua a risultarne modificato ( 144 ).<br />

zione, vigendo la presunzione posta dall’art. 1142 c.c. della continuità del possesso che determina<br />

un’inversione dell’onere della prova v. Cass., 25 settembre 2002, n. 13921, in Giust.<br />

civ., 2003, I, p. 43 ss.<br />

( 140 ) Quali, ad esempio, quelli previsti dall’art. 244, 2° comma, c.c., per la proposizione<br />

dell’azione di disconoscimento della paternità da parte del marito; dell’art. 802 c.c., in tema di<br />

revoca della donazione; dall’art. 2378 c.c., per l’impugnazione della delibera assembleare.<br />

( 141 ) V. Conte, op. cit., p. 27, ivi alla p. 28, il quale segnala che vi sono atti impeditivi della<br />

decadenza a forma libera, come ad es. quelli concernenti i cd. vizi edilizi di cui agli artt.<br />

1495 e 1667 c.c., e le prescrizioni che possono essere interrotte solamente con atto giudiziale,<br />

come ad es. l’interruzione della prescrizione dell’azione revocatoria fallimentare (al cui<br />

riguardo v. Cass., 19 luglio 1996, n. 6497, in Fallimento, 1997, p. 153; Cass., sez. un., 13 giugno<br />

1996, n. 5443, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 904).<br />

In tema di rinnovazione della notificazione nulla della citazione ex art. 291 c.p.c., v., in<br />

giurisprudenza, Cass., 14 agosto 1997, n. 7617, in Giust. civ., 1998, I, p. 1108 ss., con nota di<br />

Pula, Sulla portata della retroattività prevista dall’art. 291 cod. proc. civ. e in Guida al dir.,<br />

1997, fasc. 38, p. 34 ss., con nota di Fiorini, Un’interpretazione restrittiva del codice che sana<br />

solo le ipotesi di decadenza.<br />

( 142 ) Per l’affermazione della « innegabile connessione » tra « effetto interruttivo » e<br />

« natura recettizia dell’atto »posto a dalla norma di cui all’art. 2943, 1° comma, c.p.c. nel<br />

« sancire espressamente che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto introduttivo<br />

del giudizio », sicché anche con riferimento all’atto di citazione la « la mancata introduzione,<br />

nella sfera giuridica del destinatario, dell’atto di notifica nullo non consentirà<br />

in alcun modo a quest’ultimo di risultare funzionale alla produzione dell’effetto retroattivo<br />

citato, a nulla rilevando la (apparentemente contraria) disposizione di cui all’art. 291, 1°<br />

comma, cod. proc. civ., la quale, stabilendo che « la rinnovazione della citazione nulla impedisce<br />

ogni decadenza », ha, evidentemente, riguardo ad un istituto ben diverso, per natura<br />

e funzione, rispetto a quello della prescrizione », v. Cass., 14 giugno 1997, n. 7617, cit.<br />

( 143 ) In tali termini v. Conte, op. loc. ultt. citt.<br />

( 144 ) Al riguardo, si noti, il medesimo Conte, op. loc. ultt. citt. avverte invero tale difficoltà,<br />

salvo osservare che «. . . tuttavia la stessa legge talvolta riconduce gli effetti di una comunicazione<br />

al termine entro cui essa è stata fatta, indipendentemente dalla ricezione (è il<br />

caso per esempio della denuncia per vizi della res venduta), mentre per altri termini si ha riguardo<br />

al momento in cui la comunicazione deve pervenire al destinatario (si pensi per<br />

esempio, al termine di cinque giorni previsto dall’art. 7 della l. 300 del 1970) ».


824 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Nel prendere atto che la Corte Costituzionale in sede di declaratoria di<br />

incostituzionalità dell’art. 149 c.p.c. ( 145 ) si è limitata a fare riferimento alla<br />

notificazione di soli atti processuali, e nel convenire che atti di natura<br />

sostanziale come proposta, accettazione e revoca dell’accettazione non risultano<br />

interessati da tale pronunzia ( 146 ), dubbi vengono peraltro altrimenti<br />

palesati in ordine ad atti per i quali è difficile stabilire l’attinenza o<br />

meno ad un processo, e quindi la relativa natura giudiziaria od extragiudiziale<br />

(come, ad es., la licenza per finita locazione con contestuale citazione<br />

per la convalida contenente la disdetta ai sensi dell’art. 1596, comma<br />

2°, c.c.) ( 147 ).<br />

12. – L’adozione del principio della scissione da parte del Regolamento<br />

solleva ora, con riferimento alla notificazione o comunicazione intracomunitaria,<br />

perplessità analoghe a quelle avvertite per la notificazione<br />

« interna » ( 148 ).<br />

( 145 ) V. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, cit.<br />

( 146 ) V. Conte, op. loc. ultt. citt.: « In tali casi la norma è chiara e non si potrà ritenere<br />

che il contratto si sia perfezionato con la consegna all’ufficiale giudiziario di un atto di accettazione<br />

di una proposta, sia perché trattasi di un atto non processuale, sia perché la norma<br />

è chiara nell’affermare che il momento conclusivo del contratto è quello in cui il proponente<br />

ha conoscenza dell’accettazione. Mutatis mutandis ciò vale per la revoca dell’accettazione<br />

ai sensi dell’art. 1328, comma 2°, c.c. ».<br />

Contra, per l’applicabilità della « nuova regola » della scissione soggettiva del momento<br />

perfezionativo del procedimento notificatorio anche agli atti stragiudiziali, in quanto « il 2°<br />

comma dell’art. 107 del d.p.r. 15 dicembre 1959, n. 1229, sull’ordinamento degli ufficiali giudiziari,<br />

attribuisce a questi ultimi il potere di notificare a mezzo posta, senza limitazioni territoriali,<br />

gli atti stragiudiziali, e che la disciplina delle notificazioni a mezzo del servizio postale<br />

di cui alla legge n. 890 del 1982, pur formalmente riferita alla notificazione dei soli atti<br />

giudiziari, può applicarsi e viene in pratica utilizzata pure al di fuori della materia processuale<br />

», v. Dalmotto, op. cit., p. 1555, nota 28.<br />

( 147 ) V. Conte, op. loc. ultt. citt., il quale, nel concludere che la disdetta per operare deve<br />

necessariamente pervenire al destinatario, fa altresì l’esempio dell’atto di citazione « con cui<br />

convengo Tizio in giudizio per ottenere il pagamento di una somma », osservando che trattasi<br />

di « un atto giudiziario che produce, alla stregua di una raccomandata, l’interruzione di<br />

termini di prescrizione », e che sarebbe « difficile sostenere che quell’atto di citazione, consegnato<br />

tempestivamente all’ufficiale giudiziario, ma notificato tardivamente alla controparte,<br />

non abbia comunque prodotto l’interruzione della prescrizione per il fatto che questo tipo<br />

di interruzione non doveva necessariamente esercitarsi con un atto giudiziario ».<br />

( 148 ) Non va invero tralasciato di considerare altresì l’ulteriore problematica concernente<br />

l’individuazione del momento che in effetti segna per il mittente il perfezionamento della<br />

notifica. Nell’ordinamento italiano la Corte Costituzionale, nell’accogliere in termini generali<br />

per ogni tipo di notificazione il principio della scissione, ha invero individuato, con rife-


SAGGI 825<br />

Perplessità che trovano sintomatico riscontro nelle posizioni assunte<br />

dagli Stati membri, che hanno pressoché generalmente dichiarato di non<br />

voler fare applicazione del sistema emergente dalla complessiva disciplina<br />

dell’art. 9 Reg. nella sua integralità ( 149 ).<br />

In ragione della ravvisata incongruenza della soluzione adottata, ed<br />

argomentando dal rilievo che « l’interpretazione dell’art. 9 quale tradizionale<br />

norma di conflitto. . . non solo non garantisce tale risultato, ma può<br />

addirittura condurre ad una dissociazione degli effetti dannosa per entrambe<br />

le parti e, pertanto, inspiegabile: si pensi al caso in cui la lex loci<br />

executionis sia quella di uno Stato che ammette la signification au parquet,<br />

che grava il destinatario di una presunzione di conoscenza, mentre la lex<br />

rimento al notificante, tale momento in quello della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario<br />

(V. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, cit.), anteriore quindi a quello della spedizione<br />

(per il quale v. Cass., 2 febbraio 2002, n. 1390, in Giur. it., 2003, p. 1549 ss., con nota<br />

di Dalmotto, La Corte manipola la norma sul perfezionamento della notifica postale: vecchie<br />

alternative e nuovi problemi); mentre per il destinatario si è indicato rimanere ferma al<br />

riguardo la rilevanza della data di ricezione del plico (V. Corte cost., 26 novembre 2002, n.<br />

477, cit.).<br />

In tema di notificazione all’estero, l’individuazione del momento di perfezionamento<br />

risulta ulteriormente complicato dalla possibilità di farsi al riguardo altresì riferimento alla<br />

consegna dell’atto all’organo mittente dello Stato a quo (o comunque al primo pubblico ufficiale<br />

della catena notificatoria) o in quello del pervenimento dell’atto all’organo ricevente<br />

dello Stato ove la notificazione o comunicazione deve essere effettuata (Stato ad quem); ovvero,<br />

ancora, con il compimento delle formalità prescritte incombenti anche all’organo preposti<br />

alla notificazione dello Stato richiesto. Con riferimento alla Convenzione dell’Aja del<br />

1965 cfr. Ciaccia Cavallari, op. cit., p. 333 ss., ivi alla p. 336 ss.<br />

( 149 ) Emblematico appare al riguardo quanto dedotto dalla Francia a motivazione della<br />

propria deroga all’applicazione del comma 2° dell’art. 9 Reg, laddove, nell’indicarsi « la data<br />

della notificazione o comunicazione » come quella valevole per il « richiedente », si indica<br />

tale soluzione valida « non solo per gli atti che intervengono nell’ambito di un procedimento,<br />

ma anche per gli atti extragiudiziali » a cura di un ufficiale giudiziario, richiesti per<br />

l’appunto dalla legge per stabilire con certezza la data di rilascio, da cui dipende la salvaguardia<br />

o l’esercizio di un diritto. Ciò vale in particolare per alcuni atti in materia di affitto<br />

di spazi commerciali (disdetta, rinnovo dell’affitto, cambiamento di destinazione) o di fondi<br />

rustici (disdetta, diritto di subentro, diritto di prelazione), nonché in materia di garanzie<br />

o di provvedimenti esecutivi (pignoramento o espulsione). Alla data di un atto per il cui rilascio<br />

la legge non fissi un termine preciso, possono inoltre essere connessi effetti giuridici,<br />

che si tratti di un atto giudiziario – per esempio nel caso della data di notificazione di una<br />

sentenza che è il termine a quo per eventuali ricorsi-o di un atto extragiudiziale – come<br />

un’ingiunzione di pagamento che può interrompere una prescrizione o far scattare interessi<br />

di mora. In casi del genere, nell’intento di garantire la certezza del diritto, è opportuno<br />

che il richiedente possa conoscere senza indugio e con sicurezza la data di rilascio dell’atto<br />

»: v. Comunicazioni degli Stati membri, cit., p. 7 (sub art. 9).


826 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

loci iudicii sia fondata sul principio della notificazione personale, che<br />

espone il notificante agli inconvenienti della prova della conoscenza effettiva<br />

», sicché « l’intepretazione riferita è insostenibile », si è da alcuni in<br />

dottrina proposta la lettura dell’art. 9 quale norma « materiale », che « pone<br />

direttamente una nozione “comunitaria” di notificazione internazionale<br />

comprensiva delle tre fasi di cui consta il procedimento e, pertanto, perfezionantesi<br />

al compimento di quest’ultima », nozione che verrebbe a sostituire<br />

« quelle degli Stati membri » ed a rendere « inoperanti, in linea di<br />

principio, i sistemi di signification au parquet » ( 150 ).<br />

La condivisibilità delle perplessità che fondano tali considerazioni non<br />

consente di considerare peraltro fondata tale interpretazione alternativa<br />

dell’art. 9 in questione, giacché, oltre a non trovare rispondenza nei lavori<br />

preparatori, dai quali si evince invero che la soluzione adottata dal regolamento<br />

è frutto di compromesso, essendo anche in tale occasione (come<br />

già al tempo della Convenzione dell’Aja del 1965) fallito il tentativo di<br />

pervenire a determinare un unico momento di perfezionamento della notificazione<br />

o comunicazione con valore generale, essa risulta in effetti prescindere<br />

dal relativo tenore testuale, in base al quale ai fini dell’individuazione<br />

della « data della notificazione o della comunicazione » vengono in<br />

applicazione la « legge dello Stato membro richiesto » (comma 1°) e la<br />

« legge » dello « Stato membro mittente » (comma 2°).<br />

Va in argomento piuttosto evidenziato che all’applicazione della norma<br />

in questione non si sottraggono nemmeno gli atti sostanziali, cui la disciplina<br />

regolamentare è espressamente estesa (art. 16 Reg.).<br />

È altresì da ribadirsi l’inidoneità del principio della scissione a valere<br />

quale regola generale, potendo assumere semmai rilievo in termini di mera<br />

eccezione ( 151 ).<br />

( 150 ) Così Carella, op. cit., p. 141 ss., ivi alla p. 142.<br />

( 151 ) La disciplina del Regolamento si applica anche alla notificazione e comunicazione<br />

dei documenti introduttivi del giudizio proposto in base al Regolamento (CE) n. 2201 del<br />

2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 ( cd. Bruxelles II bis ) relativo alla competenza, al<br />

riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materie di responsabilità<br />

genitoriale, che abroga il Regolamento (CE) n. 1347 del 2000 (in G.U.C.E., L<br />

338/1, 23 dicembre 2003): v. Considerando n. 15. Al riguardo, nel senso che le norme in tema<br />

di notificazione del Regolamento n. 1348 del 2000 sono da intendersi come « esclusivamente<br />

rivolte al giudice del processo che rimane l’unico legittimato ad applicarne le norme<br />

in quel processo », mentre le disposizioni di cui al Regolamento n. 44 del 2001 « ai fini della<br />

determinazione delle conseguenze della eventuale litispendenza o della connessione con<br />

il primo, andrà preso in considerazione dal giudice del primo processo », v. Frigo, Problemi<br />

applicativi della normativa comunitaria in materia di notificazioni di atti giudiziari, in Riv. dir.<br />

int. priv. e proc., 2006, 21.


SAGGI 827<br />

13. – Il Regolamento non impone un’unica modalità di trasmissione<br />

degli atti.<br />

Accanto al sistema principale delineato agli articoli da 2 a 10, risultano<br />

altresì indicati: a) la notificazione o comunicazione per via consolare o diplomatica<br />

(artt. 12 e 13); b) la notifica o comunicazione postale diretta (art.<br />

14); c) la domanda diretta di notificazione o comunicazione (art. 15); d) l’adozione<br />

di un particolare mezzo di notificazione o comunicazione [ ( art.<br />

11, comma 2°, lett. b)].<br />

Trattasi di sistemi alternativi ( 152 ) o sussidiari ( 153 ), soggetti ad opposizione<br />

assoluta ( 154 )o relativa ( 155 ) o a condizioni ( 156 ) da parte degli Stati.<br />

Di assoluto rilievo appare quanto la stessa Corte CE, 8 novembre 2005, C-443/03, Leppler,<br />

in Riv. dir. int. priv. e proc., 2006n 252 n., ha avuto recentemente modo di affermare al<br />

riguardo: « La data di una notificazione o comunicazione può essere importante per il richiedente,<br />

ad esempio, allorché l’atto notificato è un ricorso da presentarsi entro un termine<br />

perentorio o è diretto ad interrompere una prescrizione . . . il richiedente deve poter fornire,<br />

quanto alla data dell’effetto della notificazione o comunicazione iniziale . . . Tuttavia,<br />

la data di una notificazione o comunicazione può essere importante anche per il destinatario,<br />

in particolare qualora costituisca il diis a quo del termine per proporre un ricorso o predisporre<br />

una difesa. Una tutela effettiva del destinatario dell’atto induce a prendere in considerazione,<br />

nei suoi confronti, unicamente la data in cui ha potuto non soltanto prendere<br />

conoscenza dell’atto notificato o comunicato ma anche comprenderlo, vale a dire la data in<br />

cui ne ha ricevuto la traduzione ».<br />

Di rilevante portata appare anche la nuova formulazione dell’art. 9 recato dalla Proposta<br />

di Regolamento di modifica del Regolamento n. 1348 che, nel prevedere l’abrogazione<br />

della possibilità di deroga di cui al vigente 3° comma, e nel sancire che « la data della notificazione<br />

o comunicazione di un atto è quella alla quale l’atto è stato notificato o comunicato<br />

in conformità della legislazione dello Stato membro richiesto », viene formalmente ad<br />

accogliere quale regola generale un’unica data di perfezionamento, optando per la tutela<br />

del destinatario, relegando ad eccezione l’ipotesi in cui, per salvaguardare i diritti del richiedente,<br />

che può avere interesse ad agire entro un dato termine o una determinata data,<br />

è al medesimo consentito di scegliere di prendere in considerazione la data fissata dalla legislazione<br />

del proprio Stato.<br />

Trattasi di soluzione che muove dalle difficoltà incontrate dagli Stati membri che non<br />

conoscono il regime della doppia data di perfezionamento della notificazione o comunicazione,<br />

con conseguente limitazione della possibilità di farsi luogo alla deroga solamente per<br />

gli Stati membri la cui legislazione tale regime viceversa prevede.<br />

In ordine all’operatività del principio della scissione v. anche infra al § 18.<br />

( 152 ) La notificazione per posta; la notifica diretta e senza coercizione da parte di agenti<br />

diplomatici o consolari, ex art. 13; la notifica diretta attraverso i soggetti competenti dello<br />

Stato membro richiesto, ex art. 15; l’adozione di un particolare mezzo di notificazione.<br />

( 153 ) La trasmissione cd. indiretta per via consolare o diplomatica.<br />

( 154 ) La domanda diretta di notificazione o comunicazione ex art. 15.<br />

( 155 ) La notificazione o comunicazione diretta e senza coercizione da parte di agenti di-


828 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

La notificazione o comunicazione per via consolare o diplomatica cd.<br />

indiretta costituiva la modalità principale di trasmissione degli atti all’estero<br />

prevista dalle Convenzioni dell’Aja del 1905 e del 1954, nonché dalla<br />

Convenzione dell’Aja del 1965 (artt. 8 e 9) ( 157 ).<br />

Diversamente, in particolare, da quest’ultimo strumento pattizio, il<br />

Regolamento limita ora la possibilità di fare ricorso ad entrambe le ipotesi<br />

considerate (e non solamente alla notificazione per via diplomatica) alla<br />

sussistenza di « circostanze eccezionali » ( 158 ). A conferma dell’accentuata<br />

sussidiarietà e residualità di tale tipo di trasmissione, costituente<br />

emblematica espressione dei principi di sovranità statale e di territorialità<br />

della giurisdizione, alla stregua della mutata concezione dei rapporti di<br />

cooperazione giudiziaria e giuridica tra gli Stati evocata dall’attuale prospettiva<br />

della costruzione di uno « spazio comune » e di una concezione in<br />

termini di « unità territoriale » degli Stati membri dell’U.E. ( 159 ).<br />

La richiesta di trasmissione di atti agli organi riceventi ex art. 2 Reg.,<br />

ovvero di informazioni o richiesta di intervento rivolta all’Autorità centrale<br />

ai sensi dell’art. 3 Reg., può essere quindi proposta da agenti consolari<br />

o diplomatici ( 160 ).<br />

plomatici o consolari ai cittadini che non siano dello Stato membro richiedente; la notifica<br />

postale diretta priva delle condizioni richieste.<br />

( 156 ) Come la sussistenza di limiti di compatibilità ed esperibilità di fatto (con riferimento<br />

ad es. alle trasmissioni per via informatica o telematica), o la sopportazione delle<br />

spese (come ad es. con riferimento alla notificazione o comunicazione da effettuarsi con<br />

particolari mezzi).<br />

( 157 ) Oltre che in numerosi altri strumenti convenzionali: Frigo, op. ult. cit., p. 79.<br />

( 158 ) Le « circostanze eccezionali » che legittimano il ricorso a tale modalità di notificazione<br />

o comunicazione sono nella Relazione esplicativa alla Convenzione del 1997 indicate<br />

nei « casi di estrema difficoltà, come quelli menzionati a proposito dell’articolo 3, lettera<br />

c), per esempio situazioni sociali o climatiche che rendono impossibile qualsiasi inoltro<br />

degli atti da uno stato membro all’altro con mezzi diversi »: v. Relazione esplicativa, cit. C<br />

261/34 ss.<br />

( 159 ) Per la progressiva emarginazione delle notificazioni per via consolare e diplomatica<br />

cfr. Ronco, op. cit., p. 412 ss.<br />

( 160 ) La disciplina posta dal Regolamento si discosta invero dalla prassi in base alla quale<br />

la richiesta è fatta pervenire, a cura dagli agenti diplomatici al Ministero degli Affari esteri<br />

dello Stato mittente (a quo), al Ministero degli Affari esteri dello Stato richiesto (ad<br />

quem), e dagli agenti diplomatici di quest’ultimo inoltrata – tramite il Ministero della Giustizia<br />

– agli organi competenti per la notifica. In argomento v. Panzarola, op. cit., p. 1191,<br />

nota 128; Frigo, op. ult. cit., p. 256; Costantino-Saravalle, Il regime della notificazione all’estero<br />

secondo la Convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965, in Riv. dir. int. priv. proc., 1984,<br />

p. 466; Ronco, op. cit., p. 412 ss.


SAGGI 829<br />

Anziché provvedere all’invio agli organi riceventi dello Stato richiesto<br />

(ad quem) (art. 12), lo Stato membro mittente (a quo) può far procedere<br />

alla notificazione o comunicazione dell’atto direttamente i propri agenti diplomatici<br />

o consolari che si trovano ed operano nello Stato ove deve essere<br />

effettuata la notifica (ad quem), omettendo pertanto l’intervento degli<br />

organi competenti di quest’ultimo.<br />

In tal caso la notifica deve avvenire, secondo tradizione nei rapporti<br />

internazionali, « senza coercizione », non potendo considerarsi pertanto<br />

effettuata, e quindi valida ed efficace, in caso di rifiuto del destinatario di<br />

ricevere l’atto ( 161 ).<br />

Quanto alle modalità di esecuzione, con riferimento alla Convenzione<br />

dell’Aja del 1965 la necessità di avere riguardo alla legge dello Stato richiedente<br />

(a quo) ( 162 ).<br />

Trattandosi di funzione espletata nel proprio territorio, lo Stato ad<br />

quem può tuttavia opporsi a tale facoltà laddove il destinatario della notificazione<br />

o comunicazione sia un proprio cittadino o comunque un cittadino<br />

non appartenente allo Stato a quo. L’autorità consolare ha in tal caso<br />

facoltà di effettuare notificazioni o comunicazioni solamente a cittadini<br />

del proprio Stato di origine (ad es., la Francia può opporsi a che l’Italia<br />

provveda a mezzo dei propri agenti consolari o diplomatici a notificare<br />

o comunicare atti in Francia a cittadini francesi, o comunque non ita-<br />

( 161 ) In argomento v. Ronco, op. cit., p. 412 ss., ivi alla p. 413.<br />

( 162 ) V. Frigo, op. loc. ultt. citt.; Costantino-Saravalle, op. cit., p. 464; Panzarola, op.<br />

cit., p. 1192, nota 133.<br />

Per l’Italia trovano applicazione gli artt. 30 e 75 della legge consolare (d.p.r. 5 gennaio<br />

1967, n. 200): Art. 30: l’« autorità consolare provvede direttamente o tramite le autorità locali,<br />

in conformità alle convenzioni internazionali ed alle leggi dello Stato di residenza, alla<br />

notificazione degli atti ad essa rimessi a norma delle vigenti disposizioni »; Art. 75: « qualora<br />

l’ufficio consolare che debba provvedere a notificazioni venga a conoscenza che l’interessato<br />

si trova nella circoscrizione di altro ufficio, rimette gli atti a quest’ultimo per competenza,<br />

avvertendone l’autorità delegante o il ministero degli affari esteri ». In argomento<br />

v. Politi, La Convenzione dell’Aja del 1965 sulle notificazioni civili all’estero e le notifiche a<br />

cura dei consoli italiani, in Riv. dir. int. priv. proc., 1983, p. 375 ss. Per una sintetica ricostruzione<br />

del procedimento v. altresì Panzarola, op. cit., p. 1192, nota 132: « gli ufficiali giudiziari,<br />

a richiesta dell’interessato, invieranno l’atto agli agenti consolari o diplomatici all’estero<br />

territorialmente competenti; se l’atto perviene ad un ufficio consolare territorialmente<br />

incompetente, quest’ultimo provvederà a rimetterlo all’ufficio nella cui circoscrizione si<br />

trova l’interessato, avvertendo l’autorità delegante o il Ministro degli affari esteri; gli agenti<br />

suddetti cureranno la notificazione, che avverrà a mente dell’art. 91 d.p.r. n. 2000 cit., mediante<br />

raccomandata con ricevuta di ritorno, ovvero, nel caso non sia possibile, con altro sistema<br />

di comunicazione ».


830 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

liani) ( 163 ), evidente emergendo, nel caso, il persistente retaggio dei già richiamati<br />

princìpi di sovranità statale e di territorialità della giurisdizione.<br />

L’Italia si è in effetti avvalsa della facoltà di opposizione al riguardo, dichiarandosi<br />

« contraria alle notifiche e/o comunicazioni dirette di atti giudiziari<br />

( 164 ) effettuate da agenti diplomatici o consolari alle persone che siano<br />

residenti in altro Stato membro (tranne che l’atto vada notificato o comunicato<br />

ad un cittadino italiano residente in altro Stato membro) ( 165 )»<br />

ovvero che « siano residenti in Italia, salvo che l’atto debba essere notificato<br />

o comunicato ad un cittadino di detto Stato membro » ( 166 ).<br />

Trattasi di opzione invero diversa da quella a suo tempo operata con<br />

riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1965, allorquando non risulta<br />

essere stata dall’Italia comunicata opposizione ai sensi dell’art. 8 di detto<br />

strumento patrizio ( 167 ).<br />

In base alla disciplina posta dal Regolamento, emerge dunque un quadro<br />

in base al quale:<br />

sul territorio di altro Stato membro, gli agenti diplomatici o consolari italiani<br />

possono procedere a notificare o comunicare direttamente: a) atti giudiziari,<br />

solo a cittadini italiani residenti nello Stato membro ad quem cui si<br />

applica il Regolamento; b) atti giudiziari ed extragiudiziali, a tutte le persone,<br />

anche non cittadini italiani, cui non si applica il Regolamento bensì la<br />

Convenzione dell’Aja del 1965 (ad es., Danimarca);<br />

in Italia, agenti diplomatici o consolari di altri Stati membri possono<br />

procedere a notificare o comunicare direttamente a) atti giudiziari (solamente<br />

a cittadini dello Stato membro a quo, se si tratta di Stato membro<br />

dell’U.E. cui si applica il Regolamento); b) atti giudiziari ed extragiudiziali,<br />

a tutte le persone residenti in Italia, se trattasi di Stati membri dell’U.E.<br />

cui non si applica il Regolamento bensì la Convenzione dell’Aja del 1965<br />

(ad es., Danimarca).<br />

( 163 ) In tal senso cfr. Giacalone, La lunga marcia dell’euronotifica rafforza la cooperazione<br />

giudiziaria, cit., p. 66.<br />

( 164 ) E non anche, quindi, degli atti extragiudiziali.<br />

( 165 ) Formulazione che non risulta invero ben chiara nella sua portata.<br />

( 166 ) V. Comunicazioni degli Stati membri, cit., p. 4. Oltre all’Italia, solamente il Belgio ed<br />

il Lussemburgo si sono opposti alla notifica consolare o diplomatica diretta ex art. 13, comma<br />

1°, Reg.: v. Comunicazioni degli stati membri, cit., p. 9 (sub art. 13).<br />

In Germania è consentita solo se indirizzata a cittadini dello Stato membro mittente (§<br />

1067 ZPO).<br />

In argomento v. Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 62; Frigo, Il regolamento comunitario<br />

sulle notificazioni in materia civile o commerciale, cit., p. 118 ss.<br />

( 167 ) Cfr. Panzarola, op. cit., p. 1192, nota 133.


SAGGI 831<br />

14. – L’art. 14 Reg. prevede la possibilità di farsi luogo alla notificazione<br />

o comunicazione di atti per via postale diretta.<br />

Gli organi mittenti dello Stato a quo (art. 2 Reg.) hanno facoltà di trasmettere<br />

l’atto anziché con l’invio all’organo ricevente (art. 2 Reg.) dello<br />

Stato membro ad quem, mediante spedizione per posta, con omissione<br />

cioè del tramite dell’organo ricevente e trasmissione effettuata mediante il<br />

diretto inoltro dall’organo mittente all’ufficio postale dello Stato membro<br />

nel quale deve avvenire la notifica o comunicazione.<br />

Si tratta di una modalità di trasmissione prevista anche dalla Conv. Aja<br />

del 1965 (art. 10, comma 1, lett. a), che, in ossequio al principio di sovranità,<br />

ammette tuttavia la facoltà per gli Stati di opporvisi in termini assoluti.<br />

La novità di maggior rilievo introdotta in tema dal Regolamento è allora<br />

da ravvisarsi nell’attribuzione agli Stati membri della possibilità di meramente<br />

« specificare le condizioni » alle quali essi accettano l’operatività della<br />

notificazione o comunicazione di atti a mezzo posta (art. 21 Reg.) ( 168 ).<br />

Le condizioni di cui fa menzione la norma attengono esclusivamente<br />

alle modalità di relativa effettuazione (invio per raccomandata, con traduzione<br />

degli atti, ecc.).<br />

Né la relativa mancata indicazione da parte degli Stati può comportare<br />

effetti paralizzanti in ordine alla possibilità di avvalersi di tale tipo di sistema<br />

notificatorio, costituendo oggetto di mera facoltà, il cui mancato<br />

esercizio ne comporta la incondizionata applicabilità nello Stato membro<br />

(a meno che esso non lo ignori in termini assoluti).<br />

L’Italia ha, per parte sua, posto al riguardo la condizione che l’atto sia<br />

accompagnato da traduzione in lingua italiana ( 169 ).<br />

Altri Paesi hanno diversamente indicato la necessità dell’invio in plico<br />

raccomandato (Grecia), con avviso di ricevimento (Germania, Belgio, Austria,<br />

Francia, Regno Unito, Spagna, Portogallo); che sia prepagato (Irlanda),<br />

e con traduzione (Germania, Austria, Regno Unito, Spagna, Portogallo);<br />

o che il ricevente abbia determinate qualità (Grecia) ( 170 ).<br />

( 168 ) Cfr. Frigo, op. ult. cit., p. 119; Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 80. Per il rilievo che<br />

nell’ipotesi in questione la compressione della sovranità dello Stato ad quem risulta peraltro<br />

meno accentuata rispetto alla notificazione consolare o diplomatica, in quanto interviene<br />

l’agente postale dello stesso Stato ad quem v. Ronco, op. cit., p. 412.<br />

( 169 ) V. Comunicazioni degli Stati membri, cit., p. 9 (sub art. 14).<br />

Anche la Germania richiede la traduzione in lingua tedesca, salvo che il destinatario sia<br />

cittadino dello Stato mittente, essendo in tal caso sufficiente che l’atto notificato sia redatto<br />

in una lingua ufficiale di quest’ultimo (§ 1068 ZPO).<br />

( 170 ) Solo la Svezia non ha invero posto alcuna condizione alla notificazione o comunicazione<br />

postale.


832 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Stante il tenore dell’art. 2 Reg. (« altre persone »), l’invio può essere effettuato<br />

anche da avvocati autorizzati (in Italia, ai sensi della L. 21 gennaio<br />

1994, n. 53) ( 171 ).<br />

Benché indubbiamente idonea ad una trasmissione rapida, la notificazione<br />

postale diretta presenta profili di rischio per il mittente, in quanto<br />

l’autorità postale straniera non è soggetta alle disposizioni della L. n. 890<br />

del 1982 (come modificata dalle sentenze Corte Cost., 22 settembre 1998,<br />

n. 436 e Corte Cost., 26 novembre 2002, n. 477), integrante la regola posta<br />

dall’art. 149 c.p.c., alla cui stregua il relativo perfezionamento e l’efficacia<br />

vanno apprezzati ( 172 ).<br />

Contrariamente a quanto si verifica in caso di notificazione cd. « interna<br />

», il rifiuto di ricevere il plico o di sottoscrivere l’avviso di ricevimento<br />

da parte del destinatario della notifica all’estero e la relativa « giacenza<br />

» (in caso di sua assenza di questi) presso l’ufficio postale non comportano<br />

alcun effetto utile ai fini della validità della notificazione, salvo<br />

( 171 ) Cfr. Ronco, op. cit., p. 414.<br />

Contra v. Panzarola, op. cit., p. 1192, nota 134; Dalmotto, in Aa.Vv., Trasmissione via<br />

fax e notificazione ad opera degli avvocati a cura di Chiarloni, Padova, 1998, p. 184 ss.<br />

( 172 ) Cfr., con specifico riferimento alla L. n. 890 del 1982 all’esito della pronunzia della<br />

Corte cost. n. 436 del 1998, Campeis-De Pauli, op. cit., p. 251.<br />

In ordine alle modifiche della disciplina della notificazione a mezzo posta introdotte<br />

dall’art. 2, comma 4, D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (c.d. decreto sulla competitività), conv. con<br />

modif. nella L. 14 maggio 2005, n. 80, con efficacia dal 17 marzo 2005, v. Marzocco, La<br />

nuova disciplina della notificazione a mezzo posta: nuovi spazi per un intervento della Corte<br />

costituzionale?, in Giur. it., 2006, 1564 n., il quale adombra dubbi sulla relativa legittimità<br />

costituzionale, ed in particolare con riferimento alla vigente formulazione del 2° comma<br />

dell’art. 8, là dove – a differenza dell’art. 140 c.p.c. – « irragionevolmente » non prevede<br />

che « l’agente postale, al ricorrere delle situazioni descritte nel 2° comma, affigga immediatamente<br />

avviso del deposito alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda, con la<br />

conseguenza di porre a carico del destinatario il rischio del tardivo o mancato recapito, a<br />

causa di un disservizio postale, dell’avviso raccomandato, divenuto per lui l’unica fonte di<br />

conoscibilità dell’avvenuto deposito del piego (violazione degli artt. 24, 2° comma, e 111,<br />

2° comma, Cost.) »; nonché « nella parte in cui fa decorrere il termine di differimento dell’efficacia<br />

della notificazione nei confronti del destinatario dal momento del deposito o della<br />

spedizione ..., anteriori ad ogni possibilità per quest’ultimo di conoscere l’avvenuto deposito,<br />

con la conseguenza di vanificare la funzione del differimento dell’efficacia e di addossare<br />

al destinatario, anche sotto tale profilo, il rischio dei tempi della consegna (violazione<br />

degli artt. 24, 2° comma, e 111, 2° comma, Cost.), e non invece dal momento della<br />

consegna dell’avviso raccomandato o, in caso di assenza del destinatario (o di possibili<br />

consegnatari), della sua affissione alla porta o immissione nella cassetta della corrispondenza,<br />

cioè quando l’atto è stato condotto quanto meno nella sfera di conoscibilità del destinatario<br />

».


SAGGI 833<br />

quello di farne conoscere (in ritardo) il suo mancato buon esito. Il plico<br />

inviato è infatti assoggettato alla disciplina riservata alla corrispondenza<br />

ordinaria ( 173 ).<br />

Il raggiungimento dello scopo della notifica è allora in tal caso rimesso<br />

alla mera casualità, tanto da consigliarsi di farvi ricorso solamente<br />

quando la ricezione dell’atto è ragionevolmente certa, come in caso di invio<br />

ad istituti bancari, compagnie di assicurazione, studi legali, uffici pubblici,<br />

ecc. ( 174 ).<br />

Profili di rischio conseguono altresì alla mancata possibilità, adottando<br />

tale tipo di notifica, di avvertire il destinatario della facoltà di rifiutare l’atto<br />

non scritto nella propria lingua e non tradotto ai sensi dell’art. 8 Reg. ( 175 ).<br />

Il che ne rende quantomeno dubbia la ritualità.<br />

Da quella diretta va tenuta distinta la notificazione postale cd. indiretta,<br />

che si ha quando la via postale è seguita per decisione dell’organo ricevente,<br />

il quale, ai sensi dell’art. 7 Reg., « procede o fa procedere alla notificazione<br />

o alla comunicazione dell’atto secondo la legislazione dello Stato<br />

membro richiesto ».<br />

Il rapporto di trasmissione si snoda, in tal caso, tra l’organo mittente<br />

dello Stato a quo, l’organo ricevente dello Stato ad quem e l’agente postale<br />

dello Stato ad quem.<br />

La notificazione o comunicazione si perfeziona secondo la disciplina<br />

dello Stato ad quem, salva la verifica circa la relativa non contrarietà all’or-<br />

( 173 ) V. la Convenzione universale postale firmata a Losanna il 5 luglio 1974, cui aderiscono<br />

tutti gli Stati e resa esecutiva in Italia con d.p.r. 5 dicembre 1975, n. 684, e la Convenzione<br />

universale postale di Rio de Janeiro del 26 ottobre 1979, ratificata con d.p.r. 11<br />

febbraio 1981, n. 358, che prevedono la generale possibilità di spedire raccomandate con ricevuta<br />

di ritorno; nonché il d.p.r. 3 febbraio 1997, n. 98, recante regolamento di esecuzione<br />

delle decisioni adottate dal XXI Congresso dell’Unione postale universale, tenutosi a Seoul<br />

dal 22 agosto al 14 settembre 1994. In argomento, nello stesso senso, v. Frigo, op. ult. cit.,<br />

p. 120 ss.; Campeis-De Pauli, op. cit., p. 249.<br />

( 174 ) V. Campeis-De Pauli, op. loc. ultt. citt.; Frigo, op. ult. cit., p. 121. Al fine di ulteriormente<br />

agevolare il ricorso alla notificazione a mezzo posta il Progetto di Regolamento<br />

di modifica prevede (paragrafo 5) l’introduzione di una condizione uniforme (lettera raccomandata<br />

con ricevuta di ritorno o tipo equivalente di invio), già in applicazione in numerosi<br />

Stati membri, quale condizione ravvisata garantire un « consono » grado di certezza che il<br />

destinatario ha ricevuto l’atto e che disponga di una prova sufficiente.<br />

Per dare maggiore certezza giuridica al richiedente la notifica, e per ragioni di coerenza<br />

e di chiarezza, si prevede poi (paragrafo 7) che le disposizioni relative al rifiuto di ricezione<br />

dell’atto (art. 8) ed alla data di notificazione o comunicazione (art. 9) si applichino anche alle<br />

altre modalità di trasmissione degli atti di cui agli artt. 12-15 del Regolamento n. 1348.<br />

( 175 ) V. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 250.


834 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dine pubblico (ad es. ai fini della declaratoria della contumacia) dello Stato<br />

a quo ( 176 ).<br />

15. – L’organo mittente può richiedere all’organo ricevente di procedere<br />

o far procedere alla notificazione o comunicazione dell’atto secondo forme<br />

particolari (art. 7, comma 1, Reg.).<br />

Può essere pertanto richiesta, in alternativa o in combinazione ( 177 ), l’adozione<br />

di forme di notificazione diverse da quelle indicate dal Regolamento<br />

( 178 ).<br />

Il cittadino italiano che voglia notificare o comunicare un atto in altro<br />

Stato membro può richiedere ad esempio di procedere secondo le formalità<br />

previste dall’art. 140 c.p.c. (deposito, affissione, avviso), o altre analoghe,<br />

per l’ipotesi di mancata notifica a mani del destinatario o di irreperibilità<br />

di fatto del medesimo ( 179 ).<br />

16. – Il Regolamento consente, analogamente a quanto previsto dalla<br />

Conv. Aja del 1965, che le « persone interessate », anziché rivolgersi all’organo<br />

mittente del proprio Stato membro, possano direttamente richiedere<br />

agli organi competenti dello Stato ad quem la notifica o la comunicazione<br />

di un atto.<br />

A tale stregua, si è posto in rilievo, l’attività del funzionario straniero<br />

viene ad essere « equiparata », ai fini della valutazione di ritualità, a quella<br />

dell’ufficiale giudiziario italiano ( 180 ).<br />

Al riguardo, si noti, la previsione di cui all’art. 15 Reg., stante la sua<br />

natura di fonte di diritto derivato ( 181 ), consente di ritenere espressamente<br />

( 176 ) V. Campeis-De Pauli, op. loc. ultt. citt., i quali fanno salva in questo caso l’osservanza<br />

del principio di ordine pubblico processuale del nostro Paese, movendo dalla sentenza<br />

Cass., 13 gennaio 1998, n. 206, in Foro it., 1998, I, c. 1509, che pur consentendo la Convenzione<br />

bilaterale tra Italia ed Austria del 30 giugno 1997 di procedere alla notificazione,<br />

tramite il servizio postale, al destinatario domiciliato nell’altro Paese contraente prevedendo<br />

che le modalità di consegna siano quelle ritualmente ammesse dallo Stato di destinazione,<br />

ha ritenuto inidonea a soddisfare tale requisito la notificazione per posta ad uno studio<br />

legale austriaco, con cui il destinatario aveva in precedenza intrattenuto rapporti.<br />

V. anche Frigo-Fumagalli, op. cit., p. 83; Frigo, op loc. ultt. citt.<br />

( 177 ) Cfr. Campeis-De Pauli, op. loc. ultt. citt.<br />

( 178 ) In ordine alla particolare forma di notificazione nei confronti di soggetti domiciliati<br />

in Slovenia v. Picciotto, Il sistema delle notificazioni tra Italia e Slovenia, in Riv. dir. int.<br />

priv. proc., 2000, p. 981 ss.<br />

( 179 ) V. Campeis-De Pauli, op. loc. ultt. citt.<br />

( 180 ) Così Campeis-De Pauli, op. cit., p. 245. V. anche Frigo, op. loc. ultt. citt.<br />

( 181 ) Diversamente pertanto dall’art. 10, lett. c), Conv. Aja del 1965, fonte meramente<br />

convenzionale.


SAGGI 835<br />

superato il cd. monopolio tendenziale dell’ufficiale giudiziario in ordine all’attività<br />

di notificazione ( 182 ), nell’ordinamento italiano invero realizzata<br />

già dalla L. 31 gennaio 1994, n. 53, che ha introdotto la notificazione di atti<br />

civili, amministrativi e stragiudiziali da parte degli avvocati ( 183 ).<br />

È salva peraltro la possibilità per gli Stati di fare opposizione alla soluzione<br />

in argomento (art. 15, comma 2, Reg.). Facoltà che l’Italia non ha esercitato,<br />

dichiarando anzi che « nulla osta a che una persona interessata ad un<br />

procedimento giudiziario possa far notificare direttamente gli atti giudiziari<br />

attraverso pubblici ufficiali competenti dello Stato membro ricevente » ( 184 ).<br />

Lo specifico riferimento ai soli pubblici ufficiali, nel restringere le opzioni<br />

possibili ammesse dalla norma regolamentare, sembra immotivatamente<br />

restringere d’altro canto la soluzione ampia che l’espressione « altre<br />

persone competenti » viceversa contempla, impedendo ad esempio<br />

agli avvocati italiani o ai solicitors inglesi di farvi ricorso ( 185 ).<br />

( 182 ) In tal senso v. Frigo, Il regolamento comunitario sulle notificazioni in materia civile<br />

o commerciale, cit., p. 118 ss., ivi alla p. 122 ss.<br />

( 183 ) V. Cass., 19 febbraio 2000, n. 1938: « Il nuovo tipo di notificazione degli atti civili,<br />

amministrativi e stragiudiziali delineato dalla legge n. 53 del 1994 (che si affianca alle forme<br />

tradizionali di notificazione) si basa sull’eliminazione del coinvolgimento della figura dell’ufficiale<br />

giudiziario, in quanto il difensore è stato trasformato in organo del relativo procedimento<br />

notificatorio. Ne consegue che – a differenza di quanto avviene per l’ufficiale<br />

giudiziario, per il quale, in quanto inserito nell’organico giudiziario, vige il principio fondamentale<br />

della competenza territoriale – nei confronti dell’avvocato non può configurarsi alcuna<br />

questione di competenza territoriale, non incontrando egli alcun limite territoriale alla<br />

sua potestà notificatoria (Fattispecie relativa alla notificazione di una sentenza impugnata<br />

con ricorso per cassazione) ». Conformemente v. Cass., 25 giugno 2003, n. 10077.<br />

Va al riguardo posto altresì in rilievo come l’art. 34 L. 15 dicembre 1959, n. 1229 ponesse<br />

già l’equiparazione funzionale tra l’ufficiale giudiziario ed il messo di conciliazione: v.<br />

Cass., 28 gennaio 1999, n. 770, in Giust. civ., 2000, I, p. 195 ss., con nota di Auletta, La (sanatoria<br />

della) nullità della notificazione per “vizio di costituzione” dell’agente e in Foro it.,<br />

2001, I, p. 694 ss., con nota di M. Izzo.<br />

( 184 ) V. Comunicazioni degli Stati membri, cit., p. 9.<br />

Opposizione è stata invece comunicata da Austria, Portogallo, Inghilterra, Galles ed Irlanda<br />

del Nord (diversamente da Scozia, che ha espressamente dichiarato di non opporvisi),<br />

Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia, mentre il<br />

Lussemburgo non si oppone a condizione di reciprocità: v. Comunicazioni degli Stati membri,<br />

cit., p. 11 ss.<br />

Anche in Germania non è consentito procedere alla notifica di un atto di procedimento<br />

straniero tramite richiesta diretta della parte interessata agli ufficiali giudiziari tedeschi (§<br />

1071 ZPO). Nel Progetto di Regolamento di modifica del Regolamento n. 1348 la possibilità<br />

di opposizione viene peraltro abrogata, introducendosi pertanto una norma uniforme per<br />

tutti gli Stati membri.<br />

( 185 ) V. Ronco, op. cit., p. 415. Segnale che l’Irlanda ha peraltro indicato al riguardo i so-


836 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Le modalità concrete di esecuzione della notifica o comunicazione sono<br />

determinate dalla legislazione dello Stato ad quem ( 186 ), fatto sempre<br />

salvo il principio dell’ordine pubblico processuale ( 187 ).<br />

17. – L’art. 19 Reg. detta una disciplina processuale uniforme in tema di<br />

regolare costituzione del contraddittorio, contumacia e rimessione in termini<br />

(a fini d’impugnazione) ( 188 ).<br />

Il Regolamento riprende il disposto degli artt. 15 e 16 Conv. Aja del<br />

1965 e dell’art. 20 Conv. Bruxelles del 1968.<br />

La « comunitarizzazione » della disciplina in precedenza meramente<br />

pattizia assume rilievo assolutamente pregnante là dove comporta la necessità<br />

del contemperamento della disciplina, oltre che con i diritti inalienabili<br />

della persona umana e i princìpi fondamentali dei sistemi costituzionali nazionali<br />

( 189 ), con i princìpi generali integranti il cd. acquis communautaire in<br />

materia, quali in particolare la tutela giurisdizionale adeguata, il diritto di<br />

difesa, la non discriminazione ( 190 ). Ed impone di verificarne la compatibilità<br />

con l’ordine pubblico di diritto internazionale privato comunitario ( 191 ),<br />

licitars Frigo, Problemi applicativi della normativa comunitaria in materia di notificazione di<br />

atti giudiziari, cit., 10.<br />

( 186 ) V. Ronco, op. loc. ultt. citt.<br />

( 187 ) Cfr. Frigo, op. loc. ultt. citt.<br />

( 188 ) Cfr. Campeis-De Pauli, op. cit., p. 246.<br />

All’art. 19 fa espressamente richiamo l’art. 246 del Regolamento n. 44 del 2001 (nonché<br />

l’art. 10 del Regolamento n. 1347 del 2000, peraltro abrogato dal 1° marzo 2005).<br />

Diversamente, nel senso che ai fini della litispendenza e della connessione la regolarità<br />

della notificazione al convenuto va determinata in base al Regolamento n. 44, e non già a quello<br />

n. 1348 in esame, v. peraltro Frigo, La disciplina comunitaria della notificazione degli atti in<br />

materia civile e commerciale: il Regolamento (CE) n. 1348/2000, cit., p. 147 ss., ivi alla p. 148 ss.<br />

( 189 ) V. Corte cost., 19 novembre 1987, n. 399, in Foro it., 1989, I, c. 1018 ss., con nota di<br />

Sico, Ancora sul rapporto tra diritto comunitario ed ordinamento italiano e in Le regioni, 1988,<br />

p. 351 ss., con nota di Balboni e Papa, Regolamenti comunitari e ripartizione costituzionale<br />

delle competenze: verso nuove frontiere.<br />

( 190 ) Cfr. Biavati, op. cit., p. 527 ss.<br />

In argomento v. anche supra al § 1.<br />

( 191 ) In argomento v. in particolare Carbone, op. cit., p. 229 ss.; Salerno, Giurisdizione<br />

ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n. 44/2001, Padova, 2003, p. 246 ss.;<br />

Fumagalli, L’ordine pubblico nel sistema del diritto internazionale privato comunitario, in<br />

Dir. comm. internazionale, 2004, p. 635 ss., ed ivi anche per ulteriori indicazioni bibliografiche,<br />

il quale, nel segnalare la difficoltà di « isolare » gli effetti del diritto comunitario nella<br />

messa in opera del limite dell’ordine pubblico, sottolinea come il diritto comunitario « può<br />

creare nuovi principi di ordine pubblico, ovvero escludere il rilievo di altri, con esso contrastanti,<br />

che il giudice nazionale è chiamato a tutelare », e che assume una funzione di ga-


SAGGI 837<br />

oltre che con l’ordine pubblico interno del singolo Stato membro ( 192 ).<br />

18. – L’art. 19 disciplina anzitutto le conseguenze derivanti dalla mancata<br />

comparizione del convenuto in giudizio, all’esito della notifica della<br />

citazione o del ricorso (o di « un atto equivalente ») effettuata in conformità<br />

al Regolamento.<br />

Il giudice in tal caso non può (« è tenuto a soprassedere ») pronunciare<br />

la « decisione » fin quando non vi sia la prova: a) dell’avvenuta notifica<br />

ranzia del rispetto dei valori vigenti nel sistema comunitario, promuovendolo nei confronti<br />

degli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri, che da essi hanno deviato: « Il limite<br />

dell’ordine pubblico finisce così per svolgere una funzione “positiva”. . . di promozione dell’integrazione,<br />

apprestando una tutela a fronte della violazione di principi fondamentali<br />

dell’ordinamento comunitario » ( ivi, p. 643 ss. ).<br />

( 192 ) V. art. 27 Conv. Bruxelles 1968: « Le decisioni non sono riconosciute: 1. se il riconoscimento<br />

è contrario all’ordine pubblico dello Stato richiesto ».<br />

In argomento v. Parisi, Spunti in tema di ordine pubblico e convenzione giudiziaria di<br />

Bruxelles, in Riv. dir. int. priv. proc., 1881, p. 13 ss.; Mosconi, Il limite dell’ordine pubblico nella<br />

Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni<br />

in materia civile e commerciale, in Jus, 1990, p. 45 ss.<br />

In tema di ripercussione delle norme del sistema comunitario sul diritto nazionale, ed<br />

in particolare su norme di conflitto interne, v. Bariatti, Prime considerazioni sugli effetti dei<br />

prncipi generali e delle norme materiali del Trattato CE sul diritto internazionale privato comunitario,<br />

in Riv. dir. int. priv. proc., 2003, p. 670 ss.; Fumagalli, op. cit., p. 637 ss., ove anche<br />

per richiami alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Tale a., citando al riguardo la sentenza<br />

Corte CE, 28 marzo 2000, C-7/98, Krombach, pone in rilievo come l’ordine pubblico<br />

interno vada invero inteso in senso restrittivo, in quanto, se assicura la coerenza dell’ordinamento<br />

interno, esso d’altro canto « rompe la coerenza delle soluzioni dettate per raggiungere<br />

l’armonia ed il coordinamento tra i sistemi; e segna perciò la preferenza per la tutela<br />

di un valore. . . a discapito dell’altro », sicché tale « rottura » è ammessa solamente nei<br />

limiti « che lo stesso sistema comunitario ammette », spettando alla « Corte di giustizia definire<br />

in via interpretativa i limiti di tale nozione e delle possibilità per gli Stati membri di<br />

farvi ricorso ». Del tutto condivisibilmente Corte CE, 8 novembre 2005, C-443/03, cit., afferma<br />

che il giudice è tenuto a soprassedere alla decisione anche nel caso in cui un atto sia<br />

stato rifiutato in quanto non redatto in una lingua ufficiale dello Stato membro richiesto o<br />

in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario di tale atto, ed il convenuto<br />

non compare, fintantoché non sia provato che l’atto è stato sonato mediante l’invio<br />

di una traduzione e che l’invio ha avuto luogo in tempo utile perché il convenuto potesse<br />

difendersi. Un obbligo siffatto risulta altresì dal principio enunciato all’art. 26, n. 2, del Regolamento<br />

n. 44/2001, e la verifica della sua osservanza è preliminare al riconoscimento di<br />

una decisione, conformemente all’art. 34, punto 2, dello stesso Regolamento. Per risolvere<br />

i problemi connessi al modo in cui la mancanza di traduzione dev’essere sonata, non previsti<br />

dal Regolamento come interpretato dalla Corte, il giudice nazionale è tenuto . . . ad applicare<br />

il suo diritto processuale nazionale, vegliando al contempo affinché sia garantita la<br />

piena efficacia del Regolamento, nel rispetto della sua finalità.


838 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

o comunicazione al convenuto secondo le forme prescritte dallo Stato ad<br />

quem ( 193 ) o che l’atto sia stato effettivamente consegnato al convenuto ovvero<br />

consegnato nella residenza abituale del convenuto secondo altra modalità<br />

(es., a mezzo posta); e b) che la consegna abbia avuto in ogni caso<br />

luogo in tempo utile per consentire la difesa in giudizio del medesimo (art.<br />

19, comma 1, Reg.).<br />

In dottrina si è sostenuto che il giudice non può in tal caso fare luogo<br />

ad « una declaratoria di contumacia tout court » ( 194 ).<br />

L’espresso riferimento alla decisione, e la possibilità che « in caso d’urgenza<br />

» vengano assunti provvedimenti provvisori o cautelari (art. 19, comma<br />

3, Reg.) legittimano il dubbio che il legislatore comunitario limiti in effetti<br />

il divieto alla mera emissione della decisione finale, non rimanendo<br />

invece impedito lo svolgimento del processo (o del procedimento) nelle<br />

sue diverse fasi. Come sembrerebbe confermato (anche) dalla disciplina<br />

della cd. rimessione in termini prevista al comma 4 del medesimo art. 19,<br />

ove intesa come operante limitatamente all’impugnazione della decisione<br />

finale ( 195 ), e non anche ai fini della revoca della declaratoria di contumacia<br />

o della rimozione di eventuali preclusioni istruttorie maturate prima di<br />

tale pronunzia.<br />

Si pone in evidenza in dottrina che l’ipotesi di cd. sospensione necessaria<br />

(europea), in questione presenta punti di contatto con l’istituto disciplinato<br />

all’art. 291 c.p.c., in quanto entrambi mirano ad « evitare lo svolgersi<br />

di un processo in cui al convenuto possa essere contumace involontario<br />

». Da quest’ultimo tuttavia diverge laddove la detta sospensione è<br />

configurata non già quale mezzo di sanatoria della nullità della notificazione<br />

bensì quale mera « situazione statica di inattività processuale »,<br />

stante la mancanza agli atti dell’attestazione della notificazione o della<br />

consegna, e quindi della prevista documentazione ( 196 ).<br />

Fondamento della norma è il rispetto del principio della regolare costituzione<br />

del contraddittorio, essendo la detta sospensione finalizzata a consentire<br />

l’acquisizione della prova del rispetto delle formalità prescritte, e<br />

dell’avvenuta ricezione in tempo utile per l’apprestamento della difesa ( 197 ).<br />

( 193 ) Per una prima applicazione da parte di un giudice italiano v. Trib. Torino, 17 luglio<br />

2002, in Giur. merito, 2003, I, p. 1 ss., che, non comparso il convenuto, ha disposto la sospensione<br />

del processo « in attesa che parte attrice fornisca le prove dell’avvenuta notifica ».<br />

( 194 ) Così Campeis-De Pauli, op. loc. ultt. citt.<br />

( 195 ) In tal senso (sembra) Campeis-De Pauli, op. cit., p. 247.<br />

( 196 ) V. Campeis- De Pauli, op. cit., p. 246.<br />

( 197 ) Cfr. Ciaccia Cavallari, op. cit., p. 350.


SAGGI 839<br />

In caso di urgenza, il giudice può peraltro assumere misure provvisorie<br />

o a carattere conservativo ( 198 ).<br />

La nozione di tempo utile introduce un criterio diverso da quello dei<br />

termini fissi e prestabiliti imposti dal nostro codice quale requisito di validità<br />

dell’atto di citazione (ex art. 164 c.p.c.), con conseguente attribuzione<br />

di decisivo rilievo all’apprezzamento discrezionale del giudice ( 199 ).<br />

L’art. 19 consente tuttavia (comma 2) agli Stati membri di comunicare<br />

che i propri giudici hanno facoltà di decidere anche qualora « non sia pervenuta<br />

alcuna attestazione di avvenuta notifica o comunicazione o consegna<br />

», a condizione che: a) l’atto sia stato « trasmesso secondo uno dei<br />

modi previsti dal presente regolamento »; b) « dalla data di invio dell’atto »<br />

sia « trascorso un termine che il giudice valuterà in ciascun caso particolare<br />

e che sarà di almeno sei mesi »; c) che non sia « stata ottenuta alcuna attestazione<br />

malgrado tutta la diligenza usata presso le autorità o gli organi<br />

competenti dello Stato richiesto » ( 200 ).<br />

La questione evoca la necessità del contemperamento tra i diritti del<br />

richiedente e quelli del destinatario della notifica, dell’attore e del convenuto.<br />

E riflette le differenti impostazioni di fondo degli Stati già emerse<br />

in tema di determinazione della data della notifica o della comunicazione.<br />

Là dove, pur in assenza di un contraddittorio regolarmente costituito,<br />

consente di pervenire ad una pronunzia giudiziale (anche d’urgenza), e co-<br />

( 198 ) V. Carpi, op. cit., 326; Scalabrino, op. cit., p. 1143; Ciaccia Cavallari, op. cit., p. 351.<br />

( 199 ) Il quale può far riferimento al termine di 120 gg., salvo casi particolari, come quelli<br />

della notifica in città di confine: così Campeis-De Pauli, op. ult. cit.<br />

( 200 ) L’Italia ha espressamente dichiarato al riguardo che « I giudici dello Stato italiano<br />

non possono assumere decisioni ove non ricorrano le condizioni di cui al paragrafo 1». Numerosi<br />

altri Stati membri, pur se con motivazioni differenti, hanno al contrario esercitato<br />

facoltà di deroga (Belgio, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria,<br />

Regno Unito): V. Comunicazioni degli Stati membri, cit., (sub art. 19), passim.<br />

Ulteriore questione, si noti, si pone al riguardo in ordine alla natura di tali comunicazioni,<br />

formulate dai governi mediante semplici atti amministrativi, ed al rilievo loro da assegnarsi,<br />

risultando idonee ad incidere, modificandola, sulla portata della regola, ma ancor<br />

prima sulla sua stessa configurazione. Al punto da poterne determinare la conformità o meno<br />

ai principi fondamentali garantiti dalle Costituzioni dei singoli Stati membri.<br />

Contra, per l’affermazione secondo cui « non può che valutarsi negativamente. . . sia il<br />

mancato esercizio della facoltà di deroga da parte del nostro Stato, sia il fatto che il regolamento<br />

non sia riuscito a realizzare, neppure su questo punto, una disciplina più efficace di<br />

quella della Convenzione dell’Aja rendendo obbligatoria ed uniforme per tutti la disposizione<br />

riequilibratrice che oggi è solo facoltativa », v. invece Carella, op. cit., p. 158 ss., ivi<br />

alla p. 162.


840 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

munque non impone, senza facoltà di deroga, la sospensione necessaria<br />

del processo alla prima udienza di comparizione, l’art. 19 Reg., appare invero<br />

violativo del principio di ordine pubblico processuale italiano ( 201 ).<br />

Come in giurisprudenza di legittimità affermato ( 202 ), ed anche recentemente<br />

– in accordo con la dottrina ( 203 ) – ribadito ( 204 ), il principio del<br />

contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. si correla sul piano costituzionale sia<br />

con la regola dell’uguaglianza affermata all’art. 3 Cost. che con il diritto di<br />

difesa « inviolabile in ogni stato e grado del giudizio » di cui ex art. 24 Cost.,<br />

comma 2°, Cost., concernente gli aspetti tecnici della difesa, e garante<br />

della possibilità per ciascuno dei destinatari del provvedimento giudiziale<br />

di influire sul contenuto del medesimo, per la cui piena ed effettiva realizzazione<br />

deve pertanto risultare integrato non solo al momento dell’introduzione<br />

del processo ma anche per tutta la durata dello stesso, ivi compreso,<br />

quindi, il momento probatorio ( 205 ).<br />

Secondo un’interpretazione non solo conforme all’art. 6, § 1, Conv.<br />

europea dei Diritti dell’Uomo ( 206 ), ma che trova pieno ed espresso riconoscimento<br />

nel principio del giusto processo posto dall’art. 111, comma 2°,<br />

( 201 ) Per il riferimento al principio di ordine pubblico processuale, avuto riguardo alla<br />

Convenzione bilaterale con l’Austria, Cass., 13 gennaio 1998, n. 206, in Foro it., 1998, I, c.<br />

1509 ss.<br />

( 202 ) V. Cass., 8 aprile 1998, n. 3632, in Foro it., 1998, I, c. 1841 ss.<br />

( 203 ) V. Comoglio, voce Contraddittorio (principio del), in Enc. Giur., Roma, 1997, p. 585.<br />

( 204 ) V. Cass., 28 novembre 2003, n. 18245.<br />

( 205 ) In tal senso in dottrina v. Comoglio, Art. 24, 1° e 2° co., Cost., in Comm. cost. a cura<br />

di Scialoja e Branca, Rapporti civili, sub art. 24, Bologna-Roma, 1981, p. 52 ss.; Comoglio,<br />

La garanzia costituzionale dell’azione e il processo civile, Padova, 1970, p. 140 e p. 217 ss.;<br />

Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 224; Denti, Valori costituzionali<br />

e cultura processuale, in Riv. dir. proc., 1984, p. 443 ss., ivi alla p. 462; Proto Pisani,<br />

Dell’esercizio dell’azione, in Comm. Utet, I, 2, Torino, p. 1084 ss., ivi alla p. 1086; Cappelletti-Vigoriti,<br />

I diritti costituzionali delle parti nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1971,<br />

p. 604 ss; Colesanti, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv. dir. proc.,<br />

1975, p. 582 ss.; Trocker, Processo civile e costituzione, Milano, 1974, p. 384.<br />

Per la distinzione tra diritto di difesa, inviolabile ed appartenente esclusivamente alle<br />

parti, e contraddittorio, quale modo di essere del processo, che rappresenta un limite per il<br />

giudice, v. Cipriani, Diritti fondamentali dell’Unione europea e diritto d’impugnare, in Rass.<br />

dir. civ., 2004, p. 987 ss., ivi alla p. 289.<br />

Nel senso che il principio del contraddittorio va riferito al solo art. 3 Cost. v. Andolina-Vignera,<br />

I fondamenti costituzionali della giustizia civile. Il modello costituzionale del<br />

processo civile italiano, Torino, 1997, p. 120 ss. e p. 168 ss.<br />

( 206 ) Cfr. Chiavario, Processo e garanzia della persona, 1984, II, p. 171 ss.; Grementieri,<br />

Le garanzie internazionali del processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1969, p. 605 ss.,<br />

ivi alla p. 608.


SAGGI 841<br />

Cost. ( 207 ), alla cui stregua « ogni processo si svolge nel contraddittorio tra<br />

le parti, in condizione di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale<br />

» ( 208 ).<br />

Nucleo essenziale dei diritti di azione e di difesa, il principio del contraddittorio<br />

costituisce altresì espressione dell’eguaglianza delle parti sotto<br />

il profilo della garanzia di partecipazione e tutela del diritto della medesima<br />

di influire concretamente sullo svolgimento del processo e sul suo<br />

esito, cooperando all’accertamento dei fatti ed al reperimento delle prove,<br />

a tale stregua contribuendo alla formazione del convincimento del giudice<br />

( 209 ).<br />

A tale stregua, si noti, la sospensione necessaria del processo dovrebbe<br />

essere dal giudice obbligatoriamente pronunziata (anche) d’ufficio già all’udienza<br />

di comparizione, senza che risulti consentita la possibilità che il<br />

processo prosegua e pervenga alla fase della decisione ( 210 ).<br />

( 207 ) Introdotto dalla L. cost. 23 novembre 1999, n. 2 (recante “Inserimento dei principi<br />

del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione”), in G.U. 23 dicembre 1999, n. 300.<br />

( 208 ) V. Comoglio, voce Contraddittorio (principio del), cit., p. 13: «. . . l’oggetto specifico<br />

(o, se si preferisce, il Wesensgehalt) delle garanzie contenute nell’art. 24 Cost. – in armonia<br />

con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, del 1950, nonché con l’art. 14<br />

del patto internazionale sui diritti civili e politici, del 1966 – consiste non già soltanto “nella<br />

garanzia dell’esercizio dell’azione e della difesa del contraddittore, ma nella partecipazione<br />

dei legittimati ad agire e a contraddire all’esercizio della funzione giurisdizionale”». L’a. sottolinea<br />

al riguardo (ivi alla p. 19 ss., e in part. p. 20) la correlazione del principio del contraddittorio<br />

con « la nuova realtà costituzionale e soprannazionale del processo equo e giusto ».<br />

Avuto riguardo al nuovo art. 111 Cost., per il dubbio di legittimità costituzionale della<br />

complessiva disciplina dell’intervento nel processo esecutivo « laddove essa consente ai creditori<br />

di svolgere la loro azione –titolata o meno- assolutamente prescindendo dall’instaurazione<br />

di un contraddittorio con l’esecutato » v. Capponi, Alcuni problemi su contraddittorio e<br />

processo esecutivo (alla luce del nuovo art. 111 della Costituzione), in Riv. esecuz. forzata, 2004,<br />

p. 36 ss., ivi alla p. 38.<br />

Nel senso che la costituzionalizzazione del principio del contraddittorio risulta operato<br />

già dall’art. 24 Cost. v. Colesanti, op. cit., p. 599 ss.; Cappelletti-Vigoriti, op. cit., p. 604 ss.<br />

Per la necessità ed il significato del rispetto del contraddittorio nel procedimento avanti<br />

alle Autorità amministrative indipendenti v. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel<br />

procedimento, in Dir. amm., 2004, p. 59 ss.<br />

In ordine al controllo da parte della Corte Suprema di Cassazione sul rispetto del principio<br />

del giusto processo v. Morvcavallo, Nullità processuali e potere di controllo della Corte<br />

di Cassazione nella prospettiva del giusto processo, in Giust. civ., 2004, II, p. 219 ss.<br />

( 209 ) Trocker, op. cit., p. 370; Comoglio, voce Contraddittorio (principio del), cit., p. 20 ss.<br />

( 210 ) Sintomatico è che la prima decisione emessa da un giudice italiano sia consistita<br />

proprio in una declaratoria di sospensione del procedimento, emessa alla prima udienza<br />

non essendo comparso il convenuto, « in attesa che parte attrice fornisca le prove dell’avvenuta<br />

notifica »: v. Trib. Torino, 17 luglio 2002, cit.


842 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Tanto più che, emessa la pronunzia, ai sensi del comma 2 dell’art. 19<br />

Reg. la rimessione in termini per l’impugnazione può dal giudice non essere<br />

concessa, anche laddove trattisi di contumacia involontaria ( 211 ).<br />

Nell’ordinamento italiano la contumacia involontaria si determina<br />

quando il giudice dichiara la contumacia della parte (normalmente il convenuto)<br />

senza aver rilevato la nullità della notificazione della citazione (art.<br />

164 c.p.c.), e senza averne quindi disposto la rinnovazione ex art. 291 c.p.c.<br />

La decisione in tal caso adottata è nulla, e il convenuto contumace è<br />

legittimato a proporre impugnazione della sentenza non notificatagli personalmente<br />

anche oltre il termine di decadenza annuale ex art. 327, 2°<br />

comma, c.c., in presenza delle richieste condizioni oggettiva (nullità della<br />

citazione o della notificazione e nullità della notificazione di uno degli atti<br />

da notificarsi personalmente al contumace ex art. 292 c.p.c.) e soggettiva<br />

(mancata conoscenza del processo da parte del contumace a causa della<br />

suddetta nullità).<br />

L’art. 19 Reg., nella misura in cui consente agli Stati membri di non fare<br />

luogo alla sospensione necessaria, e non impedisce in ogni caso l’emissione<br />

della decisione finale ove manchi la prova che la contumacia del convenuto<br />

sia volontaria, appare porsi in contrasto con il diritto fondamentale<br />

di difesa in giudizio garantito dalla Costituzione italiana (art. 24) ( 212 ).<br />

Trattasi di questione che in termini più generali investe la problemati-<br />

( 211 ) V. al riguardo amplius infra al § 19.<br />

( 212 ) Come è stato osservato in dottrina, appare invero indubbio che, o accettandosi<br />

l’assunto secondo cui (in caso di notificazione all’estero) il contraddittorio può dirsi « perfezionato<br />

senza la nomina prova di un qualunque collegamento fattuale fra l’attore e il destinatario,<br />

in condizioni che non è azzardato qualificare di notificazione inesistente », « l’equivalenza<br />

della tutela giurisdizionale dell’Unione » viene conseguentemente a profilarsi<br />

come « un obiettivo da raggiungere ». E ciò « appare gravemente discutibile in una situazione<br />

di ordinamento integrato, come quella dell’Unione »: così Biavati, op. cit., p. 528.<br />

V. anche Comoglio, op. ult. cit., p. 14: « L’effettività del diritto di difesa presuppone la<br />

concreta e tempestiva conoscenza o conoscibilità (non già la possibilità astratta di conoscenza)<br />

sia dei tempi, sia delle forme e dei modi in cui l’ordinamento consenta a determinati soggetti<br />

di partecipare attivamente al giudizio. Ciò significa che le forme di comunicazione e di<br />

notificazione, previste dalle leggi processuali, devono costantemente garantire le “migliori<br />

condizioni di conoscibilità” degli atti da rendere noti al destinatario, rifuggendo dalle pure e<br />

semplici “presunzioni” di avvenuta conoscenza...». Osserva ulteriormente l’a.: «. . . non è<br />

mai consentito (né mai sarebbe concepibile) sacrificare le garanzie minime di paritaria difesa,<br />

dalle quali è realizzato il contraddittorio, facendo leva su possibili giustificazioni correlate alla<br />

specialità ed alle peculiarità proprie dei singoli tipi di processo o di procedimento, quando,<br />

pur nella loro variabile disciplina, la struttura di questi sia comunque bilaterale o contenziosa,<br />

implicando costantemente la presenza di una vera contentio inter partes ».


SAGGI 843<br />

ca del rispetto dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e tutelati<br />

sia dal diritto internazionale pattizio che dalle Costituzioni dei singoli<br />

Stati membri. Con riflessi che riverberano sul piano dei rapporti dall’U.E.<br />

mantenuti con la Comunità internazionale, ivi compresi gli stessi Stati<br />

membri che la compongono.<br />

Non sembra infatti dubbio che, così come ogni Stato (a prescindere<br />

del suo assetto interno: Stato federale, Unione di Stati, Stato singolo,<br />

ecc.), anche l’U.E. è tenuta a rispettare i diritti fondamentali dell’Uomo<br />

posti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.<br />

È del pari indubbio che gli organi legislativi dell’U.E. incontrano un<br />

limite al loro agire posto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. (da<br />

tempo in gestazione e ancora recentemente approvata) ( 213 ).<br />

Ulteriore limite è poi senz’altro costituito dalle Costituzioni o Leggi<br />

fondamentali dei singoli Stati membri.<br />

Stante l’integrazione, in un singolo sistema, delle fonti normative della<br />

Comunità e di quelle interne di ciascuno Stato membro, il Regolamento<br />

è fonte diretta anche di diritto interno.<br />

Nell’ordinamento italiano esso, come più sopra indicato ( 214 ), si colloca<br />

in posizione non già sovraordinata bensì paritaria rispetto alla Costituzione,<br />

che non può pertanto né modificare, né derogare, né violare ( 215 ).<br />

( 213 ) In argomento v., per tutti (anche per ulteriori riferimenti bibliografici), Zeno Zencovich,<br />

Le basi costituzionali di un diritto privato europeo, in Europa e dir. priv., 2003, p. 25<br />

ss.; Celotto, Carta dei diritti fondamentali e costituzione italiana verso il « Trattato costituzionale<br />

» europeo, in Europa e dir. priv., 2003, p. 37 ss.<br />

( 214 ) V. supra al § 1.<br />

( 215 ) Per l’immodificabilità della Costituzione da parte del Regolamento comunitario v.<br />

Bianca, Diritto civile, 1, Milano, 2002, p. 74 ss., il quale argomenta dalla previsione della<br />

speciale procedura di cui all’art. 138 Cost.<br />

L’ammissibilità di una tale possibilità di deroga è stata peraltro in contrario affermata<br />

da Corte cost., 19 novembre 1987, n. 399, cit., in virtù « dell’art. 11 Cost., il quale consente<br />

la limitazione della sovranità nazionale al fine di promuovere e favorire organizzazioni internazionali<br />

tra cui, com’è ius receptum, le Comunità europee », a condizione tuttavia che<br />

risultino comunque rispettati « i princìpi fondamentali del nostro sistema costituzionale<br />

nonché i diritti inalienabili della persona umana ».<br />

Una tale conclusione si profila peraltro in termini di assoluta « pericolosità », rischiando<br />

di consentire la possibilità di una fin troppo agevole modifica di sistemi, come appunto<br />

quello italiano, fondati su una Legge fondamentale cd. rigida, con la conseguente possibile<br />

incidenza su valori basilari e fondanti dell’ordinamento, tanto più ove si consideri il noto<br />

problema del cd. deficit democratico che allo stato caratterizza il « legislatore comunitario »,<br />

essendo, nell’ambito di esplicazione della cd. azione comunitaria, il potere d’iniziativa e di<br />

adozione degli atti normativi dell’U.E. attualmente rimesso ad organi burocratici di espressione<br />

governativa.


844 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

In caso di contrasto con la Costituzione italiana si profila la questione<br />

dell’assoggettabilità della fonte regolamentare al giudizio della Corte Costituzionale.<br />

Argomentando dalla natura economica delle materie oggetto di competenza<br />

dell’azione comunitaria, la Corte Costituzionale ha in passato ritenuto<br />

difficilmente configurabile (anche in astratto) la possibilità di un’incidenza<br />

delle fonti comunitarie « in materia di rapporti civili, etico-sociali,<br />

politici, con disposizioni contrastanti con la Costituzione italiana » ( 216 ).<br />

Avvertendo peraltro di essere essa, in tale eventualità, pur « sempre » chiamata<br />

ad assicurare la garanzia del proprio « sindacato giurisdizionale », con<br />

conseguenti inevitabili ripercussioni della questione riverberanti anche<br />

sotto il profilo della « perdurante compatibilità del Trattato con i predetti<br />

principi fondamentali » ( 217 ), riconoscendo essere in tal caso il proprio potere<br />

come limitato ad un sindacato non già « diretto », concernente cioè il<br />

« singolo regolamento » recante le disposizioni lesive, bensì meramente<br />

« indiretto », riflettentesi, per il tramite della legge di esecuzione del Trattato<br />

istitutivo della CEE attribuente competenza normativa ai rispettivi organi,<br />

in termini di illegittimità costituzionale della stessa adesione dell’Italia<br />

alla Comunità ( 218 ).<br />

Il vaglio « diretto » di costituzionalità del singolo Regolamento comunitario,<br />

ha nell’occasione affermato la Corte Costituzionale, risulta infatti<br />

impedito già dal tenore dell’art. 134 Cost., che fa riferimento, quale oggetto<br />

del controllo costituzionale da essa assicurato, solamente alle leggi e<br />

agli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. E « tali . . . non<br />

sono i regolamenti comunitari » ( 219 ).<br />

( 216 ) Così Corte cost., 27 dicembre 1973, n. 183, in Foro it., 1974, I, c. 314 ss., con nota di<br />

Monaco, La costituzionalità dei regolamenti comunitari e in Giur. it., 1974, I, 1, c. 513 ss., con<br />

nota di Berri, Legittimità della normativa comunitaria e c. 864 ss., con nota di Maltese, Regolamenti<br />

comunitari riserva di legge e garanzie costituzionali e in Giust. civ., 1974, III, p. 410<br />

ss., con nota di Berri, Riflessioni sul conflitto di norme comunitarie con leggi interne posteriori<br />

e sulla legittimità costituzionale dell’ordinamento comunitario e in Riv. dir. agr., 1974, II, p.<br />

8 ss., con nota di Costato, Costituzionalità della legge ordinaria che attribuisce potere normativo<br />

agli organi della comunità economica europea e in Giur. agr. it., 1974, II, p. 534, con nota<br />

di Gotti Porcinari, Una questione risolta: l’applicazione diretta delle norme comunitarie nel<br />

nostro ordinamento e in Dir. e pratica trib., 1974, II, p. 245 ss., con nota di Sorrentino, Regolamenti<br />

comunitari e riserva di legge.<br />

In argomento, oltre agli aa. delle note sopra citate, v. Celotto, op. loc. citt.<br />

( 217 ) Così Corte cost., 27 dicembre 1973, n. 183, cit.<br />

( 218 ) Cfr. Bianca, Diritto civile, 1, Milano, 2002, p. 74.<br />

( 219 ) Così Corte cost., 27 dicembre 1973, n. 183, cit.


SAGGI 845<br />

Ribadito da Corte Cost., 8 giugno 1974, n. 170 ( 220 ), che ha peraltro indicato<br />

nei cd. controlimiti (v. oltre) l’oggetto del sindacato di costituzionalità<br />

nell’ipotesi di tale violazione, tale orientamento è stato ulteriormente<br />

confermato da Corte Cost., 21 aprile 1989, n. 232 ( 221 ), allorquando il giudice<br />

italiano delle leggi è stato chiamato a pronunziarsi sulla compatibilità<br />

dell’art. 177 Trattato CEE proprio con l’art. 24 Cost.<br />

In tale occasione la Corte Costituzionale, dopo aver dato atto dell’avvenuto<br />

recepimento nell’ordinamento comunitario dei principi fondamentali<br />

comuni agli Stati membri, ha dichiarato la propria competenza a<br />

verificare « attraverso il controllo di costituzionalità della legge di esecuzione<br />

se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpretata ed<br />

applicata e dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrasto<br />

con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale<br />

o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana ».<br />

E nell’avvertire che « . . . quel che è sommamente improbabile è pur<br />

sempre possibile », non sottacendo che « almeno in linea teorica generale<br />

non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del<br />

nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i principi comuni agli<br />

ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento<br />

comunitario », essa ha nel caso significativamente affermato che « il diritto<br />

alla tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. è diritto fondamentale<br />

della persona ».<br />

Pure nella ribadita sussistenza delle proprie prerogative in tema di salvaguardia<br />

dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale nazionale<br />

e dei diritti inalienabili della persona umana (in termini tali da essere<br />

in dottrina interpretati quale monito rivolto alla Corte di Giustizia, al<br />

fine di rimarcare i limiti invalicabili dell’assetto costituzionale italiano) ( 222 ),<br />

la pronunzia della Corte Costituzionale n. 232 del 1989 è stata per altro verso<br />

intesa quale conferma del sindacato meramente « indiretto », per il tramite<br />

cioè della legge di esecuzione, che tale Corte ritiene di poter operare<br />

( 220 ) V. Corte cost. (ord.), 6 giugno 1974, n. 170, in Giur. cost., 1974, p. 996 ss.<br />

( 221 ) V. Corte cost., 21 aprile 1989, n. 232, in Giur. cost., 1989, I, p. 1001 ss., con nota di<br />

Cartabia, Nuovi sviluppi nelle “competenze comunitarie” della Corte Costituzionale e in Foro<br />

it., 1990, I, c. 1855 ss., con nota di Daniele, Costituzione italiana ed efficacia nel tempo delle<br />

sentenze della Corte di giustizia comunitaria e in Giust. civ., 1990, I, p. 315 ss., con nota di Lugato,<br />

La limitazione nel tempo degli effetti delle pronunce di invalidità di regolamenti comunitari<br />

nel giudizio della Corte Costituzionale.<br />

( 222 ) Così Angiolini, Trasformazione dei principi fondamentali della Costituzione italiana<br />

in confronto al diritto comunitario, in Angiolini-Marzona, Diritto comunitario-diritto interno:<br />

effetti costituzionali e amministrativi, Padova, 1990, p. 38.


846 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

in ordine a tutte le fonti comunitarie, e quindi non solo ai Regolamenti,<br />

ma anche alle Direttive e alle Decisioni, come interpretate dalla Corte di<br />

Giustizia ( 223 ).<br />

La mancanza del potere di sindacato « diretto » delle fonti comunitarie<br />

è stata in effetti dalla Corte Costituzionale recentemente ulteriormente ribadita<br />

quando, considerata come sempre « ferma » la possibilità di un<br />

« controllo di costituzionalità per violazione dei principi fondamentali e<br />

dei diritti inviolabili della persona », essa è venuta a delineare i propri rapporti<br />

con l’Organo di giustizia comunitario, ravvisandoli caratterizzati dalla<br />

propria « incompetenza » in tema di « interpretazione della normativa<br />

comunitaria che non risulti di per sé di “chiara evidenza”» nonché di risoluzione<br />

di « contrasti interpretativi insorti . . . in ordine a tale normativa »,<br />

riconosciuti essere di spettanza della Corte di Giustizia delle Comunità<br />

europee ( 224 ). Mentre ha reclamato come a sé riservata una funzione essenzialmente<br />

di « controllo costituzionale di suprema garanzia della osservanza<br />

della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali<br />

dello Stato e di quelli delle regioni » ( 225 ).<br />

( 223 ) In tal senso v. Cartabia, Nuovi sviluppi nelle « competenze comunitarie » della Corte<br />

Costituzionale, in nota a Corte cost., 21 aprile 1989, n. 232, in Giur. cost., 1989, I, p. 1016.<br />

( 224 ) V. Corte cost., 18 dicembre 1995, n. 509, in Foro it., 1996, I, c. 783 ss., con nota di<br />

Barone, Corte costituzionale e diritto comunitario: vecchie questioni e nuovi interrogativi e in<br />

Giust. civ., 1996, I, p. 647 ss e in Giur. cost., 1995, p. 4306 ss. e in Riv. dir. int. priv. proc., 1997,<br />

p. 397 ss., che [nel confermare quanto già affermato da Corte cost., 18 aprile 1991, n. 168, in<br />

Giur. cost., 1991, p. 1409 ss., con nota di Sorrentino, Delegazione legislativa e direttive comunitarie<br />

direttamente applicabili e in Foro it., 1992, I, c. 660 ss., con nota di Daniele, Corte<br />

Costituzionale e direttive comunitarie e in Giur. it., 1992, I, 1, c. 1652 ss., con nota di Celotto,<br />

Un ulteriore passo in avanti nell’affermazione della plusvalenza del diritto comunitario<br />

(Considerazioni in margine alla sentenza 18 aprile 1991, n. 168 della Corte costituzionale) e in<br />

Rass. avv. stato, 1991, I, p. 1, con nota di Sclafani e in Riv. dir. fin., 1992, II, p. 85 ss., con nota<br />

di Fregni, Sulla diretta applicabilità delle direttive comunitarie nell’ordinamento tributario<br />

italiano e in Giur. imposte, 1991, II, p. 761 ss., con nota di Pennella, Norme comunitarie ed<br />

effetti sulla legislazione nazionale e in Giust. civ., 1991, p. 109 ss. e in Riv. not., 1991, II, p. 1396<br />

ss.], ha sottolineato come l’interpretazione della Corte di Giustizia assuma « forza vincolante<br />

per tutti gli Stati membri », dovendo pertanto essere « certa ed affidabile » ed assicurare<br />

« l’effettiva (e non già ipotetica e comunque precaria) rilevanza e non manifesta infondatezza<br />

del dubbio di legittimità costituzionale circa una disposizione interna nel rapporto<br />

con un parametro di costituzionalità risenta, direttamente o indirettamente, della portata<br />

della disposizione comunitaria ».<br />

( 225 ) Per la diversa soluzione dei rapporti con la Corte di giustizia prospettata dalla Corte<br />

Costituzionale tedesca con sentenza del 12 ottobre 1993 v. Donati, Diritto comunitario e<br />

sindacato di costituzionalità, Milano, p. 279 ss.; Cannizzaro, Principi fondamentali della Costituzione<br />

e Unione europea. A proposito della sentenza della Corte costituzionale tedesca del<br />

12 ottobre 1993, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1994, p. 1171.


SAGGI 847<br />

Orientamento che è stato condiviso anche dalla Corte di Cassazione<br />

( 226 ).<br />

Dubbia appare peraltro al riguardo la persistente validità dell’argomento<br />

formale (circa la natura di atto avente forza di legge) a suo tempo<br />

utilizzato da Corte Cost. n. 183 del 1973 ( 227 ), risalendo la relativa formulazione<br />

ad epoca anteriore alla stessa istituzione dell’U.E. con il Trattato di<br />

Maastricht del 1992.<br />

Superato si profila per altro verso l’argomento dalla Corte Costituzionale<br />

pure utilizzato per escludere il proprio potere di sindacato « diretto »<br />

delle singole fonti e disposizioni (regolamentari e non) comunitarie, sostanziantesi<br />

nell’inconfigurabilità di una violazione dei principi fondamentali<br />

dell’ordinamento costituzionale nazionale, e più generalmente dei diritti<br />

inalienabili della persona, da parte di organi comunitari aventi competenza<br />

legislativa in « materie concernenti i rapporti economici », oggetto di<br />

« riserva di legge » o di « rinvio alla legge », rispetto alle quali « le precise e<br />

puntuali disposizioni del Trattato forniscono sicura garanzia » ( 228 ), atteso<br />

che sin dall’istituzione dell’U.E. con il Trattato di Maastricht del 1992 l’azione<br />

comunitaria, e le relative competenze degli organi comunitari, hanno<br />

non più valenza meramente economica bensì senz’altro anche politica.<br />

Alla stregua del sopra riportato orientamento della Corte Costituzionale<br />

si era del resto in dottrina già sottolineato rimanere « insoluto » l’interrogativo<br />

più pressante in argomento: « cosa succederebbe nel caso in<br />

cui una norma comunitaria violasse i cd. controlimiti, fosse cioè lesiva dei<br />

ripetuti principi? » ( 229 ).<br />

Sulla problematica della legittimità della fonte regolamentare di diritto derivato in riferimento<br />

alla Costituzione italiana, e per il richiamo alla dottrina dei cd. controlimiti, v. Amoroso,<br />

La giurisprudenza costituzionale nell’anno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario<br />

e ordinamento nazionale: verso una « quarta » fase?, in Foro it., 1996, V, c. 86 ss.<br />

( 226 ) V. Cass., 18 febbraio 2000, n. 1858: « A norma dell’art. 134 Cost., il sindacato di costituzionalità<br />

è ammesso solo nei confronti di atti aventi forza di legge, quali non sono i regolamenti<br />

comunitari, che, pertanto, non possono essere censurati innanzi alla Corte Costituzionale<br />

in via diretta, senza il tramite della legge di esecuzione del Trattato istitutivo<br />

della CEE, che attribuisce competenza normativa ai rispettivi organi, e in ogni caso si rende<br />

ammissibile solo in relazione alla prospettazione della violazione dei principi fondamentali<br />

dell’ordinamento costituzionale nazionale, o di diritti inalienabili della persona<br />

umana, che il giudice delle leggi deve salvaguardare anche rispetto all’applicazione del diritto<br />

comunitario (Corte cost. n. 183 del 1973 e n. 509 del 1995) ».<br />

( 227 ) In tal senso cfr. Bianca, op. loc. citt.<br />

( 228 ) Così Corte cost., 27 dicembre 1973, n. 183, cit.<br />

( 229 ) Così Barone, in nota a Cass., 29 dicembre 1995, n. 536, in Foro it., 1996, I, c. 785<br />

ss., ivi alla c. 787.


848 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Secondo lo schema a suo tempo delineato dalla Corte Costituzionale<br />

risulta invero necessario anzitutto adìre la Corte di Giustizia, mentre la<br />

possibilità di rivolgersi alla Corte Costituzionale consegue solamente nel<br />

caso di pronunzia “insoddisfacente” di tale Organo.<br />

Rimane aperta peraltro la questione in ordine a quale siano l’oggetto, la<br />

portata e i limiti dell’intervento della Corte Costituzionale in tali ipotesi.<br />

Una declaratoria d’incostituzionalità della norma regolamentare limitatamente<br />

alla sua efficacia nell’ordinamento italiano, quand’anche configurabile,<br />

non risulterebbe infatti risolutiva al riguardo.<br />

Anche la possibilità di far valere la lesione delle garanzie costituzionali<br />

del contraddittorio e del diritto di difesa integrata da decisioni emesse<br />

all’estero nella contumacia involontaria del convenuto sotto il profilo<br />

della violazione del limite dell’ordine pubblico ( 230 ) rimane infatti preclusa<br />

laddove non vi è luogo a giudizio di delibazione e le decisioni giudiziarie<br />

sono direttamente applicabili ( 231 ), come quelle emesse in relazione<br />

a crediti non contestati in materia civile e commerciale (cd. small<br />

claims) di cui al Regolamento (CE) n. 805 del 2004 [particolare rilievo al<br />

riguardo assumendo l’ipotesi in cui la domanda giudiziale sia stata notificata<br />

al convenuto debitore mediante mero deposito nella cassetta del-<br />

( 230 ) Il controllo sulla congruità del termine in argomento va tenuto distinto da quello<br />

da effettuarsi dal giudice della deliberazione o dell’exequatur ex art. 27, n. 2 Reg. n. 1348 del<br />

2000: v. Corte CE, 15 luglio 1982, C-228/81.<br />

In argomento cfr. Giacalone, Il Regolamento CE n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale<br />

e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale (cd. Bruxelles I), cit., p.<br />

89 ss.<br />

Al controllo in argomento non sono invece sottratte le decisioni in tema di divorzio,<br />

separazione personale e annullamento di matrimonio di cui al citato Regolamento n. 2201<br />

del 2003 in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. L’art. 22 esclude infatti<br />

espressamente il riconoscimento della decisione emessa in contumacia, ovvero quando la<br />

domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto<br />

contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che<br />

sia stato accertata l’inequivoca accettazione da parte del convenuto medesimo della decisione.<br />

E l’art. 37 indica, tra i documenti da depositarsi dalla parte che chiede o contesta il riconoscimento,<br />

l’originale o una copia autenticata dell’atto comprovante che la domanda<br />

giudiziale o l’atto equivalente è stato notificato o comunicato al contumace.<br />

( 231 ) Tanto più alla stregua dell’operare della litispendenza di cui alla Convenzione di<br />

Bruxelles del 27 settembre 1968, ed ora al Regolamento n. 44 del 2001, che contempla il<br />

principio dell’automatico riconoscimento delle decisioni (anche passate in giudicato) emesse<br />

in uno Stato membro laddove non vi sia contestazione nel riconoscimento od opposizione<br />

all’esecuzione.


SAGGI 849<br />

le lettere di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 14, comma 1°, lett. c)] ( 232 ).<br />

Sintomatica conferma discende in vero dall’art. 28 del citato Regolamento<br />

n. 805 del 2004, ove si indica espressamente che le notificazioni<br />

debbono essere effettuate in conformità con quanto al riguardo disposto<br />

dal regolamento n. 1348 del 2000.<br />

In base ai Considerando 13 e 14 risultano invero escluse dal campo di<br />

applicazione le decisioni emesse ai sensi dell’art. 19, comma 2, del Regolamento<br />

sulla trasmissione degli atti, essendo tale disposizione basata su<br />

una fictio iuris che contrasta con i cd. minima standards di cui al Capo III<br />

del regolamento n. 805, e cioè quelle norme che garantiscono la conformità<br />

tra l’ordinamento processuale dello Stato di origine e le regole processuali<br />

dettate al citato Capo III, a garanzia della corretta instaurazione<br />

del contraddittorio ( 233 ).<br />

La fondatezza delle suesposte perplessità proprio da tali Considerando<br />

rimane allora per tabulas confermata.<br />

In ragione della natura del medesimo, l’eccezione ivi contemplata non<br />

( 232 ) V. il Programma di misure relative all’attuazione del principio del riconoscimento<br />

reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale, che prevede, per la prima fase, la<br />

soppressione dell’exequatur e la conseguente istituzione di un titolo esecutivo europeo per i<br />

crediti non contestati, in G.U.C.E., L 12, 15 gennaio 2001, in base al quale è stato emanato<br />

il Regolamento (CE) n. 805 del 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile<br />

2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati in materia civile<br />

e commerciale, in G.U.C.E., L 143, 30 aprile 2004, in vigore dal 21 gennaio 2005 e sarà applicabile<br />

dal 21 ottobre 2005, consentendo di procedere all’esecuzione forzata nello Stato<br />

membro (ad eccezione della Danimarca) dell’esecuzione senza che sia necessaria una dichiarazione<br />

di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento (art. 5).<br />

Il Regolamento si applica alle decisioni giudiziarie, alle transazioni giudiziarie e agli atti<br />

pubblici aventi ad oggetto crediti non contestati e alle decisioni pronunciate in seguito a<br />

impugnazioni di decisioni giudiziarie, transazioni giudiziarie e atti pubblici, certificati come<br />

titoli esecutivi europei (Settimo Considerando).<br />

La nozione di « credito non contestato » comprende tutte le situazioni in cui un creditore,<br />

tenuto conto dell’assenza accertata di contestazione da parte del debitore in ordine alla<br />

natura o all’entità del debito, ha ottenuto o una decisione giudiziaria contro quel debitore<br />

o un documento avente efficacia esecutiva che richieda l’esplicito consenso del debitore<br />

stesso, sia esso una transazione giudiziaria o un atto pubblico (Quinto Considerando).<br />

L’assenza di contestazioni da parte del debitore, come descritta dall’articolo 3, paragrafo<br />

1, lettera b), può assumere la forma di mancata comparizione in un’udienza davanti al<br />

giudice o mancata osservanza dell’invito di un giudice a notificare l’intenzione di difendere<br />

la propria causa per iscritto (Sesto Considerando).<br />

( 233 ) Il rispetto dei minima standards assume decisivo rilievo in quanto su questi ultimi<br />

si fonda il sistema di controllo preventivo che consente la circolazione delle decisioni giudiziarie<br />

prescindendo dal controllo “ex post” mediante exequatur.


850 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

vale a scalfire la precettività della regola posta dal testo normativo ( 234 ).<br />

Ove risultasse confermato l’avviso della Corte Costituzionale in ordine<br />

alla configurabilità di un suo potere di sindacato meramente « indiretto<br />

» della norma comunitaria viziata ( 235 ), verrebbe invero a risultarne un<br />

quadro nel quale l’intrapresa di un’iniziativa di modifica legislativa della<br />

fonte comunitaria, con tutte le difficoltà e le implicazioni che essa a sua<br />

volta comporta, paradossalmente si profilerebbe come soluzione addirittura<br />

più immediata ed attuabile di quella, sostanzialmente impercorribile,<br />

rappresenta dalla via giudiziaria ( 236 ).<br />

19. – In presenza di una « decisione » emessa nei confronti di un convenuto<br />

non comparso, il giudice, sussistendo le condizioni di cui all’art.<br />

19, comma 4, Reg., può rimettere il medesimo in termini ai fini della relativa<br />

impugnazione qualora: a) questi dimostri di non avere avuto conoscenza,<br />

per causa a sé non imputabile, dell’atto in tempo utile per difendersi<br />

e della decisione per impugnarla; b) il motivo d’impugnazione non<br />

appaia del tutto infondato ( 237 ).<br />

Il secondo requisito condizionante ingenera invero forti perplessità,<br />

( 234 ) La natura non precettiva dei Considerando che precedono il corpo normativo in<br />

cui si articola la fonte di diritto comunitario è stata ripetutamente sottolineata dalla stessa<br />

Commissione, come ad esempio in occasione della procedura d’infrazione promossa contro<br />

l’Italia per il non corretto recepimento della Direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive<br />

nei contratti dei consumatori: al riguardo v. la Contestazione della CE per l’applicazione della<br />

direttiva sulle clausole abusive: si apre una querelle, in Corriere giur., 1998, p. 844, con commento<br />

di V. Carbone, il quale (ivi, 850) osserva: « La norma comunitaria è contraddistinta<br />

dalla presenza di consideranda, o meglio da un’apposita motivazione che precede il testo<br />

normativo. . . che. . . tende a spiegare il precetto contenuto nel dictum »; Plaia, La procedura<br />

di infrazione 98/2026 ex art. 169 Trattato Cee per non conformità della legge italiana alla direttiva<br />

sulle clausole abusive: rilievi critici alla luce di una recente ordinanza del tribunale di<br />

Roma, in nota a Trib. Roma, 24 dicembre 1997, in Europa e dir. priv., 1998, p. 929 ss.<br />

In giurisprudenza v. Cass., 11 gennaio 2001, n. 314, in Corriere giur., 2001, p. 891 ss., con<br />

nota di Conti, La fideiussione rispetto alle clausole vessatorie.<br />

( 235 ) In tal senso cfr. Barone, op. loc. citt.<br />

( 236 ) Analogamente dicasi avuto riguardo alla violazione, del pari dall’art. 19 Reg. prospettata,<br />

in tema di rimessione in termini: v. infra al § 19.<br />

( 237 ) A tale stregua la disciplina non coincide con quella interna posta dall’art. 327 c.p.c.<br />

ma è più ampia, prescindendo dalla necessità di una ipotesi di nullità della notificazione. In<br />

tal senso cfr. Panzarola, op. cit., p. 1188; Ciaccia Cavallari, op. cit., p. 351 ss, ivi alla p.<br />

353 ss.<br />

Sottolinea altresì la difficoltà per il convenuto di dare la prova del fatto negativo della<br />

“mancata conoscenza” Frigo, La disciplina comunitaria della notificazione degli atti in materia<br />

civile e commerciale: il Regolamento (CE) n. 2348/2000, cit., p. 115 ss., ivi alla p. 147.


SAGGI 851<br />

comportando la possibilità della negazione della rimessione in termini<br />

pure se il convenuto abbia fornito la prova della non imputabilità a propria<br />

colpa della mancata tempestiva conoscenza dell’esistenza del processo,<br />

o che sia stata emessa una decisione giudiziale nei suoi confronti.<br />

Negazione rimessa invero ad una valutazione meramente discrezionale<br />

del giudice a tale stregua profilandosi una soluzione senz’altro non rispondente<br />

ad esigenze di certezza ed unitarietà di applicazione, tanto più<br />

in considerazione del contesto allargato di Stati di cui l’U.E. si compone,<br />

e della mancanza di una regolamentazione unitaria od omogenea o<br />

(quantomeno) sufficientemente allineata in materia.<br />

Vale porre nel dovuto rilievo che alla contumacia è nel sistema italiano<br />

generalmente attribuito il valore di mero atteggiamento processuale,<br />

da cui non può desumersi significato alcuno in termini di prova della fondatezza<br />

dell’avversaria domanda, lasciando essa impregiudicato il substrato<br />

di contrapposizione tra le parti, e non potendo essere pertanto intesa, al<br />

contrario di quanto nella gran parte degli altri Stati membri nel sistema<br />

italiano avviene, in termini di cd. ficta confessio ( 238 ).<br />

Come già evidenziato in relazione all’analoga previsione di cui all’art.<br />

16, lett. b), Conv. Aja 1965, la ragione del presupposto in questione è emblematicamente<br />

ravvisata nell’esigenza di « consentire la proposizione<br />

dell’impugnazione, altrimenti impedita », solamente qualora, attesa<br />

l’infondatezza dei motivi, rimanga escluso che essa « possa condurre a risultati<br />

diversi da quelli già ottenuti in forza del giudicato ». Ciò in quanto<br />

( 238 ) V. Cass., 20 febbraio 2006, n. 3601; Cass., 19 agosto 2003, n. 12184; Cass., 11 luglio<br />

2003, n. 10948; Cass., 11 luglio 2003, n. 10947; Cass., 6 febbraio 1998, n. 1293; Cass., 2 luglio<br />

1992, n. 5919; Cass., 2 marzo 1996; Cass., 9 dicembre 1994, n. 10554; Cass., 11 aprile 1985, n.<br />

2410; Cass., 17 maggio 1982, n. 3056; Cass., 27 aprile 1964, n. 1010.<br />

Per l’affermazione secondo cui la mera difformità rispetto all’ordinamento interno delle<br />

norme che nel sistema straniero disciplinano l’onere della prova ed il libero convincimento<br />

del giudice non comporta alcuna violazione dell’ordine pubblico italiano, sicché può<br />

essere delibata la sentenza straniera che, in applicazione del principio vigente in quello Stato<br />

e per il quale il giudice può, ove il convenuto diserti il giudizio, considerare provati i fatti<br />

posti dall’attore a base della sua domanda, ed accogliere la domanda v. peraltro Cass., 22<br />

marzo 2000, n. 3365, in Giur. it., 2000, p. 1786.<br />

In dottrina v. Comoglio, op. ult. cit., p. 12: «. . . l’evoluzione storica della vocatio in ius,<br />

trasformatasi da originaria “coazione” (Einlassungszwang) in una mera facoltà di costruzione<br />

e di difesa attiva del vocatus, parrebbe trovare un armonico sbocco negli schemi statici e<br />

negativi di un diritto fondamentale di libertà, respingendo a priori un’idea di “effettività”<br />

che di quella “coazione” sia, o voglia essere, un doppione non più credibile »; V. Colesanti,<br />

op. cit., p. 585.


852 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

la « tutela offerta dalle disposizioni si giustifica » ove « alla soccombenza<br />

del contumace involontario si accompagni la presumibile utilità derivante<br />

dall’esercizio del diritto di impugnativa » ( 239 ).<br />

Orbene, nell’ordinamento italiano al contumace involontario l’impugnazione<br />

non rimane, ai sensi dell’art. 327, 2° comma, c.p.c., invero preclusa,<br />

ben potendo interporla anche oltre il termine annuale di decadenza ( 240 ).<br />

La negazione del diritto d’impugnare un provvedimento di condanna<br />

o comunque sfavorevole pur avendo provato, assolvendo agli oneri imposti<br />

dall’art. 19 Reg., trattarsi di contumacia involontaria, non corrispondente<br />

quindi ad una scelta in ordine al comportamento processuale da mantenere<br />

né ascrivibile a propria colpa, prospetta allora un ulteriore profilo<br />

( 241 ) di illegittimità costituzionale dell’art. 19 Reg., per violazione dei diritti<br />

fondamentali di uguaglianza ex art. 3 Cost. e di difesa in giudizio ex art.<br />

24 Cost. ( 242 ).<br />

Trattasi di un aspetto che consente di cogliere e significativamente apprezzare<br />

la rilevanza ed il significato del passaggio da una regolamentazione<br />

di fonte pattizia ad una disciplina normativa di fonte regolamentare<br />

comunitaria.<br />

La cui soluzione urgentemente ed imprescindibilmente si impone ( 243 ).<br />

( 239 ) Così Ciaccia Cavallari, op. cit., p. 355.<br />

( 240 ) Non appare potersi pertanto in contrario utilmente evocare il principio affermato<br />

da Cass., 29 novembre 1999, n. 13315 secondo cui anche nell’ordinamento italiano talvolta<br />

sono ritenute sufficienti formalità che non assicurano la conoscenza effettiva dell’atto da<br />

parte del destinatario ma solo la sua conoscibilità, richiamandosi al riguardo anche l’art.<br />

327, 1° comma c.p.c., giacché quest’ultimo appunto consente al convenuto non volontariamente<br />

rimasto contumace di proporre impugnazione, mentre il regolamento ciò appunto<br />

nega.<br />

V. supra al § 18.<br />

( 241 ) Al riguardo v. anche supra al § 18.<br />

( 242 ) In ordine alla considerazione del diritto d’impugnare quale componente essenziale<br />

ed insopprimibile del diritto di difesa v. Corte cost., 30 gennaio 1986, n. 17, in Foro it.,<br />

1986, I, c. 313 ss., con nota di Proto Pisani, La Corte Costituzionale estende la revocazione<br />

per errore di fatto ex art. 395, n. 4, alle sentenze della Cassazione; in Giust. civ., 1986, I, p. 942<br />

ss., ed ivi, 1987, I, p. 250 ss., con nota di Nicotina, Sulla revocabilità delle sentenze della Corte<br />

di cassazione.<br />

Per il rilievo secondo cui « a livello europeo le impugnazioni civili non sono neppure<br />

menzionate tra le garanzie fondamentali e sono sostanzialmente avversate nelle raccomandazioni<br />

ufficiali » v. peraltro Cipriani, op. cit., p. 995.<br />

( 243 ) Peraltro nulla al riguardo è stato dalla Commissione segnalato nella prima Relazione<br />

ex art. 24 Regolamento n. 1348, e conseguentemente nulla reca il Progetto di Regolamento<br />

di modifica di tale fonte.


SAGGI 853<br />

20. – Il Regolamento n. 1348 del 2000 non introduce in effetti alcun<br />

procedimento di notificazione e comunicazione di atti giudiziari ed extragiudiziali<br />

diverso da quelli in precedenza già conosciuti e previsti sia dall’ordinamento<br />

comunitario che da quello italiano.<br />

La « comunitarizzazione » della disciplina (meramente) convenzionale,<br />

anche ove rimasta formalmente inalterata nel tenore testuale, non risulta<br />

peraltro priva di rilievo.<br />

Le difficoltà e le aporie emerse anche nel corso della negoziazione della<br />

Convenzione del 1997 e di adozione del Regolamento del 2000, nel riflettere<br />

disomogeneità e differenze di fondo tra i diversi ordinamenti degli<br />

Stati membri, si rivelano come un serio ostacolo al perseguimento se<br />

non dell’omogeneità quantomeno di un accettabile grado di allineamento<br />

delle discipline dei singoli Stati membri. Trovando sintomatica e preoccupante<br />

conferma anche nelle (troppo) numerose deroghe ed opposizioni<br />

comunicate dagli Stati membri in ordine a questioni che rivestono in materia<br />

rilievo fondamentale, quali la data della notificazione o comunicazione;<br />

le modalità consentite di notificazione per posta; le lingue accettate<br />

per la redazione del certificato di notificazione o comunicazione o per<br />

la redazione dell’atto da notificarsi o comunicarsi; la mancata comparizione<br />

e la mancata costituzione del convenuto in giudizio ( 244 ).<br />

Emerge evidente, a tale stregua, come financo l’adozione del Regolamento<br />

si sia rivelata in realtà inidonea al conseguimento di quell’omogeneità,<br />

coerenza e certezza di disciplina che ne hanno specificamente fondato<br />

l’adozione ( 245 ).<br />

Il riesame della disciplina in argomento ( 246 ) ai sensi dell’art. 24 Reg. si<br />

( 244 ) Cfr. Frigo, op. ult. cit., p. 131 ss., ivi alla p. 132, il quale pone in rilievo come, nell’esercitare<br />

la facoltà di deroga, molti Stati siano pervenuti in concreto a riformulare molte<br />

norme del Regolamento, secondo un modello assimilabile alle cd. riserve interpretative dagli<br />

stati apposte in sede di firma, ratifica o esecuzione dei Trattati internazionali.<br />

( 245 ) Con riferimento all’« equivalenza della tutela giurisdizionale dell’Unione », nel<br />

senso che essa si profila « più che mai » come un « obiettivo da raggiungere », laddove in<br />

materia di notificazione all’estero « si accetta che il contraddittorio possa dirsi perfezionato<br />

senza la minima prova di un qualunque collegamento fattuale fra l’atto e il destinatario, in<br />

condizioni che non è azzardato qualificare di notificazione inesistente » v. Biavati, op. cit.,<br />

p. 526 ss., ivi alla p. 528.<br />

( 246 ) In particolare in tema di: efficienza degli organi mittenti e riceventi designati ex<br />

art. 2; ruolo di tramite tra questi svolto dall’Autorità centrale ex art. 3, lett. c), Reg.; momento<br />

di perfezionamento della notificazione o comunicazione dell’atto per il mittente ed<br />

il destinatario ex art. 9 Reg.; violazione del contraddittorio e del diritto di difesa del contumace<br />

involontario.<br />

Alcuni di tali aspetti risultano essere stati in effetti presi in considerazione nella prima


854 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

offre allora quale importante e forse unica sede per proseguire nella comune<br />

riflessione e porre le basi per l’intrapresa delle iniziative necessarie<br />

in vista dell’adozione di soluzioni che, nel rafforzare la cooperazione e nel<br />

favorire il superamento delle ancora troppo accentuate differenze e distanze<br />

tra gli ordinamenti nazionali dei singoli Stati membri dell’U.E.,<br />

consentano di progredire nella delineata ed auspicata direzione della costruzione<br />

di un sistema, nell’ambito di un comune spazio di libertà, sicurezza<br />

e giustizia.<br />

Relazione ex art. 24 Regolamento n. 1348 presentata dalla Commissione e costituire conseguentemente<br />

oggetto del Progetto di Regolamento di modifica di tale fonte, di cui si attende<br />

ora il positivo compimento quale primo significativo miglioramento della disciplina regolamentare<br />

in materia.


ANDRÈ JANSSEN (*)<br />

La restituzione dei pagamenti fatti agli «Schenkkreise » tedeschi<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le fattispecie giustiziate dal BGH. – 3. Le valutazioni<br />

giuridiche contenute nelle due sentenze (letteralmente identiche) del BGH. – 3.1.<br />

I presupposti della condictio indebiti secondo il § 812, comma 1°, periodo 1°, alternativa<br />

1 a , BGB. – 3.2. L’impedimento alla condictio di cui al § 817, periodo 2°, BGB<br />

nell’ipotesi d’immoralità bilaterale. – 4. In sintesi.<br />

1. – Negli ultimi anni i tribunali tedeschi hanno dovuto fronteggiare<br />

un numero crescente di cause dirette alla restituzione di pagamenti eseguiti<br />

all’interno dei c.d. “Schenkkreise” (o « circoli dei donatori »), diffusi<br />

in Germania in maniera capillare ed il cui danno politico-economico è<br />

enorme ( 1 ). Si tratta per lo più di sistemi « a palla di neve » o « a piramide<br />

», costruiti gerarchicamente su quattro livelli ( 2 ). I partecipanti del livel-<br />

(*) Il presente contributo è stato redatto nell’ambito del sodalizio di ricerca «Uniform<br />

Terminology for European Private Law », finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito<br />

del “Programma-TMR” («Training and Mobility of Researchers »). Membri del sodalizio sono<br />

le Università di Barcellona (sede centrale), Lione, Münster, Nijmegen, Oxford, Torino e<br />

Varsavia. Per la traduzione di questo contributo l’autore ringrazia vivamente il dott. Edoardo<br />

Ferrante.<br />

( 1 ) Cfr. fra gli altri (in progressione cronologica): Amtsgericht Güterslohn, 21 novembre<br />

2003 – 14 C 553/03; Amtsgericht Köln, 18 febbraio 2004 – 112 C 551/03 (consultabile anche<br />

in www.nrwe.de); Amtsgericht Springe, 19 marzo 2004 – 4 C 101/04 (III); Landgericht Bielefeld,<br />

21 aprile 2004 – 22 S 300/03 (consultabile anche in www.nrwe.de), decisione in grado<br />

d’appello rispetto a quella dell’Amtsgericht Güterslohn; Amtsgericht Altenkirchen, 27 maggio<br />

2004 – 71 C 28/04; Landgericht Bonn, in NJW-RR, 2005, p. 490; Landgericht Freiburg, in<br />

NJW-RR, 2005, p. 491; Oberlandesgericht Köln, 9 novembre 2004 – 24 U 125/04 (consultabile<br />

anche in www.nrwe.de), decisione ai sensi del § 522, comma 1°, periodo 2°, ZPO in merito<br />

alla sentenza del Landgericht Bonn; Oberlandesgericht Köln, in NJW, 2005, p. 3290;<br />

Landgericht Bonn, 23 giugno 2005 – 6 S 220/04 (consultabile anche in www.nrwe.de).<br />

( 2 ) Il problema dei piani d’investimento diagrammatici, che sono stati istituiti sulla base<br />

di questi sistemi e che conseguentemente conducono, dal punto di vista pratico e di tutta<br />

necessità, ad una perdita finanziaria dei nuovi partecipanti, non è nuovo e già fece la sua<br />

apparizione alcuni anni fa sotto la forma di sistemi di giuoco, come il “Life-Spiel” (Oberlandesgericht<br />

Celle, in NJW, 1996, p. 2660), il “World-Trading-System” (Bundesgerichtshof, in<br />

NJW, 1997, p. 2314) o di giuochi di carattere computeristico, come il «Countdown 3000 »<br />

(Oberlandesgericht Bamberg, in NJW-RR, 2002, p. 1393). I sistemi che ora, sotto nuove vesti,<br />

vengono denominati “Schenkkreise” attraggono sempre nuovi concorrenti soprattutto


856 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

lo più basso pagano somme di denaro che, a seconda del giuoco, possono<br />

variare da 100 a 5.000 euro, ai partecipanti del primo livello, i quali subito<br />

dopo escono dal circolo ( 3 ). Coloro i quali effettuano i pagamenti salgono<br />

allora di un livello, ma sono tenuti, dal canto loro, a procacciare nuovi<br />

partecipanti per il livello sottostante. Ciò significa che, dopo ogni tornata<br />

di giuoco, per ciascun beneficiario devono essere reperiti in media otto<br />

nuovi pagatori. Il numero dei nuovi pagatori che devono essere reclutati<br />

aumenta dunque in misura esponenziale con la durata del «Schenkkreis ».<br />

Questo porta con sé, che solo i fondatori di questi circuiti raggiungono sicuri<br />

profitti, mentre i partecipanti a seguire, a fronte del grande numero di<br />

giuocatori che devono essere coinvolti, non vantano pressoché alcuna opportunità<br />

realistica di procurarsi un vantaggio ed anzi, all’opposto, perdono<br />

di tutta necessità il loro contributo ( 4 ). Un nuovo partecipante, che abbia<br />

già pagato, mantiene una qualche possibilità di diventare, un giorno,<br />

« beneficiario », soltanto se trovi lui stesso molte nuove vittime.<br />

Nella casistica sottoposta alle cure della giurisprudenza le vittime,<br />

molte delle quali unitesi nel frattempo in gruppi di danneggiati ( 5 ), domandano<br />

la restituzione del contributo rispettivamente pagato ai partecipanti<br />

posti sopra di loro nella piramide. Mentre alcuni Tribunali hanno rigettato<br />

la pretesa alla restituzione delle somme versate ( 6 ), altri hanno viceversa<br />

accolto le azioni delle vittime e consentito loro di ottenere la restituzione<br />

del denaro ( 7 ). Questa contraddittorietà di giudicati ha condotto<br />

in Germania ad una notevole incertezza del diritto. Ne venne dunque<br />

chiamato in causa il Tribunale Federale (BGH), il quale, in due decisioni<br />

letteralmente identiche del 10 novembre 2005, si schierò dalla parte delle<br />

vittime, acconsentì alla domanda di restituzione del denaro e pose fine<br />

perché questi devono provare la sensazione di essere non più meri partecipanti ad un giuoco,<br />

bensì membri di una particolare comunità (cfr. in tema anche Goerth, Anmerkung zu<br />

OLG Köln, 6 maggio 2005, 20 U 129/04, in VuR, 2006, p. 75).<br />

( 3 ) Cfr. inoltre, per la disamina dell’intera questione, la documentazione molto utile<br />

che trovasi su www.mlm-beobachter.de/mlm/schenkkreise.htm, nonché su www.schenkkreise.org.<br />

( 4 ) Così alla decima tornata di giuoco devono essere reclutati già 4.096 partecipanti ed<br />

alla ventesima persino più di 4.000.000: cfr. sul punto anche Lorenz, Keine Kondiktionssperre<br />

nach § 817 S. 2 BGB, in LMK, 2006, n. 164413.<br />

( 5 ) Come ad esempio la Interessengemeinschaft der Schenkkreisgeschädigten (I.G.S.G.),<br />

fondata nel 2003.<br />

( 6 ) Cfr. in tal senso, fra le altre, Landgericht Freiburg, in NJW-RR, 2005, p. 491, od anche<br />

Oberlandesgericht Köln, in VuR, 2006, p. 73.<br />

( 7 ) Così il solo Landgericht Bonn, in NJW-RR, 2005, p. 490.


SAGGI 857<br />

con ciò ad una contesa che si protraeva ormai da anni ( 8 ). Proprio per il significato<br />

del verdetto ed i problemi dogmatici che vi fanno apparizione,<br />

primo fra tutti il quesito relativo all’ammissibilità della ripetizione dell’indebito<br />

in caso di violazione bilaterale del buon costume secondo il § 817,<br />

comma 2°, BGB ( 9 ), val la pena presentare ed analizzare le decisioni e le<br />

loro motivazioni ( 10 ).<br />

2. – Le fattispecie sottoposte alle decisioni del BGH corrispondono<br />

largamente ai fatti esposti nell’introduzione. Gli attori domandarono il<br />

rimborso di un contributo da loro versato ai convenuti al fine di partecipare<br />

ad uno «Schenkkreis ». Questi circuiti erano organizzati secondo la<br />

struttura di una piramide. I partecipanti al « circolo dei ricettori »<br />

(«Empfängerkreis »), collocati alla sommità, conseguirono dal « circolo dei<br />

datori » («Geberkreis »), loro sottoposto, determinate somme di denaro.<br />

Con ciò i “beneficiari” uscirono dal giuoco ed al loro posto subentrarono<br />

i precedenti “datori”, che in tal modo acquisirono la posizione di ricettori.<br />

Si trattava quindi di reperire partecipanti bastevoli a formare un nuovo<br />

« circolo dei datori » ed il reclutamento era compito dei concorrenti rimasti<br />

nel giuoco come “ricettori”. Nella consapevolezza di questo sistema gli<br />

attori entrarono a far parte di un « circolo di datori » e pagarono ai convenuti,<br />

che con altri avevano occupato il « circolo dei ricettori », la somma di<br />

euro 1.250,00. Evidentemente essi intendevano rimanere nel giuoco ed<br />

essi stessi diventare più tardi “beneficiari”. Solo quando tale speranza<br />

svanì, pretesero la restituzione del denaro dai loro “beneficiari”. Le azioni<br />

conseguenti ebbero successo in tutti e tre i gradi del procedimento.<br />

3. – 3.1. – Nella soluzione dei casi proposti il BGH, senza prendere<br />

una posizione più approfondita circa le possibili pretese contrattuali derivanti<br />

dal « patto di giuoco », s’indirizza direttamente alla pretesa di carattere<br />

restitutorio, vale a dire alla condictio indebiti di cui al § 812, comma 1°,<br />

periodo 1°, alternativa 1 a , BGB ( 11 ). Presupposto di quest’azione di ripeti-<br />

( 8 ) BGH, in NJW, 2006, p. 45.<br />

( 9 ) Tutte le traduzioni quivi riportate del BGB sono tratte da Patti, Codice Civile Tedesco<br />

– Bürgerliches Gesetzbuch, Milano-München, 2005.<br />

( 10 ) Cfr. su questa decisione Lorenz, Keine Kondiktionssperre, cit., n. 164413; Möller,<br />

Leistungskondiktion trotz beidseitiger Sittenwidrigkeit? – Die Einschränkung des § 817 S. 2<br />

BGB durch den BGH, in NJW, 2006, p. 268; K. Schmidt, Anmerkung zu BGH, Urt. v.<br />

10.11.2005 – III ZR 72/05, in JuS, 2006, p. 265.<br />

( 11 ) § 812 BGB Pretesa alla restituzione.


858 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

zione è che l’arricchito, debitore della restituzione, attraverso la prestazione<br />

eseguita da altri, vale a dire dall’impoverito, creditore della restituzione,<br />

abbia conseguito alcunché senza causa ( 12 ). Ora, che i convenuti, mediante<br />

le prestazioni degli attori ( 13 ), avessero acquistato la proprietà ed il<br />

possesso del denaro pagato, è per diritto tedesco del tutto pacifico, né abbisogna<br />

qui d’una qualche ulteriore spiegazione. Non a caso, nella susseguente<br />

disamina dei presupposti fondanti la pretesa, il BGH tratta più da<br />

vicino il semplice quesito, se anche detti presupposti si fossero verificati<br />

« senza causa ». Il Supremo Tribunale civile tedesco, in consonanza all’opinione<br />

del tutto preponderante in giurisprudenza ( 14 ) ed in letteratura ( 15 ),<br />

muove quindi dalla persuasione che, nel caso degli «Schenkkreise », si tratti<br />

di sistemi « a palla di neve » contrari al buon costume e che, proprio per<br />

questa contrarietà, il retrostante contratto di giuoco sia nullo ai sensi del §<br />

138, comma 1°, BGB ( 16 ). Questa contrarietà al buon costume viene argo-<br />

(1) Chi mediante la prestazione di altri o comunque a spese di altri consegue qualcosa<br />

senza ragione giuridica, è obbligato a restituirla. L’obbligazione sussiste anche quando la<br />

ragione giuridica viene meno successivamente ovvero non si realizza il risultato che, secondo<br />

il contenuto del negozio giuridico, è stato perseguito con la prestazione.<br />

(2) Per prestazione si intende anche il riconoscimento contrattuale dell’esistenza o dell’inesistenza<br />

di un rapporto obbligatorio.<br />

In maniera del tutto oculata il BGH non prende qui in considerazione, quale fondamento<br />

della pretesa, il § 817, periodo 1°, BGB, vale a dire l’ipotesi della condictio ob turpem<br />

vel iniustam causam. D’altra parte il suo ambito d’applicabilità è molto limitato. La norma<br />

trova applicazione soprattutto allorché l’oblato violi con l’accettazione un divieto di legge,<br />

senza che però il negozio causale sia nullo (come, ad esempio, nel caso d’accettazione di un<br />

beneficio ai sensi del § 331, comma 1°, Strafgesetzbuch [StGB], ciò che non intacca la validità<br />

della retrostante donazione). Se al contrario il negozio causale è nullo ai sensi del § 134 o<br />

138 BGB, a causa della mancanza di fondamento giuridico, viene già in rilievo il § 812 (cfr.<br />

K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 265; Schulze, in Handkommentar-BGB, Baden-Baden,<br />

2005, § 817 BGB, Rn. 1).<br />

( 12 ) “Alcunché”, nel senso fatto proprio dalla disciplina dell’arricchimento senza causa,<br />

designa qualsivoglia miglioramento della situazione patrimoniale dell’arricchito, debitore<br />

in restituzione (Schulze, in Handkommentar-BGB, cit., § 812 BGB, Rn. 3).<br />

( 13 ) Una “prestazione”, nel senso fatto proprio dalla disciplina dell’arricchimento senza<br />

causa, viene definita come «Jede bewusste und zweckgerichtete Vermehrung fremden Vermögens<br />

»(così il BGH, in BGHZ, 58, 188 ed in WM, 2002, p. 1560).<br />

( 14 ) Cfr. ancora, fra le altre, Landgericht Freiburg, in NJW-RR, 2005, p. 491; Landgericht<br />

Bonn, in NJW-RR, 2005, p. 490; Oberlandesgericht Köln, in VuR, 2006, p. 73.<br />

( 15 ) Cfr. fra gli altri Lorenz, Keine Kondiktionssperre, cit., n. 164413; Möller, Leistungskondiktion<br />

trotz beidseitiger Sittenwidrigkeit?, cit., p. 268; K. Schmidt, Anmerkung, cit., p.<br />

265.<br />

( 16 ) § 138 BGB Negozio giuridico contrario al buon costume; usura.<br />

(1) Un negozio giuridico, che viola il buon costume, è nullo.


SAGGI 859<br />

mentata dal BGH in ragione della circostanza per cui « la grande massa<br />

dei partecipanti – a dispetto dei concorrenti che danno inizio al giuoco, i<br />

quali hanno di mira (per lo più) guadagni sicuri – non può in alcun modo<br />

ottenere un profitto, ma al contrario può soltanto perdere il proprio investimento<br />

»; inoltre il giuoco avrebbe quale unico scopo « sfruttare persone<br />

credulone ed inesperte a vantaggio di alcuni, pochi concorrenti, inducendo<br />

quelle al pagamento del contributo ». Attraverso questa contrarietà al<br />

buon costume di tali «Schenkkreise », da nessuno seriamente contestata, e<br />

la nullità che ne deriva, le prestazioni rese agli arricchiti, debitori delle restituzioni,<br />

risultavano anch’esse prive di causa ai sensi del § 812, comma<br />

1°, periodo 1°, alternativa 1 a , BGB, e per questa ragione si dava una pretesa<br />

restitutoria basata sulla condictio indebiti.<br />

3.2. – A questa pretesa restitutoria, in sé e per sé certamente ammissibile,<br />

non osta il § 762, comma 1°, periodo 2°, BGB, come chiarisce lo stesso<br />

BGH con alcune brevi frasi ( 17 ). Infatti, nel caso di giuoco o scommessa,<br />

questa norma impedisce la domanda restitutoria solo in raccordo a<br />

quanto disposto dal § 762, comma 1°, periodo 1°, BGB, vale a dire quando<br />

ricorra la circostanza per cui un vincolo non sia stato costituito. Se invece<br />

(2) È nullo in particolare un negozio giuridico attraverso cui qualcuno, sfruttando lo<br />

stato di costrizione, l’inesperienza, la mancanza di discernimento o la rilevante debolezza<br />

della volontà di un altro, si lascia promettere o lascia promettere ad un terzo vantaggi patrimoniali<br />

per una prestazione che si pone in evidente sproporzione rispetto alla prestazione.<br />

( 17 ) § 762 BGB Gioco, Scommessa.<br />

(1) Dal gioco e dalla scommessa non nascono obbligazioni. Ciò che è stato prestato a<br />

causa del gioco o della scommessa non è ripetibile come indebito.<br />

(2) Queste disposizioni valgono anche per le pattuizioni con cui la parte perdente, allo<br />

scopo di adempiere un debito di gioco o di scommessa, assume un`obbligazione nei confronti<br />

della parte vincente, in particolare per il riconoscimento del debito.<br />

Il BGH non menziona viceversa il § 814 BGB. Secondo quest’ultimo paragrafo di legge<br />

quanto prestato al fine di adempiere un’obbligazione non può essere ripetuto, fra l’altro,<br />

quando chi abbia eseguito la prestazione sapesse di non esservi tenuto. Nondimeno questa<br />

norma non dovrebbe rivelarsi, all’esito, del tutto pertinente. Infatti, che gli attori all’atto<br />

della prestazione abbiano avuto una positiva cognizione dell’indebito, non è riscontrabile.<br />

Al riguardo non basta infatti la sola conoscenza delle circostanze di fatto, dalle quali discende<br />

la mancanza d’obbligazioni, ma occorre anche che colui il quale esegua la prestazione<br />

abbia ben chiara la situazione giuridica, e dunque sappia ch’egli non deve prestare alcunché.<br />

Al contrario, persino l’ignoranza gravemente colposa della mancanza di un’obbligazione<br />

non conduce ad escludere la pretesa restitutoria (cfr. in tema Schulze, in<br />

Handkommentar-BGB, cit., § 814 BGB, Rn. 2; K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 266).


860 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

l’obbligazione di giuoco, pur sempre idonea a fungere da causa di manutenzione<br />

del vincolo, patisce un diverso vizio fondante la nullità, come ad<br />

esempio la frode nella scommessa, la falsificazione od un motivo d’impugnazione,<br />

il § 762, comma 1°, periodo 2°, BGB non inibisce il diritto alla<br />

restituzione così creatosi, tratto dalla disciplina dell’arricchimento senza<br />

causa o della responsabilità delittuale ( 18 ). Invero, poiché nel caso di specie<br />

i « contratti di giuoco » conclusi erano nulli ai sensi del § 138, comma<br />

1°, BGB, neppure la norma di cui al § 762, comma 1°, periodo 2°, BGB poteva<br />

ostacolare il diritto alla ripetizione.<br />

Profilo più cruciale nelle illustrate sentenze del BGH, così come in altre<br />

pronunzie ( 19 ) e nelle riflessioni dottrinali intorno al problema degli<br />

«Schenkkreise » ( 20 ), è il quesito se sia qui applicabile la clausola d’esclusione<br />

della condictio per l’ipotesi d’immoralità bilaterale, ai sensi del § 817,<br />

periodo 2°, BGB ( 21 ). Secondo la lettera di legge la ripetizione è esclusa,<br />

quando sia colui che presta, sia colui che riceve la prestazione altrui violino<br />

un divieto legale ai sensi del § 134 BGB ( 22 ), od il buon costume, ai<br />

sensi del § 138 ( 23 ). Questa prescrizione, chiara di prim’acchito, è tuttavia<br />

definita da Karsten Schmidt come « una delle regole più enigmatiche e discusse<br />

della disciplina dell’arricchimento » ( 24 ). La stessa ratio della norma<br />

fu per lungo tempo controversa: prima fu intravista nella creazione di una<br />

pena civile ( 25 ), oggi primeggia la tesi della negazione di qualsiasi tutela<br />

( 18 ) Cfr. sul punto anche BGH, in NJW, 1962, p. 1671; Lorenz, Keine Kondiktionssperre,<br />

cit., n. 164413; e K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 266.<br />

( 19 ) Si tratta ancora di Landgericht Freiburg, in NJW-RR, 2005, p. 491; Landgericht<br />

Bonn, in NJW-RR, 2005, p. 490; ed Oberlandesgericht Köln, in VuR, 2006, p. 73.<br />

( 20 ) Cfr. gli stessi Lorenz, Keine Kondiktionssperre, cit., n. 164413; Möller, Leistungskondiktion<br />

trotz beidseitiger Sittenwidrigkeit?, cit., p. 268; K. Schmidt, Anmerkung, cit., p.<br />

265.<br />

( 21 ) § 817 BGB Violazione della legge o del buon costume.<br />

Se lo scopo della prestazione era determinato in mode tale che il ricevente abbia violato<br />

con l’accettazione un divieto di legge ovvero il buon costume, il ricevente è obbligato alla<br />

restituzione. La ripetizione è esclusa quando tale violazione è parimenti imputabile al prestatore,<br />

tranne che la prestazione consistesse nell`assunzione di un`obbligazione; ciò che è<br />

stato prestato in adempimento di tale obbligazione non può essere ripetuto.<br />

( 22 ) § 134 BGB Divieto stabilito dalla legge.<br />

Un negozio giuridico che viola un divieto stabilito dalla legge è nullo se dalla legge non risulta<br />

altrimenti.<br />

( 23 ) Questo non vale soltanto quando la prestazione consistesse nell’assunzione di<br />

un’obbligazione (cfr. il § 817, periodo 2°, frase 2 a , BGB).<br />

( 24 ) K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 265.<br />

( 25 ) RG, in RGZ, 105, 270; BGH, in NJW, 1983, p. 950. Cfr. in tema, anche istruttivo,


SAGGI 861<br />

giuridica nel settore dei negozi immorali ( 26 ). Nondimeno si giunge persino<br />

a dubitare che questa norma possegga davvero un qualche significato<br />

politico-legislativo, ciò che tuttavia non può e non dev’essere approfondito<br />

ulteriormente in questa sede ( 27 ). Inoltre il suo ambito d’applicazione<br />

viene allargato in duplice direzione (c.d. «Ausdehnungstheorie » o « teoria<br />

della dilatazione »): da un lato, l’esclusione della condictio, contrariamente<br />

al nesso sistematico col § 817, periodo 1°, BGB (condictio ob turpem vel<br />

iniustam causam) trova applicazione anche in ordine alla «Leistungskondiktion<br />

» “generale” (o condictio indebiti) di cui al § 812, comma 1°, periodo<br />

1°, alternativa 1 a , BGB. Il BGH, in entrambe le sue pronunzie, non vi<br />

s’addentra, ma implicitamente lo dà per presupposto. Dall’altro, per l’esclusione<br />

del pagamento in restituzione sarebbe sufficiente anche la sola<br />

immoralità della parte che presta, ciò che tuttavia non rilevava nel caso in<br />

esame, caratterizzato dall’immoralità bilaterale ( 28 ).<br />

Questo significativo ampliamento dell’ambito d’applicazione, tuttavia,<br />

ha subito riproposto l’esigenza di nuove restrizioni. Così, senza che il<br />

BGH lo chiarisca espressamente nelle sue decisioni – chiara era d’altra<br />

parte la situazione di fatto – accanto all’obiettiva violazione di legge o del<br />

buon costume, occorre che “colui il quale esegua la prestazione conoscesse<br />

la violazione di legge o del buon costume ovvero si sia precluso questa<br />

conoscenza quantomeno con leggerezza » ( 29 ). Sovente i Tribunali, come<br />

ad esempio il Landgericht di Friburgo ( 30 ), in casi di simile tenore hanno<br />

tentato di cimentarsi nell’applicazione del § 817, periodo 2°, BGB secondo<br />

questo requisito aggiuntivo. Nondimeno, persino quando questa componente<br />

soggettiva sia assolta, essa non conduce all’immediata applicazione<br />

Lorenz, in Staudinger, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch (§§ 812-822), Berlin, 1999,<br />

§ 817 BGB, Rn. 4; e K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 265.<br />

( 26 ) Cfr. in tema, assai istruttivo, Lorenz, in Staudinger, Kommentar zum Bürgerlichen<br />

Gesetzbuch, cit., § 817 BGB, Rn. 4 e 5; e K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 265.<br />

( 27 ) Cfr. sul dibattito in corso Lorenz, in Staudinger, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch,<br />

cit., § 817 BGB, Rn. 4 e 5; K. Schmidt, Anmerkung, cit., p. 265; e Schulze, in<br />

Handkommentar-BGB, cit., § 817 BGB, Rn. 5.<br />

( 28 ) Cfr. sulla « teoria della dilatazione », Lorenz, in Staudinger, Kommentar zum Bürgerlichen<br />

Gesetzbuch, cit., § 817 BGB, Rn. 10; Lorenz, Keine Kondiktionssperre, cit., n.<br />

164413; e Schulze, in Handkommentar-BGB, cit., § 817 BGB, Rn. 6.<br />

( 29 ) Gli impoveriti, creditori delle restituzioni, nel caso di specie non s’erano curati dell’immoralità<br />

di questi “Schenkkreise”, con fare quantomeno incauto: cfr. sul punto BGH, in<br />

NJW, 1994, pp. 187-188; Wendehorst, in Bamberger-Roth-Wendehorst, Kommentar zum<br />

BGB, München, 2003, § 817 BGB, Rn. 16; e Schulze, in Handkommentar-BGB, cit., § 817<br />

BGB, Rn. 8.<br />

( 30 ) Landgericht Freiburg, in NJW-RR, 2005, pp. 492-493.


862 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

della clausola impeditiva della condictio secondo il § 817, periodo 2°, BGB.<br />

Piuttosto il BGH, già in una decisione più risalente, precisò che il § 817,<br />

periodo 2°, BGB costituisce « una norma in sé estranea al diritto civile e<br />

capace di condurre non di rado a risultati incongrui », sicché essa, « in ragione<br />

del suo scopo », doveva essere trattenuta entro margini ben delimitati<br />

( 31 ). Così, in tema di retribuzione del lavoro nero, il Tribunale, richiamando<br />

il principio di buona fede ex § 242 BGB ( 32 ), giunse alla conclusione<br />

che l’impedimento alla condictio, illustrato dal § 817, periodo 2°, BGB,<br />

nell’ipotesi affrontata non trovava applicazione ( 33 ). In questo caso il Tribunale<br />

adopera solo indirettamente quanto prescritto dal § 242 BGB, ed<br />

anzi richiama senza mediazioni lo scopo protettivo della sanzione di nullità<br />

– qui del § 138, comma 1°, BGB – ed al contempo perviene parimenti<br />

all’inapplicabilità del § 817, periodo 2°, BGB. In proposito chiarisce infatti<br />

il Tribunale che l’esclusione della pretesa restitutoria sconfesserebbe lo<br />

scopo di protezione insito nel § 138, comma 1°, BGB, giacché il “giuoco”<br />

non ne verrebbe in alcun modo penalizzato; al contrario, grazie alla prestazione<br />

preliminare quivi praticata, esso ne risulterebbe alfine “legalizzato”<br />

ed i suoi iniziatori sarebbero persino incoraggiati a proseguire, se fosse<br />

consentito loro trattenere le somme di denaro acquisite con metodi immorali<br />

ed indipendentemente dalla nullità degli accordi che preludono al<br />

“giuoco”. Esattamente come nella retribuzione del lavoro nero, campeggia<br />

dunque anche qui il convincimento ultimo che l’applicazione del § 817,<br />

periodo 2°, BGB non debba, né possa condurre a perpetuare una situazione<br />

immorale e quasi ad incentivare un comportamento contrario al<br />

buon costume ( 34 ). Ciò premesso, il BGH conferma la sua giurisprudenza<br />

in maniera fedele.<br />

( 31 ) BGH, in NJW, 1980, p. 452. Cfr. in tema anche Lorenz, in Staudinger, Kommentar<br />

zum Bürgerlichen Gesetzbuch, cit., § 817 BGB, Rn. 10; ID., Keine Kondiktionssperre, cit., n.<br />

164413.<br />

( 32 ) § 242 BGB Prestazione secondo buona fede.<br />

Il debitore è obbligato ad eseguire la prestazione cosi come lo richiede la buona fede, tenuto<br />

conto degli usi del traffico giuridico.<br />

( 33 ) Questo indusse a ritenere che il già lavoratore « in nero », nonostante la violazione<br />

della legge per la lotta al lavoro nero, potesse comunque domandare ai sensi del § 818, comma<br />

1°, periodo 1°, alternativa 1 a , BGB la restituzione del valore che senza causa era pervenuto<br />

al datore. Questo non valeva viceversa, quand’egli, sia pur invalidamente, avesse concordato<br />

– e magari con un qualche compenso, dettato dalle circostanze – che non gli sarebbe<br />

spettata alcuna pretesa di garanzia.<br />

( 34 ) Di esito espressamente contrario – nessuna applicazione del § 817, periodo 2°, BGB<br />

– Oberlandesgericht Köln, in VuR, 2006, p. 73.


SAGGI 863<br />

Le decisioni del BGH sugli «Schenkkreise », poc’anzi esaminate, mostrano<br />

chiaramente che, dietro l’impedimento alla condictio enunciato dal<br />

§ 817, periodo 2°, BGB, deve scorgersi anche un intento di prevenzione<br />

generale, non del tutto ignoto al diritto civile tedesco ( 35 ), e questo offre<br />

ben maggiori elementi per la definizione di risposte convincenti al singolo<br />

caso di specie di quanti non offra la completa negazione di tutela giuridica<br />

( 36 ). Il risultato in oggetto può dunque alfine persuadere: ai concorrenti<br />

degli «Schenkkreise » non è consentito confidare nella possibilità di<br />

trattenere i versamenti ottenuti, ma al contrario essi devono continuamente<br />

tenere in conto l’eventualità dell’altrui pretesa restitutoria, cosicché<br />

vien meno un considerevole incentivo alla partecipazione a questi<br />

giuochi ( 37 ). Indubbiamente il fatto che l’esito argomentativo od il procedimento<br />

logico del BGH vada ad alterare la norma di cui al § 817, periodo<br />

2°, BGB, nonostante la sua nitida formulazione – le si accorda infatti un<br />

contenuto almeno in parte deviante rispetto al suo esplicito tenore letterale<br />

– potrebbe destare perplessità, ma in un sistema giuridico complesso<br />

nemmeno può dirsi sempre scongiurabile ( 38 ). Piuttosto dottrina e giurisprudenza<br />

sono chiamate, ciascuna dal canto suo, ad arrecare un apporto<br />

interpretativo colmo di responsabilità, rivelando, attraverso ed oltre le<br />

peculiarità del caso, i giudizi di principio che vi sono sottesi ed in modo<br />

da osservare le esigenze della pratica ( 39 ).<br />

4. – Si può supporre che i Tribunali di merito vorranno conformarsi al<br />

BGH. In futuro, laddove ci si dovrà confrontare con sistemi « a palla di<br />

neve », contrari al buon costume, non si tratterà più di comprendere se<br />

colui che esegua una prestazione nel contesto della clausola d’esclusione<br />

ex § 817, periodo 2°, BGB avesse cognizione delle modalità di funzionamento<br />

di questo sistema o si sia precluso, quantomeno con leggerezza, la<br />

comprensione dell’immoralità. In relazione a questi «Schenkkreise » il Supremo<br />

Tribunale civile tedesco ha spianato la strada per una generale attitudine<br />

restitutoria degli spostamenti patrimoniali intrapresi nell’attuazio-<br />

( 35 ) Cfr. sul punto, in particolare, i §§ 241a e 661a BGB.<br />

( 36 ) In tal senso, chiaramente, Lorenz, Keine Kondiktionssperre, cit., n. 164413.<br />

( 37 ) Ne convengono espressamente Lorenz, Keine Kondiktionssperre, cit., n. 164413;<br />

Möller, Leistungskondiktion trotz beidseitiger Sittenwidrigkeit?, cit., p. 268; ed inoltre anche<br />

Goerth, Anmerkung, cit., p. 77.<br />

( 38 ) In questo senso s’esprime tendenzialmente – ma con cautela – Möller, Leistungskondiktion<br />

trotz beidseitiger Sittenwidrigkeit?, cit., p. 270.<br />

( 39 ) Così ancora Möller, Leistungskondiktion trotz beidseitiger Sittenwidrigkeit?, cit.,<br />

p. 270.


864 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ne di questo genere di sistemi. È un risultato da salutare con soddisfazione.<br />

Il futuro dovrà però ancora mostrare, se i danneggiati si troveranno effettivamente<br />

nella condizione di far valere sempre con successo le loro<br />

pretese ed all’occorrenza renderle forzosamente eseguibili. Resta dunque<br />

da sperare che, in questi casi, “aver” ragione ed “ottener” ragione non siano<br />

« due diversi paia di scarpe ». Il BGH ha comunque fatto tutto ciò che<br />

è in suo potere, e con la sua decisione ha posto le vittime nella condizione<br />

di potersi difendere dalle insidiose trame degli «Schenkkreise ».


MICHELE RONDINELLI<br />

Il Deutscher Corporate Governance Kodex<br />

Sommario: 1. Premessa – 2. Le fasi che hanno preceduto la realizzazione del DCGK – 3. I<br />

destinatari e la struttura del DCGK – 4. Il contenuto del DCGK: raccomandazioni,<br />

suggerimenti e altre regole – 5. Il § 161 della legge azionaria. Entsprechenserklärung e divergenze<br />

dal principio anglosassone del «comply or explain » – 6. Gli obblighi pubblicitari<br />

previsti dal § 161 della legge azionaria e dai §§ 285 n. 16, 314 comma 1°, n. 8, 325<br />

comma 1°, del codice di commercio – 7. Natura e conseguenze giuridiche dell’obbligo<br />

informativo ex § 161 della legge azionaria – 8. Segue: sull’ipotesi di fehlende Entsprechenserklärung<br />

– 9. Segue: sull’ipotesi di Entsprechenserklärung non veritiera – 10. Segue: sull’ipotesi<br />

di Entsprechenserklärung rivolta al futuro nel caso di devianza da essa nel corso<br />

dell’anno – 11. Il DCGK dalla prima versione del 2000 alle recenti modifiche – 12. Il<br />

DCGK nella prassi – 13. Critiche e prospettive del DCGK. Considerazioni conclusive.<br />

1. – Dal 26 febbraio 2002 la Germania ha un codice sulla Corporate Governance<br />

– il Deutscher Corporate Governance Kodex, di seguito DCGK –<br />

rivolto principalmente alle società per azioni quotate e ai gruppi, ma con<br />

l’invito anche per le società non quotate ad adeguarsi ad esso. In appena 4<br />

anni il DCGK è stato sottoposto a quattro modifiche, di cui la più recente<br />

è del 12 giugno 2006 ( 1 ).<br />

Prima di inoltrarsi nell’analisi del contenuto e della struttura del<br />

DCGK, della sua collocazione nell’ordinamento giuridico tedesco, di come<br />

esso sia stato accolto dai pratici e di quali siano le critiche che ad esso<br />

sono state mosse dalla dottrina, appare opportuno descrivere le fasi che<br />

hanno preceduto la sua elaborazione e i lavori che tuttora continuano al<br />

fine di rendere quanto più attuale possibile uno strumento chiamato a favorire<br />

la fiducia nel mercato e ad attrarre capitali stranieri.<br />

2. – Il DCGK è frutto del lavoro di una commissione di nomina governativa<br />

– la Regierungskommission Deutscher Corporate Governance Ko-<br />

( 1 ) Il Deutscher Corporate Governance Kodex, nella edizione del 12 giugno 2006, può essere<br />

consultato al seguente indirizzo internet: www.corporate.governance.code.de.<br />

Per un primo approccio alla materia in esame si vedano, in italiano: Hopt, Direzione<br />

dell’impresa, controllo e modernizzazione del diritto azionario: la relazione della Commissione<br />

governativa tedesca sulla corporate governance, in Riv. Soc., 2003, p. 182; Lutter, Una introduzione<br />

al Codice tedesco di corporate governance, ivi, 2003, p. 231.


866 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dex ( 2 ) altrimenti conosciuta come Cromme-Kommission ( 3 ) – istituita nell’agosto<br />

del 2001 con l’intento di adeguare in tempi ragionevoli il sistema<br />

di corporate governance tedesco agli standards internazionali ( 4 ). Come<br />

sottolineato nel discorso introduttivo ( 5 ) al DCGK tenuta dal Dr. Cromme<br />

il 18 dicembre 2001, i punti critici in materia di corporate governance<br />

delle società tedesche, ai quali con il DCGK si voleva porre rimedio, interessavano:<br />

i) la carente attenzione della direzione societaria agli interessi<br />

degli azionisti; ii) la limitata indipendenza dei membri dell’organo di controllo;<br />

iii) la scarsa trasparenza nella gestione societaria; iv) la limitata indipendenza<br />

dei revisori contabili.<br />

Tali aspetti problematici erano divenuti sempre più evidenti a partire<br />

dalla metà degli anni ’90, in corrispondenza alla crescente rilevanza assunta<br />

dagli investitori istituzionali – non solo fondi anglosassoni ma anche<br />

fondi tedeschi che incominciavano lentamente a ridurre il peso delle banche<br />

nella struttura azionaria delle società per azioni tedesche – i quali prestavano<br />

notevole attenzione alla trasparenza in materia di gestione societaria<br />

e all’indipendenza dei membri dell’organo di controllo. In altri termini<br />

gli investitori istituzionali erano ( 6 ), e sono, disposti a pagare un prezzo più<br />

( 2 ) Seibert, Im Blickpunkt: Der Deutsche Corporate Governance Kodex ist da, in Betiebs-<br />

Berater, 2002, p. 582, ricorda che « Die Kommission selbst ist vom Bundesministerium der<br />

Justiz in Abstimmung mit dem Kanzleramt mit großer Sorgfalt ausgesucht worden, um eine<br />

breite Repräsentanz der betroffenen Kreise abzubilden. Die Kommission wurde vom<br />

Bundesministerium der Justiz betreut und beraten. Die Kommission hat ihren Entwurf der<br />

Öffentlichkeit vorgestellt und allen, die sich angesprochen fühlten, Gelegenheit zur Stellungnahme<br />

gegeben. Die Stellungnahmen sind ausgewertet und eingearbeitet worden. Vor<br />

allem aber: Die Wirkung der Entsprechenserklärung wird durch das gesetzt geknüpft an einem<br />

“im elektronischen Bundesanzeiger bekannt gemachten” Kodex ».<br />

( 3 ) Dal nome del suo Presidente il Dr. Gerhard Cromme, Presidente dell’Aufsichtsrat<br />

della ThyssenKrupp AG.<br />

( 4 ) Nel Preambolo al DCGK si indicano le finalità che con tale strumento si intendono<br />

perseguire: « il presente progetto di Codice di Corporate Governance Tedesco riporta disposizioni<br />

normative essenziali per la gestione e la vigilanza delle società di diritto tedesco<br />

quotate in borsa e recepisce standards adottati a livello nazionale ed internazionale per una<br />

corretta e responsabile direzione dell’impresa. Il Codice mira a rendere il sistema tedesco<br />

di corporate governance trasparente e comprensibile. Il suo scopo è di stimolare la fiducia da<br />

parte degli investitori nazionali ed internazionali, dei clienti, dei dipendenti e del pubblico<br />

nella gestione e controllo delle società di diritto tedesco quotate in borsa ».<br />

( 5 ) Il discorso introduttivo al DCGK è consultabile al seguente indirizzo internet:<br />

www.corporate.governance.code.de.<br />

( 6 ) Pellens-Hillebrandt-Ulmer, Umsetzung von Corporate-Governance-Richtlinien in<br />

der Praxis – Eine empirische Analyse der DAX 100-Unternehmen, in Betriebs-Berater, 2001, p.<br />

1243.


SAGGI 867<br />

alto per entrare nel capitale di società dalla “buona” corporate governance,<br />

ciò che induce(va) le società a confrontarsi con la propria governance al fine<br />

di accedere a forme di finanziamento più convenienti sul mercato.<br />

La Cromme-Kommission prendeva a sua volta le mosse dai lavori di<br />

un’altra commissione di nomina governativa – la Regierungskommission<br />

Corporate Governance ( 7 ), anch’essa diffusamente conosciuta dal nome del<br />

suo presidente, il Prof. Theodor Baums ( 8 ), come Baums-Kommission –<br />

pubblicati sulla Gazzetta Federale Elettronica ( 9 ) il 10 luglio 2001. La<br />

Baums-Kommission consigliava una serie di interventi ( 10 ) volti a rafforzare<br />

la tutela degli investitori e ad attrarre capitali stranieri; proponeva, inoltre,<br />

di realizzare un codice sulla corporate governance e la contestuale introduzione<br />

nell’ordinamento tedesco della regola di matrice anglosassone<br />

del « comply or explain » ( 11 ).<br />

Dalla composizione di tale commissione ( 12 ) traspare la volontà del governo<br />

di raggiungere il più ampio consenso su una materia, la corporate<br />

governance, che ha degli enormi riflessi sul tema della tutela degli investitori<br />

e dei risparmiatori nonché sul tema del finanziamento delle imprese,<br />

con un’evidente rilevanza pubblicistica.<br />

( 7 ) Tale commissione era stata istituita per volontà del Bundeskanzler Schröder il 29<br />

maggio 2000.<br />

( 8 ) Professore presso l’Università Johann-Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno.<br />

( 9 ) La Gazzetta Federale Elettronica ha affiancato la Gazzetta Federale in formato cartaceo,<br />

e con la riforma del § 25 della legge azionaria è diventato lo strumento privilegiato<br />

dal legislatore per adempiere a tutte le pubblicità previste dalla legge o dallo Statuto delle<br />

società per azioni.<br />

Al riguardo è stato osservato che « Die nach wie vor erscheinende gedruckte Ausgabe<br />

des Bundesanzeigers ist demnach nicht mehr der richtige Ort für aktienrechtliche Pflichtveröffentlichungen,<br />

doch selbstverständlich kann zusätzlich auch dort veröffentlicht werden.<br />

Der Gesetzgeber hat einen « beherzten Schnitt » gemacht, indem er durch Einfügung<br />

des Wortes “elektronischen” in § 25 Satz 1 AktG sowohl den elektronischen Bundesanzeiger<br />

etabliert als auch die Printversion als Pflichtorgan für Gesellschaftsmitteilungen abgeschafft<br />

hat ».<br />

Così Noack, Elektronische Unternehmenspublizität in Deutschland und Europa – Zur<br />

Umsetzung der Publizitäts – und der Transparenzrichtlinie, in http://www.jura.uni-duesseldorf.de/dozenten/noack/azw.<br />

( 10 ) Nel Rapporto della Baumskommission erano contenute oltre 100 proposte.<br />

( 11 ) Cfr. il Bericht der Regierungskommission Corporate Governance, in Baums (hrsg.),<br />

2001, p. 10 ss.<br />

( 12 ) Della Baums-Kommission facevano parte 8 componenti degli organi amministrativi<br />

o di controllo delle maggiori società tedesche; 4 componenti degli organi amministrativi o<br />

di controllo di fondi comuni di investimento (3 tedeschi e 1 inglese); 2 rappresentanti dei<br />

maggiori sindacati tedeschi; 2 professori universitari; 4 tra parlamentari e sottosegretari.


868 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Gli sforzi sostenuti dal governo federale per fornire alle società per<br />

azioni tedesche uno strumento agile e al tempo stesso rispondente alla<br />

prassi internazionale in tema di corporate governance vanno visti come la<br />

risposta all’attivismo che da diversi anni si registrava nelle altre economie<br />

più evolute. In ambito internazionale, infatti, i primi codici di autodisciplina<br />

in materia, risalenti agli inizi degli anni ’90, sono stati predisposti<br />

nell’area anglo-americana facendo da modello per i codici che, nel breve<br />

volgere di pochi anni, sarebbero stati elaborati in ciascuno Stato dell’Europa<br />

continentale. Tali codici nascono dalla convinzione che nella materia<br />

della corporate governance le regole migliori non sono quelle imposte dal<br />

legislatore, che non sempre interviene in maniera coerente ed organica,<br />

ma quelle che gli operatori si danno da sé ( 13 ). Essi, in virtù di una sorta di<br />

gentlemen agreement, si vincolano al rispetto di tali regole e si sottopongono<br />

al controllo del mercato che giudicherà sulla correttezza della loro condotta.<br />

Tale controllo opera anche nell’ipotesi in cui gli operatori, non ritenendo<br />

opportuno o conveniente seguire per ragioni contingenti le regole<br />

che si sono date, sono in grado di addurre una motivazione convincente<br />

circa la necessità della condotta che in concreto hanno tenuto.<br />

Anche in Germania, sul finire degli anni ’90, si assiste ad alcuni tentativi<br />

di realizzare dei codici che fissano lo stato dell’arte in materia di corporate<br />

governance da parte di giuristi ed operatori ( 14 ).<br />

Nel luglio del 2000 viene, infatti, pubblicato un «Code of best practice<br />

» ( 15 ), realizzato dalla Frankfurter Grundsatzkommission Corporate Governance,<br />

una organizzazione privata composta da giuristi e amministratori<br />

di società quotate. Il Code of best practice contiene delle Corporate Governance-Grundsätze,<br />

vale a dire dei principi rivolti alle società quotate che<br />

( 13 ) Borges, Selbstregulierung im gesellschaftsrecht, in Zeitschrift für Unternehmens- und<br />

Gesellschaftsrecht, 2004, p. 525: « in der 90er Jahren setzte sich das Konzept durch, auf gesetzliche<br />

Governance-Regeln zu verzichten. Stattdessen sollten börsennotierte Unternehmen<br />

verpflichtet sein, eine Erklärung darüber abgeben, ob sie einen bestimmten Corporate<br />

Governance-Kodex einhalten und, soweit sie von einem Punkt abweichen, die Abweichung<br />

zu begründen. Damit soll ein faktischer Druck auf die Gesellschaften ausgeübt werden,<br />

sich an den Kodex zu binden. Die Abgabe der Erklärung sollte durch entsprechende<br />

Regeln der Börsen durchgesetzt werden. Dieses Konzept wurde von der Londoner Börse in<br />

die Praxis umgesetzt, die von den börsennotierten Gesellschaften eine jährliche Erklärung<br />

über die Einhaltung des Combined Code Verlangte ».<br />

( 14 ) Berrar, Die Entwicklung der Corporate governance in Deutschland im internationalen<br />

Vergleich, 2001, p. 104 ss.<br />

( 15 ) Il Code of best practice è stato pubblicato sulla rivista Die Aktiengesellschaft, 2000, p.<br />

238 ss.


SAGGI 869<br />

riguardano principalmente il controllo sulla attività di gestione. Peraltro,<br />

l’obbiettivo che tale organizzazione privata si proponeva è molto più ampio,<br />

consistendo nel favorire la fiducia, oltre che degli azionisti attuali e futuri,<br />

del capitale straniero, dei collaboratori, dei partners commerciali e<br />

dell’opinione pubblica. Il presupposto da cui si muoveva era quello della<br />

stakeholder value ( 16 ), secondo cui nella gestione dell’impresa sociale non si<br />

può prescindere dal prendere in considerazione gli interessi, non solo degli<br />

azionisti, ma di tutti quei soggetti che entrano in contatto con la società.<br />

Sempre nel 2000 viene realizzato, da parte del Berliner Initiativkreis,<br />

anch’essa un’organizzazione privata, il German Code of Corporate Governance<br />

( 17 ).<br />

L’apparente continuità in cui pare collocarsi il DCGK rispetto alle iniziative<br />

analoghe anche di altri paesi, soprattutto di common law è affievolita<br />

per un elemento di carattere formale che tuttavia finisce per avere ripercussioni<br />

anche sul piano sostanziale.<br />

Mentre negli Stati Uniti ed in Inghilterra i « codici sulla corporate governance<br />

» sono realizzati ed adottati su base volontaristica – assumendo<br />

le vesti di codici di autodisciplina ( 18 ) ovvero di complessi di regole che<br />

ciascuna società quotata si dà ( 19 ) o che vengono proposte dagli investitori<br />

istituzionali ( 20 ) – essendo la loro adozione ed applicazione sottoposta al<br />

( 16 ) Freeman, Strategic Management: a Stakeholder Approach, 1984, p. 31. « The actual<br />

word “stakeholder” first appeared in the management literature in an internal memorandum<br />

at the Stanford Research Institute (. . .) in 1963. The term was meant to generalize the<br />

notion of stockholder as the only group to whom the management need be responsive.<br />

Thus, the stakeholder concept was originally defined as “those groups without whose support<br />

the organization would cease to exist ».<br />

( 17 ) Il German Code of Corporate Governance, licenziato il 6 febbraio 2000 è consultabile<br />

al seguente indirizzo internet www.governance-code.de, oppure sulla rivista Die Aktiengesellschaaft,<br />

2001, p. 6 ss.<br />

( 18 ) Si pensi al The Report of the Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance<br />

meglio noto come Cadbury Report, pubblicato nel dicembre del 1992, al quale hanno<br />

fatto seguito il Greenbury Report, l’Hampel Report ed infine al Combined Code elaborato dalla<br />

Borsa di Londra.<br />

Su tale problematica si veda: Bruno, Profili del diritto societario inglese alla luce della<br />

riforma, in Riv. soc., 2004, p. 897.<br />

( 19 ) Si considerino, a titolo esemplificativo, le Corporate Governance Guidelines della<br />

General Motors consultabili al seguente indirizzo internet: www.gm.vom/company/investor_information/stockholder_info/corp_gov/guidelines.<br />

( 20 ) Si pensi ai Principles of Corporate Governance elaborati da fondi pensione o assicurativi<br />

come il California Public Employees’ Retirement System (CalPERS) o il Teacher Insurance<br />

and Annuity Association – College Retirement equity Fund (TIAA-CREF) cui devono


870 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

controllo del mercato, in Germania il DCGK è stato elaborato da una<br />

commissione governativa ed è stato oggetto di espresso richiamo nel § 161<br />

della legge azionaria come modificato dalla Gesetz zur weiteren Reform des<br />

Aktien – und Bilanzrecht, zu Transparenz und Publizität (TransPuG) del 19<br />

luglio 2002 ( 21, 22 ).<br />

A tale aspetto se ne collegano altri due non meno importanti. Nel<br />

Preambolo del DCGK si dice che le regole in esso contenute saranno soggette<br />

a revisione annuale da parte della Cromme-Kommission ( 23 ) che se lo<br />

attenersi le società come presupposto per un ingresso degli investitori istituzionali nel capitale<br />

sociale.<br />

I Principles sono rispettivamente consultabili ai seguenti indirizzi internet: www.calpers-governance.org/principles;<br />

www.tiaa-cref.org/libra/governancce/index.html.<br />

Si consideri che il potere conformativo che sono in grado di esercitare i grandi investitori<br />

istituzionali nei confronti di società quotate, nel senso di subordinare il loro ingresso<br />

nel capitale sociale – ancorché nel ruolo di azionisti non di controllo – all’adeguamento della<br />

gestione della società a regole di corporate governance più trasparenti, non è per niente irrilevante.<br />

Vista l’entità delle partecipazioni da essi detenute e la prospettiva dell’investimento<br />

tendenzialmente di lunga durata, gli investitori istituzionali garantiscono con il loro<br />

ingresso una maggiore stabilità delle quotazioni del titolo, riducendone la volatilità e tutelando,<br />

in tal modo, gli amministratori dal possibile ricatto degli azionisti di minoranza mossi<br />

da prospettive di investimento di breve periodo.<br />

( 21 ) La TransPuG, legge di ulteriore riforma del diritto delle azioni e del bilancio e per<br />

la trasparenza e la pubblicità, si inserisce tra una serie di leggi che negli ultimi dieci anni<br />

hanno profondamente trasformato il diritto delle società per azioni tedesche. Tale legge, oltre<br />

a modificare il § 161 della legge azionaria, nonché altri §§ del codice di commercio che richiamano<br />

anch’essi il DCGK, ha affermato un importante principio in favore di chi acquisti<br />

azioni via internet il quale potrà, salvo eccezioni, esercitare i diritti ad esse connessi sempre<br />

mediante internet. Così è stata ammessa la possibilità di conferire procura alla propria<br />

banca o alla associazione di azionisti per farsi rappresentare in assemblea con un semplice<br />

click del maus.<br />

( 22 ) Ehrhardt-Nowak, Die Durchsetzung von Corporate-Governance-Regeln, in Die Aktiengesellschaft,<br />

2002, p. 341, osservano che « [b]ei der von der Regierungskommission erarbeitete<br />

Deutschen Corporate Governance Kodex handelt es sich um eine reine Selbstregulierung<br />

der Wirtschaft. Der Kodex wird unverbindlich sein, allerdings durch eine gesetzliche<br />

Regelung im Rahmen des geplanten TransPuG flankiert werden, welche die Gesellschaftsorgane<br />

zu einer jährlichen Erklärung verpflichtet, ob sie dem Kodex entsprechen<br />

bzw. welche Abweichungen praktizieren ».<br />

( 23 ) Noack-Zetzsche, Corporate Governance in Germany: The second decade, cit., p. 10,<br />

ricordano che: « The GCGC is administered by the Codex Commission. The Federal Secretary<br />

of Justice appoints its 13 members who are managers, academics and representatives<br />

of stakeholders. The Codex Commission will observe the development of corporate governance<br />

in legislation and practice and will review the Code at least once a year for possible<br />

adaptation. The government established a website as a contact for interested parties’<br />

comments and proposals ».


SAGGI 871<br />

riterrà necessario provvederà ad apportare le modifiche che ritiene opportune<br />

( 24 ). La Cromme-Kommission è tenuta altresì a verificare il grado di<br />

accoglienza nella prassi delle regole del DCGK, al fine di adeguarne il<br />

contenuto agli sviluppi nazionali e internazionali in materia di corporate<br />

governance. Nell’ipotesi in cui le raccomandazioni del DCGK non ricevano<br />

adeguato riconoscimento e spontanea adesione da parte degli operatori,<br />

il Bundesregierung si riserva di presentare progetti di legge, all’occorrenza<br />

elaborati dalla stessa Cromme-Kommission, per conferire a tali raccomandazioni<br />

una natura ed un’efficacia diverse, vale a dire norme di legge<br />

di carattere precettivo.<br />

D’altra parte, è stato osservato che l’assenza di rappresentanti del governo<br />

e del ministero della giustizia tra i componenti della Cromme-Kommission<br />

voleva dire rimettere la realizzazione del codice solo ai giuristi e<br />

ai rappresentanti della grande impresa ( 25 ), ferma restando la possibilità di<br />

tradurre in leggi quelle raccomandazioni che non sarebbero state seguite<br />

spontaneamente dai destinatari del codice.<br />

Da quanto appena detto risulta evidente la rottura con le esperienze fino<br />

ad allora presenti a livello internazionale e che si voleva intraprendere<br />

in Germania, motivata dalla volontà del legislatore di fissare degli standards<br />

uniformi rispondenti alla prassi internazionale per le società quotate<br />

tedesche, prendendo quanto vi era di meglio nei “Codici” frutto delle<br />

iniziative private di cui si è detto e realizzando al contempo le proposte<br />

elaborate dalla Regierungskommission Corporate Governance.<br />

3. – Si è detto che le regole contenute nel DCGK sono rivolte alle società<br />

quotate, con l’invito per le società non quotate a provvedere alla<br />

spontanea osservanza di esse ( 26 ), ovvero ai gruppi di società.<br />

Per individuare i destinatari di ciascuna regola occorre fare ricorso ad<br />

un dato letterale, essendo chiarito nel Preambolo al DCGK che l’utilizzato<br />

del termine Gesellschaft – i.e. società – ricorre nelle regole indirizzate<br />

alle società quotate, mentre il termine Unternehmen – i.e. impresa – indica<br />

le regole indirizzate ai gruppi di società.<br />

( 24 ) La prima versione del DCGK è stata sostituita da quattro successive versioni. Di<br />

queste, l’ultima è del 12 giugno 2006.<br />

( 25 ) Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder, Deutscher Corporate Governance Kodex,<br />

2005, p. 16.<br />

( 26 ) Nel Preambolo al DCGK si delimita l’ambito dei suoi destinatari. Vi si legge infatti<br />

che « il codice si rivolge in primo luogo alle società quotate in borsa. Alle società non<br />

quotate si consiglia l’osservanza spontanea e su base volontaria del codice ».


872 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Quanto alla struttura del DCGK, esso si compone delle seguenti sezioni:<br />

1) Preambolo; 2) azionisti e assemblea dei soci; 3) cooperazione tra<br />

l’organo amministrativo e l’organo di controllo; 4) Vorstand; 5) Aufsichtsrat;<br />

6) trasparenza; 7) relazioni e revisione del bilancio di esercizio.<br />

Posizione centrale nelle regole del DCGK è occupata dal Vorstand e<br />

dall’Aufsichtsrat, molte delle regole essendo finalizzate a favorire la collaborazione<br />

tra i due organi e a rendere più efficace il controllo sulla gestione<br />

esercitato dall’Aufsichtsrat. La Cromme-Kommission ha avvertito la necessità<br />

di dedicare diverse raccomandazioni alla cooperazione tra tali organi<br />

quale conseguenza del sistema di amministrazione e controllo fatto<br />

proprio dall’ordinamento tedesco c.d. dualistico che si caratterizza per il<br />

fatto di coinvolgere l’Aufsichtsrat nella gestione dell’impresa sociale. Tale<br />

organo oltre ad essere competente ad esercitare un controllo costante sulla<br />

gestione è destinatario di un potere di alta amministrazione e di indirizzo<br />

dell’attività degli amministratori che si sostanzia nella facoltà di subordinare<br />

il compimento di determinati atti gestori, individuati dallo Statuto<br />

o dallo stesso Aufsichtsrat, all’ottenimento di una autorizzazione preventiva<br />

che lo stesso organo di controllo provvede a rilasciare. Non è casuale<br />

quindi che nello stesso Preambolo sia stato ricordato che « la legge<br />

prevede attualmente per le società di capitali tedesche un sistema “dualistico”».<br />

Ma la centralità conferita al Vorstand e all’Aufsichtsrat all’interno del<br />

DCGK va letta con particolare riguardo alla disposizione del § 161 della<br />

legge azionaria che sancisce l’obbligo per tali organi di provvedere annualmente<br />

ad una dichiarazione circa l’aderenza della gestione societaria<br />

alle regole del DCGK.<br />

Ampio spazio è stato dato all’organo di controllo, al quale sono state<br />

dedicate circa un quarto delle raccomandazioni che complessivamente sono<br />

contenute nell’ultima versione DCGK. Esse sono collocate per la<br />

maggior parte nella Sezione V espressamente dedicata all’Aufsichtsrat, ma<br />

non sono trascurabili quanto a contenuto le raccomandazioni collocate<br />

nella Sezione VII.2 relative alla revisione del bilancio di esercizio ( 27 ).<br />

( 27 ) Ulmer, Deutscher Corporate Governance Kodex – ein neues Regulierungsinstrument<br />

für Börsennotierte Aktiengesellschaft, in Zeitschrift für das gesamte Handelsrecht und Wirtschaftsrecht,<br />

2002, p. 155, osserva che « erhebliches gewicht kommt schließlich auch dem<br />

Abschnitt 7.2 des Kodex zu, der sich auf die Vergabe des Prüfungsauftrags durch den Aufsichtsrat<br />

und auf die dabei von ihm zu beachtenden Anforderungen an den Abschlussprüfer<br />

bezieht. Insgesamt lesen sich diese Teile des Kodex wie ein eindrucksvoller, allen Aufsichtsratsmitgliedern<br />

an die Hand zu gebender Leitfaden für ihre Überwachungstätigkeit ».


SAGGI 873<br />

Minore rilevanza assumono nel contesto del DCGK le raccomandazioni<br />

rivolte al Vorstand, collocate nella Sezione IV, e riguardanti essenzialmente<br />

le ipotesi di conflitti di interesse dei membri dell’organo di gestione<br />

e la loro remunerazione.<br />

Altre raccomandazioni sono finalizzate a rafforzare i diritti di informazione<br />

degli azionisti previsti dalla legge azionaria al § 131, ciò al fine di garantire<br />

una loro più attiva partecipazione in assemblea, anche mediante<br />

l’utilizzo delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione<br />

( 28 ).<br />

4. – Le regole del DCGK possono essere classificate in base alla loro<br />

capacità di incidere sulla struttura organizzativa delle società quotate. Nel<br />

Preambolo, infatti, si fissa una tripartizione che, facendo leva su un dato<br />

letterale, permette di distinguere innanzitutto tra le raccomandazioni, che<br />

sono precedute dal verbo soll – c.d. Soll-Vorschriften –, i meri suggerimenti<br />

preceduti invece dai verbi sollte o kann ( 29 ) – c.d. Sollte-Vorschriften – e<br />

tutte le altre regole ( 30 ) non contraddistinte dai verbi suddetti che hanno<br />

una natura dichiarativa di norme di diritto vigente, le quali devono essere<br />

osservate dalle società al pari del diritto positivo ( 31 ) – c.d. Muss-Vorschriften<br />

( 32 ) –.<br />

( 28 ) Sull’utilizzo, nell’ordinamento tedesco delle moderne tecnologie dell’informazione<br />

e della comunicazione si veda, con ampi riferimenti bibliografici: Turelli, Assemblea di<br />

società per azioni e nuove tecnologie, in Riv. soc., 2004, p. 116 ss.<br />

( 29 ) Nella traduzione italiana non ufficiale del DCGK realizzata dalla stessa Regierungskommission<br />

Deutscher Corporate Governance Kodex il verbo “soll” è tradotto con “dovrà”,<br />

mentre i verbi “sollte” e “kann” sono tradotti con “dovrebbe” e “può”.<br />

( 30 ) Steinat, Comply or Explain – Die Akzeptanz von Corporate Governance Kodizes in<br />

Deutschland und Großbritannien, in Heft Nr. 39 der Beiträge zum Transnationalen Wirtschaftsrecht,<br />

edito dalla Martin-Luther-Universität Halle-Witterberg, 2005, p. 8, osserva che « die<br />

Bestimmung über geltendes Recht gehören zur obersten Regelungsebene der Corporate<br />

Governance und sind von Vorstand und Aufsichtsrat stets zu befolgen, denn auch ohne Kodex<br />

sind diese Verhaltenanforderungen verbindlich ».<br />

( 31 ) Al riguardo il DCGK si esprime nei seguenti termini: « i rimanenti passaggi del Codice,<br />

non contraddistinti da alcuno dei verbi suddetti, contengono disposizioni che le imprese<br />

sono obbligate ad osservare alla stregua di una disciplina ».<br />

( 32 ) Strieder, Deutscher Corporate Governance Kodex. Praxiskommentar, 2005, 61, osserva<br />

al riguardo che le Muss-Vorschriften « werden (. . .) regelmäßig nicht wörtlich aus dem<br />

Gesetz zitiert, sondern sinngemäß wiedergegeben. Schon im Vorwort zum DCGK beschreibt<br />

diese Vorgehensweise der Vorsitzende der Kommission, Dr. Gerhard Cromme, damit,<br />

dass der leichten Verständlichkeit des DCGK der Vorrang von juristischen Präzision<br />

gegeben wurde ».


874 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Le raccomandazioni, che concettualmente vanno collocate nella categoria<br />

di regole di best practice, possono essere disattese dalle società, ma<br />

per esse trova applicazione il § 161 della legge azionaria, che prescrive l’obbligo,<br />

su cui in seguito ampiamente si dirà, di dichiarare annualmente in<br />

che misura si è deviati da esse. Esse costituiscono la parte più corposa del<br />

DCGK; tuttavia, in dottrina la loro quantificazione risulta differente a seconda<br />

degli autori – 60 ( 33 ), 70 ( 34 ) o addirittura 106 ( 35 ) sarebbero le raccomandazioni<br />

contenute bel DCGK – ciò in ragione del fatto che secondo<br />

alcuni in una medesima frase o in un medesimo periodo vada letta più di<br />

una raccomandazione.<br />

I suggerimenti, invece, anche quando non sono seguiti, non sono sottoposti<br />

ad obblighi di pubblicità, benché vi sia chi auspichi che, quale attestazione<br />

di buona corporate governance ( 36 ), si porti a conoscenza degli<br />

azionisti e dei terzi – contestualmente alla dichiarazione di cui al § 161 della<br />

legge azionaria – quali suggerimenti non sono stati fatti propri dalle società<br />

( 37 ). Anche il numero dei suggerimenti varia a seconda degli autori –<br />

15 ( 38 ), 17 ( 39 ) o 19 ( 40 ) –.<br />

Quanto alle Muss-Vorschriften, nel loro ambito è stata operata una ulteriore<br />

partizione da parte di chi ha ritenuto di poter distinguere, in ragione<br />

del loro contenuto dichiarativo, tra: 1) Gesetzeswiedergabe – i.e. riproduzione<br />

della legge – e 2) Gesetzesauslegung – i.e. interpretazione della<br />

legge – ( 41 ).<br />

Le regole che assumono la veste di Gesetzeswiedergabe consistono nella<br />

ripetizione descrittiva di norme di diritto vigente. La previsione nel<br />

DCGK di tali regole è stata accolta con favore dalla dottrina, vista la collocazione<br />

della materia relativa all’amministrazione e controllo delle so-<br />

( 33 ) Treuber-Zitzmann, Präambel, in Pfitzer-Oser (curr.), Deutscher Corporate Governance<br />

Kodex – Ein Handbuch für Entscheidungsträger, 2003, p. 26.<br />

( 34 ) Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder, op. cit., p. 52.<br />

( 35 ) Strieder, Deutscher Corporate Governance, cit., p. 61.<br />

( 36 ) In Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder, op. cit., p. 52, sulla natura dei suggerimenti<br />

si legge che « die 19 (Sollte- bzw. Kann-) Anregungen markieren Regelungen, die<br />

(nach Auffassung der Kodexkommission) ebenfalls Ausdruck guter Unternehmensführung<br />

sind, sich bislang allerdings noch nicht auf breiter Front in der Praxis durchgesetzt haben ».<br />

( 37 ) Così Strieder, Erläuterungen zum Deutsche Corporate Governance Kodex, in Finanz-<br />

Betrieb, 2004, p. 15.<br />

( 38 ) Treuber-Zitzmann, op. cit., p. 26.<br />

( 39 ) Strieder, Deutscher Corporate Governance Kodex, cit., p. 62.<br />

( 40 ) Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder, op. cit., p. 52.<br />

( 41 ) In tal senso Steinat, op. cit., p. 8.


SAGGI 875<br />

cietà per azioni in vari testi legislativi, ciò che la rendeva particolarmente<br />

frammentata e, soprattutto per gli operatori stranieri, di non facile consultazione.<br />

Nelle regole che hanno, invece, il contenuto di Gesetzesauslegung la<br />

Cromme-Kommission ha fornito una propria interpretazione di alcune norme<br />

di diritto vigente che, secondo la dottrina citata, possono anche non<br />

essere seguite, qualora gli operatori non condividano l’interpretazione in<br />

esse fornita ( 42 ).<br />

Non si ritiene di poter condividere questo ultimo assunto, in quanto<br />

bisogna tener conto del fatto che l’interpretazione di norme di diritto positivo<br />

fornita dalla Cromme-Kommission è stata fatta propria dal legislatore<br />

del 2002 che con la TransPuG e la nuova versione del § 161 ha sancito una<br />

inequivocabile relazione tra norme di diritto e DCGK, aderendo in maniera<br />

implicita alla interpretazione fornita dalla Cromme-Kommission ( 43 ).<br />

A tale interpretazione, se non la si vuole considerare una interpretazione<br />

autentica, va quantomeno riconosciuta la capacità ad operare da criterio<br />

guida per il giudice chiamato a pronunciarsi sulle questioni da essa affrontate;<br />

ciò val quanto dire che, in sede giudiziale, l’interpretazione della<br />

Cromme-Kommission potrà essere superata solo se essa risulti contraria ai<br />

principi della Legge Fondamentale.<br />

Peraltro, in dottrina vi è chi, prescindendo da ogni partizione, ha criticato<br />

in linea di principio la presenza di Muss-Vorschriften nel DCGK, per<br />

il fatto che esse trovano applicazione indipendentemente dalla loro formale<br />

ripetizione in tale strumento, che in loro assenza sarebbe stato più<br />

breve e di più agevole consultazione ( 44 ).<br />

5. – Il § 161, rubricato Erklärung zum Corporate Governance Kodex (dichiarazione<br />

relativa al Codice di Corporate Governance), stabilisce che:<br />

«Vorstand und Aufsichtsrat der börsennotierten Gesellschaft erklären<br />

jährlich, dass den vom Bundesministerium der Justiz im amtlichen Teil<br />

des elektronischen Bundesanzeigers bekannt gemachten Empfehlungen<br />

der “Regierungskommission Deutscher Corporate Governance Kodex”<br />

entsprochen wurde und wird oder welche Empfehlungen nicht angewen-<br />

( 42 ) Steinat, op. cit., p. 8.<br />

( 43 ) Si consideri che l’assenza della adesione formale alle regole contenute nel DCGK,<br />

siano esse raccomandazioni, suggerimenti o regole che ripetono il contenuto di norme di<br />

diritto, minerebbe la stessa funzione del codice. Una tale assenza sarebbe stata affrontata<br />

senz’altro a tempo debito da parte del legislatore, eventualmente nella stessa TransPuG.<br />

( 44 ) In tal senso: Streiter, Deutscher Corporate Governance Kodex, 2005, p. 59.


876 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

det wurden oder werden. Die Erklärung ist den Aktionären dauerhaft<br />

zugänglich zu machen » ( 45 ).<br />

Da tale disposizione discende che il Vorstand e l’Aufsichtsrat delle società<br />

quotate devono comunicare annualmente se si sono attenuti o, per il<br />

futuro, intendono attenersi alle raccomandazioni contenute nel DCGK<br />

ovvero quali raccomandazioni non sono state o non saranno applicate –<br />

c.d. Entsprechenserklärung, i.e. dichiarazione di corrispondenza –.<br />

La norma in questione si rivolge espressamente agli organi amministrativo<br />

e di controllo (spesso indicati infra con il termine dichiaranti) e<br />

non già alle società quotate. Sono, infatti, tali organi i destinatari dell’obbligo<br />

( 46 ) di comunicazione sancito dal § 161 e solo essi possono<br />

adempiervi, ciascuno limitatamente alle raccomandazioni di cui è destinatario<br />

( 47 ).<br />

Da questo punto di vista la Entsprechenserklärung può essere equiparata<br />

agli obblighi dichiarativi che sia per il Vorstand che per l’Aufsichtsrat<br />

discendono da diverse altre norme contenute sia nel codice di commercio<br />

che nella legge azionaria ( 48 ).<br />

Quanto al processo deliberativo che porta alla Entsprechenserklärung si<br />

possono distinguere due diverse fasi: nella prima ciascun organo delibera<br />

( 45 ) « Il Consiglio di gestione e il Consiglio di sorveglianza delle società quotate dichiarano<br />

annualmente se le raccomandazioni della Commissione governativa per il Codice tedesco<br />

di corporate governance, pubblicate sulla Gazzetta Federale elettronica, sono state e<br />

saranno osservate ovvero quali raccomandazioni non sono state o non saranno recepite. La<br />

dichiarazione deve essere resa accessibile per gli azionisti in maniera duratura ».<br />

( 46 ) Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-Erklärung (§ 161<br />

AktG-E), in Die Aktiengesellschaft, 2002, p. 251, il quale osserva che « zur Abgabe der Entsprechens-Erklärung<br />

verpflichtet sind “Vorstand und Aufsichtsrat der börsennotierten Gesellschaft”.<br />

Bei der Erklärungspflicht handelt es sich also um eine Pflicht der Organe einer<br />

börsennotierten Gesellschaft (. . .) und nicht um eine Pflicht der Gesellschaft, die bloß durch<br />

die Verwaltungsorgane erfüllt wird ».<br />

( 47 ) Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder, op. cit., p. 302, osservano che « Das Gesetz<br />

sagt in § 161 AktG “Vorstand und Aufsichtsrat erklären . . .”, es sagt nichts über “erklären gemeinsam”.<br />

Es handelt sich also um den gar nicht so seltenen Fall eines Zusammenwirkens<br />

der beiden Organe, die dabei autonom sind und autonom handeln und entscheiden ».<br />

( 48 ) Diverse sono le norme che, sia nella legge azionaria che nel codice di commercio,<br />

contengono tali obblighi informativi. A titolo esemplificativo si vedano, per il Vorstand, i §§<br />

264 e 289 del codice di commercio in materia di bilancio, nonché il 312 della legge azionaria<br />

che contiene l’obbligo di una dichiarazione di dipendenza da farsi nelle ipotesi in cui tale<br />

dipendenza non derivi da un Unternehmensvertrag, mentre per l’Aufsichtsrat il § 171 della<br />

legge azionaria che prevede una dichiarazione scritta da indirizzarsi all’Hauptversammlung<br />

contenente le conclusioni cui l’organo di controllo è pervenuto a seguito dell’esame del bilancio.


SAGGI 877<br />

sulle raccomandazioni di cui è destinatario; successivamente, tali dichiarazioni<br />

parziali confluiscono in una dichiarazione unitaria finalizzata a<br />

portare a conoscenza dei terzi lo stato di aderenza alle regole di corporate<br />

governance del DCGK da parte della società. È stato osservato che in virtù<br />

di tale processo di formazione della Entsprechenserklärung, sussiste per i<br />

dichiaranti un Einigungszwang ( 49 ), vale a dire una costrizione alla coerenza<br />

per quanto concerne il contenuto della dichiarazione, per cui le due dichiarazioni<br />

parziali non possono essere tra loro contrastanti o contraddittorie.<br />

Ai sensi del § 161, la Entsprechenserklärung ha ad oggetto esclusivamente<br />

le Soll-Vorschriften contenute nel DCGK, e non deve essere estesa<br />

né alle Sollte-Vorschriften, né alle Muss-Vorschriften, le prime consistendo<br />

in meri suggerimenti, le seconde non potendo essere oggetto di deviazione<br />

alcuna. A tale dichiarazione gli azionisti devono poter accedere senza<br />

nessuna limitazione temporale.<br />

Si tratta, a ben vedere, di una regola diversa rispetto a quella del<br />

«comply or explain » propria dei codici di autodisciplina anglo-americani,<br />

regola inizialmente proposta dalla Baums-Kommission e che pure viene richiamata<br />

dalla dottrina dominante in sede di interpretazione del § 161 come<br />

modello al quale si è ispirato il legislatore tedesco ( 50 ). Nella Entsprechenserklärung,<br />

Vorstand e Aufsichtsrat si limitano a dichiarare quale sia il<br />

grado di aderenza del sistema di corporate governance adottato dalla società<br />

cui appartengono alle raccomandazioni contenute nel DCGK, senza<br />

dover fornire nessuna spiegazione sul contenuto di tale dichiarazione ( 51 ).<br />

Al riguardo, la dottrina si è chiesta se la disclosure, che è senz’altro sufficiente<br />

qualora gli organi societari dichiarino che hanno adottato o inten-<br />

( 49 ) In questi termini Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-<br />

Erklärung (§ 161 AktG-E), cit., p. 253.<br />

( 50 ) Lutter, Die Erklärung zum Corporate Governance Kodex gemäß § 161 AktG. Pflichtverstöße<br />

und Binnenhaftung von Vorstands- und Aufsichtsratsmitgliedern, in Zeitschrift für das<br />

gesamte Handelsrecht und Wirtschaftsrecht, 2002, p. 525 ss. sostiene che « [d]urch dieses Zusammenspiel<br />

von Kodex und gesetzlicher Erklärungspflicht wurde ein Mechanismus geschaffen,<br />

der schlagwortartig “Comply or Explain”-Regelung bezeichnet wird, und sich m<br />

Vorbild angelsächsischer Rechtspraxis orientiert ». L’A., professore all’Universität Bonn, è<br />

uno dei maggiori esponenti della Cromme-Kommission.<br />

( 51 ) Lutter, op. cit., p. 524, osserva che « die schlagwortartige Bezeichnung der in § 161<br />

AktG enthaltenen Erklärungspflicht als “Comply-or-Explain-Regelung” ist mangels Begründungspflicht<br />

daher begrifflich nicht ganz zutreffend. Entsprechend dem Regelungsgehalt<br />

des § 161 AktG handelt es sich inhaltlich vielmehr um eine reine Offenlegungspflicht,<br />

welche Kodex-Empfehlungen die Gesellschaft nicht gefolgt ist und nicht zu folgen denkt ».


878 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dano adottare tutte le raccomandazioni contenute nel DCGK – dichiarazione<br />

generalmente definita come Positive Entsprechenserklärung, i.e. dichiarazione<br />

di corrispondenza positiva ( 52 ) –, debba essere accompagnata<br />

da una dichiarazione aggiuntiva che fornisca le motivazioni che hanno<br />

portato a deviare da tali raccomandazioni nell’ipotesi in cui la Entsprechenserklärung<br />

abbia totalmente o parzialmente contenuto negativo – nel<br />

cui caso si parla di Negative Entsprechenserklärung o anche di Abweichungserklärung,<br />

i.e. dichiarazione di corrispondenza negativa ovvero dichiarazione<br />

di deviazione ( 53 ) –, vale a dire non sono state o non saranno adottate<br />

tutte o talune delle raccomandazioni contenute nel DCGK.<br />

Movendo dal dato letterale del § 161 ed in considerazione del fatto che<br />

non è stato predisposto alcun meccanismo di controllo ( 54 ) di eventuali dichiarazioni<br />

che motivano il contenuto della Entsprechenserklärung, si è<br />

giunti alla conclusione che un siffatto obbligo di motivazione non sussiste.<br />

Non si può tuttavia escludere che, per ragioni di opportunità, si senta<br />

la necessità di motivare la scelta di non seguire tutte o determinate raccomandazioni<br />

del DCGK ( 55 ).<br />

( 52 ) La formula da adottare per la Positive Entsprechenserklärung è estremamente semplice,<br />

e, secondo il Modello allegato al progetto di legge governativo della TransPuG dell’11<br />

aprile 2002, può essere limitata alle seguenti parole: « Den Verhaltensempfehlungen der<br />

Regierungskommission Deutscher Corporate Governance Kodex zur Unternehmensleitung<br />

und –Überwachung wurde im Berichtsjahr entsprochen und soll auch in Zukunft entsprochen<br />

werden ».<br />

( 53 ) Tale termine significa letteralmente « dichiarazione di difformità o di deviazione ».<br />

Parte della dottrina ritiene che la deviazione possa essere intesa non soltanto in termini<br />

peggiorativi, ciò che darebbe luogo a una Negative Entsprechenserklärung, ma anche in<br />

termini migliorativi rispetto alle raccomandazioni contenute nel DCGK. In altri termini, la<br />

società potrebbe decidere di adottare delle regole di best practice che nel DCGK assumono<br />

la veste di meri suggerimenti ovvero non sono ancora previste ma lo potranno essere in futuro.<br />

Nello stesso DCGK è prevista una valutazione annuale di rispondenza del DCGK<br />

agli standard internazionali, realizzata dalla Cromme-Kommission, cui fa seguito l’eventuale<br />

adeguamento del DCGK. Di qui la diversa terminologia adottata da tale orientamento che<br />

distingue tra Positive Abweichenserklärung e Negative Abweichenserklärung. In questi temini<br />

si sono pronunciati Ihrigg-Wagner, Die Reform geht weiter: Das Transparenz- und Publizitätsgesetz<br />

kommt, in Betriebs-Berater, 2002, p. 790.<br />

( 54 ) In tal senso Lutter, op. cit., p. 531.<br />

( 55 ) Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-Erklärung (§ 161<br />

AktG-E), cit., ritiene che « im Abweichung von der Kurzformel “Comply or Explain” (. . .)<br />

besteht nur eine Darstellungspflicht bezüglich der Abweichungen, nicht auch eine Begründungspflicht.<br />

Es kann indes angenommen werden, dass die Gesellschaft und die Verwaltungsorgane<br />

die Abweichungen von den Kodex-Verhaltensempfehlungen begründen oder<br />

auf – diese Empfehlungen substituierende – Schutzmassnahmen hinweisen, um somit dem


SAGGI 879<br />

Questa divergenza rispetto al modello di riferimento è stata qualificata<br />

da una parte della dottrina come «Comply or Disclose-Regelung » ( 56 ).<br />

Da parte nostra, pur ritenendo questa ricostruzione coerente ed in<br />

grado di descrivere al meglio il sistema derivante dalla interrelazione tra §<br />

161 e DCGK, si manifesta sorpresa per il fatto che l’autorevole dottrina citata<br />

non abbia fatto alcun riferimento alla raccomandazione di cui al n.<br />

3.10 del DCGK che interpretata letteralmente potrebbe portare a risultati<br />

contrapposti.<br />

Tale raccomandazione richiede che i dichiaranti riferiscano annualmente<br />

sulle regole di corporate governance adottate dalla loro società e,<br />

nella relativa relazione, indichino i motivi di eventuali deviazioni dalle<br />

raccomandazioni del DCGK ( 57 ). Sembrerebbe di essere in presenza di<br />

una regola avente un contenuto corrispondente a quello del § 161, con in<br />

più la precisazione che le deviazioni dal DCGK devono essere motivate.<br />

Si potrebbe sostenere che tale raccomandazione non è vincolante, ma<br />

ciò è vero solo per la seconda parte, avendo assunto l’obbligo di dichiarazione,<br />

per il fatto di essere confluito nel testo del § 161, carattere dispositivo.<br />

Orbene, volendo trattare la seconda parte della raccomandazione in<br />

esame alla stregua di ogni altra raccomandazione contenuta nel DCGK ( 58 ),<br />

se non la si vuole adottare, la si deve escludere espressamente nella Entsprechenserklärung<br />

annuale, poiché in mancanza di una tale esclusione, ad essa<br />

va uniformata la condotta interessata. Ciò equivale a dire che in difetto di<br />

una esclusione della raccomandazione in esame bisogna motivare le ragioni<br />

per cui altre raccomandazioni sono state, in ipotesi, disattese.<br />

Informationsinteresse der Aktionäre, weiterer Stakeholder sowie der Anlegeröffentlichkeit<br />

zu entsprechen ».<br />

Dello stesso avviso Lutter, op. cit., p. 530, il quale osserva che « in der Tat wird wegen<br />

der Erwartungen des Kapitalmarktes damit zu rechnen sein, dass Unternehmen bei Nichtbefolgung<br />

bestimmter Kodexempfehlungen zu den für notwendig erachteten Abweichungen<br />

auch inhaltlich Stellung nehmen werden ».<br />

( 56 ) Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-Erklärung (§ 161<br />

AktG-E), cit., p. 252.<br />

( 57 ) La raccomandazione n. 3.10 del DCGK dice infatti che « Vorstand und Aufsichtsrat<br />

sollen jährlich im Geschäftsbericht über die Corporate Governance des Unternehmens berichten.<br />

Hierzu gehört auch die Erläuterung eventueller Abweichungen von den Empfehlungen<br />

dieses Kodex».<br />

( 58 ) Come in precedenza osservato il DCGK stabilisce un criterio letterale per distinguere<br />

le raccomandazioni dalle altre regole. Tal criterio, consistente nell’uso del verbo soll,<br />

permette di qualificare la regola in esame come una raccomandazione a tutti gli effetti, con<br />

tutte le conseguenze sul piano sostanziale che da tale qualificazione derivano, vale a dire:<br />

comply or disclose.


880 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

L’interpretazione della raccomandazione n. 3.10 che qui si propone<br />

corrisponde a quella adottata dalla dottrina per ogni altra raccomandazione<br />

contenuta nel DCGK; da essa si ricava che in assenza di una Negative<br />

Entsprechenserklärung i dichiaranti possono essere chiamati a rispondere,<br />

nei termini di cui immediatamente si dirà, dei danni che con tale condotta<br />

hanno cagionato.<br />

La raccomandazione n. 3.10 seconda frase ha un contenuto peculiare,<br />

ma tale peculiarità non è stata riconosciuta dalla dottrina, né tanto meno<br />

dalla prassi. Nelle Entsprechenserklärungen ( 59 ) consultate si è notato infatti<br />

che tra le raccomandazioni da cui espressamente si deviava non veniva<br />

mai indicata la n. 3.10, ciò che, secondo la nostra personale opinione, sarebbe<br />

stato necessario se si voleva escludere l’obbligo di motivazione che<br />

tale raccomandazione prescrive relativamente alle altre raccomandazioni<br />

che si decide di non seguire. Richiedere un’esclusione espressa della raccomandazione<br />

n. 3.10, di fatto, non avrebbe avuto ripercussioni sul piano<br />

pratico, ma sarebbe stato maggiormente rispondente al testo di tale raccomandazione,<br />

e in perfetta coerenza con il § 161.<br />

6. – Il § 161 della legge azionaria, nel prevedere l’obbligo di dichiarazione<br />

circa l’adozione delle raccomandazioni del DCGK, prescrive che la<br />

Entsprechenserklärung deve essere resa accessibile agli azionisti in maniera<br />

duratura. L’obbligo di dichiarazione in esame risulta adempiuto mediante<br />

l’elaborazione di una « Relazione sulla Corporate Governance » che<br />

viene portata a conoscenza degli azionisti, degli investitori e di quanti vi<br />

abbiano interesse tramite il sito internet della società.<br />

L’utilizzo di internet quale strumento idoneo a garantire la corretta<br />

informazione degli azionisti e degli investitori è oggetto di espressa previsione<br />

da parte di due raccomandazioni ( 60 ) del DCGK, ciò in quanto per<br />

la Cromme-Kommission i nuovi strumenti tecnologici ed in particolare internet<br />

sono un elemento centrale di trasparenza della gestione societaria e<br />

( 59 ) Le Entsprechenserklärungen delle società quotate sono linkate nel sito internet della<br />

Regierungskommission Deutscher Corporate Governance Kodex il cui indirizzo é www.corporate-governance-code.de.<br />

( 60 ) Si tratta delle raccomandazioni 6.4 e 6.8 le quali rispettivamente prevedono che:<br />

« la società dovrà utilizzare appropriati mezzi di comunicazione, come internet, per informare<br />

gli azionisti e gli investitori in modo tempestivo e paritetico » e che « le informazioni<br />

sull’impresa che la società rende note dovranno essere disponibili sul sito internet della società.<br />

Il sito internet della società dovrà essere strutturato secondo principi di chiarezza. Le<br />

pubblicazioni dovrebbero essere anche in lingua inglese ».


SAGGI 881<br />

come tali si prestano a garantire il raggiungimento di standards elevati di<br />

corporate governance ( 61 ).<br />

Peraltro, se il legislatore ha pensato bene di non imporre l’adozione<br />

del DCGK alle società quotate, limitandosi a prevedere solo l’obbligo<br />

pubblicitario di cui al § 161, tale obbligo risulta rafforzato dalla previsione<br />

di tre disposizioni del codice di commercio – i §§ 285 n. 16, 314 comma 1<br />

n. 8, 325 comma 1 – che predispongono altri mezzi per portare a conoscenza<br />

degli azionisti e dei terzi il grado di accoglienza delle raccomandazioni<br />

del DCGK nella struttura organizzativa delle società quotate.<br />

Così, il § 285 n. 16 HGB richiede che nel Bilanzanhang – i.e. la nota integrativa<br />

– si dichiari di aver provveduto alla Entsprechenserklärung, comunicando<br />

agli azionisti la possibilità e le modalità di conoscenza del relativo<br />

contenuto. Dal momento che la nota integrativa è sottoposta al controllo<br />

degli Abschlussprüfer ( 62 )– i.e. i revisori contabili –, essi dovranno<br />

verificarne la completezza anche in relazione all’indicazione di avvenuta<br />

Entsprechenserklärung. D’altra parte i revisori devono limitarsi solo a verificare<br />

la presenza di tale indicazione, senza dover addentrarsi in una verifica<br />

nel merito della dichiarazione ( 63 ).<br />

Ancora, il § 314 comma 1, n. 8 richiede che nel Konzernanhang al bilancio<br />

consolidato del gruppo sia dichiarata l’avvenuta Entsprechenserklärung<br />

per ciascuna società quotata facente parte del gruppo. Tale indicazione<br />

deve essere fatta anche nell’ipotesi in cui la capogruppo non sia una società<br />

quotata, se nel bilancio consolidato del gruppo rientra una società<br />

quotata. Anche il Konzernanhang è sottoposto alla verifica dei revisori<br />

contabili.<br />

Infine, il § 325 c. 1, nel prevedere che sia depositata una copia del bilancio<br />

annuale presso l’ufficio del registro delle imprese, richiede che con<br />

essa sia depositata anche una copia della Entsprechenserklärung.<br />

7. – Il complesso di norme appena esaminate ha spinto la dottrina a<br />

confrontarsi con la natura dell’obbligo informativo cui sono tenuti il Vor-<br />

( 61 ) Sul punto si vedano: Noack, op. cit., p. 17 e Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder,<br />

op. cit., p. 275 ss.<br />

( 62 ) Sull’attività di controllo che discende dai §§ 285 n. 16, 314, comma 1°, n. 8, 325,<br />

comma 1°, relativamente al DCGK si veda: Gelhausen-Hönsch, Deutscher Corporate Governance<br />

Kodex und Abschlussprüfung, in Die Aktiengesellschaft, 2002, p. 529 ss.<br />

( 63 ) Si vedano ex multis: Strieder, Deutscher Corporate Governance Kodex, cit.,160;<br />

OSER, Reform des Aktienrechts, der Rechnungslegung und Prüfung – KonTraG, Corporate Governance,<br />

TransPuG, 2003, p. 599 ss.


882 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

stand e l’Aufsichtsrat e con le eventuali conseguenze che da una sua violazione<br />

discendono sul piano giuridico. Tale questione ne presuppone<br />

un’altra, altrettanto discussa in dottrina, relativa alla natura giuridica del<br />

DCGK ( 64 ).<br />

La dottrina dominante ritiene che le regole contenute nel DCGK, per<br />

quanto non possano assurgere al rango di norme di legge ( 65 ), difettando<br />

per esse il normale iter parlamentare, facciano ingresso nell’ordinamento<br />

positivo attraverso due distinte strade ( 66 ): i) in virtù del richiamo espresso<br />

da parte del § 161 della legge azionaria e delle norme che ad esso rinviano,<br />

quale conseguenza dell’Entsprechenserklärungspflicht – l’obbligo informativo<br />

di cui si è detto – in esso contenuto; ii) quale criterio interpretativo<br />

utilizzabile in sede giudiziale per riempire di contenuto le c.d. Blankettnormen<br />

che prescrivono in termini generali gli obblighi di condotta per i<br />

componenti degli organi amministrativo e di controllo (§§ 93 e 116 legge<br />

azionaria) ( 67 ).<br />

Per quanto non possa essere equiparato alla legge ( 68 ), il DCGK non<br />

può neppure essere considerato alla stregua dei codici di autodisciplina<br />

adottati in altri paesi ovvero degli altri codici in precedenza elaborati in<br />

Germania. Tali codici si basano sul principio dell’adesione volontaria da<br />

parte delle società quotate che dichiarano di voler recepire le regole di<br />

condotta in essi contenute – c.d. “Opt out”-Lösung –. Il DCGK, non richiedendo<br />

un atto di volontaria adesione da parte dei suoi destinatari è<br />

stato ricondotto dalla dottrina tedesca allo schema della c.d. “Opt out”-Lö-<br />

( 64 ) Si veda, per una ricostruzione organica delle tesi sostenute in dottrina: Borges, op.<br />

cit., p. 526 ss.<br />

( 65 ) Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex: Antworten auf Zweifehlfragen der<br />

Praxis, in Die Aktiengesellschaft, 2003, p. 470, secondo il quale: « der Kodex selbst ist kein<br />

Gesetz, da er nicht in einem ordnungsgemäßen parlamentarischen Verfahren zustanden<br />

gekommen ist. Dies gilt selbstverständlich auch für seinen das geltenden Recht (z.T. zum<br />

Zwecke leichterer Verständlichkeit verkürzend und damit unrichtig) beschreibenden Teil ».<br />

( 66 ) In tal senso: Lutter, op. cit., p. 527; Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex<br />

und Entsprechens-Erklärung (§ 161 AktG-E), cit., p. 250.<br />

( 67 ) Schiessl, Deutsche Corporate Governance post Enron, in Die Aktiengesellschaft,<br />

2002, p. 595, il quale sostiene che « es ist denkbar, dass die Gerichte bei der Interpretation<br />

der §§ 93, 116 AktG mehr und mehr auf den Kodex zurückgreifen. Damit zeigt sich die problemantik<br />

der Verswischung von gesetzlicher und freiwilliger Normensetzung ».<br />

( 68 ) Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex: Antworten auf Zweifehlfragen der<br />

Praxis, cit., p. 471, per il quale: « Der DCGK ist weder Gesetz noch Vertrag, sondern ein<br />

außenrechtlich-normatives Dokument eines privatrechtlichen Gremiums, und hieran ändert<br />

auch die vom Bundesministerium der Justiz vor Veröffentlichung im elektronischen<br />

Bundesanzeiger vorgenommene “Rechtsmäßigkeitskontrolle” nichts ».


SAGGI 883<br />

sung ( 69 ), in virtù del quale le società devono dichiarare se ed in che misura<br />

intendono deviare dallo schema comportamentale predisposto dal<br />

DCGK. La scelta nella TransPuG della “Opt out”-Lösung è stata intesa<br />

come dimostrazione della convinzione del legislatore circa la opportunità<br />

di adeguarsi alle raccomandazioni del DCGK, peraltro senza rendere<br />

tali regole vincolanti per le società o conferire loro un contenuto dispositivo<br />

( 70 ).<br />

In dottrina vi è chi ha sostenuto che le raccomandazioni contenute nel<br />

DCGK siano l’espressione di una soft law ( 71 )che abbia voluto predisporre<br />

il legislatore, confidando nella attenzione degli operatori nel senso di<br />

adeguare lo Statuto e i regolamenti interni degli organi sociali a tali regole<br />

di condotta. Ma anche tale ricostruzione è stata sottoposta a critiche ( 72 ).<br />

Un criterio interpretativo potrebbe allora derivare dall’analisi delle diverse<br />

tipologie di regole contenute nel DCGK. Esse sono classificabili in<br />

ragione della loro incisività nel sistema di corporate governance adottato<br />

dalle società quotate, e possono essere distinte, come visto in precedenza,<br />

in raccomandazioni, suggerimenti e altre regole che ripetono, spesso<br />

esplicitandolo, il contenuto di disposizioni di diritto vigente. La dottrina è<br />

concorde nel ritenere che dalle norme aventi natura imperativa e dalle<br />

Soll-Vorschriften discende un generale dovere di diligenza per Vorstand e<br />

( 69 ) Ulmer, Deutscher Corporate Governance Kodex – ein neues Regulierungsinstrument<br />

für Börsennotierte Aktiengesellschaft, cit., p. 159, per il quale: « eine Parallele zu den bisher<br />

bekannt gewordenen Codices, darunter insbesondere den Insiderhandels-Richtlinie und<br />

dem Übernahmekodex, scheidet aus. Denn in jenen Fällen handelte es sich jeweils um formulierte<br />

Regelwerke, die erst durch zivilrechtliche Anerkennung (Unterwerfung) seitens<br />

der börsennotierten Unternehmen für diese Wirksamkeit erlangten. Man konnte also von<br />

einer Art (. . .) “Opt in”-Lösung sprechen. An eine solche zivilrechtliche Anerkennung ist<br />

beim DCG-Kodex jedoch nicht gedacht. Vielmehr soll es den Normenadressaten del § 161<br />

AktG umgekehrt freistehen, sich als “Opt out”-Lösung für die Nichtbefolgung einzelner<br />

oder aller Empfehlungen zu entscheiden ».<br />

( 70 ) Ulmer, Deutscher Corporate Governance Kodex – ein neues Regulierungsinstrument<br />

für Börsennotierte Aktiengesellschaft, cit., p. 161.<br />

( 71 ) L’idea per cui le regole del DCGK possono essere viste come esempi di soft law è<br />

stata inizialmente sostenuta da Lutter, op. cit., p. 526.<br />

Tale idea è stata di recente ripresa da Steinat, op. cit., p. 10, la quale ha osservato che<br />

« der Kodex selbst ist daher kein staatliches Recht, sondern wie in der Praeambel formuliert:<br />

Eine echte “Selbstorganisation” der Wirtschaft durch nicht-gesetzliche Verhaltenkodizes.<br />

Diese Form wird vielfach auch als “soft law” bezeichnet. Es gibt also keinen rechtlichen<br />

Zwang, den Verhaltensempfehlungen zu entsprechen ».<br />

( 72 ) Ulmer, Deutscher Corporate Governance Kodex – ein neues Regulierungsinstrument<br />

für Börsennotierte Aktiengesellschaft, cit., p. 167.


884 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Aufsichtsrat che trova fondamento legale nei §§ 93 e 116 della legge azionaria,<br />

per cui dalla violazione di questo dovere deriverebbe la responsabilità<br />

dei membri di tali organi per gli eventuali danni cagionati.<br />

Sembra questa una ricostruzione coerente, che tiene conto della previsione<br />

del § 161, ma anche del fatto che un controllo esterno rimesso al<br />

mercato circa la rispondenza tra regole di corporate governance adottate in<br />

concreto da ciascuna società e raccomandazioni del DCGK, in un sistema<br />

come quello tedesco che risulta ancora caratterizzato dalla centralità del<br />

sistema bancario ( 73 ), non appare configurabile. Ne consegue che la violazione<br />

di tale dovere potrà essere rilevato in sede giudiziale, al momento di<br />

un accertamento delle responsabilità dei componenti degli organi amministrativo<br />

o di controllo.<br />

Occorre tuttavia precisare che la responsabilità dei membri del Vorstand<br />

e dell’Aufsichtsrat in relazione alle Soll-Vorschriften, secondo una ricostruzione<br />

ampiamente accolta in dottrina ( 74 ), si manifesterebbe solo<br />

nelle seguenti ipotesi: i) non si provvede alla Entsprechenserklärung ( 75 ) –<br />

c.d. fehlende Entsprechenserklärung –, ovvero non si provvede nella forma<br />

richiesta ( 76 ); ii) la Entsprechenserklärung non è veritiera; iii) non si provvede<br />

a sostituire con una nuova dichiarazione la parte della Entsprechenserklärung<br />

rivolta al futuro in ipotesi di una deviazione da essa nel corso<br />

dell’anno – c.d. zusätzliche Erklärung –.<br />

( 73 ) Il sistema tedesco può essere ricondotto nel novero degli insider systems o banking<br />

oriented systems, caratterizzati da un ruolo centrale delle banche e da una minore contendibilità<br />

del controllo delle società legata alla alta concentrazione delle azioni nelle mani di un<br />

numero limitato di azionisti. Ciò comporta necessariamente una riduzione della funzione<br />

disciplinare del mercato, più che compensata dall’attribuzione della funzione di controllo<br />

sulla gestione – a differenza del sistema di amministrazione e controllo c.d. monistico proprio<br />

degli ordinamenti di common law – ad un ulteriore organo societario.<br />

Al riguardo è stato osservato che « [l]e origini di questo modello, nonché il suo successivo<br />

sviluppo, si sono ispirati, nella loro filosofia di fondo a idee dirigiste, che consideravano<br />

la relazione tra Stato, industria e sistema bancario il punto centrale per lo sviluppo economico<br />

e sociale »: così Fortuna, Corporate governance. Soggetti, modelli e sistemi, 2001, p. 92.<br />

( 74 ) Si ricordano ex multis: Lutter, op. cit., p. 540; Ettinger-Gruetzediek, Haftungsrisiken<br />

im Zusammenhang mit der Abgabe der Corporate Governance Entsprechenserklärung<br />

gemäß § 161 AktG, in Die Aktiengesellschaft, 2003, p. 353; Seibt, Deutscher Corporate Governance<br />

Kodex: Antworten auf Zweifelfragen der Praxis, cit., p. 471.<br />

( 75 ) Ettinger-Gruetzediek, op. cit., p. 353, per i quali « geben Vorstand und Aufsichtsrat<br />

überhaupt keine Entsprechenserklärung ab, verletzen sie ihre Pflichten schon dadurch,<br />

dass sie gegen das Gesetz, nämlich gegen § 161 AktG verstoßen ».<br />

( 76 ) In tal senso Lutter, op. cit., p. 543.


SAGGI 885<br />

8. – In riferimento all’ipotesi c.d. di fehlende Entsprechenserklärung in<br />

dottrina ci si è interrogati sull’esatta portata del concetto. Oltre al caso, di<br />

immediata evidenza, in cui non si faccia nessuna dichiarazione ( 77 ), vi è<br />

chi ritiene che si possa configurare tale fattispecie anche nel caso in cui si<br />

provveda all’obbligo derivante dal § 161 in maniera dubbia ed equivoca,<br />

vale a dire, in maniera tale da non permettere ai destinatari della dichiarazione<br />

di capire se determinate raccomandazioni siano state adottate o meno<br />

( 78 ). Da ciò deriva che fuori dai casi antitetici di Positive ovvero Negative<br />

Entsprechenserklärung – in cui con una semplice dichiarazione di aderenza<br />

o di deviazione dalle regole del DCGK si fa riferimento a tutte le<br />

raccomandazioni in esso contenute – nella dichiarazione deve essere<br />

esplicitato, in maniera non equivoca e senza lasciare adito ad alcun dubbio,<br />

in che misura si seguano o si intendano seguire le raccomandazioni<br />

del DCGK, eventualmente pronunciandosi su ciascuna di esse.<br />

Bisogna, tuttavia, segnalare che quella qui considerata è un’ipotesi solo<br />

teorica, in quanto sin dalla prima versione del DCGK non è mai accaduto<br />

che gli organi amministrativo e di controllo di tutte le società quotate<br />

non provvedessero alla Entsprechenserklärung ovvero che in essa fossero<br />

rifiutate en bloc tutte le raccomanzioni del DCGK. Allo stesso modo,<br />

le Entsprechenserklärungen visionate sono state per lo più rispondenti al<br />

modello di dichiarazione indicato dal legislatore nella TransPuG ( 79 ), senza<br />

poter dare adito a dubbi od equivoci.<br />

9. – In riferimento all’ipotesi di Entsprechenserklärung non veritiera la<br />

questione richiede innanzitutto che nella Entsprechenserklärung si distingua<br />

la parte rivolta al passato – c.d. vergangenheitsbezogene Entsprechenserklärung<br />

– e che quindi fotografa lo stato di adozione delle regole contenute<br />

nel DCGK al momento della dichiarazione, rispetto alla parte rivolta<br />

al futuro – c.d. zukunftsbezogene Entsprechenserklärung –. Si tratta di<br />

una distinzione che trova fondamento nella stessa lettera del § 161 che richiede,<br />

come si è visto, l’indicazione delle raccomandazioni adottate all’atto<br />

della dichiarazione nonché l’indicazione delle raccomandazioni che<br />

si ha intenzione di adottare nel corso dell’anno.<br />

Circa la vergangenheitsbezogene Entsprechenserklärung, la dottrina ( 80 ) si<br />

( 77 ) Tale ipotesi risulta, allo stato attuale, meramente teorica, avendo provveduto tutte<br />

le società quotate alla Entsprechenserklärung annuale e, ciò che è più rilevante, avendo accolto<br />

la quasi totalità delle raccomandazioni del DCGK.<br />

( 78 ) Ettinger-Gruetzediek, op. cit., p. 355.<br />

( 79 ) Cfr. nota 52.<br />

( 80 ) Al riguardo si vedano: Gelhausen-Hönsch, Folgen der Änderung des DCGK fuer


886 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

è pronunciata in maniera uniforme sulla necessità che essa sia veritiera,<br />

una mancanza su tale punto comportando la responsabilità dei dichiaranti,<br />

sia nei riguardi della società che nei riguardi degli azionisti, i quali saranno<br />

tenuti a risarcire gli eventuali danni derivanti dalla condotta da essi<br />

tenuta ( 81 ). Tale interpretazione poggia sul senso e sullo scopo che con la<br />

Entsprechenserklärung si vuole perseguire, vale a dire una maggiore trasparenza<br />

e una conseguente maggiore fiducia degli investitori negli organi<br />

amministrativi delle società quotate. Non si può pensare di ispirare fiducia<br />

facendo ricorso a dichiarazioni non veritiere, tanto più che senza alcun<br />

onere di motivazione l’obbligo di dichiarazione risulta adempiuto anche<br />

indicando semplicemente quali raccomandazioni non si è inteso adottare.<br />

Come la dichiarazione orientata al passato, anche la zukunftsbezogene<br />

Entsprechenserklärung deve essere veritiera ( 82 ). Secondo un’autorevole<br />

dottrina ciò non vuol dire che essa vincoli per il futuro, o almeno fino alla<br />

dichiarazione successiva, ad adeguarsi alle raccomandazioni richiamate<br />

( 83 ), ma sta a significare che la dichiarazione deve assumere le vesti di<br />

die Entsprechenserklaerung, in Die Aktiengesellschaft, 2003, p. 370; Seibt, Deutscher Corporate<br />

Governance Kodex: Antworten auf Zweifelfragen der Praxis, cit., p. 473; Ulmer, Deutscher<br />

Corporate Governance Kodex – ein neues Regulierungsinstrument für Börsennotierte Aktiengesellschaft,<br />

cit., p. 165; Lutter, op. cit., p. 531.<br />

( 81 ) Lutter, op. cit., p. 532, sostiene che « wird von Vorstand und Aufsichtsrat vergangenheitsbezogen<br />

eine unzutreffende Entsprechenserklärung abgegeben, so liegt hierein ein<br />

Verstoß gegen § 161 AktG. Das aber ist zugleich pflichtwidrig im Sinne von § 93 AktG. Die<br />

Entstehung eines Ersatzanspruchs der Gesellschaft gemäß § 93 Abs. 2 Satz 1 AktG hängt<br />

dann davon ab, ob durch die Pflichtverletzung ein adäquat kausaler Schaden entstanden ist<br />

und ob das in Anspruch genommene Vorstands- oder Aufsichtsratsmitglied ein Verschulden<br />

daran trifft (Kenntnis oder Kennenmüssen des Kodex- Verstoßes) ».<br />

( 82 ) Sul fatto che la Entsprechenserklärung, sia essa rivolta al passato o al futuro, debba<br />

essere veritiera è stato osservato che « schließlich folgt aus § 161 AktG-E eine Pflicht der<br />

Geschäftsleitungsorgane zur gewissenhaften und getreuen Rechenschaft, d.h. Vorstand<br />

und Aufsichtsrat müssen bei Abgabe der Entesprechens-Erklärung die Gebote der<br />

Wahrheit und Vollständigkeit, der Klarheit und Übersichtlichkeit einhalten ».<br />

Così Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-Erklärung (§ 161<br />

AktG-E), in Die Aktiengesellschaft, 2002, p. 254.<br />

( 83 ) Una interpretazione in tal senso non troverebbe alcun supporto né nel § 161, né nel<br />

DCGK. Il § 161 si limita, come si è visto a sancire un obbligo dichiarativo, mentre il DCGK<br />

contiene delle raccomandazioni, che nonostante l’invito implicito a tenere una condotta ad<br />

esse conforme, restano non vincolanti.<br />

Su tale aspetto della dichiarazione rivolta la futuro è stato osservato che « die Ausweitung<br />

der Pflichten des § 161 AktG auf ein dauerndes erklärungskonformen Verhalten ist<br />

(. . .) auch durch den Sinn und Zweck der Vorschrift nicht geboten ». Così Lutter, op. cit.,<br />

p. 533.


SAGGI 887<br />

una Absichtserklärung ( 84 ) – i.e. dichiarazione di intenzione –, deve cioè<br />

indicare l’intenzione degli organi sociali di attenersi al suo contenuto.<br />

Ritengo si possa aggiungere, in coerenza con la dottrina citata, che ci si<br />

debba attenere all’Absichtserklärung quantomeno riguardo al suo contenuto<br />

positivo, giacché eventuali deviazioni dal contenuto negativo comportano<br />

l’adozione di ulteriori raccomandazioni del DCGK, ciò che non<br />

potrà essere oggetto di lagnanza viste le maggiori garanzie che in tal modo<br />

si forniscono ai destinatari della dichiarazione.<br />

I dichiaranti saranno responsabili per non essersi attenuti alla Absichtserklärung<br />

solo se consapevolmente hanno reso delle false dichiarazioni,<br />

vale a dire solo se essi intenzionalmente hanno reso quelle dichiarazioni<br />

sapendo di non volerne rispettare il contenuto sin dal momento in cui le<br />

hanno rese.<br />

Una tale costruzione pone il problema dell’onere della prova, che secondo<br />

la dottrina ( 85 ) va risolto in base al § 93 comma 2 della legge azionaria.<br />

Alla stregua del principio contenuto in tale norma, si ha l’inversione<br />

dell’onere della prova nel caso in cui sia controversa la violazione dei<br />

doveri di diligenza degli amministratori. Ciò comporta, nell’ipotesi qui<br />

considerata, che i dichiaranti convenuti in giudizio dovranno provare, per<br />

andare esenti da ogni responsabilità, che all’atto della dichiarazione contenente<br />

le verba de futuro mancava l’intenzione di non attenersi ad esse.<br />

La prova del danno subito dovrà essere fornita, secondo i principi generali,<br />

dalla parte che agisce in giudizio nei confronti dei dichiaranti.<br />

10. – Una volta ammessa la libertà per i dichiaranti di deviare nel corso<br />

dell’anno dalla Absichtserklärung – resta ferma in ogni caso la loro responsabilità<br />

nell’ipotesi in precedenza considerata – bisogna chiedersi se<br />

essi siano tenuti a fornire una dichiarazione infra-annuale con cui si rende<br />

noto tale mutamento di indirizzo – c.d. zusätzliche Erklärung –. La questione<br />

ha rilevanza pratica soprattutto nel caso in cui durante l’anno i dichiaranti<br />

decidano di non adeguarsi più a determinate raccomandazioni<br />

del DCGK in precedenza accolte nella Absichtserklärung rivolta al futuro;<br />

ciò in quanto, se si ritiene che essi siano tenuti a una dichiarazione integrativa,<br />

una sua omissione avrebbe una rilevanza di natura civilistica comportando<br />

il risarcimento del danno da essa derivante.<br />

Una dottrina autorevole ritiene che la zusätzliche Erklärung sia pienamente<br />

rispondente allo spirito e allo scopo del § 161, nonostante un obbli-<br />

( 84 ) Lutter, op. cit., p. 534.<br />

( 85 ) In tal senso si è pronunciato Lutter, op. cit., p. 532.


888 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

go al riguardo possa non apparire dal testo della norma citata ( 86 ). Con la<br />

zusätzliche Erklärung si permette cioè agli organi societari che nel corso<br />

dell’anno hanno rilevato l’impossibilità o la non opportunità di un adeguamento<br />

alla Absichtserklärung di adempiere agli obblighi pubblicitari<br />

prescritti dal § 161, evitando che le deviazioni dalle dichiarazioni precedentemente<br />

rese restino nell’oscurità fino alla dichiarazione annuale successiva<br />

e che possano condurre ad interpretare ex post l’Absichtserklärung<br />

come una falsa dichiarazione, con le conseguenze viste supra.<br />

Secondo tale orientamento una zusätzliche Erklärung è tanto più necessaria<br />

nell’ipotesi in cui la società abbia predisposto un sito internet al<br />

fine di garantire un accesso alla Entsprechenserklärung non sottoposto a limiti<br />

temporali, in quanto ciò conferirebbe alla dichiarazione il carattere di<br />

«sich repetierende Dauererklärung » ( 87 ). In un caso del genere il mancato<br />

adeguamento della dichiarazione annuale potrebbe essere preso a dimostrazione<br />

della volontà di diffondere informazioni false in quando i dichiaranti<br />

sin dal momento della Entsprechenserklärung erano perfettamente<br />

coscienti di non volersi adeguare ad essa ( 88 ).<br />

Tale dottrina ritiene che un indice della ammissibilità della zusätzliche<br />

Erklärung derivi dal § 15 WpHG ( 89 ), norma che prescrive l’obbligo per l’e-<br />

( 86 ) Lutter, op. cit., p. 535, il quale sostiene che « die Gesetzesformulierung laesst die<br />

Auslegung zu, es sei ausreichend, wenn die Entsprechenserklärung einmal im Jahr erfolgt.<br />

Ein derart enges Verständnis der Gesetzlichen Erklärungspflicht lässt sich mit dem Sinn<br />

und Zweck des § 161 jedoch dann nicht vereinbaren, wenn man, wie hier, die unterjährige<br />

Meinungsänderung gegenüber der verlautbarten Absicht für zulässig erachtet ».<br />

Contra Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-Erklärung (§ 161<br />

AktG-E), cit., p. 254.<br />

( 87 ) In questi termini Seibert, Im Blickpunkt: Der Deutsche Corporate Governance Kodex<br />

ist da, cit., p. 583, il quale sostiene che « erst durch das dauerhafte Einstellen uns Internet<br />

erlangt diese auf den gegenwärtigen Moment bezogene Erklärung “wird” der Charakter einer<br />

sich stets repetierenden Dauererklärung ».<br />

( 88 ) Lutter, op. cit., p. 534.<br />

( 89 ) La Wertpapierhandelsgesetz (WpHG) – i.e. legge relativa alla negoziazione in titoli -<br />

del 26 luglio 1994, che ha recepito due direttive comunitarie – la Direttiva 88/627/CE del 12<br />

dicembre 1988 e la Direttiva 89/592/CE del 13 novembre 1989 – è stata sottoposta di recente<br />

a diverse modifiche. Si segnalano le modifiche apportate:<br />

– dalla Gesetz zur weiteren Entwicklung des Finanzmarktes Deutschland (Viertes Finanzmarktförderungsgesetz)<br />

– i.e. Legge di ulteriore sviluppo del mercato finanziario tedesco – del<br />

1° luglio 2002, con cui è stato introdotto nel corpus della WpHG il § 15a il quale sancisce l’obbligo<br />

da parte della società di comunicare l’acquisto o la cessione di titoli da parte dei membri<br />

del Vorstand e dell’Aufsichtsrat della società stessa o della casa madre, oppure da parte di<br />

perrone loro vicine. Da tale obbligo sono escluse le operazioni poste in essere da figure dirigenziali<br />

e da persone loro vicine che complessivamente non superino i 5.000,00 euro.


SAGGI 889<br />

mittente di comunicare prontamente notizie in grado di incidere sull’andamento<br />

dei titoli scambiati su un mercato regolamentato interno.<br />

La dottrina contraria ( 90 ), che fa affidamento sul testo del § 161 per<br />

escludere la zusätzliche Erklärung, sconta il fatto che in base a tale interpretazione<br />

perde ogni rilevanza la Entsprechenserklärung rivolta al futuro e<br />

le conseguenze che, sempre in base alla lettera del § 161, da essa derivano.<br />

Pur condividendo il primo orientamento, si ritiene che la zusätzliche<br />

Erklärung vada permessa cum grano salis. Un eccesso nella direzione opposta,<br />

nel senso di permettere di correggere più volte nell’anno la precedente<br />

dichiarazione, potrebbe creare delle aspettative in grado di incidere<br />

positivamente o negativamente sul corso del titolo, con conseguenti speculazioni<br />

da parte dei dichiaranti, in quanto essi, decidendo in anticipo la<br />

tempistica della successiva dichiarazione, potrebbero sfruttare gli effetti<br />

che essa produrrà sul mercato.<br />

11. – Il DCGK si caratterizza per il fatto di essere uno strumento che<br />

può essere rapidamente adeguato ai nuovi scenari legislativi e ai nuovi stan-<br />

– dalla Anlegerschutzverbesserungsgesetz (AnSVG) – i.e. legge di miglioramento della<br />

tutela degli investitori – del 7 luglio 2004. La AnSVG, recependo la Direttiva 2003/6/CE del<br />

28 gennaio 2003 in materia di Market Abuse, amplia i concetti relativi agli Insiderpapiere – i<br />

titoli ai quali si applica la disciplina in materia di insider trading sulle cui variazioni di corso<br />

possono speculare i soggetti che occupano una posizione di insider – che adesso comprendono<br />

anche i c.d. Warenderivative (titoli derivati collegati a merci); alle Insiderinformationen<br />

– le informazioni che ai sensi del § 15 WpHG sono in grado di incidere sul corso dei titoli –<br />

le quali, in virtù della sostituzione del termine Tatsache con il termine Umstand, possono<br />

avere ad oggetto non solo fatti ma anche delle circostanze consistenti in giudizi o prognosi<br />

sull’andamento dei titoli. Soprattutto, con tale legge si amplia il novero dei soggetti che devono<br />

rendere pubbliche le Insiderinformationen di cui siano venuti a conoscenza. Oltre ai<br />

soggetti che compongono gli organi amministrativo e di controllo della società emittente i<br />

titoli, sono tenuti a rendere pubbliche le circostanze in grado di influire sul corso dei titoli<br />

anche soggetti terzi che operano su incarico o per conto dell’emittente, qualora essi abbiano<br />

a comunicare delle Insiderinformationen ad altre persone che non siano tenute ad un obbligo<br />

di riservatezza giuridicamente sancito.<br />

La AnSVG modifica inoltre il § 15a, introdotto appena 2 anni prima inasprendone la disciplina,<br />

prima essendo previsto che erano esclusi dall’obbligo di comunicazione l’acquisto<br />

previsto dal contratto di lavoro come parte integrante della remunerazione, nonché l’acquisto<br />

e la cessione che non ecceda 25.000,00 euro in 30 giorni.<br />

( 90 ) Seibt, Deutscher Corporate Governance Kodex und Entsprechens-Erklärung (§ 161<br />

AktG-E), cit., p. 254, per il quale « es ist allein zum Stichtag des Jahresabschlusses und zum<br />

Zeitpunkt der Abgabe dieser Erklärung eine Erklärung abzugeben, die dann dauerhaft den<br />

Aktionären zugänglich zu machen ist. Ein Vertrauenstatbestand ergibt sich nur bezogen auf<br />

die Richtigkeit der Entsprechens-Erklärung zu diesen Stichtagen ».


890 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dards che vengono elaborati sia in ambito nazionale che internazionale ( 91 ).<br />

Non è un caso quindi che dal 26 febbraio 2002, data in cui è stata licenziata<br />

la prima versione del DCGK, sono state apportate dalla Cromme-<br />

Kommission diverse modifiche al DCGK da cui sono risultate quattro successive<br />

versioni.<br />

La prima delle versione modificate ha visto la luce dopo pochi mesi, il<br />

7 novembre 2002 ed è stata pubblicata sulla Gazzetta federale elettronica<br />

il 26 febbraio 2002. Le innovazioni più rilevanti si sono rese necessarie per<br />

adeguare il DCGK ad un nuovo scenario normativo.<br />

In particolare nella versione originaria era prevista una raccomandazione,<br />

la n. 6.6, in base alla quale si invitavano le società quotate a comunicare<br />

prontamente l’acquisto o la cessione di titoli o diritti della società<br />

da parte dei membri degli organi amministrativo e di controllo o da parte<br />

di persone loro vicine. Tale raccomandazione non poteva tener conto di<br />

una proposta di legge del 14 novembre 2001, il cui art. 2, comma 3, n. 9,<br />

avrebbe dovuto introdurre per la prima volta nell’ordinamento tedesco<br />

una disciplina del c.d. Directors’ Dealing. Pochi mesi dopo sarebbe stata<br />

emanata la Viertes Finanzmarktförderungsgesetz ( 92 ).<br />

Con tale legge è stato inserito nel corpus della WpHG il § 15a, il quale<br />

prevede un obbligo per la società di comunicare gli acquisti o le cessioni<br />

di titoli della società o di una società del gruppo effettuati dai componenti<br />

degli organi amministrativo e di controllo ovvero dal coniuge o dal convivente<br />

o dal parente di primo grado. Tale obbligo è stato rafforzato dalla<br />

previsione di sanzioni pecuniarie ex § 39 WpHG. L’introduzione nella<br />

WpHG del § 15a ha reso necessaria la sostituzione della raccomandazione<br />

6.6 con una Muss-Vorschrift ( 93 ), esplicativa del diritto vigente che pertanto<br />

tale non può più essere disattesa dai destinatari del DCGK.<br />

Una ulteriore versione del DCGK, del 21 maggio 2003, è stata pubblicata<br />

nella Gazzetta federale elettronica il 30 giugno 2003. La struttura del<br />

DCGK non ne è stata mutata anche se diverse sono le raccomandazioni<br />

introdotte ex novo.<br />

In particolare non sono state modificate le sezioni 1, 2, 5-7, mentre le<br />

nuove raccomandazioni, riguardando la cooperazione tra organo amministrativo<br />

e di controllo ma soprattutto i compensi degli amministratori ( 94 ),<br />

sono state inserite nelle sezioni 3 e 4.<br />

( 91 ) Strieder, Deutscher Corporate Governance Kodex, cit., p. 43.<br />

( 92 ) Si veda la nota 89 del presente lavoro.<br />

( 93 ) Ringleb-Kremer-Lutter-v.Werder, op. cit., p. 269 ss.<br />

( 94 ) Si veda nel dettaglio Peltzer, Deutscher Corporate Governance Kodex. Ein Leitfaden,<br />

2004, p. 54 ss.


SAGGI 891<br />

In tema di cooperazione al n. 3.10, è stata inserita una frase in base alla<br />

quale nella relazione annuale sulla corporate governance gli organi societari<br />

potranno esprimere pareri su quanto indicato dal DCGK. In tal<br />

modo si vuole consentire alla Cromme-Kommission di venire a conoscenza<br />

dello stato d’animo di chi è chiamato ad adottare il DCGK aldilà dei<br />

meri rilevamenti statistici sul numero di raccomandazioni e suggerimenti<br />

seguite che vengono effettuati annualmente.<br />

Più articolato l’intervento in tema di compensi degli amministratori,<br />

affrontato in diverse raccomandazioni. Si segnala in questa sede l’introduzione<br />

della raccomandazione di cui al n. 4.2.2, prima frase, in base alla<br />

quale l’Aufsichtsrat dovrà consultarsi in seduta plenaria sulla struttura del<br />

sistema di retribuzione dei membri del Vorstand, verificandola ad intervalli<br />

regolari; la raccomandazione n. 4.2.3, relativa alle componenti fisse e variabili<br />

della remunerazione è stata oggetto di un interveto volto ad apportare<br />

maggiore precisione terminologica; infine, il suggerimento di cui al n.<br />

4.2.4, in base al quale si invitava i destinatari del codice ad indicare nella<br />

nota integrativa al bilancio la remunerazione degli amministratori, precisandone<br />

l’ammontare della parte fissa e di quella variabile, ha assunto la<br />

veste di una raccomandazione, per cui dal 2003 le società che non si sono<br />

adeguate ad essa hanno dovuto renderlo noto nella Entsprechenserklärung<br />

annuale. Si è poi ulteriormente precisato che tali importi devono essere<br />

indicati individualmente per ciascun amministratore.<br />

Peraltro, alcune di tali raccomandazioni risultano modificate nell’ultima<br />

versione del DCGK licenziata il 12 giugno 2006 ( 95 ).<br />

Nel 2004 non ci sono state nuove versioni del DCGK, tuttavia l’intensa<br />

attività legislativa ( 96 ) creava le premesse per i successivi interventi cor-<br />

( 95 ) Al riguardo si veda infra.<br />

( 96 ) Vanno qui ricordate la Anlegerschutzverbesserungsgesetz (AnSVG), su cui si veda la<br />

nota 87 del presente lavoro e la Bilanzkontrollgesetz (BilKoG), la legge sul controllo del bilancio<br />

del 12 dicembre 2004.<br />

Con la BilKoG il legislatore tenta di fornire una risposta agli scandali finanziari che<br />

hanno interessato negli ultimi anni i mercati internazionali, introducendo un complesso sistema<br />

di controlli che riducono la possibilità di manipolare i bilanci societari a danno degli<br />

investitori; in tal modo si vuole favorire la fiducia degli investitori nel mercato e per il suo<br />

tramite attrarre capitali stranieri.<br />

Per raggiungere tali obbiettivi si è ritenuto necessario rafforzare la posizione degli Abschlussprüfer<br />

– i.e. i revisori esterni – garantendo loro maggiore indipendenza. Si è poi previsto<br />

l’introduzione di due ulteriori livelli di controllo, dei quali il primo prevede la creazione<br />

di un organismo di diritto privato – il Deutsche Prüfstelle für Rechnungslegung (DPR)<br />

– che si attiva nell’eventualità di segnalazioni di inesattezze del bilancio – c.d. Bilanzfehler –


892 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

rettivi e di adeguamento del DCGK da parte della Cromme-Kommission<br />

che l’avrebbero portata a licenziarne una nuova versione del 2 luglio 2005,<br />

pubblicata nella Gazzetta federale elettronica il 20 luglio 2005.<br />

Diverse ed importanti sono le innovazioni rispetto al passato, le più significative<br />

delle quali riguardano l’Aufsichtsrat.<br />

In particolare, in materia di composizione e funzionamento dell’organo<br />

di controllo, in base al nuovo testo della raccomandazione n. 5.4.2 esso<br />

dovrà essere composto da un sufficiente numero di membri indipendenti<br />

per meglio adempiere alle funzioni di controllo e di indirizzo della<br />

gestione. Per membro indipendente si intende un soggetto che non intrattenga<br />

con la società o il suo organo amministrativo rapporti economici<br />

o personali che possano dare vita ad un conflitto di interessi.<br />

Sono stati poi introdotti ex novo i nn. 5.4.3 e 5.4.4. Il n. 5.4.3, relativo<br />

alle elezioni dei componenti dell’organo di controllo, contiene la raccomandazione<br />

che esse si svolgano come elezioni individuali ( 97 ), ciò che<br />

da parte di azionisti o di creditori. È stata poi prevista la possibilità di procedere a esami a<br />

campione o anche a seguito di richiesta fatta dal Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht<br />

(BaFin) dei bilanci delle società quotate. Il secondo livello del sistema di controllo introdotto<br />

con tale legge vede il diretto intervento del BaFin che attrae a sé il procedimento<br />

di controllo in ipotesi espressamente previsti: 1) la società si sottrae al controllo; 2) le inesattezze<br />

emerse dal controllo non vengono corrette dalla società; 3) i risultati del controllo<br />

sono revocati in dubbio dallo stesso BaFin. In sintesi si può dire che l’innovazione fondamentale<br />

introdotta con la BilKoG consiste nel fatto di prevedere una c.d. dritte Säule in materia<br />

di controllo di bilancio che va ad aggiungersi al controllo esercitato dall’Aufsichtsrat e<br />

dagli Abschlussprüfer.<br />

Tuttavia, l’introduzione di tale sistema non è andata esente da manifestazioni di perplessità.<br />

È stato osservato che: « three aspects of the Accounting Control Law appear to be<br />

at odds. First: the “checkpoint for accounting statements” is a control institution in which<br />

the body of publicly certified accountants watches its peers. Rather than establishing<br />

another semi-independent institution, the legislature should focus on providing the accounting<br />

professionals with the proper incentives for staying independent. Second, the<br />

control institution has no jurisdiction of any kind about the issue upon which it is deciding.<br />

Consequently, without res judicata of the checkpoint’s decision, from a legal point of view,<br />

there is no benefit to the firm, other than that it receives an additional opinion on an accounting<br />

issue. Third, accounting law is made on an international and European level. The<br />

control institution, however, is to be established and financed by parties of the “German<br />

economy”. We wonder whether this circle of actors is appropriate for firms with an international<br />

focus ».<br />

Così Noack-Zetzche, Corporate Governance in Germany: The second decade, 2005,<br />

p. 26.<br />

( 97 ) Strieder, Deutscher Corporate Governance, cit., p. 119, « die Empfehlung des<br />

DCGK mag zwar demokratisch klingen, doch trägt sie nicht zur Verkürzung der ohnehin<br />

langen Hauptversammlungen in Deutschland bei. Doch werden künftig wohl die meisten


SAGGI 893<br />

dovrebbe permettere agli azionisti di decidere in maniera indipendente e<br />

consapevole su ciascun candidato ( 98 ). Il n. 5.4.4 riguarda il passaggio dalla<br />

carica di Presidente o membro del Vorstand a Presidente o membro dell’Aufsichtsrat.<br />

Si tratta di una prassi molto diffusa nelle società per azioni<br />

tedesche ( 99 ) che la Cromme-Kommission invita a non seguire; a tal proposito,<br />

qualora si voglia realizzare il passaggio di cariche tra gli organi amministrativo<br />

e di controllo, si raccomanda di portare a conoscenza dell’assemblea<br />

tale volontà e di enunciare i motivi che la giustificano.<br />

Infine, al n. 5.4.7 è stata modificata la raccomandazione relativa alla<br />

pubblicità circa i compensi dell’organo di controllo, nel senso che essa doveva<br />

essere riportata nella nota integrativa al bilancio consolidato, mentre<br />

ora deve essere indicata nella Relazione sulla Corporate Governance.<br />

Altro tema che ha guidato gli interventi della Cromme-Kommission riguarda<br />

l’attività di controllo sul bilancio, sia da parte dei revisori dei conti<br />

e per i quali si pone il problema di garantirne l’indipendenza, sia da parte<br />

del Deutsche Prüfstelle für Rechnungslegung (DPR) – un organismo per il<br />

controllo dei bilanci di recente istituzione ( 100 ) – e del Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht<br />

(BaFin) – autorità federale per il controllo dei<br />

servizi finanziari –.<br />

Quanto ai revisori dei conti, la nuova versione del DCGK, modifica la<br />

raccomandazione n. 7.2.1, prima frase, relativa alla loro nomina. Tale raccomandazione<br />

prevedeva e prevede che le proposte di nomina dei revisori<br />

devono essere precedute da una dichiarazione del candidato sulla sussistenza<br />

o meno di rapporti con la società o i membri degli organi amministrativo<br />

e di controllo che potrebbero incidere sulla sua indipendenza. Nel<br />

nuovo testo si è precisato che si fa riferimento a rapporti commerciali, finanziari,<br />

personali o di altro genere.<br />

Relativamente all’attività di controllo sul bilancio da parte del DPR e<br />

Gesellschaften der Empfehlung folgen, um keine Abweichung vom DCGK offen legen zu<br />

müssen. Denn diese Forderung des DCGK ist vergleichsweise einfach erfüllbar ».<br />

( 98 ) In tali termini si è espresso il Dr. Cromme nel discorso introduttivo alla 4a Conferenza<br />

sul DCGK tenutasi a Berlino il 23-24 giugno 2005.<br />

( 99 ) Strieder, Deutscher Corporate Governance, cit., p. 119, « der Wechsel eines Mitglieds<br />

des Vorstands unmittelbar in den Vorsitz des Aufsichtsrat ist gängige Übung. Dies ist<br />

allerdings wegen des dann fehlenden Abstands grundsätzlich kritisch zu sehen. Bei den<br />

Grossen Gesellschaften die der DCGK im Auge hat, mag das auch zutreffen. Doch beispielsweise<br />

bei Familiengesellschaften kann diese Vorgehensweise durchaus sinn machen ».<br />

( 100 ) Il Deutsche Prüfstelle für Rechnungslegung (DPR) è un’associazione riconosciuta costituita<br />

il 14 maggio 2004, la cui attività è determinata dai §§ 342b-342e del codice di commercio,<br />

introdotti dalla Bilanzkontrollgesetz del 2004 (vedi nota 96).


894 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

del BaFin, al punto 7.1.2 è stata inserita una Muss-Vorschrift che tiene conto<br />

del sistema di vigilanza contabile introdotto con la BilKoG del 2004<br />

fondato su due livelli che va ad aggiungersi all’attività di controllo svolta<br />

dal revisore contabile ( 101 ): al primo livello è collocato il DPR il quale si attiva<br />

in ipotesi di segnalazioni da parte di azionisti o investitori di inesattezze<br />

od errori nel bilancio; al secondo livello c’è, invece, il BaFin al quale<br />

si attribuisce il potere di avocare a sé il controllo dei bilanci, seppur in<br />

ipotesi eccezionali e residuali ( 102 ). Nella raccomandazione in esame si è<br />

resa quindi necessaria l’introduzione di una frase in cui si tiene conto del<br />

fatto che DPR e BaFin possono esercitare un controllo sulla conformità<br />

della redazione del bilancio ai principi contabili generalmente applicati.<br />

Infine, l’ultima versione del DCGK del 12 giugno 2006 e pubblicata<br />

sulla Gazzetta federale elettronica il 24 giugno 2006 è stata realizzata per<br />

adeguarne il contenuto alle leggi che erano state emanate pochi mesi prima,<br />

vale a dire la Gesetz zur Offenlegung der Vorstandsvergütungen (VorstOG)<br />

– i.e. legge sulla pubblicità dei compensi degli amministratori, del<br />

3 agosto 2005 – e la Gesetz zur Unternehmensintegrität und Modernisierung<br />

des Anfechtungsrecht (UMAG) – i.e. legge per l’integrità dell’impresa e per<br />

modernizzare il diritto di impugnazione, del 1° novembre 2005.<br />

Si è trattato di adeguamenti tecnici ( 103 ) realizzati mediante l’introduzione<br />

di una frase al n. 2.2.4. con cui si sono voluti rafforzare i poteri del<br />

Presidente dell’assemblea ed un più articolato intervento in materia di<br />

compensi degli amministratori che ha visto la riformulazione integrale dei<br />

nn. 4.2.3. e 4.2.4. e l’introduzione ex novo del n. 4.2.5.<br />

Quanto ai poteri del Presidente dell’assemblea si chiarisce che tra essi<br />

rientra quello di garantire che la stessa non abbia una durata eccessiva. In<br />

quest’ottica, con la nuova raccomandazione di cui al n. 2.2.4. si invita il<br />

presidente a garantire che la durata massima dell’assemblea ordinaria sia<br />

compresa tra le 4 e le 6 ore. Con tale raccomandazione si vuole rendere<br />

( 101 ) Il revisore contabile esamina il bilancio e comunica le proprie conclusioni al Consiglio<br />

di sorveglianza nella seduta di approvazione del bilancio La figura dei revisori contabili<br />

è prevista solo per le società per azioni di grandi e medie dimensioni, determinate secondo<br />

i criteri indicati nel § 267, commi 2° e 3°, del codice di commercio. Si tratta di una figura<br />

necessaria in quanto un bilancio non sottoposto alla loro revisione è nullo ai sensi del<br />

§ 256, comma 1°, n. 2; ciò ha portato la dottrina a definire i revisori come il quarto organo<br />

delle società per azioni.<br />

( 102 ) Si veda amplius la nota 96.<br />

( 103 ) In termini di technische Anpassung si è espresso il Dr. Cromme, nella relazione dal<br />

titolo Corporate governance. Stand und Entwicklung in Deutschland und Europa tenuta alla 5.<br />

Konferenz Deutscher Corporate Governance Kodex il 23 giugno 2006.


SAGGI 895<br />

efficiente l’assemblea, sul presupposto che gli azionisti che intendano intervenire<br />

abbiano altre occasioni per informarsi adeguatamente sugli argomenti<br />

posti all’ordine del giorno.<br />

Quanto ai compensi degli amministratori, come si è visto, già nel 2003<br />

si era provveduto ad adeguare il DCGK. Le recenti modifiche sono conseguenza<br />

della emanazione della VorstOG la quale si era resa necessaria<br />

dal momento che il tema della pubblicità dei compensi era quello in cui le<br />

società maggiormente si erano manifestate restie a seguire le raccomandazioni<br />

del DCGK.<br />

Entrando nel dettaglio degli interventi effettuati, al n. 4.2.3. prima frase<br />

si chiarisce che la retribuzione complessiva dei membri del Vorstand<br />

deve essere formata da componenti monetarie, assegnazioni pensionistiche,<br />

altri tipi di assegnazioni, particolarmente in caso di fine rapporto, prestazioni<br />

accessorie di qualunque tipo e prestazioni di terzi sia promesse<br />

che accordate durante l’esercizio a fronte dell’attività di membro del Vorstand.<br />

Al fine di favorire comportamenti maggiormente virtuosi in materia di<br />

pubblicità dei compensi degli amministratori al n. 4.2.4. si è inserita la raccomandazione<br />

per cui la retribuzione complessiva di ciascun membro del<br />

Vorstand dovrà essere resa pubblica, con l’indicazione del nome dell’assegnatario<br />

e suddivisa in componente non legata alla prestazione, componente<br />

legata alla prestazione e incentivo a lungo termine. Tale pubblicità<br />

potrà essere omessa a seguito di delibera presa dall’assemblea generale<br />

con una maggioranza di tre quarti.<br />

Le modalità di adempimento dell’obbligo pubblicitario in discorso sono<br />

descritte in diverse raccomandazioni introdotte ex novo al n. 4.2.5. Si<br />

raccomanda che la pubblicazione avvenga in un apposito rapporto sulle<br />

retribuzioni che, nell’ambito della relazione sulla corporate governance,<br />

descriva il sistema di retribuzione dei membri del Vorstand in una forma<br />

generalmente comprensibile. Il rapporto sulle retribuzioni dovrà inoltre<br />

indicare il tipo delle prestazioni accessorie concesse dalla società.<br />

12. – Nei quattro anni di vita del DCGK diversi sono stati gli studi realizzati<br />

anche da organismi e soggetti privati circa il grado di accoglienza<br />

delle raccomandazioni ed in generale del DCGK da parte delle società<br />

quotate tedesche.<br />

Peraltro, sono disponibili dati ufficiali raccolti ed elaborati dal Berlin<br />

Center of Corporate Governance (BCCG) che opera su incarico della Cromme-Kommission.<br />

I dati più recenti sono stati presentati in uno studio dal<br />

titolo Umsetzung der Empfehlungen und Anregungen des Deutschen Corpo-


896 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

rate Governance Kodex del 20 marzo 2006 ( 104 ), realizzato prima che si ponesse<br />

mano alla nuova versione del DCGK.<br />

Il BCCG provvede annualmente a verificare il grado di accoglienza<br />

del DCGK da parte delle società quotate. A tal fine, per la raccolta dei dati<br />

è stato elaborato un formulario, periodicamente aggiornato alle modifiche<br />

cui viene sottoposto il DCGK, che tiene conto delle raccomandazioni<br />

e dei suggerimenti in esso contenuti.<br />

Dallo studio del 2006 risulta un grado di accoglienza piuttosto ampio<br />

da parte delle società quotate, anche se è opportuno distinguere a seconda<br />

delle dimensioni e del listino di cui fa parte ciascuna società.<br />

Nessuna società rientrante nel listino Dax-30 ha rifiutato en bloc le raccomandazioni<br />

del DCGK, mentre sono 5 su 28 le società che adottano<br />

tutte le raccomandazioni. Tale numero dovrebbe ulteriormente salire dal<br />

momento che altre 2 società hanno dichiarato di recepire tutte le raccomandazioni<br />

entro l’anno.<br />

Mediamente, le blue chips tedesche hanno fatto proprie il 97 % delle<br />

Soll-Vorschriften. Le raccomandazioni che sono state recepite da più del 90<br />

% delle società esaminate sono già 72 su 82. Permangono tuttavia delle<br />

raccomandazioni che oltre a non raggiungere la soglia del 90 % – soglia indicata<br />

dal legislatore come soddisfacente e tale da escludere un suo intervento<br />

diretto – sono considerate nevralgiche in quanto nei loro riguardi vi<br />

è una manifesta resistenza da parte delle società.<br />

Si tratta in particolare: i) della raccomandazione di cui al n. 3.8. ultima<br />

parte che prevede che, nell’ipotesi in cui la società sottoscriva una Directors’<br />

and Officers’ Liability Insurance, parte dei costi siano sostenuti dagli<br />

assicurati; ii) della raccomandazione di cui al n. 4.2.2, prima frase, che come<br />

visto, prevede che l’Aufsichtsrat debba consultarsi in seduta plenaria<br />

sulla struttura del sistema di retribuzione dei membri del Vorstand, verificandola<br />

ad intervalli regolari; iii) della raccomandazione di cui al n. 4.2.4<br />

ultima frase che, in tema di pubblicità dei compensi degli amministratori<br />

prevedeva che essi fossero indicati singolarmente per ciascun amministratore;<br />

come visto, nell’ultima versione del DCGK l’intero n. 4.2.4 è stato<br />

riscritto; iv) della raccomandazione di cui al n. 5.4.3 in materia di elezioni<br />

dei componenti dell’Aufsichtsrat che dovrebbero svolgersi come elezioni<br />

individuali; v) della raccomandazione di cui al n. 5.4.4 riguardante il passaggio<br />

dalla carica di Presidente o membro del Vorstand a Presidente o<br />

membro dell’Aufsichtsrat; vi) della raccomandazione di cui al n. 5.4.7<br />

( 104 ) Lo studio può essere consultato al seguente indirizzo internet: www.bccg.tu-berlin.de.


SAGGI 897<br />

quarta frase, dove si prevede che componenti dell’Aufsichtsrat dovranno<br />

ricevere una remunerazione composta da un importo fisso e da un importo<br />

variabile legato al rendimento; vii) della raccomandazione di cui al n.<br />

5.4.7 sesta frase relativa al compenso dei componenti dell’Aufsichtsrat il<br />

quale dovrà essere indicato nella relazione sulla corporate governance evidenziando<br />

gli importi percepiti da ciascuno.<br />

Il fatto che sia mancata la volontaria adesione su tali raccomandazioni<br />

da parte delle società non porta ad escludere che nel corso dell’anno il legislatore<br />

possa ulteriormente intervenire con diverse nuove leggi.<br />

Tuttavia non può non ammettersi che i risultati appena descritti con riferimento<br />

alle società del Dax-30 sono ampiamente positivi come lo sono,<br />

seppur in misura leggermente inferiore, i risultati relativi alla spontanea<br />

adozione del codice da parte di società appartenenti ad indici borsistici.<br />

La minore aderenza alle raccomandazioni del DCGK da parte delle<br />

società con azioni quotate negli indici minori può essere spiegata col fatto<br />

che le società appartenenti a tali indici minori devono affrontare un tradeoff<br />

negativo costi-benefici per adeguare il proprio sistema di corporate governance<br />

nel caso di una adozione integrale di tali raccomandazioni; tuttavia,<br />

eventuali sforzi in termini di miglioramento della policy di trasparenza<br />

nella gestione non sono apprezzati pienamente in conseguenza delle<br />

dimensioni inferiori del mercato.<br />

13. – Il fatto che molte delle regole contenute nel DCGK, essendo riconducibili<br />

al novero delle Soll-Vorschriften e delle c.d. Sollte-Vorschriften,<br />

non abbiano natura vincolante per le società è stato oggetto di critica da<br />

una parte della dottrina ( 105 ) che ha osservato che in Germania, per un sistema<br />

di corporate governance efficiente, manchi negli operatori la consapevolezza<br />

e la sincera convinzione della necessità di raggiungere un grado<br />

più elevato di trasparenza attraverso un più efficace controllo sulla gestione<br />

da parte dell’Aufsichtsrat.<br />

Tale critica muove dal presupposto che nelle precedenti occasioni in<br />

cui, nell’ordinamento tedesco, erano stati adottati dei codes of best practice<br />

– la dottrina fa solitamente riferimento alle Insider-Empfehlungen (delle<br />

raccomandazioni in materia di insider trading) e allo Übernahmekodex (un<br />

codice in materia di acquisizioni) – l’adesione volontaria delle società alle<br />

regole di condotta in essi contenute non è stata soddisfacente.<br />

Le Insider-Empfehlungen del 1970 erano state elaborate da una Bör-<br />

( 105 ) Schiessl, Deutsche Corporate Governance post Enron, cit., p. 594.


898 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

sensachverständigenkommission ( 106 ) – una commissione di esperti di nomina<br />

ministeriale –. Tali raccomandazioni, proprio per il fatto di richiedere<br />

per la loro adozione degli gentlemen agreement da parte degli operatori,<br />

non predisponevano alcuna misura sanzionatoria ( 107 ). A tale aspetto<br />

andava aggiunto l’ulteriore limite consistente nel fatto di escludere dalla<br />

fattispecie di insider trading, almeno originariamente, la trasmissione a<br />

terzi delle informazioni di cui si disponeva in ragione della partecipazione<br />

al capitale di una società quotata ovvero dell’ufficio o della carica in<br />

essa ricoperto ( 108 ), essendo ritenuto rilevante solo l’utilizzo personale<br />

delle Insider-Informationen. Queste ed altre questioni problematiche<br />

mossero sia gli investitori stranieri che le associazioni di azionisti ad<br />

avanzare forti critiche a questa esperienza di autoregolamentazione.<br />

Allo stesso modo delle Insider-Empfehlungen, lo Übernahmekodex fu<br />

elaborato dalla Börsensachverständigenkommission e fu pubblicato il 1° ottobre<br />

1995. La sorveglianza circa il rispetto delle regole del Kodex era attribuita<br />

ad una Übernahmekommission, la quale non disponeva di strumenti<br />

sanzionatori. A tale aspetto va aggiunto il fatto che il Kodex, fino alla<br />

emanazione nel 2001 della Gesetz zur Regelung von öffentlichen Angeboten<br />

zum Erwerb von Wertpapieren und von Unternehmensübernahmen<br />

(WpÜG) ( 109 ), era stato adottato solo da due società quotate su tre ( 110 ).<br />

Ritengo che tali critiche, per quanto muovono da premesse fondate,<br />

non sono pertinenti. Non va, a mio avviso, sottovalutato il fatto che tali<br />

( 106 ) La Commissione Ministeriale, sotto le pressioni della Borsa e delle banche, si limitò<br />

a predisporre delle mere raccomandazioni, non supportate da sanzioni in ipotesi di insider<br />

trading. Tali raccomandazioni furono oggetto di critiche sia da parte degli investitori<br />

stranieri che da parte delle associazioni di azionisti. Ciò mosse la Commissione Ministeriale<br />

ad una loro verifica che condusse alla pubblicazione di due successive versioni, rispettivamente<br />

nel luglio del 1976 e nel maggio del 1988 delle versioni aggiornate.<br />

Solo in sede di recepimento della Direttiva Comunitaria 1989/592/CEE del 13 novembre<br />

1989, avvenuto con l’emanazione della Wertpapierhandelsgesetz del 26 luglio 1994 si sarebbe<br />

abbandonata la strada dell’autoregolamentazione.<br />

Per una ricostruzione dell’autoregolamentazione in materia di insider trading si veda.<br />

Assmann-Schneider, Wertpapierhandelsgesetz, 1999, p. 12 ss.<br />

( 107 ) Ehrhardt-Nowak, op. cit., p. 343: [d]ie mangelnde praktische Möglichkeit der<br />

Sanktionierung von Insidervergehen war von vornherein ein Fehlkonstrukt der Empfehlungen.<br />

Im Falle eines Verstoßes durch einen bei ihnen beschäftigten Insider sollten die<br />

Emittenten selbst entsprechende Konsequenzen ergreifen ».<br />

( 108 ) Solo nella versione del 1988 tale condotta sarà considerata a tutti gli effetti insider<br />

trading.<br />

( 109 ) Legge di disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto.<br />

( 110 ) Per ulteriori dettagli si rinvia a: Ehrhardt-Nowak, op. cit., p. 345.


SAGGI 899<br />

modelli di autoregolamentazione basandosi sullo schema della “Opt out”-<br />

Lösung, richiedevano un loro espresso richiamo da parte delle società<br />

quotate, che in tal modo dichiaravano di volersi adeguare ad essi. Ciò ha<br />

senza dubbio influito sul loro accoglimento, in quanto, essendo il controllo<br />

delle società tedesche poco o affatto contendibile, mancava l’elemento<br />

che ha caratterizzato l’esperienza dell’autoregolamentazione nell’area<br />

anglo-americana, vale a dire: la sottoposizione degli amministratori<br />

al controllo del mercato. In altri termini, le società non avevano incentivi<br />

sufficienti ad accogliere spontaneamente regole prive di natura coercitiva<br />

e che valevano solo come best practice.<br />

Il DCGK, invece, in virtù del § 161 della legge azionaria, riconducibile,<br />

come si è detto allo schema della “Opt out”-Lösung, ha visto il generale<br />

favore dei soggetti cui era destinato, i quali si sono manifestati tendenzialmente<br />

propensi ad adottarne le raccomandazioni, decidendo di discostarsi<br />

solo su taluni punti ( 111 ). Il successo del DCGK è legato a varie ragioni.<br />

Innanzitutto il tema della corporate governance è sempre più attuale<br />

anche in Germania; poi si assiste al lento ma costante ridimensionamento<br />

delle partecipazioni delle banche tedesche in imprese non finanziarie<br />

( 112 ) alle quali tendono a sostituirsi gli investitori istituzionali, specialmente<br />

inglesi.<br />

( 111 ) A titolo esemplificativo si riportano le Entsprechenserklärungen relative all’anno<br />

2005 di alcune tra le maggiori società per azioni tedesche:<br />

1) Entsprechenserklärungen della Siemens AG: « Vorstand und Aufsichtsrat der Siemens<br />

AG haben in ihren Sitzungen am 8. und 9. November 2005 die folgende Erklärung<br />

gemäß § 161 AktG beschlossen: Die Siemens AG entspricht sämtlichen Empfehlungen des<br />

Deutschen Corporate Governance Kodex in der Fassung vom 2. Juni 2005 und wird ihnen<br />

auch zukünftig entsprechen. Seit Abgabe der letzten Entsprechenserklärung vom 10. November<br />

2004 hat die Siemens AG dem Kodex in der Fassung vom 21. Mai 2003 mit der dort<br />

genannten Abweichung (kein Selbstbehalt bei der D&O-Versicherung) entsprochen. Die<br />

Abweichung ist mit Wirkung zum 1. Oktober 2005 entfallen »;<br />

2) Entsprechenserklärungen della Allianz AG: « 1. Die Allianz AG wird sämtlichen<br />

Empfehlungen der “Regierungskommission Deutscher Corporate Governance Kodex” in<br />

der Fassung vom 2. Juni 2005 entsprechen.<br />

2. Seit der letzten Entsprechenserklärung vom 15. Dezember 2004, die sich auf den<br />

Deutschen Corporate Governance Kodex in der Fassung vom 21. Mai 2003 bezog hat die<br />

Allianz AG sämtliche Empfehlungen der “Regierungskommission Deutscher Corporate<br />

Governance Kodex” in der damals geltenden Fassung entsprochen ».<br />

( 112 ) Sull’evoluzione del sistema di finanziamento delle società tedesche si veda: Marti,<br />

The German System of Financing and Corporate Governance – on the Way from Bank-based<br />

to a Market-based Model?, 2004, consultabile al seguente indirizzo internet: www.archivioceradi.luiss.it.


900 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Anche a livello internazionale cresce l’attenzione per la soluzione offerta<br />

nel DCGK, in quanto con essa, pur nel rispetto delle peculiarità del<br />

sistema tedesco ( 113 ), si garantisce una trasparenza crescente nel tempo<br />

nella materia della amministrazione e del controllo delle società tedesche,<br />

storicamente restie a permettere che si lanciasse un’occhiata nella stanza<br />

dei bottoni.<br />

Per tali ragioni ma anche e soprattutto per la riuscita interrelazione tra<br />

il diritto positivo e il DCGK, si ritiene che il modello tedesco di autoregolamentazione<br />

vada considerato in termini complessivamente positivi.<br />

Un giudizio positivo non può, infine, prescindere dal considerare il<br />

crescente accoglimento delle raccomandazioni del DCGK da parte degli<br />

operatori. Infatti, in progresso di tempo le società saranno portate a recepire<br />

anche le raccomandazioni relative alle questioni maggiormente controverse<br />

e quelle che allo stato sono dei meri suggerimenti, in quanto il<br />

Bundesregierung si riserva di presentare delle proposte di legge predisposte<br />

dalla Cromme-Kommission aventi ad oggetto quelle raccomandazioni che<br />

non dovessero raggiungere un grado si accoglienza superiore al 90%.<br />

( 113 ) Durante la 3. Konferenz Deutscher Corporate Governance Kodex, tenutasi il 24 giugno<br />

2004 a Berlino, il Vorsitzender della Regierungskommission Deutscher Corporate Governance<br />

kodex, Dr. Gerhard Cromme, ha dichiarato nel suo discorso che: « Im Ausland wächst<br />

das Verständnis für unsere duale Unternehmensverfassung, gerade weil wir mit dem Kodex<br />

unser System transparent gemacht und notwendige Veränderungen herbeigeführt haben.<br />

In der öffentlichen Diskussion werden aber leider die Unterschiede zwischen dem<br />

One-Tier- und dem Two-Tier-System oft vernachlässigt. Corporate Governance Prinzipien<br />

aus Rechtsordnungen, die dem One-Tier-System folgen, dürfen nicht unreflektiert in die<br />

deutsche Praxis übertragen werden ».


CRISTIANA CICORIA<br />

Il diritto di recesso dai contratti porta-a-porta:<br />

il caso delle « Schrottimmobilien » in Germania<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il contratto di mutuo porta-a-porta e il diritto di recesso:<br />

la normativa tedesca e comunitaria prima della sentenza Heininger. – 3.<br />

L’applicazione della direttiva in Germania e la sentenza Heininger: questioni di<br />

compatibilità. – 4. Gli effetti del recesso sul contratto di mutuo. – 5. Gli effetti del<br />

recesso sul contratto di vendita: la normativa sui contratti collegati. – 6. Le critiche<br />

alla giurisprudenza del BGH e le tendenze attuali. – 7. Il giudizio di rinvio: opinioni<br />

e pareri e la decisione della Corte di giustizia delle Comunità europee. – 8. Conseguenze<br />

della decisione della Corte di Giustizia per i consumatori tedeschi: alcune<br />

alternative. – 9. Il dovere di informativa della banca: le attuali problematiche<br />

nel diritto civile tedesco. – 10. Conclusioni.<br />

1. – Negli anni ’90 in Germania, circa 300.000 consumatori sono stati<br />

attratti da investimenti finanziari volti all’acquisto di immobili finanziati<br />

tramite mutuo. In linea generale si trattava di stabili edificati nell’ambito<br />

della costruzione di case popolari degli anni ’60 e ’70, ristrutturati e messi<br />

in vendita da società aventi come oggetto sociale l’intermediazione di servizi<br />

immobiliari e finanziari.<br />

Per ragioni fiscali, l’acquisto dell’immobile doveva essere interamente<br />

finanziato tramite mutuo ipotecario da costruirsi a favore dell’istituto di<br />

credito e locato a terzi, o comunque gestito come albergo. Le condizioni<br />

del mutuo bancario erano generalmente ex ante fissate, di comune accordo<br />

con il venditore, dalla banca, la quale chiedeva normalmente all’acquirente<br />

di aderire ad un sistema di gestione comune dei proventi della locazione,<br />

volta a garantire un’equa ripartizione dei proventi della stessa.<br />

Nella fase di negoziazione e conclusione dell’accordo, la società di intermediazione<br />

avrebbe dovuto svolgere, pertanto, una funzione di esclusivo<br />

supporto logistico nell’istruzione della pratica e nella trasmissione<br />

dei dati. I potenziali acquirenti venivano generalmente contattati presso la<br />

loro abitazione o comunque fuori da locali commerciali. In tale sede, veniva<br />

loro proposta la conclusione sia del contratto d’acquisto che del contratto<br />

di mutuo, stipulato con la banca e funzionale al pagamento dell’acquisto.<br />

Conforme a una politica di salvaguardia degli interessi della banca<br />

e del venditore, in base al contratto di acquisto e di contestuale mutuo<br />

bancario, il compratore non entrava in possesso della somma concessa a


902 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mutuo, la quale veniva immediatamente destinata al pagamento del prezzo<br />

di vendita e delle relative spese.<br />

In alcuni casi, inoltre, gli acquirenti-mutuatari assumevano la responsabilità<br />

personale per il pagamento dell’importo del debito fondiario, accettando<br />

la possibilità dell’immediata esecuzione forzata del contratto di<br />

mutuo su tutto il loro patrimonio ( 1 ).<br />

Ai potenziali acquirenti veniva garantita la realizzazione di economie<br />

fiscali, tramite una sorta di «perpetuum mobile », in base al quale il finanziamento<br />

del bene immobile sarebbe stato garantito, in ragione del tipo di<br />

investimento finanziario scelto, dai vantaggi fiscali connessi a tale investimento,<br />

nonché dai proventi della locazione ( 2 ).<br />

I prospettati benefici dell’investimento, però, erano nella maggior parte<br />

dei casi lungi dal concretizzarsi, dato l’elevato prezzo d’acquisto e le<br />

evidenti carenze strutturali degli immobili, i quali risultavano, alla fine,<br />

difficili da locare, nonché da rivendere, anche in sede di vendita forzata al<br />

pubblico incanto. Il compratore, a questo punto, veniva a trovarsi in possesso<br />

di un immobile di proprietà avente un valore di mercato inferiore al<br />

prezzo di acquisto e al relativo mutuo contratto, ma gravato da interessi e<br />

spese di gran lunga eccedenti le sue possibilità economiche.<br />

Sebbene la vigente normativa tedesca conferisca al consumatore, in<br />

conformità al dettato comunitario ( 3 ), il diritto di recesso da contratti di<br />

vendita porta a porta o comunque conclusi fuori dai locali commerciali,<br />

non poche si sono rivelate le incongruenze ed incertezze sul piano interpretativo<br />

e applicativo, soprattutto per quel che concerne l’incidenza del<br />

recesso sul contratto di mutuo ipotecario e sul contratto di vendita.<br />

Dottrina e giurisprudenza, riferendosi a questo tipo di speculazioni<br />

edilizie con il termine Schrottimmobilien, si sono a lungo soffermate sulla<br />

problematica in questione ( 4 ). Sul punto, la giurisprudenza prevalente del-<br />

( 1 ) V. per es. Schulte c. Badenia, Landesgericht (LG) Bochum, causa 1 O 795/02 con<br />

susseguente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte CE, con ordinanza 29<br />

luglio 2003, causa C-350/03 e decisione della Corte CE, 25 ottobre 2005.<br />

( 2 ) Cfr. Singer, Widerrufsdurchgriff bei Realkreditverträge? – Zu den Folgen der “Heiniger”–<br />

Entscheidung des EuGH und BGH für das deutsche Verbraucherkreditrecht, in Deutsche<br />

Zeitschrift für Wirtschaft (DZWIR), 2002, p. 221 ss. Sul punto anche Spickhoff-Petershagen,<br />

Bankenhaftung bei fehlgeschlagenen Immobilienerwerb-Treuhandmodellen, in Betriebs<br />

Berater (BB), 1999, pp. 165-173.<br />

( 3 ) V. in proposito, direttiva CE 85/577, 20 dicembre 1985, in G.U.C.E., L 372, 31 febbraio<br />

1985.<br />

( 4 ) Cfr. Burgeroth, Die Rückabwicklung nach dem HWiG widerrufener Immobiliardarlehen,<br />

in Wertpapiermitteilungen (WM), 2004, pp. 1505-1511; Derleder, Der Widerruf des


SAGGI 903<br />

la Corte Suprema Federale tedesca (Bundesgerichtshof in seguito: BGH)<br />

ha optato per una lettura restrittiva del dettato codicistico, suscitando non<br />

poche polemiche circa la compatibilità di tali pronunce con le finalità di<br />

ampia protezione del consumatore del dettato comunitario ( 5 ).<br />

Alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia delle<br />

Comunità europee nel caso Schulte c. Badenia ( 6 ) e Crailsheimer Volksbank<br />

eG ( 7 ), la presente trattazione si ripropone di delineare le principali<br />

questioni del dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, suggerendo possibili<br />

spunti alternativi e riflessioni in materia. La questione focale della discussione<br />

concerne l’ambito di applicabilità della direttiva della Comunità<br />

europea 85/577, con particolare riguardo al contratto di vendita di beni immobili<br />

qualora tale contratto sia parte integrante di un’operazione finanziaria<br />

globale che comprenda, oltre al detto contratto, un contratto di mutuo<br />

fondiario stipulato esclusivamente ai fini del finanziamento dell’acquisto<br />

del bene immobile.<br />

2. – La direttiva della Comunità europea 85/577 conferisce al consumatore<br />

che ha concluso un contratto fuori dei locali commerciali avente<br />

ad oggetto beni o servizi, il diritto di recedere dallo stesso, secondo le modalità<br />

e condizioni previste dagli artt. 4 e 5. In base a tali disposizioni, il<br />

commerciante deve informare il consumatore per iscritto del diritto di recesso,<br />

il quale può essere esercitato entro un termine di almeno sette giorni<br />

dal momento in cui il consumatore ha ricevuto l’informazione ed in base<br />

alle singole modalità prescritte dalla legislazione nazionale, le quali, peraltro,<br />

regolano anche gli effetti giuridici del recesso ed in particolare<br />

quanto attiene al rimborso dei pagamenti relativi a beni o servizi ( 8 ).<br />

Haustrgrundpfandkredits, in Zeitschrift für Bankbetriebswirtschaft und Bankrecht (ZBB),<br />

2002, pp. 177-190; Ehrlecke, Die Einbeziehung des Immobilienkaufs in die Folgen eines Widerrufs<br />

des Darlehensgeschäfts nach der Richtlinie 85/577/EWG, in Zeitschrift für Wirtschaftsrecht<br />

(ZIP), 2004, pp. 1025-1034; Fischer, Widerrufsbedingte Rückabwicklung von (Real-)<br />

Kreditverträgen und finanzierten Immobiliengeschäften, in Der Betrieb (DB), 2003, pp. 83-87;<br />

Fritsche, Aktuelle Rechtsentwicklung zum fremdfinanzierten Erwerb von Immobilien und<br />

Fondsanteilen, in Neue Justiz (NJ), 2003, pp. 231-237.<br />

( 5 ) Cfr. Hoffmann, Die Rechtsfolgen des Verbraucherwiderrufs und die Hastürgeschäfterichtlinie<br />

– Unbeschränkter Gestaltungsspielraum des nationalen Recht?, in ZIP, 2004, pp. 49-<br />

57; Reich, Wie ist das vom EuGH bestätigte Widerrufsrecht von an der “Haustür” angebahnten<br />

Realkreditverträgen umzusetzen – oder: Schwierigkeiten im Umgang mit dem Europarecht,<br />

in Versicherung und Recht (VuR), 2003, pp. 64-65.<br />

( 6 ) Causa C-350/03, 25 ottobre 2005.<br />

( 7 ) Causa C-227/04, 25 ottobre 2005.<br />

( 8 ) In tal senso, v. artt. 4 e 5 della direttiva. Per gli effetti del recesso ed il rinvio al legi-


904 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Per quel che concerne il recesso dai contratti di credito al consumo,<br />

esso viene regolato dalla direttiva CE 87/102 ( 9 ), così come modificata dalla<br />

direttiva CE 90/88 ( 10 ). L’art. 2 della medesima direttiva esclude, però,<br />

l’applicabilità ai contratti di credito e promessa di credito destinati principalmente<br />

all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno<br />

o un immobile costruito o da costruirsi ( 11 ).<br />

In entrambi i casi il dettato comunitario si propone in primo luogo di<br />

offrire una più ampia tutela del consumatore nella sua posizione di contraente<br />

debole, sottoposto agli inevitabili rischi connessi alla conclusione<br />

di un contratto porta a porta, dovuti, per esempio, all’impossibilità di confrontare<br />

la qualità ed il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte,<br />

nonché di vagliare accuratamente i termini del contratto. In secondo luogo,<br />

la direttiva intende prevenire l’indebito sfruttamento da parte del<br />

commerciante della situazione di soggezione psicologica e di asimmetria<br />

informativa in cui il consumatore, colto di sorpresa nella sua sfera privata,<br />

si trova al momento della conclusione del contratto.<br />

La tutela tramite l’incondizionato diritto di recesso a favore del consumatore<br />

è garantita indipendentemente dalla tipologia del contratto concluso,<br />

purché esso non rientri tra quelli aventi ad oggetto la costruzione,<br />

vendita e locazione di beni immobili ( 12 ).<br />

La ricezione della direttiva in Germania è avvenuta con la legge sul<br />

recesso dai contratti negoziati fuori dai locali commerciali del 16 gennaio<br />

1986 (Gesetz über den Widerruf von Haustürgeschäften und ähnlichen<br />

Geschäften – in seguito: HWiG) ( 13 ). Il diritto di recesso veniva discipli-<br />

slatore nazionale, v. art. 7 della direttiva. L’art. 8 della suddetta direttiva dispone inoltre<br />

che quest’ultima « non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore disposizioni<br />

ancora più favorevoli in materia di tutela dei consumatori nel settore da essa disciplinato<br />

».<br />

( 9 ) Direttiva del Consiglio CEE, 22 dicembre 1986 relativa al riavvicinamento delle disposizioni<br />

legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di credito<br />

al consumo, come modificata dalla direttiva CE 98/7 del Parlamento europeo e del<br />

Consiglio; 16 febbraio 1998 che modifica la direttiva CEE 87/102 relativa al ravvicinamento<br />

delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia<br />

di credito al consumo, in G.U.C.E., L 101, 1° aprile 1998.<br />

( 10 ) Direttiva del Consiglio CE, 22 febbraio 1990 in materia di credito al consumo, in<br />

G.U.C.E., L 61, 10 marzo 1990.<br />

( 11 ) Anche in questo caso, ai sensi dell’art. 15 della medesima direttiva « non impedisce<br />

agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose a tutela dei consumatori,<br />

fermi restando gli obblighi previsti dal trattato ».<br />

( 12 ) In tal senso, art. 3 della direttiva.<br />

( 13 ) BGBl., 1986, p. 122.


SAGGI 905<br />

nato dai §§ 1, 3 e 5, in collegato disposto, per quel che concerne i contratti<br />

di credito, con i §§ 3 comma 2°, punto 2, 7 e 9 della legge sui contratti<br />

di credito dei consumatori (Verbraucherkreditgesetzt – in seguito:<br />

VerbrKrG) ( 14 ).<br />

Analizzando le singole disposizioni nel dettaglio, è possibile delineare<br />

alcune peculiarità della normativa tedesca, in special modo per quel che<br />

concerne gli effetti del recesso, nonché le eccezioni di applicabilità. Limitandosi<br />

all’esame delle norme rilevanti al fine della compatibilità con il<br />

dettato comunitario, il § 1, comma 1°, HWiG prevedeva un diritto di recesso<br />

per il consumatore tale per cui un negozio concluso fuori dai locali<br />

commerciali o, comunque, in una delle situazioni elencate al n. 3 dello<br />

stesso paragrafo, aveva effetto solo se il consumatore non avesse revocato<br />

la sua dichiarazione di volontà entro una settimana. Ai sensi del § 2,<br />

comma 1°, HWiG, inoltre, tale termine decorreva dal momento in cui il<br />

consumatore aveva ricevuto informazione per iscritto del suo diritto di recesso<br />

( 15 ).<br />

Secondo quanto disposto dal § 1 HWiG il recesso, correttamente esercitato<br />

secondo le prescritte modalità, produce i suoi effetti ex tunc tra le<br />

parti, secondo il disposto del § 3, commi 1° e 3°, HWiG. Con particolare<br />

riferimento al contratto di mutuo ipotecario collegato all’acquisto di un<br />

bene immobile, la norma impone al mutuatario recedente la restituzione<br />

della somma presa a mutuo e debitamente devoluta al venditore in pagamento<br />

del prezzo di vendita nel suo intero ammontare, comprensivo di<br />

interessi di mercato ( 16 ). Il § 5, comma 2°, HWiG prevede, però, un rinvio<br />

alle disposizioni della VerbKrG per quel che concerne il diritto di recesso,<br />

qualora la fattispecie in oggetto ricada nell’ambito di applicabilità di detta<br />

legge ( 17 ). Quest’ultima, in base a quanto disposto dal § 1, comma 1°, risul-<br />

( 14 ) L. 17 ottobre 1990, BGBl., p. 2840.<br />

( 15 ) In caso di omessa comunicazione di tale informazione, il diritto di recesso del consumatore<br />

si estingue solo dopo un mese dall’esecuzione da parte dei due contraenti dell’integralità<br />

dei loro obblighi.<br />

( 16 ) L’obbligo di restituzione dell’importo comprensivo di interessi trova fondamento<br />

nel § 607, comma 1°, BGB, norma regolante gli obblighi del mutuatario derivanti dal contratto<br />

di mutuo, nonché nelle norme sull’arricchimento ingiustificato, §§ 812, 818 BGB. Cfr.<br />

LG Bochum, causa 1 0 795/02, 29 luglio 2003.<br />

( 17 ) Cfr. anche Oberlandesgericht (OLG) München, in WM, 1999, p. 728; LG München<br />

I, in WM, 1998, p. 1723; LG Paderborn, in ZIP, 2001, p. 1002; OLG München, in WM 2001,<br />

p. 680. In tal senso anche la dottrina. Cfr. Münchener Kommentar (MüKo) / Ulmer, § 5<br />

HWiG, c. 15 vecchia versione; Palandt-Putzo, 61 a ed., § 5 HWiG, c. 5; Erman-Saeger, § 5<br />

HWiG, c. 4a.


906 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

tava pertanto applicabile a tutti i contratti di credito e di intermediazione<br />

finanziaria, anche a quelli conclusi porta a porta ( 18 ).<br />

In virtù del rinvio, inoltre, il diritto di recesso da tali contratti veniva<br />

disciplinato non più dal § 1 HWiG bensì dal § 7 VerbrKrG ( 19 ). La norma<br />

in questione stabiliva che, nel caso in cui il consumatore non fosse stato<br />

informato per iscritto del suo diritto di recedere, tale diritto si sarebbe automaticamente<br />

estinto al più tardi un anno dopo la dichiarazione del consumatore<br />

di voler concludere il contratto. In aggiunta alle limitazioni di<br />

carattere temporale poste all’esercizio del diritto di recesso, il § 3, comma<br />

2°, della stessa legge sul credito al consumo escludeva esplicitamente l’applicabilità<br />

del § 7 VerbrKrG ai contratti di credito secondo i quali il credito<br />

stesso è subordinato alla costituzione di un’ipoteca.<br />

In seguito all’entrata in vigore della legge di modifica al diritto delle<br />

obbligazioni (Schuldrechtmodernisierungsgesetz– in seguito: SMG) ( 20 ), entrambe<br />

le predette leggi sono state abrogate, con conseguente integrazione<br />

del diritto di recesso dei contratti porta a porta nel dettato del Codice<br />

Civile tedesco (Bürgerliches Gesetztbuch – in seguito: BGB), ai §§ 312, 312a,<br />

346, commi 1° e 3°, nonché §§ 355, 356, 357, 358, comma 3°, determinati gli<br />

effetti del recesso e 491 ss. ( 21 ). Le determinazioni del foro giuridico competente,<br />

originariamente regolate dal § 7 HWiG, sono state invece riporta-<br />

( 18 ) V. sul punto, Fischer-Machunsky, Haustürwiderrufsgesetz. Kommentar, 2 a ed.,<br />

1995, Neuwied.<br />

( 19 ) Cfr., per es., Müko/ Ulmer, 3 a ed., § 5 HWiG, c. 15, § 3 VerbrKrG, c. 4.<br />

( 20 ) L. 29 novembre 2001, entrata in vigore il 1° gennaio 2002, BGBl. 2001, I, p. 3138.<br />

( 21 ) È possibile segnalare alcune differenze tra l’ambito applicativo dell’introdotto § 312<br />

BGB e l’originario testo comunitario. Infatti, mentre la direttiva protegge i consumatori solo<br />

in quei casi in cui il contratto vero e proprio viene materialmente concluso fuori dai locali<br />

commerciali, il § 312 BGB estende tale protezione anche al periodo immediatamente<br />

precedente alla conclusione dello stesso. Condizione necessaria e sufficiente all’esercizio<br />

del diritto di recesso ex § 312 BGB è pertanto l’intercorrere di trattative in una situazione<br />

porta a porta tra il commerciante e il consumatore, anche se la sigla del contratto vero e<br />

proprio avviene in una fase successiva e in un luogo diverso. In aggiunta, la direttiva limita<br />

all’art. 3 il suo ambito di applicabilità in modo molto più rigoroso rispetto al § 312, comma<br />

3°, BGB. Inoltre, la norma comunitaria propone una lista dettagliata dei contratti non soggetti<br />

alla disciplina di cui all’art 1 della direttiva. In contrasto, tale elenco è assente nel § 312<br />

BGB, il quale si limita ad escludere l’applicabilità della norma sul recesso dei contratti porta<br />

a porta in presenza di tre situazioni: 1. nel caso in cui il consumatore abbia invitato il<br />

commerciante presso la sua abitazione al fine delle contrattazioni; 2. nel caso in cui le prestazioni<br />

oggetto del contratto vengono rese al momento stesso della sua conclusione e non<br />

superano il valore di Euro 40; 3. nel caso in cui la dichiarazione di volontà del consumatore<br />

è stata oggetto di rogito notarile.


SAGGI 907<br />

te nel § 29 del Codice di procedura civile tedesco (Zivilproze?ordnung – in<br />

seguito: ZPO).<br />

3. – Nonostante l’avvenuta abrogazione della HWiG e della VerbKrG ( 22 ),<br />

le suddette leggi risultano ancora applicabili ai procedimenti giudiziari<br />

pendenti aventi avuto inizio prima del 2002, data dell’entrata in vigore<br />

della SMG. In tali circostanze, a seguito del combinato disposto dei §§ 5,<br />

comma 2°, HWiG e 3 VerbrKrG, al consumatore veniva di fatto meno la<br />

possibilità di recedere dai contratti di mutuo ipotecario conclusi fuori dai<br />

locali commerciali ( 23 ).<br />

Interpellata in sede di revisione sulla compatibilità del § 5 HWiG, nonché<br />

sulla normativa tedesca del recesso, la Corte di Giustizia Europea nella<br />

sentenza Heiniger c. Bayerische Hypo- und Vereinbank AG ( 24 ) ha sottolineato<br />

l’applicabilità della disciplina del recesso ex art. 5 della direttiva CE<br />

85/577 anche ai contratti di credito fondiario, nonché l’incompatibilità del<br />

termine di un anno per l’esercizio del diritto di recesso previsto dal § 7<br />

VerKrG, nel caso in cui il consumatore non abbia beneficiato dell’informazione<br />

di cui all’art. 4 della direttiva. In base a tale pronuncia, pertanto,<br />

anche il combinato disposto dei §§ 5 HwiG e 3 VerbrKrG risulta in evidente<br />

contrasto con le finalità di tutela del dettato comunitario.<br />

In base a quanto disciplinato dall’art. 249, comma 3°, del Trattato della<br />

Comunità Europea ( 25 ), le direttive vincolano gli Stati membri a cui sono<br />

rivolte per quel che concerne il risultato da raggiungere, restando invece<br />

la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi<br />

di attuazione. Le decisioni della Corte di Giustizia, a loro volta, producono<br />

l’effetto stabilito dai trattati ( 26 ), godendo di una particolare autorità,<br />

che va ben oltre quella che caratterizza la giurisprudenza degli organi na-<br />

( 22 ) SMG, L. 29 novembre 2001, entrata in vigore il 1° gennaio 2002, BGBl. 2001, I, p.<br />

3138.<br />

( 23 ) Secondo la dottrina, data la contemporanea presenza di due normative sul recesso,<br />

il rimando della HWiG alla VerbrKrG per quel che concerne i contratti di mutuo ipotecario<br />

non intende limitare la tutela del consumatore, ma semplicemente evitare l’applicabilità di<br />

diverse norme alla stessa fattispecie. Cfr. Fischer-Machunsky, HwiG, Grundlagen, cpv. 83;<br />

Stüsser, Bankenhaftung bei gescheiterten Immobilien-Treuhandmodellen, in NJW, 1999, pp.<br />

1586-1589 e Spickhoff-Petershagen, in BB, 1999, pp. 165-170.<br />

( 24 ) Corte CE, causa C-481/99, 13 dicembre 2001.<br />

( 25 ) Trattato che istituisce la Comunità Europea (versione consolidata), così modificato<br />

dal Trattato di Amsterdam del 17 giugno 1997, in G.U.C.E., C 325, 24 dicembre 2002.<br />

( 26 ) Cfr. sez. 4 del Trattato CEE. Sulle competenze per materia della Corte di Giustizia,<br />

vedasi art. 234 (ex art. 177) del Trattato CEE.


908 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

zionali. Infatti, essa riveste un ruolo normofilattico rispetto all’interpretazione<br />

del diritto comunitario, assicurandone un’uniforme interpretazione<br />

da parte degli Stati membri ( 27 ). Pertanto, questa autorità di « chose interpretée<br />

» delle decisioni rese dalla Corte è cosa assai più importante della<br />

cosa giudicata, accedendo alla norma interpretata non limitandosi, in tal<br />

modo, a produrre effetti nella controversia dedotta in giudizio ( 28 ). In seguito<br />

alla decisione della Corte di Giustizia nel caso Heininger, il legislatore<br />

tedesco, nonché il BGH, si sono dovuti confrontare con il difficile<br />

compito di trasporre, nei modi e nei limiti consentiti dalla normativa nazionale,<br />

la normativa comunitaria sul recesso nel dettato del BGB ( 29 ).<br />

Sul piano giurisprudenziale, la decisione del BGH nell’omonima causa<br />

( 30 ) ha aperto il dibattito sulla necessità di intraprendere una sistematica<br />

riforma di suddetta disciplina, con particolare riguardo alla fattispecie<br />

( 27 ) Ciò implica, ai sensi dell’art. 234 (ex art. 177) del Trattato, il rispetto della regola dello<br />

stare decisis. Sul punto cfr. Koopmans, Stare decisis in European Law, in Essays on European<br />

law and integration, Schermers-O’keefe (cur.), 1982, p. 11 e Neville-Brown-Jacobs-<br />

Kennedy, The Court of Justice of the European Communities, 4 a ed., London, 1994, p. 344.<br />

( 28 ) È questo il motivo per cui, per disattendere l’interpretazione fornita dalla Corte CE<br />

in un precedente ricorso su una determinata materia, i giudici nazionali devono sollevare<br />

un nuovo rinvio pregiudiziale. Cfr. Calvano, La Corte di giustizia e la costituzione europea,<br />

Padova, 2004.<br />

( 29 ) Cfr. Billinger, Richtliniekonforme Auslegung am Beispiel der Heininger Entscheidung<br />

und deren Folgen, in http://www.uni-leipzig.de/bankinstitut/dokumente/2004-02-04-<br />

01.pdf; Franzen, “Heiniger” und die Folgen: ein Lehrstück zum Gemeinschaftsprivatrecht, in<br />

Juristenzeitung (JZ), 2003, pp. 321-332; Rott, Gemeinschaftsrechtliche Vorgaben für die<br />

Rückabwicklung von Haustürgeschäften, in VuR, 2003, pp. 409-414; Habersack-Mayer, Der<br />

Widerruf von Haustürgeschäften nach der “Heininger” Entscheidung des EuGH, in WM, 2002,<br />

pp. 253-259; Hoffmann, Realkredite im Europäischen Verbraucherschutzrecht, in ZIP, 2002,<br />

pp. 145-152; Hochleitner-Wolf-Gro?erichter, Teleologische Reduktion auf “Null” – Zur<br />

Unzulässigkeit einer richtlinienkonformen “Auslegung” des § 5 Abs. 2 HWiG in der Folge der<br />

“Heininger” – Entscheidung des EuGH, in WM, 2002, pp. 529-535; Knott, Die Rückabwicklung<br />

von Realkreditveträgen bei Widerruf nach dem Haustürwiderrufsgesetz, in WM, 2002, pp.<br />

49-55; Kulke, Haustürwiderrufsrecht und Realkreditvertrag, in ZBB, 2002, pp. 33-50; Staudinger,<br />

Der Widerruf bei Haustürgeschäften; eine unendliche Geschichte, in NJW, 2002, pp.<br />

653-656; Strube, Die Auswirkungen des Urteils des EuGH vom 13.12.2001, Rs. C-481/99 (Heininger<br />

c. Bayerische Hypo- und Vereinsbank AG), in VuR, 2002, pp. 55-57, e Reiter-Methner,<br />

Anwendbarkeit des Haustürwiderrufsgesetzes auf Kreditverträge – Stärkung des Verbraucherschutzes<br />

oder Rechtstheorie, in VUR, 2002, pp. 90-93. V. anche Singer, Widerrufsdurchgriff<br />

bei Realkreditverträgen? – Zu den Folgen der “Heiniger”- Entscheidung des EuGH und<br />

BGH für das deutsche Verbraucherkreditrecht, in DZWIR, 2002, pp. 221-227 e Rörig, Anmerkung<br />

zu BGH, Urteil vom 9. April 2002 – XI ZR 91/99, in Monatsschrift für Deutsches Recht<br />

(MDR), 2002, pp. 9-93.<br />

( 30 ) BGH, XI ZR 91/99, 9 aprile 2002, in NJW, 2002, p. 1881 e in DB, 2002, p. 1262.


SAGGI 909<br />

del contratto di mutuo ipotecario porta a porta. Parte della dottrina e della<br />

giurisprudenza ha manifestato le sue perplessità circa la possibilità di<br />

conformare il § 5 HWiG al diritto comunitario ( 31 ). Diversamente, il BGH<br />

nella decisione del caso omonimo ( 32 ), nonché in successive occasioni ( 33 ),<br />

si è espresso in senso favorevole ad un adattamento. Ciò ha comportato<br />

a partire dalla decisione del caso Heininger, un completo ed incondizionato<br />

riconoscimento del diritto di recesso dai contratti di mutuo porta a porta<br />

( 34 ). Inoltre, con la Legge sulla modifica della normativa sulla rappresentanza<br />

tramite procuratori legali davanti alla Corte Superiore Regionale<br />

(Gesetz zur Änderung des Rechts der Vetretung durch Rechtsanwälte vor den<br />

Oberlandesgericht) ( 35 ), è venuto meno il termine di un anno per l’esercizio<br />

del diritto di recesso in caso di mancata informazione del consumatore (§<br />

355, comma 3°, punto 3, BGB). Da ultimo, la clausola di rinvio al § 312a è<br />

stata a sua volta modificata in favore di una generale applicabilità del diritto<br />

di recesso ex § 312 BGB, salvi i casi in cui il tale diritto non sia già garantito<br />

da altre disposizioni di pari intensità ed effetto ( 36 ).<br />

4. – Se sul piano formale le modifiche apportate alla disciplina codicistica<br />

tedesca hanno incrementato la tutela del consumatore, qualche perplessità<br />

rimane sull’effettività di tale tutela.<br />

La sentenza del BGH nel caso Heininger ( 37 ), infatti, se da un lato ha<br />

garantito al consumatore il diritto di recesso anche per i contratti di mutuo<br />

ipotecario porta a porta, tramite un’applicazione del § 5, comma 2°,<br />

HWiG (e per i casi dopo l’entrata in vigore della SMG, §§ 312 e 312a BGB)<br />

conforme al dettato comunitario, dall’altro ha confermato l’applicazione<br />

rispettivamente dei §§ 3, comma 1°, HWiG e 488, comma 1°, BGB (§ 607<br />

( 31 ) Cfr. OLG Bamberg, in WM, 2002, pp. 537-545; LG München I, in WM, 2002, pp.<br />

285-287; Habersack-Meyer, in WM, 2002, pp. 253, 256, 257; Hochleiner-Wolf-Gro?erichter,<br />

in WM, 2002, pp. 592, 532; Piekenbrock,-Schulze, Die Grenzen der Richtlinienkonformen<br />

Auslegung – autonomes Richterrecht oder horizontale Direktwirkung, in WM,<br />

2002, pp. 521-524.<br />

( 32 ) BGH, in ZIP, 2002, p. 1075.<br />

( 33 ) Cfr. BGH, in NJW, 2003, p. 1390; BGH, in NJW, 2003, p. 885; BGH, in NJW, 2003,<br />

p. 422 ss.; BGH, in NJW, 2003, p. 424; BGH, in ZIP, 2003, p. 160; BGH, in NJW, 2003, p.<br />

199; BGH, in NJW, 2002, p. 2029; BGH, in NJW, 2002, p. 1881.<br />

( 34 ) Cfr. in particolare, BGH, in WM, 2003, p. 1370 e BGH, in NJW, 2003, p. 424.<br />

( 35 ) L. 31 luglio 2002, in BGBl., p. 2850.<br />

( 36 ) Per quel che attiene all’adattamento del BGH al dettato comunitario, v. tra gli altri<br />

Reiter-Methner, Staatshaftung wegen europarechtswidriger Widerrufsregelung, in VuR,<br />

2004, pp. 52-58 e Tonner, Probleme des novellierten Widerrufsrechts: Nachbelehrung, verbundene<br />

Geschäfte, Übergangsvorschriften, in BKR, 2002, pp. 92-99.<br />

( 37 ) BGH, in NJW, 2002, pp. 1881-1882. In seguito: « Heininger II ».


910 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

BGB vecchia versione) per quel che attiene alle conseguenze del recesso<br />

in capo alla parte recedente ( 38 ).<br />

In base al § 3, comma 1°, HWiG, a seguito del recesso, ciascuna delle<br />

parti contraenti è obbligata a restituire all’altra le prestazioni ricevute, nel<br />

caso del mutuo, comprensive di interessi pari al valore di mercato. Secondo<br />

costante giurisprudenza del BGH, una prestazione si considera ricevuta<br />

ex § 3, comma 1°, HWiG anche nel caso in cui la somma concessa a mutuo<br />

venga devoluta a terzi (nel caso di specie al venditore), senza che il<br />

mutuatario ne abbia mai avuto la materiale disponibilità ( 39 ). Ne consegue<br />

che, nell’ipotesi di recesso da un contratto di mutuo ipotecario concluso in<br />

una fattispecie di vendita a domicilio, il § 3, commi 1° e 3°, HWiG conferiscono<br />

alla banca mutuante il diritto ad ottenere il rimborso dell’importo<br />

netto della somma mutuata, oltre agli interessi al tasso di mercato ( 40 ).<br />

Come si è avuto modo di sottolineare, la vendita speculativa di immobili<br />

avvenuta alla fine degli anni ’90 in Germania ha visto come acquirenti<br />

principalmente consumatori sprovvisti di capitale iniziale e spesso anche<br />

di adeguate competenze in materia. Evidentemente, in ragione del<br />

combinato disposto dei §§ 1 e 3 HWiG, la maggior parte di essi si trovava,<br />

però, nell’impossibilità materiale di esercitare il diritto di recesso, non potendo<br />

far fronte alle connesse obbligazioni restitutorie ( 41 ).<br />

5. – Al fine di discutere gli effetti del recesso dal contratto di mutuo<br />

sul contratto di acquisto dell’immobile, è necessario effettuare alcune<br />

premesse sulla disciplina dei contratti collegati (verbundene Verträge), regolata,<br />

per la casistica antecedente al gennaio 2002, dal § 9 VerbrKrG,<br />

nonché attualmente dal § 358 BGB ( 42 ). Secondo quanto disposto dai suddetti<br />

articoli, condizione necessaria e sufficiente al fine di considerare due<br />

( 38 ) Cfr. BGH, in ZIP, 2002, p. 1075 ss. Ciò risulta anche compatibile con il dettato comunitario.<br />

Ex art. 7 della dir. CEE 85/577, infatti, la disciplina relativa alle conseguenze del<br />

recesso dai contratti porta a porta è materia di regolamentazione del legislatore nazionale.<br />

( 39 ) Cfr., per es., BGH, in NJW, 2003, p. 422. In tal senso anche Knott, op. cit., pp.<br />

49-51.<br />

( 40 ) Cfr. BGH, in NJW, 2003, p. 885 e BGH, in NJW, 2003, p. 422.<br />

( 41 ) L’obbligo di restituzione ex § 488 BGB e § 3, comma 2°, HWiG rischia di fatto di<br />

frustrare l’esercizio del diritto di recesso stesso, dal momento che il consumatore, privo di<br />

un capitale iniziale e in possesso di un immobile di valore inferiore all’ammontare del mutuo,<br />

difficilmente potrebbe far fronte a suddetti obblighi restitutori tramite la vendita del<br />

bene o la richiesta di un nuovo mutuo ipotecario a condizioni più favorevoli.<br />

( 42 ) In merito, Billinger, op. cit., p. 23 ss.; Rust, Rückabwicklung nach Widerruf, in<br />

http://www.uni-leipzig.de/bankinstitut/dokumente/2005.21.02.pdf.


SAGGI 911<br />

negozi collegati tra loro è la presenza di una comune identità economica<br />

(wirtschaftliche Einheit) ( 43 ). È importante sottolineare che i casi più controversi<br />

tuttora in esame del BGH e della Corte Europea ( 44 ) hanno avuto<br />

luogo prima del 2001, implicando, secondo quanto previsto dal § 19 VerbrKrG,<br />

l’applicazione dei §§ 3 e 9 VerbrKrG.<br />

Qualora il contratto di mutuo e quello di acquisto fossero considerati<br />

collegati, in applicazione delle predette norme, il recesso dal primo<br />

estenderebbe i suoi effetti anche al secondo. In virtù di ciò, nel caso in<br />

cui la somma concessa a credito sia stata giá pagata al venditore dell’immobile,<br />

il mutuante istituto di credito, ex § 9, n. 2, VerbrKrG, verrebbe<br />

ad acquisire i diritti e i doveri del venditore ( 45 ). Il mutuatario, d’altro<br />

canto, sarebbe pertanto tenuto nei confronti di quest’ultimo, non più alla<br />

restituzione della somma presa a mutuo e dei corrispettivi interessi<br />

maturati, bensì alla consegna dell’immobile, unitamente al pagamento<br />

per l’uso frattanto goduto del bene ( 46 ). Come è stato sottolineato dalla<br />

Corte Regionale di Bochum (Landesgericht – in seguito: LG) nella causa<br />

Schulte c. Badenia ( 47 ) sarebbe parimenti possibile, anche senza far riferimento<br />

al § 9 VerbrKrG, ritenere, sulla base del principio dell’unità eco-<br />

( 43 ) Secondo il § 358, comma 2°, BGB, e il § 9 VerbrKrG, sussiste un’unità economica<br />

quando il mutuante benefici della cooperazione del venditore per la preparazione ovvero la<br />

conclusione del contratto di mutuo.<br />

( 44 ) Cfr. LG Bochum, 1 O 795/02; Corte CE, causa C-350/03, Schulte c. Badenia, 25 ottobre<br />

2005. V. anche per quel che concerne l’acquisto di quote di comproprietà la decisione<br />

del BGH, II sez., causa ZR 327/04, 12 dicembre 2005 conseguente alla decisione della Corte<br />

CE, causa C-229/04, Crailsheimer Volksbank c. Schulze, 25 ottobre 2005.<br />

( 45 ) Ex § 3 HWiG, in conseguenza del recesso, ognuna delle parti contrattuali è tenuta<br />

a restituire la prestazione ricevuta. Il mutuante ha pertanto diritto ad ottenere l’ammontare<br />

del mutuo, mentre il compratore ha diritto nei confronti del venditore alla restituzione del<br />

prezzo di vendita, che quest’ultimo ha ricevuto dalla banca (ammontare del mutuo). Dal<br />

momento che a seguito dell’applicazione del § 9, comma 2°, punto 4, VerbrKrG il mutuatario<br />

diventa titolare dei diritti e degli obblighi del venditore (nel caso di specie: restituzione<br />

del prezzo di vendita), le somme rispettivamente dovute si conguaglierebbero, facendo venir<br />

meno le reciproche obbligazioni di dare ed avere. Il mutuante, in tal caso, riceverebbe<br />

l’immobile quale corrispettivo della restituzione del prezzo di vendita.<br />

( 46 ) Cfr. Becher, Die wirtschaftliche Einheit zwischen Realkreditvertrag und Finanziertem<br />

Grundstückskaufvertrag, in BKR, 2002, pp. 931-938; Dauner-Lieb, Verbraucherschutz bei verbundenen<br />

Geschäften (§ 9 VerbrKrG), in WM (Sonderbeilage) 1991, p. 29 ss.; Hoffmann, Hasutürwiderruf<br />

bei Relakreditenund verbundenes Grundstücksgeschäft, in ZIP, 2002, pp. 1066-<br />

1075; Müller-Lutz, Rückabwicklung von Darlehensverträgen und verbundenen Anlagefindbeitritten,<br />

in VuR, 2005, pp. 81-91; Reiter-Methner, Einzelheiten zur Anwendbarkeit des<br />

Haustürwiderrufsgesetzes auf Immobilienkreditverträge, in VuR, 2002, pp. 316-320.<br />

( 47 ) LG Bochum, 1 O 795/02.


912 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

nomica tra i due contratti, che il recesso da uno di essi implichi a sua volta<br />

l’invalidità (per mancanza di causa) dell’altro, dal momento che il fine<br />

di tutela della disposizione relativa al recesso impone di non far pesare<br />

sul mutuatario le conseguenze negative dell’esercizio del diritto.<br />

Nel caso specifico delle Schrottimmobilien, questa soluzione favorirebbe<br />

gli interessi del consumatore / acquirente, il quale non solo eviterebbe<br />

la restituzione del mutuo, ma potrebbe anche disfarsi dell’immobile stesso<br />

( 48 ). Una simile soluzione sembrerebbe anche conforme alla necessità<br />

di tutelare il compratore, nella sua posizione di contraente debole, in<br />

virtù della stretta collaborazione tra banca mutuante e venditore, almeno<br />

per quel attiene alle modalità della concessione del mutuo e alle condizioni<br />

di finanziamento. Da ultimo, è possibile argomentare in favore dell’applicabilità<br />

del § 9 VerbrKrG anche considerando la connessione tra<br />

contratto di acquisto e contratto di mutuo, i quali risultano inevitabilmente<br />

legati l’uno all’altro a tal punto che in mancanza del primo, il secondo<br />

non avrebbe avuto luogo.<br />

Guardando al dettato normativo, però, ex § 3 comma 2°, punto 2 VerbrKrG,<br />

i crediti garantiti da ipoteca su un immobile sono esplicitamente<br />

esclusi dall’applicazione della normativa sui contratti collegati. Unica eccezione<br />

a tale regola, peraltro non applicabile al caso delle Schrottimmobilien,<br />

data la presenza della società di intermediazione, è ammessa nel caso<br />

in cui il mutuante assuma le vesti del venditore ( 49 ). Anche il BGH si è<br />

fino ad ora strettamente attenuto alle disposizioni di cui sopra, rigettando<br />

un’interpretazione analogica del § 9 VerbrKrG e rigettando il riconoscimento<br />

della comune identitá economica dei due contratti, con conseguente<br />

applicazione del § 3 HWiG ( 50 ). A seguito di questa, peraltro contrastata,<br />

giurisprudenza, il recesso dal contratto di mutuo non produce alcun<br />

effetto sul contratto di acquisto dell’immobile, nonostante le conseguenze<br />

negative, peraltro note alla Corte, per quel concerne l’esercizio<br />

del diritto stesso in capo al consumatore ( 51 ).<br />

( 48 ) Nel caso in cui l’ammontare del mutuo al momento dell’esercizio del diritto di recesso<br />

sia stato corrisposto al mutuatario e non al venditore, la regola dei contratti collegati<br />

ex § 9, comma 2°, punto 3 VerbrKrG e § 7 III HWiG non sarebbe applicabile. In tal caso, il<br />

mutuante ex § 7, comma 3°, VerbrKrG sarebbe tenuto comunque alla restituzione della<br />

somma entro due settimane dall’avvenuto recesso dal contratto.<br />

( 49 ) In merito, BGH, in NJW, 2000, pp. 3065-3066. Sul tema, anche Dauner-Lieb, op.<br />

cit., p. 17; Lange, Widerrufsrecht, Realkredite /« Heininger II » – Kurzkommentar, in EWRiR,<br />

2002, pp. 523-524 e Rust, op. cit., p. 4 ss.<br />

( 50 ) Cfr. BGH, in NJW, 2002, pp. 1881-1884.<br />

( 51 ) BGH, in WM, 1999, p. 724.


SAGGI 913<br />

6. – Le numerose critiche sollevate da dottrina e giurisprudenza ( 52 )<br />

pongono a loro fondamento la limitata tutela del consumatore che la restrittiva<br />

applicazione da parte del BGH delle norme sui contratti collegati<br />

offre nei casi di vendita di Schrottimmobilien. A tale riguardo, il giudice di<br />

rinvio nel caso Schulte c. Badenia deduce che l’obbligo di rimborso che discende<br />

da detta interpretazione, implica, per il consumatore che abbia<br />

concluso un contratto di mutuo e che eserciti il diritto di recesso in<br />

conformità alle vigenti norme, una situazione di fatto meno favorevole,<br />

sul piano economico, dell’ipotesi di mantenimento del contratto stesso.<br />

Infatti, il mantenimento dell’obbligo di rimborso immediato ed integrale<br />

del mutuo, potendo provocare l’insolvibilità del consumatore, dissuaderebbe<br />

quest’ultimo dall’esercizio del diritto di recesso stesso, riconosciutogli<br />

dalla direttiva CE 85/577 all’art. 5 ( 53 ).<br />

Si ripropone, pertanto, la questione di compatibilità del diritto tedesco<br />

vigente con il dettato comunitario. In particolare, parte della dottrina ha<br />

auspicato una più ampia applicazione della disciplina dei contatti collegati<br />

sulla base dell’obbligo per gli Stati membri di adottare le direttive in<br />

conformità all’effect utile, avendo quindi particolare riguardo alle finalità<br />

delle stesse nel contesto comunitario ( 54 ). Secondo questa interpretazione,<br />

l’attuale combinato disposto dei §§ 3 HWiG e 3, commi 2° e 9°, VerbrKrG<br />

sarebbe contrario alla direttiva stessa, inibendo di fatto l’esercizio<br />

del diritto di recesso.<br />

In contrasto a questa interpretazione, è giusto far presente che a differenza<br />

del contratto di mutuo, il contratto di compravendita di un immobile,<br />

al fine della sua validità, necessita ex § 311b, comma 1°, punto 1, BGB di<br />

un rogito notarile, che ne impedisca la conclusione in una situazione porta<br />

a porta. La presenza del notaio assicura una tutela all’acquirente, dando la<br />

possibilità allo stesso di consultarsi in merito alle caratteristiche dell’im-<br />

( 52 ) Cfr. Singer, op. cit., p. 225 e LG Bochum, 1 O 795/02, punto 5.<br />

( 53 ) Cfr. Hoffmann, op. cit., in ZIP, 2004, pp. 49-50 e Tonner, in BKR, 2002, pp. 858-<br />

860.<br />

( 54 ) Cfr. Fischer, op. cit., pp. 8-10 e Strube, op. cit., pp. 938-942. Cfr. conclusioni dell’Avvocato<br />

Generale Philippe Léger, causa C-350/03, 28 settembre 2004, punti 90 ss. L’Avvocato<br />

sottolinea come l’intento di garantire l’effettività del diritto comunitario induca la<br />

Corte di Giustizia, quando la disposizione dia adito a diverse interpretazioni, a preferire<br />

quella che sia anche maggiormente idonea a salvaguardare l’effetto utile. V. ad es., causa C-<br />

129/94, Ruiz Bernaldez, I-1829, 28 marzo 1996, punto 19, nonché causa C-403/99, Italia c.<br />

Commissione, I-6883, 4 ottobre 2001, c. 28. Tale giurisprudenza, però, si applica, per definizione,<br />

quando la norma dia adito ad incertezze interpretative, circostanza non presente nel<br />

caso di specie (art. 3, comma 2°, lett. a della direttiva CEE 85/577).


914 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mobile e alle condizioni dell’acquisto ( 55 ). Accollare alla banca, che non ha<br />

né proposto né direttamente offerto l’immobile sul mercato, la responsabilità<br />

per le negative conseguenze dell’acquisto potrebbe apparire sotto questa<br />

ottica, eccessivo, considerando che, come sottolineato dal BGH nonché<br />

da esponenti della dottrina, la direttiva CE 85/577 si ripropone di tutelare<br />

il consumatore « colto alla sprovvista » al momento della conclusione<br />

del solo contratto porta a porta ( 56 ). L’esplicita esclusione ex art. 3, comma<br />

2°, della direttiva dei contratti di compravendita di immobili dall’ambito di<br />

applicazione dell’art. 5 della stessa si giustifica proprio in ragione delle modalità<br />

di conclusione di siffatto contratto, atte di per sé a tutelare il consumatore<br />

tramite la presenza del notaio, quale autorità competente. La discussione<br />

in merito è stata di recente oggetto di pronuncia della Corte di<br />

Giustizia Europea, interpellata sul punto dal LG Bochum e LG Bremen.<br />

7. – Nel corso del giudizio di rinvio, le opinioni contrastanti della<br />

Commissione Europea e dell’Avvocato Generale hanno dato adito a proposte<br />

di riforma in favore del consumatore, tuttora oggetto di dibattito.<br />

La Commissione Europea si è decisamente schierata a favore del consumatore,<br />

criticando acerbamente la restrittiva applicazione della disciplina<br />

dei contratti collegati adottata dal BGH ( 57 ). Sebbene la normativa tedesca<br />

non rappresenti una deliberata violazione del dettato comunitario,<br />

essa di fatto si pone in contrasto con il fine e lo scopo della direttiva CE<br />

85/577, in base alla quale il consumatore deve essere lasciato incolume da<br />

ogni danno o conseguenza negativa derivanti dall’esercizio del suo diritto<br />

di recesso ( 58 ).<br />

Di differente avviso l’Avvocato Generale Philippe Léger ( 59 ), il quale,<br />

( 55 ) Cfr. BGH, in WM, 2003, pp. 2184-2185 e Becher, op. cit., pp. 931-933.<br />

( 56 ) Cfr. art. 3, comma 2°, direttiva CEE.<br />

( 57 ) Cfr. lettera della Comm. CE alla Corte CE, dicembre 2003, in DZWiR, 2004, p. 109 ss.<br />

( 58 ) Cfr. lettera della Comm. CE, punto 35. Cfr. anche Reiter-Mether, in BKR, 2004,<br />

pp. 169-172. Secondo l’opinione della Commissione, il recesso dal contratto di mutuo dovrebbe<br />

comportare automaticamente l’annullamento per impossibilità sopravvenuta del<br />

contratto di compravendita immobiliare, dal momento che il consumatore aveva fatto affidamento<br />

sulla redditività dell’immobile al momento della conclusione di entrambi. Cfr. lettera<br />

della Commissione, c. 36. Ciò comporterebbe la restituzione, ex § 818 I BGB, da parte<br />

della parte recedente dell’immobile alla banca, surrogatasi nella posizione del venditore.<br />

Secondo parte della dottrina questa soluzione non sarebbe compatibile con l’attuale normativa<br />

vigente. Cfr. Burgeroth, in WM, 2004, p. 1505 e Knott, in WM, 2003, pp. 49 e 53.<br />

( 59 ) Conclusioni dell’Avvocato Generale Philippe Léger, comunicato stampa n. 68/04,<br />

28 settembre 2004, causa C-350/03.


SAGGI 915<br />

pur notando che la tutela del consumatore imporrebbe che il recesso dal<br />

contratto di mutuo incidesse parimenti sulla validità di quello di compravendita<br />

immobiliare, ricorda che la direttiva è univoca circa la sua inapplicabilità<br />

a questa tipologia di contratti. In tale sede, il Governo tedesco ha<br />

a sua volta argomentato a sostegno dell’attuale legislazione, alla quale, in<br />

ossequio all’art. 7 della direttiva, spetta la competenza in merito alle conseguenze<br />

del recesso ( 60 ).<br />

La Corte di Giustizia delle Comunità europee, recentemente espressasi<br />

sulla questione, nella sua decisione del caso Schulte c. Badenia sembra<br />

sostenere l’opinione dell’Avvocato Generale ( 61 ). Nelle sue linee essenziali,<br />

la Corte conferma l’esclusione dei contatti di compravendita di<br />

immobili dalla sfera di applicazione della direttiva CE 85/577, secondo<br />

quanto previsto dall’art. 3, comma 2°, lett. a della stessa, « ancorché essi<br />

siano mera parte integrante di un investimento finanziario il cui finanziamento<br />

sia garantito mediante mutuo e le cui trattative precontrattuali,<br />

tanto in relazione al contratto di vendita dell’immobile, quanto al contratto<br />

di mutuo diretto esclusivamente al finanziamento, vengano svolte nel<br />

contesto di un’operazione di vendita a domicilio » ( 62 ).<br />

Inoltre, la Corte CE ribadisce che la direttiva 85/577 non osta a che il<br />

consumatore che abbia esercitato il suo diritto di recesso sia obbligato a<br />

restituire l’intero ammontare del mutuo, comprensivo di interessi, anche<br />

se il mutuo sia diretto al solo finanziamento dell’immobile e l’importo<br />

venga pertanto corrisposto direttamente al venditore. Nel caso in cui la<br />

banca, però, non abbia dato al consumatore corretta informazione circa il<br />

suo diritto di recesso, in tal modo impedendogli di prendere una decisione<br />

“informata” e razionale circa i rischi connessi all’investimento stesso,<br />

sarà compito del legislatore nazionale introdurre norme atte a salvaguardare<br />

gli interessi del consumatore ed ad evitare che quest’ultimo si trovi<br />

esposto alle conseguenze della realizzazione dei rischi medesimi.<br />

8. – Per quanto concerne gli effetti del recesso dal contratto di mutuo<br />

sul contratto di compravendita immobiliare, la decisione della Corte CE<br />

supporta l’attuale giurisprudenza del BGH, contraria all’applicazione della<br />

disciplina ai contratti collegati. Se da un lato questa decisione pone fine<br />

al dibattito dottrinale circa la compatibilità della normativa tedesca, prima<br />

e dopo la riforma del diritto delle obbligazioni, con il dettato comunitario,<br />

( 60 ) Cfr., in ZBB, 2004, p. 161 ss.<br />

( 61 ) Corte CE, causa C-350/03, 25 ottobre 2005.<br />

( 62 ) Id., p. 104 ss.


916 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ci si può chiedere se nonostante l’avvenuta legittimazione sia possibile, o<br />

preferibile, in ragione della tutela del consumatore, una diversa applicazione<br />

dei disposti normativi.<br />

Nonostante il BGH si sia più volte espresso in senso contrario a una<br />

modifica della prassi attuale ( 63 ), esponenti della dottrina hanno sottoposto<br />

al vaglio diverse possibili soluzioni interpretative ( 64 ). Un’ampia applicazione<br />

della regola dei contratti collegati si potrebbe ottenere in sede di<br />

interpretazione analogica del § 9 VerbrKrG, considerando il requisito dell’unità<br />

economica già soddisfatto dal nesso teleologico tra i due contratti<br />

di mutuo e di compravendita, dal momento che il primo risulta concluso<br />

in funzione del secondo e viceversa. Sul punto, però, il legislatore, con<br />

l’abrogazione del § 491, comma 3°, punto 1, BGB e l’introduzione del §<br />

358, comma 3°, punto 3, BGB sembra aver posto chiari limiti alla definizione<br />

di « unità economica » tra i due contratti, onde evitare una generalizzata<br />

applicazione del § 358, comma 2°, BGB.<br />

Altri esponenti della dottrina hanno suggerito un’interpretazione più<br />

favorevole al consumatore dei §§ 357, 346, commi 1° e 3°, BGB, disciplinanti<br />

le conseguenze dell’esercizio del diritto di recesso ( 65 ).<br />

Secondo questa proposta, il consumatore dovrebbe restituire la parte<br />

del credito non ancora ammortizzato alla banca, la quale, a sua volta, dovrebbe<br />

rifondere il mutuatario degli interessi già pagati. Per quel che concerne<br />

gli interessi al valore di mercato, il consumatore sarebbe obbligato<br />

al pagamento, ex § 346, comma 3°, punto 2, BGB, solo nei limiti dell’arricchimento<br />

conseguito a seguito del mutuo, e cioè nei limiti dell’ammontare<br />

corrispondente alle rendite percepite dalla locazione dell’immobile.<br />

Questa soluzione risulterebbe economicamente vantaggiosa per il<br />

consumatore, dal momento che tali rendite, a ragione della precarietà del<br />

bene locato, potrebbero risultare di gran lunga inferiori all’ammontare<br />

degli interessi annuali di mercato maturati. Inoltre, come sottolineato dalla<br />

dottrina, questa soluzione farebbe sì che la banca si accollasse le perdite<br />

associate al recesso dal contratto di mutuo e il consumatore le perdite<br />

risultanti dall’acquisto dell’immobile ad un prezzo eccessivo rispetto al<br />

valore di mercato ( 66 ). Nonostante gli evidenti vantaggi di questa proposta,<br />

secondo quanto stabilito dal § 488 BGB, il consumatore rimarrebbe<br />

( 63 ) Cfr. BGH, in MW, 2003, pp. 2184-2186.<br />

( 64 ) Cfr. Hoffmann, in ZIP, 2002, pp. 1066-1071.<br />

( 65 ) Cfr. Schulte-Nölke, Verbraucher als Opfer des Verbraucherschutzes?, in Zeitschrift<br />

für das gesamte Schuldrecht (ZGS), 2005, p. 281 ss.<br />

( 66 ) Cfr. Schulte-Nölke, op. cit., p. 282.


SAGGI 917<br />

comunque obbligato a restituire l’intero ammontare del mutuo. In questo<br />

caso, facendo appello al § 242 BGB, sarebbe possibile dare al consumatore<br />

la possibilità di corrispondere ratealmente il restante debito, nelle modalità<br />

originariamente concordate nel contratto di mutuo ( 67 ).<br />

9. – Se per quel che concerne la disciplina dei contratti collegati la decisione<br />

della Corte CE non pone problemi di armonizzazione con la normativa<br />

nazionale tedesca, difficoltà interpretative ed applicative insorgono<br />

relativamente alla responsabilità della banca. Se il consumatore fosse stato<br />

informato in tempo utile dalla banca sui rischi dell’investimento, avrebbe<br />

potuto ritornare sulla propria decisione ed eventualmente evitare di<br />

procedere con il rogito. In tal caso, la Corte di Giustizia CE ha sottolineato<br />

nell’obiter dictum la necessità per gli Stati membri di predisporre misure<br />

di tutela atte ad evitare che il consumatore debba rispondere dei danni<br />

causati dal comportamento reticente dell’istituto di credito. I suddetti<br />

danni comprendono il prezzo d’acquisto dell’immobile, per l’ammontare<br />

eccedente il valore di mercato dello stesso, il venir meno delle rendite auspicate,<br />

nonché l’ammontare degli interessi maturati sulla somma presa a<br />

mutuo fino all’esercizio del diritto di recesso.<br />

Di fatto, la Corte CE in questa circostanza sembra voler suggerire<br />

una nuova ed estensiva forma di tutela del consumatore, facendo gravare<br />

sulla banca l’obbligo di risarcimento del danno subito da quest’ultimo,<br />

inteso come diretta conseguenza del mancato avviso ( 68 ). La proposta soluzione,<br />

però, pone non pochi problemi di compatibilità con il dettato<br />

normativo tedesco. Teoricamente, le pretese risarcitorie del consumatore<br />

potrebbero essere fatte valere in sede di responsabilità per violazione degli<br />

obblighi contrattuali, ex § 280, comma 1°, BGB, o di responsabilità<br />

precontattuale, più generale culpa in contraendo, ex § 311, comma 1°,<br />

BGB.<br />

I §§ 312, 355 ss. BGB, nonché i §§ 1 ss. HWiG, però, non impongono<br />

alla banca un esplicito obbligo di informativa circa i rischi connessi alla<br />

conclusione del contratto di mutuo ipotecario e del contratto di compravendita.<br />

Da ciò si evince che secondo il diritto tedesco l’obbligo di informazione<br />

è considerato alla stregua di un obbligo secondario riconducibile<br />

alla natura e alle caratteristiche del rapporto contrattuale (Obligenheit), e<br />

( 67 ) Cfr. in proposito Strube, in BKR, 2002, pp. 938-943 e Reiter-Methner, in VuR,<br />

2004, pp. 52-54. In senso contrario, BGH, in ZIP, 2002, pp. 1075-1080.<br />

( 68 ) Cfr. Derleder, Anmerkung zu EuGH Urteil C-229/04 von 24.10.2005, in BKR, 2005,<br />

pp. 442-450.


918 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

non di un obbligo primario trovante riscontro nell’esplicito dettato codicistico<br />

(Rechtspflicht).<br />

Dal momento che il risarcimento del danno ex §§ 282, 280 e 241, comma<br />

2°, BGB è previsto solo in seguito alla violazione di un obbligo primario,<br />

le predette norme non potranno essere invocate nel caso in questione.<br />

Al contrario, nella fattispecie troverà applicazione il § 355, commi 2° e<br />

3°, BGB, il quale prescrive, nel caso di mancata informativa da parte della<br />

banca, il venir meno del termine di esercizio del diritto di recesso, fissato<br />

rispettivamente in due settimane dall’avvenuta comunicazione scritta<br />

da parte della banca e sei mesi dalla conclusione del contratto. Inoltre,<br />

ex § 357, comma 3°, BGB, in tali casi non troverà applicazione il § 346<br />

BGB, disciplinante gli effetti del recesso.<br />

Anche volendo ammettere il risarcimento del danno sulla base di<br />

quanto disposto dal § 276 BGB, la responsabilità dell’istituto di credito<br />

potrebbe sussistere solo in presenza di un comportamento colpevole di<br />

quest’ultimo, inteso, anche in questo caso, come esplicita violazione di un<br />

obbligo contrattuale o imposto dalla legge ( 69 ). In ogni caso, in ossequio al<br />

principio di causalità, la banca verrebbe a rispondere dei danni derivanti<br />

dall’acquisto dell’immobile solo nel caso in cui il contratto di compravendita<br />

fosse concluso prima del contratto di mutuo, dal momento che solo<br />

in questo caso le informazioni date dalla banca avrebbero eventualmente<br />

potuto incidere sulla decisione del consumatore di procedere all’acquisto<br />

dell’immobile ( 70 ).<br />

10. – Come si evince dai risultati dell’analisi intrapresa, per quel che<br />

concerne la validità del contratto di compravendita e l’applicazione della<br />

disciplina dei contratti collegati, la Corte non ha riscontrato nessuna evidente<br />

incongruenza tra il dettato normativo nazionale e quello comunitario,<br />

legittimando l’attuale giurisprudenza del BGH. Lo stesso si può dire<br />

per le conseguenze del recesso dal contratto di mutuo, stando la conferma<br />

dell’obbligo di restituzione dell’ammontare del mutuo comprensivo di interessi.<br />

La Corte CE, d’altro canto, si è espressa in senso più favorevole al<br />

( 69 ) Cfr. Hoffmann, Die EuGH-Entscheidung “Schulte” und « Crailsheimer Volksbank ».<br />

Ein Meilenstein für den Verbraucherschutz beim kreditfinanzierten Immobilienerwerb?, in ZIP,<br />

2005, pp. 1986-1991.<br />

( 70 ) Sul punto, Staudinger, in NJW, 2005, pp. 3521-3523. Cfr. anche Thume-Edelmann,<br />

op. cit., p. 483. Il mutuatario ha l’onere di provare che nel caso in cui la banca avesse<br />

correttamente fornito le informazioni relative ai rischi connessi all’investimento, egli<br />

avrebbe esercitato il suo diritto di recesso dal contratto di mutuo o, quantomeno, avrebbe<br />

evitato di concludere il contratto di compravendita.


SAGGI 919<br />

consumatore per quel che attiene all’allocazione dei rischi connessi alla<br />

conclusione dell’investimento immobiliare, nel caso in cui la banca abbia<br />

omesso di informare il consumatore in merito all’esistenza di tali rischi o<br />

circa la possibilità di esercitare il diritto di recesso. In tale circostanza, in<br />

base a quanto suggerito dalla Corte, la banca dovrebbe ulteriormente risarcire<br />

il consumatore per i danni subiti in seguito alla conclusione del<br />

contratto di compravendita, comprendenti l’ammontare corrispondente<br />

alle mancate locazioni degli immobili, nonché una somma pari alla differenza<br />

tra il prezzo d’acquisto dell’immobile e il suo valore di mercato.<br />

Sulle prime due questioni, questa pronuncia, sebbene non risponda<br />

alle aspettative dei consumatori, non pone alcun problema di compatibilità<br />

con l’attuale normativa tedesca e con le norme in vigore, confermando<br />

l’autorevole presa di posizione del BGH in merito. La questione di<br />

compatibilità tra la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Sculte c. Badenia<br />

e l’attuale normativa tedesca, però, sembra essersi ulteriormente intensificata<br />

a seguito delle recenti discordanti pronunce del BGH tedesco.<br />

Le maggiori difficoltà di adattamento si riscontrano per quel che attiene al<br />

diritto del consumatore ad ottenere il risarcimento del danno da parte della<br />

banca, subito a seguito dell’acquisto dell’immobile. La soluzione auspicata<br />

dalla Corte nella sentenza dell’ottobre 2005 vuole addossare all’istituto<br />

di credito i rischi dell’investimento finanziario concluso porta-a-porta,<br />

offrendo in tal modo, una più ampia tutela degli interessi del consumatore.<br />

Mentre, in ossequio a tale pronuncia, il OLG Bremen, nella sua sentenza<br />

del marzo 2005 nel caso Crailsheimer Volksbank si è espresso in favore<br />

del consumatore, obbligando la banca al risarcimento del danno in<br />

ammontare pari a circa 75.000 Euro ( 71 ), il BGH appare più cauto in merito.<br />

In particolare, dubbi sussistono in merito alla possibilità di fondare<br />

una pretesa di risarcimento dei danni, specialmente considerando l’inapplicabilità<br />

della disciplina dei contratti collegati ai contratti di acquisto di<br />

immobili e di relativo finanziamento ( 72 ). Come sottolineato, nel caso di<br />

( 71 ) Sent. 2 U 20/02, 3 marzo 2006.<br />

( 72 ) Cfr. Thume-Edelmann, Keine Pflicht systemwidrigen richtlinienkonformen Rechtsfortbildung<br />

– zugleich Besprechung der Urteil des EuGH vom 25.20.2005 in den Rechtssachen<br />

C-229/04 (“Schulte”) und C-350/03 (« Crailsheimer Volksbank »), in BKR, 2005, p. 482. Cfr.<br />

anche Hoffmann, Verbundene Geschäfte auch beim Realkredit: Die Auswirkungen der EuGH-<br />

Urteil « Schulte/Badenia » und « Crailsheimer Volksbank », in BKR, 2005, pp. 487-496. A questa<br />

conclusione sembra essere giunto anche il BGH tedesco in una sua recente sentenza<br />

BGH, II sez., causa ZR 327/04, 12 dicembre 2005. Le stesse perplessità persistono anche per<br />

i casi insorti prima del gennaio 2002 e soggetti alla disciplina del VerbrKrG e del HWiG.<br />

Ciò anche nel caso di contratti collegati, come, per esempio, quello di acquisto si un’auto-


920 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mancata informativa da parte della banca l’attuale normativa in vigore<br />

non sembra supportare l’applicazione della disciplina dei §§ 280 e 249<br />

BGB, ma soltanto l’esimente prevista dal combinato disposto dei §§ 357 n.<br />

3 e 346 BGB. Pertanto, in virtù delle norme in esame, al consumatore potrà<br />

essere concesso di esimersi solo dal pagamento degli interessi maturati<br />

sulla somma presa a mutuo fino all’esercizio del diritto di recesso.<br />

Volendo fare un bilancio della situazione, le due sentenze della Corte<br />

di Giustizia Europea non hanno intaccato in modo significativo la giurisprudenza<br />

della XI Sezione del BGH, almeno per quel che concerne l’applicabilità<br />

della disciplina dei contratti collegati, nonché le conseguenze<br />

dell’esercizio del diritto di recesso dal contratto di mutuo ipotecario. In<br />

una sua recente sentenza, però, la XI Sezione del BGH, contrariamente<br />

alle aperture dimostrate dalla II Sezione ( 73 ), si è espressa in modo oltremodo<br />

restrittivo per quel che attiene al diritto del consumatore al risarcimento<br />

del danno nel caso di mancata informativa della banca in merito al<br />

possibile esercizio di quest’ultimo del diritto di recesso. Fermo restando<br />

l’inapplicabilità del § 358 BGB, il BGH ha precisato che anche in questo<br />

caso, il consumatore potrà esimersi dalla restituzione del credito alla banca,<br />

comprensivo di interessi, solo in presenza di un inganno fraudolento<br />

in merito al valore effettivo dell’immobile perpetrato a suo danno dal venditore<br />

(ärglistig getäuscht), il quale a sua volta ed in ragione delle circostanze,<br />

non avrebbe potuto essere stato ignorato dalla banca al momento<br />

della conclusione del contratto di finanziamento ( 74 ).<br />

Fino ad ora, il dibattito dottrinale ha visto alcuni esponenti propendere<br />

per un’applicazione, seppur marginale, della disciplina del risarcimento<br />

vettura e di finanziamento della stessa per il tramite della stessa concessionaria. In tal caso,<br />

secondo quanto disposto dai § 9 VerbrKrG, la banca non dovrà farsi carico delle spese di riparazione,<br />

nel caso in cui, diversamente da quanto contrattualmente concordato, l’autovettura<br />

risulti difettosa o inadatta all’uso prescritto. Un’altra questione concerne l’applicazione,<br />

in caso di evidenti vizi strutturali dell’autovettura, del § 9, comma 3°, VerbrKrG, con<br />

conseguente diritto del consumatore di interrompere il pagamento delle restanti rate del<br />

mutuo. Una simile soluzione sarebbe giustificabile in ragione della stretta unità economica<br />

dei due contratti, non dipendendo, peraltro dall’avvenuta informativa da parte della banca.<br />

Il BGH si e´invece espresso in favore dell’applicabilità della disciplina dei contratti collegati<br />

nel casi di acquisto in una situazione porta-a-porta da parte del consumatore di quote di<br />

un fondo immobiliare finanziate, anche in questo caso, tramite un contratto di mutuo ipotecario.<br />

Cfr. BGH, II sez., cause ZR 392/01, ZR 395/01, ZR 374/02, ZR 385/02, ZR 392/02 e<br />

ZR 407/02, 14 giugno 2006.<br />

( 73 ) BGH, II sez., causa ZR 387/02, 21 luglio 2003.<br />

( 74 ) BGH, XI sez., causa ZR 6/04, 16 maggio 2006.


SAGGI 921<br />

danni ai soli casi in cui il contratto di mutuo sia stato effettivamente concluso<br />

fuori dai locali commerciali, in ragione dell’evidente esigenza di tutela<br />

del consumatore in tali frangenti. Negli casi, invece, in cui le sole trattative<br />

siano state svolte in una situazione porta a porta, una responsabilità<br />

per culpa in contrahendo della banca ex artt. 280, 249 e 311 BGB dovrebbe<br />

considerarsi esclusa ( 75 ).<br />

Se, da un lato, questa proposta verrebbe artificiosamente a separare<br />

fattispecie originariamente sottoposte allo stesso regime giuridico, comportando<br />

una non certo auspicabile spaccatura nel sistema, la recente pronuncia<br />

del BGH sembra penalizzare ulteriormente il consumatore, imponendo<br />

restrittivi obblighi probatori, atti di fatto a disincentivare l’esercizio<br />

del diritto di recesso. L’evidente contrasto di siffatto esito sia con il dettato<br />

comunitario che con la giurisprudenza della Corte di Giustizia pone in<br />

primo piano il problema della compatibilità dell’attuale interpretazione<br />

del dettato normativo da parte dei tribunali nazionali con il più ampio obbiettivo<br />

di tutela del consumatore nelle sue vesti di contraente debole. Un<br />

equo risultato, atto a responsabilizzare il consumatore, ma allo stesso<br />

tempo a proteggerlo contro eventuali abusi perpetrati a suo danno, potrà<br />

essere raggiunto solo tramite una corretta e mirata allocazione dei rischi<br />

tra i contraenti, la quale dia al consumatore e alla banca rispettivamente<br />

incentivi ad un’accurata valutazione delle conseguenze delle proprie scelte<br />

e al rispetto delle regole di fairplay e buona condotta. Per il momento,<br />

la giurisprudenza suprema tedesca sembra propendere per un’applicazione<br />

restrittiva del dettato normativo, favorevole, di fatto, agli istituti di credito<br />

bancario, ma di dubbia efficacia ai fini della protezione degli interessi<br />

dei contraenti deboli.<br />

( 75 ) Cfr. Hoffmann, op. cit., in BKR, 2005, p. 490.


ANTONIO ALBANESE<br />

Il rapporto tra restituzioni e arricchimento ingiustificato<br />

dall’esperienza italiana a quella europea<br />

Sommario: 1. Un problema europeo. – 2. L’influenza del sistema francese. – 3. L’influenza<br />

del sistema germanico. – 4. L’influenza del common law. – 5. Il sistema italiano: commistione<br />

e complementarità delle obbligazioni restitutorie. – 6. I requisiti dell’azione<br />

di arricchimento nel modello anglo-tedesco. – 6.1. La sussidiarietà. – 7. I Principles of<br />

European Unjustified Enrichment Law.<br />

1. – Non è eccessivo definire le restituzioni come il prodotto più incerto<br />

della lunga evoluzione storica del pensiero giuridico: dopo aver giocato<br />

un ruolo fondamentale presso i romani, in epoca moderna hanno a lungo<br />

risentito della preminenza del contratto e del fatto illecito, fino a risvegliare<br />

un interesse crescente nei giuristi di common law e nella dottrina tedesca<br />

negli ultimi decenni del secolo appena trascorso e, infine, quello dei<br />

giuristi appartenenti ai sistemi di derivazione francese.<br />

In Italia, la riscoperta è forse, ma si tratta di una considerazione più intuitiva<br />

che razionale, in fase di avvio: se questo fosse vero, sarebbe in<br />

buona parte attribuibile ad un fenomeno di circolazione dei modelli. Tuttavia,<br />

il processo di “omogeneizzazione” che è in corso, come noto, per<br />

tutto il settore delle obbligazioni ( 1 ), nella branca dei rimedi restitutori ci<br />

trova impreparati, sia per carenza di studi dogmatici specifici, sia per l’inadeguatezza<br />

delle soluzioni concrete, che da noi si ritiene, a torto, poter essere<br />

tutte riassorbite e risolte all’interno dei contratti o dei delitti.<br />

Questo fenomeno di “omogeneizzazione” non è nuovo in epoca moderna:<br />

al modello del BGB si era ispirato, ad esempio, il sistema restitutorio<br />

sovietico, a sua volta imitato dal codice polacco ( 2 ) e da quello ungherese.<br />

L’influenza del BGB è evidente anche nei codici giapponese e cinese<br />

e nel recente codice brasiliano (entrato in vigore nel gennaio 2003),<br />

mentre quella del common law lo è nel sistema indiano. Ancora: il Progetto<br />

italo-francese di codice delle obbligazioni del 1927, il cui art. 73 deli-<br />

( 1 ) Cfr. diffusamente Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna,<br />

2005.<br />

( 2 ) Su cui v., in lingua italiana, Ohanowicz, L’azione di indebito arricchimento nel diritto<br />

civile polacco, in Riv. dir. comm., 1961, I, p. 325 ss.


SAGGI 923<br />

neava l’azione di arricchimento, fu una base importante per la codificazione<br />

albanese del 1927 ( 3 ), per quella rumena del 1934 e per quella greca del<br />

1940.<br />

Alcuni sistemi di derivazione francese si sono invece discostati dal loro<br />

modello, ed hanno disciplinato espressamente l’azione di arricchimento:<br />

cfr. artt. 6 ss. del codice marocchino del 1913; artt. 71 e 72 del codice tunisino<br />

delle obbligazioni e dei contratti del 1906; artt. 140-142 del codice<br />

libanese del 1932.<br />

La vitalità del principio dell’arricchimento senza causa è confermata<br />

dunque dalla sua vigenza nel diritto positivo (o, come in Francia, nell’applicazione<br />

giurisprudenziale), sia in sistemi giuridici occidentali sia in<br />

quelli orientali ( 4 ).<br />

È peraltro interessante notare che, nell’ambito dei sistemi di derivazione<br />

romanistica, il modello romano-francese si caratterizza per la mancata<br />

codificazione dell’azione di arricchimento senza causa: il codice francese,<br />

il codice spagnolo, ed il codice italiano del 1865, disciplinano esclusivamente<br />

le due tradizionali figure di quasi-contratto, ossia il pagamento<br />

dell’indebito e la gestione di affari. Il modello romano-germanico, al contrario,<br />

si caratterizza per l’assenza della categoria del quasi-contratto e per<br />

la presenza forte di una clausola generale di arricchimento: per il codice<br />

tedesco del 1900, al § 812, comma 1°, BGB; per il codice svizzero delle obbligazioni<br />

del 1911, all’art. 61, comma 1°, OR. Se ne può dedurre l’incompatibilità<br />

dell’arricchimento senza causa con la categoria dei quasi-contratti:<br />

ne è conferma proprio il diritto italiano, ove l’avvento del codice del<br />

’42 ha comportato la soppressione del quasi-contratto e, parallelamente,<br />

all’art. 2041, l’introduzione della clausola generale di arricchimento ( 5 ).<br />

( 3 ) L’attuale codice civile albanese, del 1994, come noto è stato redatto sulla falsariga<br />

del vigente c.c. italiano.<br />

( 4 ) Per il diritto musulmano, v. Arminjon-Nolde-Wolff, Traite de droit comparé, vol.<br />

III, Paris, 1952, p. 364; per quello sudamericano v. Fabrega Ponce, El enriquecimiento sin<br />

causa, Santafe de Bogotà, 1996. Cfr. inoltre il recente volume Unjustified Enrichment. Key Issues<br />

in Comparative Perspective edited by Johnston and Zimmermann, Cambridge, 2002,<br />

che raccoglie i contributi di alcuni tra i maggiori studiosi in campo internazionale dei rimedi<br />

restitutori.<br />

( 5 ) Cfr. Moscati, L’azione di arricchimento nelle codificazioni moderne, in L’arricchimento<br />

senza causa a cura di Mannino, Torino, 2005, p. 102 ss., il quale osserva inoltre che, in<br />

questo quadro, rappresenta una voce fuori dal coro il codice austriaco del 1811, il quale « appare<br />

lontano tanto dal modello francese quanto da quello più recente tedesco-svizzero, facendo<br />

storia a sé ». Infatti l’ABGB non disciplina espressamente l’azione di arricchimento,<br />

né contempla la categoria dei quasi-contratti. Detto codice, invero, sebbene disconosca una<br />

previsione generale del principio, disciplina l’azione contro l’arricchimento che deriva al


924 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il principio che vieta di arricchirsi ingiustamente a spese altrui, si diffuse<br />

dapprima nel diritto prussiano e nel codice civile austriaco, e in seguito<br />

nel codice civile tedesco (§ 812) e in quello svizzero delle obbligazioni<br />

(art. 62). Più recentemente, nel codice civile italiano del 1942 (artt.<br />

2041 s.) e nel codice civile portoghese del 1966 (artt. 473-482). L’ultima codificazione<br />

dell’azione di arricchimento è quella di cui agli artt. 884-886<br />

del nuovo codice civile brasiliano.<br />

Il rimedio tuttora non esiste, come figura autonoma, nel vigente codice<br />

spagnolo, che regola unicamente il pagamento dell’indebito e la gestione<br />

di affari ponendoli tra i quasi-contratti, e nel codice francese. Ma sia in<br />

Spagna sia in Francia l’arricchimento senza causa è elevato, grazie alla<br />

dottrina e alla giurisprudenza ( 6 ), a principio generale che opera come autonoma<br />

fonte di obbligazione.<br />

Quanto all’Italia, la stessa codificazione di un principio generale di arricchimento<br />

fu da alcuni fortemente osteggiata e, negli anni immediatamente<br />

successivi al suo avvento, aspramente criticata: vigente il codice<br />

del 1865, quando l’azione di arricchimento viveva una (incerta) esistenza<br />

soltanto nella dottrina e nella giurisprudenza in ossequio ad una tradizione<br />

risalente al diritto romano giustinianeo, il frequente ricorso a motivazioni<br />

di carattere metagiuridico, e in particolare ai principi di equità e di<br />

giustizia, aveva destato forti timori in ordine alla generalizzazione di norme<br />

come quelle attinenti all’indebito, alle accessioni, alle spese sulla cosa<br />

altrui ed altre ancora che incarnavano specifiche ipotesi di arricchimento<br />

senza causa.<br />

Le medesime preoccupazioni furono proprie dei giuristi francesi, dai<br />

quali avevamo ereditato la costruzione dell’istituto, tant’è che in Francia<br />

proprietario da spese fatte da altri sulla sua cosa (§§ 1041, 1042 ABGB) e prevede singole<br />

condictiones (§§ 877, 1174, 1431, 1435). Cfr. Caroni, Saggi sulla storia della codificazione, Milano,<br />

1998, p. 59.<br />

( 6 ) La giurisprudenza spagnola proclama apertamente di avere il merito dell’elaborazione<br />

della figura in diritto spagnolo: «el enriquecimiento injusto es institución no mencionada<br />

expresamente entre los cuasi contratos que regula el Código civil, de principal elaboración<br />

de este Tribunal Supremo, con cierto arraigo en la legislación anterior » (S. 17 maggio 1957).<br />

Si noti che il principio dell’arricchimento senza causa, nel diritto spagnolo, ha ricevuto<br />

di recente consacrazione anche nei testi legislativi: l’espressione «acción de enriquecimiento<br />

sin causa » è adoperata dall’art. 10.0 del riformato codice spagnolo (cfr. Tìtulo Preliminar,<br />

De las normas juridicas, su aplicación y fuentes, introdotto dalla legge n. 3 del 1973,<br />

il quale al Cap. IV regola le norme di diritto internazionale privato) e dall’art. 65 della legge<br />

Cambiaria.<br />

Quanto all’introduzione giurisprudenziale dell’azione di arricchimento nel diritto francese<br />

v. § 2.


SAGGI 925<br />

l’azione di arricchimento non trova, a tutt’oggi, consacrazione nei testi di<br />

legge, e che soltanto nel 1892 una sentenza della Camera dei Ricorsi della<br />

Corte di Cassazione diede definitivo ingresso al rimedio quale istituto generale<br />

del diritto francese (v. § 2).<br />

Ma se, a differenza di quello francese, l’attuale codice civile risolve in<br />

senso affermativo la questione sull’opportunità di consacrare un principio<br />

generale di arricchimento, rimane ancora da sciogliere il vero nodo dei rimedi<br />

restitutori: cosa far rientrare all’interno del codificato principio generale,<br />

e, in altre parole, quale sia l’utilità di una tale generalizzazione a<br />

fronte di singole discipline che non solo sono più minuziosamente dettate,<br />

ma che spesso divergono sostanzialmente dalla regolamentazione dell’azione<br />

generale.<br />

Si tratta di un dubbio che accomuna giuristi di diritto continentale e<br />

giuristi di common law: anche in Paesi come Germania e Inghilterra, ove<br />

l’azione di arricchimento ha portata maggiore che in Italia, ci si domanda<br />

« se la reazione contro l’arricchimento senza causa costituisca un istituto<br />

veramente unitario o se non si tratti piuttosto di una serie di mezzi di tutela<br />

singolarmente differenziati » ( 7 ).<br />

In via di prima approssimazione, la separazione tra gli ordinamenti<br />

che si richiamano ad un doppio sistema (ossia comprendente due pretese<br />

restitutorie distinte) e quelli che hanno accolto un sistema unitario<br />

(nel quale azione di arricchimento ed azione di ripetizione dell’indebito<br />

sono ricomprese all’interno di una fattispecie unitaria di arricchimento)<br />

potrebbe essere così delineata: tra i primi, il francese, l’italiano, l’olandese<br />

e l’austriaco; tra gli altri, il tedesco, lo svizzero e, parzialmente, il<br />

greco ( 8 ). Nel sistema inglese, poi, non è neanche scontato che si possa<br />

parlare, tecnicamente, di un principio generale che vieta l’unjust enrichment,<br />

se la stessa House of Lords, di norma, preferisce fondare le restitutions<br />

su di una pluralità di rimedi tipici. Ma se si approfondisce l’evoluzione<br />

che i rimedi restitutori hanno avuto in questi sistemi, ogni certezza<br />

svanisce: perché mentre la dottrina tedesca, ad esempio, « si sforza di<br />

individuare una tipologia di fattispecie di arricchimento, che concretizzi<br />

la troppo astratta formulazione legislativa, nella Common Law avviene<br />

l’inverso, nella misura in cui ci si sforza di enucleare dalla casistica mi-<br />

( 7 ) Ne dà atto Moscati, Fonti legali e fonti « private » delle obbligazioni, in Quaderni romani<br />

di diritto privato a cura di Angelici, Di Majo, G. B. Ferri e Masi, Padova, 2000, p. 254.<br />

( 8 ) Kupisch, Ripetizione dell’indebito e azione generale di arricchimento. Riflessioni in tema<br />

di armonizzazione delle legislazioni, in Europa e dir. priv., 2003, p. 858, ove anche una<br />

spiegazione in chiave storica di questa separazione.


926 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

nuta un principio o criterio di orientamento . . . che faccia da guida all’interprete<br />

» ( 9 ).<br />

Evidenti sono dunque le difficoltà che si pongono, in ordine ad un’armonizzazione<br />

delle discipline nazionali degli Stati membri dell’Unione<br />

Europea, attorno ad una futura base “europea” dei principi restitutori ( 10 ).<br />

Alla luce della nostra attuale disciplina, in particolare, occorrerà vagliare<br />

la compatibilità delle nostre restituzioni con la visione accolta nell’ambito<br />

dei lavori preparatori svolti dallo Study Group on a European Civil<br />

Code per approntare dei Principles of European Unjustified Enrichment<br />

Law ( 11 ); visione che sembrerebbe ispirarsi, ma non senza ambiguità, ad<br />

una concezione unitaria di indebito ed arricchimento ( 12 ), a conferma di<br />

un’incertezza che fa di questo tema, appunto, un problema “europeo”.<br />

L’indagine storico-comparativistica può condurre, attraversando la secolare<br />

costruzione normativa e dottrinale, a tracciare le linee ordinatrici di<br />

una così complessa materia, e ad esaminare, seppure per brevi accenni, il<br />

rapporto, le contaminazioni e le influenze intercorrenti fra i tre grandi<br />

modelli giuridici dell’età contemporanea: quello romano-francese, quello<br />

romano-tedesco, quello inglese.<br />

Si possono sin d’ora anticipare, quali risultati, una sorpresa (almeno<br />

per il lettore non avvezzo a maneggiare le restituzioni) ed una conferma.<br />

Sorprende, scoprire che, alla classica tripartizione appena esposta, è possibile<br />

sovrapporre, in materia restitutoria, una bipartizione: da un lato il sistema<br />

francese; dall’altro il sistema anglo-tedesco. Rassicura, invece, che<br />

anche per le restituzioni, sebbene non sia ancora possibile parlare (differentemente<br />

dal contratto) di uniformità progettuale, è possibile cogliere, a<br />

livello embrionale, un graduale processo di approssimazione tra i diversi<br />

modelli.<br />

Il tema è quello del rapporto tra singoli mezzi restitutori e teoria dell’arricchimento<br />

ingiustificato. È tuttavia evidente che in esso si interseca-<br />

( 9 ) Di Majo, La tutela civile dei diritti, 4 a ed., Milano, 2003, p. 345.<br />

( 10 ) Armonizzazione stimolata dal Parlamento Europeo di Strasburgo, come risulta dalla<br />

risoluzione 15 novembre 2001, Zeitschrift für Europäisches Privatrecht (Berlino 2002), p.<br />

634 ss., richiamata anche da Kupisch, op. cit., p. 861 s.<br />

( 11 ) I Principles proposti dallo Study Group (diretto da Christian von Bar) sono pubblicati<br />

sul sito internet www.sgecc.net, e sono commentati da Swann, The Structure of Liability<br />

for Unjustified Enrichment: First Proposals of the Study Group on a European Civil Code, in<br />

Grundstrukturen eines Europäischen Bereicherungsrechts, hg. Von R. Zimmermann, Tübingen,<br />

2005, p. 265 ss. Cfr. anche von Bar, Il Gruppo di Studio su un Codice Civile Europeo, in<br />

Alpa-Buccico, Il Codice Civile Europeo. Materiali dei Seminari 1999-2000, Milano, 2001.<br />

( 12 ) La ripetizione dell’indebito è, infatti, compresa all’interno dell’arricchimento.


SAGGI 927<br />

no profili tra i più profondi del sistema restitutorio e dell’intera materia<br />

delle obbligazioni, dei quali non sarà possibile dar conto in questa sede.<br />

Si pensi alle influenze che l’indebito oggettivo italiano può vantare, persino<br />

sui sistemi francese e tedesco, in ordine all’irrilevanza dell’errore, risultando<br />

a sua volta contraccambiato dal contributo offerto dalla Saldotheorie<br />

di matrice dottrinale tedesca ( 13 ). Si pensi ai diversi riflessi, sul<br />

tema che occupa, del principio consensualistico francese e del principio<br />

germanico di astrazione della causa ( 14 ); o alla possibilità di ravvisare, nel<br />

nostro ordinamento, quanto alle c.d. « prestazioni isolate », un negozio dispositivo<br />

esecutivo simile al Leistungsgeschäft austriaco; alle questioni comuni<br />

in materia di contrarietà al buon costume ( 15 ); alla tradizione (ed<br />

evoluzione) parallele della gestione di affari nel civil law ed al principio<br />

dello undue sacrifice in common law. Ed ancora, sul versante contrattuale:<br />

alle teorie dell’efficient breach ed al problema della giustizia del contratto<br />

(le restituzioni sono idonee a correggere l’autonomia contrattuale?). Sotto<br />

il profilo delle clausole generali: alle potenzialità dell’art. 2041 c.c. in caso<br />

di illegittima interferenza di terzi in interessi meritevoli di protezione<br />

( 13 ) Cfr. Albanese, L’indebito oggettivo nell’evoluzione giurisprudenziale, in Corr. giur.,<br />

2004, p. 1369.<br />

( 14 ) In forza del quale, l’accipiens indebiti acquista comunque la titolarità del bene ricevuto.<br />

Ciò significa che non può più trovare spazio l’azione (reale) di rivendicazione, e che<br />

assume un ruolo di fondamentale importanza l’azione personale: la condictio ha la funzione<br />

di permettere al solvens il recupero di quanto trasferito indebitamente, correggendo gli<br />

inconvenienti del difetto di collegamento causale tra il negozio dispositivo ed il negozio obbligatorio.<br />

È allora evidente come la condictio sia oggi studiata in Italia da un angolo visuale<br />

differente rispetto a quello della dottrina tedesca: quest’ultima, poiché opera in un sistema<br />

in cui la mancanza di causa del negozio obbligatorio non genera la nullità dell’atto di<br />

trasferimento, può concentrare l’analisi sulla giustificazione dell’attribuzione patrimoniale<br />

in sé (Zuwendung). La letteratura giuridica italiana è invece segnata dall’affannosa ricerca di<br />

spiegare quale funzione residui all’istituto della ripetizione dell’indebito, in un ordinamento<br />

nel quale all’attore sarebbe sufficiente impugnare il contratto ed esercitare l’azione di rivendicazione.<br />

Per la situazione dei Paesi di civil law in relazione al principio consensualistico cfr.<br />

Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 50, il quale spiega come, sorprendentemente,<br />

non esista una regola universale per la quale il consenso, se non accompagnato<br />

da una causa o da una consideration, debba essere accompagnato dalla traditio. Infatti:<br />

« la Danimarca accoglie il principio consensualistico, ma non annovera la causa fra i<br />

requisiti del contratto. La Germania ripudia i contrati reali, e con ciò si contrappone ai paesi<br />

a diritto romano-francese; ma l’Austria segue quesi ultimi, con ciò rivelando un’altra divisione<br />

entro l’area romano-tedesca ».<br />

( 15 ) Per l’esame delle quali, rinvio ad Albanese, Illiceità, immoralità e soluti retentio, in<br />

Corr. giur., 2005, p. 865.


928 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

(violazione di diritti su beni immateriali o di diritti della personalità, concorrenza<br />

sleale, doppia alienazione immobiliare), oppure nei rapporti di<br />

famiglia, in particolare in quella zona di confine tra solidarietà familiare e<br />

squilibri patrimoniali nella quale si colloca il partner “debole”.<br />

Si pensi, per finire, al problema, segnalatoci ancora una volta dall’esperienza<br />

comparativistica, dell’allocazione della ricchezza prodotta in assenza<br />

di danno ( 16 ). Problema che potrebbe essere grezzamente ridotto alla<br />

domanda: esiste una responsabilità senza danno? E, più in particolare:<br />

se esiste, si tratta di una responsabilità risarcitoria o restitutoria? Ma le domande<br />

potrebbero non finire: può davvero parlarsi di un “responsabile” a<br />

proposito dell’accipiens o dell’arricchito? Se esiste una “responsabilità restitutoria”,<br />

può essa prescindere dalla colpa? E ancora: se fosse configurabile<br />

una sorta di responsabilità oggettiva anche nella materia de qua, sarebbe<br />

equo condannare il convenuto ad indennizzare l’attore in una misura<br />

che prescinde dallo stato soggettivo del primo? Da questi elementari<br />

( 16 ) In Italia, la possibilità che l’arricchimento sia superiore al valore del bene o della<br />

prestazione altrui indebitamente conseguita, ha dato vita negli anni sessanta ad una appassionata<br />

disputa in ordine al quesito sul soggetto, l’arricchito ovvero l’impoverito, al quale<br />

deve essere attribuito tale plusvalore. La questione, sollevata incisivamente da Sacco nella<br />

sua celebre monografia del ’59 (Sacco, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Torino,<br />

1959), coinvolge i tanti casi possibili (dal mero uso del bene altrui alla lesione di un diritto<br />

sui beni immateriali) nei quali la lesione del diritto altrui non si traduce in un danno<br />

immediatamente percepibile: o perché manca la correlazione tra danno ed arricchimento, o<br />

perché, addirittura, è la stessa ricerca dell’elemento danno a non trovare riscontro.<br />

Analoghi problemi sono poi posti da una diversa fattispecie, la cui importanza è particolarmente<br />

avvertita dai common lawyers, che a tal proposito parlano di «efficient breach »:<br />

qui si è in presenza delle parti di un contratto, una delle quali non adempie l’obbligazione<br />

pattuita e deve pertanto rispondere del proprio inadempimento secondo i canoni della responsabilità<br />

contrattuale. Normalmente, la presenza di un valido contratto esclude di per<br />

sé l’azione ex art. 2041 c.c., poiché l’accordo tra le parti è « giusta causa » dell’arricchimento;<br />

può però avvenire che la parte inadempiente, pur rispondendo del proprio inadempimento,<br />

risulti alla fine addirittura arricchita proprio per effetto dell’inadempimento medesimo, perché<br />

non adempiendo è riuscita a realizzare un risparmio di spesa o ad ottenere un guadagno<br />

superiore al danno che ha cagionato. [Segnalo, tra i tanti, un caso risolto dalla Suprema<br />

Corte di Israele (Adras Ltd. v. Harlow6 Jones GmbH, in 104 L.Q.R., 1988, p. 383, con nota di<br />

Friedmann. Il convenuto fu obbligato a restituire i profitti ottenuti grazie al suo breach of<br />

contract, nonostante dalle circostanze di fatto sembrasse emergere che l’attore (parte contrattuale<br />

fedele) non avesse sofferto alcun danno]. I common lawyers ritengono che il guadagno<br />

debba essere restituito in tutti i casi di «cynical exploitation of breach for the purpose<br />

of making a gain ». E sarebbe cinico, appunto, sciogliere il contratto con l’intenzione di stipularne<br />

un altro più conveniente (cfr. Goff-Jones, The law of restitution, London, 1966, p.<br />

458).


SAGGI 929<br />

interrogativi, si dipana, infine, uno spettro più raffinato di problematiche<br />

legate all’analisi economica del diritto (ammesso che una tale responsabilità<br />

sia equa, è essa anche economicamente conveniente?), dalle quali scaturisce<br />

un tema sorprendentemente elegante.<br />

Di come esso si sviluppi in diritto italiano, peraltro, chi scrive si è già<br />

occupato diffusamente ( 17 ). In questa sede, invece, è opportuno evidenziare<br />

le asimmetrie del nostro sistema rispetto agli altri diritti nazionali del<br />

Vecchio Continente ( 18 ) e, soprattutto, rispetto a quella che appare come<br />

una generale tendenza europea.<br />

2. – I risultati raggiunti nella fase immediatamente precedente al nuovo<br />

codice civile dai nostri autori e palesemente recepiti dal codificatore<br />

del ’42, furono fortemente influenzati, quando non traslati, dalle conclusioni<br />

cui era pervenuta l’esperienza francese, ove « il principio, nonostante<br />

il silenzio del codice napoleonico, si era andato radicando nel diritto<br />

applicato in virtù di un costante confronto critico tra la dottrina e la giurisprudenza<br />

» ( 19 ). Dopo aver lungamente ignorato il problema, infatti, o al<br />

più ritenuto di risolverlo alla luce di un adattamento dei tradizionali rimedi,<br />

condictio, actio de in rem verso e negotiorum gestio, le corti transalpine<br />

furono costrette ad affrontare più seriamente la questione « in concomitanza<br />

al crescere anche quantitativo dei casi di trasferimenti non giustificati<br />

di ricchezza connessi al maggior sviluppo raggiunto dai traffici e dalla<br />

vita di relazione » ( 20 ).<br />

Il punto di rottura è rappresentato da una ormai famosa sentenza della<br />

Camera dei Ricorsi della Corte di Cassazione ( 21 ), conosciuta come arrêt<br />

( 17 ) Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, pp. 353-<br />

453.<br />

( 18 ) Queste asimmetrie andranno confrontate, in futuro, anche con le soluzioni date dagli<br />

interpreti orientali: « il nuovo che avanza non si arresta alle due sponde dell’Atlantico »,<br />

perché « la lex mercatoria trasporta verso Occidente principi di diritto che hanno origine in<br />

Oriente, preludendo forse al tramonto dell’egemonia occidentale » (Galgano, La globalizzazione<br />

nello specchio del diritto, cit., p. 8).<br />

( 19 ) Breccia, L’arricchimento senza causa, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, vol. IX,<br />

Obbligazioni e contratti, Torino, 1984, p. 973.<br />

( 20 ) Gallo, L’arricchimento senza causa, Padova, 1990, p. 121.<br />

( 21 ) Chambre de Requêtes, 15 giugno 1892 (in Dalloz, 1892, I, p. 596, in Sirey, 1893, I, p.<br />

381, con nota di Labbé). La Corte peraltro fece sue le conclusioni già annunciate in dottrina<br />

da Aubry-Rau, Cours de droit civil français, a cura di Bartin, vol. IX, Paris, 1920, p. 354,<br />

i quali per primi accolsero una configurazione dell’istituto come figura autonoma. Le idee<br />

degli stessi autori ebbero inoltre un’influenza evidente sulle massime di cui appresso nel<br />

testo, che limitarono i confini dell’azione. I due autori citati avevano a loro volta seguito le


930 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Boudier o affaire des engrais, che, nonostante l’assenza di un’esplicita norma,<br />

consacrò l’azione di arricchimento quale istituto generale fondato direttamente<br />

sull’equità ( 22 ), svincolandolo definitivamente dalla gestione di<br />

affari.<br />

La controversia aveva ad oggetto la vendita, ad opera di un commerciante,<br />

di un carico di concime all’affittuario di un fondo. Al termine del<br />

rapporto di affitto il venditore del concime, che frattanto era stato sparso<br />

sul fondo, non aveva ancora ricevuto il pagamento dall’affittuario, in seguito<br />

rivelatosi insolvente; il venditore agì allora contro il proprietario<br />

del fondo poiché questi, avendo infine beneficiato della fornitura dei<br />

concimi, aveva a sua detta ricevuto un arricchimento ingiustificato, fonte<br />

quanto meno di un obbligo di indennizzo nei limiti dell’arricchimento<br />

medesimo. La Corte gli diede ragione, peraltro la decisione con una motivazione<br />

la cui enfasi e la cui astrattezza andavano ben al di là del modesto<br />

caso sottoposto alla sua attenzione, spingendosi alla formulazione<br />

di un principio che, siccome basato sull’equità naturale, non poteva che<br />

essere inteso nel senso più ampio ed elastico. Nella sua dirompente foga<br />

innovatrice, essa tralasciò di definire i presupposti per l’operatività di una<br />

simile azione. Al contrario, sancì solennemente che il principio in base al<br />

quale chi si arricchisce a danno altrui è tenuto a restituire il maltolto,<br />

« non è soggetto ad alcuna condizione predeterminata; è sufficiente ai fini<br />

dell’accoglimento della domanda che l’attore dimostri di aver procurato<br />

un arricchimento con proprio sacrificio o fatto alla persona nei cui<br />

confronti si agisce ».<br />

La sentenza, piuttosto che chiudere il dibattito, lo rinfocolò: occorreva<br />

ora riempire di contenuti un principio potenzialmente illimitato, ricostruire<br />

i presupposti per l’operatività di un rimedio accolto con preoccupazione<br />

tra gli studiosi, tanto da essere paragonato ad un Cavallo di Troia<br />

introdottosi nella cittadella del diritto scritto come «une sorte de brulot susceptible<br />

de faire sauter tout l’edifice juridique » ( 23 ). All’interno di questo<br />

dibattito, tuttora aperto e parzialmente influenzato da quell’originario ti-<br />

conclusioni formulate per la prima volta in diritto francese da un giurista tedesco: Zachariae,<br />

Lehrbuch des franzosischen Zivilrechts, 1808 (edizione francese sotto il titolo: Droit civil<br />

théorique français, Bruxelles, 1842, p. 337), che per primo concepì un’azione autonoma<br />

dalla gestione di affari, denominandola actio de in rem verso.<br />

( 22 ) Così testualmente: «attendu que cette action derivant du principe d’equité qui defend<br />

de s’enrichir au detrissement d’autrui et n’ayant été réglementée pas aucun texte de nos lois, son<br />

exercice n’est soumis a aucune condition déterminée».<br />

( 23 ) Drakidis, La subsidiarité, caractère spécifique et international de l’action d’enrichissement<br />

sans cause, in Rev. trim. dr. civ., 1961, p. 580.


SAGGI 931<br />

more che l’istituto fosse in grado di scardinare l’ordinamento ( 24 ), vanno<br />

segnalate due sentenze, una del 1914 ( 25 ), l’altra dell’anno successivo ( 26 ),<br />

le quali completarono la ricostruzione dell’istituto avviata dall’arrêt Boudier,<br />

aggiungendo ad arricchimento, danno e correlazione tra danno ed arricchimento,<br />

gli altri due presupposti formanti la moderna azione di arricchimento:<br />

la mancanza di giusta causa e la sussidiarietà del rimedio ( 27 ).<br />

Le vicende di oltralpe ebbero un’eco evidente nella realtà giuridica italiana,<br />

nella quale l’azione di arricchimento veniva riconosciuta sebbene<br />

non menzionata dal codice del 1865; dall’esame di svariate norme sparse<br />

nei codici (artt. 445, 449, 450, 468, 470, 490, 1018, 1148, 1150, 1237, 1243,<br />

1307, 1528, 1728, 1842, 1010 del codice civile; artt. 56 e 326 del codice di<br />

commercio) si deduceva l’esistenza di un principio generale che vietava di<br />

arricchirsi ingiustamente a danno altrui ( 28 ): l’obbligo di restituzione era<br />

pertanto già sancito nel vecchio codice, sebbene per mezzo di singole disposizioni<br />

di legge (un’azione di arricchimento era oggetto di previsione<br />

espressa soltanto in materia cambiaria: il succitato art. 326 cod. comm.,<br />

nonché gli artt. 67 e 94 r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669) ( 29 ).<br />

Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto in Francia, nel nostro Paese<br />

le dispute intorno alla convenienza ed all’utilità di codificare il principio<br />

che vieta l’arricchimento ingiustificato, videro prevalere, sulla scorta<br />

di legislazioni europee quali la svizzera e la tedesca, la soluzione affermativa.<br />

D’altronde, il divieto di arricchimento ingiustificato era stato<br />

consacrato come istituto di carattere generale già nel Progetto italo-fran-<br />

( 24 ) Il timore indotto dal richiamo all’equità, che ha lungamente contagiato anche i nostri<br />

giuristi, ha caratterizzato la produzione scientifica francese nell’arco di tutto il ventesimo<br />

secolo. Nel 1956, per esempio, si scriveva che «on a tenté de préciser le domaine de l’action<br />

de in rem verso en disant que l’enrichissement doit etre injuste. Mais l’expression est dangereuse:<br />

elle est susceptible de faire naitre l’idée que l’action est donnée lorsque l’enrichissement<br />

est contraire a l’équité» (Mazeaud, Leçons de droit civil, Paris, 1956, II, p. 640).<br />

( 25 ) Cass. civ., 12 maggio 1914, in Sirey, 1918, 1, p. 41.<br />

( 26 ) Cass. civ., 2 marzo 1915, in Dalloz, 1920, 1, p. 102.<br />

( 27 ) Cfr. Gallo, L’arricchimento senza causa, cit., p. 128.<br />

( 28 ) In proposito, criticamente: Ascoli, voce Arricchimento (azione di), in Nuovo Dig. it.,<br />

vol. I, Torino, 1937, pp. 755-759. Per l’idea che gli artt. 445 e 490 c.c. 1865 trovassero spiegazione<br />

in concetti estranei all’idea di arricchimento ingiustificato v. Burzio, Il campo d’applicazione<br />

dell’actio de in rem verso, in Giur. it., 1897, c. 129. Per un’analoga considerazione<br />

riguardo all’art. 1728 c.c. 1865 v. Leone, L’azione di arricchimento in diritto moderno, Napoli,<br />

1915, p. 145 ss., ove pure il tentativo di ricostruire una teoria generale dell’ingiusta locupletazione<br />

attraverso l’esame delle singole disposizioni del vecchio codice.<br />

( 29 ) Cfr. Castellano, La responsabilità cambiaria nei limiti dell’arricchimento, Padova,<br />

1970.


932 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

cese per un codice delle obbligazioni e dei contratti ( 30 ) (art. 73), la cui<br />

Relazione illustrativa, pur dando atto anche della presenza delle cennate<br />

voci discordi ( 31 ), ribadiva tuttavia l’opportunità dell’enunciazione di un<br />

principio generale.<br />

Le voci favorevoli a quella impostazione si levarono sempre più numerose<br />

e quando essa, dopo essere stata ribadita nel Progetto preliminare<br />

(artt. 820-821) e nel Progetto definitivo (artt. 766-767), trovò definitiva conferma<br />

nel codice civile del 1942, la Relazione al Codice non esitò a sottolineare<br />

come la soluzione godesse dell’appoggio di « una larghissima corrente<br />

di dottrina e di giurisprudenza » ( 32 ).<br />

Da allora, tuttavia, all’interprete si tramanda una questione antica<br />

quanto attuale: quale il rapporto tra arricchimento da un lato e indebito,<br />

gestione di affari e singole azioni restitutorie dall’altro? Per il momento, è<br />

possibile costatare che nel sistema giuridico al quale il legislatore italiano<br />

ha maggiormente attinto, ossia quello francese, la disciplina dell’indebito<br />

non è concepita come rimedio contro l’arricchimento senza causa: lo dimostra<br />

il fatto che si è stati costretti all’elaborazione di un istituto non codificato,<br />

l’azione di arricchimento, per risolvere problemi ai quali sarebbe<br />

stato altrimenti possibile applicare la disciplina dell’indebito, come quelli<br />

derivanti dall’esecuzione di prestazioni di fare o dal vantaggio conseguito<br />

per mezzo dell’approfittamento di utilità altrui o nei casi in cui la prestazione<br />

non è andata a beneficio dell’accipiens ma di terzi ( 33 ).<br />

3. – A seguito della codificazione dell’azione di arricchimento e della<br />

nuova sistemazione del pagamento dell’indebito nel codice italiano del<br />

’42, l’opinione, prevalente sotto l’impero del codice abrogato, che vuole il<br />

secondo ricompreso nel primo, è smentita da una collocazione dei due<br />

istituti all’evidenza inconciliabile con quella visione. Se così fosse, infatti,<br />

il legislatore, emulando i modelli di area germanica avrebbe dovuto dap-<br />

( 30 ) Progetto di codice delle obbligazioni e dei contratti, Roma, 1928, § 14, LXXXVIII. Così<br />

recitava l’art. 73: « chi si arricchisce senza giusta causa a danno di un’altra persona, è tenuto<br />

nei limiti del proprio arricchimento ad indennizzarla di ciò di cui si è impoverita ».<br />

( 31 ) Rotondi, L’azione di arricchimento. I requisiti e l’oggetto dell’azione nella giurisprudenza<br />

italiana e francese, in Riv. dir. comm., 1924, I, p. 378, e II, p. 540; Gabba, L’azione «de<br />

in rem verso» nel diritto civile italiano, in Giur. it., 1902, I, 1, c. 397 ss.; Ascoli, voce Arricchimento<br />

(Azione di), cit., p. 755 ss.<br />

( 32 ) Relazione al Codice. Libro delle Obbligazioni, Roma, 1941, n. 262.<br />

( 33 ) Di Majo, op. cit., p. 318: « per risolvere questi casi la giurisprudenza francese ha dovuto<br />

superare i limiti immanenti alla disciplina dell’indebito per configurare un’azione di<br />

arricchimento senza causa ».


SAGGI 933<br />

prima sancire il divieto generale di arricchimenti ingiustificati e soltanto a<br />

seguire le sue singole applicazioni, come l’indebito e, forse, la gestione di<br />

affari. Dettando al contrario dapprima un’analitica disciplina dell’azione<br />

di ripetizione dell’indebito e relegando solo alla fine di essa, al titolo VIII,<br />

l’arricchimento senza causa, il nostro ordinamento si distacca nettamente<br />

dai modelli tedesco, austriaco e svizzero, per sottolineare la autonomia<br />

delle due figure ( 34 ).<br />

In senso contrario si è ritenuto di poter richiamare proprio le scelte<br />

adottate dai legislatori dell’area germanica, i quali hanno testualmente costruito<br />

il pagamento dell’indebito come una delle più importanti figure in<br />

cui si articola il divieto generale di arricchimento senza causa ( 35 ).<br />

Il BGB (§ 812) sancisce che « chi mediante la prestazione di altri o in<br />

altro modo consegue qualcosa senza una causa giuridica a spese di un altro,<br />

è tenuto verso questi alla restituzione. Quest’obbligo sussiste anche<br />

quando la causa giuridica viene a mancare successivamente o quando non<br />

si verifica il risultato avuto di mira con la prestazione, secondo il contenuto<br />

del negozio giuridico ».<br />

Nella norma tradizionalmente si riscontrano due fattispecie distinte:<br />

la prima è caratterizzata dal fatto che taluno ha ottenuto un bene o una<br />

utilità « mediante la prestazione di un altro » e ciò non trova giustificazione<br />

nei loro rapporti (c.d. Leistungskondiktion); la seconda è contraddistinta<br />

dal fatto che il vantaggio o arricchimento non consegue alla prestazione<br />

eseguita dal soggetto impoverito, ma è un risultato verificatosi « in altro<br />

modo » (c.d. Nichtleistungs kondiktionen).<br />

Tra le Nichtleistungs kondiktionen rientrano la Eingriffskondiktion, la<br />

Verwendungskondiktion e la Rückgriffskondiktion. La Verwendungskondiktion<br />

ha ad oggetto le spese effettuate a vantaggio del bene altrui; la Rückgriffskondiktion<br />

ha ad oggetto il pagamento del debito altrui. Ma la fattispecie<br />

di Bereicherung in sonstiger Weise (ossia di arricchimento ottenuto<br />

( 34 ) Ed infatti chi leggeva le norme in materia di indebito come una speciale applicazione<br />

del divieto di arricchimenti ingiustificati, riservò ficcanti critiche già alla sistemazione<br />

formulata negli artt. 66-73 del progetto di un Codice delle obbligazioni e dei contratti approvato<br />

a Parigi nel 1927: cfr. Oertman, Indebito arricchimento e atti illeciti nel Progetto italo-francese<br />

di un codice delle obbligazioni, in Ann. Dir. comp., 1937, IV-V, p. 237; Siegwart,<br />

Gestione di affari senza mandato, pagamento d’indebito ed arricchimento senza causa nel Progetto<br />

italo-francese di un codice delle obbligazioni, ivi, p. 219.<br />

( 35 ) L’apporto della dottrina e dell’esperienza tedesca è evidenziato da Breccia, L’arricchimento<br />

senza causa, cit., p. 976, e da Mori Checcucci, L’arricchimento senza causa, Firenze,<br />

1943, p. 5 ss. Il sistema tedesco è stato recentemente esaminato da: Nicolussi, Arricchimento<br />

senza causa e Bereicherungsrecht, in Europa e dir. priv., 1998, p. 287 ss.


934 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

« in altro modo ») di maggior rilievo è di gran lunga la Eingriffskondiktion,<br />

attinente alle ipotesi di alienazione, di godimento o di consumazione non<br />

autorizzate di un bene o di un diritto altrui. Su di essa, si tornerà ampiamente<br />

al § 6.<br />

Ritornando alla prospettiva italiana: la Leistungskondiktion può essere<br />

ricondotta, con le cautele imposte dalle diverse leggi di circolazione operanti<br />

nei due sistemi ( 36 ), alla nostra ripetizione dell’indebito, la Eingriff-<br />

( 36 ) Nicolussi, ult. op. cit., p. 293, avverte che l’equiparazione tra Leistungskondiktion e<br />

indebito può risultare addirittura fuorviante se non si considera che nel sistema tedesco vigono<br />

la separazione tra titulus e modus acquirendi e Abstraktionsprinzip, mentre il sistema<br />

italiano italiano è caratterizzato dal principio consensualistico e dal principio di causalità.<br />

Va inoltre rimarcato che la Leistungskondiktion, assumendosi il ruolo di contrappeso al<br />

principio dell’astrattezza delle attribuzioni patrimoniali (v. quanto detto alla nota 14), « riassume<br />

in sé sostanzialmente tutte le antiche condictiones» (Nicolussi, ult. op. cit., p. 293),<br />

mentre in Italia è ancora discusso se l’istituto di cui agli artt. 2033 ss. sia applicabile a tutte<br />

le ipotesi di caducazione del contratto (contra: Barcellona, Note critiche in tema di rapporti<br />

fra negozio e giusta causa dell’attribuzione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, I, p. 11; Argiroffi,<br />

Ripetizione di cosa determinata e acquisto « a domino » della proprietà, Milano, 1980,<br />

p. 167, secondo cui l’azione di ripetizione presuppone che il solvens abbia perduto la proprietà<br />

della cosa a vantaggio dell’accipiens, sicché essa non potrebbe conseguire alla caducazione<br />

del contratto; Bruni, Contributo allo studio dei rapporti tra azione di caducazione<br />

contrattuale e ripetizione dell’indebito, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, p. 173; Belfiore, Risoluzione<br />

per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Studi Auletta, vol. II, Milano, 1988,<br />

p. 243 ss., che in particolare evidenzia il contrasto della disciplina dell’indebito con la retroattività<br />

della risoluzione per inadempimento; Di Majo, Restituzioni e responsabilità nelle<br />

obbligazioni e nei contratti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, p. 291; Gallo, Obbligazioni<br />

restitutorie e teoria del saldo, in Studi in onore di Rescigno, vol. III, Diritto privato, t. 2, Obbligazioni<br />

e contratti, p. 385; Id., I rimedi restitutori in diritto comparato, in Tratt. dir. comp. diretto<br />

da Sacco, Torino, 1997, cap. VIII, §§ pp. 5-7; Id., Arricchimento senza causa e quasi contratti<br />

(i rimedi restitutori), Torino, 1996, cap. IV, § 17; Leone, Delle restituzioni ex negotio e<br />

delle restituzioni ex indebito, in Giur. compl. Cass. civ., 1953, IV, p. 215; Stolfi, Teoria del negozio<br />

giuridico, Padova, 1961, p. 70, secondo cui non vi sarebbe indebito ex art. 2033 c.c. nei<br />

casi in cui le parti furono in rapporto tra loro. Sono invece contrari all’applicazione di un regime<br />

speciale e favorevoli a regolare le restituzioni contrattuali per mezzo del regime ordinario<br />

dell’indebito, seppure integrato da apposite norme: Breccia, Il pagamento dell’indebito,<br />

in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, vol. IX, Obbligazioni e contratti, t. 1, Torino, 1984,<br />

p. 777; Id, Indebito (ripetizione dell’), cit., § 2.2; Rescigno, Ripetizione dell’indebito, cit., p.<br />

1228; Moscati, Del pagamento dell’indebito. Artt. 2033-2040, in Comm. c.c. Scialoja-Branca,<br />

a cura di Galgano, sub artt. 2028-2042, Bologna-Roma, 1981, pp. 135, 151-155; Albanese, Il<br />

pagamento dell’indebito, Padova, 2004, p. 419 ss.; Id., L’indebito oggettivo nell’evoluzione giurisprudenziale,<br />

cit., p. 1369 ss. In merito, più specificamente, al problema delle interferenze<br />

delle obbligazioni restitutorie con il danno da risoluzione per inadempimento e alle differenze<br />

funzionali tra tutela restitutoria e tutela risarcitoria nella risoluzione, v. Luminoso,<br />

Obbligazioni restitutorie e risarcimento del danno nella risoluzione per inadempimento, in Riv.


SAGGI 935<br />

skondiktion all’arricchimento senza causa. Tutte le fattispecie, come appena<br />

visto, sono però unificate dalla sussunzione all’interno di un unico<br />

principio espresso nel § 812. Il fondamentale insegnamento di Savigny ( 37 ),<br />

il quale era partito dalla riunificazione delle varie condictiones romane per<br />

poi pervenire ad un principio generale, ed una volta delineato il principio<br />

aveva esaminato le singole condictiones, ha avuto dunque consacrazione<br />

nel BGB, che dapprima enuncia il principio generale che informa tutta la<br />

materia (§ 812) per poi definire partitamente le singole condictiones tradizionali,<br />

quali la condictio indebiti (§ 813-814), la condictio causa data, causa<br />

non secuta e ob causam finitam (§ 815), la condictio ob turpem vel injiustam<br />

causam (§ 817). (Il § 816, a sua volta, prevede espressamente che se un soggetto<br />

dispone senza autorizzazione del bene altrui è tenuto a restituire al<br />

titolare il corrispettivo ricevuto. Se si tratta di alienazione a titolo gratuito,<br />

invece, è il terzo acquirente ad essere tenuto alla restituzione, ma nei limiti<br />

del proprio arricchimento. Quest’ultima norma si caratterizza, all’interno<br />

della disciplina dei §§ 812-818 BGB (la quale di norma impone la restituzione<br />

nei limiti del valore dell’arricchimento), perché obbliga l’arricchito<br />

alla restituzione dell’intero profitto conseguito dall’alienazione del<br />

bene altrui, anche qualora detto profitto fosse superiore al suo valore di<br />

mercato) ( 38 ).<br />

giur. sarda, 1997, p. 19 ss. Anche in Francia vige, come in Italia, un modello tendenzialmente<br />

unitario della condictio, sebbene debbano registrarsi recenti tendenze dottrinarie<br />

verso una diversificazione: cfr. Guelfucci-Thibierge, Nullité, restitutions et responsabilité,<br />

Paris, 1992; P. Malaurie-Aynes, Droit civil. Les obligations, Paris, 1985; M. Malaurie, Les<br />

restitutions en droit civil, Paris, Cujas, 1991).<br />

( 37 ) Savigny, System del heutigen römischen Rechts, V, Torino (trad. it. di V. Scialoja),<br />

1986-1989, p. 507.<br />

( 38 ) Secondo Nicolussi, La lesione del potere di disposizione e l’arricchimento, Milano,<br />

1998, p. 86 ss. .; Id., Arricchimento senza causa e Bereicherungsrecht, cit., p. 306, anche nel diritto<br />

italiano sarebbe rinvenibile un’ipotesi di arricchimento analoga a quella prevista dal §<br />

816 BGB, ricavabile tuttavia, principalmente, dalla disciplina dell’indebito, ed in particolare<br />

dall’art. 2038 c.c. L’autore (La lesione del potere di disposizione e l’arricchimento, cit., p. 11, p.<br />

15), nell’analizzare il danno prodotto dall’ingerenza altrui sulla cosa, distingue dalle ipotesi<br />

di distruzione e di godimento della cosa ad opera di un terzo, quella dell’acquisto a non domino<br />

della cosa da parte di un terzo di buona fede; a differenza delle prime due ipotesi, nelle<br />

quali sarebbero ravvisabili gli estremi della responsabilità civile, la terza sarebbe una vera<br />

e propria ipotesi di arricchimento senza causa. Infatti, qui, « non viene in evidenza una<br />

condotta violatrice di un diritto di altri, come nel caso del danneggiamento, ma la correlazione<br />

fra il pregiudizio subito dal proprietario, quale riflesso dell’effetto della fattispecie acquisitiva,<br />

e l’arricchimento che il dante causa, il quale ha fornito il titolo d’acquisto al terzo<br />

acquirente di buona fede, trae in conseguenza di tale effetto ».<br />

Il tema non può essere affrontato in questa sede: basti qui ricordare che gli atti di di-


936 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

La successiva evoluzione della materia non depone però a favore della<br />

tesi che vorrebbe ricondurre, anche in Italia, la ripetizione di indebito<br />

all’interno del divieto degli arricchimenti ingiustificati. In realtà, il diritto<br />

vivente tedesco si è subito discostato dalla linea del codice. Fu proprio la<br />

ricerca degli elementi costitutivi della fattispecie generale ad originare l’esigenza<br />

di isolare alcune singole ipotesi (come quella dell’indebita invasione<br />

dell’altrui sfera patrimoniale) non interamente riconducibili alla<br />

previsione del par. 812, comma 1°, BGB.<br />

Infatti, « la concezione “unitaria” fu definitivamente messa in crisi, allorché<br />

si pose l’accento (W. Wilburg, E. von Caemmerer) sulla diversità<br />

delle funzioni assolte, rispettivamente, dall’azione di ripetizione della<br />

prestazione indebita (Leistungkondiktion) e dalle altre forme di restituzione<br />

non riconducibili ad un rapporto obbligatorio – invalido, già estinto<br />

o semplicemente presunto che sia – (Nichtleistungs kondiktionen) rispetto<br />

all’azione contro le immissioni nella altrui sfera (Eingriffskondition)»<br />

( 39 ).<br />

Attraverso l’opera di numerosi studiosi ( 40 ), ed in particolare grazie alla<br />

classificazione tracciata da v. Caemmerer, la scuola giuridica germanica<br />

configurò dunque un sistema imperniato sulla distinzione tra pagamento<br />

dell’indebito e arricchimento senza causa, e sulla ramificazione di dette<br />

categorie in varie sottospecie, facendo sì che dal principio generale che Savigny<br />

aveva tratto dalla sintesi delle varie condictiones ed accolto poi dal<br />

codice si tornasse all’enunciazione delle singole figure tipiche.<br />

Lo stesso argomento addotto dai sostenitori della riconduzione dell’indebito<br />

al divieto di arricchimento senza causa, finisce pertanto con il<br />

sposizione del bene altrui, differentemente che nel codice tedesco, non trovano espressa<br />

disciplina nel nostro codice. La nostra letteratura giuridica è però nel senso che, se l’alienante<br />

è in mala fede, egli è soggetto alla responsabilità aquiliana (arg. a contrario ex artt.<br />

535 e 1776 c.c.), mentre se è in buona fede occorre distinguere: se l’alienazione è stata effettuata<br />

a titolo oneroso, l’alienante dovrà restituire il corrispettivo conseguito (arg. ex artt.<br />

535 e 1776 c.c.); se l’alienazione è avvenuta a titolo gratuito, dall’art. 2038 c.c. si desume che<br />

il donatario è tenuto ad indennizzare il proprietario nei limiti del suo arricchimento. Non<br />

deve peraltro escludersi che l’impoverito, in tal caso, possa esercitare l’azione anche nei<br />

confronti del donante di buona fede, dal momento che anch’esso risulta essersi arricchito<br />

dall’aver risparmiato una spesa.<br />

( 39 ) Schlechtriem, Osservazioni sulla disciplina dell’arricchimento senza causa nel diritto<br />

tedesco, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 357.<br />

( 40 ) Cfr. Schultz, System der Rechte auf dem Eingriffserwerb, 105, AcP, 1909, p. 1; Wilburg,<br />

Die Lehre von der ungerechtfertigten Bereicherubg nach österreicischen und deutschen<br />

Recht, Graz, 1934; Kötter, Zur Rechtsnatur der Leistungkondiktion, 152, AcP, 1954, p. 193;<br />

Von Caemmerer, Bereicherung und unerlaubte Handlung, in FS Rabel, 1954, p. 333.


SAGGI 937<br />

ritorcersi loro contro ( 41 ): persino nei sistemi in cui il dato testuale avalla<br />

quella interpretazione, si è sentita l’esigenza di una netta distinzione tra<br />

indebito e arricchimento ( 42 ).<br />

4. – È noto che il nostro sistema giuridico privilegia, in linea generale,<br />

la restituzione in natura, mentre la restituzione per equivalente monetario,<br />

sempre in linea generale, è consentita solo in via residuale, quando la<br />

restituzione abbia ad oggetto prestazioni di fare o quando non sia più possibile<br />

la restituzione in natura. Nei sistemi di Common law, al contrario, la<br />

regola è la restituzione per equivalente anche quando si tratta di prestazioni<br />

di dare (quantum valebat); tuttavia non si manca di considerare che,<br />

in alcune ipotesi, l’attore può avere un interesse prevalente al recupero<br />

della cosa: la restituzione per equivalente avviene, infatti, nel caso di beni<br />

unici o di particolare valore o pregio artistico ( 43 ).<br />

Nonostante questa basilare differenza, anche con riguardo alle restitutions<br />

è tuttavia possibile recuperare rilevanti elementi di contaminazione.<br />

L’organizzazione e la semplificazione dei rimedi restitutori sono state<br />

particolarmente complesse anche nei sistemi giuridici che hanno voluto<br />

farsene carico: in Inghilterra e Stati Uniti, infatti, dove la restituzione è<br />

oggi ritenuta un’area né più piccola né più limitata dei contracts, torts o<br />

trusts, per lungo tempo le fattispecie restitutorie, ancora acerbe, erano state<br />

disperse e dissolte all’interno di altri soggetti, o catalogate sotto spoglie<br />

ambigue che non ne coglievano la reale essenza: quasi-contract, money<br />

had and received, subrogation, constructive trust, ecc.<br />

In un primo momento si è fatto capo, per tutelare l’impoverito e re-<br />

( 41 ) E ciò sebbene si sia nuovamente sentita da parte di alcuni la necessità di ricondurre<br />

le singole ipotesi al medesimo criterio ispiratore per ricomporle all’interno di un sistema<br />

unitario in virtù della previsione normativa del principio generale: recentemente, infatti, a<br />

dimostrazione della complessità della questione, la dottrina tedesca sembra essere parzialmente<br />

ritornata sui suoi passi, essendo rintracciabili « nuove tendenze “unitarie”, consapevolmente<br />

ispirate all’orientamento dominante nel 19° secolo ed all’insegnamento di Savigny<br />

» (Schlechtriem, op. cit., p. 357 ss.). Queste tendenze si risolvono nella rinnovata centralità<br />

di cui il par. 812, comma 1°, BGB starebbe riappropriandosi nella configurazione dell’istituto<br />

dell’arricchimento ingiustificato; il principio generale, pertanto, tornerebbe, in antitesi<br />

alla descritta soluzione di v. Caemmerer, ad assolvere un ruolo fondamentale quale<br />

comune denominatore di tutte le singole ipotesi in cui è configurabile un’azione di ripetizione.<br />

( 42 ) Così concludono Di Paola-Pardolesi, voce Arricchimento. I) azione di arricchimento<br />

– dir. civ., in Enc. giur., vol. II, Roma, 1988, § 1.3.<br />

( 43 ) Sul punto, Gallo, Ripetizione dell’indebito. L’arricchimento che deriva da una prestazione<br />

altrui, in Digesto, disc. priv., sez. civ., vol. XVIII, 4 a ed., Torino, 1998, § 3.


938 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

primere i fenomeni di arricchimento senza causa, alle comuni azioni contrattuali,<br />

come l’action in debt, che oltre a far conseguire il pagamento di<br />

somme di denaro mira anche alla restituzione se vi è stata una failure of<br />

consideration nel contratto.<br />

In seguito ci si è serviti della action of assumpsit, quale azione generale<br />

basata sulla finzione che vi era stata una promessa di pagare il debito<br />

(indebitatus assumpsit, termine che sottintendeva: « quale debitore, confermo<br />

di dovere una somma di denaro »). Questa azione cominciò gradualmente<br />

ad essere preferita, grazie all’alleggerimento dell’onere probatorio<br />

che comportava ( 44 ), a quella di debt a partire dallo Slade’s Case, del<br />

1602, nel quale fu per la prima volta sancito che l’assumpsit, ossia la conferma<br />

del debito, poteva semplicemente presumersi in tutti i casi di debito<br />

nascente da compravendita ( 45 ).<br />

La formula più nota di assumpsit era quella mirante alla restituzione<br />

di «money had and received ». L’azione money had and received può essere<br />

considerata l’equivalente della nostra azione di ripetizione dell’indebito,<br />

sebbene essa consenta di ripetere esclusivamente pagamenti indebiti<br />

aventi ad oggetto somme di denaro (per il recupero delle quali, prima<br />

dell’introduzione di questo rimedio, non v’era alcuna possibilità). L’espressione<br />

«money had and received » non è altro che la corrente abbreviazione<br />

del nome originario dell’azione: «money had and received for the<br />

use of the owner ». Si presumeva, infatti, che il convenuto, una volta avuto<br />

il denaro a causa di un errore del solvens, si fosse tacitamente impegnato<br />

a restituire a quest’ultimo quanto ricevuto indebitamente, o meglio:<br />

a destinare quei soldi esclusivamente nell’interesse dell’attore (for<br />

the use of the owner).<br />

Per la ripetizione di ogni altra prestazione occorreva fare riferimento,<br />

invece, ai rimedi quantum valebat (prestazioni di dare) e quantum meruit<br />

(prestazioni di fare).<br />

Solo nel 1760, grazie al dictum con cui Lord Mansfield decise il caso<br />

Moses v. Macferlan ( 46 ), fu finalmente possibile superare l’inverosimile<br />

( 44 ) All’attore, infatti, era sufficiente dimostrare l’esistenza del debito, dalla quale originava<br />

la presunzione legale che il convenuto avesse promesso di estinguere quel debito (anche<br />

se, in effetti, il convenuto non aveva promesso alcunché).<br />

( 45 ) Slade’s Case (1602) 4 Co. Rep. 91°, 67 E.R. 1072.<br />

( 46 ) Moses v. Macferlan (1760) 2 Burr., p. 1005; 97 English Reports, p. 676. Mr. Moses aveva<br />

pagato una somma di denaro in esecuzione di una sentenza, passata in giudicato, ma risultata<br />

poi errata sulla scorta di elementi di fatto sopravvenuti. Dare riparazione all’attore,<br />

in quell’epoca, sarebbe stato astrattamente possibile solo con l’azione money had and received;<br />

ma come si poteva, in questa particolare fattispecie, appellarsi alla promessa fittizia e


SAGGI 939<br />

spiegazione fondata su impegni taciti, riconducendo per la prima volta<br />

l’obbligazione restitutoria alla natural justice: « If the defendant be under an<br />

obligation, from the ties of natural justice, to refund; the law implies a debt,<br />

and gives this action, founded in the equity of the plaintiff’s case, as it were<br />

upon a contract ».<br />

Questo principio, oggi segnalato come « il passaggio che formalizzò il<br />

collegamento tra indebitatus assumpsit ed arricchimento » ( 47 ), rimase tuttavia<br />

isolato sin quasi alla metà del ’900, quando venne riesumato, nel<br />

1943, da Lord Wright nel caso Fibrosa Spolka Akcyjna v. Fairbairn Lawson<br />

Combe Barbour Ltd, ove fu chiaramente espresso, per la prima volta, il divieto<br />

di arricchirsi senza causa a spese altrui, e vennero sparsi, così, i primi<br />

semi dai quali sarebbero germogliate le tendenze unitarie di ricostruzione<br />

delle ipotesi restitutorie ( 48 ).<br />

Lo sforzo teso alla riconduzione di tutte le restituzioni al divieto di arricchimento<br />

ingiustificato, ha posto ovviamente l’interprete di common<br />

law innanzi ad un compito nuovo e non meno gravoso, consistente, essenzialmente,<br />

nel perfezionamento delle circostanze che rendono il profitto<br />

ingiusto, nel reperimento della tipologia degli «unjust factors » ( 49 ).<br />

Con l’evoluzione giurisprudenziale inglese va di pari passo quella della<br />

dottrina: la letteratura giuridica di common law aveva sempre studiato i<br />

rimedi restitutori frammentandoli in una vastissima casistica non riconducibile<br />

ad un unico principio. Nella seconda metà del secolo scorso,<br />

però, un’opera fondamentale nel diritto inglese introdusse una ricostruzione<br />

unitaria dei rimedi restitutori, i quali troverebbero ricomposizione<br />

attorno al principio secondo cui « ogni vantaggio, conseguito a spese di al-<br />

sostenere che chi aveva ricevuto il denaro lo aveva fatto con l’implicita intenzione di restituirlo?<br />

( 47 ) Giglio, Esiste un « Law of unjust enrichment » nel diritto inglese?, in questa rivista,<br />

2000, p. 153.<br />

( 48 ) Fibrosa Spolka Akcyjna v. Fairbairn Lawson Combe Barbour Ltd, in Appeal Cases,<br />

1943, p. 32. Il divieto di arricchimento ingiustificato fu poi nuovamente espresso dalla House<br />

of Lords, con ben maggior nettezza, nel 1991, in Lipkin Gorman v. Karpnale, in Appeal Cases,<br />

1991, p. 548: a partire da questa pronuncia, law of unjust enrichment diventa « un’espressione<br />

tecnica che definisce un istituto non più generale ed astratto, come nel caso di Fibrosa,<br />

ma concreto e producente effetti immediati di diritto » (Giglio, op. cit., p. 159).<br />

( 49 ) Uno dei maggiori esperti della materia ha recentemente identificato undici ipotesi<br />

di fattori che possono essere definiti ingiusti: mistake, ignorance, duress, exploitation, legal<br />

compulsion, necessity, failure of consideration, incapacity, illegality, ultra vires and retention of<br />

property belonging to another (Burrows, The Law of restitution, London, 1993, passim. Sull’argomento,<br />

cfr. anche Birks-Chambers, The Restitution Research Resource, Oxford, 1997,<br />

p. 3).


940 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

tri, va restituito ». Ciò equivale a dire, appunto, che le singole azioni si richiamerebbero<br />

tutte all’unjust enrichment ( 50 ).<br />

Ancora più esplicito, in questa direzione, è il diritto statunitense, che<br />

nel § 1 del Restatement of the law of restitution del 1937 (ad opera dei Proff.<br />

Seavey e Scott) enuncia espressamente il principio di base che «a person,<br />

who has been unjustly enriched at the expense of another, is required to make<br />

restitution ».<br />

Queste tendenze unitarie non sembrano avere, tuttavia, seri risvolti<br />

concreti. Per comprendere appieno il fenomeno occorre riflettere sulla<br />

circostanza che negli anni in cui la tesi prese piede e si sviluppò (anni ’60<br />

e ’70) l’obiettivo principale degli studiosi delle restituzioni era quello di<br />

stabilire la stessa esistenza del divieto di arricchimenti ingiustificati e di legittimarlo<br />

come concetto legale autonomo, affinché esso iniziasse ad essere<br />

considerato seriamente. Era fondamentale dare alle restituzioni una<br />

struttura basata su basi solide e semplici.<br />

Dopo che questo primo traguardo fu raggiunto, negli anni ’80 e ’90 si<br />

è tentato di ridurre il livello di astrazione attraverso la formulazione degli<br />

elementi che formano la fattispecie ( 51 ).<br />

In queste due fasi, la riunificazione concettuale di tutti i rimedi restitutori<br />

e di tutte le situazioni possibili attorno all’unico principio dell’unjust<br />

enrichment è stata di grande utilità ed è sembrata la strada più facilmente<br />

percorribile al fine di organizzare e spiegare il fenomeno restitutorio.<br />

In questi ultimi anni, superate quelle originarie difficoltà, e accantonata<br />

la necessità di pervenire ad un riconoscimento della law of restitution,<br />

sono stati in molti a porre in luce che la correlazione tra restituzioni<br />

e arricchimento ingiustificato non è quella che si era inizialmente supposta<br />

( 52 ). Si tende così a sottolineare la multi-causalità dell’obbligazione<br />

( 50 ) Si tratta dell’opera di Goff-Jones, The law of restitution, cit., pietra miliare nel campo<br />

dei rimedi restitutori di common law, la cui impostazione ha fatto numerosi proseliti nella<br />

dottrina di lingua inglese (si noti che uno dei due autori, Lord Goff of Chieveley, fu anche<br />

uno dei giudici della House of Lords che decise sul caso Lipkin Gorman). Ulteriore fondamentale<br />

contributo nella fondazione di una teoria dell’arricchimento senza causa è quello<br />

di Birks, An introduction to the Law of restitution, Oxford, 1985. Cfr. inoltre Dawson,<br />

Unjust enrichment, Boston, 1951; Klippert, Unjust enrichment, Toronto, 1983.<br />

( 51 ) Essi sono: a) an enrichment of the defendant; b) which is at the expense of the plaintiff;<br />

c) wich enrichment is unjust.<br />

( 52 ) V. ad esempio Virgo, The principles of the law of restitutions, Oxford, 1999, prefazione<br />

e p. 6 ss. (a p. 7 l’autore afferma apertamente che l’interpretazione tradizionale è troppo<br />

semplicistica e non riflette con precisione la realtà del fenomeno restitutorio); Hedley,<br />

Unjust enrichment, 1995, CLJ, p. 578; Id., Unjust enrichment as the Basis of Restitution – An<br />

Overworked Cocept, 1985, 5 LS, p. 56; Dietrich, Restitution: A New perspective, Sidney, 1998;


SAGGI 941<br />

restitutoria, di cui l’arricchimento ingiusto può essere un importante, ma<br />

non l’unico, evento causativo.<br />

Unjust enrichment e restitution, pertanto, non sono sinonimi. A conti<br />

fatti, il principio dell’arricchimento senza causa non è riuscito a chiarire i<br />

confini delle obbligazioni restitutorie ( 53 ).<br />

Va infine rilevato, che caratteristica dei sistemi di common law è la separazione<br />

tra gli arricchimenti dovuti all’iniziativa dell’impoverito (from or<br />

by the act of the plantiff) e quelli conseguiti per effetto della stessa attività<br />

dell’arricchito (by his own wrongful conduct). Ma a ben vedere già la formulazione<br />

di codici “storici” sottintendeva una simile bipartizione: si<br />

pensi al principio codificato nel codice prussiano (Allgemeines Landrecht,<br />

par. 13) (ed in quello austriaco: § 1041 ABGB): « Chiunque ha utilizzato o<br />

messo a profitto utilità spettanti ad altri è tenuto ad indennizzare il soggetto<br />

impoverito ». Si è già detto, inoltre, del § 812 BGB e della separazione<br />

tra Leistungskondiktion e Eingriffskondiktion del diritto tedesco.<br />

Ecco, dunque, un esempio davvero notevole di circolazione di modelli<br />

e di primordiale globalizzazione del diritto europeo: una soluzione che<br />

è partita dal sistema germanico, ha attraversato quello inglese ed ha concluso<br />

il suo tragitto in quello italiano ove è ormai di comune dominio<br />

presso i nostri studiosi più recenti.<br />

Ad ogni modo, è quindi al sistema anglo-tedesco che siamo tributari<br />

della constatazione, dell’operatività dell’arricchimento ingiustificato in<br />

due tipologie di fattispecie a seconda che il soggetto alla cui attività è ricondotto<br />

lo spostamento patrimoniale sia l’arricchito ovvero lo stesso depauperato<br />

( 54 ).<br />

5. – Le peculiarità del sistema italiano depongono tutte a sfavore di<br />

una concezione unitaria. A parte l’elemento, già menzionato, della collo-<br />

Jackman, Varieties of restitution, Sidney, 1998. Lo stesso Birks, An introduction to the Law of<br />

restitution, Oxford, 1985, p. 18, che aveva inizialmente proclamato che tra restitution e unjust<br />

enrichment vi è una «perfect quadration » (e v. anche McInnes, Restitution, Unjust Enrichment<br />

and the Perfect Quadration Thesis, 1999, RLR, p. 118), ha dovuto in seguito riconoscere<br />

l’erroneità di quella impostazione: Birks, Property and Unjust Enrichment: Categorical<br />

Truths, 1997, NZ LAW Rev, p. 623; Id., The Law of Unjust Enrichment: A Millennial resolution,<br />

1999, Singapore JLS, p. 318 ss.<br />

( 53 ) Cfr. Grantham-Rickett, Enrichment and Restitutions in New Zeland, Oxford-Portland<br />

Oregon, 2000, passim (gli autori propongono la sostituzione al concetto di unjust enrichment<br />

di quello di «restorable enrichment »), nonché, ivi, la prefazione a cura di Goff.<br />

( 54 ) La distinzione risale a Ennecerus-Lehmann, Recht der Schuldverhaltnisse, 15 a ed.,<br />

Tübingen, 1958, II, 2, § 222.


942 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

cazione dell’art. 2041 c.c., alla ricostruzione unitaria di indebito e arricchimento<br />

deve obiettarsi che la legge detta per essi due regolamentazioni diverse.<br />

Innanzitutto, solo l’azione di arricchimento ha carattere sussidiario.<br />

Inoltre, oggetto della obbligazione restitutoria ex art. 2041 c.c. è il versamento<br />

di un indennizzo, che soltanto nell’ipotesi di restituzione di cosa<br />

determinata (art. 2041, comma 2°, c.c.) coincide con quanto indebitamente<br />

ricevuto; al contrario, la disciplina dell’indebito privilegia la restituzione<br />

in natura della eadem res o del tantundem, e solo quando questa non è<br />

possibile fa riferimento al valore della prestazione effettuata.<br />

Ancora, e soprattutto, la disciplina dell’azione di ripetizione prescinde,<br />

di massima, da ogni valutazione dell’arricchimento effettivamente<br />

conseguito dal convenuto ( 55 ) e pertanto non si preoccupa di operare quel<br />

dosaggio in concreto tra reciproci pregiudizi e vantaggi patrimoniali caratterizzante<br />

invece la materia dell’arricchimento. Nell’indebito, la circostanza<br />

che lo spostamento patrimoniale privo di causa abbia effettivamente<br />

incrementato il patrimonio dell’accipiens, è considerata unicamente nel<br />

caso in cui questo sia un incapace (art. 2039 c.c.).<br />

Infine, nella disciplina dell’arricchimento non è dato rilievo allo stato<br />

soggettivo dell’arricchito; nella disciplina dell’indebito, al contrario, la<br />

buona e la mala fede dell’accipiens, sebbene irrilevanti ai fini del sorgere<br />

dell’obbligazione restitutoria, sono però decisivi ai fini della sua quantificazione.<br />

È pur vero che alla tentazione di ricostruzioni unitarie può indurre la<br />

fattispecie della restituzione di cosa determinata; è possibile, infatti, che<br />

l’oggetto dell’obbligazione restitutoria sia il medesimo sia che si agisca ex<br />

art. 2033 ss. c.c., sia che si agisca ex art. 2041 c.c.: sebbene l’indebito tenda<br />

a recuperare « la cosa » mentre l’actio de in rem verso tende al pagamento<br />

di un indennizzo, se il convenuto si è arricchito per l’acquisizione al suo<br />

patrimonio di un bene determinato, il petitum sarà sempre la restituzione<br />

di quel singolo bene (giacché il 2° comma dell’art. 2041 c.c. prevede la restituzione<br />

della cosa quando l’arricchimento abbia per oggetto una cosa<br />

determinata). La circostanza è però puramente casuale, e si spiega col fatto<br />

che in quest’ipotesi vi è una coincidenza tra arricchimento e impoverimento<br />

da un lato, e la cosa dall’altro.<br />

( 55 ) Di conseguenza non ha neanche rilievo in materia di indebito il successivo venir<br />

meno dell’arricchimento nel patrimonio dell’accipiens: non vige quindi il principio non est<br />

versum si non durat che secondo l’opinione tradizionale sarebbe congenito all’actio de in<br />

rem verso.


SAGGI 943<br />

Che l’oggetto dei due rimedi sia differente anche nel caso di restituzione<br />

di cosa determinata emerge chiaramente da una recente decisione<br />

della Suprema Corte in materia di arricchimento senza causa, la quale ha<br />

chiarito che nell’ipotesi disciplinata dal comma 2° dell’art. 2041 c.c. « qualora<br />

la restituzione della cosa stessa non esaurisca l’arricchimento e la correlativa<br />

diminuzione patrimoniale previsti dalla norma contenuta nel<br />

comma 1°, è dovuto, per la parte residua, l’indennizzo previsto da quest’ultima<br />

norma » ( 56 ).<br />

Una volta riconosciuta la distinzione tra le varie azioni restitutorie, occorre<br />

prendere atto che se da un lato è utile riunirle attorno ad un unico<br />

comune denominatore, dall’altro lato questo deve essere riconosciuto in<br />

qualcosa di più ampio del divieto generale di arricchimenti senza causa.<br />

Quel che è certo, è che alla ratio specifica del diritto delle restituzioni si<br />

sovrappone una ratio di base che risiede nell’art. 1173 c.c.: le obbligazioni<br />

devono essere tenute sotto controllo dal diritto; il sistema delle fonti è sì<br />

atipico, ma al suo interno la legge controlla anche tutto ciò che non nasce<br />

dal contratto o dal fatto illecito. Il riferimento al divieto generale, invece,<br />

può essere accolto in termini puramente descrittivi e purché sia rivolto, al<br />

più, al principio, giammai all’azione di arricchimento.<br />

Essenziale alla comprensione dell’istituto è, infatti, lo studio del rapporto<br />

tra azione e principio ( 57 ), che è tuttavia caratterizzato da un’ambivalenza:<br />

l’art. 2041 c.c. si presenta come una fattispecie aperta, così connotandosi<br />

come clausola generale, e come una fattispecie analitica, alla<br />

quale sono comunemente ricondotte le singole figure restitutorie presenti<br />

allo stato diffuso nell’ordinamento. La valenza quale fattispecie aperta<br />

rappresenta l’essenza dell’istituto; la portata di fattispecie analitica, invece,<br />

impinge sulla verifica attinente alla riconduzione dei rimedi restitutori<br />

tipici alla clausola generale, e rischia di trasformare l’art. 2041 c.c. in una<br />

mera norma riassuntiva di ipotesi già previste, elidendo il suo carattere di<br />

clausola generale e riducendo al minimo la portata pratica dell’azione; la<br />

quale, in concreto, assume rilievo non marginale solamente nell’ambito<br />

dei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione, ove maggiormente significativa<br />

è stata la creatività giurisprudenziale ( 58 ).<br />

( 56 ) Cass., 30 maggio 2000, n. 7194, in Foro it., 2001, I, c. 570.<br />

( 57 ) Cfr. Albanese, Arricchimento senza causa: azione e principio, in Studium iuris, 2006,<br />

in corso di pubblicazione.<br />

( 58 ) Cfr. Viola, L’arricchimento senza causa della Pubblica Amministrazione, Padova<br />

2002; Tomei, L’ingiustificato arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione. Tra<br />

conferma della tradizione e critica del privilegio, Torino 2000. Basti qui ricordare che, in que-


944 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Per elevare l’art. 2041 c.c. a criterio interpretativo di tutte le singole<br />

ipotesi di obbligazioni restitutorie, tuttavia, è poco utile invocare una mera<br />

affinità fenomenologica; dovendosi al contrario « portare alla luce una<br />

autentica identità di ratio» ( 59 ) che, a ben vedere, manca sia rispetto alle<br />

singole azioni restitutorie reperibili a livello diffuso nel sistema, sia riguardo<br />

alla condictio ed alla gestione di affari:<br />

a) quanto al primo punto, le singole norme ( 60 ) dettate in materia di<br />

spese erogate a vantaggio del bene altrui (miglioramenti, addizioni, riparazioni,<br />

ecc.) non possono essere unitariamente ricondotte all’interno del<br />

principio dell’arricchimento ingiustificato, il quale sembra lambire soltanto<br />

una materia regolata sul presupposto di altre valutazioni, di natura prevalentemente<br />

economica: il ristoro concesso a chi esegua le spese è sempre<br />

filtrato attraverso la valutazione legislativa della singola attività in relazione<br />

al singolo bene, conseguendone una disciplina strettamente legata<br />

a quegli elementi, sulla cui base si vaglia dapprima l’utilità sociale a che<br />

il soggetto che gode della cosa altrui sia stimolato a compiere l’attività, e si<br />

gradua poi l’intensità della tutela del suo interesse individuale a non subirne<br />

integralmente il costo; sicché le singole azioni non sono predisposte<br />

alla sola tutela dei soggetti interessati, in un’ottica di riequilibrio economico<br />

delle loro posizioni e di riparazione dell’integrità della posizione attorea,<br />

ma hanno un loro specifico scopo di indirizzo funzionale: la tutela<br />

delle attività idonee all’accrescimento dell’efficienza dei beni produttivi.<br />

Ma anche l’analisi delle azioni restitutorie tipiche in materia di accessione,<br />

unione, commistione, specificazione ed avulsione, conduce ad analoghi<br />

risultati: gli studi moderni, proprio con riferimento a quella disposizione,<br />

l’art. 936 c.c., che era stata fatta assurgere a norma chiave del principio generale,<br />

concedono al collegamento con l’art. 2041 c.c. niente più che questo:<br />

si tratta di un richiamo «corretto ma generico, sia per il carattere sussidiario<br />

esplicitamente attribuito a tale azione, sia perché essa non esclude<br />

comunque una specifica disciplina su singoli punti » ( 61 ).<br />

b) Quanto al secondo aspetto, è chiara l’emersione di due veri e propri<br />

sta fattispecie, ai cinque elementi essenziali dell’azione la giurisprudenza aggiunge un sesto<br />

elemento: il riconoscimento, da parte dell’amministrazione, dell’utilità dell’opera ricevuta:<br />

Cass., 20 ottobre 2005, n. 21079, in Obbligazioni e Contratti, 2005, p. 292 s. Cass., 11 maggio<br />

2005, n. 9919.<br />

( 59 ) Di Paola-Pardolesi, op. cit., § 1.2.<br />

( 60 ) Cfr. Albanese, I miglioramenti nel codice civile, in Contr. e impr., 2003, p. 910.<br />

( 61 ) Paradiso, L’accessione al suolo. Artt. 934-938, ne Il codice civile. Commentario fondato<br />

da Schlesinger, Milano 1994, p. 223.


SAGGI 945<br />

“modelli” fondamentali distinti all’interno del diritto delle restituzioni:<br />

mentre l’idea di fondo dell’arricchimento senza causa è che occorre impedire<br />

che taluno si arricchisca ingiustificatamente a spese altrui (sicché l’obbligo<br />

restitutorio incontra il limite dell’arricchimento), il principio ispiratore<br />

dell’indebito consiste nell’esigenza che ogni spostamento patrimoniale,<br />

indipendentemente da qualsiasi impoverimento/arricchimento esso<br />

produca, abbia una propria causa meritevole di tutela.<br />

Ancora più convincente è la divaricazione tra divieto di arricchimento<br />

e gestione di affari altrui: il giudice adito con una domanda di indennizzo<br />

per indebito arricchimento non può accogliere la domanda a titolo di negotiorum<br />

gestio, poiché l’azione di arricchimento senza causa diverge da<br />

quest’ultima « sia per il petitum – costituito dall’indennizzo per la diminuzione<br />

patrimoniale subita – che per la causa petendi, ossia per i fatti giuridici<br />

posti a suo fondamento » ( 62 ).<br />

C’è però un dato, innegabile: le restituzioni italiane si caratterizzano<br />

per la loro complementarità. La conferma di questa complementarità è<br />

nella stessa commistione disciplinare tra i vari istituti, basti pensare al rapporto<br />

intercorrente tra concezione « reale » e concezione « patrimoniale »:<br />

la disciplina dell’indebito ( 63 ) è ispirata indubbiamente alla prima; tuttavia<br />

nell’attuale sistema della condictio le deroghe sono talmente importanti<br />

da fare pensare ad un’inversione di tendenza a vantaggio della seconda: si<br />

pensi all’art. 2037, comma 3°, c.c.; all’art. 2038, comma 1°, c.c.; all’art. 2039<br />

c.c. Sono tutte ipotesi nelle quali la restituzione non ha ad oggetto l’obiettivo<br />

valore economico della prestazione, ma l’incremento patrimoniale<br />

concretamente prodottosi a vantaggio del percipiente. Ma questo accade,<br />

a ben vedere, non perché la condictio tradisce la propria natura e funzione,<br />

ma perché sopravvengono circostanze che dal punto di vista sistematico<br />

sono esterne alla disciplina dell’indebito e rendono legislativamente<br />

utile la sovrapposizione di rimedi restitutori che, singolarmente<br />

considerati, avrebbero altra natura e funzione.<br />

Si prenda ad esempio l’art. 2037 c.c., relativo alla distruzione della res<br />

indebiti: la ripetizione dell’indebito vuole, di massima, il ripristino tra le<br />

parti del rapporto dell’originaria situazione patrimoniale; se la cosa è perita,<br />

ciò non è possibile. La restituzione è possibile solo per equivalente.<br />

Ma il criterio dell’aestimatio rei e quello dell’in rem verso vengono applica-<br />

( 62 ) Cass., 6 ottobre 1994, n. 8184, in Giust. civ. Mass. 1994, p. 1197.<br />

( 63 ) Su cui v., in particolare, Moscati, Concezione « reale » e concezione « patrimoniale »<br />

dell’arricchimento nel sistema degli artt. 2037- 2038 del c.c., in Studi in memoria di D. Pettiti,<br />

vol. II, 1973, p. 991 ss.


946 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ti dal legislatore in maniera dinamica: se la restituzione della cosa è divenuta<br />

impossibile, varranno i principi dell’indebito o quelli dell’arricchimento<br />

a seconda che l’accipiens sia, rispettivamente, di mala fede o di<br />

buona fede. Il risultato è la sovrapposizione dei due fondamentali modelli<br />

restitutori, giacché l’art. 2037 c.c. commisura l’obbligazione restitutoria<br />

all’oggettivo valore della cosa nel caso di mala fede dell’accipiens, ma impone<br />

il limite dell’arricchimento nel caso di buona fede.<br />

L’art. 2038 c.c., poi, per il caso di alienazione a terzi della res indebiti,<br />

contempla la facoltà del solvens, privo di altri strumenti protettivi, di agire<br />

con una vera e propria azione di arricchimento senza causa nei confronti<br />

del subacquirente: il terzo, tenuto verso il solvens nei limiti del proprio arricchimento,<br />

non succede nel lato passivo del rapporto obbligatorio, come<br />

dimostra il fatto che egli non subentra nella stessa posizione debitoria dell’accipiens<br />

indebiti.<br />

In altri casi, la commistione tra rimedi restitutori è tra indebito e azioni<br />

restitutorie speciali: si pensi all’art. 2040 c.c., che rinvia alla disciplina<br />

del possesso per quanto riguarda le spese e i miglioramenti effettuati dall’accipiens<br />

indebiti, e quindi, tra l’altro, al terzo comma dell’art. 1150 c.c.:<br />

in questa norma la misura del rimborso delle spese varia secondo gli stati<br />

soggettivi dell’accipiens, ed è quindi graduata secondo un principio che è<br />

estraneo a quello dell’arricchimento senza causa.<br />

La complementarità, emergente dall’esperienza concreta, è una conseguenza<br />

inevitabile delle stesse differenze concettuali tra i singoli rimedi:<br />

non solo per la ripetizione dell’indebito non occorre fornire la prova<br />

né dell’arricchimento ( 64 ) né dell’impoverimento ( 65 ), ma, soprattutto, il sistema<br />

giuridico predispone una reazione contro la locupletazione ingiusta,<br />

anche se ad essa fa da sfondo una valida causa solvendi, o, più in generale,<br />

una giustificazione formale, la quale se è idonea a dare una causa<br />

allo spostamento patrimoniale, non lo è a rendere giusto un arricchimento.<br />

Parimenti, è predisposta una reazione contro i trasferimenti di ricchezze<br />

privi di un’idonea giustificazione formale anche se le conseguenze economiche<br />

prodotte sono perfettamente giuste e volute dalle parti: come è<br />

nel caso del contratto nullo per un vizio di forma.<br />

L’arricchimento sussiste probabilmente nella maggior parte dei casi<br />

d’indebito; ma non può, da una mera rilevazione statistica, dedursi la<br />

coincidenza dogmatica tra percezione dell’indebito e conseguimento del<br />

( 64 ) Cfr. Cass., 9 febbraio 1987, n. 1334, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 2.<br />

( 65 ) Cfr. Cass., 23 gennaio 1987, n. 634, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 1.


SAGGI 947<br />

profitto. Sicuramente, peraltro, non vi è mai arricchimento in una specie<br />

di pagamento di indebito, quella, prevista dall’art. 2036 c.c., dell’indebito<br />

soggettivo ex latere solventis: qui infatti l’accipiens non si arricchisce (ingiustamente)<br />

di alcunché, poiché si limita a ricevere quanto gli spetta; né<br />

potrà in seguito risultare “arricchito”, dal momento che l’efficacia estintiva<br />

del pagamento effettuato dal solvens indebiti gli preclude la possibilità<br />

di ottenere il medesimo pagamento dal debitore effettivo ( 66 ).<br />

La complementarità, infine, non risulta soltanto dalla legge, ma anche<br />

dall’applicazione effettiva del diritto delle restituzioni da parte dei giudici:<br />

si pensi all’esempio della locazione di fatto, quando, successivamente all’esecuzione<br />

del rapporto, il contratto di locazione sia dichiarato nullo: la<br />

Cassazione nega a chi abbia fruito del godimento dell’immobile il diritto<br />

alla restituzione di quanto versato a titolo di corrispettivo ( 67 ). La disciplina<br />

dell’indebito imporrebbe qui la restituzione integrale delle somme riscosse<br />

dal locatore e la restituzione « del godimento » della controparte:<br />

ma la seconda restituzione è ovviamente impossibile, sicché soltanto la<br />

prima sarebbe per legge dovuta. E tuttavia, se il conduttore potesse ripetere<br />

le somme elargite, ne risulterebbe indubbiamente un ingiusto arricchimento<br />

in suo favore: ecco allora che la sovrapposizione dei due rimedi,<br />

e dunque la complementarità del principio dell’arricchimento rispetto a<br />

quello della ripetibilità delle prestazioni indebite, permette ai giudici di<br />

negare al conduttore la ripetizione.<br />

Il tema non può essere compiutamente affrontato in questa sede ( 68 ),<br />

ma la complementarità tra i diversi rimedi restitutori, potrebbe fornire<br />

l’effettiva spiegazione della natura sussidiaria dell’azione di arricchimento:<br />

la sussidiarietà, in questa prospettiva, andrebbe letta proprio con riguardo<br />

all’azione di ripetizione ed alle altre azioni restitutorie, di modo<br />

che il rimedio ex art. 2041 c.c. entri in gioco (o meglio: in sussidio) non<br />

soltanto nei rarissimi casi in cui non sussista astrattamente un altro rimedio,<br />

ma anche in quelli in cui l’esercizio dei detti rimedi restitutori non si<br />

sia dimostrato idoneo ad indennizzare l’attore del pregiudizio subito (se-<br />

( 66 ) Greco, Ripetizione d’indebito e pagamento di assegni circolari ammortizzati, in Riv.<br />

dir. comm., 1949, II, p. 34 (in nota a App. Bologna, 9 giugno 1948).<br />

( 67 ) Cass., 3 maggio 1991, n. 4849, in Arch. loc. cond., 1991, p. 504, e in Giur. it., 1991, I, c.<br />

1314, con nota di Chiodi; Cass., 6 maggio 1966, n. 1168, in Mass. Foro it., 1966, c. 408; Cass.,<br />

30 gennaio 1990, n. 368, in Giur. agr. it., 1990, I, p. 550; Cass., 23 maggio 1987, n. 4681, in Foro<br />

it., 1987, c. 2372.<br />

( 68 ) Cfr. Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, p.<br />

178 ss.


948 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

condo la formula dell’art. 2042 c.c.), permanendo ancora, in capo al convenuto,<br />

una porzione di profitto ingiustamente conseguito. L’istituto dell’indebito,<br />

proprio perché non tende al recupero di un arricchimento ingiusto,<br />

può in concreto risultare inidoneo alla restituzione del profitto.<br />

L’applicazione dell’art. 2042 c.c., dunque, va limitata agli arricchimenti<br />

dovuti all’iniziativa dell’impoverito, ed invece esclusa per gli arricchimenti<br />

ottenuti mediante fatto ingiusto. È erroneo, infatti, l’assunto dell’incompatibilità<br />

tra responsabilità risarcitoria e responsabilità restitutoria, le<br />

quali, oltre ad avere diverso contenuto, si pongono su due piani diversi,<br />

sicché non ha senso parlare di sussidiarietà della seconda in rapporto alla<br />

prima. La protezione offerta all’impoverito dall’azione aquiliana ha natura<br />

differente rispetto a quanto egli chiede, con l’azione di arricchimento, nel<br />

caso di illegittima ingerenza nella propria sfera giuridica: mentre in questo<br />

caso egli pretende che gli sia riversato il profitto costruito sullo sfruttamento<br />

delle sue ricchezze, agendo con l’azione delittuale domanderebbe<br />

la riparazione del danno subito; sicché quest’azione è inidonea a far ottenere<br />

all’attore quanto da lui reclamato con l’actio de in rem verso: la restituzione<br />

del profitto slegata dalla misura del danno. Ne consegue che non<br />

v’è ragione di negare il cumulo tra i due rimedi: ciò che non copre la riparazione<br />

del danno sarà coperto dalla restituzione del profitto ( 69 ).<br />

In questi termini, appunto, l’art. 2042 c.c. ha senso solamente se applicato<br />

con riferimento alle azioni dirette ad ottenere quello stesso indennizzo<br />

( 70 ) cui dà luogo l’azione di arricchimento applicata ad una spe-<br />

( 69 ) Castronovo, La nuova responsabilità civile, 3° ed., Milano, 2006, p. 649 ss., adotta<br />

la lesione della proprietà intellettuale come terreno di verifica dei rapporti tra responsabilità<br />

civile e arricchimento ingiustificato: dopo aver scartato sia la soluzione che ascrive alla responsabilità<br />

civile l’arricchimento, sia la tesi del concorso alternativo, con riguardo alla soluzione<br />

del cumulo, invece, afferma che questa terza via « non sembra presente nel dibattito<br />

attuale ». Mi permetto però di segnalare, oltre che le autorevoli pagine dell’a. citato (illuminanti<br />

già in La violazione della proprietà come lesione del potere di disposizione. Dal danno<br />

all’arricchimento, in Dir. ind., 2003, p. 7), i tentativi ricostruttivi da me svolti nei saggi La<br />

lesione del diritto all’immagine (e degli altri diritti della personalità): una alternativa alla tecnica<br />

risarcitoria del « prezzo del consenso » (in Responsabilità, comunicazione e impresa, 2002,<br />

p. 547), e Fatto illecito, fatto ingiusto e restituzione dell’arricchimento in assenza di danno (in<br />

Resp. civ. e prev., 2004, p. 538), nonché, più ampiamente, nella monografia Ingiustizia del<br />

profitto e arricchimento senza causa, cit., pp. 353-453.<br />

( 70 ) Questa soluzione era stata additata dalla Suprema Corte in una decisione rimasta<br />

però isolata (Cass., 13 dicembre 1969, n. 3941): « l’art. 2042 c.c. allorquando stabilisce che<br />

l’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato possa esperire altra azione<br />

per farsi indennizzare del pregiudizio subito, fa riferimento ad altra azione che abbia per<br />

oggetto direttamente tale indennizzo (ad es. nei casi dell’art. 1185 cpv. c.c.) ».


SAGGI 949<br />

cifica categoria di arricchimenti: quelli avvenuti in assenza di ingerenza<br />

abusiva.<br />

6. – Anche con riguardo alla struttura dell’azione generale di arricchimento,<br />

il modello che va sempre più imponendosi a livello internazionale<br />

è quello dei sistemi di common law ( 71 ) e della Germania, che a differenza<br />

del modello franco-italiano, il quale richiede la contemporanea presenza<br />

di cinque requisiti per agire in arricchimento (arricchimento, danno, correlazione<br />

tra arricchimento e danno, mancanza di giusta causa, sussidiarietà),<br />

non pretende la prova del danno e del nesso di correlazione, né attribuisce<br />

carattere sussidiario al rimedio; si fonda, semplicemente, sulla<br />

prova dell’arricchimento realizzato in modo ingiusto a spese altrui.<br />

Ciò, in quei Paesi, apre ai rimedi restitutori prospettive che sono invece<br />

negate dai nostri interpreti, i quali ravvisano nella lettera della nostra<br />

legge un ostacolo non superabile ( 72 ).<br />

In Germania, ad esempio, il problema della lesione perpetrata in assenza<br />

di un trasferimento patrimoniale, come nei casi di semplice uso del<br />

bene altrui o di sfruttamento di beni immateriali, è risolto grazie al concetto<br />

di Zuweisungsgehalt: ciascuno ha un diritto di esclusiva sull’utilizzazione<br />

e lo sfruttamento delle utilità rientranti nell’ambito di una sua situazione<br />

protetta. La dottrina tedesca ( 73 ) attribuisce alla restituzione del<br />

profitto la funzione di reintegrare il diritto di proprietà (Fortbildung), così<br />

attuando la completa protezione di tale diritto dall’ingerenza di terzi, protezione<br />

che non potrebbe invece essere affidata alle sole azioni rivendicatoria<br />

e negatoria.<br />

Nel sistema anglo-tedesco, la illegittima interferenza con i diritti di cui<br />

un altro soggetto è titolare, è di per sé, come direbbero i common lawyers,<br />

un «unjust factor» ( 74 ), indipendentemente dalla prova di una diminuzione<br />

patrimoniale.<br />

( 71 ) Sullo strumento rimediale del disgorgiment cfr. la recente monografia di Pardolesi,<br />

Profitto illecito e risarcimento del danno, Trento, 2005, ove anche l’invito (p. 83) « a considerare<br />

con rinnovata attenzione la soluzione adottata nei sistemi di common law ».<br />

( 72 ) Ma avvisa Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 8, che « l’organizzazione<br />

giuridica, in passato nettamente contrapposta fra Paesi del Vecchio e del Nuovo<br />

continente, tende progressivamente ad uniformarsi, e il judge made law è ormai altrettanto<br />

presente in civil law quanto in common law».<br />

( 73 ) Wilburg, Die Lehre von der ungerechtfertigten Bereicherung nach österreichischem unf<br />

deutschem Recht, Graz, 1934, p. 27 ss.<br />

( 74 ) Cfr. Burrows, The law of restitution, Londra 1993, passim (e in particolare il cap. 13<br />

con riguardo alla interferenza con i diritti di proprietà dell’attore).


950 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il futuro delle restituzioni sembra andare, allora, nel senso opposto a<br />

quello della nostra tradizione giuridica, la quale è caduta in una contraddizione<br />

di fondo: quella di credere che « l’azione è data, più che contro l’arricchimento<br />

senza causa, per evitare l’arricchimento a danno altrui» ( 75 ),<br />

spostando così il baricentro del rimedio dalla persona dell’arricchito a<br />

quella del « danneggiato », e finendo col tradire lo spirito dell’arricchimento<br />

senza causa in ossequio a quello del neminem laedere.<br />

Ma il perdurante valore di questa impostazione è negato dai sistemi<br />

giuridici stranieri:<br />

a) il riferimento al danno non appare nel BGB, ove vige il concetto di<br />

«auf dessen Kosten » ( 76 ). In sede di codificazione, l’espressione venne preferita<br />

a quella «aus dessen Vermögen » appunto perché risultasse chiara la<br />

non necessarietà del danno o del trasferimento patrimoniale, e per evidenziare<br />

come invece fosse sufficiente la sola presenza di un profitto realizzato<br />

attraverso lo sfruttamento abusivo delle altrui risorse. La soluzione<br />

ha avuto la sua definitiva consacrazione ( 77 ) nella decisione della Corte<br />

Suprema del 1971 (Flugreiseentscheidung): BGHZ 55, 128. Proprio sul presupposto<br />

che alla nascita delle obbligazioni restitutorie non sia coessenziale<br />

la prova del danno e del nesso di correlazione, i giudici condannarono<br />

un minore che aveva viaggiato in aereo senza biglietto da Amburgo fino<br />

a New York, a pagare il corrispettivo del volo: in questo caso non entrava<br />

in gioco né la responsabilità contrattuale (il passeggero, peraltro minore,<br />

non aveva concluso alcun contratto con la compagnia aerea), né<br />

quella aquiliana, non essendo riscontrabile un danno. Il minore aveva tuttavia<br />

risparmiato una spesa, ed era quindi configurabile il rimedio dell’arricchimento<br />

senza causa.<br />

Il perno su cui si fonda la Eingriffskondiktion non è dato dall’illiceità<br />

del comportamento dell’arricchito (come nell’elaborazione, ormai superata,<br />

della Rechtswidrigkeitstheorie), ma da una regola autonoma dall’illecito<br />

ed invece tipica dell’arricchimento (in ossequio alla Zuweisungstheorie): il<br />

profitto riconducibile allo sfruttamento abusivo dell’utilità altrui deve essere<br />

restituito, perché i relativi benefici, anche solo potenziali, spettano in<br />

via esclusiva al titolare.<br />

Il Codice Federale Svizzero del 1911, all’art. 62 (70), ricalca l’espressio-<br />

( 75 ) Trabucchi, voce Arricchimento (Azione di) (Diritto Civile), in Enc. dir., vol. III, Milano,<br />

1959, p. 68 s.<br />

( 76 ) Non c’è dubbio che l’espressione riguardi solo le ipotesi di Bereicherung in sonstiger<br />

Weise, non invece quelle di Leistungskondiktion.<br />

( 77 ) Come ricorda Gallo, I rimedi restitutori in diritto comparato, cit., p. 74.


SAGGI 951<br />

ne del BGB. Anche in Svizzera, oggi, nonostante la dottrina tradizionale,<br />

come quella italiana, richiedesse il requisito della diminuzione patrimoniale<br />

e adottasse il criterio della « minor somma », la tendenza attualmente<br />

prevalente è nel senso che la restituzione non debba essere limitata dal<br />

valore della diminuzione patrimoniale subita dall’impoverito; il rimedio<br />

non ha la funzione di riparare il danno, ma di far ottenere la restituzione<br />

dei profitti ottenuti a spese dell’attore. L’art. 64 limita la restituzione all’arricchimento<br />

ancora esistente in capo al convenuto al momento della<br />

proposizione dell’azione; peraltro, deve tenersi conto delle spese effettuate<br />

dall’arricchito (di tutte le spese se egli era in buona fede, soltanto di<br />

quelle utili se in mala fede) ( 78 ).<br />

b) Il codice portoghese (art. 473, n. 1) utilizza l’espressione «custa de<br />

outrem », con cui si identifica la necessità che il profitto sia avvenuto grazie<br />

a beni o utilità appartenenti ad altra persona ( 79 ). Anche il recente codice<br />

civile brasiliano, come il portoghese, seguendo l’impostazione del BGB,<br />

non menziona il requisito del danno e si accontenta dell’esistenza di un<br />

profitto ottenuto invadendo l’altrui sfera giuridica ( 80 ). Sulla stessa scia si<br />

pone il codice giapponese del 1898, che all’art. 704, all’espressione « correlativa<br />

diminuzione patrimoniale » preferisce il concetto di arricchimento<br />

ottenuto a spese altrui ( 81 ).<br />

c) Anche la più recente dottrina spagnola, contrastando le convinzioni<br />

più tradizionali delle Corti, ha ammesso la restituzione dell’arricchimento<br />

anche oltre il limite dell’impoverimento, ritenendo che il centro di gravità<br />

dell’azione debba essere situato esclusivamente nell’arricchimento. Si rileva<br />

pertanto ( 82 ) che l’indennizzo non è dovuto per l’uso in sé della cosa<br />

( 78 ) Cfr. Chappins, La restitution des profits illegittimes, Helbig 8, Liechtenstein, Faculté<br />

de Droit de Geneve, 1991.<br />

( 79 ) Cfr. De Almeida Costa, Noções de direito civil, Coimbra, 1991, p. 76 ss.; Cunha<br />

Goncalves, Tratado de direito civil, IV, Coimbra, 1931, concernente il vecchio codice civile<br />

portoghese, del 1867 (che come il codice francese non consacrava il principio, riconosciuto<br />

però sia in dottrina sia in giurisprudenza); Leite de Campos, A subsidiariedade da obrigação<br />

de restituir o enriquecimento, Almedina, 1974; Id., Enriquecimento sem causa, responsabilidade<br />

civil e nulidade, in Revistas dos Tribunais, 1982, n. 560, p. 262.<br />

( 80 ) Cfr. artt. 884-886. Sulla situazione antecedente v. Negreiros, Enriquecimento sem<br />

causa – aspectos de sua aplicaçâo no Brasil como un princìpio geral de direito, in Revista da<br />

Ordem dos Advogados, 55-III, Lisboa, 1995, p. 798 ss.<br />

( 81 ) Cfr. Civil code of Japan, trad. inglese di Becker, Londra, 1909.<br />

( 82 ) Cfr. Alvarez Caperochipi, El enriquecimiento sin causa en la jurisprudencia del Tribunal<br />

Supremo, in RDP, 1977, p. 872 ss.; Id., El enriquecimiento sin causa en el derecho civil<br />

español, in RGLJ, t. 236, 1974, p. 415 e p. 495; Id., El enriquecimiento sin causa, Granada,<br />

1989, p. 126 s.


952 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

o utilità altrui; non si restituisce il valore dell’utilizzazione, bensì il guadagno<br />

che è derivato dalla detenzione del bene altrui. Nel caso di mala fede<br />

dell’arricchito, egli dovrebbe restituire tutti i profitti ricavati, e persino<br />

quelli che sarebbe stato possibile ricavare. Quando si parla di requisiti dell’azione,<br />

occorre abbandonare la prospettiva del patrimonio impoverito, e<br />

deve farsi riferimento unicamente all’esistenza di un arricchimento senza<br />

causa, prendendosi atto che in alcune fattispecie la restituzione dell’arricchimento<br />

è indipendente dall’esistenza di una correlativa diminuzione patrimoniale.<br />

d) Il Restatement of restitution americano del 1937 non accenna al danno<br />

(damage) ma utilizza l’espressione «at the expense of »; anche in Scozia,<br />

le «draft rules on unjustified enrichment » hanno adottato la espressione<br />

«at the expense of another person » ( 83 ); e in tutti i sistemi di common<br />

law, in generale, è questa l’accezione invalsa e unanimemente riconosciuta<br />

presso pratici e teorici.<br />

In sintesi, in tutti i sistemi che non si richiamano al modello francese<br />

(ma anche in altri che hanno semplicemente preso le distanze sul punto),<br />

la prova di un danno effettivo e di una correlazione tra beneficio e diminuzione<br />

patrimoniale non è necessaria: quello che da noi è denominato<br />

« danno », è altrove identificato nell’uso della proprietà, nel godimento del<br />

diritto, nell’interferenza con le posizioni patrimoniali aliene: nella ingerenza,<br />

in definitiva, nella sfera giuridica di un altro soggetto e nello sfruttamento<br />

delle sue risorse ( 84 ).<br />

La necessarietà di un pregiudizio patrimoniale come requisito dell’azione di arricchimento<br />

è stata inoltre negata con forza e profondità di indagine più di recente da Basozabal<br />

Arrue, Enriquecimiento injustificado por intromision en derecho ajeno, Madrid, 1998, p. 38<br />

ss. Altri studi fondamentali nel diritto spagnolo sono: Díez Picazo y De La Cámara, Dos<br />

estudios sobre el enriquecimiento sin causa, Madrid, 1988; Díez Picazo, La doctrina del enriquecimiento<br />

injustificado, Madrid, 1987 (discurso de ingreso en la Real Academia de Jurisprudencia<br />

y Legislación contestado por De la Cámara); Lacruz Berdejo, Notas sobre el enriquecimiento<br />

sin causa, in RCDI, 1969, p. 569; Nuñez Lagos, El enriquecimiento sin causa en<br />

el Derecho español, Madrid, 1934.<br />

( 83 ) Scot. Law Com. D.P. No. 99, Appendix (in Rose, Blackstonès Statutes on contract,<br />

tort & restitution, 2000/2001, London, 2000, IX, p. 523): al n. 1 è dettato il principio generale,<br />

secondo cui «a person who has been enriched at the expense of another person is bound, if<br />

the enrichment is unjustified, to redress the enrichment ».<br />

( 84 ) Palmer, The law of restitutions, Boston-Toronto, 1978, p. 133, nella sua monumentale<br />

opera, riguardo all’espressione «at the plaintiff’s expense » afferma: «the general requirement<br />

. . . does not mean that the gain to the defendant need to be equated to the loss to the<br />

plaintiff, nor indeed that there need be any loss to the plaintiff except in the sense that a legally<br />

protected interest has been invaded ».


SAGGI 953<br />

6.1. – Una ulteriore, decisiva, differenza tra il modello tedesco-angloamericano<br />

e quello franco-italiano è che il rimedio restitutorio, nel primo,<br />

non ha carattere sussidiario. Ha prevalso, infatti, una ricostruzione incentrata<br />

sulla sola esistenza della lesione ingiusta dell’altrui sfera personale e<br />

dell’arricchimento altrui.<br />

Nei sistemi di common law, il principio dell’arricchimento ingiustificato<br />

si fonda su soli tre presupposti: a) an enrichment of the defendant; b)<br />

which is at the expense of the plaintiff; c) which enrichment is unjust. Il Restatement<br />

of Restitution americano (1937), nei suoi ben 215 paragrafi, non<br />

accenna minimamente al requisito della sussidiarietà.<br />

Negli Stati Uniti ed in Inghilterra la possibilità di «to waive the tort »,<br />

ossia di “accantonare” il torto per agire in arricchimento, è consentita anche<br />

a preferenza di quella delittuale: l’attore ha la possibilità di scegliere<br />

tra i due rimedi il più idoneo alla tutela del suo interesse, e preferirà agire<br />

in arricchimento, ad esempio, se il rimedio delittuale si è prescritto, oppure<br />

se valuterà conveniente ottenere, piuttosto che il risarcimento del danno<br />

subito, l’intera devoluzione dei profitti conseguiti dal convenuto (c.d.<br />

accounting of profits) ( 85 ).<br />

Nel sistema tedesco, il § 812 BGB, dopo aver enunciato la ormai nota<br />

regola secondo cui « chi mediante la prestazione di un altro o in altro modo<br />

consegue qualcosa senza una causa giuridica a spese di un altro, è tenuto<br />

verso questi alla restituzione », prosegue specificando che « quest’obbligo<br />

sussiste anche quando la causa giuridica viene a mancare successivamente<br />

o quando non si verifica il risultato avuto di mira con la prestazione,<br />

secondo il contenuto del negozio giuridico ». Il § 852 BGB concede<br />

poi all’impoverito di agire in arricchimento anche quando si sia prescritta<br />

l’azione delittuale: l’utilità di questa disposizione è data dal fatto che<br />

mentre l’azione per risarcimento danni si prescrive secondo il termine ordinario,<br />

e dunque in tre anni (§ 195 BGB), la pretesa restitutoria dell’arricchimento<br />

ingiustificato « si prescrive in dieci anni dal momento in cui è<br />

Nel suo studio in due tomi sulla vigenza del rimedio negli ordinamenti sia di civil law<br />

sia di common law, Fabrega Ponce, El enriquecimiento sin causa, I, Santafé de Bogotà,<br />

1996, p. 284, dà atto che le nuove tendenze dottrinali su scala mondiale convergono verso<br />

l’abbandono dell’idea dell’indispensabilità dell’impoverimento, a vantaggio della sufficienza<br />

di una intromissione o invasione nei diritti altrui. Soluzione, questa, che lo stesso autore<br />

(p. 288) considera la più giusta e la più idonea alla tutela delle posizioni giuridiche.<br />

( 85 ) Tra gli scritti più recenti: Friedmann, Restitutions of Benefits Obtained through the<br />

Appropriation of Property or the Commission of Wrong, in 80 Col. L.R., 1980, p. 504; Hedley,<br />

The Myth of Waiver of Tort, in 100 L.Q.R., 1984, p. 653.


954 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

sorto, senza riguardo al suo sorgere nei 30 anni dal compimento dell’atto<br />

dannoso o dall’accadimento di qualsiasi altro fatto da cui sia scaturito un<br />

danno » (§ 852 BGB) ( 86 ).<br />

Manca quindi, nel codice tedesco, un qualsiasi accenno alla sussidiarietà.<br />

Il concorso tra rimedi esiste non solo con l’azione da fatto illecito,<br />

ma anche con le pretese reali o possessorie. Nonostante la dottrina si fosse<br />

inizialmente divisa, pur in assenza di apposita norma, sull’opportunità<br />

di ventilare comunque una Subsidiarität, ed in particolare tra una tesi<br />

estrema che pretendeva una absolute Subsidiarität ed una tesi più elastica<br />

che si accontentava di una relative Subsidiarität (ossia tale da impedire il<br />

concorso solo con riguardo ad alcune delle azioni tipiche esercitabili), si è<br />

convenuto che l’elemento della « mancanza di fondamento giuridico »<br />

(«ohne rechtlichen Grund ») è già elemento sufficiente per delimitare il<br />

campo d’azione del rimedio restitutorio. Inoltre, nei casi in cui sussiste<br />

una regolamentazione speciale, è evidente che essa deve prevalere sulla<br />

disciplina generale di cui al § 812, senza che si debba ricorrere al concetto<br />

in questione ( 87 ).<br />

Neppure il codice civile olandese menziona il concetto di sussidiarietà.<br />

Eppure la questione fu affrontata da Meijers durante i lavori preparatori<br />

( 88 ), ove si fece riferimento all’eventualità che una situazione potesse<br />

essere governata, contemporaneamente, dagli articoli sulla restituzione<br />

e da un’altra regola giuridica. Si è stabilito che la questione va risolta tenendo<br />

presente l’obiettivo dell’altra regola giuridica coinvolta: se l’altro rimedio<br />

applicabile è quello della responsabilità per danni (nel senso che<br />

sono riscontrabili tutti i presupposti sia dell’uno sia dell’altro), è rimessa<br />

all’attore la scelta di esperire il rimedio che preferisce ( 89 ).<br />

( 86 ) È altrettanto evidente l’utilità che una simile soluzione avrebbe nel nostro sistema,<br />

ove l’azione di arricchimento è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, in base<br />

all’art. 2946 c.c. (un caso particolare è quello dell’azione di arricchimento di cui all’art. 67<br />

l. camb., che è soggetta alla prescrizione annuale a norma dell’art. 94 ultimo comma legge<br />

citata).<br />

( 87 ) Altra cosa è l’introduzione dottrinale del c.d. Subsidiaritätsdogma delle Nichtleistungs<br />

kondiktionen rispetto alla Leistungskondiktion, che si risolve nel far assurgere la Leistungskondiktion<br />

a rimedio esclusivo nei casi in cui « l’arricchimento dipende da prestazione<br />

e pure ricorre in concreto la possibilità di agire con l’arricchimento contro un terzo, perché<br />

altrimenti una delle parti potrebbe far carico a terzi dell’insolvenza della propria controparte<br />

» (Nicolussi, Arricchimento senza causa e Bereicherungsrecht, cit., p. 295).<br />

( 88 ) Van Zeben, Parlamentaire Geschiedenis van het Nieuw Burgerlijk Wetboek, boek 6,<br />

p. 830.<br />

( 89 ) Tuttavia, per l’art. 52 BW, il rimedio restitutorio non può essere esperito se lo sco-


SAGGI 955<br />

Anche la dottrina e la giurisprudenza spagnola hanno, negli ultimi anni,<br />

modificato l’originaria propensione a costruire l’azione di arricchimento come<br />

rimedio sussidiario, così emancipandosi dal modello francese. Il codice<br />

spagnolo, come quello francese, non codifica l’istituto, e i giudici spagnoli lo<br />

hanno tradizionalmente ricostruito dotandolo delle stesse prerogative che<br />

esso aveva precedentemente acquisito nei sistemi francese ed italiano. Fino<br />

a quando l’elaborazione dogmatica del divieto di arricchimento aveva scarsa<br />

elaborazione, e se ne dava ancora una spiegazione in termini di « regola morale<br />

», la natura sussidiaria era risultata funzionale all’esigenza di evitare una<br />

sproporzionata ampiezza dell’azione ( 90 ). Ma oggi si osserva ( 91 ) che non vi è<br />

alcuna ragione per sostenere l’incompatibilità tra azione aquiliana ed actio<br />

de in rem verso, o la sussidiarietà della seconda nei confronti della prima, in<br />

considerazione della diversità di funzione, requisiti e termini di prescrizione<br />

dei due rimedi (per l’art. 1.968 del codice civile spagnolo, l’azione aquiliana<br />

si prescrive in un anno; all’azione di arricchimento, in mancanza di una<br />

espressa previsione legale, si applica il termine di quindici anni sancito dall’art.<br />

1.964). Ad una maggiore definizione in termini tecnici dell’azione di arricchimento<br />

e del suo ambito operativo ad opera della giurisprudenza, ed alla<br />

progressiva migliore comprensione del fenomeno, la sussidiarietà ha perso<br />

il proprio fondamento, tant’è che oggi si proclama apertamente la compatibilità<br />

dell’azione di arricchimento con l’azione aquiliana, sia al fine di<br />

consentire l’esercizio della prima una volta prescritta la seconda, sia per ammettere<br />

la restituzione del profitto conseguente all’illecito ( 92 ).<br />

Cosa avviene invece in Italia? Avviene che la generale propensione<br />

po dell’altra regola giuridica applicabile è quello di regolare interamente la materia: è questo<br />

il caso delle norme che sanciscono la prescrizione del diritto, la quale preclude la domanda<br />

di arricchimento ingiusto. Sul punto cfr. Schrage-Nicholas, Unjust Enrichment<br />

and the Law of Restitution: A Comparison, in Unjust Enrichment. The Comparative Legal History<br />

of the Law of Restitution, a cura di Eltjo J. H. Schrage, Berlin, 1995, p. 29 s.<br />

( 90 ) Cfr. Alvarez Caperochipi, El enriquecimiento sin causa, Granada, 1989, p. 108 s. e<br />

p. 116; Lacruz Berdejo, Notas sobre el enriquecimiento sin causa, in RCDI, 1969, p. 595 ss.,;<br />

Miquel González, voce Enriquecimiento injustificado, in Enciclopedìa juridica básica, vol.<br />

II, Madrid, 1995, p. 2806.<br />

( 91 ) Basozabal Arrue, Enriquecimiento injustificado por intromision en derecho ajeno,<br />

cit., p. 104.<br />

( 92 ) Alvarez Caperochipi, ult. op. cit., p. 110 s. In giurisprudenza, S., TS, 24 gennaio<br />

1975. La sentenza della svolta è però quella del Tribunal Supremo del 12 aprile 1955, che per<br />

la prima volta affermò la sostanziale differenza tra l’azione per danni, la quale può fare a<br />

meno del requisito dell’arricchimento, dall’azione di arricchimento, la quale non necessita<br />

del danno, essendo sufficiente il solo fatto del «desplazamiento patrimonial indebido ».


956 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

della scienza giuridica italiana per un’interpretazione restrittiva dei requisiti<br />

dell’azione di arricchimento ( 93 ), trovi il suo terreno più fertile, da un<br />

lato, nella « diminuzione patrimoniale » richiesta dall’art. 2041 c.c., dall’altro<br />

proprio nel disposto dell’art. 2042 c.c. ( 94 ), risultando vincente la concezione<br />

della « sussidiarietà in astratto »: il ricorso all’azione di arricchimento<br />

è possibile solamente in presenza di un “danno” e solo quando sin<br />

dall’origine non vi fosse alcun altro rimedio anche solo astrattamente<br />

esperibile al fine di ottenere un indennizzo ( 95 ).<br />

La diretta conseguenza è la rilevanza pratica nettamente superiore che<br />

il principio dell’arricchimento ha assunto negli ordinamenti dei Paesi citati,<br />

rispetto al nostro, che rischia l’emarginazione da una discussione sempre<br />

più attuale in campo internazionale. Tanto più che in Italia la concezione<br />

prevalsa della sussidiarietà è per certi versi ancora più restrittiva di<br />

quella francese; la giurisprudenza transalpina ha infatti adottato la distin-<br />

( 93 ) Nonostante l’azione di arricchimento sia stata oggetto intorno agli anni sessanta di<br />

tre importanti studi monografici (Sacco, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto,<br />

Torino 1959; Trimarchi, L’arricchimento senza causa, Milano, 1962; Barbiera, L’ingiustificato<br />

arricchimento, Napoli, 1964), non sembra che in seguito la letteratura giuridica italiana,<br />

salvo rare eccezioni (in specie Gallo, L’arricchimento senza causa, cit.; Id., Arricchimento<br />

senza causa e quasi contratti, cit.; più recentemente, Id., Arricchimento senza causa. Artt.<br />

2041-2041, ne Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano,<br />

2003), abbia compreso appieno le potenzialità dell’istituto. Solo ultimamente il tema<br />

è stato al centro di un rinnovato interesse, come dimostrano le monografie di Carusi, Le<br />

obbligazioni nascenti dalla legge, Napoli, 2004; di Nicolussi, La lesione del potere di disposizione<br />

e l’arricchimento, cit.; di Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa,<br />

cit.; e, in prospettiva comparativistica, di Pardolesi, op. cit. Ampio spazio all’arricchimento<br />

senza causa è dato inoltre nella monografia di Sirena, La gestione di affari altrui, Torino,<br />

1999, il quale concorda nell’ammettere il concorso alternativo tra azione di arricchimento e<br />

risarcimento del danno; tesi, questa, da lui recentemente ribadita nel saggio Note critiche<br />

sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. e proc.<br />

civ., 2005, p. 105, in part. p. 117.<br />

( 94 ) Cass., 15 novembre 1994, n. 9629, in Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 11; Cass., 29 novembre<br />

1993, n. 11850, ivi, 1993, fasc. 11; Cass., sez. lav., 3 aprile 1990, n. 2679, in Riv. giur.<br />

lav., 1990, II, p. 265.<br />

( 95 ) Secondo la opposta concezione della « sussidiarietà in concreto », l’art. 2042 c.c. ha<br />

il senso di escludere l’esercizio dell’azione di arricchimento solo per il tempo in cui sussiste<br />

l’offerta di altre difese. Se questa soluzione fosse esatta, la natura di clausola generale del<br />

rimedio non sarebbe più inconciliabile con il suo carattere sussidiario, risultando altrimenti<br />

contraddittorio il conferimento al giudice di una delega così rilevante e tuttavia concretizzabile<br />

soltanto nei casi in cui nessun altro rimedio sia astrattamente esperibile. Specificamente<br />

al tema della compatibilità tra restituzione e risarcimento è dedicato il mio saggio intitolato<br />

Art. 2041 c.c. e art. 2043 c.c.: compatibilità di due « clausole generali » non sussidiarie?,<br />

in La responsabilità civile, 2005, p. 149.


SAGGI 957<br />

zione tra ostacolo di diritto (come la prescrizione o la decadenza) e ostacolo<br />

di fatto (come la bancarotta del convenuto): solo se l’azione principale<br />

non poteva essere esercitata a causa di un ostacolo di diritto, l’esperibilità<br />

dell’actio de in rem verso è preclusa ( 96 ).<br />

Ad ogni modo, la rigorosa esegesi svolta in Italia in merito al carattere<br />

sussidiario, e per suo mezzo la sostanziale eliminazione dell’azione di arricchimento<br />

dall’ordinamento, trova ancora una volta riscontro nel solo<br />

sistema francese. Ma in Francia, ove la diffidenza verso l’istituto è stata tale<br />

da evitarne addirittura una normazione espressa, la giurisprudenza che<br />

lo applica deve fare i conti con un sistema meno elastico di quello che si<br />

pone innanzi agli interpreti italiani, non essendo lì consentito in nessun<br />

caso il cumulo tra diversi rimedi (da noi ormai ampiamente ammesso<br />

quanto meno in materia di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale).<br />

Peraltro anche gli studiosi francesi cominciano a parlare della subsidiarité<br />

come di un principe inutile ed embarassant ( 97 ).<br />

Nel nostro ordinamento, le potenzialità della clausola generale di arricchimento<br />

andrebbero soprattutto sviluppate nei casi di illegittima interferenza<br />

di terzi in interessi meritevoli di protezione: ad esempio nel<br />

caso della violazione di diritti su beni immateriali (si pensi alle opere dell’ingegno<br />

non brevettate o non brevettabili, o alla tutela del marchio di<br />

fatto) ( 98 ), o di diritti della personalità come quello, particolarmente significativo,<br />

all’immagine, ove la tecnica riparatoria, di creazione giuri-<br />

( 96 ) Peraltro, nel senso di un’erosione della sussidiarietà si è espressa di recente anche<br />

la Corte di Cassazione francese in una pronuncia che ha suscitato stupore in dottrina:<br />

Cass., 3 giugno 1997, in Juris-Classeur périodique, 1998, p. 1157.<br />

( 97 ) Remy, Le principe de subsidiarité de l’action de in rem verso en droit français, in L’arricchimento<br />

senza causa a cura di Mannino, cit., p. 71 ss.<br />

( 98 ) Cfr. Castronovo, La violazione della proprietà come lesione del potere di disposizione.<br />

Dal danno all’arricchimento, in Dir. ind., 2003, p. 7; Id., La nuova responsabilità civile,<br />

cit., p. 643, il quale, argomentando dall’art. 2038 c.c., spiega come, se non nella contraffazione<br />

quanto meno nell’usurpazione, l’azione di arricchimento, e non quella aquiliana, sia<br />

il rimedio idoneo rispetto alla lesione del diritto sotto il profilo del potere di disposizione.<br />

Secondo l’Autore (ult. op. cit., p. 646), l’art. 125 del Codice della proprietà industriale (d.lgs.<br />

n. 30/2005), nella parte in cui prevede che « il lucro cessante è valutato dal giudice anche tenendo<br />

conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l’autore della violazione<br />

avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del diritto »,<br />

confonde il profilo restitutorio con quello risarcitorio, giacché mentre il lucro cessante è categoria<br />

del risarcimento del danno, il riferimento agli utili ed ai compensi riguarda « valori<br />

accresciutisi, in termini di vero e proprio guadagno o di mancata spesa, nella sfera dell’autore<br />

della violazione ».<br />

Sirena, La restituzione del profitto ingiustificato (nel diritto industriale italiano), in Studi


958 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

sprudenziale, del « prezzo del consenso » non offre adeguata tutela al<br />

soggetto leso, in specie quando trattasi di persona non nota ( 99 ). Forti<br />

sono poi le perplessità che suscita l’adozione della tecnica risarcitoria<br />

in altri casi ove sembrerebbe più pertinente l’adozione della logica restitutoria:<br />

si pensi agli atti incolpevoli (e quindi irrilevanti per l’art.<br />

2600 c.c.) di concorrenza sleale ( 100 ), alla posizione dell’alienante nella<br />

doppia alienazione immobiliare ( 101 ), al danno subito dal datore di lavoro<br />

per inabilità temporanea del lavoratore dovuta al fatto illecito del<br />

terzo ( 102 ).<br />

Per estendere l’operatività del rimedio a tutti questi casi, sarebbe<br />

sufficiente riconoscere che la locuzione « a danno » contenuta nell’art.<br />

2041 c.c., in realtà, non è dissimile da quella « a spese » del sistema anglotedesco,<br />

ed accogliere in via interpretativa, per altri versi, una concezione<br />

di sussidiarietà scevra dai pregiudizi che atavicamente caratterizzano l’istituto.<br />

Né il requisito della diminuzione patrimoniale, né quello della sussidiarietà<br />

costituiscono ostacoli insormontabili.<br />

Le future generazioni di studiosi e di pratici non possono chiudersi là<br />

dove sono gli stessi Maestri ad invitare all’apertura, ammonendo che « la<br />

statualità e la nazionalità del diritto non sono fattori di progresso, bensì di<br />

crisi del diritto » ( 103 ). La dottrina italiana moderna comincia, peraltro, an-<br />

in onore di Gerhard Schricker, Milano 2005, p. 256, il quale applica direttamente l’art. 2028<br />

c.c., risolvendo quindi il problema della restituzione del profitto attraverso l’istituto della gestione<br />

di affari; Plaia, Proprietà intellettuale e risarcimento del danno, Torino, 2005, p. 103 ss.<br />

L’art. 125 del Codice della proprietà industriale (decreto legislativo 10 febbraio 2005, n.<br />

30), afferma, quanto al risarcimento del danno, che « il lucro cessante è valutato dal giudice<br />

anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto ».<br />

( 99 ) Cfr. Albanese, La lesione del diritto all’immagine (e degli altri diritti della personalità):<br />

una alternativa alla tecnica risarcitoria del « prezzo del consenso », in Responsabilità, comunicazione<br />

e impresa, 2002, p. 547; Id., Immagine: lesione del diritto e consenso tacito allo<br />

sfruttamento commerciale, in La responsabilità civile, 2004, p. 112.<br />

( 100 ) Sulla « rilevanza dell’arricchimento nella caratterizzazione settoriale del danno da<br />

illecito concorrenziale », v. Genovese, Il risarcimento del danno da illecito concorrenziale,<br />

Napoli, 2005, p. 113 ss.<br />

( 101 ) In tema: Nicolussi, La lesione del potere di disposizione e l’arricchimento, cit., p.<br />

690 ss.; Castronovo, La nuova responsabilità civile, cit., pp. 629-654; Venturelli, La doppia<br />

alienazione immobiliare tra risarcimento e restituzioni. La posizione della giurisprudenza,<br />

in Obbligazioni e Contratti, 2005, p. 232; Id., La doppia alienazione immobiliare: profili risarcitori<br />

e restitutori, ivi, 2005, p. 339.<br />

( 102 ) Castronovo, Le frontiere nobili della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1989,<br />

p. 593 ss.<br />

( 103 ) Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 35.


SAGGI 959<br />

che valorizzando la natura di clausola generale del rimedio, a muoversi<br />

gradualmente nella direzione indicata ( 104 ).<br />

7. – Dall’indagine svolta emergono le difficoltà, riscontrate all’interno degli<br />

ordinamenti nazionali, di una riconduzione di tutte le restituzioni nell’alveo<br />

dell’arricchimento ingiustificato, nonostante una tale riassunzione sia<br />

diffusamente valutata quale positivo fattore di ordine per il sistema: un’aspirazione,<br />

dunque, che assume rilievo anche in chiave europea.<br />

Emergono anche, però, tre diverse tendenze sulle quali sembrano convergere<br />

sia i sistemi che accolgono una concezione unitaria sia quelli che la<br />

rigettano: la prima, è la tendenza verso una distinzione tra gli arricchimenti<br />

derivanti dall’iniziativa dell’impoverito e quelli derivanti dall’iniziativa dell’arricchito<br />

(che in Italia usiamo definire « arricchimenti ottenuti mediante<br />

fatto ingiusto »); la seconda tendenza sposta il baricentro dell’azione di arricchimento<br />

sul versante dell’arricchito piuttosto che del “danneggiato”, con<br />

la conseguenza che assume rilievo centrale il profitto ottenuto invadendo<br />

l’altrui sfera giuridica, piuttosto che la effettiva diminuzione patrimoniale; la<br />

terza tendenza, forse la più evidente, è nel senso di una erosione del carattere<br />

sussidiario del rimedio.<br />

Queste tendenze non possono non influenzare la questione del rapporto<br />

tra singoli mezzi restitutori e arricchimento ingiustificato. La convergenza<br />

su questi tre punti, anzi, sembra la base più solida per la costruzione di<br />

una disciplina restitutoria europea.<br />

Non è un caso che i Principles of European Unjustified Enrichment Law,<br />

che vorrebbero costituire, appunto, una sintesi delle soluzioni prevalenti negli<br />

ordinamenti nazionali, non fanno riferimento alla “sussidiarietà”, bensì<br />

alla «justification» (art. 2: 101), ciò che, tradotto nel nostro linguaggio restitutorio,<br />

significa che l’ambito operativo dell’arricchimento senza causa va sì<br />

delimitato, ma che a tal fine è sufficiente un adeguato controllo sulla presenza<br />

o l’assenza di una giusta causa.<br />

È alla luce delle menzionate tendenze, d’altronde, che i Principles, pur<br />

accogliendo una sistemazione di tipo unitario che ricomprende le singole<br />

fattispecie restitutorie all’interno del divieto generale di arricchimenti senza<br />

( 104 ) Aderiscono espressamente alla tesi da me formulata in Ingiustizia del profitto e arricchimento<br />

senza causa, cit., ed in Il pagamento dell’indebito, cit.; Venturelli, La doppia<br />

alienazione immobiliare tra risarcimento e restituzioni, cit., p. 245; Todaro, Buona fede contrattuale:<br />

nuovi sviluppi della Cassazione, in Contr. e impr., 2005, p. 583; Corrias, Garanzia<br />

pura e contratti di rischio, Milano, 2006, p. 195, nota 66 in part.; Tedoldi, Tutela risarcitoria<br />

e tutela restitutoria in caso di omessa notifica dell’ordinanza di vendita al creditore iscritto (con<br />

brevi note sulla responsabilità e processo), in www.judicium.it


960 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

causa, quando si occupano della absence of justification (art. 2: 101, rubricato<br />

«When Enrichment Unjustified »), si preoccupano di distinguere tra gli Enrichments<br />

not Conferred ( 105 ) e gli Enrichments Conferred ( 106 ). Il che non sembra<br />

essere molto diverso da una riedizione, con un nuovo lessico, della distinzione<br />

tedesca tra Leistungskondiktion e Eingriffskondiktion, della distinzione<br />

inglese tra arricchimenti derivanti from or by the act of the plantiff e arricchimenti<br />

ottenuti dall’arricchito by his own wrongful conduct, della distinzione<br />

italiana tra arricchimenti derivanti dall’iniziativa dell’impoverito e arricchimenti<br />

ottenuti mediante fatto ingiusto.<br />

L’art. 7: 102 dei Principles, poi, rubricato Concurrent Obligations, nell’ammettere<br />

la possibilità del cumulo tra responsabilità civile e arricchimento<br />

senza causa, sancisce che quando l’impoverito ha altresì «a claim for reparation<br />

for disadvantage », allora «the satisfaction of one of the claims reduces the<br />

other claim by the same amount ».<br />

La chiave di volta per l’accoglimento di una concezione unitaria a livello<br />

europeo, allora, presenta le stesse scanalature della chiave di lettura recentemente<br />

proposta a livello italiano: mantenere all’interno di una clausola generale,<br />

che abbia il proprio fulcro nell’assenza di giusta causa, un’inequivoca<br />

distinzione tra i molteplici e diversi principi ordinatori della materia. Concezioni<br />

unitarie e concezioni “disgregatrici” possono fondersi, così, in una sintesi<br />

inaspettata.<br />

Rimane peraltro da vedere se una tale sintesi davvero possa, e debba, essere<br />

rimessa alla legge, o non sia piuttosto destinata ad avere più rapido riscontro<br />

nelle soluzioni giurisprudenziali, in un futuro nel quale « l’adeguamento<br />

del diritto ai mutamenti della realtà non può essere rimesso solo ad<br />

uno strumento rigido, qual è la legge » ma « richiede anche uno strumento<br />

flessibile, qual è la giurisprudenza, idoneo ad evolversi giorno per giorno<br />

in sintonia con l’evoluzione della realtà » ( 107 ).<br />

( 105 ) Art. 2: 101, comma 1°: An enrichment is unjustified unless:<br />

(a) the enriched person is entitled as against the disadvantage person to the benefit of the<br />

enrichiment by virtue of a contract or other juridical act, acourt order or a rule of law; or<br />

(b) the disadvantaged person consentend freely and without error to the disadvantage».<br />

( 106 ) Art. 2: 101, comma (3): « An enrichment is also unjustified if:<br />

(a) the disadvantaged person conferred it:<br />

(i) for a purpose which is not achieved; or<br />

(ii) with an expectation which is not realised;<br />

(b) the enriched person knew of, or could reasonably be expected to know of, the purpose or<br />

expectation; and<br />

(c) the enriched person accepted or could reasonably be assumed to have accepted that the<br />

enrichment must be reversed in such circumstances ».<br />

( 107 ) Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 115.


NAJDAT AL NAJJARI-ERICA MUSSATO<br />

L’impatto del diritto comunitario nell’ordinamento interno:<br />

in particolare, il problema della discriminazione « a rovescio »<br />

nell’accesso alle professioni tra giurisprudenza e interventi normativi<br />

Sommario: 1. Premessa: il concetto di discriminazione « a rovescio ». – 2. La discriminazione<br />

« a rovescio » e le professioni regolamentate: una ricostruzione storica. – 3. Origine<br />

delle discriminazioni « a rovescio ». – 4. I possibili rimedi di natura giurisdizionale:<br />

Corte di Giustizia e Corte Costituzionale. – 5. La giurisprudenza recente della Corte di<br />

Giustizia e la professione di avvocato. – 6. Altre decisioni rilevanti in tema di discriminazioni<br />

« a rovescio ». – 7. La posizione della Corte Costituzionale. – 8. Segue: Il principio<br />

di uguaglianza tra Corte di Giustizia e Corte Costituzionale. – 9. La Corte Costituzionale<br />

e le discriminazioni « a rovescio ». – 10. L’articolo 2, comma 1°, lett. h), della<br />

legge comunitaria 2005. – 11. Campo di applicazione soggettivo: le attività professionali<br />

e commerciali. – 12. Prospettive ed attuazione del divieto. – 13. Conclusioni.<br />

1. – Il verificarsi di situazioni riconducibili nello schema delle discriminazioni<br />

« a rovescio » costituisce un risultato, come vedremo, quasi fisiologico<br />

dell’integrazione della legislazione tra Stati membri; vale la pena<br />

di studiarne la genesi anche perché, nonostante la portata spesso notevole<br />

delle sue implicazioni, essa è un fenomeno giuridico poco analizzato ( 1 ) che<br />

ha trovato soltanto di recente, nell’ultima Legge comunitaria 2005, un primo<br />

abbozzo di riconoscimento a livello normativo.<br />

Oggetto di questo contributo è lo studio dell’influsso che il diritto di<br />

fonte comunitaria ha nell’ordinamento interno del nostro Paese con riferimento<br />

alla delicata tematica della cosiddetta discriminazione “a rovescio”.<br />

In particolare saranno evidenziate le problematiche relative al mutuo<br />

riconoscimento delle qualifiche professionali e quelle sulle libertà di<br />

stabilimento e di prestazione dei servizi nell’ambito delle cosiddette<br />

« professioni regolamentate ».<br />

Il diritto europeo impone ai singoli Stati membri di non discriminare i<br />

cittadini comunitari che – per esercitare la propria professione – migrano<br />

da un Stato all’altro, in applicazione della fondamentale libertà di circolazione<br />

e di libera prestazione dei servizi; onde permettere la realizzazione<br />

( 1 ) Lo dimostra la scarsa giurisprudenza resa in subiecta materia. Tutta la giurisprudenza<br />

comunitaria citata nel presente saggio è tratta dal sito www.curia.eu.


962 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

di questa libertà, peraltro, il diritto comunitario vieta che il singolo Stato<br />

membro applichi ai cittadini provenienti da altro Stato membro eventuali<br />

normative interne più restrittive rispetto a quelle vigenti nella nazione di<br />

origine del migrante stesso.<br />

Nel quadro così delineato, pertanto, le eventuali norme nazionali esistenti<br />

al riguardo di una determinata professione conosceranno quindi<br />

due sorti diverse:<br />

– l’applicazione sic et simpliciter a tutti i cittadini nazionali;<br />

– la non applicazione ai professionisti provenienti da altri Stati membri,<br />

all’interno dei quali la legislazione nazionale sia più favorevole rispetto<br />

a quella vigente nello Stato membro scelto per la migrazione.<br />

In un quadro come quello appena delineato appare evidente che il cittadino<br />

nazionale può trovarsi in una situazione deteriore rispetto a quella<br />

di un cittadino proveniente da altro Stato membro ove vigano, per l’esercizio<br />

di una determinata arte o professione, regole meno restrittive di<br />

quelle vigenti nello Stato ospitante: questa è la definizione di discriminazione<br />

« a rovescio ».<br />

È da notare come il concetto di « trattamento sfavorevole » non è fondato<br />

necessariamente su di una discriminazione in base alla nazionalità,<br />

anche se nella maggior parte dei casi essa costituisce l’elemento preso in<br />

considerazione dalla norma comunitaria per delimitare il proprio ambito<br />

applicativo: le norme comunitarie infatti riguardano normalmente il trattamento<br />

da riservare ai cittadini di altri Paesi membri. Eventuali norme<br />

nazionali più restrittive verranno pertanto applicate ai cittadini nazionali<br />

ma non ai cittadini comunitari immigrati.<br />

È evidente, quindi, che tale disparità di trattamento è causata – nella<br />

sostanza – dall’applicazione del diritto comunitario, che concede ai cittadini<br />

comunitari diritti ulteriori rispetto a quelli riservati ai cittadini di ogni<br />

singolo Stato membro e pongono perciò questi ultimi in una situazione di<br />

svantaggio rispetto agli stranieri comunitari ( 2 ).<br />

La norma nazionale, che viene emanata sulla base di presupposti diversi<br />

da quelli che fondano le regole comunitarie, è pertanto destinata a<br />

regolare i rapporti con i propri cittadini che non circolano all’interno della<br />

Comunità e la sua operatività è limitata entro i confini nazionali, a quelle<br />

che si definiscono situazioni puramente interne.<br />

Queste situazioni esulano, a detta della stessa Corte di Giustizia, dalla<br />

( 2 ) Vedi Ballarino, Manuale di diritto dell’Unione Europea, 6 a ed., Padova, 2001, p.<br />

322 ss.


SAGGI 963<br />

sfera di competenza del diritto comunitario in quanto « non presentano carattere<br />

transfrontaliero, o perché il soggetto non intende avvalersi dei diritti o<br />

delle libertà garantite dal Trattato, o perché comunque la situazione non presenta<br />

alcun collegamento con una situazione contemplata dal diritto comunitario<br />

».<br />

2. – È principio acquisito quello secondo il quale dove c’è armonizzazione<br />

delle legislazioni la non discriminazione sussiste in re ipsa; laddove<br />

invece non ci sia armonizzazione, deve trovare applicazione l’art. 12 Tratt.<br />

CE il quale sancisce un generale divieto di discriminazione in base alla<br />

cittadinanza.<br />

La regola del trattamento nazionale ( 3 ), tuttavia, non ha sempre garantito<br />

un’effettiva parità di trattamento e ha rischiato di risolversi in una parità<br />

solo formale: la stessa non tiene infatti conto delle esperienze e delle<br />

qualifiche pregresse maturate ed acquisite dal cittadino che proviene da<br />

un altro Stato membro.<br />

Per ovviare all’inadeguatezza di questa situazione sono state emanate<br />

le direttive 89/48 CEE e 92/51 CEE come modificate dalla direttiva<br />

2001/14 CE – ora riunite nel « testo unico » comunitario in tema di riconoscimento<br />

delle qualifiche professionali (direttiva 2005/36 CE) – che oggi<br />

disciplinano l’accesso alle professioni regolamentate.<br />

In forza di questa disciplina si è passati dalla regola del trattamento nazionale<br />

sopra accennata a quella del riconoscimento dei diplomi e delle<br />

qualifiche; secondo questo sistema di regole, lo Stato membro ospitante –<br />

ove non sussistano specifiche regole diverse dettate in ambito comunitario<br />

( 4 ) – deve prendere atto delle qualifiche e delle esperienze che il cittadino<br />

di un altro Stato membro aveva conseguito nel Paese di origine, riconoscendone<br />

la validità e l’equipollenza rispetto alle qualifiche « nazionali ».<br />

In tal modo è stato possibile raggiungere una parità di trattamento effettiva<br />

– e non solo, quindi, formale – tra cittadini nazionali e cittadini<br />

provenienti da altri Stati membri, garantendo di fatto la libera circolazione<br />

dei professionisti all’interno della Comunità.<br />

Tuttavia questa configurazione normativa ha come conseguenza di<br />

« esonerare il cittadino di altro Stato membro dall’espletamento delle formalità<br />

richieste da ciascuna dalle legislazioni nazionali ai propri cittadini, com-<br />

( 3 ) In forza dell’applicazione dell’art. 12 CE.<br />

( 4 ) Si vedano, ad esempio, per le professioni mediche le direttive 75/362 CEE e 75/363<br />

CEE modificate dalla direttiva 82/76 CEE.


964 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

portando, di fatto, una posizione più gravosa di questi ultimi rispetto ai primi<br />

»: in questo modo il percorso che i cittadini nazionali devono seguire<br />

per poter esercitare una determinata professione regolamentata risulta più<br />

oneroso rispetto a quello riservato ai cittadini comunitari immigrati.<br />

3. – Può accadere – come di fatto accade – che esistano diversità di disciplina<br />

tra le legislazioni nazionali, per cui in uno Stato membro è più<br />

semplice accedere all’esercizio di una determinata professione regolamentata<br />

o ad una certa attività.<br />

In questi casi la differenza emerge sia nel caso in cui un soggetto migri<br />

da un Paese più « restrittivo » verso un Paese più « permissivo » (ricevendo<br />

così un trattamento migliore rispetto a quello riservatogli nel Paese<br />

d’origine), nel qual caso la disparità di trattamento è evidente, sia che il<br />

soggetto proveniente dallo Stato più « permissivo » si rechi ad esercitare<br />

nello Stato più « restrittivo ».<br />

In questo secondo caso la norma comunitaria interviene perché il cittadino<br />

trattato in maniera più sfavorevole è comunque un cittadino comunitario<br />

che sta esercitando le libertà previste del Trattato e deve trovare<br />

quindi applicazione il principio del mutuo riconoscimento, in forza del<br />

quale un cittadino proveniente da un altro Stato comunitario che nel proprio<br />

Paese di origine o in un altro Paese abbia conseguito il titolo per esercitare<br />

una determinata attività, o addirittura l’abbia già esercitata senza alcun<br />

titolo perché non previsto dalla propria normativa nazionale, può<br />

chiedere il riconoscimento di quanto fatto in precedenza, con l’unico, ovvio<br />

limite del rispetto delle norme imperative.<br />

Nei casi che subito esporremo la disparità originata da differenti regimi<br />

normativi posti da ciascuno Stato membro a disciplinare determinati<br />

settori è parzialmente di competenza del diritto comunitario, in quanto<br />

opera come ostacolo alla libera circolazione delle persone e dei servizi<br />

nella Comunità; diversamente, la differenza dei trattamenti nazionali<br />

opererà come stimolo verso lo Stato meno « liberale » a rivedere la propria<br />

normativa e avvicinarla a quella dell’altro Stato membro più « liberale ».<br />

Nel caso primo caso – il caso Knoors ( 5 ) – la Corte ha affrontato il problema<br />

di un cittadino olandese che aveva esercitato in Belgio, per vari anni,<br />

l’attività di installatore di impianti di riscaldamento; egli in seguito<br />

aveva chiesto alle autorità del suo Paese di poter esercitare la propria pro-<br />

( 5 ) Corte CE, 7 novembre 1979, causa 115/78, Knoors / Staatssecretaris van Economische<br />

Zaken segnalata da Ballarino, op. cit., p. 487.


SAGGI 965<br />

fessione senza la previa autorizzazione della Camera di Commercio olandese,<br />

permesso che gli era stato negato. Il sig. Knoors faceva valere il suo<br />

diritto ad esercitare la libertà di stabilimento anche nel proprio paese di<br />

origine avvalendosi la sua qualificazione professionale riconosciuta dal diritto<br />

comunitario.<br />

Paradossalmente, il sig. Knoors avrebbe avuto diritto di esercitare in<br />

Olanda la propria professione senza alcuna previa autorizzazione amministrativa<br />

se fosse stato belga o di altra nazionalità: in quel caso – infatti –<br />

l’Olanda sarebbe stata costretta ad applicare la normativa comunitaria sulla<br />

libera prestazione dei servizi e sulla libertà di stabilimento.<br />

La Corte intervenne e si espresse a favore del sig. Knoors, affermando<br />

che «le libertà fondamentali del mercato unico non sarebbero realizzate se gli<br />

Stati membri potessero negare i vantaggi del sistema comunitario ai propri<br />

cittadini che fanno uso delle facilitazioni esistenti in materia di circolazione e<br />

di stabilimento per acquisire in uno Stato membro diverso da quello di cui<br />

hanno la cittadinanza la qualificazione professionale prevista da una direttiva<br />

intesa a realizzare la libertà di stabilimento ».<br />

Questo caso è particolarmente interessante perché, anche se la situazione<br />

che ne costituisce il fulcro è situazione che può apparire puramente<br />

interna, essa diviene rilevante per il diritto comunitario in quanto ha una<br />

connotazione di intracomunitarietà, considerando che il soggetto in questione<br />

aveva completato la sua formazione professionale in un altro Stato<br />

membro ed intendeva quindi esercitare le fondamentali libertà garantite<br />

dal Trattato ( 6 ).<br />

Il secondo caso considerato – detto caso Aubertin ( 7 ) – è rilevante ai fini<br />

che qui rilevano – di dimostrare quale possa essere l’impatto di una direttiva<br />

sul diritto interno degli Stati membri.<br />

( 6 ) Per il concetto e la definizione di « situazione puramente interna » e quindi non rilevante<br />

ai fini dell’applicazione del diritto comunitario, si veda Corte CE, 28 gennaio 1992,<br />

causa C–332/90, Steen c. Deutsche Bundespost (nota anche come Steen 1). La sentenza citata<br />

riguardava un cittadino tedesco, che non aveva mai goduto, né intendeva avvalersi, della<br />

libertà di circolazione dei lavoratori, e si era venuto a trovare in una situazione lavorativa<br />

meno favorevole rispetto a quella assicurata nel proprio Paese a lavoratori stranieri, in forza<br />

di disposizioni del diritto comunitario. Infatti, a questi ultimi era consentito di prestare<br />

il proprio lavoro in un regime di impiego a contratto, mentre a cittadini nazionali era permesso<br />

di svolgere quel lavoro solo come impiegati di ruolo. La Corte ha ritenuto che in tal<br />

caso – essendo la situazione in esame di stretta rilevanza interna – il principio comunitario<br />

di non discriminazione non potesse spiegare effetti rispetto alla normativa nazionale.<br />

( 7 ) Corte CE, 16 febbraio 1995, cause riunite C-29-35/94, Criminal proceedings c. Aubertin<br />

e altri e Normand.


966 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Nella fattispecie si tratta della direttiva 82/489 CEE (poi abrogata e sostituita<br />

dalla direttiva 99/42 CE) ( 8 ) che disciplina la libertà di stabilimento<br />

e di prestazione di servizi da parte dei parrucchieri.<br />

In Francia l’attività di parrucchiere è disciplinata a livello nazionale<br />

con requisiti di accesso più rigorosi di quelli richiesti in altri paesi comunitari;<br />

allo stesso tempo però i parrucchieri comunitari di altri Stati membri,<br />

o i cittadini francesi divenuti parrucchieri in un altro Stato membro,<br />

sono esonerati dall’obbligo di soddisfare i requisiti richiesti a quelli francesi,<br />

in piena armonia con la direttiva comunitaria allora in vigore per la<br />

professione di parrucchiere (e tuttora in armonia con la « nuova » direttiva<br />

99/42 CE).<br />

In questo frangente la Corte di giustizia ha ribadito l’irrilevanza comunitaria<br />

della situazione, considerandola « puramente interna », per il<br />

fatto che i parrucchieri colpiti da una normativa nazionale più severa erano<br />

soggetti la cui situazione non aveva alcun elemento di intracomunitarietà:<br />

erano cittadini francesi che avevano terminato la formazione professionale<br />

nel proprio Paese di origine e non avevano esercitato le libertà del<br />

Trattato. Non si trovavano perciò nella stessa situazione di parrucchieri<br />

comunitari (anche con cittadinanza francese: la discriminazione questa<br />

volta non dipendeva dalla cittadinanza ma dal luogo dove era stata terminata<br />

o completata la formazione professionale) divenuti tali in un altro<br />

Stato membro ( 9 ).<br />

Da quanto sopra visto emerge, innanzitutto, che la portata del divieto<br />

di non discriminazione previsto dal Trattato all’art. 12 non può essere<br />

estesa all’infinito: la norma pone un principio, di portata generale, per cui<br />

sono vietati trattamenti discriminatori in base alla nazionalità, ma esso è<br />

limitato alle situazioni che siano rilevanti per il diritto comunitario, essendo<br />

tale principio funzionale al raggiungimento degli scopi del Trattato.<br />

( 8 ) Direttiva « che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività<br />

professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure<br />

transitorie e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche », vedi<br />

paragrafo successivo.<br />

( 9 ) È interessante notare che della nozione di « situazione puramente interna » si possono<br />

dare diverse definizioni. La Corte infatti, in un altro caso (Corte CE, 16 novembre<br />

1995, C-152/94, Openbaar Ministerie c. Geert Van Buynder), ha ravvisato una situazione puramente<br />

interna anche nella situazione di un soggetto che si vedeva applicare da parte del<br />

proprio Stato una normativa più severa rispetto a quella applicata, da un’altra normativa<br />

statale, ad un soggetto nella medesima situazione. È palese in questo caso la non rilevanza<br />

comunitaria della situazione: si tratta di una discrepanza di legislazioni nazionali, senza alcun<br />

rilievo comunitario.


SAGGI 967<br />

Estendere l’efficacia dell’art. 12 Tratt. CE a situazioni non rilevanti per<br />

l’ordinamento comunitario comporterebbe infatti uno straripamento delle<br />

competenze comunitarie in settori di pertinenza nazionale.<br />

Il problema riguarda piuttosto – come i casi sopra esaminati evidenziano<br />

chiaramente – la definizione di « situazione puramente interna ».<br />

Essa viene fornita dalla Corte in negativo, e ricavata tramite la delimitazione<br />

delle competenze comunitarie: laddove una situazione non sia regolata<br />

dal diritto comunitario, la stessa si considera « situazione puramente<br />

interna », va ritenuta assolutamente irrilevante per il diritto comunitario<br />

e, di conseguenza, ricade sotto il potere d’imperio del legislatore nazionale.<br />

Tale definizione non appare però soddisfacente in tutti quei casi in cui<br />

c’è una sovrapposizione di competenze tra norme comunitarie e norme<br />

statali, situazione che si può verificare spesso in quanto il riparto di competenze<br />

tra i due ordinamenti ha natura essenzialmente funzionale. Esistono<br />

infatti situazioni ambigue, in cui l’intervento della Corte si rende<br />

necessario, o perché è dubbia ( 10 ) la natura meramente interna della situazione<br />

oggetto della causa in corso, o perché il giudice nazionale palesa la<br />

necessità di ottenere un’interpretazione conforme delle norme comunitarie,<br />

nel momento in cui tali norme siano applicabili anche a situazioni interne<br />

equiparabili ( 11 ).<br />

( 10 ) Cfr., ex multis, Corte CE, 23 ottobre 2001, C-510/99, Tridon, concernente un divieto<br />

opposto dalla normativa francese al commercio di esemplari volatili nati in cattività considerato<br />

contrario al diritto comunitario perché concernente non solo gli scambi all’interno<br />

del territorio nazionale ma anche quelli comunitari. Il divieto, considerato dalla Francia legittimo<br />

e necessario perché « nessun sistema di controllo sarebbe atto a scoraggiare in modo<br />

efficace le frodi che consistano nel far passare uova o uccelli prelevati in natura per uova<br />

deposte in cattività o uccelli nati e allevati in detto contesto », è stato invece considerato<br />

eccessivo a detta della Corte, in quanto « risulta che l’obiettivo di tutela di questi ultimi –<br />

cioè esemplari di volatili importati da altri Stati membri –, come previsto dall’art. 15 del regolamento<br />

n. 3626/82 o dall’art. 36 CE, può essere raggiunto in modo altrettanto efficace<br />

tramite misure meno restrittive degli scambi intracomunitari. »<br />

( 11 ) Crf., ex multis, Corte CE, 6 giugno 2000, C-281/98 Angonese, in cui la Corte ha ritenuto<br />

che « l’art. 39 Tratt. CE osta a che un datore di lavoro obblighi i candidati ad un concorso<br />

ai fini di assunzione a comprovare le loro cognizioni linguistiche esclusivamente mediante<br />

un unico diploma, rilasciato in una sola provincia di uno Stato membro ».<br />

La questione pregiudiziale verteva sull’obbligo, posto dalla Cassa di Risparmio di Bolzano<br />

per partecipare ad un concorso ai fini dell’assegnazione di un posto di lavoro presso<br />

detto istituto, di possedere un attestato di bilinguismo, rilasciato unicamente nella provincia<br />

di Bolzano al termine di un esame, e l’impossibilità di produrre altri documenti a prova<br />

del proprio bilinguismo. Tale esame è considerato una prassi per i cittadini residenti nella


968 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Proseguiamo ora l’analisi della questione della discriminazione « a rovescio<br />

» con un approfondimento su un recente caso che – per quanto riguarda<br />

l’Italia – può considerarsi emblematico della situazione che si genera<br />

in ipotesi di « discriminazione a rovescio »: si tratta del caso Fiore<br />

Rossini ( 12 ).<br />

Questo caso riguarda – tra l’altro – attività amministrative di competenza<br />

delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura<br />

relative ad attività regolamentate ( 13 ), sulla base della legge n. 580 del 29<br />

dicembre 1993.<br />

Il sig. Fiore Rossini ha presentato alla Camera di Commercio di Belluno<br />

domanda per ottenere l’iscrizione al Registro degli Esercenti il Commercio<br />

previsto dalla l. n. 246 dell’11 giugno 1971 ai fini della somministrazione<br />

al pubblico di bevande e alimenti; egli sosteneva – in particolare<br />

provincia di Bolzano, considerato normale tappa per una formazione professionale. Il sig.<br />

Angonese, cittadino italiano perfettamente bilingue, residente nella provincia di Bolzano,<br />

non era in possesso del predetto attestato e perciò si era visto rifiutare l’accesso al concorso.<br />

Per questo motivo, egli ricorreva al Pretore di Bolzano perché dichiarasse la nullità della<br />

clausola che richiedeva il possesso dell’attestato ai fini dell’accesso al concorso e condannasse<br />

alle spese la Cassa di Risparmio. Il Pretore di Bolzano, perciò, sospendeva il processo<br />

e rimetteva la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendo se fosse da considerare<br />

compatibile con l’art. 39 CE l’obbligo di possedere l’attestato di cui sopra. La Corte,<br />

dopo aver chiarito che l’art. 39 CE vale non solo come obbligo per gli Stati membri ma<br />

anche nei confronti dei privati, compresi i rapporti regolati dai contratti collettivi, ha rilevato<br />

la contrarietà di tale obbligo con il diritto comunitario, non tanto con l’art. 12 CE (non vi<br />

è alcuna discriminazione basata sulla nazionalità) quanto appunto con l’art. 39 CE, in<br />

quanto la richiesta di un attestato difficilmente conseguibile da cittadini non residenti nella<br />

provincia di Bolzano risulta discriminatoria nei confronti dei non residenti e quindi ostacola<br />

in maniera eccessiva, rendendo praticamente impossibile la candidatura al concorso di<br />

non cittadini bolzanesi, peraltro spesso perfettamente bilingui, la libera circolazione all’interno<br />

della Comunità.<br />

In questo caso quindi, pur trattandosi di situazione puramente interna, in quanto il sig.<br />

Angonese era cittadino italiano residente nella provincia di Bolzano, la Corte è intervenuta<br />

per censurare la richiesta della Cassa di Risparmio, in quanto idonea ad ostacolare la libera<br />

circolazione delle persone.<br />

( 12 ) Detto caso non è giunto all’attenzione della Corte di Giustizia in quanto, a seguito<br />

di ricorso dell’interessato al Presidente della Giunta Regionale del Veneto, la non applicazione<br />

del diritto interno è seguita ad un provvedimento amministrativo nazionale.<br />

( 13 ) Ricordiamo che, ai fini che qui interessano, per « attività professionali regolamentate<br />

» si intendono sia attività il cui esercizio è giuridicamente subordinato al possesso di diplomi,<br />

certificati o similari attestati di competenza formali; sia attività cui si può accedere liberamente,<br />

ma per cui è necessario un titolo riservato a coloro che soddisfano talune condizioni<br />

necessarie per la qualifica.


SAGGI 969<br />

– di essere già in possesso dei requisiti necessari in quanto aveva esercitato<br />

l’attività di gelataio in Germania in modo indipendente per più di tre<br />

anni consecutivi.<br />

La Camera di Commercio ha respinto la domanda, ritenendo invece<br />

che – in quanto cittadino italiano – egli dovesse superare il prescritto esame<br />

per ottenere l’iscrizione al R.E.C.; il sig. Rossini ha presentato quindi<br />

ricorso al Presidente della Giunta regionale del Veneto ritenendo le previsioni<br />

legislative nazionali incompatibili con il diritto comunitario.<br />

Il principio del mutuo riconoscimento è stato trasposto nell’ambito<br />

dei titoli professionali e dei diplomi superiori con le direttive 89/48 CEE e<br />

92/51 CEE, poi modificate dalla direttiva 99/42 CE, « che istituisce un meccanismo<br />

di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate<br />

dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie<br />

e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche ».<br />

A grandi linee, l’atteggiamento del diritto comunitario, quanto alla disciplina<br />

dell’accesso a questo settore di attività regolamentate, può essere<br />

così sintetizzato:<br />

– riconoscimento automatico dei diplomi, certificati e altre qualifiche<br />

formali abilitanti all’attività interessata e acquisiti in un altro Stato membro<br />

(salvo tirocinio o prova attitudinale integrativa prevista dalle altre due<br />

direttive precedenti già citate);<br />

– riconoscimento automatico delle esperienze professionali maturate<br />

nei Paesi di provenienza per periodi stabiliti dalla stessa direttiva, comprovanti<br />

la capacità e le attitudini generali o specifiche eventualmente richieste<br />

nel Paese ospitante per l’esercizio di quella determinata attività regolamentata;<br />

– riconoscimento dei documenti delle Autorità competenti dei Paesi<br />

di origine o di dichiarazioni giurate dell’istante, relativi al possesso di requisiti<br />

di onorabilità e/o di non precedente sottoposizione a fallimento,<br />

ove richiesti come requisiti.<br />

In riferimento alle esperienze professionali maturate, tali periodi lavorativi<br />

sono di per sé rilevanti e sufficienti e gli Stati membri non possono<br />

esigere dai prestatori di attività di altri Paesi membri ulteriori requisiti pari<br />

a quelli richiesti ai prestatori nazionali per poter esercitare la loro attività.<br />

La precedente attività professionale svolta in un Paese membro (la cittadinanza<br />

è indifferente, potendo il prestatore essere anche cittadino dello<br />

Stato presso cui fa istanza e aver maturato un’esperienza professionale<br />

all’estero all’interno della Comunità, come nel caso del sig. Fiore Rossini:<br />

quest’ultimo dettaglio rende infatti la situazione di rilevanza comunita-


970 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ria), una volta comprovata, dà titolo all’istante di ottenere l’iscrizione in<br />

eventuali registri che siano richiesti in altri Paesi.<br />

Nel caso di specie, la Regione Veneto ha fatto applicazione della normativa<br />

comunitaria, annullando la decisione dell’ente camerale bellunese<br />

e permettendo l’iscrizione immediata del sig. Rossini al R.E.C.<br />

La decisione ha sollevato perplessità e timori, ravvisandosi nella descritta<br />

situazione pericoli di una sorta di « invasione » di professionisti comunitari,<br />

ma era quasi scontata: uno dei capisaldi del diritto comunitario,<br />

infatti, è che ogni normativa nazionale che risulti incompatibile con il diritto<br />

comunitario non deve essere applicata da alcuna autorità pubblica<br />

statale, regionale o locale, senza dover attendere alcuna declaratoria di incostituzionalità<br />

o interventi legislativi ad hoc ( 14 ).<br />

Sulla normativa nazionale restrittiva è prevalsa pertanto la disciplina<br />

comunitaria, dettata nel caso specifico dall’art. 4 della direttiva 99/42 CE,<br />

( 14 ) Su questo punto, la giurisprudenza della Corte è sempre stata chiara: valga su tutte<br />

la nota sentenza Corte CE, 9 marzo 1978, causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello<br />

Stato c. Simmenthal. La Corte ha dichiarato che « in forza del principio di preminenza del<br />

diritto comunitario. . . qualsiasi giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza,<br />

ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo<br />

attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge<br />

interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria; è quindi incompatibile con le<br />

esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario qualsiasi disposizione facente<br />

parte dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi legislativa, amministrativa<br />

o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario<br />

per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il<br />

potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare<br />

le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme<br />

di diritto comunitario. . . il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della<br />

propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena<br />

efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione<br />

contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o<br />

attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale<br />

».<br />

È seguita poi un’altra sentenza storica, che ha interessato tra l’altro il nostro Paese: è la<br />

sentenza Corte CE, 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo c. Comune di Milano. In<br />

questo frangente la Corte ha affermato che « in linea di principio ogni Stato membro conserva<br />

la facoltà di modificare una normativa di recepimento legittimamente emanata per<br />

l’attuazione di una direttiva nella misura in cui il contenuto della normativa rientra nell’ambito<br />

fissato dalla direttiva stessa » ma « in caso di incompatibilità delle disposizioni di<br />

recepimento con la direttiva, l’amministrazione è legittimata e. . . anche obbligata a disapplicare<br />

il diritto interno statale ». Qui si faceva riferimento alla facoltà concessa ad un’amministrazione<br />

comunale di disapplicare una normativa nazionale relativa agli appalti in<br />

contrasto con una direttiva del Consiglio.


SAGGI 971<br />

che al punto 6 prendeva in considerazione la precedente attività professionale<br />

svolta (precisamente « per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo<br />

o in qualità di dirigente d’azienda »), in uno Stato membro diverso da<br />

quello in cui si fa richiesta di riconoscimento della precedente attività.<br />

La normativa italiana deteriore non è comunque da considerare abrogata<br />

perché in contrasto con il diritto comunitario; ove sia collegata a situazioni<br />

di rilevanza comunitaria, va semplicemente non applicata in quel<br />

caso concreto.<br />

4. – Abbiamo sino ad ora inquadrato il problema delle discriminazioni<br />

«a rovescio » in un’ottica sostanziale, individuando le situazioni di fatto<br />

che possono dare origine alle stesse; ma se in merito alla definizione del<br />

problema e delle sue possibili origini sussiste una certa comunanza di visioni<br />

altrettanto non può dirsi riguardo ai possibili rimedi di natura giudiziaria.<br />

A seconda infatti che si decida di accogliere la tesi della rilevanza comunitaria<br />

o della rilevanza puramente interna di ciascuna situazione giuridica,<br />

muta di pari passo anche l’organo giurisdizionale cui fare riferimento<br />

e le norme da utilizzare nel relativo giudizio di eguaglianza.<br />

L’atteggiamento della Corte di Giustizia nei confronti delle discriminazioni<br />

« a rovescio » causate dall’incidenza del diritto comunitario in un<br />

ordinamento interno di uno Stato membro, è di sostanziale disinteresse.<br />

Tale indifferenza deriva innanzitutto dal carattere delle situazioni oggetto<br />

di tali trattamenti discriminatori, cioè di « situazioni puramente interne »,<br />

la cui disciplina non si rivela in alcun modo funzionale al raggiungimento<br />

degli scopi del Trattato e quindi non giustifica l’intervento di un organo<br />

comunitario; anzi, un’ingerenza da parte della Comunità in queste situazioni<br />

comporterebbe un’invasione di campo in materie che sono di competenza<br />

esclusiva del legislatore, e più in generale, di ciascun singolo nazionale.<br />

La Corte ha chiarito la sua posizione in merito a questo problema in<br />

più sentenze riconoscendo, con una giurisprudenza univoca e costante, la<br />

prevalenza del diritto comunitario sulle normative interne compatibili:<br />

l’ingresso della normativa comunitaria in un ordinamento statale sovrano,<br />

quale quello degli Stati membri, non provoca però un’abrogazione delle<br />

norme statali incompatibili.<br />

Se l’ingresso della normativa comunitaria producesse ipso iure un effetto<br />

abrogativo della normativa interna confliggente, si verrebbe a creare<br />

un vuoto normativo non sanabile a livello giurisdizionale: infatti, la normativa<br />

comunitaria non potrebbe venire applicata dal giudice, in quanto


972 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

non contemplante situazioni puramente interne. D’altro canto, il giudice<br />

interno non potrebbe nemmeno sostituirsi al legislatore nazionale, prevedendo<br />

una disciplina per le situazioni interne di sua iniziativa. Perciò è<br />

stato previsto lo strumento della « non applicazione » del diritto interno solo<br />

per la parte in cui esso andava a disciplinare situazioni che ora invece<br />

sono sottoposte alla normativa comunitaria. La norma nazionale quindi,<br />

al di fuori del campo di applicazione della disciplina comunitaria, si<br />

« espande » nuovamente, disciplinando le situazioni che esulano dalla sfera<br />

applicativa del diritto comunitario. Per questo motivo quindi, si vengono<br />

a creare divergenze tra la disciplina dei cittadini comunitari, provenienti<br />

da altri Paesi, sottoposti alla normativa comunitaria, e quella interna<br />

prevista per i cittadini, e tollerata dal diritto comunitario, divergenze<br />

che prendono appunto il nome di discriminazioni « a rovescio ».<br />

Tale atteggiamento di indifferenza verso queste situazioni è stato più<br />

volte ribadito dalla Corte, non solo indirettamente attraverso pronunce di<br />

carattere generale come quelle sopra ricordate, ma anche in maniera esplicita:<br />

possiamo ricordare a tale proposito la sentenza del 17 luglio 1997 ( 15 ).<br />

La decisione fa riferimento ad una normativa olandese che prevedeva<br />

un trattamento fiscale particolarmente favorevole, stabilito da un regolamento<br />

comunitario per le operazioni di concentrazione di imprese aventi<br />

sede in nazioni comunitarie diverse. Tale normativa veniva in esame per<br />

verificare se essa potesse applicarsi anche alle operazioni poste in essere<br />

da imprese nazionali. Il giudice interno, in dubbio sull’interpretazione di<br />

tale normativa interna, ha proposto questione pregiudiziale alla Corte.<br />

Quest’ultima, pur non potendo pronunciarsi in merito a normative interne<br />

come prescritto all’art. 234 Tratt. CE, tuttavia ha accettato di interpretare<br />

le norme comunitarie contenute nel regolamento cui la normativa interna<br />

rimandava.<br />

Al paragrafo 15 infatti chiarisce che «se le questioni sollevate dai giudici<br />

nazionali vertono sull’interpretazione di una norma di diritto comunitario,<br />

la Corte è in linea di principio tenuta a pronunciarsi. Infatti non risulta dal<br />

dettato dell’art. 177 (ora 234 Tratt. CE) né dalle finalità del procedimento<br />

istituito da questo articolo che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre<br />

alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su di una norma comunitaria<br />

nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro<br />

rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le norme da appli-<br />

( 15 ) Corte CE, 17 luglio 1997, causa C-28/95, A. Leur-Bloem c. Inspecteur der Belastingdiest<br />

c. Ondernemingen Amsterdam 2.


SAGGI 973<br />

care ad una situazione puramente interna a detto Stato »; al paragrafo 22,<br />

poi, ribadisce che « è interesse dell’ordinamento comunitario stesso conservare<br />

un’interpretazione conforme delle sue norme ».<br />

Perciò, « la Corte è competente ad interpretare il diritto comunitario qualora<br />

quest’ultimo non disciplini direttamente la situazione di cui è causa, ma<br />

il legislatore nazionale abbia deciso, all’atto della trasposizione in diritto nazionale<br />

delle disposizioni di una direttiva, di applicare lo stesso trattamento<br />

alle situazioni puramente interne e a quelle disciplinate dalla direttiva, di<br />

modo che ha modellato la sua normativa nazionale sul diritto comunitario ».<br />

Al di fuori di questa ipotesi, peraltro, la Corte ha continuato a mantenere<br />

un atteggiamento di sostanziale indifferenza verso tali situazioni di discriminazione<br />

« a rovescio ».<br />

5. – La Corte di Giustizia ha riconfermato l’orientamento sopra riportato<br />

nella sentenza del 7 novembre 2000 ( 16 ), decisione che riveste particolare<br />

interesse per gli esercenti le professioni forensi.<br />

Tale caso riguarda le difficoltà nelle quali sono incorsi alcuni Stati<br />

membri, tra cui appunto il Lussemburgo che ha proposto ricorso, nell’adozione<br />

della direttiva 98/5 CE sul diritto di stabilimento degli avvocati.<br />

Si deve innanzitutto osservare che la direttiva in esame rappresenta<br />

« l’ultimo anello di questo lento e lungo processo di armonizzazione legislativa<br />

[. . .], recante regole uniformi volte a facilitare l’esercizio permanente delle<br />

professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata<br />

acquisita la relativa qualifica » ( 17 ). Tale direttiva permette all’avvocato stabilito<br />

per tre anni consecutivi nello Stato ospitante di far uso, accanto al<br />

proprio titolo professionale originario, anche di quello del paese ospitante;<br />

questo a patto che soddisfi le condizioni previste dalla direttiva ( 18 ).<br />

( 16 ) Corte CE, 7 novembre 2000, causa C-168/98, Granducato del Lussemburgo c. Parlamento<br />

Europeo e Consiglio dell’Unione Europea, tratto da Corriere giur., 2001.<br />

( 17 ) Bastianon, Il diritto di stabilimento degli avvocati al vaglio della Corte di Giustizia, in<br />

Corriere giur., 2001, p. 319, a commento della sentenza di cui si discute.<br />

( 18 ) « Articolo 5 Campo di attività<br />

1. Salvo i paragrafi 2 e 3, l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine<br />

svolge le stesse attività professionali dell’avvocato che esercita con il corrispondente titolo<br />

professionale dello Stato membro ospitante, e può, in particolare, offrire consulenza legale sul<br />

diritto del proprio Stato membro d’origine, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e<br />

sul diritto dello Stato membro ospitante. Esso rispetta comunque le norme di procedura applicabili<br />

dinanzi alle giurisdizioni nazionali.<br />

2. Gli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a redigere sul<br />

loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la


974 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Ai fini della presente analisi conviene soffermare l’attenzione sul primo<br />

motivo proposto dal Lussemburgo relativo all’asserita introduzione di<br />

disparità di trattamento tra avvocati nazionali e avvocati migranti. Il Lussemburgo<br />

lamentava – in particolare – la possibilità per gli avvocati migranti<br />

di esercitare la professione nello Stato membro ospitante a prescindere<br />

da qualsiasi obbligo di formazione preliminare relativa al diritto di<br />

tale Stato e senza alcuna possibilità di verifica; infatti, l’avvocato migrante<br />

una volta stabilito può offrire consulenza legale anche sul diritto dello<br />

Stato membro ospitante, ed in tal modo viene assimilato al suo omologo<br />

nazionale ex art. 43 Tratt. CE comma 2° . È palese allora la creazione della<br />

classica ipotesi di discriminazione « a rovescio » in danno di tutti i cittadini<br />

dello Stato membro ospitante, lamentata appunto dal Lussemburgo,<br />

oltre ad altre doglianze relative alla qualità del servizio offerto e alla tutela<br />

dei consumatori.<br />

La risposta della Corte di Giustizia è stata quanto mai prevedibile; essa<br />

« si trincera dietro un assoluto – e poco condivisibile – silenzio » ( 19 ).<br />

L’Avvocato generale ha comunque esaminato l’obiezione, pur ribadendo<br />

comunque ed ancora una volta, la posizione dell’ordinamento comunitario:<br />

« posto che le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione<br />

delle persone non trovano applicazione in caso di situazioni puramente<br />

interne, l’avvocato nazionale che non ha mai esercitato il proprio diritto alla<br />

libera circolazione non può invocare il diritto comunitario al fine di impedire<br />

che il proprio Stato di origine riservi agli avvocati migranti un trattamento più<br />

favorevole ».<br />

Ad avviso della Corte, inoltre, le doglianze del Lussemburgo non colgono<br />

nel segno in quanto trascurano il fatto che l’art. 12 Tratt. CE impone<br />

soltanto di non trattare in modo diverso situazioni analoghe: pertanto, se<br />

costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati<br />

a professioni diverse da quella dell’avvocato, possono escludere da queste attività l’avvocato<br />

che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi ultimi Stati membri.<br />

3. Per l’esercizio delle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un cliente in<br />

giudizio e nella misura in cui il proprio diritto riservi tali attività agli avvocati che esercitano<br />

con un titolo professionale dello Stato membro ospitante, quest’ultimo può imporre agli avvocati<br />

che ivi esercitano con il proprio titolo professionale di origine di agire di concerto con un avvocato<br />

che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile<br />

nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un « avoué » patrocinante dinanzi ad essa.<br />

Ciononostante, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, gli Stati membri possono<br />

stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati<br />

».<br />

( 19 ) V. Bastianon, op. e loc. citt.


SAGGI 975<br />

le fattispecie oggetto di disciplina non sono analoghe, l’eventuale esistenza<br />

di una disparità di trattamento non può essere censurata per violazione<br />

del principio di non discriminazione. Nel caso in esame, infatti, la Corte<br />

non ha condiviso l’assimilazione operata dal Lussemburgo tra l’avvocato<br />

migrante e quello nazionale.<br />

Questa impostazione non può tuttavia essere condivisa: se infatti da<br />

un punto di vista teorico il ragionamento è ineccepibile, da un punto di vista<br />

pratico le differenze tra le due figure di professionisti posti a confronto<br />

ritenute così macroscopicamente evidenti dalla Corte non sono poi così<br />

evidenti. Gli obblighi e le limitazioni (previsti dalla direttiva nei confronti<br />

dell’avvocato stabilito) cui si àncora la tesi della Corte, infatti, sono<br />

solo eventuali e posti a discrezione dello Stato membro o in base ad<br />

obiettive necessità (ad esempio, se l’avvocato migrante è cittadino di uno<br />

Stato membro, nel quale l’esercizio di attività di redazione di atti o amministrazione<br />

di beni di defunti etc. è riservato ad altri professionisti, tale attività<br />

gli può essere preclusa nello Stato membro ospitante).<br />

Il ricorso del Lussemburgo non avrebbe potuto comunque trovare accoglimento.<br />

L’impostazione di fondo del ragionamento della Corte secondo<br />

cui il principio di non discriminazione non può mai trovare applicazione<br />

nel caso di situazioni puramente interne può infatti essere considerata<br />

un principio acquisito dalla giurisprudenza comunitaria. Tale affermazione<br />

sarebbe stata sufficiente per respingere il ricorso, invece di intraprendere<br />

una strada tortuosa quale quella dell’assenza di analogia tra avvocato<br />

nazionale e avvocato migrante, che abbiamo visto non essere poi così certa.<br />

Anzi, un’eventuale analogia avrebbe portato all’affermazione di un<br />

principio di armonizzazione legislativo, seppur ad opera di una direttiva:<br />

in presenza di un’armonizzazione la Corte non avrebbe potuto declinare<br />

la sua competenza, dovendo quindi pronunciarsi necessariamente.<br />

6. – Più di recente, nell’ordinanza del 5 aprile 2004 ( 20 ), a seguito di rinvio<br />

pregiudiziale del TAR Veneto, sull’interpretazione della direttiva<br />

85/384 CEE sul reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli<br />

del settore dell’architettura, la Corte ha sottolineato che né il principio<br />

della parità di trattamento, né la direttiva citata incidono sulla normativa<br />

nazionale che, riguardo le situazioni puramente interne, « riconosce in linea<br />

di principio l’equivalenza dei titoli di architetto e di ingegnere civile, ma<br />

( 20 ) Corte CE, 5 aprile 2004, causa C-3/02, Mosconi and Ordine degli Ingegneri di Verona<br />

e Provincia.


976 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

riserva ai soli architetti i lavori riguardanti in particolare gli immobili vincolati<br />

appartenenti al patrimonio artistico » ( 21 ).<br />

Ulteriori spunti di riflessione possono trarsi dall’ordinanza di rinvio<br />

datata 18 gennaio 2005, pervenuta nella cancelleria della Corte di Giustizia<br />

delle Comunità europee il 30 giugno 2005 e, alla data di redazione del<br />

presente contributo, non ancora risolta con sentenza; in questa sede il<br />

Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:<br />

« se ai sensi degli artt. 10 e 11 della Direttiva CE 10 giugno 1985, n. 384<br />

siano da ritenere equipollenti per l’Italia le lauree di architettura e di ingegneria<br />

civile rilasciate da Università e Istituti universitari italiani, nel senso<br />

che i laureati in ingegneria civile muniti della relativa abilitazione siano ammessi<br />

ad esercitare la professione di architetto e quindi a svolgere tutti i compiti<br />

e gli incarichi che eventuali norme interne dello Stato abbiano riservato<br />

alla competenza professionale dell’architetto; ovvero, se le norme di cui ai citati<br />

artt. 10, 11 abbiano solo equiparato le due lauree (in architettura e ingegneria<br />

civile) nel senso che entrambe consentano di accedere alla professione<br />

di architetto previo superamento dello specifico esame di abilitazione all’esercizio<br />

della professione di architetto ».<br />

Di recente, la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente<br />

in merito alla direttiva 89/48 CEE.<br />

Più precisamente, nella causa C-141/04 (Peros c. Technicko Epimelitirio<br />

Ellados) ( 22 ), essa è stata adita in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato<br />

greco in merito ad una controversia circa il rigetto opposto dall’Ordine nazionale<br />

greco degli ingegneri meccanici presentata da un cittadino ellenico<br />

laureato ed abilitato all’esercizio della medesima professione in Germania.<br />

Le questioni pregiudiziali presentate erano due: la prima concerneva<br />

le disposizioni della direttiva 89/48 CEE, per le quali si chiedeva se fossero<br />

incondizionate e sufficientemente precise da poter essere invocate da<br />

un singolo cittadino dinanzi ad uno Stato membro. In caso di risposta negativa,<br />

si chiedeva se l’organo della pubblica amministrazione, autorizzato<br />

da legge nazionale a concedere l’abilitazione per poter esercitare la professione<br />

al di fuori del Paese di origine, tenuto conto degli artt. 39 Tratt.<br />

CE e 43 Tratt. CE, potesse subordinare l’accoglimento della richiesta al riconoscimento<br />

dell’equivalenza accademica del titolo e previo superamen-<br />

( 21 ) Vedi Castellaneta, Vietata la « discriminazione a rovescio », in Il Sole-24 Ore, Dossier<br />

5, maggio 2005, p. 81.<br />

( 22 ) Corte CE, 14 luglio 2005, C-141/04, Peros c. Technicko Epimelitirio Ellados.


SAGGI 977<br />

to dell’esame previsto oppure se fosse tenuto a raffrontare esso stesso le<br />

competenze attestate dal titolo presentato e le conoscenze e le qualifiche<br />

richieste, eventualmente esonerando, in caso di esito positivo, l’interessato<br />

dall’obbligo di superare l’esame.<br />

La Corte, nella sentenza di cui si discute, si è pronunciata solo sulla<br />

prima questione pregiudiziale.<br />

Innanzitutto, essa ha ribadito ancora una volta il contenuto della direttiva<br />

89/48 CEE, con particolare riferimento all’art. 3, comma 1°, lett.<br />

a), il quale dispone che « l’autorità competente dello Stato membro ospitante<br />

non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza<br />

di qualifiche, l’accesso ad una professione regolamentata o il suo esercizio,<br />

alle stesse condizioni applicate ai propri cittadini se il richiedente possiede il<br />

diploma, prescritto in un altro Stato membro per l’accesso a questa professione<br />

o per l’esercizio sul suo territorio e se tale diploma è stato ottenuto in<br />

un altro Stato membro », precisando che tale articolo, applicabile alla vicenda<br />

di cui era causa, è « una disposizione dal contenuto incondizionato e<br />

sufficientemente preciso perché i singoli possano farla valere dinanzi al giudice<br />

nazionale nei confronti dello Stato qualora quest’ultimo abbia omesso<br />

di recepire la direttiva nel diritto nazionale entro i termini prescritti », come<br />

ribadito peraltro dalla sentenza Corte CE, 29 aprile 2004, causa C-102/02,<br />

Beuttenmuller. Ribadisce inoltre il principio per il quale uno Stato membro<br />

non può opporre al singolo la mancata trasposizione della direttiva,<br />

come risulta, nella giurisprudenza recente, dalle sentenze Corte CE, 10<br />

settembre 2002, causa C-141/01, Confindustria e altri c. Commissione e<br />

Corte CE, 6 novembre 2003, causa 45/01, Dornier ( 23 ).<br />

Perciò, « in mancanza di misure di trasposizione adottate entro il termine<br />

prescritto dall’art. 12 della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48<br />

CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione<br />

superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima<br />

di tre anni, nella versione vigente fino al 31 luglio 2001 – data di adozione<br />

della direttiva 2001/14CE –, un cittadino di uno Stato membro può fondarsi<br />

sull’art. 3 primo comma lettera a) di tale direttiva per ottenere, nello<br />

Stato membro ospitante, l’abilitazione ad esercitare una professione regolamentata<br />

quale quella di ingegnere meccanico. Tale possibilità non può essere<br />

( 23 ) E come ribadito dalla più tradizionale giurisprudenza in tema di « effetto diretto »<br />

delle direttive – Corte CE cit. supra, 22 giugno 1989, causa 103/88, F.lli Costanzo c. Comune<br />

di Milano e Corte CE, 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn c. Home Office – e di responsabilità<br />

per mancato recepimento della direttiva – Corte CE, 19 novembre 1991, cause riunite<br />

C-6/90 e C-9/90 Francovich e Bonifaci c. Italia –.


978 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

subordinata all’omologazione dei titoli dell’interessato da parte delle autorità<br />

nazionali competenti ».<br />

Quello che interessa sottolineare di questa sentenza è il fatto che i<br />

principi dell’efficacia diretta delle direttive incondizionate e complete e<br />

della responsabilità dello Stato verso il cittadino nel caso di mancato recepimento<br />

di una direttiva siano stati solennemente dichiarati riguardo la<br />

direttiva 89/48 CEE, che rappresenta la pietra miliare su cui si basa tutto<br />

il sistema di riconoscimento dei diplomi e delle qualifiche.<br />

I trattamenti discriminatori cui si è fatto cenno non sempre vanno a<br />

discapito dei cittadini stranieri: ed è quanto si verifica, ad esempio, nel caso<br />

dei lettori di lingua straniera. Accade spesso – infatti – che la regola del<br />

trattamento nazionale finisca con l’operare in danno ai cittadini nazionali,<br />

i quali, nell’ipotesi in cui decidano di continuare ad esercitare l’attività nel<br />

proprio Paese d’origine, si vedono spesso riservare, dal proprio Paese, un<br />

trattamento discriminatorio e peggiorativo rispetto ai cittadini comunitari<br />

provenienti da altri Stati membri.<br />

Da questa carrellata di pronunce, risulta chiara dunque l’impostazione<br />

di fondo della Corte di Giustizia di fronte alle discriminazioni « a rovescio<br />

»: declinando la propria competenza, la Corte ha sempre esortato l’intervento<br />

nazionale, sia a livello legislativo con interventi normativi di armonizzazione,<br />

sia a livello giurisdizionale, con riferimento ai principi interni.<br />

7. – Mentre la Corte di Giustizia ha sempre impostato i rapporti con gli<br />

ordinamenti statali in senso monistico, la Corte costituzionale ha da sempre<br />

opposto la tesi dualistica per la quale il diritto interno e il diritto comunitario<br />

fanno parte di « sistemi giuridici autonomi e distinti, anche se<br />

coordinati secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal<br />

Trattato stesso » ( 24 ).<br />

Nonostante ciò, con gli anni la Corte si è sostanzialmente allineata alle<br />

pronunce della Corte di Giustizia, riconoscendo il primato del diritto<br />

comunitario ( 25 ) e l’applicabilità diretta delle sue fonti ( 26 ), in forza della<br />

( 24 ) Così Corte cost., sentenza n. 183 del 1973, meglio conosciuta come sentenza Frontini.<br />

( 25 ) Come risulta dalla sentenza n. 183 del 1973, nella quale la Corte riconosce esplicitamente<br />

il primato del diritto comunitario nell’ordinamento italiano in forza della legittimazione<br />

data alle limitazioni di sovranità dall’art. 11 Cost. e la diretta applicabilità delle<br />

norme di diritto comunitario. L’ingresso nel sistema delle fonti da parte del diritto comunitario,<br />

cui è riconosciuto il primato sulle altre fonti, comporta quindi che esso possa derogare<br />

alle norme costituzionali interne, seppur entro certi limiti (teoria dei controlimiti).<br />

( 26 ) Vedi sentenza Corte cost. n. 170 del 1984 (Granital), dove la Corte si allinea sostan-


SAGGI 979<br />

quale le norme nazionali confliggenti con le norme comunitarie non vanno<br />

applicate ( 27, 28 ), senza però mai abbandonare l’impostazione di fondo<br />

dualistica, che ha sempre rappresentato e rappresenta tuttora un caposaldo<br />

della nostra Corte a difesa della sovranità dell’ordinamento nazionale.<br />

In questo modo la Corte costituzionale ha potuto conseguire contestualmente<br />

due risultati di indubbia importanza: da una parte infatti si è allineata<br />

alle posizioni della Corte di Giustizia, dall’altra, ha evitato che la<br />

giurisprudenza del giudice comunitario si sovrapponesse alla propria,<br />

dando origine ad un conflitto tra le due Corti che pare, allo stato, difficilmente<br />

sanabile ( 29 ).<br />

8. – Nell’ambito di applicazione del principio di uguaglianza c’è stato<br />

un allineamento, verificatosi in altre rare occasioni, tra le pronunce della<br />

Corte costituzionale e quelle della Corte di Giustizia. È emblematico che<br />

proprio in questo settore le due Corti abbiano tentato di instaurare un<br />

dialogo, in quanto il principio di uguaglianza è per definizione stessa un<br />

principio trasversale. Esso è peraltro uno di quei principi che, pur avendo<br />

zialmente a quanto detto dalla Corte di Giustizia nella sentenza Simmenthal cit. (vedi supra).<br />

In essa la Corte costituzionale afferma che le norme poste dai regolamenti comunitari<br />

« sono, invero, immediatamente applicate nel territorio italiano per forza propria. Esse<br />

non devono, né possono essere riprodotte o trasformate in corrispondenti disposizioni dell’ordinamento<br />

nazionale. La distinzione fra il nostro ordinamento e quello delle Comunità<br />

comporta poi che la normativa in discorso non entra a far parte del diritto interno, né viene<br />

per alcun verso soggetta al regime disposto per le leggi (e gli atti aventi forza di legge) dello<br />

Stato.<br />

( 27 ) Nella sentenza n. 168 del 1991 la Corte costituzionale ha chiarito che è preferibile<br />

parlare di « non applicazione »della norma interna configgente con quella comunitaria piuttosto<br />

che di « disapplicazione », la quale «evoca i vizi della norma in realtà non esistenti in ragione<br />

dell’autonomia dei due ordinamenti ».<br />

( 28 ) Con la sentenza n. 113 del 1985, la Corte costituzionale ha ribadito l’obbligo di non<br />

applicare la norma interna senza aspettare l’esito di una pronuncia di costituzionalità, cui la<br />

Corte stessa ha rinunciato.<br />

È palese che, pur partendo da presupposti diversi, Corte di Giustizia e Corte costituzionale<br />

sono arrivati alle stesse conclusioni: come afferma la Corte di Giustizia, nella nota<br />

sentenza « La Pergola », « quel che importa è che col giudice comunitario si possa convenire nel<br />

senso che alla normativa derivante dal Trattato [. . .] va assicurata diretta ed ininterrotta efficacia:<br />

e basta questo per concordare sul principio secondo cui il regolamento comunitario è sempre<br />

e subito applicato dal giudice italiano, pur in presenza di configgenti disposizioni delle legge<br />

interna ».<br />

( 29 ) Vedi Salmoni, La Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia delle Comunità Europee<br />

– relazione al Convegno annuale dell’Associazione « Gruppo di Pisa » La Corte e le Corti,<br />

tenutosi a Catanzaro nel giugno 2002, in corso di pubblicazione.


980 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

la stesso nomen, viene tutelato in maniera diversa a seconda dell’ordinamento<br />

nel quale è inserito. Nell’ordinamento comunitario, infatti, esso si<br />

manifesta nel principio di non discriminazione e attribuisce un vero e proprio<br />

diritto all’uguaglianza, cioè a non essere trattato in maniera discriminatoria.<br />

Tale diritto però è finalizzato al perseguimento delle esigenze della<br />

libera concorrenza e del mercato unico: mira quindi a ristabilire l’uguaglianza<br />

(trattare in modo uguale situazioni uguali etc.), a prescindere però<br />

da un’indagine sulla ratio della disciplina posta.<br />

Al contrario, a livello statuale, in Italia il principio di uguaglianza ha la<br />

caratteristica valenza universale conferitagli dalle solenni parole dell’art. 3<br />

della Costituzione ( 30 ) che prevede (al comma 1°) una uguaglianza di fondo<br />

tra tutti i cittadini specificando poi (al comma 2°) il concetto di uguaglianza<br />

sostanziale, in base alla quale si valuta la ragionevolezza di eventuali<br />

situazioni discriminatorie provvedendo alla loro rimozione qualora<br />

non risultino giustificate.<br />

È allora chiara la diversa considerazione che riceve il principio di<br />

uguaglianza nell’ordinamento italiano rispetto a quello comunitario. La<br />

portata dell’art. 3 Cost. è di gran lunga superiore rispetto a quella dell’art.<br />

12 Tratt. CE. Inoltre, mentre nel diritto comunitario il principio di non discriminazione<br />

è di natura strettamente funzionale e agisce come diritto<br />

azionabile dalla parte lesa nel foro comunitario, l’art. 3 Cost. agisce come<br />

garanzia di coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative. Quindi, ancor<br />

prima di essere parametro di legittimità per valutare talune discipline<br />

discriminatorie o presunte tali, il principio di uguaglianza interno ispira il<br />

legislatore nelle sue scelte di politica normativa, assicurando appunto la<br />

coerenza e la non discriminatorietà del sistema normativo interno.<br />

La giurisprudenza della Corte costituzionale manifesta tuttavia una<br />

sorta di « dipendenza » dalle decisioni della Corte di Giustizia, soprattutto<br />

nella definizione del principio di uguaglianza e nelle sue applicazioni.<br />

Esaminiamo ora tre sentenze della Suprema Corte, fondamentali per<br />

ricostruire l’atteggiamento della nostra giurisprudenza costituzionale di<br />

fronte al problema delle discriminazioni « a rovescio ».<br />

9. – La Corte di Giustizia, di fronte situazioni puramente interne, ha<br />

caldeggiato l’intervento dell’interprete interno per dirimere la questione,<br />

ed eventualmente del legislatore per adeguare la normativa interna.<br />

( 30 ) « Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione<br />

di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politiche, di condizioni personali<br />

e sociali ».


SAGGI 981<br />

La nostra Corte, adeguandosi alla via indicata dai Giudici del Lussemburgo,<br />

ha emanato tre sentenze che hanno costituito la base di discussione<br />

sul tema delle discriminazioni « a rovescio », per quanto le conclusioni<br />

di ciascuna differiscano profondamente le une dalle altre.<br />

– Sentenza n. 249 del 1995 (cd. « sentenza del caso dei lettori »)<br />

La vicenda dei lettori di lingua straniera impiegati nelle Università italiane<br />

è stata più volte affrontata sia dalla Corte di Giustizia che dalla Corte<br />

Costituzionale.<br />

Il primo rinvio pregiudiziale al foro comunitario interessava tutti i lettori<br />

di lingua madre straniera appartenenti alla Comunità e riguardava la<br />

compatibilità con il diritto comunitario dell’art. 28 del d.p.r. n. 382 del 1980,<br />

il quale prevedeva che le università italiane potevano assumere lettori di<br />

madre lingua straniera mediante contratti privati di lavoro per un periodo<br />

non superiore all’anno accademico ed erano rinnovabili per un massimo di<br />

cinque anni. Secondo la tesi dell’avvocatura generale tale disposizione era<br />

in contrasto con l’art. 48 (ora 39 Tratt. CE) e con l’art. 6 (ora 12 Tratt. CE),<br />

in quanto discriminava i cittadini comunitari rispetto agli omologhi lavoratori<br />

italiani, per i quali c’era la possibilità di stipulare contratti a tempo indeterminato.<br />

La disciplina in esame, anche se applicabile indistintamente,<br />

era di fatto discriminatoria in base alla nazionalità del lettore, in quanto<br />

ben il 75% dei lettori di lingua straniera impiegati nelle università italiane<br />

risultava avere cittadinanza straniera comunitaria. L’articolo in questione<br />

quindi operava una discriminazione dissimulata, vietata dal Trattato. La<br />

Corte di Giustizia nella sentenza del 30 maggio 1989 ( 31 ) dichiarò che la limitazione<br />

posta dalla normativa italiana alla durata del rapporto di lavoro<br />

dei lettori finiva, di fatto, per discriminare i lavoratori cittadini di altri Stati,<br />

palesemente in contrasto con l’art. 48 (ora 39 Tratt. CE) comma 2° .<br />

La Corte costituzionale si pronunciò anch’essa in merito al problema:<br />

nella sentenza n. 55 del 1989 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del<br />

meccanismo di rinnovabilità annuale (di per sé legittimo) oltre il quinquennio.<br />

Riguardo invece al termine annuale, essa lo ha ritenuto compatibile<br />

con la Costituzione « in quanto lo scopo e il contenuto che ne formano<br />

oggetto configurano una specialità del rapporto che giustifica le eccezioni portate<br />

dalla disciplina impugnata in base ai principi in tema di apposizione di<br />

termine al contratto di lavoro ».<br />

( 31 ) Corte CE, 30 maggio 1989, causa 33/88, Alluè e altri c. Università degli Studi di Venezia.


982 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

La Corte di Giustizia è intervenuta nuovamente sul punto, con la sentenza<br />

del 2 agosto 1993 ( 32 ) per chiarire che sia il termine annuale che<br />

quello quinquennale sono in contrasto con il diritto comunitario, in<br />

quanto discriminazione dissimulata; essa ha poi precisato che « il diritto<br />

comunitario non osta a che uno Stato membro stipuli contratti di lavoro termine,<br />

qualora risulti che le esigenze specifiche di insegnamento non eccedano<br />

tale termine, ma impone che le normative nazionali dispongano la stipulazione<br />

di contratti a tempo indeterminato con i predetti lettori quando siano<br />

destinati a soddisfare esigenze costanti inerenti l’insegnamento ».<br />

Si è venuta a creare così una situazione anomala. La decisione della<br />

Corte comunitaria incideva infatti sul regime applicabile ai lettori di madre<br />

lingua straniera appartenenti alla Comunità mentre ai lettori extracomunitari<br />

continuava invece ad essere applicato il regime previsto dall’art.<br />

28 del d.p.r. 382 del 1980.<br />

Perciò, con ordinanza del 4 ottobre 1994 il Pretore di Trento sollevava<br />

questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 del d.p.r. 382/80 per<br />

contrasto con gli articoli 3 e 10 della Costituzione. In quest’ordinanza si<br />

sosteneva che la disparità di trattamento tra lettori comunitari, per i quali<br />

il termine annuale non trovava più applicazione, e lettori extracomunitari,<br />

per i quali invece continuava ad avere effetto quella disciplina,<br />

fosse in contrasto con l’art. 3 Cost. e con l’art. 10 Cost., in quanto violerebbe<br />

la Convenzione n. 143 del 1975 dell’Organizzazione internazionale<br />

per il lavoro, nella quale gli Stati aderenti, tra cui l’Italia, si obbligano<br />

a garantire ai lavoratori migranti parità di condizioni rispetto a quelli nazionali<br />

( 33 ).<br />

La Corte costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile e nel<br />

farlo, ha richiamato la precedente sentenza della Corte di Giustizia (2 agosto<br />

1992, cit.) estendendone la portata anche ai cittadini italiani lettori di<br />

madrelingua straniera, in quanto cittadini dell’Unione. Di conseguenza,<br />

in forza della garanzia di parità di trattamento ai lavoratori extracomunitari<br />

ex art. 1 l. 943/86, tale trattamento va riservato anche ai lettori di madrelingua<br />

straniera extracomunitari.<br />

La Corte ha basato dunque la sua decisione su una precedente sentenza<br />

della Corte di Giustizia, estendendone la portata sulla base del fatto<br />

che « la connessione della situazione interna con una situazione contemplata<br />

( 32 ) Corte CE, 2 agosto 1993, cause riunite C-259/91, 331/91 e 332/91, Allué e altri c. Università<br />

degli studi di Venezia e altri.<br />

( 33 ) Cfr. Morante, Il trattamento da riservare ai lettori di lingua madre straniera, in Diritto<br />

comunitario e degli scambi internazionali, Milano, 1996, pp. 595-597.


dal diritto comunitario sussiste anche nell’ipotesi, che appunto ricorre nella<br />

specie, di identità, per contenuto e funzione, della situazione interna ad una<br />

situazione rilevante per il diritto comunitario, in quanto determinata, nel territorio<br />

dello Stato italiano, dall’esercizio del diritto della libera circolazione<br />

dei lavoratori all’interno della Comunità ».<br />

Come si nota, il problema della discriminazione « a rovescio » è stato<br />

trattato solo marginalmente: la Corte respinge la questione di costituzionalità,<br />

ma nel farlo compie un’operazione fino ad allora mai intrapresa e<br />

peraltro mai più ripetuta nel futuro estendendo la portata del diritto comunitario<br />

a situazioni puramente interne, dichiarando che sarebbe stato<br />

contrario al principio di non discriminazione sancito nel Trattato una disparità<br />

di trattamento tra lettori comunitari e lettori italiani, cui sono<br />

equiparati quelli extracomunitari. Essa ha valutato quindi una norma nazionale<br />

con un parametro comunitario, dichiarando non compatibile col<br />

principio comunitario di uguaglianza una disparità di trattamento, facendo<br />

di fatto equivalere due situazioni che invece sono invece del tutto differenti.<br />

Questo ampliamento della sfera di azione della sentenza comunitaria<br />

ha determinato, insieme ad altre sentenze della nostra Corte (nelle quali<br />

si legittimava il diritto comunitario a modificare il quadro costituzionale<br />

di attribuzione di competenze Stato-Regioni) ( 34 ), la possibilità di valutare<br />

la norme interne alla stregua del diritto comunitario, elevando perciò<br />

quest’ultimo a parametro di costituzionalità e facendo così scricchiolare<br />

l’impianto della costruzione dualistica dei rapporti Comunità-Stato italiano<br />

da parte della Corte costituzionale. Se infatti il dualismo fosse effettivamente<br />

la giusta definizione di tali rapporti, allora non ci sarebbe alcuna<br />

possibilità per una norma esterna di ergersi a parametro di costituzionalità.<br />

Il principio di diritto espresso in questa pronuncia, peraltro, non è stato<br />

utilizzato nella giurisprudenza successiva, come subito vedremo.<br />

– Sentenza n. 61 del 1996 ( 35 )<br />

SAGGI 983<br />

Il caso in esame prende le mosse da una questione di legittimità costituzionale<br />

sollevata dal Pretore di Monza in relazione all’art. 5 del r.d. 27<br />

novembre 1933 n. 1578, per un’asserita discriminazione tra i procuratori le-<br />

( 34 ) Vedi Corte cost. n. 384 del 1994 e n. 94 del 1995.<br />

( 35 ) Analisi supportata da Danovi, Sulla limitazione territoriale dell’attività di procuratore<br />

legale, in Giur. cost., 1996, p. 427.


984 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

gali italiani e gli avvocati comunitari. Questi ultimi infatti, in base alla direttiva<br />

77/249 CEE potevano svolgere la professione forense in Italia senza<br />

alcuna limitazione territoriale, mentre i procuratori legali italiani dovevano<br />

esercitare il ministero difensivo soltanto davanti al distretto nel cui<br />

albo sono iscritti, a pena di nullità dell’attività processuale. Tale situazione,<br />

a detta del giudice a quo, « darebbe luogo ad una irragionevole discriminazione<br />

in danno dei professionisti italiani, in violazione dell’art. 3 Cost., in<br />

quanto se l’avvocato straniero si ritiene idoneo ad agire in tutto il territorio<br />

senza nocumento né per l’interesse individuale del cliente ad un corretto svolgimento<br />

del diritto di azione e di difesa, né per l’interesse generale all’ordinato<br />

svolgimento dell’attività processuale, non si vedono ragioni che giustifichino<br />

l’attuale limitazione territoriale dell’attività dei procuratori italiani ».<br />

La Corte ha ritenuto la questione infondata, in quanto le situazioni<br />

poste a raffronto non erano omogenee, in quanto da una parte si trovavano<br />

i procuratori italiani, dall’altra gli avvocati comunitari prestatori di servizi,<br />

non equiparabili in alcun modo.<br />

Così facendo, la Corte ha evitato di pronunciarsi in merito al reale<br />

problema della discriminazione « a rovescio » a danno dei professionisti<br />

italiani. Al di là dei formalismi lessicali, in realtà una discriminazione esisteva:<br />

infatti, proprio in quel periodo andava sempre più affievolendosi la<br />

differenza tra avvocato e procuratore, che negli anni seguenti verrà definitivamente,<br />

quanto giustamente, abolita.<br />

Inoltre, la direttiva cui faceva riferimento la stessa Corte era riferibile<br />

solamente agli avvocati prestatori di servizi, quindi ai professionisti occasionali:<br />

era paradossale che l’avvocato prestatore occasionale non subisse<br />

alcuna limitazione territoriale, a detta della Corte stessa invece posta « a<br />

garanzia di una più razionale disciplina dell’esercizio del diritto di difesa<br />

»( 36 ), che, appunto per questo motivo, era invece necessaria in caso di<br />

esercizio dell’attività da parte del procuratore italiano.<br />

Appare chiaro che in realtà le situazioni poste a confronto nella sentenza<br />

in esame erano realmente assimilabili: non si vede infatti la differenza<br />

tra un avvocato che presta occasionalmente la sua prestazione al di<br />

fuori del proprio Stato, e quella del procuratore italiano che, occasionalmente,<br />

vuol prestare la propria attività di rappresentanza al di fuori del<br />

proprio distretto. Anzi, se l’avvocato comunitario può prestare la sua opera<br />

senza limitazioni territoriali in Italia, a maggior ragione sarà irragionevole<br />

continuare a limitare l’attività del procuratore.<br />

( 36 ) Corte cost., 30 marzo 1977, n. 54.


SAGGI 985<br />

Di fatto, tale problema non ha più modo di esistere, in quanto da un<br />

lato è scomparsa la distinzione tra procuratore e avvocato e dall’altra, « il<br />

requisito della residenza è ormai privo di rilevanza, atteso che esso non rappresenta<br />

più un requisito indispensabile ai fini dell’esercizio della professione<br />

forense, non solo per gli avvocati cittadini di altri Stati membri, bensì anche<br />

per gli avvocati italiani » ( 37 ).<br />

Ad ogni modo, la Corte ha perso ancora una volta un’occasione per<br />

intervenire in maniera creativa e mettere fine ad una palese situazione di<br />

discriminazione « a rovescio »: evidentemente, non voleva sostituirsi ad<br />

un legislatore ancora poco attento ai cambiamenti in atto nel mondo della<br />

professione forense, sempre più integrati, a dispetto della sua tradizionale<br />

disciplina nazionale « protezionistica », riscontrabile in ogni Stato<br />

membro. Certo è che una pronuncia proveniente dal giudice delle leggi<br />

recante una censura di incostituzionalità di una limitazione ormai divenuta<br />

irragionevole avrebbe spronato maggiormente il legislatore italiano rispetto<br />

ad una direttiva comunitaria ( 38 ).<br />

Nella sentenza che andiamo ora a discutere che la Corte affronta in<br />

maniera più diretta il tema delle discriminazioni « a rovescio »: il settore<br />

di riferimento è quello della libera circolazione delle merci, ma le affermazioni<br />

contenute in essa valgono anche in riferimento alle altre libertà<br />

previste dal Trattato.<br />

– Sentenza n. 443 del 1997 (« caso della pasta italiana »)<br />

In quest’occasione è stato richiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi<br />

sulla legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost.,<br />

della legge che elencava gli ingredienti utilizzabili nella pasta alimentare.<br />

La discriminazione colpiva coloro che producevano paste alimentari<br />

in Italia, mentre coloro che importavano in Italia paste alimentari contenenti<br />

elementi diversi da quelli prescritti dalla normativa italiana non subivano<br />

limitazioni di questo genere, in forza del principio della libera circolazione<br />

delle merci. Infatti, era sufficiente che i prodotti importati fossero<br />

conformi alle normative dello Stato membro d’origine.<br />

La difesa si basava sulla disomogeneità delle situazioni poste a con-<br />

( 37 ) Così Ferraro, Avvocati: cronaca di una condanna da tempo annunciata per l’Italia,<br />

in Le nuove frontiere della disciplina della concorrenza e del mercato nell’Unione Europea, a<br />

cura di Caruso e Sico, Torino, 2003.<br />

( 38 ) Cfr. direttiva 98/5 CE, per la quale l’Italia ha subito un ricorso per inadempienza ex<br />

art. 226 CE, come risulta da Corte CE, 7 marzo 2002, causa C-145/99, Commissione c. Italia.


986 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

fronto, in quanto la normativa italiana più severa si applicava a qualsiasi<br />

produttore di pasta ubicato in Italia: la differenza quindi era legata all’ubicazione<br />

dello stabilimento di produzione.<br />

La Corte si pronunciò per l’incostituzionalità della normativa italiana<br />

perché lesiva degli artt. 3 e 41 Cost.<br />

Bisogna ricordare che in proposito la Corte di Giustizia si era già pronunciata<br />

nella sentenza, meglio nota come « Zoni » ( 39 ) sostenendo che « il<br />

diritto comunitario non esige che il legislatore abroghi la legge per quanto attiene<br />

ai produttori di pasta stabiliti sul territorio italiano ». L’ordinamento<br />

comunitario consente allora le discriminazioni « a rovescio », « facoltizzando<br />

il legislatore nazionale a stabilire o mantenere standard di produzione più<br />

restrittivi per gli imprenditori nazionali in relazione all’esigenza di migliorare<br />

la qualità della produzione nazionale o mantenerla conforme alle tradizioni<br />

alimentari interne ».<br />

Ed è proprio su questo aspetto che la Corte Costituzionale compie la<br />

« svolta comunitaria »: infatti, per il giudice delle leggi quello spazio di sovranità<br />

che il diritto comunitario lascia libero allo Stato italiano può non<br />

risolversi in pura autodeterminazione statale o in mera libertà del legislatore<br />

nazionale, ma è destinato ad essere riempito dai principi costituzionali<br />

e, nella materia di cui si tratta, ad essere occupato dal congiunto operare<br />

del principio di uguaglianza e della libertà di iniziativa economica ( 40 ).<br />

« Entra così in gioco il combinato disposto degli articoli 3 e 41, ai sensi del<br />

quale la Corte ritiene ingiustificata la disparità di trattamento tra imprese<br />

nazionali e imprese comunitarie e la supera estendendo anche alle prime il<br />

trattamento che, in forza del diritto comunitario, deve essere assegnato alle<br />

seconde. Quest’ultimo, infatti, costituendo una variabile fissa nello scrutinio<br />

di ragionevolezza della Corte, impedisce che questo possa risolversi nell’alternativa<br />

teoricamente concepibile in ogni operazione di comparazione tra<br />

enunciati normativi. Insomma, poiché non si può estenderla agli stranieri, la<br />

disciplina interna più restrittiva va eliminata anche per i produttori nazionali<br />

» ( 41 ).<br />

Fin qui, il discorso è ineccepibile: la Corte valuta una normativa interna<br />

secondo canoni di costituzionalità interni e una semplice caducazione<br />

di tale disciplina, esortando contestualmente il legislatore ad intervenire.<br />

Invece la Corte va oltre. In assenza di una normativa comunitaria deriva-<br />

( 39 ) Corte CE, 14 luglio 1988, causa 90/86, Criminal proceedings c. Zoni.<br />

( 40 ) Così punto 5 dei Considerando in diritto della sentenza in esame.<br />

( 41 ) Così Guzzetta, Libera circolazione delle merci, principio di uguaglianza e asserita separazione<br />

tra ordinamento comunitario e interno, in Giur. cost., 1997, p. 3919.


SAGGI 987<br />

ta, in grado di armonizzare la regolamentazione del settore, il principio di<br />

non discriminazione tra imprese concorrenti nello stesso mercato opererebbe<br />

come « istanza di adeguamento del diritto interno ai principi stabiliti<br />

nel Trattato agli articoli 30 ss. (ora 28 ss. Tratt. CE) ».<br />

Ma quello che più stupisce è che, secondo la Corte, « ogni limitazione<br />

imposta dalla legislazione nazionale alla fabbricazione e alla commercializzazione<br />

delle paste alimentari nel territorio italiano che non rinvenga nel<br />

Trattato o, più in generale, nel diritto comunitario il proprio fondamento giustificativo<br />

[. . .] si risolve in uno svantaggio competitivo » a danno delle imprese<br />

nazionali.<br />

Perciò, secondo la Corte, la normativa nazionale più restrittiva deve<br />

essere eliminata e sostituita da quella comunitaria, in quanto in contrasto<br />

con il principio di uguaglianza interno e con quello della libera iniziativa<br />

economica. Tale contrasto però potrebbe essere superato se il trattamento<br />

più restrittivo trovasse giustificazione nello stesso diritto comunitario.<br />

Appare chiaro allora che, se le premesse e le conclusioni di questa<br />

pronuncia possono, tutto sommato, ritenersi soddisfacenti in quanto una<br />

normativa nazionale viene giudicata secondo parametri interni e giustamente<br />

viene ritenuta incostituzionale, i passaggi invece per arrivare a tali<br />

risultati sorprendono.<br />

Sorprende soprattutto il fatto che la Corte colga l’occasione delle discriminazioni<br />

« a rovescio » per ribadire l’impostazione dualistica.<br />

Invece, il richiamo stesso allo « spazio lasciato libero allo Stato italiano<br />

» e l’applicazione alle situazioni interne della disciplina comunitaria rivelano<br />

la consapevolezza che né la separazione né la primazia del diritto<br />

comunitario riescono ormai a spiegare compiutamente i rapporti fra i due<br />

ordinamenti. Ambedue le tesi avevano cominciato a perdere credibilità<br />

fin da quando la Corte di Giustizia, rispondendo alle Corti tedesca ed italiana,<br />

si era richiamata alle tradizioni costituzionali comuni. E da allora,<br />

sul terreno cruciale dei diritti fondamentali una rete sempre più fitta di interazioni<br />

fra Corti costituzionali e Corte di Giustizia ha reso inverosimile<br />

il ricorso a qualunque teoria tradizionale di rapporti tra ordinamenti.<br />

Il rapporto di separazione tra gli ordinamenti opera però come base<br />

per la legittimazione di un intervento da parte del giudice interno. Il richiamo<br />

ad altre norme comunitarie dimostra invece come questa impostazione<br />

sia in realtà riduttiva. Lo stesso tentativo che la Corte fa di attribuire<br />

alla Corte di Giustizia l’affermazione che i due ordinamenti sono<br />

separati cade nel vuoto: la Corte di Lussemburgo considera irrilevanti per<br />

il diritto comunitario le situazioni puramente interne perché appartengono<br />

ad un ordinamento diverso ma non in quanto distinto, quanto piutto-


988 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

sto sottordinato e concesso dalle istituzioni comunitarie sovraordinate.<br />

L’estensione della disciplina comunitaria anche a situazioni puramente<br />

interne da parte di un organo giurisdizionale è di per sé problematica:<br />

il compito di armonizzare le legislazioni è un’operazione discrezionale<br />

che spetta al legislatore, non deve essere creazione pretoria.<br />

Il risultato cui ha portato questa pronuncia è notevole: le discriminazioni<br />

« a rovescio » non sono assolutamente un fenomeno tollerabile in<br />

un ordinamento statale sovrano: la loro illegittimità però va sempre valutata<br />

seguendo un metro di giudizio interno, se si vuol continuare a ritenere<br />

che l’ordinamento comunitario è distinto, ancorché integrato con quello<br />

nazionale. Il fatto di dare ingresso ai principi del diritto comunitario attraverso<br />

principi costituzionali non rende il problema meno presente, ma<br />

solo meno visibile.<br />

Perciò, se la Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità di una<br />

normativa discriminatoria a danno di situazioni interne, essa dovrà valutarla<br />

alla stregua del diritto interno, se continua a sostenere la separazione<br />

e l’indipendenza tra gli ordinamenti. Altrimenti, sarà necessario rivedere<br />

il sistema delle fonti e trovare una giusta collocazione del diritto comunitario,<br />

integrandolo pienamente nel nostro sistema costituzionale. Una simile<br />

conclusione non deve essere letta in termini negativi: essa sarà semplicemente<br />

un’ulteriore passo verso quella stretta integrazione che sta alla<br />

base del progetto stesso dell’Unione Europea.<br />

È evidente che allo stato attuale non esistono punti fissi di riferimento<br />

quanto alle modalità di risoluzione dell’empasse delle discriminazioni « a<br />

rovescio »: qualsiasi strada si scelga, i rapporti tra l’ordinamento statale e<br />

comunitario devono essere necessariamente ripensati in un’ottica che<br />

non preveda separazioni.<br />

Il diritto comunitario trova ingresso nel nostro ordinamento per forza<br />

propria o attraverso una normazione nazionale « guidata » dal diritto comunitario<br />

stesso. Esso non può venire giudicato in base ai nostri parametri<br />

interni, a meno che non sia lesivo di principi fondamentali; ma il rischio<br />

che una norma comunitaria sia lesiva di diritti fondamentali propri<br />

di ciascun ordinamento pare alquanto remoto, considerando l’evoluzione<br />

della tutela dei diritti fondamentali apprestata nel foro comunitario.<br />

La circostanza che una normativa comunitaria privilegi una categoria<br />

di soggetti, rendendo in tal modo discriminatoria una disciplina nazionale<br />

precedente, è un fatto fisiologico: aderendo alle Comunità Europee<br />

ogni Stato membro, oltre a rinunciare ad una parte della propria sovranità,<br />

ha anche « sottoscritto » un grande progetto di liberalizzazione dei<br />

mercati, che implica una certa elasticità normativa ed anche ermeneutica.


SAGGI 989<br />

È fondamentale compito del legislatore evitare che tali situazioni si<br />

creino, precedendo l’insorgere del problema risolvendo la situazione, « a<br />

monte », evitando poi di doverlo sistemare, attraverso un’opera giurisprudenziale<br />

aleatoriamente creativa, « a valle », una volta che si sia manifestato.<br />

Ed un primo segnale in tal senso è contenuto nella recente legge comunitaria,<br />

nella quale è stato previsto un vero e proprio divieto di discriminazioni<br />

« a rovescio », imposto al legislatore.<br />

10. – In materia di discriminazioni « a rovescio » è stato recentemente<br />

adottato uno strumento legislativo che, per la prima volta, ha affrontato<br />

questo problema in maniera diretta; il testo a cui si fa riferimento è contenuto<br />

nella legge comunitaria n. 62 del 2005 ( 42 ), in vigore dal 12 maggio<br />

2005.<br />

Tale legge si propone, come di consueto, di adottare entro l’anno tutte<br />

le misure legislative necessarie (in questo caso decreti legislativi) per<br />

adempiere agli obblighi previsti dalle direttive approvate dalle Istituzioni<br />

comunitarie durante il 2004, concernenti principalmente – nella specie –<br />

le materie degli appalti pubblici, tutela del risparmio e poteri della CON-<br />

SOB, reati societari e relative sanzioni penali ed amministrative, aiuti di<br />

Stato, sicurezza dei lavoratori.<br />

Il capo I della legge delega prevede le « disposizioni generali sui procedimenti<br />

per gli adempimenti degli obblighi comunitari »: detta quindi le regole<br />

che il Governo deve seguire nella elaborazione dei decreti legislativi<br />

attuativi delle direttive citate dalla legge stessa.<br />

Ma la maggiore novità, rilevante ai fini della nostra analisi, sta nell’emendamento,<br />

alquanto contestato, proposto in sede di discussione del<br />

progetto in Commissione e qui approvato, diretto nelle intenzioni a porre<br />

rimedio al fenomeno delle discriminazioni « a rovescio ».<br />

Nello specifico, si tratta della lettera h) del primo comma dell’art. 2,<br />

che recita così:<br />

( 42 ) Come previsto dalla legge « La Pergola », n. 86 del 9 marzo 1989, intitolata « Norme<br />

generali sulla partecipazione dell’Italia al processo comunitario e sulle procedure di esecuzione<br />

degli obblighi comunitari », oggi sostituita dalla cosiddetta « legge Buttiglione » n. 4<br />

del 2005. Vi si prevede che entro l’l1 marzo di ogni anno il Governo presenti alle Camere<br />

un progetto di legge comunitaria, contenente le disposizioni occorrenti per dare attuazione,<br />

o assicurare l’applicazione, di regolamenti, direttive e decisioni non ancora eseguite, eventualmente<br />

conferendo delega legislativa al Governo (come nel caso della comunitaria 2004<br />

in esame).


990 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

« Art. 2 (Principi e criteri generali della delega legislativa)<br />

(. . .) h) i decreti legislativi assicurano che sia garantita un’effettiva parità<br />

di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri<br />

dell’Unione europea, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione<br />

possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri ed evitando<br />

l’insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani<br />

nel momento in cui gli stessi sono tenuti a rispettare, con particolare riferimento<br />

ai requisiti richiesti per l’esercizio di attività commerciali e professionali,<br />

una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri<br />

Stati membri ».<br />

Il precetto in questione rientra dunque tra i principi che devono guidare<br />

l’opera del Governo nell’adempimento degli obblighi comunitari attraverso<br />

l’adozione di decreti legislativi, e non è una norma a valenza meramente<br />

programmatica: essa prescrive un ben preciso divieto di discriminazioni<br />

« a rovescio » e rappresenta il primo tentativo di porre rimedio a<br />

questo problema a livello normativo, come è stato prospettato alla fine del<br />

precedente capitolo.<br />

A detta di chi ha proposto l’emendamento ( 43 ), esso trae ispirazione da<br />

due punti ben precisi: uno è dato dalla sentenza n. 443 del 1997, nella quale,<br />

come abbiamo visto, la Corte ha censurato di incostituzionalità per<br />

contrasto con l’art. 3 Cost. la normativa italiana che discriminava i produttori<br />

italiani di pasta; l’altro è invece il caso Fiore Rossini.<br />

È opportuno ribadire in questa conclusione un’affermazione già sottolineata<br />

in premessa, e cioè che il fenomeno delle discriminazioni « a rovescio<br />

» non rappresenta una patologia derivante, di riflesso, dal diritto comunitario<br />

ma un semplice risvolto fisiologico, intrinseco nella stessa dinamica<br />

dei rapporti intercorrenti tra gli ordinamenti statali e quello dell’Unione.<br />

Il fatto stesso che la Corte di giustizia non si ritenga competente<br />

a dirimere le situazioni di disparità che si vengono a creare in seguito<br />

all’applicazione del diritto comunitario nell’ordinamento interno dimostra<br />

che questa non considera illegittime queste situazioni, ma semplicemente<br />

scelte normative che il legislatore nazionale decide di compiere,<br />

senza dover sottostare a principi comunitari ( 44 ).<br />

Il precetto contenuto nella « comunitaria 2005 » rappresenta senza<br />

dubbio una importante svolta innovativa.<br />

Innanzitutto, esso rappresenta il segnale che finalmente il legislatore<br />

( 43 ) Sotirovic, Professioni Ue ad armi pari, in Italia Oggi, 18 dicembre 2004, p. 47.<br />

( 44 ) Cfr. Corte cost. n. 443 del 1997, cit.


SAGGI 991<br />

si è appropriato del problema delle discriminazioni « a rovescio », spostandolo<br />

quindi dal piano giurisdizionale, che implicava un giudizio di legittimità<br />

non sempre agevole, ad un piano di scelta legislativa: conseguentemente,<br />

di opportunità politica. Infatti, come è stato più volte osservato, lo<br />

spazio che il diritto comunitario riserva al legislatore nazionale è lasciato<br />

alla sua discrezionalità, che si risolve in una giudizio di opportunità politica<br />

di una scelta legislativa rispetto ad un’altra.<br />

La collocazione di tale articolo in una legge comunitaria, e specificamente<br />

all’interno dei criteri guida per l’azione del Governo nell’emanazione<br />

dei decreti legislativi, rappresenta la volontà del nostro legislatore di<br />

affrontare la questione delle discriminazioni « a rovescio » come un problema<br />

di sistema, fornendo quindi un criterio generale da seguire, adattandolo<br />

di volta in volta alle esigenze che si presentano nell’adeguamento<br />

del diritto interno.<br />

Il legislatore infatti non ha scelto di imporre una parificazione delle<br />

normative interne rispetto al diritto comunitario, ma ha previsto un indirizzo<br />

generale di «massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni<br />

interne dei vari Stati membri » per « evitare l’insorgere di situazioni discriminatorie<br />

a danno dei cittadini italiani ».<br />

È stato detto che la norma è formulata in maniera debole, nel senso<br />

che il decreto in questione si applica – sia temporalmente sia materialmente<br />

– soltanto alle direttive previste dalla cosiddetta legge comunitaria<br />

per il 2005; i problemi di attuazione rimarrebbero per tutti gli atti di origine<br />

comunitaria – anche precedenti – diversi da quelli citati.<br />

In realtà la formulazione generica della disposizione in oggetto è appunto<br />

funzionale rispetto ad una sua applicazione oltre della stessa legge<br />

comunitaria.<br />

Inoltre, anche se la sua collocazione è impropria, in quanto nelle materie<br />

contemplate dalla comunitaria un tale divieto non può trovare applicazione,<br />

ad essa va comunque riconosciuta una certa valenza, essendo indicativo,<br />

come abbiamo visto, di una presa di coscienza del legislatore<br />

stesso. Il diritto comunitario, una volta entrato nel nostro ordinamento,<br />

trova applicazione nelle materie e nelle situazioni che abbiano rilevanza<br />

comunitaria. Per quanto riguarda invece le situazioni puramente interne,<br />

abbiamo già visto come il legislatore sia libero di scegliere la normativa<br />

che ritiene più opportuna, anche se diversa da quella comunitaria.<br />

La libertà del legislatore non può però ridursi ad una mera scelta discrezionale,<br />

dovendosi mettere l’accento sulla ragionevolezza della diversità<br />

di trattamento riservato ai cittadini nazionali. Il giudizio sulla normativa<br />

nazionale – allora – non deve risolversi più nel vaglio di legitti-


992 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mità costituzionale di fronte al nostro giudice delle leggi, ma in un giudizio<br />

di opportunità politica, che andrà a vedere appunto l’opportunità di<br />

mantenere una normativa interna deteriore per i cittadini italiani o di armonizzare<br />

la propria normativa nazionale con quella degli altri Stati<br />

membri.<br />

È chiaro allora che il diritto comunitario possiede una vis espansiva<br />

che va al di là delle sue stesse intenzioni: anche laddove non vi sia armonizzazione,<br />

provoca una serie di riflessioni che costringono il legislatore<br />

interno ad interrogarsi sulla ragionevolezza della propria normativa deteriore.<br />

In un mercato competitivo come quello comunitario la persistenza<br />

di imposizioni per i cittadini nazionali, che di fatto rendono gravoso l’esercizio<br />

di un’attività professionale, rappresenta uno svantaggio non illegittimo<br />

ma sconveniente per i cittadini stessi. La previsione di uno stimolo<br />

ad armonizzare la propria legislazione a livello normativo costituisce<br />

senza dubbio una svolta innovativa ed è indicativa del fatto che finalmente<br />

ci si è resi conto della necessità di superare vecchie logiche protezionistiche<br />

in nome di un più moderno concetto di armonizzazione.<br />

11. – Per quanto riguarda il campo di applicazione soggettivo dell’articolo<br />

in questione, esso prevede che « sia garantita un’effettiva parità di<br />

trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell’Unione<br />

europea », soprattutto nello svolgimento delle attività professionali<br />

e commerciali.<br />

Tale espressione è stata criticata da un punto di vista tecnico: infatti,<br />

non è chiaro se nell’espressione « attività commerciali e professionali »<br />

siano comprese anche le cosiddette attività ad accesso regolamentato.<br />

Dalla lettera dell’articolo è parso che si riferisse anche ad esse, in<br />

quanto vengono richiamati « i requisiti richiesti per l’esercizio » di tali attività,<br />

che altro non sono se non i requisiti per l’accesso ad esse; tra l’altro è<br />

questo il campo in cui si riscontrano maggiormente le differenze di trattamento,<br />

in particolar modo riguardo i requisiti richiesti per l’esercizio di tali<br />

attività.<br />

Nella maggior parte degli Stati membri, infatti, le attività professionali<br />

e commerciali sono regolamentate attraverso « filtri » di accesso, quali il<br />

superamento di alcune prove attitudinali o il possesso di taluni requisiti<br />

come un diploma specifico o, ancora, l’iscrizione a un albo professionale.<br />

Tali filtri sono posti – almeno idealmente – a tutela della qualità del servizio<br />

reso, che viene così ad essere in un certo qual modo « controllato » a<br />

tutela del consumatore o dell’utente; qualora infatti questo abbia la necessità<br />

di avvalersi di un servizio professionale, ha la garanzia della pro-


SAGGI 993<br />

fessionalità del soggetto che lo rende derivante dal titolo che dovrebbe essere<br />

concesso solo in presenza di determinati requisiti.<br />

Le esigenze di limitare l’accesso a determinate categorie di professionisti<br />

sono in genere puramente interne e variano a discrezione dello Stato<br />

membro. Ad esempio, in Spagna i requisiti per l’accesso alla professione<br />

forense variano moltissimo rispetto, non solo a quelli italiani ma anche<br />

tutti gli altri Stati membri.<br />

Infatti, una volta laureato in giurisprudenza, il cittadino spagnolo diventa<br />

abogado non appena si iscrive in un albo spagnolo: unico requisito<br />

per esercitare è il possesso di una laurea in giurisprudenza, senza alcuna<br />

necessità di pratica legale. Differenze di questo genere tra le legislazioni<br />

nazionali non sono considerate contrarie al Trattato, essendo piuttosto<br />

sintomatiche di una esigenza di armonizzazione a discrezione degli Stati<br />

membri stessi.<br />

Esiste tuttavia un canone ermeneutico diverso per intendere l’espressione<br />

« attività commerciali e professionali »: è stato detto infatti, in un’accezione<br />

più restrittiva, che le professioni regolamentate potrebbero essere<br />

escluse dal raggio di azione della disposizione prevista dall’art. 2 comma<br />

1°, lett. h).<br />

Questo perché nel disciplinarle, gli Stati in realtà avrebbero raggiunto<br />

quel « livello massimo di armonizzazione » che la disposizione si pone come<br />

obiettivo: in questo modo, allora, l’articolo 2, comma 1°, lettera h) potrebbe<br />

essere applicato solo nelle professioni non regolamentate.<br />

In queste professioni infatti in Italia sono previsti obblighi spesso alquanto<br />

pesanti che rendono di fatto gravoso il percorso per ottenere la<br />

qualificazione. In tali materie, come abbiamo visto nel caso Fiore Rossini,<br />

il diritto comunitario opera solo in ipotesi di situazioni intracomunitarie<br />

(rectius: non puramente interne), senza però permettere di imporre misure<br />

compensative, come accade nelle maggior parte delle professioni regolamentate,<br />

e senza poter intervenire in caso di situazioni puramente interne.<br />

Le discriminazioni « a rovescio » che si creano in questi frangenti potrebbero<br />

allora trovare soluzione grazie a questa nuova disposizione.<br />

Questa interpretazione si è sviluppata in seguito alle critiche mosse a<br />

tale divieto di discriminazione « a rovescio » da parte delle associazioni<br />

dei professionisti riuniti in albi, che hanno visto in tale disposizione una<br />

minaccia alla loro organizzazione.<br />

Di fatto il dubbio sollevato dagli albi equivale a chiedersi cosa potrebbe<br />

succedere se in Italia una direttiva comunitaria imponesse la liberalizzazione<br />

di una professione sottoposta invece a livello nazionale ad un regime<br />

più severo, prevedendo, ad esempio la soppressione degli albi professionali.


994 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il Governo, in attuazione di tale direttiva, dovrebbe rendere equivalente<br />

la disciplina interna rispetto a quella riservata ai professionisti comunitari?<br />

Innanzitutto l’iscrizione agli albi, se non è richiesta per i professionisti<br />

prestatori di servizi saltuari, lo è invece per i professionisti che si stabiliscono<br />

e si integrano nel nostro sistema economico (vedi per gli avvocati<br />

ad esempio, direttiva 98/5 CE, nella quale si disciplina lo stabilimento per<br />

i professionisti forensi).<br />

Ad ogni modo, pur facendo rientrare la nozione di professione regolamentata<br />

all’interno del divieto di discriminazioni « a rovescio » contenuto<br />

nella comunitaria 2005, non pare che ci sarebbero, almeno a breve termine,<br />

tutti i rischi di deregulation professionale paventati dalle associazioni<br />

dei professionisti riuniti in albi.<br />

12. – Gli eventuali effetti discriminatori dovuti all’applicazione del diritto<br />

comunitario possono sostanziarsi in una violazione del principio di<br />

uguaglianza interno e in tal caso vanno comunque, di necessità, rimossi.<br />

Il modo di attuazione di tale divieto non è però ben chiaro: la norma<br />

infatti sul punto è alquanto vaga, facendo riferimento solamente alla garanzia,<br />

nell’adozione dei decreti legislativi, del « massimo livello di armonizzazione<br />

possibile tra le legislazioni interne degli Stati membri ».<br />

Il concetto stesso di armonizzazione, peraltro, non è mai stato definito<br />

in precedenza (né tanto meno lo è nella comunitaria 2005) così come<br />

non è stato definito il modo di attuazione di tale armonizzazione: questa<br />

circostanza ha avuto come effetto una interpretazione discrezionale, con<br />

risultati spesso anche difformi nell’attuazione del diritto comunitario all’interno<br />

dei singoli Stati membri.<br />

Nello specifico caso, la legge comunitaria 2005 non indica come possa<br />

essere raggiunta l’armonizzazione, e perciò si possono supporre diverse<br />

possibili vie di realizzazione.<br />

Innanzitutto, l’armonizzazione potrebbe essere realizzata attraverso<br />

un livellamento dei criteri di accesso alle professioni di carattere universale,<br />

tale da prevedere il coordinamento di tutte le legislazioni degli Stati<br />

membri di modo da evitare per il futuro l’insorgere di situazioni di discriminazioni<br />

interne. A parte la difficoltà pratica di realizzare una tale opera<br />

di legislazione « su larga scala », il livellamento creerebbe un appiattimento<br />

della qualità dei servizi, assolutamente non auspicabile: gli Stati membri<br />

più liberali sarebbero ovviamente più restii ad abbandonare le proprie<br />

posizioni « più aperte », mentre quelli più « severi » non riuscirebbero ad<br />

imporre agli altri il loro regime.


SAGGI 995<br />

Altra ipotesi sarebbe quella di estendere automaticamente tutta la<br />

normativa comunitaria anche alle situazioni interne, meccanismo però<br />

che richiede innanzitutto copertura costituzionale, visti i risvolti cui la<br />

sentenza n. 443 del 1997 della nostra Corte Costituzionale ha dato origine.<br />

Un tale impatto del diritto comunitario non è però certo nelle intenzioni<br />

del legislatore comunitario, da sempre volontariamente estraneo alle questioni<br />

interne.<br />

Non rimane che la possibilità, ogni qual volta ci si trovi ad una disciplina<br />

innovativa e più liberale proposta da una direttiva comunitaria, di<br />

operare un confronto tra le situazioni che vanno sottoposte alla direttiva e<br />

quelle che invece ne rimangono escluse. Nel caso le situazioni risultino<br />

comparabili lo Stato potrebbe applicare, anche alle situazioni interne, la<br />

normativa comunitaria, modificando di fatto la disciplina nazionale, in<br />

forza di un generale divieto di discriminazione « a rovescio » che potrebbe<br />

prendere a modello quello previsto dalla comunitaria 2005.<br />

Non va quindi vista in maniera negativa una possibile armonizzazione,<br />

per così dire, « casistica »: essa potrebbe rappresentare finalmente il<br />

superamento di certi limiti, anacronistici e tutto sommato stonati in un<br />

contesto come quello comunitario, che richiede duttilità e coraggio nelle<br />

stesse scelte legislative.<br />

Inoltre, l’armonizzazione non deve essere concepita come un appiattimento<br />

delle professioni, meccanismo che certamente eviterebbe le discriminazioni<br />

« a rovescio » ma azzererebbe tutte le peculiarità proprie delle<br />

professioni « tradizionali », che in ogni Stato variano a seconda della formazione<br />

didattica conseguita.<br />

Il sistema che vige ora, per quanto possa essere continuamente a rischio<br />

di creare discriminazioni, è comunque apprezzabile: il plus introdotto<br />

dalla nuova comunitaria dovrebbe essere letto come un incentivo<br />

ad un livellamento che non sia appiattimento, ma che tenga conto delle<br />

particolarità proprie di ogni Stato, soprattutto in quelle professioni dove la<br />

formazione scolastica varia di Stato in Stato, e altro non può fare se non<br />

attraverso una grande riforma dell’impianto scolastico per rendere queste<br />

professioni più « a misura di Europa ».<br />

Non bisogna poi dimenticare che in ogni caso permane la competenza<br />

della Corte Costituzionale che, in caso di discriminazione « a rovescio »,<br />

potrebbe intervenire censurando di incostituzionalità le norme interne discriminatorie,<br />

ovviamente perché lesive dell’art. 3 Cost.<br />

13. – Il problema delle discriminazioni « a rovescio » è un risvolto fisiologico<br />

intimamente collegato all’impatto che il diritto comunitario ha<br />

all’interno dell’ordinamento nazionale.


996 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

L’indifferenza che la Corte comunitaria ha palesato nel corso degli anni<br />

ha portato l’Italia a tentare di risolvere il problema a livello giurisdizionale;<br />

in tal sede, con lo strumento offerto dal giudizio di legittimità costituzionale,<br />

sono state dichiarate illegittime – perché contrarie al principio<br />

interno di uguaglianza ex art. 3 Cost. – alcune normative interne che venivano<br />

applicate ai cittadini italiani, più severe rispetto a quelle applicate<br />

agli omologhi comunitari (Corte cost. sentenza n. 443 del 1997). Una tale<br />

posizione ha nondimeno fatto sorgere alcuni seri interrogativi, riguardanti<br />

il rapporto tra l’ordinamento comunitario e quello italiano. Da sempre<br />

la Corte costituzionale ha inteso tale rapporto in una visione binaria, di<br />

separazione, ma nel suo giudizio ha di fatto esteso la normativa comunitaria<br />

oltre il suo naturale campo di applicazione, sostituendosi così al legislatore<br />

e mettendo in dubbio la stessa separazione degli ordinamenti, che<br />

andrebbero riletti in un’ottica diversa.<br />

Ad ogni modo, in seguito a questa sentenza e ad altre vicende che<br />

hanno palesato l’inadeguatezza e la scarsa « comunitarizzazione » di alcune<br />

normative italiane, in special modo riguardo le regole di accesso alle<br />

attività professionali e commerciali, è emersa l’esigenza di porre un rimedio<br />

a livello normativo prima che giurisdizionale.<br />

È in questo contesto che è stata approvata la nuova comunitaria, contenente<br />

il divieto di discriminazione « a rovescio » nell’adozione dei decreti<br />

legislativi in attuazione delle direttive comunitarie per il 2004.<br />

Tale innovazione rappresenta un importante passo avanti nell’integrazione<br />

europea; essa costituisce una presa di coscienza del legislatore della<br />

necessità di un suo intervento in materia, il quale si è tradotto in un monito<br />

al Governo per evitare l’insorgere di situazioni discriminatorie a danno<br />

dei professionisti italiani rispetto ai colleghi comunitari, procedendo<br />

anche attraverso un’armonizzazione delle legislazioni.<br />

In realtà, come abbiamo visto, la portata di una possibile armonizzazione<br />

va relativizzata: essa deve comunque operare tendendo conto delle<br />

peculiarità delle singole discipline nazionali e deve essere svolta in maniera<br />

graduale, solo laddove le situazioni poste a confronto siano effettivamente<br />

parificate. Abbiamo già avuto modo di vedere che esiste una differenza<br />

di fondo tra un professionista che è già tale in base alle leggi del proprio<br />

Paese ed esercita già la sua professione e un aspirante professionista<br />

che deve ancora iniziare la professione.<br />

L’invito è quindi da cogliere in senso di rivedere le proprie normative<br />

nazionali e analizzare la ratio sottesa: attraverso un dialogo tra le varie<br />

parti interessate a livello nazionale, si potrà andare a modificare certe normative<br />

limitative dell’accesso alle professioni che sono ormai desuete in


SAGGI 997<br />

quanto il contesto è cambiato. In questi casi allora l’armonizzazione non<br />

sarà solo possibile ma anche auspicabile, non solo per procedere nel cammino<br />

di integrazione europea ma anche per modernizzare le proprie normative<br />

e adeguarle al contesto in cui si inseriscono, per rendere i propri<br />

cittadini più competitivi nel mercato comunitario.<br />

Tuttavia la questione dell’armonizzazione rimane attuale ed aperta. In<br />

questo periodo l’Unione Europea sta attuando precise pressioni – anche<br />

sul nostro Paese – affinché si inietti « una robusta dose di concorrenza nel<br />

campo delle professioni » in quanto questa circostanza « promuoverebbe<br />

maggiore efficienza nei costi, prezzi più bassi, migliore qualità e servizi innovativi<br />

» ( 45 ); questo attraverso l’introduzione di regolamenti più snelli volti<br />

all’eliminazione di barriere all’accesso alle professioni ormai incompatibili<br />

con l’attuale struttura economica e di mercato, e di vincoli tariffari e<br />

divieti di pubblicità che di fatto ostacolano una fisiologica concorrenza.<br />

Sul punto la risposta italiana, in particolare, è stata quanto mai emblematica<br />

del permanere di una diversa percezione della situazione.<br />

Infatti, tra le novità inserite dal regolamento recentemente elaborato<br />

dal sottosegretario all’Istruzione ( 46 ), approvato in data 22 dicembre 2005<br />

dal Consiglio dei Ministri troviamo un ulteriore freno alla « liberalizzazione<br />

», in quanto introduce ulteriori limiti all’accesso di professioni (quali<br />

quella di assistente sociale, biologo, chimico, ingegnere, psicologo) già<br />

oggetto di filtri all’ingresso.<br />

Questa situazione costituisce il più eloquente esempio di come la percezione<br />

delle professioni e delle modalità di esercizio delle stesse sia<br />

profondamente divergente nella coscienza nazionale e nella visione « comunitaria<br />

»; probabilmente il tema delle discriminazioni « a rovescio » e il<br />

riconoscimento di questa problematica a livello legislativo ha costituito il<br />

catalizzatore per portare alla luce un problema che deve essere affrontato<br />

– unitamente alla tematica della riforma degli ordini professionali – a livello<br />

legislativo nazionale in tempi brevi.<br />

( 45 ) Così il Commissario Europeo alla Concorrenza sig.ra Neelie Kroes nel corso di un<br />

seminario sulle professioni organizzato dall’Unione Europea nel mese di novembre 2005.<br />

( 46 ) Si veda a tale proposito De Cesari, ne Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2006.


EUGENIA C. LAURENZA-MIRIAM KOMINARECOVA (*)<br />

Some Reflections from the WTO Mexico –<br />

Telecommunications Dispute<br />

Contents: 1. Introduction. – 2. The WTO Telecommunication Framework. – 2.1. The General<br />

Agreement on Tariffs and Trade and the Annex. – 2.2. The Reference Paper on<br />

Telecommunication Services. – 3. The Telmex Case. – 3.1. Background of the dispute. –<br />

3.2. The Panel Report. – 3.2.1. Interconnection at « Cost Oriented Rates ». – 3.2.2. The<br />

prevention of anticompetitive practices. – 3.2.3. Access and use of public telecommunication<br />

networks. – 4. Lessons from the Telmex Case. – 5. Conclusions.<br />

1. – The Mexico – Telecommunications dispute ( 1 ) (hereinafter « the<br />

Telmex case ») is one of the World Trade Organisation (hereinafter<br />

“WTO”) Dispute Settlement’s rulings with a great impact for governments<br />

and businesses. It is the first WTO Panel decision dealing exclusively<br />

with trade in services and, in particular, with telecommunication<br />

services and related commitments. The Panel’s conclusions cover the interpretation<br />

of Mexico’s commitments under the General Agreement on<br />

Trade in Services, the Reference Paper on Telecommunication Services ( 2 )<br />

and the Annex on Telecommunications ( 3 ) to the WTO General Agreement<br />

on Trade in Services. This case raises a number of considerations relating<br />

to the General Agreement on Trade in Services and the WTO Dispute<br />

Settlement.<br />

The potential reach of the commitments undertaken under the WTO<br />

system through the Panel’s interpretation of cross-border supply of services<br />

was tested in this case. In addition, the Panel report examined the<br />

effectiveness of the additional commitments included in the Reference Paper<br />

on Telecommunication Services as a means of securing the protection<br />

(*) The authors would like to thank their colleagues Fabio Filpo and Paolo Vergano for<br />

their comments and encouragement. The opinions expressed in this article are, however,<br />

the authors’ own.<br />

( 1 ) Mexico – Measures Affecting Telecommunications Services, Panel Report, Document<br />

WT/DS204/R, adopted on June the 1 st 2004.<br />

( 2 ) The Reference Paper on Telecommunication Services is available at the WTO website<br />

under: http://www.wto.org/english/tratop_e/serv_e/telecom_e/tel23_e.htm.<br />

( 3 ) The Annex on Telecommunications is available at the WTO website under:<br />

http://www.wto.org/english/tratop_e/serv_e/12-tel_e.htm.


SAGGI 999<br />

and enforcement of market access and national treatment commitments<br />

included in the GATS Schedules of Specific Commitments. In this respect,<br />

the Panel showed astonishing initiative and incursion into competition<br />

law, and its conclusions have set a precedent with a potentially broad impact<br />

for the negotiations of similar sets of additional commitments in other<br />

services sectors. In general, the Panel’s evaluation of Mexico’s telecommunications<br />

commitments is unlikely to be without consequences for<br />

other services sectors and for the current services negotiations.<br />

Of particular interest is the Panel’s critical appraisal of private companies’<br />

behaviour under principles of competition law. Competition concerns<br />

have been on trade agenda since the negotiations on the creation of<br />

the International Trade Organisation. The Reference Paper on Telecommunication<br />

Services is so far the sole instrument through which certain WTO<br />

Members have undertaken pro-competitive obligations. In one way, this<br />

dispute has highlighted existing tensions between competition and trade<br />

policies and for many it represents a clear sign of the need to address the<br />

matter within a multilateral framework. The Panel’s evaluation of the<br />

competition principles incorporated in the Reference Paper on Telecommunication<br />

Services was not, however, without criticisms.<br />

This article aims at introducing the case and at clarying which consequences<br />

it might lead to. To this end, it will present an overview of the<br />

case offering some material for reflection on the possible impact of the<br />

dispute. Firstly it will provide a brief overview of the WTO Telecommunication<br />

framework. Then main findings of the case will be described in<br />

more detail. Finally, this article will look at few issues raised in this case<br />

and their possible implications.<br />

2. - 2.1. – Under the WTO, services commitments are regulated by the<br />

General Agreement on Trade in Services (hereinafter, « the GATS » or<br />

« the Agreement »). The GATS consists in a framework agreement setting<br />

out certain direct obligations on WTO Members, while specific commitments<br />

are undertaken through successive rounds of negotiations and<br />

framed into the WTO Members’ Schedules of Specific Commitments (hereinafter,<br />

the “Schedule”). The Agreement does not define the concept of<br />

“service” but provides that trade in services occurs when services are supplied<br />

through the so-called « four modes of supply », identified by Article<br />

I. In particular, the scope of the GATS extends those services supplied:<br />

from the territory of one WTO Member to another Member (i.e., mode 1,<br />

cross-border supply), in the territory of one Member to consumers of another<br />

Member (i.e., mode 2, consumption of services abroad), through


1000 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

commercial presence (i.e., mode 3, commercial presence) and through<br />

movement of natural persons of a WTO Member into the territory of another<br />

Member (i.e., mode 4, movement of natural persons) ( 4 ).<br />

Within the GATS certain obligations are directly applicable to WTO<br />

Members, and amongst these, the most-favoured nation treatment and<br />

transparency obligations are of particular relevance. Core commercial<br />

concessions, incorporated by market access and national treatment commitments<br />

are, instead, negotiated by WTO Members, which then transpose<br />

them into their Schedule. Trade liberalisation occurs therefore<br />

through negotiations leading to increased market access and national<br />

treatment commitments, which, together with possible limitations, become<br />

binding upon inclusion in the Schedule.<br />

Commitments in telecommunication services were first negotiated<br />

during the Uruguay Round and, subsequently, within a specially established<br />

Group on Basic Telecommunications. Finally, they were inscribed in<br />

the Forth Protocol to the GATS. The Fourth Protocol, incorporating fiftyfive<br />

Schedules of Commitments and representing sixty-nine countries ( 5 ),<br />

entered into force on 1 January 1998 ( 6 ).<br />

In addition to the general framework provided by the GATS and the<br />

Schedules, the Annex on Telecommunications and the Reference Paper on<br />

Telecommunication Services represent further sources of obligations that,<br />

respectively, WTO Members and signatories of the Reference Paper must<br />

abide by.<br />

The Annex on Telecommunications (hereinafter, « the Annex ») provides<br />

for a set of supplementary provisions dealing with measures affecting the<br />

access to and the use of public telecommunications transport networks<br />

( 4 ) See GATS article I:2, where trade in services is defined as the supply of a service:<br />

(a) «from the territory of one Member into the territory of any other Member;<br />

(b) in the territory of one Member to the service consumer of any other Member;<br />

(c) by a service supplier of one Member, through commercial presence in the territory of any<br />

other Member;<br />

(d) by a service supplier of one Member, through presence of natural persons of a Member<br />

in the territory of any other Member ».<br />

( 5 ) The fifteen EC Member States’ commitments were negotiated and framed in one<br />

single Schedule.<br />

( 6 ) For an overview of the negotiating history of GATS commitments in telecommunications<br />

services see the WTO website, on Telecommunications services, at http://www.wto.<br />

org/english/tratop_e/serv_e/telecom_e/telecom_e.htm. See also Bronckers-Larouche, Telecommunications<br />

Services and The World Trade Organization, Journal of World Trade, 1997,<br />

vol. 31, No. 3, p. 9.


SAGGI 1001<br />

and services. Behind the Annex lies the recognition of the crucial role of<br />

telecommunication services as an infrastructure requirement for the supply<br />

of the other services. The provisions of the Annex are aimed at ensuring<br />

that commitments on other services sectors are not compromised by<br />

the lack of commitments in telecommunication services. The Annex,<br />

rather than providing for additional market access and national treatment<br />

obligations other than the ones already included in the Schedules, supplements<br />

them by obliging WTO Members to ensure that all services suppliers<br />

seeking to take advantage of scheduled commitments in other sectors<br />

are granted access to and use of public basic telecommunications, both<br />

networks and services, on reasonable and non-discriminatory terms. The<br />

principles of the Annex apply whether or not Members have scheduled<br />

commitments in the basic telecommunications sector, because they only<br />

address access to and use of telecommunication services, but not their<br />

supply ( 7 ).<br />

2.2. – To guarantee that scheduled market access commitments are<br />

not impaired by anti-competitive, un-transparent behaviour by incumbent<br />

telecommunications operators, certain WTO Members negotiated<br />

and adopted the Reference Paper on basic Telecommunications (hereinafter,<br />

« the Reference Paper »), attached to the Fourth Protocol of the GATS. The<br />

Reference Paper embodies a set of additional and voluntary commitments<br />

introducing pro-competitive and regulatory principles in the WTO/GATS<br />

telecommunication sector ( 8 ).<br />

The document recognized that market access commitments should be<br />

sheltered from the actions of (former monopolistic) incumbent operators<br />

or other major domestic service suppliers, whose presence largely characterises<br />

telecommunications markets. The underlying principle was to<br />

grant a right of entry to new providers on satisfactory terms ( 9 ).<br />

( 7 ) Krajewski, National Regulation and Trade Liberalization in Services – The Legal Impact<br />

of the General Agreement on Trade in Services (GATS) on National Regulatory Autonomy,<br />

Kluwer Law International, 2003, p. 167. See also WTO website under the Telecommunication<br />

Services page, Explanation of the Annex on telecommunications, http://www.wto.org/english/tratop_e/serv_e/telecom_e/telecom_annex_expl_e.htm.<br />

( 8 ) The Reference Paper is binding for those WTO Members which explicitly include the<br />

paper of parts of it in their Schedule of Commitments. Commitments to the Reference Paper<br />

are inscribed under the column for « additional commitments » under Article XVIII of the<br />

GATS.<br />

( 9 ) Marsden, A Competition Policy for the WTO, Cameron May, 2003, p. 54.


1002 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

The approach followed by the negotiators of the Reference Paper was<br />

to include both pro-competitive and regulatory principles. On pro-competitive<br />

principles, the Reference Paper aimed at providing for safeguards<br />

to secure the effectiveness of market access and foreign investment commitments.<br />

In particular, the Reference Paper protects competition by compelling<br />

Members to prevent major suppliers from engaging in anti-competitive<br />

practices ( 10 ). The text provides examples of anti-competitive practices,<br />

which include – but are not limited to – anti-competitive cross-subsidisation<br />

and the use of information obtained from competitors with anti-competitive<br />

results ( 11 ). The list of examples provided is, therefore, nonexhaustive.<br />

The Reference Paper further promotes competition by requiring<br />

« major suppliers » to provide their competitors with market access by<br />

ensuring that interconnection be provided at any technically feasible<br />

point of the network under non-discriminatory conditions, in a timely<br />

manner and upon request ( 12 ). « Major suppliers » are defined as firms that<br />

possess the ability to materially affect the terms of participation (with regards<br />

to price and supply) in the relevant market for basic telecommunications<br />

services as a result of their control over essential facilities or the<br />

use of their position in the market ( 13 ).<br />

( 10 ) Article 1.1 of the Reference Paper.<br />

( 11 ) In particular, Article 1.2 of the Reference Paper lists, as an example of anti-competitive<br />

practices:<br />

(a) engaging in anti-competitive cross-subsidization;<br />

(b) using information obtained from competitors with anti-competitive results; and<br />

(c) not making available to other services suppliers on a timely basis technical information<br />

about essential facilities and commercially relevant information which are necessary for<br />

them to provide services.<br />

( 12 ) Article 2.2 of the Reference Paper provides that:<br />

«Interconnection with a major supplier will be ensured at any technically feasible point in<br />

the network. Such interconnection is provided.<br />

(a) under non-discriminatory terms, conditions (including technical standards and specifications)<br />

and rates and of a quality no less favourable than that provided for its own like services<br />

or for like services of non-affiliated service suppliers or for its subsidiaries or other affiliates;<br />

(b) in a timely fashion, on terms, conditions (including technical standards and specifications)<br />

and cost-oriented rates that are transparent, reasonable, having regard to economic feasibility,<br />

and sufficiently unbundled so that the supplier need not pay for network components<br />

or facilities that it does not require for the service to be provided; and<br />

(c) upon request, at points in addition to the network termination points offered to the majority<br />

of users, subject to charges that reflect the cost of construction of necessary additional<br />

facilities ».<br />

( 13 ) Reference Paper, under “definitions.”


SAGGI 1003<br />

On the regulatory side, the Reference Paper requires each signatory<br />

country to set up an independent regulator who can secure the proper enforcement<br />

of the pro-competitive and regulatory principles and provide<br />

for adjudication of disputes between operators ( 14 ). In addition, it allows<br />

countries to define and maintain universal service obligations, which are<br />

not be regarded as anti-competitive per se, provided that they are administered<br />

in a transparent, non-discriminatory and competitively neutral<br />

manner, and are not more burdensome than necessary ( 15 ).<br />

The enforcement of the principles is ensured by the link to the WTO<br />

and its Dispute Settlement system. Thus, non-compliance with the commitments<br />

undertaken under the Reference Paper can be challenged<br />

through the WTO Dispute Settlement procedures ( 16 ).<br />

3. - 3.1. – The dispute concerned Mexico’s domestic laws and regulations<br />

on the supply of long distance and international telecommunication<br />

services (the « International Long Distance Rules » issued by the<br />

Federal Telecommunications Commission, hereinafter, « the IDL<br />

Rules »). The dispute between Mexico and the United States began in<br />

1990 after Mexico’s monopoly carrier «Telefonos de Mexico, S.A. de<br />

C.V. », (hereinafter, “Telmex”) was privatized and partnered with the<br />

American telecom provider “Sprint” for the supply of international long<br />

distance telephone services between the two countries. Mexico’s long<br />

distance telephone market opened up to competition on 1997. Prior to<br />

that, long distance and international telecommunications services in<br />

Mexico were supplied on a monopoly basis by Telmex. Since the liberalization<br />

of long distance and international telecommunication services,<br />

Mexico has authorized several companies to provide international services<br />

over their networks.<br />

In particular, Mexican law granted the largest carrier of outgoing calls<br />

to a particular international market the exclusive right to negotiate the<br />

terms and conditions for the termination of international calls in Mexico.<br />

These conditions would then apply to any company carrying calls between<br />

the international market and Mexico. Mexico’s market was then<br />

characterized by 27 carriers supplying long distance services, and among<br />

these two carriers, i.e. Avantel and Alestra, were partly owned by two<br />

American corporations (MCI/WorldCom and AT&T, respectively). Of<br />

( 14 ) Article 5 of the Reference Paper.<br />

( 15 ) Article 3 of the Reference Paper.<br />

( 16 ) See Bronkers-Larouche, supra, p. 23.


1004 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

the 27 concessionaries, 11 were authorised to operate international gateways<br />

and were allowed to carry out incoming and outgoing international<br />

calls ( 17 ).<br />

Mexico’s telecommunication legal framework is provided by the Federal<br />

Telecommunications Law, which, inter alia, establishes a Secretariat<br />

of Communications and Transportation, authorised to grant concessions<br />

for installing, operating or exploiting public telecommunication networks.<br />

Under the IDL Rules, direct interconnection with foreign public<br />

telecommunication networks for international traffic may only be undertaken<br />

by international gateway operators, i.e. long distance services licensees<br />

authorized by the Federal Telecommunications Commission to<br />

interconnect international incoming and outgoing circuits. The law requires<br />

that each international gateway operator apply the same uniform<br />

settlement rate to every long-distance call to or from a given country, regardless<br />

of which operator terminates or originates the call. In addition,<br />

under the principle of « proportionate return », all the incoming calls (or<br />

associated revenues) from a given country have to be distributed between<br />

international gateway operators according to their proportion of outgoing<br />

traffic to that country ( 18 ).<br />

3.2. – In August 2000, the United States requested for consultations<br />

on Mexico’s obligations under the GATS, the Annex and the Reference<br />

Paper, according to the rules and procedures established by the Dispute<br />

Settlement Understanding of the WTO. As consultations did not bring to<br />

any mutually satisfactory solution, on February 2002 the United States requested<br />

the establishment of a panel in order to address the restrictions<br />

imposed by Mexico on international telecommunication services.<br />

The United States argued that Mexico’s telecommunication regime<br />

was preventing the American telecom suppliers from full use of the commitments<br />

undertaken by Mexico in telecommunication services under<br />

the GATS and related instruments. Mexico had scheduled market access,<br />

national treatment and additional commitments under, respectively, the<br />

GATS articles XVI, XVII, and XVIII, including the Reference Paper.<br />

These commitments obliged Mexico, inter alia, to ensure cost-based interconnection,<br />

prevent anti-competitive practices and grant foreign services<br />

suppliers access to Mexican networks.<br />

( 17 ) See Panel Report, at para.2.1 and following, describing the factual aspects of the dispute.<br />

( 18 ) See Panel Report, ibid.


SAGGI 1005<br />

According to the United States, Mexico failed to ensure that Telmex<br />

provided interconnection to the American telecommunication suppliers<br />

on cost-oriented, reasonable rates, terms and conditions, in violation of<br />

Sections 2.1 and 2.2 of the Reference Paper. Furthermore, the United<br />

States claimed that Mexico acted inconsistently with other obligations of<br />

the Reference Paper and the Annex. In particular, at the heart of the United<br />

States’ second argument was the anti-competitive nature of the IDL<br />

Rules, which allowed the creation of a de facto cartel by empowering<br />

Telmex to fix rates for international interconnection on behalf of all suppliers<br />

in the market. The United States claimed that ILD Rules violated<br />

Section 1.1 of the Reference Paper which requires: that «[a]ppropriate measures<br />

shall be maintained for the purposes of preventing suppliers who, alone<br />

or together, are a major supplier from engaging or continuing anti-competitive<br />

practices ». Lastly, the United States claimed that Mexico also failed to ensure<br />

to its telecom suppliers reasonable and non-discriminatory access to<br />

the public telecom networks and services in Mexico, in violation of Sections<br />

5(a) and (b) of the Annex.<br />

3.2.1. – According to Section 2.1 of the Reference Paper, interconnection<br />

is defined as «linking with suppliers providing public telecommunications<br />

transport networks or services in order to allow the users of one supplier<br />

to communicate with users of another supplier and to access services provided<br />

by another supplier, where specific commitments are undertaken » Section<br />

2.2 grants that «interconnection with a major supplier will be ensured at any<br />

technically feasible point in the network », in a timely fashion and under<br />

terms, conditions and rates non-discriminatory, transparent and reasonable.<br />

According to the Unites States, Mexico failed to ensure that Telmex<br />

provided interconnection to suppliers with cost-based rates and on reasonable<br />

terms and conditions. Crucial, for the analysis of this claim, was<br />

evaluating whether Mexico had undertaken these commitments, and this<br />

required an examination of the nature of these services and whether they<br />

were supplied on a cross-border basis or, as Mexico contended, if these<br />

services were merely provided by the American firms up to the Mexican<br />

border and from there supplied by Mexican firms. The distinction was of<br />

particular importance as Mexico committed on cross border market access<br />

( 19 ).<br />

( 19 ) Mexico undertook cross-border market access commitments with the following<br />

limitation: « International traffic must be routed through the facilities of an enterprise


1006 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

The Panel held that the services at stake related to the supply of certain<br />

basic public telecommunication services, i.e. public voice telephony,<br />

circuit switched data transmission and facsimile services ( 20 ). In order to<br />

ascertain whether these services were supplied on a cross-border basis,<br />

the Panel had to analyse whether cross-border supply of services only occurs<br />

if the supplier operates itself, or is present on the other side of the<br />

border, or if cross-border supply only occurs if a supplier simply « hands<br />

off » traffic at the border.<br />

The Panel found that cross-border supply of services should also apply<br />

to situations where the supplier is not present within the territory of the<br />

destination country. The Panel based its argument first on that Article<br />

I:2(a) of the GATS on cross-border supply of services is silent with respect<br />

to the presence of the supplier of the service and found this to be in<br />

« marked contrast » with the definitions of mode 3 and mode 4 provided<br />

by the same article, where mention of the presence of the supplier is<br />

made ( 21 ). The Panel further found that telecommunication services normally<br />

involve linking with another operator to complete the services and<br />

that the presence of the supplier on both ends cannot be a necessary element<br />

for the definition of cross-border supply ( 22 ). So, the Panel concluded,<br />

« a supplier of services under the GATS is no less of a supplier solely<br />

because elements of the service are subcontracted to another firm, or are<br />

carried out with assets owned by another firm. What counts is the service<br />

that the supplier offers and has agreed to supply to a customer » ( 23 ). According<br />

to the Panel then, « cross-border supply » covered a telephone call<br />

originating in one country and terminating in another country, irrespectively<br />

of whether the telecom companies supplying the service had their<br />

own facilities in the other country or made arrangements with the foreign<br />

firms to carry the call from the border to the final destination.<br />

that has a concession granted by the Ministry of Communications and Transport (SCT) »<br />

and concession was defined as the « the granting of title to install, operate or use a facilitiesbased<br />

public telecommunications network » See Mexico’s Schedule, WTO, Document<br />

GATS/SC/56/Suppl.2, 10 April 1997.<br />

( 20 ) In this respect it must be noted that a distinction was made on the basis of Mexico’s<br />

Schedule, between « facilities based » services as those supplied over a telecoms infrastructure<br />

or network owned by the supplier and “non-facilities” based services, delivered<br />

through leased networks or network capacity supplied by a commercial agency. The Panel<br />

further found that Mexico undertook commitments only on a « facilities basis ».<br />

( 21 ) See Panel Report, para. 7.31.<br />

( 22 ) Panel Report, para. 7.40.<br />

( 23 ) Panel Report para. 7.42


SAGGI 1007<br />

The Panel, then, considering whether Mexico’s additional commitments<br />

on interconnection pursuant to Section 2.1 of the Reference Paper<br />

applied to international interconnection or were limited to domestic interconnection,<br />

concluded that international interconnection did not fall outside<br />

the scope of Mexico’s commitments. The Panel based its finding on<br />

the ordinary meaning of the term “linking.” It subsequently determined<br />

that the interconnection obligation was not limited in scope and that the<br />

term did not justify a restricted interpretation of interconnection which<br />

would rule out international interconnection from the scope of the Reference<br />

Paper ( 24 ). Therefore Section 2 of Mexico’s Reference Paper applied to<br />

interconnection of cross-border suppliers of telecommunications services.<br />

The Panel’s next step was then to evaluate whether Mexico had fulfilled<br />

its interconnection commitments with respect to the services at issue.<br />

It firstly and easily determined that Telmex was a major supplier. The<br />

conclusion was based on the fact that the company fulfilled the definition<br />

set out in the Reference Paper by having the ability to materially affect the<br />

terms of participation in the relevant market through its ability to impose<br />

uniform settlement rates on its competitors. The Panel noted that Telmex<br />

had the largest share of the outgoing traffic in every international market<br />

and, under the IDL Rules, it is consequently legally required to negotiate<br />

settlement rates for the entire market for termination of the services at issue<br />

from the Unites States. On whether interconnection rates were costoriented,<br />

the Panel, considering also models that the United States presented<br />

on the calculation incurred in terminating international calls in<br />

Mexico, held that the difference between the costs presented to it and the<br />

settlement rates was unlikely to be within the scope of the regulatory flexibility<br />

allowed by the notion of cost-oriented rates. It concluded that the<br />

overall interconnection rates charged by Telmex were not cost-oriented<br />

within the meaning of Section 2.2 of the Reference Paper as higher than the<br />

costs which were actually incurred in providing the interconnection ( 25 ).<br />

3.2.2. – The United States’ second claim related to anti-competitive<br />

practices. According to the United States, Mexico, rather than taking « appropriate<br />

measures for the purpose of preventing a major supplier to engage<br />

in anti-competitive practices », was maintaining measures that required<br />

Mexican telecommunication operators to adhere to a horizontal<br />

( 24 ) Panel Report, para. 7.117.<br />

( 25 ) Panel Report, paras. 7.203-7.216.


1008 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

price-fixing cartel led by Telmex, Mexico’s major telecommunication company.<br />

The Panel began its assessment from the definition of « major supplier<br />

». It noted that Mexico’s Reference Paper defines anti-competitive practices<br />

as those enacted by « suppliers who, alone or together are a major<br />

supplier ». The Panel observed that Telmex is both alone and together with<br />

other operators a major supplier. Firstly, it is a ‘major supplier’ for its own<br />

ability to affect the terms of participation through the use of its position in<br />

the market. Secondly, as the practices at issue involved also acts of other<br />

Mexican gateway operators, Telmex was a major supplier together with<br />

these latter suppliers.<br />

The Panel’s following step was to examine the meaning of the term of<br />

« anti-competitive practices ». Due to lack of any definition in the Reference<br />

Paper, the Panel looked at the ordinary meaning of the terms “practice”,<br />

“competition” and “competitive.” In line with the definition of these<br />

terms, the Panel interpreted the word “anti-competitive” as « tending to<br />

reduce or discourage competition ». On its own, therefore, the term « anti-competitive<br />

practices » is broad in scope, suggesting actions that<br />

« lessen rivalry or competition in the market ».<br />

As a next step the Panel looked at the meaning of the « anti-competitive<br />

practices » in the context of a Reference Paper. Section 1, paragraph 2<br />

states that these practices «shall include in particular » and further it provides<br />

examples of «anti-competitive practices ». Thus, the Panel concluded<br />

that this list is not exhaustive. The Panel also took the view that the notion<br />

of anti-competitive practices must be read in the light of other legal<br />

instruments, such as national competition laws and the United Nations Set<br />

of Multilaterally Agreed Equitable Principles and Rules for the Control of Restrictive<br />

Business Practices ( 26 ). Moreover, to the extent that both Mexico<br />

and the United States are Members of the Organisation for the Economic<br />

Development and Co-operation (hereinafter, « the OECD »), the definition<br />

of anti-competitive practices must include as well those practices –<br />

notably price fixing cartels and market-sharing agreements – that are already<br />

prohibited by the OECD Council Recommendation Concerning Effective<br />

Action against Hard Core Cartels ( 27 ). Such interpretation led the Pan-<br />

( 26 ) The United Nations Set of Multilaterally Agreed Equitable Principles and Rules for the<br />

Control of Restrictive Business Practices is available at the following website: http://r0.unctad.org/en/subsites/cpolicy/docs/CPSet/rbpc10rev20en.pdf.<br />

( 27 ) The OECD Council Recommendation Concerning Effective Action against Hard Core<br />

Cartels is available at the OECD website under the following link: http://www.oecd.org/


SAGGI 1009<br />

el to conclude that the term « anti-competitive practices » includes practices<br />

in addition to the ones expressively mentioned in the Art. 1.2 of the<br />

Reference Paper, in particular horizontal price fixing and market sharing<br />

agreements.<br />

The next issue the Panel faced was whether practices that required under<br />

a Member’s law could fall within the scope of Art. 1.2 of the Reference<br />

Paper. The Panel rejected Mexico’s arguments that the rules were necessary<br />

in order to increase competition in Mexico. The Panel dismissed<br />

Mexico’s argument according to which if a company is complying with a<br />

specific legislative requirement mandated by Mexican law, the practices<br />

adopted by the company in question would not be considered anti-competitive<br />

in nature and the company be “immunized” from being in violation<br />

of the international law. In support of its findings, the Panel referred<br />

to Article 27 of the Vienna Convention on the Law of Treaties (hereinafter,<br />

« the Vienna Convention »), according to which domestic law<br />

should not be used by Parties signatories as a defence to breaching their<br />

international commitments. The Panel also concluded that international<br />

commitments made under the GATS for the purpose of preventing suppliers<br />

from engaging in, or continuing anti-competitive practices, are designed<br />

to limit the regulatory powers of the WTO Members. The Panel<br />

ruled that the anti-competitive practices can be WTO inconsistent even if<br />

required by law. Finally, it determined that the uniform settlement rates<br />

resulted in a price-fixing mechanism and the proportionate return principle<br />

resulted in a market sharing agreement. According to the Panel, that<br />

implied that Mexican regulation required Mexican operators to engage<br />

into practices that were equivalent to a cartel. Therefore, the Panel held<br />

that Mexico had violated its obligations under the Section 1 of its Reference<br />

Paper.<br />

3.2.3. – The third argument related to Mexico’s alleged violation of<br />

Section 5 of the Annex. The United States claimed, in particular, that<br />

Mexico did not permit interconnection of its suppliers on reasonable<br />

terms and conditions and prohibited altogether access to private leased<br />

circuits, in violation of, respectively, Section 5(a) and Section 5(b). Regarding<br />

the first claimed violation of the Section 5(a), the Panel ruled that<br />

interconnection rates charged to cross-border supplier were indeed “unreasonable.”<br />

The Panel’s finding implies that even those WTO Members<br />

dataoecd/39/4/2350130.pdf#search=%22OECD%20Council%20Recommendation%20Concerning%20Effective%20Action%20against%20Hard%20Core%20Cartels%22.


1010 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

which have not committed to the Reference Paper are still subject to a certain<br />

price discipline (for those telecoms services included in their schedules).<br />

With respect to the alleged violation of Section 5(b), i.e. whether<br />

Mexico allowed the commercially present agencies to have an access and<br />

use to private leased circuits, the Panel agreed again with the United<br />

States. It ruled that Mexican laws prohibiting commercial agencies from<br />

interconnecting directly with the public telecommunications networks of<br />

other countries’ operators for the purpose of carrying international traffic<br />

were inconsistent with the Section 5(b) of the Annex. Mexico’s commitments<br />

under Mode 3 (i.e. commercial presence) allowed commercial<br />

agencies to supply the services at issue. However, the companies wishing<br />

to establish in Mexico had to get the permit, requirement which was impossible<br />

to be met because Mexico did not pass corresponding implementing<br />

regulation. Therefore, the Panel determined that Mexico had effectively<br />

denied its scheduled commitments by the lack of corresponding<br />

government regulation. Thus, Mexico violated the Section 5(b) due to<br />

failure to ensure the access to the companies to private leased circuits and<br />

interconnection with public telecoms networks and services.<br />

4. – The Telmex Panel report has had a mixed reception from academic<br />

and trade operators. All agree on the potential implications that are<br />

not limited to the telecommunication sector but affect other services sectors<br />

and future negotiations.<br />

The telecommunication services sector is an example of a services<br />

sector with very high barriers to entry, regulatory barriers (i.e. licensing<br />

requirements) and the need to access essential facilities owned by incumbents.<br />

It is further a sector in which players’ activities cannot be carried<br />

out in isolation and where a certain degree of regulation to ensure<br />

both competition and the universality of the services is required. Many<br />

other services markets have similar characteristics. Energy services and<br />

postal and courier services are further examples of sectors characterised<br />

by the presence of incumbents and which are, in some countries, heavily<br />

regulated or in the process of re-regulation. It is not, therefore, surprising<br />

that, in the context of the WTO services negotiations, requests for<br />

the adoption of « Reference Papers” similar to the Reference Paper have<br />

been tabled ( 28 ). With specific regard to the postal sector, where a de-<br />

( 28 ) See, for Energy Services, WTO, Document S/CSS/W/24, Communication from the<br />

United States and for Postal and Courier Services WTO, Document TN/S/W/26, Communication<br />

from the European Communities – Postal/Courier: Proposal for a Reference Paper.


SAGGI 1011<br />

tailed proposal for a “Reference Paper » was drafted by the EC along the<br />

lines of the Reference Paper, including reference to anti-competitive practices,<br />

the Telmex case is likely to have a particular impact on the negotiations.<br />

This dispute has tested the real strength of the commitments undertaken<br />

under the Reference Paper, together with the Panel’s ability to<br />

exploit the margins of discretion that broad definitions and non-exhaustive<br />

lists have granted. Regardless of whether the Panel’s interpretation<br />

of anti-competitive practices has gone beyond the scope of the Reference<br />

Paper and Mexico’s actual commitments, this instrument proved, as<br />

such, to be a solid guarantee in securing the protection of the commercial<br />

opportunities agreed to and exchanged through the GATS in the<br />

form of market access and national treatment commitments. In this respect,<br />

the outcome of the case could be twofold: on one side, to lead to<br />

greater caution WTO Members when negotiating commercial concessions<br />

under the shape of market access, national treatments and additional<br />

commitments but at the same time to stimulate the negotiation of<br />

similar additional commitments in other sectors so as to encourage clarity<br />

and regulatory certainty.<br />

The Panel’s interpretation of anti-competitive practices surely represents<br />

one of the most interesting elements of the case. The current international<br />

trade law framework does not provide for any set of rules on<br />

competition law. The absence of such rules is due to the reluctance of<br />

most WTO Members to negotiate a comprehensive agreement on competition<br />

policy under the WTO, as evidenced by at the WTO Ministerial<br />

meeting held Cancun in 2003.<br />

The interaction between trade and competition policies has been extensively<br />

debated inside and outside the WTO Working Group on the Interaction<br />

between Trade and Competition Policies, established by the WTO<br />

Singapore Ministerial Declaration in 1996 ( 29 ). Behind the failure to agree<br />

on a framework and the complete abandonment of the issue lied much<br />

scepticism from both developed and developing countries towards having<br />

WTO Panels ruling on polices that are domestic by nature, and, mostly, in<br />

towards entrusting WTO Panels and the multilateral trading system itself<br />

with the analysis and enforcement of competition principles.<br />

This Panel’s evaluation of Mexico’s anti-competitive actions has<br />

raised much criticism. Some authors heavily criticised the Panel’s competition<br />

analysis and are concerned that WTO panels may create new com-<br />

( 29 ) Singapore Ministerial Declaration, Adopted on 13 December 1996, WTO, Document<br />

WT/MIN(96)/DEC, para. 20.


1012 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

mitments to open markets without negotiators having previously agreed<br />

on them. They argue that the Panel’s interpretation of « constructively<br />

vague » provisions in this case led to findings of obligations and commitments<br />

which were never scheduled. The Panel’s recourse to the Vienna<br />

Convention in support of its interpretative techniques and, subsequently,<br />

to the UNCTAD Set or to the OECD Hard-Core Cartel Recommendation<br />

and the Havana Charter seemed in contrast with other principles of<br />

public international law and the Vienna Convention itself, such as good<br />

faith in the interpretation of the treaty ( 30 ).<br />

Many others share instead the view that the Telmex case certainly<br />

highlighted existing frictions between trade and competition policies and<br />

called for the need to address them through a comprehensive multilateral<br />

agreement ( 31 ) rather than negotiating « Reference Papers » tailored for<br />

specific sectors ( 32 ). In this respect, the ruling is considered an opportunity<br />

to encourage countries to agree on such a framework. Ironically, the<br />

ruling circulated just a few months following the spectacular exclusion of<br />

the Trade and Competition negotiations from the Doha Development<br />

Agenda.<br />

The Panel’s interpretation of cross-border services is also not likely to<br />

remain without consequences. In its statements circulated at the WTO<br />

Dispute Settlement’s Body meeting of 1 June 2004 ( 33 ), Mexico whished<br />

the Panel report not to be used as a reference or a basis for interpreting<br />

WTO services commitments. Mexico regarded the Panel’s interpretation<br />

of cross-border supply « highly problematic ». In particular, Mexico<br />

stressed that the participation of two suppliers providing cross-border services<br />

could not be treated as falling within the scope of mode 1. The Panel’s<br />

appraisal of cross-border supply of services and international interconnection,<br />

could in practice affect a number of countries that may have<br />

undertaken commitments under the WTO, without realising that these<br />

included the supply of telecommunication services that originate in other<br />

( 30 ) Mardsen, WTO decides its first competition case, with disappointing results, Competition<br />

Law insight, p. 8.<br />

( 31 ) Mardsen, ibid, p. 9; Wellenius-Galarza-Guermazi, supra, p. 17; Sharma-Rosychuck,<br />

The Collision of Trade and Competition Law: Assessing the Aftermath of the WTO<br />

Telmex Decision, Tradeweek, Canadian Association of Importers and Exporters, Inc., 2004,<br />

July 15, Vol. 115, No. 17, at www.heenanblaikie.com/en/media/pdfs/pdf/20040625_Sharma.pdf.<br />

( 32 ) Mardsen, ibid.<br />

( 33 ) See WTO, Document WT/DSB/M/170 of 6 July 2004. Please note that Mexico decided<br />

not to appeal the Panel Report in view of the understanding reached with the United<br />

States on the implementation of the Panel’s recommendations.


SAGGI 1013<br />

Members and terminate in their territory ( 34 ). Countries which have undertaken<br />

commitments aimed at liberalising and opening up their services<br />

markets in different services sectors in the hope of attracting investments<br />

could be mostly affected.<br />

5. – The Panel stressed that its findings apply exclusively to the specific<br />

case brought by the Unites States. However it is difficult to believe that<br />

this ruling will remain without any further ramifications. The Panel’s findings<br />

on cross-border commitments are likely to have potential implications<br />

for other services industries, especially the ones involving transmission<br />

services requiring presence of operators on both ends, as well as for<br />

WTO Members’ negotiating approach. In addition, the evaluation of<br />

Mexico’s competition obligations under the Reference Paper is likely to be<br />

discussed at length and the negotiations on the adoption of similar instruments<br />

will benefit from this experience.<br />

The Telmex dispute offers a clear example of the concrete impact of<br />

the multilateral trading system on private business. This impact is of an<br />

indirect nature as under the WTO only governments may resort to the<br />

Dispute Settlement system and its remedies. However, private parties are<br />

the main end beneficiaries of the multilateral trading system ( 35 ) and the<br />

use of the remedies provided by the WTO would ensure that they maximise<br />

the opportunities granted by their governments through the negotiations<br />

and exercise the rights the WTO entitles them to. The present case<br />

was brought by the United States under the pressure of two American<br />

companies – AT&T and MCI/WorldCom – concerned about unfair high<br />

prices charged by Telmex to interconnect American networks with Mexican<br />

networks for calls from the Unites States to Mexico. These companies<br />

proved to be well aware of their rights and benefits under the GATS and<br />

the Reference Paper and their dissatisfaction with the state of competition<br />

and Telmex’s dominance brought them to lobby their government to<br />

launch a case with the WTO ( 36 ).<br />

( 34 ) Dan Sarooshi, The WTO Telefonos de Mexico, S.A. de C.V. (Telmex) Case: Outcome<br />

and Implications, Commonwealth Trade Hot Topics, Issue No. 36, p. 8.<br />

( 35 ) Kessie, Enhancing Security and Predictability for Private Business Operators under<br />

Dispute Settlement System of the WTO, JWT, 2001, Vol.34 No.6, p. 2.<br />

( 36 ) Sharma-Rosychuck, supra, p. 1.


1. – Introduzione<br />

Osservatorio sul diritto europeo<br />

Repertorio dell’attività giurisdizionale<br />

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio<br />

Il presente repertorio intende offrire una visione d’insieme dell’attività<br />

di soluzione delle controversie svoltasi nell’ambito dell’Organizzazione<br />

Mondiale del Commercio (OMC) ( 1 ) nel periodo tra il 1° aprile 2004 ed<br />

il 1° giugno 2006.<br />

Nel periodo in questione sono state avviate 35 nuove controversie<br />

commerciali da parte di Stati membri dell’OMC, in base alle disposizioni<br />

sancite dall’Intesa sulle Norme e Procedure che Disciplinano la Soluzione<br />

delle Controversie (Intesa) ( 2 ). In 9 casi le parti, non essendo riuscite a<br />

raggiungere una soluzione negoziale soddisfacente per entrambe, hanno<br />

richiesto all’Organo di Soluzione delle Controversie dell’OMC di costituire<br />

dei gruppi di esperti responsabili di esaminare la questione specifica. In<br />

4 casi le parti hanno raggiunto un accordo ( 3 ), mentre in un altro caso una<br />

delle parti ha rinunciato agli atti del giudizio.<br />

Nello stesso periodo, vi sono state 19 pronunce di gruppi di esperti (« i<br />

panels »), mentre l’Organo di Appello ha emesso 13 rapporti, di cui 12 su<br />

controversie sulle quali i gruppi di esperti si erano pronunciati nello stesso<br />

periodo di riferimento preso in esame dalla presente rassegna. In 14 casi,<br />

infine, le parti hanno richiesto la nomina di arbitri per la pronuncia di<br />

lodi su diverse questioni, di natura procedurale o esecutoria ( 4 ).<br />

( 1 ) «World Trade Organization » o “WTO”.<br />

( 2 ) «Understanding on Rules and Procedures Governing the Settlement of Disputes ».<br />

( 3 ) L’articolo 3.7 dell’Intesa chiarisce che l’obiettivo del sistema di soluzione delle controversie<br />

è di garantire una soluzione positiva alla controversia. In questo contesto, ribadisce<br />

l’articolato, una soluzione accettabile da entrambe le parti («mutually acceptable solution<br />

») è da preferirsi.<br />

( 4 ) Nel presente lavoro si esamineranno i lodi arbitrali relativi a controversie sulle quali<br />

vi sia stata una pronuncia del panel o dell’Organo di Appello nel periodo di riferimento.<br />

Separatamente, si è analizzato l’arbitrato ai sensi della Decisione del 14 luglio 2001, relativo<br />

al regime comunitario per l’importazione di banane.


1016 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

2. – Le nuove controversie<br />

Dazi anti-dumping definitivi imposti dagli Stati Uniti sull’acciaio inossidabile<br />

messicano ( 5 )<br />

Il 26 maggio 2006, il Messico ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti in merito ad una serie di determinazioni anti-dumping definitive<br />

adottate dal Dipartimento del Commercio statunitense («US Department<br />

of Commerce »). Le determinazioni in questione riguardano le importazioni<br />

di acciaio inossidabile provenienti dal Messico.<br />

La richiesta di consultazioni messicana prende di mira anche alcune<br />

disposizioni legislative e regolamentari e la metodologia utilizzata dal Dipartimento<br />

del Commercio statunitense che risultava nell’applicazione<br />

dello “zeroing”. Per “zeroing” si fa riferimento alla prassi di assegnare, nel<br />

calcolo dei margini di dumping, un margine equivalente a zero a quelle<br />

transazioni nelle quali il prezzo di esportazione del prodotto in questione<br />

risulta superiore a quello applicato nel paese di origine. Tale prassi ha lo<br />

scopo di prevenire che il margine negativo di dumping per una categoria di<br />

prodotti possa compensare un margine positivo di dumping per un’altra<br />

categoria di beni. Così facendo, lo “zeroing” finisce per aumentare l’ammontare<br />

del margine di dumping finale.<br />

In particolare, il Messico sostiene la violazione dell’articolo VI dell’Accordo<br />

Generale sulle Tariffe ed il Commercio (“GATT”) ( 6 ) e di diverse<br />

disposizioni dell’Accordo Anti-dumping ( 7 ).<br />

Il 12 giugno 2006, il Giappone ha richiesto di partecipare alle consultazioni<br />

( 8 ).<br />

Misure statunitensi relative ai gamberetti tailandesi ( 9 )<br />

Il 24 aprile 2006, la Tailandia ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti in merito ad alcune misure da quest’ultimi imposte sulle importa-<br />

( 5 ) «United States — Final Anti-dumping Measures on Stainless Steel from Mexico »,<br />

WT/DS344/1.<br />

( 6 ) «The General Agreement on Tariffs and Trade ».<br />

( 7 ) Tra le disposizioni che il Messico ritiene violate vi sono gli articoli 1, 2.1, 2.4, 5, 6.10,<br />

9, 11 e 18.<br />

( 8 ) In base all’articolo 4:11 dell’Intesa, se un paese Membro, estraneo alla controversia,<br />

ritiene di avere un interesse commerciale sostanziale nella controversia in questione può<br />

notificare alle parti in causa la propria richiesta di partecipazione. Questa deve essere accettata<br />

dalla parte convenuta.<br />

( 9 ) «United States – Measures Relating to Shrimp from Thailand », WT/DS343/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1017<br />

zioni di gamberetti di acqua dolce. La Tailandia contesta agli Stati Uniti di<br />

aver fatto uso della pratica dello “zeroing” nella determinazione del margine<br />

di dumping, e che tale utilizzo non avrebbe permesso una « giusta comparazione<br />

» tra il prezzo di esportazione ed il valore normale, distorcendo<br />

il margine di dumping. La Tailandia sostiene inoltre che il requisito del pagamento<br />

di una cauzione e la sua applicazione alle importazioni costituiscano<br />

una violazione degli articoli I, II, III, XI e XIII del GATT e che non<br />

possano essere giustificati dalle eccezioni generali previste dall’articolo<br />

XX del GATT.<br />

L’India, il Giappone, il Brasile e la Cina hanno richiesto di partecipare<br />

alle consultazioni.<br />

Dazi compensativi messicani sulle importazioni di olio di oliva proveniente<br />

dalla Comunità europea ( 10 )<br />

Il 31 marzo 2006, la Comunità europea ha richiesto consultazioni con<br />

il Messico in merito all’imposizione da parte di quest’ultimo di dazi compensativi<br />

sull’olio di oliva proveniente dalla Comunità europea.<br />

In particolare, la Comunità sostiene che l’apertura e la conduzione<br />

delle indagini, unitamente all’imposizione di dazi compensativi definitivi,<br />

non abbiano rispettato diverse disposizioni dell’Accordo sulle Sovvenzioni<br />

e sulle Misure Compensative (Accordo SCM) ( 11 ), l’articolo VI del<br />

GATT e gli articoli 13 e 21 dell’Accordo sull’Agricoltura ( 12 ).<br />

Misure cinesi relative all’importazione di componenti per automobili ( 13 )<br />

Il 22 marzo 2006, il Canada, seguito dalla Comunità europea e dagli<br />

Stati Uniti, ha richiesto consultazioni con la Cina in merito ad alcune misure<br />

cinesi che incidono sulle importazioni di componenti per automobili.<br />

In particolare, i tre paesi sostengono che tali misure privilegino i produttori<br />

domestici imponendo tasse differenziate ai veicoli prodotti con<br />

componenti nazionali. Gli attori ritengono, infatti, che le misure in questione<br />

costituiscano una violazione delle disposizioni dell’Accordo sulle<br />

Misure in Materia di Investimenti Collegate al Commercio (Accordo<br />

( 10 ) «Mexico – Definitive Countervailing Measures on olive oil from the European Communities<br />

», WT/DS341/1.<br />

( 11 ) «Agreement on Subsidies and Countervailing Measures ».<br />

( 12 ) «Agreement on Agriculture».<br />

( 13 ) «China – Measures Affecting Imports of Automobile parts », WT/DS338/1,<br />

WT/DS339/1 e WT/DS340/1.


1018 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

TRIMs) ( 14 ), negando il trattamento nazionale agli investimenti stranieri,<br />

ed una violazione delle concessioni commerciali garantite dalla Cina e<br />

trasposte nella Schedule cinese ( 15 ). Infine il Canada, la Comunità europea<br />

e gli Stati Uniti ritengono che le misure in questione prevedano uno schema<br />

di sovvenzioni all’esportazione, in violazione dell’articolo 3 dell’Accordo<br />

SCM. Il Canada sostiene che vi sia anche una violazione dell’Accordo<br />

sulle Regole di Origine ( 16 ).<br />

Nei tre casi, che al momento procedono separatamente, sono intervenuti<br />

oltre al Canada, la Comunità europea e gli Stati Uniti, anche il Messico,<br />

l’Australia ed il Giappone.<br />

Dazi anti-dumping e compensativi provvisori imposti dal Canada sulla<br />

farina di mais statunitense ( 17 )<br />

Il 17 marzo 2006, gli Stati Uniti hanno richiesto consultazioni con il<br />

Canada in merito all’imposizione di dazi anti-dumping e compensativi sulla<br />

farina di mais proveniente dagli Stati Uniti.<br />

Secondo gli Stati Uniti, le misure canadesi sono in violazione di diverse<br />

disposizioni dell’Accordo Anti-dumping e dell’Accordo SCM ( 18 ). In<br />

particolare, gli Stati Uniti ritengono che le autorità canadesi abbiano mancato<br />

di considerare alcuni fattori indispensabili nella determinazione preliminare<br />

del danno e che non abbiano tenuto conto di prove nella determinazione<br />

del nesso causale tra importazioni e danno all’industria.<br />

Misure anti-dumping comunitarie sul salmone di allevamento proveniente<br />

dalla Norvegia ( 19 )<br />

Il 17 marzo 2006, la Norvegia ha richiesto consultazioni con la Comu-<br />

( 14 ) «Agreement on Trade-related Investment Measures ».<br />

( 15 ) Gli impegni specifici sottoscritti da ciascun Membro dell’OMC sono inseriti in documenti<br />

chiamati «schedules of concessions ». Per il commercio dei beni, le “Schedules” contengono<br />

l’indicazione dei livelli massimi delle tariffe. Per i prodotti agricoli sono incluse anche le<br />

indicazioni di quote/tariffe, limitazioni alle sovvenzioni all’esportazione ed alcune tipologie di<br />

sostegno interno. Le “Schedules” per i beni sono allegate al GATT e sono vincolanti.<br />

( 16 ) «Agreement on Rules of Origin ».<br />

( 17 ) «Canada – Provisional Anti-dumping and countervailing duties on grain corn from the<br />

United States », WT/DS338/1.<br />

( 18 ) Le disposizioni che gli Stati Uniti considerano violate sono gli articoli 3, 1, 7, e12.2.1,<br />

dell’Accordo Anti-dumping e gli articoli 15,10, 17, e 22.4 dell’Accordo SCM; l’articolo VI del<br />

GATT.<br />

( 19 ) «European Communities – Anti-dumping measure on Farmed Salmon from Norway »,<br />

WT/DS337/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1019<br />

nità europea relativamente all’imposizione da parte di quest’ultima di misure<br />

anti-dumping sulle importazioni di salmone norvegese di allevamento.<br />

La Comunità aveva adottato le misure definitive in questione nel gennaio<br />

2006, con il Regolamento n. 85/2006 ( 20 ).<br />

La Norvegia sostiene, in particolare, la violazione da parte della Comunità<br />

europea di diverse disposizioni dell’Accordo Anti-dumping ( 21 ) e<br />

dell’articolo VI del GATT.<br />

Dazi compensativi imposti dal Giappone sui semiconduttori “DRAM” coreani<br />

( 22 )<br />

Il 14 marzo 2006, la Corea ha richiesto consultazioni con il Giappone,<br />

relativamente all’imposizione, da parte di quest’ultimo, di dazi compensativi<br />

su semiconduttori “DRAM” coreani. La Corea sostiene che le investigazioni<br />

e l’imposizione dei dazi menzionati da parte delle autorità giapponesi<br />

contravvenga a diverse disposizioni dell’Accordo SMC e del GATT.<br />

In particolare, secondo la Corea, le autorità nipponiche non avrebbero<br />

sufficientemente dimostrato l’esistenza di un « contributo finanziario » né<br />

del “beneficio” a favore dell’impresa finanziata.<br />

Gli Stati Uniti e la Comunità europea hanno richiesto ed ottenuto di<br />

partecipare alle consultazioni. Il 18 maggio 2006, la Corea ha richiesto la<br />

costituzione del panel. L’Organo di Soluzione delle Controversie ha differito<br />

la costituzione del panel.<br />

Misure anti-dumping statunitensi sui gamberetti provenienti dall’Ecuador<br />

( 23 )<br />

Il 17 novembre 2006, l’Ecuador ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti in merito alla determinazione finale effettuata dal Dipartimento del<br />

Commercio statunitense in base al quale si affermava che gamberetti di<br />

acqua dolce provenienti dall’Ecuador fossero venduti ad un valore inferiore<br />

a quello giusto. Le determinazioni del Dipartimento statunitense<br />

erano state pubblicate il 23 dicembre 2004 ed il 1° febbraio 2005.<br />

( 20 ) Regolamento CE del Consiglio n. 85/2006 del 17 gennaio 2006, in G.U.C.E., L 15,<br />

20 gennaio 2006.<br />

( 21 ) La Norvegia sostiene in particolare la violazione degli articoli 1, 2.1, 2.2, 2.2.1, 2.2.1.1,<br />

2.2.2, 3.1, 3.2, 3.4, 3.5, 5.4, 6.2, 6.4, 6.5.1, 6.7, 6.8, 6.9, 6.10, 9.1, 9.2, 9.3, 9.4, 12.2, 12.2.2, 18.1 e<br />

degli Allegati I e II dell’Accordo Anti-dumping.<br />

( 22 ) «Japan – Countervailing duties on Dynamic Random Access Memories from Korea »,<br />

WT/DS336/1.<br />

( 23 ) «United States — Anti-Dumping Measure on Shrimp from Ecuador », WT/DS335/1.


1020 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

In particolare, l’Ecuador ritiene che tali determinazioni siano state il<br />

frutto dell’applicazione dello “zeroing” nel calcolo del margine di dumping.<br />

Sulla base di queste considerazioni, l’Ecuador sostiene che le determinazioni<br />

del Dipartimento americano siano in violazione di diversi articoli<br />

dell’Accordo Anti-dumping e dell’articolo VI del GATT ( 24 ).<br />

L’India e la Tailandia hanno richiesto di partecipare alle consultazioni.<br />

Misure turche relative alle importazioni di riso ( 25 )<br />

Il 2 novembre 2005, gli Stati Uniti hanno richiesto consultazioni con la<br />

Turchia in merito ad alcune restrizioni imposte da quest’ultima sulle importazioni<br />

di riso statunitense. In particolare, secondo gli Stati Uniti, la<br />

Turchia richiederebbe il possesso di licenze per importare riso, negando<br />

poi, di fatto, la concessione di tali licenze al dazio doganale consolidato.<br />

Gli Stati Uniti sostengono inoltre che la Turchia abbia posto in atto un<br />

contingente tariffario per le importazioni di riso che sottopone l’importazione<br />

di specifiche quantità di riso a livelli tariffari ridotti all’acquisto di<br />

quantitativi di riso turco.<br />

Gli Stati Uniti sostengono che tali misure siano in violazione di alcune<br />

disposizioni dell’Accordo TRIMs, dell’Accordo sull’Agricoltura e dell’Accordo<br />

sul Procedimento di Concessione delle Licenze all’Importazione<br />

( 26 ) nonché degli articoli III e XI:I del GATT.<br />

Gli Stati Uniti hanno richiesto la costituzione del panel il 6 febbraio<br />

2006. Il panel è stato stabilito il 17 marzo 2006. L’Australia, la Cina, la Comunità<br />

europea, la Corea e la Tailandia, seguite in un secondo momento<br />

da Argentina ed Egitto, hanno riservato il loro diritto di intervento.<br />

Misure imposte dalla Repubblica Dominicana in materia di commissione<br />

di cambio sulle importazioni provenienti dal Costa Rica ( 27 )<br />

Il 12 settembre 2005, il Costa Rica ha richiesto consultazioni con la Re-<br />

( 24 ) L’Ecuador sostiene in particolare la violazione degli articoli 1, 2.1, 2.2, 2.4, 2.4.2, 5.8,<br />

6.10, 9.2, 9.3, 9.4, e 18.1 dell’Accordo Anti-dumping.<br />

( 25 ) «Turkey — Measures Affecting the Importation of Rice», WT/DS334/1.<br />

( 26 ) «Import Licensing Agreement ». In particolare, gli Stati Uniti hanno sostenuto la violazione<br />

delle seguenti disposizioni: articoli 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 3.2, 3.3, 3.5(a), 3.5(b), 3.5(d),<br />

3.5(e), 3.5(f), 3.5(g), 3.5(h), 3.5(k), 5.1, 5.2, 5.3, e 5.4 dell’Accordo sul Procedimento della<br />

Concessione delle Licenze all’Importazione.<br />

( 27 ) «Dominican Republic – Foreign Exchange Fee Affecting Imports from Costa Rica»<br />

WT/333/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1021<br />

pubblica Dominicana in merito alla raccolta, da parte di quest’ultima, di<br />

una tassa di cambio del 13 per cento. In particolare, la richiesta è relativa<br />

ad alcune decisioni del Consiglio Monetario della Banca Centrale della<br />

Repubblica Dominicana del 24 gennaio 1991, 20 agosto 2002, 22 ottobre<br />

2003 e 23 dicembre 2004 (con successivi emendamenti).<br />

Il Costa Rica considera che tale tassa sia imposta « su importazioni » o<br />

« in connessione con » l’importazione di merci provenienti dal Costa Rica,<br />

in maniera incompatibile con quanto disposto dall’articolo II.1(b) del<br />

GATT.<br />

Il 28 ed il 29 settembre 2005, il Guatemala ed il Salvador hanno richiesto<br />

di unirsi alle consultazioni. Il 7 ottobre 2006, la Repubblica Dominicana<br />

ha accolto formalmente tali richieste.<br />

Misure brasiliane relative all’importazione di pneumatici rigenerati ( 28 )<br />

Il 20 giugno 2005, la Comunità europea ha richiesto consultazioni con<br />

il Brasile in merito all’imposizione, da parte del governo brasiliano, di misure<br />

che incidono negativamente sulle esportazioni europee nel mercato<br />

brasiliano di pneumatici rigenerati. In particolare, la Comunità europea<br />

ritiene che le misure brasiliane in oggetto siano in violazione delle obbligazioni<br />

sancite dal GATT relative alla non discriminazione ed al divieto<br />

di imposizione di restrizioni all’importazione ( 29 ).<br />

Il 6 luglio 2005, l’Argentina ha richiesto di poter partecipare alle consultazioni;<br />

la richiesta è stata accettata dal Brasile il 20 luglio 2005.<br />

Il 17 novembre 2005, la Comunità europea ha richiesto la costituzione<br />

di un panel. Il panel è stato costituito il 20 gennaio 2006 ed è stato nominato<br />

dal Direttore Generale il 16 marzo 2006. L’Argentina, l’Australia, il<br />

( 28 ) «Brazil – Measures affecting imports of retreaded tyres »; WT/332/1.<br />

( 29 ) Tra le misure brasiliane oggetto della richiesta di consultazione della Comunità europea<br />

vi sono: l’imposizione di un divieto d’importazione di pneumatici di seconda mano;<br />

l’adozione, da parte del Governo brasiliano, di una serie di misure che vietano l’importazione<br />

di pneumatici usati, utilizzate spesso per vietare l’importazione di pneumatici rigenerati<br />

a prescindere dal fatto che questi ultimi non siano anche usati; l’imposizione discriminatoria<br />

di multe all’importazione, al marketing, al trasporto e al deposito di pneumatici importati,<br />

a vantaggio dei prodotti nazionali e l’esenzione dal divieto d’importazione per gli<br />

pneumatici importati dai Paesi appartenenti al Mercosur, in ragione ad una pronuncia del<br />

gruppo di esperti dell’organo di soluzione delle controversie del Mercosur, emessa a seguito<br />

di analoga richiesta da parte dell’Uruguay. La Comunità Europea ha fondato la propria<br />

richiesta di consultazione sulla base della presunta violazione degli articoli I:1, III:4, XI:1 e<br />

XIII:1 del GATT.


1022 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Giappone, la Corea e gli Stati Uniti, seguiti da Cina, Cuba, Guatemala,<br />

Messico, Paraguay, Taiwan e Tailandia, hanno riservato i loro diritti di terzi<br />

intervenienti.<br />

Misure messicane di anti-dumping sull’importazione di condotte e tubi<br />

d’acciaio ( 30 )<br />

Il 17 giugno 2005, il Guatemala ha richiesto consultazioni con il Messico<br />

sull’imposizione, da parte di quest’ultimo, di dazi anti-dumping definitivi<br />

su condotte e tubi d’acciaio provenienti dal Guatemala.<br />

In particolare, il Guatemala sostiene che le indagini anti-dumping delle<br />

competenti autorità messicane siano iniziate in violazione delle regole<br />

dell’Accordo Anti-dumping e che, nella determinazione di certi valori,<br />

nella valutazione delle prove e con riferimento a certi aspetti procedurali,<br />

le indagini non siano state condotte alla luce dei metodi di calcolo e dei<br />

principi stabiliti nell’Accordo Anti-dumping ( 31 ).<br />

Il 6 febbraio 2006, il Guatemala ha richiesto la costituzione di un panel.<br />

Il panel è stato costituito il 17 marzo 2006 e nominato il 4 maggio<br />

2006. La Cina, la Comunità europea, l’Honduras, il Giappone e gli Stati<br />

Uniti hanno riservato i loro diritti di terzi intervenienti.<br />

Dazi compensativi imposti dall’Argentina sull’olio d’oliva, glutine di frumento<br />

e pesche ( 32 )<br />

Il 29 aprile 2005, la Comunità europea ha richiesto consultazioni con<br />

l’Argentina in merito all’imposizione da parte di quest’ultima di dazi<br />

compensativi sull’importazione di olio d’oliva, glutine di frumento e pesche<br />

provenienti dalla Comunità. Tali dazi sono stati imposti attraverso<br />

l’adozione di misure legislative tra agosto e dicembre 2004 da parte del<br />

governo argentino.<br />

In particolare, con la richiesta di consultazioni, la Comunità europea<br />

ha lamentato la violazione di alcune disposizioni dell’Accordo SCM, nonché<br />

dell’articolo VI del GATT. Secondo la Comunità europea, le autorità<br />

( 30 ) «Mexico – Anti-dumping Duties on steel pipes and tubes from Guatemala », WT/331/1.<br />

( 31 ) Alla base della richiesta di consultazioni, il Guatemala ha indicato la presunta violazione<br />

di alcune disposizioni contenute negli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 9, 12 e 18 dell’Accordo<br />

Anti-dumping e nell’articolo VI del GATT.<br />

( 32 ) «Argentina – Countervailing Duties on olive oil, wheat gluten and peaches »,<br />

WT/330/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1023<br />

argentine competenti non avrebbero determinato in maniera adeguata l’esistenza<br />

di sovvenzioni, né la probabilità di una loro continuazione o ripetizione,<br />

per non aver, tra l’altro, potuto dimostrare l’esistenza di un trasferimento<br />

di alcun beneficio. Inoltre, le autorità argentine non avrebbero<br />

saputo determinare adeguatamente l’esistenza di un danno materiale causato<br />

da tali pretese sovvenzioni. Infine, secondo la Comunità europea, le<br />

autorità argentine non avrebbero rispettato le regole sulla trasparenza amministrativa<br />

e regolamentare contenute nell’Accordo SCM.<br />

Classificazione tariffaria di certi prodotti caseari ( 33 )<br />

Il 16 marzo 2005, il Messico ha richiesto consultazioni con Panama in<br />

relazione ad un decreto del 17 luglio 2002 adottato dal governo panamense,<br />

con il quale venivano create due nuove sotto-sezioni nel Sistema Tariffario<br />

Nazionale di Importazione panamense.<br />

Il Messico sostiene che, attraverso tale decreto, il governo panamense<br />

abbia sostanzialmente eliminato l’intestazione tariffaria unica esistente<br />

per il latte lavorato creandone due nuove, con l’effetto di introdurre due<br />

nuove tariffe, nel complesso più elevate di quella applicabile in precedenza<br />

al latte lavorato. Il Messico ritiene infatti che tale nuova classificazione<br />

tariffaria sia in violazione degli articoli I, II e XXVIII del GATT, nonché<br />

dell’articolo 4 dell’Accordo sull’Agricoltura.<br />

Il Messico inoltre, sollevando un’azione di annullamento e pregiudizio<br />

senza violazione («non-violation complaint »), ha sostenuto che l’applicazione<br />

della nuova classificazione tariffaria da parte di Panama potesse<br />

annullare o pregiudicare le concessioni commerciali che il Panama ha garantito<br />

al Messico in quanto firmatario degli Accordi dell’OMC.<br />

Il 20 settembre 2005, le parti hanno notificato all’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie di aver raggiunto un’intesa.<br />

Misure definitive di salvaguardia imposte dalla Comunità europea sull’importazione<br />

di salmone ( 34 )<br />

Il 1° marzo 2005, la Norvegia ha richiesto consultazioni con la Comunità<br />

europea in merito all’imposizione, da parte di quest’ultima, di misure<br />

di salvaguardia sulle importazioni di salmone d’allevamento. La Norvegia<br />

( 33 ) «Panama – Tariff classification of certain milk products », WT/329/1.<br />

( 34 ) «European Communities – Definitive safeguard Measure on Salmon », WT/DS328/1<br />

e WT/DS326/1.


1024 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ha ritenuto tali misure, imposte con il Regolamento CE n. 206/2005 ( 35 ),<br />

in violazione delle obbligazioni multilaterali della Comunità europea, in<br />

particolare quelle incluse nel GATT e nell’Accordo sulle Misure di Salvaguardia<br />

( 36 ).<br />

Secondo la Norvegia, in più punti le competenti autorità comunitarie<br />

non avrebbero rispettato le regole stabilite dal GATT e dall’Accordo sulle<br />

Misure di Salvaguardia, specialmente in merito ai requisiti previsti per<br />

l’imposizione di misure di salvaguardia, per la valutazione dell’ambito di<br />

« industria comunitaria » («domestic industry ») e del danno ingente («serious<br />

injury »), del nesso causale tra l’aumento delle importazioni ed il<br />

danno ingente, oltre che in tema di trasparenza amministrativa e regolamentare.<br />

In data 8 marzo 2005, il Cile ha richiesto ed ottenuto di poter partecipare<br />

alle consultazioni. Il Cile aveva già richiesto consultazioni con la Comunità<br />

europea l’8 febbraio 2005 ( 37 ) a proposito delle medesime misure<br />

di salvaguardia imposte sul salmone di allevamento dalla Comunità europea.<br />

In particolare, il Cile lamentava nella propria richiesta di consultazioni,<br />

che le misure di salvaguardia fossero state imposte in violazione delle<br />

disposizioni e degli obblighi multilaterali della Comunità europea, soprattutto<br />

in violazione di quanto previsto dall’Accordo sulle Misure di Salvaguardia<br />

e dall’articolo XIX del GATT, in grave pregiudizio delle esportazioni<br />

cilene. Il 12 maggio 2005, il Cile ha formalmente rinunciato agli atti<br />

del giudizio ( 38 ) per cessata materia del contendere, dal momento che con<br />

un Regolamento comunitario ( 39 ) successivo, la Comunità europea aveva<br />

revocato le misure di salvaguardia. La controversia formalmente prosegue<br />

per la Norvegia.<br />

Misure egiziane di anti-dumping sui fiammiferi provenienti dal Pakistan<br />

( 40 )<br />

Il 21 febbraio 2005, il Pakistan ha richiesto consultazioni con l’Egitto<br />

( 35 ) Regolamento CE della Commissione n. 206/2005 del 4 febbraio 2005, in G.U.C.E.,<br />

L 033, 5 febbraio 2005.<br />

( 36 ) «Agreement on Safeguards ».<br />

( 37 ) WT/DS326/1.<br />

( 38 ) WT/DS326/4.<br />

( 39 ) Regolamento CE della Commissione n. 627/2005 del 22 aprile 2005, in G.U.C.E., L<br />

104, 23 aprile 2005.<br />

( 40 ) «Egypt – Anti-dumping Duties on matches from Pakistan », WT/DS327/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1025<br />

in seguito all’imposizione, da parte di quest’ultimo, di dazi anti-dumping<br />

sui fiammiferi provenienti dal Pakistan. Il Pakistan sostiene che tali misure<br />

siano in violazione delle obbligazioni sancite dal GATT 1994 e dall’accordo<br />

Anti-dumping ( 41 ).<br />

Il 27 marzo 2006, il Pakistan e l’Egitto hanno informato l’Organo di<br />

Soluzione delle Controversie di aver raggiunto un’intesa. L’intesa consiste<br />

nel raggiungimento di alcuni accordi sui prezzi dei fiammiferi tra gli<br />

esportatori Pakistani e l’Autorità di investigazioni egiziana.<br />

Determinazioni statunitensi di anti-dumping sull’acciaio inossidabile<br />

proveniente dal Messico ( 42 )<br />

Il 5 gennaio 2005, il Messico ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti in merito a delle determinazioni definitive di anti-dumping effettuate<br />

dal Dipartimento statunitense per il Commercio («United States Department<br />

of Commerce » o “USDC”) concernenti fogli e fettucce di acciaio<br />

inossidabile in rotoli provenienti dal Messico.<br />

Secondo il Messico, il Dipartimento statunitense avrebbe usato la metodologia<br />

di “zeroing” nel calcolo dei margini negativi del dumping. Il<br />

Messico sostiene inoltre che la legislazione anti-dumping statunitense sia<br />

in più punti in contrasto con alcune disposizioni dell’Accordo Anti-dumping<br />

e del GATT ( 43 ).<br />

Il 13 ed il 19 gennaio 2005, rispettivamente, il Giappone e la Comunità<br />

europea hanno richiesto di poter partecipare alle consultazioni.<br />

Misure provvisorie statunitensi di anti-dumping sui gamberi provenienti<br />

dalla Tailandia ( 44 )<br />

Il 9 dicembre 2004, la Tailandia ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti in merito a certe misure provvisorie di anti-dumping, imposte da<br />

( 41 ) In particolare, il Pakistan sostiene che le misure egiziane abbiano violato alcune disposizioni<br />

degli articoli 1, 2, 3, 6, 12 e 18 dell’Accordo Anti-dumping, e dell’articolo VI del<br />

GATT.<br />

( 42 ) «United States – Anti-dumping determination regarding stainless steel from Mexico »,<br />

WT/DS325/1.<br />

( 43 ) Il Messico sostiene la violazione degli articoli 1, 2, 5, 9, 11 e 18 dell’Accordo Antidumping,<br />

degli articoli VI e X del GATT 1994, e dell’articolo XVI dell’Accordo di Marrakesh<br />

istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.<br />

( 44 ) «United States, provisional anti-dumping measures on shrimp from Thailand »,<br />

WT/DS324/1.


1026 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

questi ultimi su gamberetti di acqua calda congelati ed in scatola, provenienti<br />

dalla Tailandia.<br />

La Tailandia sostiene che tali misure siano in contrasto con le obbligazioni<br />

sancite dall’Accordo Anti-dumping e dal GATT, in particolare per il<br />

preteso utilizzo, da parte delle competenti autorità statunitensi, della metodologia<br />

di “zeroing” nel calcolo dei margini negativi di dumping e per i<br />

criteri utilizzati nella determinazione di certi valori ( 45 ).<br />

Il 20 dicembre 2004, il Giappone ed il Brasile hanno richiesto di unirsi<br />

alle consultazioni, mentre sia la Comunità europea, che l’India, la Cina e<br />

l’Ecuador hanno trasmesso le proprie richieste di partecipazione, rispettivamente,<br />

il 22 ed il 23 dicembre dello stesso anno.<br />

Contingenti all’importazione di alghe secche e stagionate imposti dal<br />

Giappone ( 46 )<br />

Il 1° dicembre 2004, la Corea ha richiesto consultazioni con il Giappone<br />

in merito ai contingenti all’importazione di alghe secche e stagionate<br />

imposti da quest’ultimo, in quanto in pretesa violazione, in particolare,<br />

degli articoli X e XI del GATT, nonché dell’articolo 4 dell’Accordo sull’Agricoltura<br />

e dell’articolo 1 dell’Accordo relativo alle Procedure in Materia<br />

di Licenze all’Importazione ( 47 ).<br />

Il 4 febbraio 2005, la Corea ha richiesto all’Organo di Soluzione delle<br />

Controversie dell’OMC la costituzione di un panel. Il panel è stato costituito<br />

il 21 marzo 2005 e nominato dal Direttore Generale dell’OMC il 30<br />

maggio 2005.<br />

Il 23 gennaio 2006, le due parti hanno notificato all’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie di aver raggiunto un’intesa.<br />

Misure statunitensi relative alla pratica di “zeroing” e riesami di estinzione<br />

( 48 )<br />

Il 24 novembre 2004, il Giappone ha richiesto consultazioni con gli<br />

Stati Uniti in merito, inter alia, alla pratica dello “zeroing” utilizzata dal<br />

Dipartimento statunitense per il Commercio nelle indagini anti-dumping,<br />

( 45 ) La Tailandia sostiene la violazione degli articoli 1, 2, 6, e 7 dell’Accordo Anti-dumping,<br />

di alcune disposizioni dell’Annesso II all’Accordo e dell’articolo VI del GATT.<br />

( 46 ) «Japan – Import quotas on dried laver and seasoned laver », WT/DS323/1.<br />

( 47 ) «Agreement on Import Licensing Procedures ».<br />

( 48 ) «United States, Measures relating to zeroing and sunset reviews », WT/DS322/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1027<br />

nei riesami amministrativi e nei riesami per estinzione («sunset reviews »).<br />

Il Giappone, inoltre, ha richiesto consultazioni anche relativamente alla<br />

« presunzione inconfutabile » del Dipartimento statunitense per il Commercio<br />

nei riesami di estinzione, e in merito ad altri aspetti della legislazione<br />

statunitense in materia anti-dumping. Tali misure, sostiene il Giappone,<br />

violerebbero diverse disposizioni contenute nell’Accordo Antidumping,<br />

nel GATT e nell’Accordo dell’OMC ( 49 ).<br />

L’India, la Norvegia, l’Argentina, Taiwan, la Comunità europea ed il<br />

Messico hanno richiesto di partecipare alle consultazioni.<br />

Il 4 febbraio 2005, in seguito al mancato raggiungimento di una «mutually<br />

agreed solution » attraverso le consultazioni, il Giappone ha richiesto<br />

la costituzione del panel. L’Organo di Soluzione delle controversie ha<br />

costituito il panel il 28 febbraio dello stesso anno. Il Direttore Generale<br />

dell’OMC ha nominato il panel il 15 aprile 2005.<br />

Il 15 novembre 2005, il panel ha informato l’Organo di Soluzione delle<br />

Controversie di non essere in grado di completare il lavoro in sei mesi<br />

dalla data di nomina dello stesso a causa della complessità delle questioni<br />

sollevate nella controversia. In seguito ad un secondo rinvio, il rapporto<br />

del panel è ora atteso per settembre 2006.<br />

Mantenimento della sospensione delle obbligazioni nella controversia<br />

EC-Hormones ( 50 )<br />

L’8 novembre 2004, la Comunità europea ha richiesto consultazioni<br />

con il Canada ( 51 ) e con gli Stati Uniti ( 52 ), sostenendo che i due paesi<br />

avrebbero dovuto rimuovere le misure di ritorsione contro la Comunità<br />

stessa. Le misure di ritorsione canadesi e statunitensi erano basate sulla<br />

illegittimità di alcune misure comunitarie, già oggetto di una controversia<br />

e definitivamente confermata dall’Organo di Soluzione delle Controversie<br />

in due noti rapporti ( 53 ).<br />

Nella richiesta di consultazioni, la Comunità europea ritiene che le<br />

( 49 ) In particolare, il Giappone sostiene la violazione degli articoli 1, 2, 3, 5, 6, 9, 11 e 18<br />

dell’Accordo Anti-dumping, dell’articolo VI del GATT e dell’articolo XVI dell’Accordo di<br />

Marrakesh istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.<br />

( 50 ) «Canada – Continued suspension of obligations in the EC-Hormones dispute » e<br />

«United States – Continued suspension of obligations in the EC-Hormones dispute »<br />

WT/DS321/1 e WT/DS320/1.<br />

( 51 ) WT/DS321/1.<br />

( 52 ) WT/DS320/1.<br />

( 53 ) WT/DS26/AB/R e WT/DS48/AB/R.


1028 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

misure canadesi e statunitensi siano illegittime in quanto non più giustificate.<br />

In particolare, la Comunità europea sostiene di aver ottemperato alle<br />

proprie obbligazioni e di aver rispettato le pronunce dell’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie, avendo rimosso le misure trovate in violazione<br />

delle regole degli Accordi OMC e avendole sostituite con altre conformi<br />

a tali pronunce ( 54 ). La Comunità, inoltre, sostiene l’illegittimità del<br />

comportamento del Canada e degli Stati Uniti per aver, da un lato, unilateralmente<br />

decretato le nuove misure comunitarie ancora in violazione<br />

degli Accordi OMC (giustificando quindi la continuazione della propria<br />

ritorsione) e per non aver, dall’altro, fatto ricorso alle procedure dell’Intesa<br />

per risolvere il disaccordo sulla compatibilità delle nuove norme comunitarie.<br />

Il 13 gennaio 2005, in seguito al mancato raggiungimento di una «mutually<br />

agreed solution » attraverso le consultazioni, la Comunità europea<br />

ha richiesto la costituzione di un panel. L’Organo di Soluzione delle Controversie<br />

ha costituito il panel il 17 febbraio 2005. Il panel è stato nominato<br />

dal Direttore Generale dell’OMC il 6 giugno 2005 e ha tenuto la sua<br />

prima udienza con le parti, in pubblico, nei giorni 12-15 settembre 2005.<br />

Il 20 gennaio 2006, il Presidente del panel ha informato l’Organo di<br />

Soluzione delle Controversie che, data la complessità della disputa in<br />

questione, la consegna del rapporto verrà differita di sei mesi. Il panel si<br />

aspetta quindi di completare i lavori entro ottobre 2006.<br />

Articolo 776 della legge tariffaria statunitense ( 55 )<br />

Il 5 novembre 2004, la Comunità europea ha richiesto consultazioni<br />

con gli Stati Uniti in merito all’articolo 776 della legge tariffaria statunitense<br />

del 1930, alle determinazioni di dumping effettuate dal Dipartimento<br />

Statunitense e alla nota di imposizione del dazio anti-dumping del<br />

125,77 per cento sui prodotti della Firth Rixson Special Steels Limited<br />

(FRSS) nel caso «Stainless Steel Bar from the United Kingdom ». La Co-<br />

( 54 ) In particolare, la Comunità europea, per ottemperare a quanto deciso dal panel e<br />

dall’Organo di Appello nella controversia «European Communities – Measures concerning<br />

meat and meat products » («EC – Hormones »), ha adottato la direttiva CE 2003/74 del Parlamento<br />

europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003, che ha modificato la direttiva CE<br />

96/22 del Consiglio sulla proibizione dell’utilizzo di certe sostanze con effetto ormonale<br />

per la crescita del bestiame. La direttiva è stata pubblicata sulla G.U.C.E. del 14 ottobre<br />

2003, ed è entrata in vigore il medesimo giorno.<br />

( 55 ) «United States – Section 776 of the Tariff Act of 1930 », WT/DS319/1.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1029<br />

munità europea considera tali misure contrarie ad alcune disposizioni dell’Accordo<br />

Anti-dumping, del GATT e dell’Accordo OMC ( 56 ).<br />

Misure indiane di anti-dumping su certi prodotti provenienti dalle zone<br />

doganali di Taiwan, Penghu, Kinmen and Matsu ( 57 )<br />

Il 28 ottobre 2004, Taiwan ha richiesto consultazioni con l’India in merito<br />

alle misure anti-dumping, provvisorie e definitive, imposte dall’India<br />

su sette categorie di prodotti. Taiwan ritiene che tali misure violino diverse<br />

disposizioni dell’Accordo Anti-dumping e dell’articolo VI del GATT,<br />

in particolar modo con riferimento alla determinazione di certi valori, alla<br />

valutazione delle prove e alla trasparenza amministrativa e regolamentare<br />

( 58 ).<br />

Misure che incidono sul commercio di grandi aeromobili civili ( 59 )<br />

Il 6 ottobre del 2004, la Comunità europea ha richiesto consultazioni<br />

con gli Stati Uniti riguardo alle sovvenzioni di cui avrebbero beneficiato<br />

i produttori statunitensi di aeromobili civili (in particolare la società<br />

Boeing) e alle relative leggi, ai regolamenti ed altri strumenti legislativi e<br />

regolamentari, concernenti le sovvenzioni e gli aiuti garantiti ai produttori<br />

statunitensi. Le misure oggetto della richiesta di consultazioni consistono<br />

in sovvenzioni specifiche, elargite tra l’altro a livello locale e statale<br />

per la ricerca e lo sviluppo dalla Nasa e dal Dipartimento statunitense<br />

per la Difesa, in relazione alla produzione del velivolo commerciale<br />

Boeing 7E7. Secondo la Comunità europea, le sovvenzioni garantite, così<br />

come la relativa legislazione, le norme statutarie e regolamentari, e le<br />

procedure amministrative, sono contrarie alle disposizioni dell’Accordo<br />

SCM e del GATT. La Comunità europea sostiene che la loro applicazione<br />

potrebbe provocare un pregiudizio serio o potenziale ai propri inte-<br />

( 56 ) In particolare, la Comunità sostiene la violazione degli articoli 1, 6, e 18 dell’Accordo<br />

Anti-dumping, dell’articolo VI del GATT e XVI:4 dell’Accordo di Marrakesh istitutivo<br />

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.<br />

( 57 ) «India – Anti-Dumping Measures on Certain Products from the Separate Customs Territory<br />

of Taiwan, Penghu, Kinmen and Matsu », WT/DS318/1.<br />

( 58 ) In particolare, Taiwan sostiene la violazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6 (incluso<br />

l’Annesso II), 7 e 12 dell’Accordo Anti-dumping e dell’articolo VI del GATT 1994.<br />

( 59 ) «United States – Measures affecting trade in large civil aircraft » e «European Communities<br />

– Measures affecting trade in large civil aircraft », WT/317/1 e WT/DS316/1.


1030 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

ressi commerciali e a quelli della sua industria di aeromobili civili. Il 31<br />

maggio 2005, la Comunità europea ha richiesto la costituzione di un panel.<br />

Il panel è stato stabilito il 20 luglio 2005, con l’Australia, il Brasile, il<br />

Canada, la Cina, il Giappone e la Corea che hanno riservato i loro diritti<br />

di intervenenti.<br />

Il 23 settembre 2005, l’Organo di Soluzione delle Controversie ha iniziato<br />

le procedure di cui all’Allegato V dell’Accordo SMC, stabilite in particolare<br />

per la raccolta di informazioni e di prove circa l’esistenza di un<br />

danno serio recato ad una parte dalle sovvenzioni previste a beneficio dell’industria<br />

dell’altra parte. Il 17 ottobre 2005, il Vice Direttore Generale<br />

dell’OMC ha nominato il panel.<br />

Parallelamente, il 6 ottobre 2004 gli Stati Uniti richiedevano consultazioni<br />

con i governi di tre Stati membri della Comunità europea e con<br />

la stessa Comunità europea relativamente alle sovvenzioni da questi<br />

elargite a favore della società Airbus, contrariamente alle disposizioni<br />

dell’Accordo SCM e del GATT. In particolare, le misure oggetto dell’azione<br />

intrapresa dagli Stati Uniti consistono in norme che dispongono finanziamenti<br />

per lo sviluppo dell’industria («launch aid »), donazioni e<br />

forniture statali di beni e servizi per lo sviluppo, l’espansione e la produzione<br />

dell’Airbus A380, mutui agevolati, condono di debiti, finanziamenti<br />

alla produzione e allo sviluppo di aeromobili civili, concessione di<br />

aumenti di capitale e donazioni, prestiti per la ricerca e lo sviluppo, ed<br />

altre misure conferite in maniera diretta al consorzio Airbus. Gli Stati<br />

Uniti specificano inoltre che alcuni di questi aiuti sembrerebbero costituire<br />

vere e proprie sovvenzioni all’esportazione, contrarie all’Accordo<br />

SCM, e che le misure in questione provocano dei pregiudizi agli Stati<br />

Uniti. Il 31 maggio 2005, gli Stati Uniti hanno richiesto la costituzione di<br />

un panel.<br />

Il panel è stato costituito il 20 luglio 2005 e l’Australia, il Brasile, il Canada,<br />

la Cina, il Giappone e la Corea hanno riservato i loro diritti di intervenenti.<br />

Le procedure di cui all’Allegato V dell’Accordo SCM sono iniziate<br />

il 23 settembre 2005. Come nel caso parallelo, il panel è stato nominato<br />

il 17 ottobre 2005 dal Vice-Direttore Generale dell’OMC per conto<br />

del Direttore Generale.<br />

I panels hanno informato le parti e l’Organo di Soluzione delle Controversie<br />

di non essere in grado di raggiungere una soluzione nei tempi<br />

stabiliti, visti anche gli oneri procedurali causati dalle procedure di cui all’Allegato<br />

V e le richieste addizionali di consultazioni. I lavori dei panels<br />

dovrebbero completarsi entro il 2007.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1031<br />

Questioni doganali della Comunità europea ( 60 )<br />

Il 21 settembre 2004, gli Stati Uniti hanno richiesto consultazioni con<br />

la Comunità europea in merito all’applicazione di leggi e regolamenti circa<br />

la classificazione e valutazione doganale di prodotti ed in relazione alla<br />

mancata istituzione di tribunali per la revisione e rettificazione delle misure<br />

amministrative relative a questioni doganali.<br />

In particolare, gli Stati Uniti sostengono che la non uniforme applicazione<br />

a livello comunitario di leggi, regolamenti, decisioni giudiziali e<br />

procedure amministrative relative alla classificazione ed alla valutazione<br />

doganale comporti delle differenze nell’applicazione di tali misure tra gli<br />

Stati Membri della Comunità europea, in particolare in merito alla valutazione<br />

doganale ed alla classificazione dei beni. Gli Stati Uniti lamentano<br />

inoltre l’illegalità di vari aspetti delle procedure di appello delle decisioni<br />

doganali. Tale amministrazione di legislazione e misure doganali sarebbe,<br />

secondo gli Stati Uniti, contraria agli obblighi di trasparenza imposti dall’articolo<br />

X del GATT 1994.<br />

Tra il 6 ed il 7 ottobre 2004, l’Australia, il Giappone, il Brasile, l’Argentina,<br />

Taiwan e l’India hanno richiesto di poter partecipare alle consultazioni.<br />

Il 13 gennaio 2005 gli Stati Uniti hanno richiesto la costituzione<br />

del panel. L’Organo di Soluzione delle Controversie ha costituto il panel il<br />

21 marzo 2005. Su richiesta degli Stati Uniti, il 27 maggio 2005 il Direttore<br />

Generale dell’OMC ha nominato il panel. L’Organo di Soluzione delle<br />

Controversie ha trasmesso il rapporto del panel ai membri il 16 giugno<br />

2006.<br />

Misure compensative provvisorie sull’olio di oliva proveniente dalla Comunità<br />

europea ( 61 )<br />

Il 18 agosto 2004, la Comunità europea ha richiesto consultazioni con<br />

il Messico in merito all’imposizione da parte di quest’ultimo di misure<br />

compensative provvisorie sulle importazioni di olio di oliva proveniente<br />

dalla Comunità europea. La Comunità europea sostiene che sia l’indagine<br />

portata avanti dalle autorità messicane, che la conseguente imposizione<br />

di misure compensative provvisorie, siano contrarie ad alcune disposizioni<br />

dell’Accordo SCM e dell’Accordo sull’Agricoltura, in particolare<br />

( 60 ) «EC – Selected custom matters », WT/DS315.<br />

( 61 ) «Mexico – Provisional countervailing measures on olive oil from the European Communities<br />

», WT/DS314/1.


1032 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

nella valutazione delle prove e nell’imposizione delle misure compensative<br />

( 62 ).<br />

Dazi anti-dumping imposti su determinati prodotti laminati di ferro o di<br />

acciaio non in lega ( 63 )<br />

Il 5 luglio 2004, l’India ha richiesto consultazioni con la Comunità europea<br />

circa l’imposizione di dazi anti-dumping definitivi sulle importazioni<br />

di determinati prodotti laminati in ferro o in acciaio non in lega dall’India.<br />

L’India lamentava in particolare la natura discriminatoria di tali misure,<br />

dal momento che la loro applicazione era riservata alle importazioni<br />

indiane, nonostante le indagini della Commissione europea avessero ritenuto<br />

la sussistenza di margini di dumping e di danno all’industria anche<br />

nel caso di importazioni dello stesso prodotto provenienti da altri paesi.<br />

Il 22 ottobre 2004, l’India e la Comunità europea hanno notificato all’Organo<br />

di Soluzione delle Controversie di aver raggiunto un’intesa.<br />

Dazi anti-dumping coreani sulle importazioni di carta dall’Indonesia ( 64 )<br />

Il 4 giugno 2004, l’Indonesia ha richiesto consultazioni con la Corea in<br />

merito all’imposizione definitiva, da parte di quest’ultima, di dazi antidumping<br />

sulle importazioni di determinati tipi di carta provenienti dall’Indonesia,<br />

ed in merito a certi aspetti della relativa indagine. L’Indonesia ritiene,<br />

infatti, che le procedure seguite dalle autorità coreane abbiano violato<br />

in più punti certe disposizioni dell’Accordo Anti-dumping e dell’articolo<br />

V:I del GATT ( 65 ).<br />

Verificato il mancato raggiungimento di un’intesa, su richiesta dell’Indonesia,<br />

l’Organo di Soluzione delle Controversie ha costituito il panel il<br />

27 settembre 2004, mentre la sua composizione è stata decisa dal Direttore<br />

Generale dell’OMC il 25 ottobre 2004. Il rapporto del panel è stato trasmesso<br />

il 28 ottobre 2005.<br />

( 62 ) In particolare, la Comunità europea lamenta la violazione, da parte del Messico,<br />

degli articoli 10, 11 (paragrafi 2, 3, 4, e 9) 15, 16 e17 (in particolare l’articolo 17.1(a) e (b)) dell’Accordo<br />

SCM, e gli articoli 13 e/o 21.1 dell’Accordo sopra l’Agricoltura.<br />

( 63 ) «European Communities – Anti-dumping duties on certain flat rolled iron or non-alloy<br />

steel products from India», WT/DS313/1.<br />

( 64 ) «Korea – Anti-Dumping Duties on Imports of Certain Paper from Indonesia »,<br />

WT/DS312/1.<br />

( 65 ) In particolare, l’Indonesia sostiene la violazione di alcune disposizioni degli articoli<br />

1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, 12, Annesso I, e paragrafi 3, 6, e 7 dell’Annesso II all’Accordo Anti-dumping.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1033<br />

Riesame dei dazi compensativi imposti dagli Stati Uniti sul legno tenero<br />

proveniente dal Canada ( 66 )<br />

Il 14 aprile 2004, il Canada ha richiesto consultazioni con gli Stati Uniti<br />

in merito ai dazi compensativi da questi ultimi imposti sul legno tenero<br />

proveniente dal Canada. Il Canada ritiene che gli Stati Uniti abbiano agito<br />

in violazione delle norme contenute nell’Accordo SCM e dell’articolo VI<br />

del GATT, in particolare per non avere completato i riesami degli ordini di<br />

imposizione di dazi compensativi su legno tenero proveniente dal Canada,<br />

al fine di stabilire un dazio compensativo individuale per ogni esportatore<br />

richiedente. Il Canada ritiene che vi sia una violazione dei medesimi accordi<br />

anche per il rifiuto, da parte degli Stati Uniti, di condurre riesami<br />

amministrativi su base specifica per ciascuna impresa al fine di stabilire un<br />

dazio compensativo finale ed individuale per ciascun esportatore richiedente.<br />

Determinazioni della « International Trade Commission » degli Stati Uniti<br />

sul frumento duro « Red Spring » proveniente dal Canada ( 67 )<br />

L’8 aprile 2004, il Canada ha richiesto consultazioni con gli Stati Uniti,<br />

in merito ad alcune investigazioni e determinazioni della «International<br />

Trade Commission » sul frumento duro «Red Spring » proveniente dal Canada,<br />

in particolare in merito alla determinazione finale di pregiudizio<br />

materiale che le importazioni canadesi, sovvenzionate dal governo, causerebbero<br />

all’industria statunitense, in ragione della quale gli Stati Uniti<br />

avrebbero applicato dazi anti-dumping e compensativi ( 68 ).<br />

3. – Le pronunce dei gruppi di esperti<br />

Dazi anti-dumping coreani sulle importazioni di carta dall’Indonesia ( 69 )<br />

Nella propria richiesta di consultazioni, come si è enunciato, l’Indo-<br />

( 66 ) «United States – Reviews of Countervailing Duty on Softwood Lumber from Canada »,<br />

WT/DS311/1.<br />

( 67 ) «United States – Determination of the International Trade Commission in Hard Red<br />

Spring Wheat from Canada », WT/DS310/1.<br />

( 68 ) Il Canada, in particolare, sostiene la violazione degli articoli VI:6(a) del GATT<br />

1994, di alcune disposizioni degli articoli 1, 3 e 18 dell’Accordo Anti-dumping e degli articoli<br />

10, 15, 19 e 32 dell’Accordo SCM.<br />

( 69 ) «Korea – Anti-Dumping Duties on Imports of Certain Paper from Indonesia »,<br />

WT/DS312/R.


1034 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

nesia lamentava certe presunte irregolarità nella conduzione delle indagini<br />

anti-dumping da parte delle autorità coreane. L’Indonesia riteneva che<br />

l’autorità coreana (i.e., la «Korean Trade Commission ») avesse effettuato<br />

le indagini anti-dumping in maniera contraria ad alcune disposizioni dell’Accordo<br />

Anti-dumping in materia di diritti processuali, con particolare<br />

riferimento all’articolo 6.8 dell’Accordo e all’Allegato II. L’Indonesia sosteneva<br />

che la scelta da parte dell’autorità coreana di tralasciare alcuni<br />

dati relativi alle vendite interne di due imprese indonesiane sottoposte<br />

alle indagini, ed il conseguente ricorso alla migliore informazione disponibile<br />

(«best information available ») fossero stati arbitrari. Più in particolare,<br />

l’Indonesia riteneva che nelle determinazioni del valore normale,<br />

l’autorità coreana avrebbe dovuto tenere in considerazione i dati circa le<br />

vendite interne che le due imprese in questione avrebbero indicato nelle<br />

loro risposte ai questionari. Il panel ha affrontato il motivo di reclamo<br />

cercando prima di stabilire se tali informazioni, in particolare il bilancio<br />

dell’impresa attraverso cui le due imprese effettuavano le loro operazioni<br />

commerciali, costituissero informazioni necessarie (ma tardive) che l’autorità<br />

coreana aveva legittimamente tralasciato. In un secondo momento,<br />

in caso di risposta affermativa, il panel avrebbe cercato di stabilire in<br />

quale misura ciò avrebbe permesso all’autorità coreana di tralasciare i dati<br />

in materia di vendite interne delle due compagnie.<br />

Il panel sul punto ha dapprima riscontrato che i dati relativi all’impresa<br />

attraverso cui le due imprese indonesiane effettuavano le loro operazioni<br />

commerciali erano da considerarsi necessari per il calcolo del valore<br />

normale, ai sensi dell’articolo 6.8 dell’Accordo Anti-dumping, ed il fatto<br />

che le due imprese non li avessero inviati tempestivamente, né in maniera<br />

completa, aveva permesso all’autorità coreana di omettere legittimamente<br />

le informazioni ricevute e di fare ricorso all’informazione disponibile,<br />

così come previsto dallo stesso articolo 6.8 del medesimo accordo. Il<br />

panel ha poi successivamente stabilito che la mancanza di tali informazioni<br />

circa il bilancio dell’impresa attraverso cui le due imprese indonesiane<br />

effettuavano le loro operazioni commerciali non permetteva all’autorità<br />

coreana di verificare l’affidabilità di altri dati (i.e., quelli relativi alle vendite<br />

interne presentati dalle medesime imprese). Per questo motivo, il panel<br />

ha dichiarato che l’autorità coreana non avrebbe agito in maniera contraria<br />

all’Accordo Anti-dumping nel trascurare alcuni dati circa le vendite interne<br />

fornite dalle due imprese coreane nella determinazione del valore<br />

normale.<br />

Sulla base di questo motivo, il panel ha anche riscontrato che l’autorità<br />

coreana aveva legittimamente fatto ricorso alla “costruzione” del valo-


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1035<br />

re normale, non avendo dati affidabili sulle vendite interne delle due imprese<br />

in questione su cui basarsi, ma ha accolto parzialmente il reclamo<br />

indonesiano, con particolare riferimento al calcolo del valore normale costruito<br />

sulla base di un illegittimo utilizzo di certe informazioni.<br />

Un altro motivo di reclamo riguardava il trattamento di alcune imprese<br />

coreane, raggruppate come unico esportatore («single exporter ») ai fini<br />

del calcolo dei margini di dumping. L’Indonesia sosteneva che il trattamento<br />

di tre imprese esportatrici come unico esportatore costituiva una<br />

violazione dell’articolo 6.10, che richiede alle autorità di stabilire margini<br />

di dumping individuali per ciascun esportatore. In ogni caso, l’Indonesia<br />

sosteneva che, anche se l’articolo 6.10 permette la possibilità di trattare, in<br />

alcuni casi, diverse compagnie come un unico esportatore, l’autorità coreana<br />

non avrebbe giustificato adeguatamente tale condotta. Sul punto, il<br />

panel ha riscontrato che l’articolo di cui sopra non preclude la possibilità<br />

di trattare più imprese come unico esportatore, ma che in ogni caso non<br />

attribuisce alle autorità di indagine un margine discrezionale illimitato per<br />

ricorrere a questa tecnica. Il panel ha ricordato, infatti, che il ricorso a tale<br />

tecnica deve essere giustificato dall’esistenza di legami strutturali e commerciali<br />

sufficientemente stretti tra le imprese in questione. Nel caso in<br />

questione, il panel ha ritenuto che ci fossero le condizioni necessarie per<br />

calcolare un unico margine di dumping per le tre imprese in questione, rigettando<br />

così il reclamo coreano.<br />

In materia di danno, il panel ha concluso, inter alia, che l’autorità coreana<br />

ha commesso delle valutazioni errate circa l’impatto delle esportazioni<br />

indonesiane sull’industria coreana.<br />

Il rapporto del panel non è stato appellato dalle parti ed è stato adottato<br />

dall’Organo di Soluzione delle Controversie il 28 novembre 2005. Le<br />

parti hanno concordato di fissare in otto mesi dall’adozione del rapporto il<br />

periodo di tempo necessario per implementare le raccomandazioni del<br />

panel.<br />

Tasse messicane che incidono sui soft drinks ed altre bevande ( 70 )<br />

Il 16 marzo 2004, gli Stati Uniti richiedevano consultazioni con il<br />

Messico in merito ad alcune misure fiscali imposte da quest’ultimo sui<br />

soft drinks ed altre bevande dolcificate con qualsiasi tipo di dolcificante<br />

ad eccezione dello zucchero di canna. Le misure in questione consisteva-<br />

( 70 ) «Mexico – Tax Measures on Soft Drinks and Other Beverages », WT/DS308/R.


1036 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

no, in particolare, in una tassa del 20 per cento sui soft drinks ed altre bevande<br />

non dolcificate con zucchero di canna, ed in un’ulteriore tassa di<br />

identico ammontare per la distribuzione, consegna e piazzamento sul<br />

mercato dei medesimi prodotti. Anche se imposte sulle bevande, le misure<br />

messicane in realtà erano destinate a colpire l’utilizzo di alcuni dolcificanti.<br />

Di conseguenza, la controversia in realtà riguardava due categorie<br />

di prodotti (i.e., le bevande oggetto delle misure ed i relativi dolcificanti<br />

utilizzati nella preparazione delle bevande che si distinguono in<br />

zucchero di canna, da un lato e zucchero di barbabietola e fruttosio, dall’altro).<br />

Secondo gli Stati Uniti, tali misure erano incompatibili con l’articolo<br />

III:2 e III:4 del GATT, in quanto violavano il principio del trattamento<br />

nazionale. In particolare, gli Stati Uniti ritenevano che tali tasse costituissero<br />

misure fiscali interne, imposte sullo zucchero importato, superiori<br />

a quelle imposte sul prodotto domestico simile (i.e., zucchero di<br />

canna).<br />

Nel suo rapporto trasmesso il 7 ottobre 2005, il panel ha iniziato la sua<br />

analisi specificando che le questioni da analizzare per rintracciare elementi<br />

discriminatori nella norma erano: 1) stabilire se i prodotti importati e<br />

domestici in questione (i.e., i tipi di dolcificante) potessero essere definiti<br />

come prodotti simili; 2) verificare se la misura fiscale ponesse un onere<br />

maggiore sui prodotti importati. In merito alla prima questione, il panel<br />

ha stabilito che, sulla base delle caratteristiche del prodotto, il loro utilizzo<br />

finale, la classificazione tariffaria e le abitudini e i gusti dei consumatori,<br />

i due principali tipi di dolcificante in questione (i.e., zucchero di canna<br />

e di barbabietola), costituivano prodotti simili ai sensi dell’articolo III del<br />

GATT. In merito alla seconda questione, il panel ha poi stabilito che le<br />

misure fiscali venivano imposte indirettamente sullo zucchero da barbabietola<br />

ed in misura superiore (in quantità corrispondente all’intero ammontare<br />

della tassa) al corrispondente prodotto simile nazionale, cioè allo<br />

zucchero di canna. Su questa base, il panel ha concluso che le misure fiscali<br />

in questione hanno sottoposto lo zucchero importato ad una tassazione<br />

superiore a quella applicata al prodotto domestico simile, in maniera<br />

incompatibile con l’articolo III del GATT. Il panel ha poi anche concluso<br />

che le misure fiscali in questione, imposte su prodotti importati in<br />

competizione con quelli nazionali, venivano applicate in maniera e con<br />

intento protezionista, in modo, cioè, da proteggere l’industria domestica.<br />

Il panel ha infine anche stabilito che, attraverso queste misure, il Messico<br />

finiva con l’accordare un trattamento sfavorevole alle importazioni di dolcificanti<br />

rispetto a quello applicato al prodotto nazionale simile, i.e., lo


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1037<br />

zucchero di canna, in violazione delle disposizioni dell’articolo III:4 del<br />

GATT.<br />

Il Messico si è difeso ritenendo la violazione all’articolo III del<br />

GATT giustificata sulla base dell’articolo XX(d) del GATT, in particolare<br />

sostenendo che tali misure fossero necessarie per garantire l’adempimento,<br />

da parte degli Stati Uniti, delle loro obbligazioni derivanti dal<br />

North American Free Trade Agreement (“NAFTA”). Il panel non ha accolto<br />

la difesa messicana. In particolare, non ha ritenuto sussistenti i requisiti<br />

per giustificare la misura sulla base dell’articolo XX(d) del GATT, e<br />

ha determinato che il Messico non è stato in grado di dimostrare veramente<br />

in che modo tali misure sarebbero giustificate dall’articolo XX(d)<br />

del GATT.<br />

Il rapporto del panel è stato appellato dal Messico il 6 dicembre 2005.<br />

Metodologia statunitense per il calcolo del margine di dumping ( 71 )<br />

Su richiesta della Comunità europea, il 21 marzo 2005 l’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie ha costituito un panel per decidere dell’incompatibilità<br />

dell’utilizzo dello zeroing da parte degli Stati Uniti nelle procedure<br />

amministrative di anti-dumping, così come di alcuni testi legislativi e<br />

regolamentari che lo prevedevano.<br />

Nel calcolo del margine di dumping, che richiede una comparazione<br />

tra il valore normale del prodotto ed il suo prezzo di esportazione, la pratica<br />

dello zeroing consiste generalmente nell’azzeramento di quelle comparazioni<br />

il cui risultato riveli un margine di dumping negativo (i.e., in cui<br />

il prezzo di esportazione risulti maggiore del valore normale). In tal modo,<br />

si tiene conto solamente di quei valori in cui vi è stato dumping e non<br />

di quelli in cui il dumping è negativo.<br />

In particolare, la Comunità europea distingueva tra due tipologie di<br />

zeroing. Il «model zeroing » viene utilizzato dall’autorità amministrativa<br />

statunitense nel calcolo del dumping attraverso la comparazione del prezzo<br />

medio del valore normale e la media del valore delle transazioni di<br />

esportazione (weighted average to weighted average comparison method). In<br />

base a questo calcolo, le autorità statunitensi dividono le transazioni comparabili<br />

in gruppi all’interno dei quali applicare la comparazione e azzerare<br />

i margini di dumping negativi. Il margine di dumping dell’intero prodotto<br />

è calcolato sulla base dei risultati di dumping dei singoli gruppi. Tutta-<br />

( 71 ) «United States – Laws, Regulations and Methodology for Calculating Dumping Margins<br />

», WT/DS315/R.


1038 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

via, nessun gruppo presenterà, attraverso lo zeroing, margini di dumping<br />

negativi.<br />

L’altra tipologia di zeroing messa in luce dalla Comunità europea riguarda<br />

i casi in cui il calcolo finale di dumping viene effettuato sulla base<br />

della comparazione tra il prezzo ponderato del valore normale e le singole<br />

transazioni (weighetd average to transaction comparison method). In questo<br />

caso, che la Comunità europea definisce «simple zeroing », nella comparazione<br />

tra la media ponderata del valore normale ed una transazione<br />

singola, il margine di dumping si ricava dalla misura in cui il valore normale<br />

eccede il prezzo della singola transazione. Lo zeroing avviene, anche<br />

qui, con l’annullamento di quelle comparazioni che rivelino l’esistenza di<br />

un margine di dumping negativo (i.e., un prezzo all’esportazione superiore<br />

al valore normale).<br />

La Comunità riteneva quindi incompatibili entrambe le tipologie di<br />

zeroing, in quanto tali ed in quanto applicate alle singole procedure, ed in<br />

particolare in 15 investigazioni originali, in 16 revisioni amministrative ed<br />

in alcune disposizioni normative e regolamentari degli Stati Uniti.<br />

Il panel ha accolto la richiesta della Comunità europea in merito alle<br />

15 investigazioni originali. In particolare, il panel, anche sulla base della<br />

giurisprudenza precedente, ha decretato che gli Stati Uniti hanno agito in<br />

violazione dell’articolo 2.4.2 dell’Accordo Anti-dumping nell’utilizzare<br />

una metodologia che non tenesse in conto, nel calcolo del margine di<br />

dumping, delle comparazioni in cui erano stati rinvenuti margini di dumping<br />

negativi. Nelle 15 indagini in questione, gli Stati Uniti avevano utilizzato<br />

il «model zeroing ». Compatibilmente con tale decisione, il panel<br />

ha anche stabilito che l’utilizzo della metodologia dello zeroing, racchiusa<br />

in una prassi/norma soggetta ad impugnazione, nelle indagini antidumping<br />

originali era incompatibile con l’articolo 2.4.2 dello stesso Accordo.<br />

Per quanto riguarda le leggi ritenute incompatibili dalla Comunità europea,<br />

il panel ha stabilito che non vi era violazione dell’Accordo Antidumping<br />

dal momento che in nessun testo veniva menzionato l’utilizzo<br />

della tecnica dello zeroing.<br />

Infine, il panel non ha rinvenuto alcuna incompatibilità con l’Accordo<br />

Anti-dumping in merito alla metodologia utilizzata nelle 16 procedure di<br />

revisione amministrativa. Tuttavia, questa conclusione, votata a maggioranza,<br />

non è stata condivisa da tutto il panel.<br />

Il rapporto del panel è stato appellato da entrambe le parti.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1039<br />

Misure della Repubblica Dominicana che incidono sull’importazione e<br />

sulla vendita interna di sigarette ( 72 )<br />

Su richiesta dell’Honduras, il 18 febbraio 2004 l’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie ha costituito un panel per esaminare certe misure introdotte<br />

dalla Repubblica Dominicana in relazione all’importazione ed alla<br />

vendita di sigarette.<br />

L’Honduras sosteneva, in particolare, che le regole speciali, le procedure<br />

e le pratiche amministrative applicate dalla Repubblica Dominicana<br />

per determinare il valore delle sigarette importate, allo scopo di applicare<br />

una « tassa selettiva al consumo » su tali prodotti, fossero contrarie alle<br />

obbligazioni derivanti dagli accordi OMC, specificamente del GATT.<br />

L’Honduras lamentava inoltre la natura discriminatoria del requisito in<br />

base al quale l’etichettatura dei pacchetti di sigarette dovesse avvenire nel<br />

territorio della Repubblica Dominicana, oltre all’imposizione di tasse all’importazione.<br />

Nella sua analisi, il panel ha dapprima considerato la compatibilità con<br />

le norme del GATT di alcune misure fiscali della Repubblica Dominicana<br />

( 73 ). Infatti, l’Honduras sosteneva che tali misure fossero contrarie all’articolo<br />

II del GATT, in particolare in quanto « tasse ulteriori imposte in<br />

connessione all’importazione » in eccesso di quelle previste per il prodotto<br />

in questione dalla “Schedule” della Repubblica Dominicana ( 74 ).<br />

Sul punto, il panel ha accolto la richiesta dell’Honduras. Dopo aver<br />

classificato tali misure fiscali come «other duties and charges » ai sensi<br />

dell’articolo II:1(b) del GATT (ed in quanto tali soggette ad iscrizione<br />

nella relativa colonna della «Schedule »), il panel ha infatti dichiarato tali<br />

misure in contrasto con l’articolo II:1(b) del GATT, dal momento che<br />

venivano applicate « in eccesso » a quanto stabilito dalla “Schedule” della<br />

Repubblica Domenicana, e quindi in violazione di quanto previsto<br />

dallo stesso articolo II:1(b) del GATT. Né il panel ha accolto le argomentazioni<br />

della Repubblica Dominicana in base alle quali almeno una<br />

delle due misure fiscali in oggetto (la «Foreign Exchange Fee ») sarebbe<br />

consistita in una misura di cambio, giustificata ai sensi dell’articolo<br />

XV:9 del GATT.<br />

( 72 ) «Dominican Republic – Measures affecting the importation and internal sale of cigarettes<br />

», WT/DS302/R.<br />

( 73 ) «Transitional surcharge » e «Foreign Exchange fee ».<br />

( 74 ) Come già indicato, gli impegni specifici sottoscritti da ciascun membro dell’OMC<br />

sono inseriti in documenti chiamati «schedules of concessions ». Le “Schedules” per i beni<br />

sono allegate al GATT e sono vincolanti.


1040 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

In merito al requisito dell’etichettatura, il panel ha concluso che, nonostante<br />

si trattasse di un requisito con un’applicazione formalmente<br />

eguale e non discriminatoria, dal momento che veniva imposto sia su sigarette<br />

importate che su sigarette nazionali, aveva però l’effetto di modificare<br />

le condizioni del mercato, imponendo costi aggiuntivi alle importazioni.<br />

Il panel sul punto ha infatti accolto la richiesta dell’Honduras, dichiarando<br />

tali misure contrarie all’articolo III:4 del GATT, in quanto garantivano<br />

alle sigarette importate un trattamento più sfavorevole di quello<br />

accordato alle sigarette prodotte nel proprio mercato, in modo contrario<br />

all’articolo III:4 del GATT.<br />

Il panel, inoltre, non ha ritenuto fondata la difesa della Repubblica<br />

Dominicana in base alla quale tale misura sarebbe giustificata dall’articolo<br />

XX(d) del GATT, in quanto necessaria per garantire il rispetto delle<br />

legislazione fiscale. Il panel non ha infatti ritenuto sufficientemente provato<br />

il requisito della “necessità” di tale specifica misura, dal momento<br />

che la Repubblica Dominicana non aveva dimostrato per quale motivo<br />

misure alternative e meno restrittive non avrebbero garantito lo stesso risultato.<br />

In merito alla « tassa selettiva al consumo » il panel ha concluso per la<br />

contrarietà di tale tassa all’articolo III:2 e X del GATT, rilevando tuttavia<br />

come la stessa tassa non fosse più in vigore dal gennaio 2004.<br />

La Repubblica Dominicana ha deciso di impugnare il rapporto del panel<br />

e di richiedere all’Organo di Appello di pronunciarsi in merito ad alcuni<br />

punti di diritto ed interpretazioni date dal panel.<br />

Misure della Comunità europea che incidono sul commercio di navi da<br />

carico commerciali ( 75 )<br />

Il 6 febbraio 2004, in seguito al mancato raggiungimento di una «mutually<br />

agreed solution » con la Comunità europea, la Corea ha richiesto all’Organo<br />

di Soluzione delle Controversie la costituzione di un panel, per<br />

giudicare la compatibilità con le regole dell’OMC di alcune misure comunitarie<br />

riguardanti il commercio di navi da carico commerciali.<br />

Infatti, la Corea sosteneva che le disposizioni legislative e le decisioni<br />

della Comunità europea e dei suoi Stati membri che prevedevano<br />

la concessione di sovvenzioni ai cantieri navali comunitari, incidessero<br />

negativamente sul mercato delle navi commerciali, e cioè sulle condi-<br />

( 75 ) European Communities – Measures affecting trade in commercial vessels, WT/DS301/R.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1041<br />

zioni concorrenziali tra le navi da carico coreane e quelle costruite in<br />

paesi terzi o nella Comunità europea. La Corea lamentava la contrarietà<br />

di tali misure alle disposizioni del GATT, dell’Accordo SCM e dell’Intesa<br />

( 76 ).<br />

Il panel ha, in primo luogo, considerato se tali misure fossero in violazione<br />

dell’articolo III:4 del GATT, come sosteneva la Corea, o in ogni caso<br />

sancite dall’articolo III:8, come sosteneva la Comunità europea. Il panel<br />

ha quindi dapprima ricordato che in caso di sovvenzioni, le violazioni<br />

dell’articolo III:4 del GATT si riscontrano solo quando il trattamento discriminatorio<br />

tra i prodotti nazionali e quelli importati risulta dalle condizioni<br />

allegate alla concessione di tali sovvenzioni. Il panel ha concluso la<br />

sua analisi accogliendo la difesa della Comunità europea che sosteneva<br />

che tali sovvenzioni rientrassero nell’ambito di applicazione dell’articolo<br />

III:8(b) del GATT, e quindi non fossero contrarie all’articolo III:4 del<br />

GATT. Sulla base di questa conclusione, il panel ha respinto la richiesta<br />

coreana.<br />

Il panel ha poi affrontato la presunta contrarietà delle misure in questione<br />

all’articolo 32 dell’Accordo SCM, che vieta a ciascun Membro<br />

membro di intraprendere azioni specifiche contro le sovvenzioni poste in<br />

atto da un altro Membromembro, se non in conformità dell’Accordo<br />

SCM e del GATT. La Corea sosteneva che le misure in questione costituissero<br />

« un’azione specifica » adottata da uno Stato Membro membro<br />

contro le sovvenzioni garantite da un altro Stato Membro membro in<br />

maniera contraria al GATT ed all’Accordo SCM. Il panel sul punto, pur<br />

confermando che le misure in questione costituivano « un’azione specifica<br />

» non ha ritenuto gli elementi sufficienti per considerare l’azione anche<br />

« diretta contro le sovvenzioni di un altro Stato Membromembro ».<br />

Applicando la giurisprudenza rilevante dell’Organo di Appello ( 77 ), il panel<br />

ha infatti stabilito che, al fine di integrare il requisito dell’« azione diretta<br />

contro le sovvenzioni di un altro Stato Membromembro », è necessario<br />

che la misura contenga un elemento addizionale, inerente alla propria<br />

struttura, che serva a dissuadere o ad incoraggiare la terminazione<br />

delle sovvenzioni alle quali si intende reagire. Tale elemento, secondo il<br />

panel, non era rintracciabile nelle misure in questione.<br />

( 76 ) In particolare, la Corea ha posto a fondamento della propria richiesta la violazione<br />

degli articoli I:1 e III:4 del GATT, di alcune disposizioni degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 32<br />

dell’Accordo SCM, e dell’articolo 23 dell’Intesa.<br />

( 77 ) «United States – Continued Dumping and Subsidy Offset Act of 2000 »,<br />

WT/DS217/AB/R WT/DS234/AB/R.


1042 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Dazi compensativi imposti dalla Comunità europea sui semiconduttori<br />

“DRAM” coreani ( 78 )<br />

Il 21 novembre 2003, la Corea ha richiesto la costituzione di un panel<br />

che esaminasse l’imposizione di dazi compensativi definitivi da parte della<br />

Comunità sull’importazione di memorie “DRAM” provenienti dalla società<br />

coreana Hynix.<br />

L’imposizione dei dazi era stata decisa a seguito di un’indagine delle<br />

autorità comunitarie, che aveva rivelato l’esistenza di sovvenzioni statali<br />

di cui la società era beneficiaria. In particolare, l’indagine comunitaria<br />

aveva rivelato che il governo coreano aveva ordinato ad alcuni istituti di<br />

credito privati di finanziare Hynix, società in crisi già dal 2001. All’uopo, il<br />

governo coreano aveva predisposto 5 differenti schemi di sostegno e riorganizzazione<br />

finanziaria, ai quali tali istituti partecipavano.<br />

La Corea ha contestato diversi aspetti dell’indagine comunitaria. In<br />

particolare, sosteneva che la Comunità europea non avesse adeguatamente<br />

dimostrato l’esistenza di alcune condizioni necessarie per l’imposizione<br />

dei dazi e che avesse accertato i fatti in maniera non conforme alle disposizioni<br />

dell’Accordo SCM e del GATT.<br />

Il punto chiave della controversia era se il governo coreano avesse ordinato<br />

agli istituti di credito privati di sostenere la società in questione e<br />

se ciò costituisse una sovvenzione ai sensi dell’Accordo SCM.<br />

Il panel ha iniziato la sua analisi partendo dai singoli schemi di finanziamento.<br />

Interpretando il requisito di «entrustment or direction » richiesto<br />

dall’articolo I:1 dell’Accordo SCM per la determinazione dell’esistenza di<br />

una sovvenzione statale nel senso di includervi atti impliciti o espliciti,<br />

formali o informali, in quattro casi ha riscontrato l’esistenza di sovvenzioni<br />

statali, disponendo che le indagini comunitarie avevano legittimamente<br />

rivelato come quattro dei cinque schemi di finanziamento costituissero<br />

delle sovvenzioni statali che hanno comportato un vantaggio alla società<br />

Hynix e arrecato un pregiudizio all’industria europea. Il panel ha infatti riscontrato<br />

in ognuno dei casi l’esistenza di una sovvenzione e la sussistenza<br />

di un coinvolgimento governativo.<br />

L’Organo di Soluzione delle Controversie ha adottato il rapporto del<br />

panel il 3 agosto 2005.<br />

( 78 ) «European Communities – Countervailing measures on dynamic random access memory<br />

semiconductors (DRAMS) from Korea », WT/DS299/R.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1043<br />

Indagine degli Stati Uniti circa i dazi compensativi da applicarsi ai semiconduttori<br />

“DRAM” coreani ( 79 )<br />

Il 19 novembre 2003, in mancanza del raggiungimento di una «mutually<br />

agreed solution » la Corea ha richiesto all’Organo di Soluzione delle<br />

Controversie dell’OMC l’istituzione di un panel che esaminasse l’imposizione<br />

da parte degli Stati Uniti di dazi compensativi definitivi sull’importazione<br />

di memorie “DRAM” provenienti dalla Corea, in particolare dalla<br />

società Hynix. La Corea sosteneva, da un lato, che nell’imposizione di dazi<br />

compensativi, gli Stati Uniti non avessero dimostrato l’esistenza di alcune<br />

delle condizioni necessarie per l’imposizione dei dazi, e dall’altro<br />

che non avessero accertato i fatti in modo conforme alle disposizioni del<br />

GATT e dell’Accordo SCM. La Corea riteneva inoltre che, nella quantificazione<br />

del danno, gli Stati Uniti non avessero illustrato in maniera soddisfacente<br />

le conclusioni raggiunte su tutte le questioni di fatto e di diritto,<br />

come invece richiesto dall’Accordo SCM.<br />

Il panel in questione ha iniziato la sua analisi interpretando l’articolo<br />

1.1 dell’Accordo SCM, in modo da valutare se, come ritenuto dalla Corea,<br />

il Dipartimento statunitense avesse erroneamente presupposto che ogni<br />

istituto di credito sottoposto alla sua indagine fosse sotto la direzione del<br />

governo. Sul punto il panel non ha ritenuto sufficientemente provato il<br />

collegamento tra il governo e gli istituti di credito sotto esame nella gestione<br />

dei rapporti con Hynix sviluppatisi nel periodo in questione. In particolare,<br />

secondo il panel, il Dipartimento statunitense non aveva dimostrato<br />

adeguatamente come il governo coreano si fosse servito della propria<br />

capacità di « affidare e ordinare » («entrust and direct ») ai gruppi di<br />

creditori in questione ( 80 ). Secondo il panel, quindi, il Dipartimento statunitense<br />

aveva effettuato la determinazione del requisito di «entrustment or<br />

direction », richiesto dall’articolo 1 dell’Accordo SCM per l’esistenza di<br />

una sovvenzione, in maniera contraria alle disposizioni dell’Accordo medesimo.<br />

A seguito di tale conclusione, il panel ha stabilito inoltre che anche<br />

nella determinazione del “benefit” e del requisito della “specificity” il<br />

Dipartimento statunitense aveva agito contrariamente all’Accordo SCM,<br />

avendo l’autorità statunitense basato tale analisi sulla previa determinazione<br />

dell’esistenza del requisito di «entrustment or direction » ( 81 ).<br />

( 79 ) «United States – Countervailing duty investigation on dynamic random access memory<br />

semiconductors (DRAMS) from Korea », WT/DS296/R.<br />

( 80 ) I gruppi di creditori in questione sono istituti finanziari non partecipati dal governo<br />

coreano al 100 per cento (« Groups B and C creditors »).<br />

( 81 ) In particolare, il panel ha riconosciuto che la determinazione dell’esistenza del re-


1044 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Infine il panel, rigettando quasi tutte le richieste coreane sul punto, ha<br />

tuttavia trovato delle irregolarità nella determinazione da parte delle autorità<br />

statunitensi del danno (“injury”).<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato sia dagli Stati Uniti che dalla<br />

Corea, in via incidentale. L’Organo di Appello ha parzialmente modificato<br />

la decisione del panel.<br />

Misure messicane di anti-dumping definitive su manzo e riso ( 82 )<br />

Il 19 settembre 2003, gli Stati Uniti hanno richiesto all’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie la costituzione di un panel in merito all’imposizione<br />

da parte del Messico di misure anti-dumping definitive su un tipo di<br />

riso bianco ( 83 ) e in merito ad alcune disposizioni della legge sul Commercio<br />

Estero messicana ( 84 ).<br />

In particolare, gli Stati Uniti lamentavano delle irregolarità nella determinazione<br />

del danno ai sensi dell’articolo 3 dell’Accordo Anti-dumping<br />

e nello svolgimento delle indagini, nonché il mancato rispetto delle regole<br />

di trasparenza amministrativa.<br />

Il panel ha analizzato i singoli reclami accogliendo tutte le richieste degli<br />

Stati Uniti e determinando le irregolarità delle autorità messicane, che<br />

avevano condotto le indagini in violazione delle disposizioni di diversi articoli<br />

dell’Accordo Anti-dumping. Tra i punti controversi della disputa vi<br />

era la determinazione del periodo di indagine utilizzato dalle autorità<br />

messicane. Gli Stati Uniti sostenevano infatti che la decisione delle autorità<br />

messicane di usare per la determinazione del danno (injury) un periodo<br />

di tempo terminato 15 mesi prima dell’inizio delle indagini costituisse<br />

una violazione di alcune disposizioni dell’articolo 3 dell’Accordo Antidumping<br />

e dell’articolo VI del GATT. Il panel, riconoscendo la mancanza<br />

di regole specifiche in materia di « periodo di indagine », ha tuttavia interpretato<br />

i requisiti di prova certa («positive evidence ») ed esame obbiettivo<br />

(«objective examination ») del volume e delle conseguenze delle importazioni,<br />

richiesti dall’articolo 3.1 dell’Accordo Anti-dumping, ed ha concluso<br />

per la necessità di un legame temporale tra le indagini che dovrebbero<br />

quisito di “specificity” effettuata dalle autorità statunitensi era contraria all’Accordo SCM<br />

per quanto riguarda i gruppi B e C di creditori, ma non per quanto riguarda il gruppo A di<br />

creditori.<br />

( 82 )«Mexico – Definitive Anti-Dumping Measures on Beef and Rice », WT/DS295/R.<br />

( 83 ) « Long-grain white rice ».<br />

( 84 ) « Foreign Trade Act ».


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1045<br />

condurre all’imposizione di misure anti-dumping e gli elementi sui quali<br />

le indagini sono fondate.<br />

Protezione di marchi e di indicazioni geografiche per prodotti agricoli ed<br />

alimentari nella Comunità europea ( 85 )<br />

Il 18 agosto 2003, gli Stati Uniti e l’Australia hanno richiesto, separatamente,<br />

all’Organo di Soluzione delle Controversie la costituzione di un<br />

panel in merito alla compatibilità della legislazione comunitaria con le obbligazioni<br />

sancite dagli accordi OMC, in particolare del Regolamento CE<br />

n. 2081/92 ( 86 ) relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle<br />

denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari.<br />

Gli Stati Uniti, con due successive richieste di consultazioni ( 87 ), sostenevano<br />

che il Regolamento comunitario non concedesse il trattamento<br />

nazionale per la protezione delle indicazioni geografiche e che non predisponesse<br />

una tutela sufficiente per i marchi preesistenti, ma simili o identici,<br />

ad indicazioni geografiche. Con la seconda richiesta, gli Stati Uniti sostenevano<br />

che il Regolamento comunitario limitasse le indicazioni geografiche<br />

oggetto di tutela nella Comunità europea e circoscrivesse la possibilità<br />

di accesso ai cittadini di altri Stati Membrimembri dell’OMC alle<br />

procedure e tutele predisposte dal medesimo Regolamento. Nelle due richieste<br />

gli Stati Uniti reclamavano la violazione di diversi articoli dell’Accordo<br />

TRIPs ( 88 ) e del GATT ( 89 ).<br />

L’Australia lamentava la natura discriminatoria del Regolamento comunitario<br />

in questione, che non sembrava garantire ai prodotti e ai cittadini<br />

di altri paesi Membrimembri dell’OMC lo stesso trattamento concesso<br />

ai propri prodotti o cittadini o ai prodotti e cittadini di altri Membrimembri.<br />

Inoltre, sosteneva che le misure in questione potessero diminuire<br />

la tutela dei marchi e fossero incompatibili con l’obbligazione gravante<br />

sulla Comunità europea di approntare per le parti i mezzi legali di prevenzione<br />

dell’uso ingannevole delle indicazioni geografiche o, in ogni ca-<br />

( 85 ) « European Communities – Protection of Trademarks and Geographical Indications for<br />

Agricultural Products », WT/DS174/R and WT/DS290/R.<br />

( 86 ) Regolamento CE del Consiglio n. 2081/1992 del 14 luglio 1992, in G.U.C.E., L 208,<br />

24 luglio 1992.<br />

( 87 ) WT/DS174/1 e WT/DS174/1/Add.1, rispettivamente del 1° giugno 1999 e del 4 aprile<br />

2003.<br />

( 88 ) «Agreement on Trade-related aspects of Intellectually Property Rights ».<br />

( 89 ) Gli articoli di cui gli Stati Uniti segnalavano la violazione erano gli articoli 2, 3, 4,<br />

16, 22, 24, 63 e 65 dell’Accordo TRIPs e gi articoli I e III:4 del GATT 1994.


1046 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

so, di un uso lesivo della concorrenza nei termini di cui all’articolo 10bis<br />

della Convenzione di Parigi del 1967. Anche l’Australia reclamava la violazione<br />

di diversi articoli dell’Accordo TRIPs e del GATT ( 90 ).<br />

I motivi di reclamo degli Stati Uniti e dell’Australia si concretizzavano<br />

essenzialmente in due questioni: 1) la violazione dell’obbligo del trattamento<br />

nazionale da parte della misura comunitaria, dal momento che il<br />

Regolamento sottoponeva la disponibilità della tutela dei titolari e prodotti<br />

extracomunitari nella Comunità alla condizione di reciprocità e di equivalenza,<br />

e 2) la relazione con la tutela dei marchi, dal momento che il Regolamento<br />

negava al titolare di un marchio precedentemente registrato il<br />

diritto esclusivo di proibire l’utilizzo di un’indicazione geografica simile o<br />

identica, adatta ad indurre in confusione.<br />

In merito alla prima questione, il panel ha accolto le richieste degli<br />

Stati Uniti e dell’Australia, riscontrando come la norma comunitaria fosse<br />

in violazione dell’obbligo di garantire ai titolari e ai prodotti degli altri<br />

Membrimembri dell’OMC il trattamento nazionale, in quanto la registrazione<br />

di un’indicazione geografica da parte di un paese non membro della<br />

Comunità europea era condizionata all’adozione, da parte del governo<br />

dello stesso paese richiedente, di un sistema di protezione delle indicazioni<br />

geografiche equivalente a quello della Comunità europea, che offrisse<br />

una reciproca protezione alle indicazioni geografiche comunitarie. Il panel<br />

ha inoltre rilevato che vi era violazione dell’obbligazione del trattamento<br />

nazionale anche in merito ad alcuni aspetti procedurali per l’accesso alla<br />

tutela contenuti nel medesimo Regolamento, in base ai quali le richieste<br />

di registrazione e le obiezioni dovevano essere esaminate e trasmesse dai<br />

governi dei rispettivi paesi, i quali dovevano fornirsi di sistemi di ispezione<br />

e di controllo come quelli comunitari.<br />

In riferimento alla questione della coesistenza di marchi registrati ed indicazioni<br />

geografiche, il panel, pur ammettendo che la legislazione comunitaria<br />

che permette la coesistenza di marchi ed indicazioni geografiche possa<br />

pregiudicare i diritti del titolare del marchio sanciti dall’articolo 16 dell’Accordo<br />

TRIPs, ha ritenuto, dal contesto del Regolamento, che l’eccezione<br />

fosse (sufficientemente) limitata ai diritti derivanti dai marchi registrati, e<br />

quindi giustificata sulla base dell’articolo 17 dell’Accordo TRIPs ( 91 ).<br />

( 90 ) Più specificamente, l’Australia lamentava la violazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 16, 20,<br />

22, 24, 41, 42, 63 e 65 dell’Accordo TRIPs, degli articoli I e III del GATT 1994, dell’articolo<br />

2 dell’Accordo sugli Ostacoli Tecnici al Commercio (TBT) e dell’articolo XVI:4 dell’Accordo<br />

di Marrakesh istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.<br />

( 91 ) L’articolo 17 dell’Accordo TRIPs prevede che gli Stati Membri possano introdurre


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1047<br />

Misure della Comunità europea di classificazione di parti di pollo disossato<br />

e congelato ( 92 )<br />

Nel 2002 la Comunità europea, tramite il Regolamento CE n.<br />

1223/2002, ha riclassificato, secondo il suo sistema interno di classificazione<br />

tariffaria, il pollo congelato disossato e salato, spostando l’articolo dall’intestazione<br />

tariffaria 02.10.90.20 (che riguarda alcuni generi di carne salata)<br />

all’intestazione tariffaria 02.07.41.10, che invece si riferisce alle parti di<br />

pollo disossato congelato (non salato). Ai prodotti classificati sotto la seconda<br />

intestazione viene applicata una tariffa di r 102.4/100kg e possono<br />

essere soggetti allo speciale meccanismo di salvaguardia di cui all’articolo<br />

5 dell’Accordo sull’Agricoltura, mentre i prodotti classificati sotto la prima<br />

intestazione tariffaria sono soggetti ad una tariffa di 15.4 per cento ad<br />

valorem.<br />

Il 17 giugno 2004, il Brasile e la Tailandia hanno richiesto al Direttore<br />

Generale dell’OMC la costituzione di un panel per l’esame della compatibilità<br />

del Regolamento comunitario con le norme dell’OMC. Secondo il<br />

Brasile, alla cui richiesta di consultazioni si è aggiunta anche quella della<br />

Tailandia che ha portato alla riunione delle cause, la misura comunitaria<br />

riclassificava erroneamente uno stesso prodotto, sottoponendo così l’importazione<br />

di questi prodotti ad una tariffa più elevata di quella applicata<br />

fino ad allora al medesimo prodotto ed in generale alla carne salata. Il<br />

Brasile e la Tailandia sostenevano che, di conseguenza, la misura comunitaria<br />

in questione accordasse ai loro prodotti, un trattamento meno favorevole<br />

di quello garantito dalle “Schedules” OMC della Comunità europea,<br />

in violazione delle disposizioni di cui agli articoli II e XXVII del<br />

GATT.<br />

La difesa della Comunità europea si basava invece sul fatto che l’aggiunta<br />

di sale alle parti di pollo disossate non poteva costituire un elemento<br />

decisivo ai fini della classificazione sotto l’intestazione tariffaria di<br />

« carni salate », dal momento che l’aggiunta di sale non era stata effettuata<br />

per ragioni di lunga conversazione del prodotto.<br />

Il panel ha iniziato la sua analisi con l’interpretazione dell’intestazione<br />

tariffaria, affermando che il termine « carni salate » includeva sicuramente<br />

il prodotto in questione (i.e., parti di pollo congelato e disossato, con un<br />

eccezioni alla tutela dei diritti dei titolari di marchi registrati, tenendo in ogni caso conto<br />

dei legittimi interessi dei titolari dei marchi e dei terzi.<br />

( 92 ) «European Communities – Customs Classification of Frozen Boneless Chicken Cuts »,<br />

WT/DS269/R e WT/DS286/R.


1048 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

contenuto di sale tra l’1.2 per cento ed il 3 per cento) e negando che la finalità<br />

di lunga conservazione fosse costitutiva dell’intestazione tariffaria<br />

fino ad allora applicata. Di conseguenza, il panel ha concluso che le misure<br />

comunitarie di riclassificazione tariffaria erano in violazione dell’articolo<br />

II:1(a) e (b) del GATT, dal momento che, rientrando il prodotto nell’intestazione<br />

0.2.10, risultavano nell’imposizione di dazi superiori a quelli<br />

stabiliti per tali prodotti.<br />

Misure degli Stati Uniti relative all’offerta di servizi di gioco d’azzardo<br />

( 93 )<br />

Il 21 marzo 2003, Antigua e Barbuda hanno richiesto consultazioni<br />

con gli Stati Uniti in merito ad alcune misure federali, regionali e locali<br />

applicate da amministrazioni statunitensi in pregiudizio della prestazione<br />

di servizi di gioco d’azzardo. Antigua e Barbuda sostenevano che l’impatto<br />

delle misure in questione fosse quello di prevenire l’offerta transfrontaliera<br />

di tali servizi da parte di uno Stato Membro dell’OMC nel territorio<br />

degli Stati Uniti, mentre la prestazione degli stessi servizi veniva permessa<br />

ad operatori statunitensi, in violazione delle obbligazioni sancite<br />

dall’Accordo Generale sul Commercio nei Servizi (GATS) ( 94 ).<br />

Gli Stati Uniti ritenevano invece che Antigua e Barbuda non avessero<br />

sufficientemente dimostrato l’esistenza di una violazione di diritto (prima<br />

facie). Gli Stati Uniti sostenevano inoltre che la propria “Schedule” degli<br />

Impegni Specifici non prevedeva alcun impegno di accesso al mercato per<br />

la prestazione transfrontaliera dei servizi in questione e che, anche nel caso<br />

in cui degli impegni fossero stati sottoscritti, le misure in questione<br />

non avrebbero pregiudicato in alcun modo la prestazione transfrontaliera<br />

dei servizi in maniera incompatibile con le regole di accesso al mercato<br />

del GATS.<br />

Il 25 agosto 2003, il Direttore Generale dell’OMC ha nominato il panel,<br />

il quale su richiesta delle parti, ha prima sospeso, poi riassunto il giudizio.<br />

Nel rapporto, il panel ha inizialmente riscontrato che i servizi di gioco<br />

d’azzardo erano inclusi nella “Schedule” degli Impegni Specifici degli Stati<br />

Uniti sotto l’intestazione « Altri Servizi Ricreativi ». Successivamente,<br />

ha vagliato le misure riscontrando che esse proibivano in modi diversi la<br />

( 93 )«United States – Measures Affecting the Cross-border supply of Gambling and Betting<br />

Services », WT/DS285/1.<br />

( 94 ) «General Agreement on Trade in Services ».


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1049<br />

prestazione transfrontaliera dei servizi in questione, in violazione degli<br />

obblighi di accesso al mercato sottoscritti dagli Stati Uniti nella propria<br />

“Schedule” degli Impegni Specifici per i servizi di gioco d’azzardo. Inoltre,<br />

il panel ha ritenuto che gli Stati Uniti, nell’invocare le eccezioni GATS a<br />

propria difesa, non avessero sufficientemente dimostrato la necessità e la<br />

compatibilità di tali misure alla luce dei requisiti richiesti dallo chapeau<br />

dell’articolo XIV del GATS.<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato dagli Stati Uniti. L’Organo di<br />

Appello ha parzialmente modificato le conclusioni del panel.<br />

Sovvenzioni della Comunità europea all’esportazione di zucchero ( 95 )<br />

Con il Regolamento CE n. 1260/2001 del 19 giugno 2001 ( 96 ) la Comunità<br />

europea ha istituto il regime comunitario per lo zucchero. La controversia,<br />

sollevata dal Brasile, dall’Australia e dalla Tailandia, riguardava la<br />

compatibilità di tale regime, cioè del Regolamento in questione e di tutta<br />

la legislazione e gli atti amministrativi adottati sulla base del Regolamento,<br />

con le obbligazioni della Comunità europea derivanti dagli Accordi<br />

OMC, in particolare dall’Accordo sull’Agricoltura.<br />

Il regime comunitario dello zucchero si basava su tre elementi: quote<br />

di produzione (“A” sugar, “B” sugar and “C” sugar), prezzo di intervento<br />

(«intervention price ») per il mercato comunitario e per le importazioni di<br />

zucchero dall’India e dagli stati ACP ( 97 ), e rimborsi per l’esportazione per<br />

lo zucchero di tipo “A” e “B”. Le quote “A” e “B” costituivano le quantità<br />

massime che potevano ricevere sovvenzioni sui prezzi e sovvenzioni dirette<br />

all’esportazione. Il regime non stabiliva nessun limite quantitativo<br />

alla produzione di zucchero, tuttavia, lo zucchero prodotto al di fuori dei<br />

limiti fissati per le quote “A” e “B” (lo zucchero “C”), non poteva ricevere<br />

sovvenzioni né sui prezzi né all’esportazione e doveva essere esportato.<br />

Il Regolamento stabiliva, inoltre, dei « prezzi di intervento » sul mercato<br />

domestico e dei “rimborsi” per l’esportazione («export refunds ») per coprire<br />

la differenza tra il prezzo dello zucchero nella Comunità europea e<br />

( 95 ) «European Communities – Export Subsidies on Sugar », WT/DS/283/R, WT/DS/<br />

266/R e WT/DS265/R.<br />

( 96 ) Regolamento CE del Consiglio n. 1260/2001 del 19 giugno 2001, in G.U.C.E., L 178,<br />

30 giugno 2001.<br />

( 97 ) African, Caribbean and Pacific. Sono gli Stati che hanno concluso con la Comunità<br />

europea l’Accordo di Cotonou del 23 giugno 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del<br />

15 dicembre 2000, L 317.


1050 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

nel resto del mondo. In base alla “Schedule” della Comunità europea, Sezione<br />

II, Parte IV, è stato sottoscritto un impegno (di riduzione) per le<br />

sovvenzioni all’esportazione per lo zucchero nella misura di r 499.1 milioni<br />

e 1.273.500 tonnellate che, come specificato dalla nota 1, « . . . non include<br />

le esportazioni di zucchero proveniente dai paesi ACP e dall’India per<br />

il quale la Comunità non sottoscrive alcun impegno di riduzione. La<br />

quantità media di esportazione durante il periodo che va dal 1986 al 1990 è<br />

pari a 1,6 milioni di tonnellate ». L’ultima notificazione fatta dalla Comunità<br />

europea al Comitato sull’Agricoltura dell’OMC per gli anni 2001/2002<br />

dichiarava un totale di 4.097.000 tonnellate di zucchero esportato.<br />

L’Australia, il Brasile e la Tailandia sostenevano che la Comunità europea<br />

avesse esportato, sin dal 1995, quantità di zucchero sovvenzionato,<br />

in misura superiore al livello di impegni annuali, in violazione degli articoli<br />

3 ed 8 dell’Accordo sull’Agricoltura. In particolare, ritenevano che lo<br />

zucchero “C” prodotto sotto il regime comunitario fosse fornito tramite<br />

sovvenzioni all’esportazione ai sensi dell’articolo 9.1(c) dell’Accordo sull’Agricoltura,<br />

ed esportato in misura superiore agli impegni (di riduzione<br />

delle sovvenzioni) sottoscritti dalla Comunità europea in merito alla quota<br />

“C”, nella Sezione II, Parte IV della propria “Schedule” di Concessioni.<br />

Sostenevano inoltre, gli attori, che la Comunità europea garantisse sovvenzioni<br />

dirette all’esportazione di zucchero proveniente dall’India o dai<br />

paesi ACP ai sensi dell’articolo 9.1(a) dell’Accordo sull’Agricoltura, sempre<br />

in violazione degli impegni sottoscritti.<br />

Il panel, unico per le tre cause, è stato nominato dal Direttore Generale<br />

dell’OMC il 23 dicembre 2003. I tre rapporti, identici nel contenuto,<br />

sono stati trasmessi il 15 ottobre 2004. Il panel ha, in primo luogo, riscontrato<br />

che le quantità e le spese di bilancio da destinarsi annualmente alle<br />

esportazioni di zucchero sovvenzionato erano determinate con riferimento<br />

alle annotazioni specifiche nella Sezione II, Parte IV della “Schedule”<br />

della Comunità europea, e che il contenuto della nota non aveva alcun effetto<br />

giuridico, né ampliava o modificava in alcun modo gli impegni sottoscritti<br />

dalla Comunità europea. Successivamente, il panel ha riscontrato<br />

nelle esportazioni comunitarie della quota “C” l’esistenza di tutti gli elementi<br />

di cui all’articolo 9.1(c) dell’Accordo sull’Agricoltura, ed ha concluso<br />

che tali quote in eccesso venivano sovvenzionate dalla Comunità europea,<br />

in maniera incompatibile con quanto disposto dagli articoli 3 ed 8<br />

dell’Accordo sull’Agricoltura. In maniera analoga, il panel, dopo aver riscontrato<br />

l’esistenza di tutti i requisiti di cui all’articolo 9.1(a) dell’Accordo<br />

sull’Agricoltura, ha poi concluso inoltre che la Comunità europea sovvenzionava<br />

le sue esportazioni di zucchero indiano e proveniente dai pae-


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1051<br />

si ACP in maniera incompatibile con quanto disposto dagli articoli 3 ed 8<br />

dell’Accordo sull’Agricoltura.<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato dalla Comunità europea. L’Organo<br />

di Appello ha sostanzialmente confermato le conclusioni del panel.<br />

Misure anti-dumping statunitensi su condotte da perforazione petrolifera<br />

provenienti dal Messico ( 98 )<br />

La controversia riguarda alcune determinazioni effettuate dal Dipartimento<br />

statunitense per il Commercio («United States Department of Commerce»<br />

o “USDC”) e della «International Trade Commission » in relazione<br />

ai riesami amministrativi e di estinzione delle misure anti-dumping sulle<br />

importazioni messicane di condotte per l’estrazione petrolifera, nonché in<br />

relazione alla continuazione delle misure anti-dumping. In aggiunta, il<br />

Messico richiedeva al panel anche una valutazione di compatibilità con alcune<br />

disposizioni contenute in vari Accordi dell’OMC, in particolare dell’Accordo<br />

Anti-dumping ( 99 ), di alcune leggi, disposizioni regolamentari<br />

(i.e., la pratica dello zeroing) e prassi amministrative utilizzate dalle autorità<br />

statunitensi nelle proprie determinazioni.<br />

Il panel ha analizzato i singoli reclami messicani. In primo luogo, ha<br />

concluso per l’incompatibilità del «Sunset Policy Bulletin» del Dipartimento<br />

statunitense per il Commercio con l’articolo 11 dell’Accordo Anti-dumping,<br />

sulla base del fatto che la normativa statunitense in questione finiva<br />

con il dare, nei riesami per estinzione, un peso eccessivo a due fattori (i.e.,<br />

il volume delle importazioni e i margini di dumping storici) in modo da<br />

stabilire una vera e propria presunzione di ricorrenza e continuazione di<br />

dumping. Su questa base, il panel ha inoltre concluso per l’incompatibilità<br />

con l’articolo 11.3 dell’Accordo Anti-dumping di una delle determinazioni<br />

in questione, in quanto non sorretta da conclusioni adeguatamente argomentate<br />

e basate su fatti.<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato sia dal Messico che dagli Stati<br />

Uniti, in via incidentale.<br />

( 98 ) «United States – Measures on Oil Country Tubular Goods from Mexico », WT/DS/<br />

282/R.<br />

( 99 ) Il Messico sosteneva in particolare la violazione degli articoli 1, 2, 3, 6, 11 e 18 dell’Accordo<br />

Anti-dumping, degli articoli VI e X del GATT 1994 e dell’articolo XVI:4 dell’Accordo<br />

di Marrakesh istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.


1052 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Misure del Canada relative all’esportazione di frumento e al trattamento<br />

applicato al grano importato ( 100 )<br />

La controversia in questione riguarda sia alcune misure canadesi relative<br />

all’esportazione di frumento applicate dal Canada Wheat Board, che il<br />

trattamento riservato dal Canada al grano importato. Gli Stati Uniti sostenevano<br />

che gli atti del governo canadese e del Canadian Wheat Board<br />

(i.e., ente che gode di diritti esclusivi di acquisto e di vendita del grano del<br />

Canada Occidentale destinato al consumo) relativi all’esportazione di grano,<br />

sembravano incompatibili con le disposizioni dell’articolo XVII del<br />

GATT.<br />

In merito al trattamento riservato dal Canada al grano importato, gli<br />

Stati Uniti sostenevano l’incompatibilità di alcune misure canadesi con<br />

l’articolo III del GATT e con l’articolo 2 dell’Accordo TRIMs ( 101 ). In particolare,<br />

le misure oggetto delle richieste statunitensi erano: (i) il «Canadian<br />

Grain Act » e le «Canada Grain Regulations », che stabilivano un sistema<br />

di smistamento del grano, in base alle quali il grano importato non<br />

poteva essere mischiato con il grano canadese ricevuto in o scaricato da<br />

appositi macchinari per carico e scarico di grano; (ii) alcune disposizioni<br />

del «Canada Transportation Act » che imponevano un tetto sui ricavi che<br />

potevano essere guadagnati da alcune ferrovie per il trasporto di grano del<br />

Canada Occidentale, ma non su quello ricevuto per il trasporto di grano<br />

importato; (iii) una disposizione del «Canada Grain Act »che permetteva<br />

ai produttori di grano di richiedere un vagone per ricevere e trasportare il<br />

grano fino al silos o fino all’assegnatario.<br />

Il panel, nel rapporto trasmesso il 6 aprile 2004, ha stabilito che gli Stati<br />

Uniti non erano stati in grado di dimostrare in che modo il Canada aveva<br />

inadempiuto alle proprie obbligazioni ex articolo XVII:1 del GATT.<br />

Con riferimento alle altre misure, il panel ha accolto le richieste degli Stati<br />

Uniti concludendo che, sia le disposizioni del «Canada Grain Act » e del<br />

«Canada Grain Regulations » che quelle di cui al «Canada Transportation<br />

Act », erano incompatibili con l’articolo III:4 del GATT. In merito allo<br />

schema per la fornitura dei vagoni, il panel ha stabilito che gli Stati Uniti<br />

non avevano sufficientemente dimostrato la natura discriminatoria, e<br />

quindi l’incompatibilità, della disposizione del «Canadian Grain Act » sulla<br />

base dell’articolo III:4 del GATT o dell’articolo 2 del TRIMs.<br />

( 100 ) Canada – Measures Relating to Exports of Wheat and Treatment of Imported Grain,<br />

WT/DS276/R.<br />

( 101 ) « Agreement on Trade-Related Investment Measures ».


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1053<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato dagli Stati Uniti, ma l’Organo<br />

di Appello ha confermato le conclusioni di primo grado.<br />

Misure coreane che incidono sul commercio di navi da carico commerciali<br />

( 102 )<br />

Il 21 ottobre 2002, la Comunità europea ha richiesto consultazioni con<br />

la Corea in merito ad alcune misure che prevedevano sovvenzioni alla<br />

propria industria di costruzione navale, in violazione dell’Accordo SCM.<br />

Secondo la Comunità europea, le sovvenzioni erano indirizzate alla produzione<br />

di navi da carico commerciali per il commercio internazionale, in<br />

particolare di petroliere, containers, tanks industriali, navi passeggeri, ed<br />

altre tipologie di navi. In particolare, le misure in questione consistevano<br />

in: sovvenzioni per ristrutturazioni finanziarie, nella forma di cancellazione<br />

del debito e degli interessi, somministrate attraverso banche controllate<br />

o possedute dal governo; agevolazioni fiscali per imprese in ristrutturazione<br />

finanziaria; prestiti agevolati e garanzie di rimborso del pagamento<br />

anticipato forniti dalla banca statale «Export-Import Bank of Korea »<br />

(“KEXIM”). La Comunità europea contestava quindi la violazione, da<br />

parte della Corea, delle obbligazioni sancite dall’Accordo SCM ( 103 ).<br />

Nel rapporto, trasmesso il 7 marzo 2005, il panel ha rigettato le argomentazioni<br />

della Comunità europea che sostenevano l’incompatibilità degli<br />

schemi di prestiti agevolati e delle garanzie di rimborso del pagamento<br />

anticipato forniti dalla banca statale in quanto, secondo il panel, il regime<br />

legale della banca KEXIM non richiedeva il conferimento di una sovvenzione<br />

all’esportazione e quindi non era in violazione dell’articolo 3 dell’Accordo<br />

SCM.<br />

Tuttavia il panel ha anche riscontrato che alcuni schemi di agevolazioni<br />

fiscali e di garanzie di rimborso del pagamento anticipato fornite dalla<br />

banca KEXIM costituivano sovvenzioni all’esportazione proibite dall’Accordo<br />

SCM. Inoltre, con riferimento alle sovvenzioni per le ristrutturazioni<br />

finanziarie, il panel ha sostenuto che, mentre le transazioni costituivano<br />

« contributi finanziari » versati da istituti statali ai sensi dell’articolo<br />

1.1(a)(1) dell’Accordo SCM, la Comunità europea non aveva dimostrato<br />

che gli istituti privati fossero stati indirizzati («entrusted or directed ») a<br />

versare i contributi finanziari dallo Stato. In merito ai termini delle ri-<br />

( 102 ) «Korea – Measures Affecting Trade in Commercial Vessels », WT/DS273/R.<br />

( 103 ) In particolare, la Comunità sosteneva, non in via esclusiva, la violazione degli articoli<br />

1, 2, 3.1, 5(a), 5(c), 6.3 e 6.5 dell’Accordo SCM.


1054 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

strutturazioni finanziarie, il panel ha inoltre stabilito che la Comunità europea<br />

non aveva provato che le decisioni di portare a termine la ristrutturazione<br />

(invece che di procedere alla liquidazione) fossero incompatibili<br />

con le normali considerazioni commerciali, e quindi che comportassero<br />

delle sovvenzioni.<br />

Il panel ha raccomandato alla Corea di porre fine agli schemi di prestiti<br />

agevolati ed alle garanzie di rimborso del pagamento anticipato trovati<br />

in violazione delle norme OMC. Il rapporto del panel è stato adottato dall’Organo<br />

di Soluzione delle Controversie l’11 aprile 2005.<br />

Riesami di estinzione di misure anti-dumping statunitensi su condotte<br />

da perforazione petrolifera provenienti dall’Argentina ( 104 )<br />

Il 7 ottobre 2002, l’Argentina ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti riguardo alle determinazioni finali del Dipartimento statunitense<br />

per il Commercio («United States Department of Commerce » o “USDC”) e<br />

della «International Trade Commission » in merito ai riesami di estinzione<br />

delle misure anti-dumping sulle condotte da perforazione petrolifera,<br />

emessi rispettivamente nel novembre 2000 ed in giugno 2001, nonché in<br />

merito alla decisione del Dipartimento per il Commercio statunitense del<br />

luglio 2001 di mantenere le misure anti-dumping sulle condotte in questione.<br />

L’Argentina sosteneva, in particolare, che la legislazione statunitense,<br />

le prassi e le procedure relative all’amministrazione dei riesami di estinzione<br />

e all’applicazione di misure anti-dumping fossero sia per se, che nella<br />

loro applicazione da parte delle competenti autorità, incompatibili con<br />

alcune disposizioni dell’Accordo Anti-dumping, del GATT e dell’Accordo<br />

OMC ( 105 ). Inoltre, l’Argentina riteneva che i riesami di estinzione portati<br />

avanti dal Dipartimento statunitense e quelli effettuati dalla «International<br />

Trade Commission » fossero in violazione di diverse disposizioni dell’Accordo<br />

Anti-dumping, in particolare di quelle sulla determinazione del<br />

margine di dumping e sulla durata e riesame delle misure anti-dumping.<br />

Nel rapporto trasmesso il 16 luglio 2004, il panel ha accolto diverse richieste<br />

dell’Argentina. L’organo di primo grado ha concluso che alcune<br />

( 104 ) «United States – Sunset Reviews of Anti-Dumping Measures on Oil Country Tubular<br />

Goods from Argentina », WT/DS268/R.<br />

( 105 ) In particolare, l’Argentina sosteneva l’incompatibilità con gli articoli 1, 2, 3, 5, 6, 11,<br />

12, e 18 dell’Accordo Anti-dumping, degli articoli VI e X del GATT e con l’articolo XVI:4<br />

dell’Accordo di Marrakesh istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1055<br />

disposizioni della legge tariffaria statunitense e del «Sunset Policy Bulletin<br />

» relative all’obbligazione del Dipartimento statunitense di determinare<br />

la probabilità di continuazione o reiterazione di dumping nei riesami di<br />

estinzione, fossero incompatibili con l’articolo 11.3 dell’Accordo Antidumping.<br />

Il panel ha anche concluso per l’incompatibilità del paragrafo II.A.3<br />

del «Sunset Policy Bulletin », in quanto richiedeva al Dipartimento di considerare<br />

come prova decisiva per le probabilità di continuazione e reiterazione<br />

di dumping, il verificarsi di uno dei tre scenari previsti dal «Sunset<br />

Policy Bulletin ». Tuttavia, il panel non ha ritenuto incompatibili le disposizioni<br />

statunitensi in materia di continuazione e reiterazione del danno<br />

nei riesami amministrativi, né ha ritenuto che, nel caso concreto, le determinazioni<br />

della «International Trade Commission », in merito ai riesami<br />

delle misure imposte sulle condotte argentine, fossero in violazione degli<br />

articoli dell’Accordo Anti-dumping.<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato dagli Stati Uniti, ma l’Organo<br />

di Appello ha sostanzialmente confermato le conclusioni di primo grado.<br />

Sovvenzioni degli Stati Uniti sul cotone ( 106 )<br />

Il 27 settembre 2002, il Brasile ha richiesto consultazioni con gli Stati<br />

Uniti relativamente ad alcune misure che costituivano sostegno interno e<br />

sovvenzioni all’esportazione, a sostegno dell’industria statunitense del cotone.<br />

In particolare, la richiesta brasiliana concerneva alcune sovvenzioni<br />

proibite e ricorribili, nonché leggi, regolamenti e statuti che prevedevano<br />

tali sovvenzioni a vantaggio dei produttori, consumatori ed esportatori<br />

statunitensi di cotone. Tra le misure oggetto della richiesta brasiliana vi<br />

erano prestiti per le commercializzazione, pagamenti agli utenti per la<br />

commercializzazione, pagamenti per contratti di produzione flessibile,<br />

pagamenti diretti, pagamenti anticipati, e schemi di garanzie di credito all’esportazione,<br />

a vario titolo concesse dagli Stati Uniti ai propri produttori<br />

ed esportatori di cotone. Il Brasile sosteneva che tali misure violassero<br />

diverse disposizioni dell’Accordo sull’Agricoltura, dell’Accordo SCM e<br />

del GATT ( 107 ).<br />

( 106 ) United States – Subsidies on Upland Cotton, WT/DS267/R.<br />

( 107 ) Il Brasile sosteneva la violazione delle seguenti disposizioni: articoli 5(c), 6.3(b), (c)<br />

e (d), 3.1(a) (incluso il punto (j) della Lista Illustrativa delle Sovvenzioni all’esportazione<br />

nell’Allegato I), 3.1(b), e 3.2 dell’Accordo SCM; articoli 3.3, 7.1, 8, 9.1 e 10.1 dell’Accordo<br />

sull’Agricoltura e articolo III:4 del GATT.


1056 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il panel, nominato dal Direttore Generale dell’OMC il 19 maggio<br />

2003, ha trasmesso il rapporto l’8 settembre 2004, sostanzialmente accogliendo<br />

le richieste brasiliane. Il panel ha infatti esaminato le misure in<br />

questione prima ai sensi dell’articolo 13(a) dell’Accordo sull’Agricoltura,<br />

e poi ai sensi dell’articolo 13(b), in modo da valutare se tali pretese sovvenzioni<br />

fossero coperte dalla clausola di pace («peace clause ») ( 108 ) ivi<br />

prevista.<br />

Per integrare la fattispecie prevista dall’articolo 13(a) dell’Accordo sull’Agricoltura,<br />

e quindi per l’applicazione della clausola di pace, le misure<br />

devono conformarsi alle disposizioni dell’Allegato 2 dell’Accordo sull’Agricoltura.<br />

Il panel, valutando le misure in questione, ha sostenuto che<br />

l’ammontare dei pagamenti per contratti di produzione flessibile e dei pagamenti<br />

diretti era condizionato al tipo di produzione intrapresa dall’agricoltore,<br />

e quindi tali aiuti non si qualificavano come aiuti interni «green<br />

box » ai sensi del paragrafo 6(b) dell’Allegato 2 di cui sopra. Analogamente,<br />

il panel ha riscontrato che anche sulla base dell’articolo 13(b) dell’Accordo<br />

sull’Agricoltura tali misure non potevano usufruire della clausola di<br />

pace, dal momento che prevedevano la concessione di aiuti interni per un<br />

prodotto agricolo specifico (“commodity”) in misura superiore a quanto<br />

deciso durante l’anno 1992.<br />

In riferimento ai pagamenti agli utenti per la commercializzazione, il<br />

panel ha stabilito che essi costituivano una sovvenzione all’esportazione<br />

ai sensi dell’articolo 9.1 dell’Accordo sull’Agricoltura e quindi in violazione<br />

degli articoli 3.3 ed 8 dell’Accordo sull’Agricoltura, nonché dell’articolo<br />

3 dell’Accordo SCM.<br />

Il panel ha inoltre analizzato la compatibilità degli schemi di garanzie<br />

di credito all’esportazione concludendo che essi costituivano una sovvenzione<br />

all’esportazione in violazione dell’articolo 3 dell’Accordo SCM.<br />

In merito al profilo della ricorribilità delle sovvenzioni, il panel ha riscontrato,<br />

da un lato, che le misure in questione costituivano delle sovvenzioni<br />

ai sensi dell’articolo 1,1(a) e (b) dell’Accordo SCM, ed ha anche<br />

concluso che tali sovvenzioni erano specifiche ai sensi dell’articolo 2.1 (a)<br />

e/o 2.3 dell’Accordo SCM. Tuttavia, dall’altro lato, ha negato che le sovvenzioni<br />

non condizionate («non price-contingent subsidies ») – inter alia, i<br />

pagamenti per contratti di produzione flessibile, pagamenti diretti, paga-<br />

( 108 ) L’articolo 13 dell’Accordo sull’Agricoltura prevede una clausola di pace in base alla<br />

quale i Membri dell’OMC si impegnano a non avviare controversie nel caso di misure di<br />

sostegno interno e sovvenzioni all’esportazione che rispettino i termini degli accordi raggiunti.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1057<br />

menti anticipati – stessero provocando un grave pregiudizio («serious<br />

prejudice») agli interessi brasiliani.<br />

Il rapporto del panel è stato impugnato dagli Stati Uniti, ma l’Organo<br />

di Appello ha sostanzialmente confermato le conclusioni di primo grado.<br />

Determinazioni finali di dumping, da parte degli Stati Uniti, sul legname<br />

tenero da costruzione proveniente dal Canada ( 109 )<br />

La controversia riguarda alcune determinazioni finali di dumping del<br />

legname tenero proveniente dal Canada, annunciate dal Dipartimento<br />

statunitense per il Commercio il 21 marzo 2002 sulla base del paragrafo<br />

735 della legge tariffaria del 1930, come modificata il 22 maggio 2002. Le<br />

misure, per le quali il Canada aveva richiesto la procedura di urgenza ex<br />

articolo 4.8 dell’Intesa, comprendevano tutte le fasi dell’indagine (con<br />

particolare riferimento al requisito della sufficienza delle prove) e le determinazioni<br />

finali, che imponevano dazi anti-dumping sul legname tenero<br />

canadese, il cui ammontare variava da 2,8 per cento a 12,44 per cento.<br />

Il Canada sosteneva, in particolare, che tali misure, specialmente le determinazioni<br />

effettuate e la metodologia applicata dal Dipartimento statunitense<br />

per il Commercio sotto la legge tariffaria del 1930, fossero in violazione<br />

di quanto stabilito da diverse disposizioni dell’Accordo Anti-dumping<br />

e del GATT ( 110 ).<br />

Il panel ha trasmesso il suo rapporto il 13 aprile 2004, nel quale sostanzialmente<br />

ha rilevato che il Dipartimento statunitense per il Commercio,<br />

nelle sue determinazioni finali, non aveva rispettato i requisiti stabiliti<br />

dall’articolo 2.4.2 dell’Accordo Anti-dumping, per non aver tenuto<br />

conto di tutte le transazioni di esportazione nel calcolo dei margini di<br />

dumping, applicando la metodologia dello “zeroing”. Il panel ha tuttavia rigettato<br />

le altre richieste canadesi, concludendo che le autorità statunitensi,<br />

non avevano iniziato né condotto le proprie indagini in violazione delle<br />

regole previste dall’Accordo Anti-dumping.<br />

Il 13 maggio 2004, gli Stati Uniti hanno notificato il proprio atto di appello,<br />

per richiedere all’Organo di Appello di pronunciarsi in merito ad alcuni<br />

punti di diritto ed interpretazioni date dal panel.<br />

( 109 ) «United States – Final Dumping Determination on Softwood Lumber from Canada »,<br />

WT/DS264/R.<br />

( 110 ) In particolare, il Canada sosteneva la violazione degli articoli 1, 2.1, 2.2, 2.4, 2.6, 5.1,<br />

5.2, 5.3, 5.4, 5.8, 6.1, 6.2, 6.4, 6.9 e 9.3 dell’Accordo Anti-dumping e degli articoli VI e X:3(a)<br />

del GATT.


1058 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Misure messicane che incidono sulla prestazione di servizi di telecomunicazione<br />

( 111 )<br />

La controversia riguardava alcune disposizioni contenute nella legislazione<br />

messicana e nei regolamenti, relative alla prestazione di servizi di<br />

telecomunicazione. Ai sensi della normativa messicana, il più grande fornitore<br />

di chiamate uscenti verso uno specifico mercato estero aveva il diritto<br />

esclusivo di negoziare i termini e le condizioni per la terminazione di<br />

chiamate internazionali in Messico (i.e., i servizi di interconnessione). Oggetto<br />

della citazione da parte degli Stati Uniti erano alcune misure introdotte<br />

dal legislatore messicano, secondo gli Stati Uniti, per impedire o restringere<br />

la concorrenza nella terminazione delle chiamate internazionali<br />

(«termination of cross-border switched traffic »), tenere le tariffe di interconnessione<br />

artificialmente elevate, e costringere imprese straniere a pagare<br />

una tariffa già negoziata dall’operatore telefonico messicano con il<br />

maggior volume di traffico in uscita su una particolare rotta internazionale,<br />

nel caso in cui avessero voluto fornire servizi transfrontalieri.<br />

Gli Stati Uniti sostenevano che il Messico non aveva garantito la prestazione,<br />

da parte di Telmex (impresa operante in regime di ex monopolio<br />

ma correntemente in posizione dominante sul mercato messicano) di un<br />

servizio di interconnessione ai fornitori statunitensi su base transfrontaliera<br />

in una forma opportuna, con termini, condizioni e tariffe basate su costi<br />

trasparenti e ragionevoli. Secondo gli Stati Uniti, inoltre, la legislazione<br />

messicana permetteva a Telmex di attuare pratiche anticoncorrenziali su<br />

tariffe di interconnessione per servizi di telecomunicazione transfrontalieri,<br />

tra l’altro incoraggiando la creazione di un vero e proprio cartello sulle<br />

tariffe di interconnessione. Il Messico, infine, non era stato in grado di assicurare<br />

l’accesso e l’utilizzo delle proprie reti pubbliche e servizi di telecomunicazioni,<br />

compresi i servizi di accesso ai circuiti di linee affittate, a<br />

termini ragionevoli e non discriminatori. Gli Stati Uniti sostenevano<br />

quindi la violazione delle obbligazioni sancite dal GATS, dall’Allegato<br />

GATS sulle Telecomunicazioni e dal «Reference Paper on basic Telecommunication<br />

Services » ( 112 ), iscritto nella «Schedule » GATS del Messico.<br />

In merito al primo addebito, il panel ha riscontrato che le tariffe di in-<br />

( 111 ) «Mexico – Measures Affecting Telecommunication Services », WT/DS204/R.<br />

( 112 ) Il «Reference Paper » consiste in un accordo aggiuntivo, annesso agli impegni presi<br />

ed iscritti sulle “Schedules”, comprensivo di una serie di principi basilari e maggiori garanzie<br />

per gli operatori di un determinato settore. Tale documento viene sottoscritto facoltativamente<br />

dai Membri dell’OMC come « impegno addizionale ».


terconnessione messicane, imposte da Telmex agli operatori statunitensi<br />

erano più elevate dei costi sopportati nella prestazione dei servizi di interconnessione<br />

e, di conseguenza, non basate sui costi («cost oriented ») ai<br />

sensi del «Reference Paper ». Il panel infatti, ha dapprima stabilito che il<br />

paragrafo 2 del «Reference Paper » trovava applicazione anche nel caso di<br />

interconnessione di operatori transfrontalieri di servizi di telecomunicazione.<br />

Successivamente, ha ritenuto Telmex un «major supplier» che stava<br />

imponendo ad operatori statunitensi tariffe del 77 per cento più elevate rispetto<br />

al tetto massimo imposto per l’interconnessione nazionale, non<br />

certamente basate sui costi come prescritto invece dal paragrafo 2.2(b) del<br />

«Reference Paper ».<br />

Con riferimento all’esistenza di pratiche anticoncorrenziali, il panel ha<br />

stabilito che la rimozione della concorrenza dei prezzi tramite una misura<br />

legislativa posta in essere dalle autorità messicane che prevedeva il sistema<br />

a tariffa uniforme, congiuntamente alla fissazione di un prezzo uniforme<br />

da parte dell’impresa dominante, aveva gli stessi effetti di un cartello<br />

di fissazione dei prezzi. Il panel ha quindi concluso che il sistema di tariffa<br />

uniforme previsto dalla legge messicana richiedeva l’attuazione di politiche<br />

anticoncorrenziali da parte di Telmex, in violazione di quanto stabilito<br />

nell’articolo 1(2) del «Reference Paper ».<br />

Infine, in merito all’ultima richiesta statunitense, il panel ha riscontrato<br />

che il Messico era in violazione delle proprie obbligazioni derivanti dall’Allegato<br />

GATS sulle Telecomunicazioni, dal momento che la legislazione<br />

messicana effettivamente impediva agli operatori statunitensi di dirigere<br />

le chiamate dalle linee affittate alla rete nazionale messicana.<br />

4. – Le pronunce dell’Organo di Appello<br />

OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1059<br />

Tasse messicane che incidono sui soft drinks ed altre bevande ( 113 )<br />

Il rapporto dell’Organo di Appello, trasmesso il 7 ottobre 2005, ha sostanzialmente<br />

confermato, anche se sulla base di una diversa motivazione,<br />

le conclusioni del panel secondo il quale le misure fiscali messicane<br />

imposte su alcuni tipi di bevande non erano giustificate dall’articolo<br />

XX(d) del GATT.<br />

In particolare, in primo grado il Messico sosteneva che tali misure fossero<br />

giustificate in quanto necessarie per garantire l’adempimento, da parte<br />

degli Stati Uniti, con le obbligazioni loro derivanti dal NAFTA. Il panel<br />

( 113 ) «Mexico – Tax Measures on Soft Drinks and Other Beverages », WT/DS308/AB/R.


1060 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

aveva rigettato tale difesa sostenendo che per « garanzia dell’adempimento<br />

» si intende “esecuzione”, che è un concetto che richiama un’azione diretta<br />

riconducibile nell’ambito di una struttura gerarchica organizzata associata<br />

alla relazione tra Stato e cittadini, ed aveva concluso che « garantire<br />

l’adempimento » ai sensi dell’articolo XX(d) del GATT non si può invocare<br />

per giustificare misure prese da un Membro OMC per indurre un<br />

altro Membro ad adempiere alle obbligazioni che scaturiscono da un altro<br />

trattato.<br />

Come motivo di appello, il Messico sosteneva che il panel aveva interpretato<br />

in maniera scorretta il concetto di « garantire l’adempimento delle<br />

obbligazioni » di cui all’articolo XX(d) del GATT. Questo errore, secondo<br />

il Messico, aveva indotto il panel ad escludere misure internazionali, che<br />

invece secondo il Messico erano ricomprese nei termini « leggi e regolamenti<br />

», che nel contesto dell’articolo XX(d) sono ampi abbastanza da ricomprendere<br />

accordi internazionali quali il NAFTA. Il Messico sosteneva<br />

infatti che dall’utilizzo, negli altri accordi del sistema OMC, di tali termini<br />

non si poteva escludere che anche accordi internazionali venissero ricompresi<br />

nei concetti di « leggi e regolamenti ». Secondo l’Organo di Appello,<br />

la questione invece era più circoscritta e consisteva nel verificare se, nell’ambito<br />

dell’articolo XX(d) del GATT, il concetto di « garanitre l’adempimento<br />

di leggi e regolamenti » ricomprendesse misure incompatibili con<br />

il GATT, applicate da un Membro membro per garantire l’adempimento<br />

da parte di un altro Membro membro delle proprie obbligazioni internazionali.<br />

Sulla base della giurisprudenza esistente, e sulla base di considerazioni<br />

circa i rapporti tra diritto interno e diritto internazionale nei diversi<br />

sistemi giuridici esitenti, l’Organo di Appello ha concluso che i termini<br />

« leggi e regolamenti » di cui all’articolo XX(d) si riferiscono a regole che<br />

formano parte del sistema giuridico nazionale interno dei membri OMC;<br />

di conseguenza, secondo l’Organo di Appello, una misura incompatibile<br />

con il GATT ma giustificata dallo scopo di garantire l’adempimento di obbligazioni,<br />

non può includere obbligazioni di un altro Membro membro<br />

OMC con accordi internazionali.<br />

L’Organo di Appello ha aggiunto che a voler sostenere l’interpretazione<br />

messicana, si finirebbe con l’attribuire ai panel ed all’Organo di Appello<br />

il potere/dovere di analizzare eventuali inadempimenti di obbligazioni<br />

derivanti da trattati ed accordi internazionali diversi dall’OMC (NAFTA,<br />

in questo caso), rendendoli arbitri di controversie non pertinenti al sistema<br />

giuridico OMC. Tale compito evidentemente si colloca al di fuori della<br />

loro funzione, designata dall’Intesa sulle Norme e Procedure che Disciplinano<br />

la Soluzione delle Controversie.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1061<br />

Misure messicane di anti-dumping definitive su manzo e riso ( 114 )<br />

Nel suo rapporto trasmesso il 29 novembre 2005, l’Organo di Appello<br />

ha confermato in larga parte le conclusioni del panel in primo grado. In<br />

particolare, ha confermato che la scelta del periodo di indagine da parte<br />

delle autorità messicane non aveva consentito di effettuare una determinazione<br />

del danno basata su prove certe, come invece richiesto dall’Accordo<br />

Anti-dumping, e che tale condotta costituisce una violazione di alcune<br />

disposizioni dell’articolo 3 del medesimo accordo.<br />

Il 20 dicembre 2005, l’Organo di Soluzione delle Controversie ha<br />

adottato il rapporto dell’Organo di Appello e del panel, come modificato<br />

dall’Organo di Appello. Le parti hanno successivamente raggiunto un accordo<br />

circa il periodo di tempo entro cui completare l’implementazione<br />

delle raccomandazioni.<br />

Metodologia statunitense per il calcolo del margine di dumping ( 115 )<br />

Il 17 ed il 30 gennaio 2006, la Comunità europea e gli Stati Uniti hanno<br />

notificato la propria intenzione di appellare il rapporto del panel.<br />

La Comunità europea, in particolare, impugnava la conclusione del<br />

panel secondo cui la pratica dello zeroing era permessa nel contesto dei<br />

riesami amministrativi. Il panel aveva raggiunto tale conclusione sulla base<br />

del fatto che l’articolo 2.4.2 non trovava applicazione nei riesami amministrativi,<br />

ma solo nel procedimento principale, e che l’articolo 9.3 non<br />

proibiva l’uso della pratica dello zeroing. Tale articolo sancisce il principio<br />

in base al quale l’ammontare del dazio anti-dumping non deve superare il<br />

margine di dumping (calcolato secondo la metodologia utilizzata dall’articolo<br />

2). La Comunità europea riteneva invece che lo zeroing (in questo caso,<br />

«simple zeroing ») non fosse permesso neanche nel contesto dei riesami<br />

amministrativi. La Comunità europea, infatti, sosteneva che la divergenza<br />

di vedute derivasse da una diversa interpretazione dei termini<br />

“dumping” e « margini di dumping » nell’accordo in questione, in particolare<br />

se tali termini dovessero riferirsi all’intero prodotto (come riteneva la<br />

stessa Comunità europea) o alle comparazioni tra il prezzo ponderato del<br />

valore normale e le transazioni individuali.<br />

L’Organo di Appello ha inizialmente chiarito che i termini in questione,<br />

nel contesto dell’Accordo Anti-dumping, si riferiscono all’intero pro-<br />

( 114 )«Mexico – Definitive Anti-Dumping Measures on Beef and Rice », WT/DS295/AB/R.<br />

( 115 ) «United States – Laws, Regulations and Methodology for Calculating Dumping Margins<br />

», WT/DS315/AB/R.


1062 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

dotto, confermando così l’interpretazione data dalla Comunità europea.<br />

Applicando questo principio, l’Organo di Appello ha sostenuto che la metodologia<br />

dello zeroing, utilizzata dal Dipartimento americano nei riesami<br />

amministrativi in questione, fosse incompatibile con l’articolo 9.3 dell’Accordo<br />

Anti-dumping e VI:2 del GATT, rovesciando la conclusione del panel.<br />

In particolare, l’Organo di Appello ha raggiunto tale conclusione considerando,<br />

in primo luogo, che il disposto dell’articolo 9.3 si doveva intendere<br />

come riferito all’intero prodotto. Di conseguenza, secondo l’Organo<br />

di Appello, se l’autorità investigativa stabilisce margini di dumping sulla<br />

base di comparazioni multiple in una fase intermedia, ha l’obbligo di aggregare<br />

i risultati di tutte le altre comparazioni multiple (i.e., comprese<br />

quindi quelle in cui il prezzo di esportazione risulti superiore al valore<br />

normale). In pratica, secondo l’Organo di Appello, l’autorità responsabile<br />

delle indagini che effettui, nel calcolo dei margini di dumping, comparazioni<br />

multiple, ha l’obbligo di tenere in considerazione i risultati di tutte<br />

le comparazioni. In base a tale preliminare conclusione, l’Organo di Appello<br />

ha poi stabilito che, alla luce dell’articolo 9.3 dell’Accordo Anti-dumping<br />

e VI:2 del GATT, le autorità responsabili delle indagini devono garantire<br />

che l’ammontare complessivo dei dazi anti-dumping raccolti sui<br />

prodotti provenienti da un dato esportatore non siano superiori ai margini<br />

di dumping stabiliti per il medesimo esportatore, di modo che il margine<br />

di dumping stabilito per il singolo esportatore opera come un tetto<br />

massimo sull’ammontare complessivo del dazio applicato sui prodotti oggetto<br />

dell’indagine provenienti dallo stesso esportatore inclusi nel riesame<br />

amministrativo. Nel caso in questione, in base alla metodologia utilizzata<br />

dal Dipartimento del Commercio statunitense, le transazioni in cui il<br />

prezzo all’esportazione risultava superiore al valore normale erano sistematicamente<br />

ignorate con la conseguenza di imporre ai singoli esportatori<br />

dazi superiori ai margini di dumping calcolati.<br />

L’Organo di Appello ha infine affermato l’incompatibilità dell’utilizzo<br />

della metodologia dello zeroing nelle indagini iniziali con l’articolo 2.4.2<br />

dell’Accordo Anti-dumping, come già sostenuto dal panel in primo grado.<br />

Misure della Comunità europea di classificazione di parti di pollo disossato<br />

congelato ( 116 )<br />

La Comunità europea ed il Brasile hanno impugnato il rapporto del<br />

( 116 ) «European Communities – Customs Classification of Frozen Boneless Chicken Cuts »,<br />

WT/DS269/AB/R e WT/DS286/AB/R.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1063<br />

panel, rispettivamente il 13 ed il 27 giugno 2005. La pronuncia dell’Organo<br />

di Appello è stata trasmessa il 12 settembre dello stesso anno.<br />

L’Organo di Appello ha confermato gran parte delle conclusioni raggiunte<br />

dal panel in primo grado. In particolare, l’Organo di Appello ha<br />

confermato che le parti di pollo disossato e congelato impregnate di sale<br />

per una quantità pari a 1.2 fino a 3 per cento rientrano sotto l’intestazione<br />

tariffaria 02.10 dello Schedule della Comunità europea. Di conseguenza,<br />

l’Organo di Appello ha sostenuto che le misure comunitarie di riclassificazione<br />

doganale finivano con l’imporre al prodotto in questione dazi doganali<br />

più elevati di quelli stabiliti sulla base della loro intestazione doganale,<br />

in maniera contraria a quanto disposto dagli articoli II:1(a) e II:1(b)<br />

del GATT.<br />

Misure anti-dumping statunitensi su condotte da perforazione petrolifera<br />

provenienti dal Messico ( 117 )<br />

Il rapporto dell’Organo di Appello, trasmesso il 2 novembre 2005, ha<br />

sostanzialmente rovesciato le conclusioni del panel in primo grado, con<br />

riferimento all’incompatibilità del «Sunset Policy Bulletin » con l’Accordo<br />

Anti-dumping. In primo grado, il panel aveva concluso che il «Sunset Policy<br />

Bulletin » finiva con lo stabilire una vera e propria presunzione di ricorrenza<br />

e continuazione di dumping, in violazione dell’articolo 11.3 dell’Accordo<br />

Anti-dumping. Secondo l’Organo di Appello, invece, il panel non<br />

avrebbe adeguatamente valutato in maniera obbiettiva i fatti della questione.<br />

Di conseguenza, il panel avrebbe sbagliato nel ritenere tale presunzione<br />

sottesa alla normativa in questione.<br />

Il rapporto dell’Organo di Appello, unitamente a quello del panel modificato<br />

dall’Organo di Appello, sono stati adottati dall’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie il 28 novembre 2005.<br />

Misure della Repubblica Dominicana che incidono sull’importazione e<br />

sulla vendita interna di sigarette ( 118 )<br />

Il 24 gennaio 2005 ed il 7 febbraio 2005, rispettivamente, la Repubblica<br />

Dominicana e l’Honduras hanno notificato la propria intenzione di impugnare<br />

il rapporto del panel.<br />

( 117 ) «United States – Measures on Oil Country Tubular Goods from Mexico », WT/DS/<br />

282/AB/R.<br />

( 118 ) «Dominican Republic – Measures affecting the importation and internal sale of cigarettes<br />

», WT/DS302/AB/R.


1064 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il rapporto dell’Organo di Appello, trasmesso ai membri dell’OMC il<br />

25 aprile 2005, ha sostanzialmente confermato le conclusioni del panel in<br />

merito ad alcuni punti chiave della controversia. In particolare, l’Organo<br />

di Appello ha sostenuto che le misure fiscali imposte dalla Repubblica<br />

Domenicana fossero contrarie all’articolo II:1(b) del GATT e che una di<br />

esse non potesse essere giustificata dall’articolo XV:9. L’Organo di Appello<br />

ha poi confermato che i requisiti di etichettatura imposti dalla Repubblica<br />

Dominicana non fossero giustificati dall’articolo XX(d) del GATT<br />

1994, in quanto non necessari.<br />

Nel suo riesame, l’Organo di Appello ha inoltre confermato la conclusione<br />

del panel che, in primo grado, aveva rigettato le argomentazioni dell’Honduras<br />

secondo le quali l’imposizione del deposito di una cauzione<br />

da parte della Repubblica Dominicana era contraria all’articolo III:4 del<br />

GATT.<br />

Il 14 luglio 2005, l’Honduras ha nuovamente adito ( 119 ) l’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie richiedendo un arbitrato ai sensi dell’articolo<br />

21.3(c) dell’Intesa per la quantificazione del « termine ragionevole » entro<br />

il quale la Repubblica Dominicana avrebbe dovuto implementare le decisioni<br />

del panel e dell’Organo di Appello. Le parti hanno tuttavia raggiunto<br />

un accordo che l’arbitro, nominato per risolvere la controversia, si è limitato<br />

a recepire ( 120 ).<br />

Indagine degli Stati Uniti circa i dazi compensativi da applicarsi ai semiconduttori<br />

“DRAM” coreani ( 121 )<br />

Nel rapporto trasmesso il 27 giugno 2005, l’Organo di Appello ha ribaltato<br />

l’interpretazione data dal panel in primo grado circa l’esistenza di<br />

un contributo finanziario ai sensi dell’articolo 1:1 dell’Accordo SCM da<br />

parte del Governo coreano alla società Hynix.<br />

In particolare, l’analisi dell’organo di secondo grado è partita dal riesame<br />

dell’interpretazione dei requisiti di «entrustment or direction », nel corso<br />

del quale l’Organo di Appello ha fornito una propria interpretazione,<br />

modificando leggermente quella del panel, giudicata troppo restrittiva. Secondo<br />

l’Organo di Appello, dal rapporto di primo grado emergerebbe che<br />

l’esistenza dei requisiti di «entrustment or direction» presuppone un “co-<br />

( 119 ) WT/DS302/13.<br />

( 120 ) WT/DS302/17.<br />

( 121 ) «United States – Countervailing duty investigation on dynamic random access memory<br />

semiconductors (DRAMS) from Korea », WT/DS296/AB/R.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1065<br />

mando” o una “delega” da parte del governo in questione, termini che il<br />

panel mancherebbe di definire e che sembrerebbero circoscrivere l’ambito<br />

di applicazione dei requisiti. L’Organo di Appello ha quindi modificato<br />

l’analisi del panel sul punto, in modo da includere nell’interpretazione dei<br />

termini in questione atti ulteriori rispetto al “comando” o alla “delega”.<br />

L’Organo di Appello ha poi rovesciato la decisione del panel in merito<br />

alla valutazione delle prove utilizzate dal Dipartimento statunitense nelle<br />

proprie determinazioni criticandola in più punti, per poi concludere che<br />

tali sviste del panel, unitamente alla modifica dell’interpretazione data<br />

dallo stesso panel dei termini «entrustment or direction» invalidano le basi<br />

delle sue conclusioni sulla mancanza di prove sufficienti fornite dal Dipartimento<br />

statunitense sull’esistenza di «entrustment or direction» da parte<br />

del Governo coreano. Di conseguenza, l’Organo di Appello ha rovesciato<br />

le conclusioni del panel anche nella determinazione di “benefit” e<br />

“specificity”, stabilendo che gli Stati Uniti non avevano agito in maniera<br />

contraria alle disposizioni dell’Accordo SCM.<br />

Misure degli Stati Uniti relative all’offerta di servizi di gioco d’azzardo ( 122 )<br />

Nel rapporto trasmesso il 7 aprile 2005, l’Organo di Appello ha confermato<br />

quanto deciso in primo grado in merito agli impegni sottoscritti dagli<br />

Stati Uniti. Sulla base di un ragionamento giuridico parzialmente diverso,<br />

l’Organo di Appello ha infatti ritenuto che la “Schedule” degli Impegni<br />

Specifici degli Stati Uniti includesse delle concessioni di accesso al<br />

mercato transfrontaliero per imprese straniere prestatrici di servizi di gioco<br />

d’azzardo. L’Organo di Appello ha successivamente confermato che alcune<br />

misure federali avevano l’effetto di proibire la prestazione transfrontaliera<br />

dei servizi in questione, ma non ha ritenuto che le altre misure statali<br />

in questione facessero altrettanto.<br />

L’Organo di Appello ha modificato alcune conclusioni del panel in<br />

materia di eccezioni GATS, ex articolo XIV, concludendo che le regole<br />

dell’OMC consentirebbero agli Stati Uniti di proibire il gioco d’azzardo<br />

per proteggere la morale pubblica e la sicurezza ai sensi dell’articolo XIV<br />

del GATS. Infatti, secondo il giudice di secondo grado, e diversamente da<br />

quanto sostenuto dal panel, gli Stati Uniti avevano dimostrato che le misure<br />

in questione erano “necessarie” per la protezione della morale pubblica<br />

e dell’ordine pubblico, e quindi in linea con le eccezioni generali<br />

( 122 ) United States – Measures Affecting the Cross-border supply of Gambling and Betting<br />

Services, WT/DS285/AB/R.


1066 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

previste dal GATS. Tuttavia, ha concluso l’Organo di Appello, ciò che gli<br />

Stati Uniti non avevano dimostrato era che tali misure non fossero applicate<br />

in modo discriminatorio, come espressamente richiesto dallo chapeau<br />

dell’articolo XIV del GATS. In particolare, secondo l’Organo di Appello,<br />

l’«Interstate Horseracing Act » costituiva un’eccezione alla proibizione<br />

di giochi d’azzardo offerti tramite internet, applicabile soltanto ai prestatori<br />

dei servizi di gioco d’azzardo nazionali. Conseguentemente, gli<br />

Stati Uniti non avevano dimostrato che tali proibizioni incluse nelle altre<br />

misure erano applicate tanto ad operatori nazionali quanto ad operatori<br />

stranieri.<br />

Il 20 aprile 2005, l’Organo di Soluzione delle Controversie ha adottato<br />

il rapporto del panel, come modificato dall’Organo di Appello.<br />

Il 9 giugno 2005, Antigua e Barbuda hanno nuovamente adito ( 123 )<br />

l’Organo di Soluzione delle Controversie richiedendo un arbitrato ai sensi<br />

dell’articolo 21.3(c) dell’Intesa, per la quantificazione del « termine ragionevole<br />

» entro il quale gli Stati Uniti avrebbero dovuto applicare le decisioni<br />

del panel e dell’Organo di Appello. L’Arbitro ha fissato in 11 mesi<br />

e 2 settimane dall’adozione dei rapporti del panel e dell’Organo di Appello,<br />

e quindi entro il 3 aprile 2006, il termine ragionevole per l’adozione<br />

delle raccomandazioni da parte degli Stati Uniti.<br />

Sovvenzioni della Comunità europea all’esportazione di zucchero ( 124 )<br />

Nel rapporto trasmesso il 28 aprile 2005, l’Organo di Appello ha confermato<br />

che la nota non aveva l’effetto di ampliare né modificare gli impegni<br />

sottoscritti dalla Comunità europea nella propria “Schedule.” Sosteneva<br />

l’organo di secondo grado che la nota non conteneva un impegno a<br />

limitare le sovvenzioni all’esportazione dello zucchero indiano o proveniente<br />

dai paesi ACP e che inoltre la stessa nota, dal momento che non<br />

prevedeva un piano di spesa vincolante e non sottoponeva tali esportazioni<br />

ad impegni di riduzione, era incompatibile con le regole dell’Accordo<br />

sull’Agricoltura, come stabilito dal panel in primo grado.<br />

Successivamente, l’Organo di Appello ha nuovamente valutato i requisiti<br />

di esistenza delle sovvenzioni comunitarie ai sensi dell’articolo<br />

9.1(c) dell’Accordo sull’Agricoltura, confermando l’esistenza di un pagamento<br />

diretto nella forma di un trasferimento di risorse finanziarie prove-<br />

( 123 ) WT/DS285/11.<br />

( 124 ) «European Communities – Export Subsidies on Sugar », WT/DS/283/AB/R,<br />

WT/DS/266/AB/R e WT/DS/265/AB/R.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1067<br />

nienti dai profitti incassati dalle quote “A” e “B” alla quota “C”, che per<br />

legge è destinata all’esportazione. Di conseguenza, ha concluso l’Organo<br />

di Appello, la Comunità europea ha agito in violazione degli articoli 3 ed<br />

8 dell’Accordo sull’Agricoltura.<br />

Misure del Canada relative all’esportazione di frumento e al trattamento<br />

applicato al grano importato ( 125 )<br />

Il 30 agosto 2004, l’Organo di Appello ha trasmesso il suo rapporto, in<br />

cui ha confermato che il regime di esportazione messo in atto dal “Canadian<br />

Wheat Board” non era in violazione di alcuna obbligazione canadese<br />

sotto l’articolo XVII del GATT. Inoltre, l’Organo di Appello non ha modificato<br />

le conclusioni del panel in merito al sistema di smistamento del<br />

grano e alle misure relative al trasporto ferroviario, confermando che tali<br />

misure, discriminando il grano di importazione a favore di quello nazionale,<br />

erano in violazione delle obbligazioni canadesi derivanti dal trattamento<br />

nazionale.<br />

Riesami di estinzione di misure anti-dumping statunitensi su condotte<br />

da perforazione petrolifera provenienti dall’Argentina ( 126 )<br />

Nel rapporto trasmesso il 29 novembre 2004, l’Organo di Appello ha<br />

rigettato, in via preliminare, le argomentazioni statunitensi, in base alle<br />

quali la richiesta per consultazioni dell’Argentina non avrebbe chiaramente<br />

identificato le misure statunitensi impugnate, ed ha confermato che il<br />

«Sunset Policy Bulletin » costituiva una “misura” soggetta al vaglio delle<br />

procedure di soluzione delle controversie dell’OMC.<br />

L’Organo di Appello ha anche confermato l’incompatibilità con le<br />

norme dell’Accordo Anti-dumping, di determinate disposizioni della legge<br />

tariffaria statunitense e dei Regolamenti del Dipartimento statunitense<br />

per il Commercio. L’Organo di Appello ha tuttavia rovesciato la conclusione<br />

del panel in merito alle presunzioni stabilite dal «Sunset Policy Bulletin<br />

», sulla base delle quali il Dipartimento avrebbe basato la propria valutazione<br />

sulla continuazione delle misure anti-dumping. Ha sostenuto,<br />

infatti, che il panel non avrebbe effettuato un’analisi obbiettiva della que-<br />

( 125 ) «Canada – Measures Relating to Exports of Wheat and Treatment of Imported<br />

Grain », WT/DS276/AB/R.<br />

( 126 ) «United States – Sunset Reviews of Anti-Dumping Measures on Oil Country Tubular<br />

Goods from Argentina », WT/DS268/AB/R.


1068 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

stione, avendo basato la propria conclusione relativa alla prassi delle autorità<br />

statunitensi, su statistiche generiche, senza procedere ad un’analisi<br />

qualitativa dei casi addotti come prova.<br />

L’11 marzo 2005, l’Argentina ha nuovamente adito ( 127 ) l’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie richiedendo un arbitrato ai sensi dell’articolo<br />

21.3(c) dell’Intesa per la quantificazione del « termine ragionevole » entro<br />

il quale gli Stati Uniti avrebbero dovuto applicare le decisioni del panel e<br />

dell’Organo di Appello. L’Arbitro ha fissato in 12 mesi dall’adozione dei<br />

rapporti del panel e dell’Organo di Appello, e quindi entro il 12 dicembre<br />

2005, il termine ragionevole per l’adozione delle raccomandazioni da parte<br />

degli Stati Uniti ( 128 ).<br />

Sovvenzioni degli Stati Uniti sul cotone ( 129 )<br />

L’Organo di Appello ha trasmesso il suo rapporto il 3 marzo 2005, sostanzialmente<br />

confermando quando stabilito dal panel in primo grado. In<br />

primo luogo ha confermato che il totale dei pagamenti per contratti di<br />

produzione flessibile e dei pagamenti diretti era connesso al tipo di produzione<br />

sottoscritto dal produttore, ai sensi del paragrafo 6(b) dell’Allegato<br />

2 all’Accordo sull’Agricoltura. Di conseguenza, ha confermato la conclusione<br />

del panel sostenendo che tali misure non costituivano misure<br />

«green box », esenti dagli impegni di riduzione in virtù dell’Allegato 2 all’Accordo<br />

sull’Agricoltura, e quindi non risultano coperte dalla clausola di<br />

pace di cui all’articolo 13(a) dell’Accordo medesimo. L’Organo di Appello<br />

ha poi confermato che le misure statunitensi di sostegno all’industria domestica<br />

non si qualificavano per la clausola di pace anche in quanto prive<br />

dei requisiti stabiliti ai sensi dell’articolo 13(b)(ii).<br />

L’Organo di Appello ha poi confermato quanto stabilito dal panel in<br />

merito ai pagamenti agli utenti per la commercializzazione, concludendo<br />

che tali misure costituivano sovvenzioni all’esportazione soggette a riduzione<br />

ai sensi dell’articolo 9.1 dell’Accordo sull’Agricoltura, quindi in violazione<br />

degli articoli 3 ed 8 dell’Accordo medesimo, nonché dell’articolo 3<br />

dell’Accordo SCM. Quanto agli schemi di garanzie del credito all’esportazione,<br />

l’organo di secondo grado ha sostenuto la loro natura di sovvenzioni<br />

all’esportazione, ai sensi dell’articolo 3 dell’Accordo SCM.<br />

( 127 ) WT/DS268/9.<br />

( 128 ) WT/DS268/12.<br />

( 129 ) «United States – Subsidies on Upland Cotton », WT/DS267/AB/R.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1069<br />

Determinazioni finali di dumping, da parte degli Stati Uniti, sul legname<br />

tenero da costruzione proveniente dal Canada ( 130 )<br />

L’Organo di Appello ha emesso il suo rapporto l’11 agosto 2004, sostanzialmente<br />

confermando i rilievi della decisione di primo grado. Ha<br />

confermato la conclusione del panel secondo cui gli Stati Uniti avevano<br />

agito in violazione delle regole dell’accordo Anti-dumping per aver applicato<br />

la metodologia dello “zeroing” nel calcolo dei margini di dumping.<br />

Il 18 ottobre 2004, il Canada ha nuovamente adito ( 131 ) l’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie richiedendo un arbitrato ai sensi dell’articolo<br />

21.3(c) dell’Intesa per la quantificazione del « termine ragionevole » entro<br />

il quale gli Stati Uniti avrebbero dovuto applicare le decisioni del panel e<br />

dell’Organo di Appello. Tuttavia le parti hanno raggiunto un accordo ai<br />

sensi dell’articolo 21.3(b) dell’Intesa, notificato all’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie, che fissava nel 15 aprile 2005 (poi esteso al 2 maggio<br />

dello stesso anno) il termine per l’adempimento da parte degli Stati Uniti.<br />

Il Canada, ritenendo le nuove determinazioni statunitensi ancora incompatibili<br />

con gli Accordi OMC, ha richiesto ( 132 ) all’Organo di Soluzione<br />

delle Controversie la costituzione di un panel ex articolo 21.5 dell’Intesa<br />

( 133 ), insieme con l’autorizzazione ad applicare misure di ritorsione attraverso<br />

la sospensione delle concessioni o di altre obbligazioni. L’Organo<br />

di Soluzione delle Controversie ha affidato la valutazione dell’adempimento<br />

da parte degli Stati Uniti al medesimo panel di primo grado.<br />

Gli Stati Uniti hanno richiesto ( 134 ), il 31 maggio 2005, un arbitrato ai<br />

sensi dell’articolo 22.6 dell’Intesa, per la corretta quantificazione delle misure<br />

di ritorsione richieste dal Canada, ottenendo il consenso dell’Organo<br />

di Soluzione delle Controversie. Tuttavia, dal momento che lo stesso articolo<br />

dispone che tale valutazione debba essere effettuata dal panel originario,<br />

tale ultima procedura di arbitrato è stata sospesa, su istanza congiunta<br />

degli Stati Uniti e del Canada ( 135 ), fino al completamento della<br />

procedura ex articolo 21.5 dell’Intesa.<br />

( 130 ) «United States – Final Dumping Determination on Softwood Lumber from Canada »,<br />

WT/DS264/AB/R.<br />

( 131 ) WT/DS264/10.<br />

( 132 ) WT/DS264/16.<br />

( 133 ) Il cd. «compliance panel ».<br />

( 134 ) WT/DS264/19.<br />

( 135 ) WT/DS264/22.


1070 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Condizioni della Comunità europea per la concessione di vantaggi tariffari<br />

ai paesi in via di sviluppo ( 136 )<br />

La Comunità europea applicava un sistema Generalizzato di Preferenze<br />

(«General System of Preference » o “GSP”) ( 137 ) che includeva la concessione<br />

di vantaggi ai paesi in via di sviluppo sulla base dell’applicazione, da<br />

parte di questi paesi, di speciali misure per combattere la produzione ed il<br />

traffico di droga. L’India aveva attaccato tale sistema contestando la violazione<br />

dell’articolo I:1 del GATT, e cioè del principio della nazione più favorita<br />

e sostenendo che la Clausola di Abilitazione ( 138 ), che rappresenta la<br />

base legale per il Sistema Generalizzato di Preferenze, non poteva giustificare<br />

la misura della Comunità europea.<br />

Nel rapporto trasmesso il 1° dicembre 2003, il panel aveva riscontrato<br />

che lo schema GSP, che prevedeva misure speciali per combattere la produzione<br />

ed il traffico di droghe, non era conforme agli obblighi previsti<br />

nell’articolo I:1 del GATT. Il panel inoltre sosteneva che la Comunità europea<br />

non era stata in grado di dimostrare né che tali misure fossero giustificate<br />

ai sensi del paragrafo 2(a) della Clausola di Abilitazione, né che<br />

fossero dirette a proteggere la vita umana o la salute nella Comunità europea,<br />

ai sensi dell’eccezione offerta dall’articolo XX(b) del GATT.<br />

L’Organo di Appello, su impugnazione della Comunità europea, ha<br />

trasmesso il suo rapporto il 7 aprile 2004, nel quale ha confermato che la<br />

Clausola di Abilitazione costituiva un’eccezione all’articolo I:1 del GATT,<br />

ma non ne esclude l’applicazione. Tuttavia, l’Organo di Appello ha riformato<br />

l’interpretazione legale del paragrafo 2(a) della Clausola di Abilitazione<br />

fornita dal panel, sostenendo che tale articolo non impediva ai paesi<br />

sviluppati di garantire trattamenti tariffari differenziati ai prodotti pro-<br />

( 136 ) «European Communities – Conditions for the Granting of Tariff Preferences to Developing<br />

Countries », WT/DS246/AB/R.<br />

( 137 ) Il Sistema Generalizzato di Preferenze (General System of Preferences o “GSP”) era<br />

stato introdotto con il Regolamento CE n. 2501/2001, in scadenza il 31 dicembre 2005, come<br />

modificato (pubblicato in G.U.C.E., L 346/1, 31 dicembre 2001). Il 27 giugno 2005 la Comunità<br />

ha adottato un nuovo Regolamento, n. 980/2005, che entrerà in vigore a partire dal<br />

1° gennaio 2006. Tuttavia le disposizioni che regolano il regime speciale per lo sviluppo sostenibile<br />

e la governabilità (good governance) sono in vigore dal 1° luglio 2005, mentre il regime<br />

che prevedeva misure speciali per combattere la produzione ed il traffico di droga è<br />

stato abrogato.<br />

( 138 ) «Enabling Clause » ( i.e. «Decision on Differential and More Favourable Treatment,<br />

Reciprocity and Fuller Participation of the Developing Countries », WT/L/304, 17 giugno<br />

1999).


venienti da diversi paesi beneficiari del GSP. Nel prevedere tale trattamento<br />

differenziato, ha sostenuto l’Organo di Appello, era necessario in<br />

primo luogo rispettare gli altri requisiti richiesti dal paragrafo 2(a) della<br />

Clausola di Abilitazione, ed in secondo luogo assicurare un trattamento<br />

identico per paesi beneficiari del GSP che si trovassero nelle stesse condizioni<br />

di sviluppo e di necessità finanziaria e commerciale, sulle quali il<br />

trattamento differenziato si giustificava e alle quali intendeva rispondere.<br />

L’Organo di Appello ha infine confermato che la Comunità europea<br />

non aveva dimostrato che le misure speciali per combattere la produzione<br />

ed il traffico di droghe fossero giustificate dal paragrafo 2(a) della Clausola<br />

di Abilitazione. Secondo l’Organo di Appello, tale schema non prevedeva<br />

sulla base di quali criteri oggettivi o requisiti, altri paesi analogamente<br />

colpiti da problemi di droga potessero venire inseriti tra i beneficiari<br />

delle misure speciali.<br />

5. – Altre pronunce giurisdizionali<br />

OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1071<br />

Ricorso alla procedura di Arbitrato ai sensi della Decisione del 14 novembre<br />

2001 ( 139 )<br />

La richiesta di arbitrato è stata intrapresa sulla base delle procedure<br />

previste nell’Allegato alla Decisione del 14 novembre 2001 ( 140 ) («Doha<br />

Waiver») con la quale i membri dell’OMC hanno accordato alla Comunità<br />

europea la sospensione dell’applicazione dell’articolo I del GATT, adottata<br />

per permetterle l’applicazione del regime preferenziale nei confronti<br />

dei paesi ACP ( 141 ). In particolare, il procedimento concerneva la compatibilità<br />

con il «Doha Waiver» del regime comunitario tariffario di importazione<br />

di banane, con il quale la Comunità europea intendeva sostituire il<br />

regime di quote e tariffe, anche alla luce delle pronunce della controversia<br />

“EC-Bananas.”<br />

Il precedente regime per l’importazione delle banane nella Comunità<br />

europea era costituito da un sistema misto di quote e tariffe per un totale<br />

di 3.113 milioni di tonnellate per le banane provenienti da tutti i paesi terzi<br />

(«MFN suppliers »), soggette ad una tariffa («in quota tariff ») di r 75 per<br />

tonnellata, ed una quota/tariffa di 750.000 tonnellate, esente da dazi,<br />

esclusivamente prevista per i paesi esportatori di banane del gruppo ACP.<br />

( 139 ) «European Communities – The ACP-EC Partnership Agreement. Recourse to Arbitration<br />

Pursuant to the Decision of 14 November 2001», WT/L/616.<br />

( 140 ) «Decision of 14 November 2001 », WT/MIN(01)/15.<br />

( 141 ) Si veda la nota n. 97.


1072 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

Il 31 gennaio 2005, la Comunità europea ha notificato all’OMC la sua<br />

intenzione di sostituire, nella sua “Schedule,” le sue concessioni di quote e<br />

tariffe sulle banane con un’aliquota tariffaria pari a r 230 per tonnellata, a<br />

partire dal 1° gennaio 2006. Il regime proposto manteneva le importazioni<br />

di banane da paesi ACP esenti da dazi. Diversi membri dell’OMC hanno<br />

richiesto un arbitrato ai sensi delle procedure stabilite nell’Allegato al<br />

«Doha Waiver », sulla base di un preteso pregiudizio al livello di accesso al<br />

mercato comunitario, garantito ai paesi non ACP, esportatori di banane.<br />

Il 1 agosto 2005, l’arbitro ha emesso il suo lodo, bocciando la proposta<br />

comunitaria per le banane provenienti da paesi non ACP. Secondo il lodo,<br />

un’aliquota tariffaria equivalente a r 230 per tonnellata non avrebbe potuto<br />

mantenere lo stesso livello di accesso al mercato garantito agli esportatori<br />

non ACP dal precedente sistema basato su quote e tariffe. L’arbitro<br />

ha inoltre rilevato che il livello tariffario proposto avrebbe innalzato il<br />

margine di accesso preferenziale al mercato di cui già godono i paesi ACP,<br />

a danno degli altri esportatori.<br />

La questione cruciale stava nel determinare se il nuovo sistema tariffario<br />

proposto dalla Comunità europea avrebbe preservato, per i paesi<br />

esportatori di banane non ACP, almeno lo stesso livello di accesso al mercato<br />

garantito dal sistema precedente. L’arbitro ha contestato i dati di riferimento<br />

dei prezzi, utilizzati dalla Comunità europea nella sua metodologia<br />

di calcolo in un certo periodo di riferimento. L’arbitro ha anche rilevato<br />

che la Comunità europea avrebbe dovuto utilizzare, come periodo di<br />

riferimento, il periodo di tre anni più recente e rappresentativo per il quale<br />

fossero disponibili delle statistiche, come suggeriva la prassi del GATT<br />

e dell’OMC.<br />

In risposta a tale lodo, la Comunità europea ha corretto la propria proposta,<br />

prospettando un’aliquota tariffaria pari a r 187 per tonnellata per le<br />

banane provenienti da paesi terzi, ed una quota di 775.000 tonnellate, esente<br />

da dazi, per i paesi esportatori di banane del gruppo ACP. Dopo aver notificato<br />

la nuova proposta alle Parti Interessate (i.e., Brasile, Colombia, Costa<br />

Rica, Ecuador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama, Venezuela)<br />

ed aver constatato il loro dissenso, il 26 settembre 2006 la Comunità europea<br />

ha richiesto un nuovo lodo arbitrale, secondo quanto previsto dal<br />

«Doha Waiver ». Il mandato dell’arbitro in questo nuovo procedimento<br />

consisteva nello stabilire se la Comunità europea avesse rettificato la questione<br />

alla luce del primo lodo arbitrale, e cioè se la nuova aliquota tariffaria<br />

pari a r 187 e la quota proposta per le banane provenienti dai paesi ACP<br />

risultasse nel concedere lo stesso livello di accesso al mercato comunitario<br />

garantito precedentemente ai paesi non ACP, esportatori di banane.


In questo secondo procedimento, l’arbitro, dopo aver analizzato in<br />

particolare la metodologia di calcolo utilizzata dalla Comunità europea,<br />

ha nuovamente concluso che il sistema tariffario proposto non avrebbe<br />

garantito lo stesso livello di accesso al mercato. Di conseguenza, secondo<br />

l’arbitro, la Comunità europea non era riuscita a rettificare la questione<br />

con la sua nuova proposta.<br />

La Comunità europea, il 29 novembre 2005, ha formalmente adottato<br />

il nuovo sistema tariffario per l’importazione di banane, che prevede un’aliquota<br />

tariffaria pari a r 176 per tonnellata ed una quota a dazio zero di<br />

775.000 tonnellate per le banane provenienti dai paesi ACP. Tale sistema è<br />

in vigore dal 1° gennaio 2006.<br />

Il 30 novembre 2005, l’Honduras, il Nicaragua e Panama hanno richiesto<br />

consultazioni con la Comunità europea ai sensi dell’articolo 21.5<br />

dell’Intesa. In particolare, i tre paesi sostenevano che il nuovo sistema<br />

adottato con il Regolamento 1964/2005 ( 142 ) non rispettasse quanto accordato<br />

nel «Doha Waiver », quanto sostenuto nei due lodi arbitrali, e quanto<br />

concluso dal panel e dall’Organo di Appello nella disputa EC-Bananas<br />

III ( 143 ).<br />

6. – Rilievi conclusivi<br />

OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1073<br />

Il periodo di attività di soluzione delle controversie preso in esame<br />

dalla presente rassegna è caratteristico sotto diversi profili. In primo luogo,<br />

per l’importanza e la sensibilità di alcune controversie, ad esempio<br />

quelle relative alle sovvenzioni statunitensi sul cotone ed al regime comunitario<br />

dello zucchero, il cui impatto si riflette sia sul delicato sviluppo<br />

dei negoziati agricoli dell’Agenda Doha e sulle relative posizioni negoziali,<br />

che sul più ampio dibattito circa l’opportunità di certe politiche agricole<br />

in un’economia globalizzata, che ha visto coinvolti gli stessi Governi,<br />

l’OMC, gli accademici e la società civile.<br />

In secondo luogo, nel periodo di riferimento sono state risolte le prime<br />

dispute sul GATS, sulla prestazione transfrontaliera dei giochi d’azzardo<br />

e dei servizi di telecomunicazione. Le due pronunce sono estremamente<br />

importanti da un punto di vista giuridico e negoziale. In particola-<br />

( 142 ) Regolamento CE del Consiglio n. 1964/2005 del 29 novembre 2005, in G.U.C.E., L<br />

316, 2 dicembre 2005.<br />

( 143 ) Si veda «European Communities – Regime for the Importation, Sale and Distribution<br />

of Bananas », WT/DS27/R/ECU, WT/DS27/R/USA, WT/DS27/R/MEX, WT/DS27/R/<br />

HND, WT/DS27/R/GTM e WT/DS27/AB/R.


1074 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

re, nella prima pronuncia il panel, oltre a fornire una definizione della prestazione<br />

transfrontaliera dei servizi, ha dimostrato che l’interpretazione<br />

della “Schedule” degli Impegni Specifici degli Stati Uniti, prevale sulla reale<br />

volontà negoziale di questi ultimi nel momento in cui hanno sottoscritto<br />

(anche inconsapevolmente) certi impegni. Nella seconda pronuncia,<br />

uno degli aspetti più rilevanti risiede nell’analisi delle obbligazioni sottoscritte<br />

con il Reference Paper fornita dal panel, e di conseguenza nella conferma<br />

della garanzia addizionale che un tale documento conferisce agli<br />

operatori che si imbattono in ostacoli e barriere regolamentari in mercati<br />

stranieri. Un altro elemento rilevante è costituito dall’aspetto antitrust<br />

della controversia in questione, dalla valutazione delle pratiche anticoncorrenziali<br />

data dal panel e quindi dall’ingresso formale, nel sistema della<br />

Soluzione delle Controversie dell’OMC, di questioni relative alla politica<br />

della concorrenza, poco dopo la spettacolare uscita dei «Singapore Issues »<br />

dal tavolo negoziale di Doha.<br />

In terzo luogo, il periodo di riferimento conferma il crescente ricorso<br />

alle procedure per la Soluzione delle Controversie da parte dei paesi in via<br />

di sviluppo, che riflette sia una maggiore (fiducia e) conoscenza degli strumenti,<br />

anche legali, del sistema OMC, sia una maggiore consapevolezza<br />

del loro peso all’interno dell’organizzazione stessa.<br />

L’attività dell’Intesa e dell’Organo di Soluzione delle Controversie sta<br />

continuando a ritagliare un ruolo più ampio per il contenzioso commerciale<br />

internazionale nell’ambito delle dinamiche OMC, erodendo competenze<br />

che tradizionalmente il GATT riservava all’attività diplomatica e negoziale.<br />

Il sistema si propone sempre più come un insieme di regole chiare<br />

e neutre volto a garantire la certezza giuridica, agli operatori ed agli Stati<br />

membri, di quelle concessioni ed impegni sottoscritti in sede negoziale.<br />

Paolo R. Vergano -Eugenia C. Laurenza


Note minime in margine alla pronuncia della Corte di giustizia<br />

delle Comunità europee sul trasferimento dei dati personali<br />

dei passeggeri dei vettori aerei verso gli Stati Uniti<br />

Con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 30<br />

maggio 2006 sulle cause riunite C-317/04 e C-318/04 ( 1 ) sono state annullate<br />

la decisione del Consiglio 17 maggio 2004, 2004/496/CE ( 2 ), relativa<br />

alla conclusione di un accordo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti<br />

d’America sul trattamento e trasferimento dei dati di identificazione delle<br />

pratiche da parte dei vettori aerei all’United States’ Bureau of Customs and<br />

Border Protection, e la decisione della Commissione 14 maggio 2004,<br />

2004/535/CE ( 3 ), relativa al livello di protezione adeguato dei dati personali<br />

contenuti nelle schede nominative dei passeggeri aerei trasferiti all’United<br />

States’ Bureau of Customs and Border Protection.<br />

Per cogliere esattamente la portata di tale decisione, nonché il fulcro<br />

delle questioni ad essa sottese, occorre ricordare come il problema del<br />

trattamento dei dati dei passeggeri dei voli aerei verso gli USA tragga origine<br />

dall’introduzione di una serie di misure speciali, restrittive delle libertà<br />

individuali, posta in essere negli Stati Uniti al fine di contrastare il<br />

rischio del terrorismo internazionale. Nella specie il riferimento è costituito<br />

dalla previsione normativa secondo cui ciascuna compagnia aerea<br />

che effettua il trasporto di passeggeri su rotte internazionali verso o dagli<br />

USA deve fornire all’Ufficio delle dogane e della protezione delle frontiere<br />

degli Stati Uniti (U.S. Customs and Border Protection-CBP) ( 4 ) un accesso<br />

elettronico ai dati personali contenuti nelle schede nominative dei passeggeri<br />

aerei (Passenger Name Record–PNR) nella misura in cui questi sono<br />

raccolti ed elaborati mediante i sistemi di prenotazione e/o di control-<br />

( 1 ) Cfr. G.U.C.E., C 228, dell’11 settembre 2004; il testo integrale della pronuncia può<br />

essere agevolmente reperito sul sito ufficiale della Corte di giustizia delle Comunità europee,<br />

www.curia.europa.eu.<br />

( 2 ) Cfr. G.U.C.E., L 183, del 20 maggio 2004.<br />

( 3 ) Cfr. decisione della Commissione del 14 maggio 2004 relativa alla protezione adeguata<br />

dei dati personali contenuti nelle schede nominative dei passeggeri aerei trasferiti all’Ufficio<br />

delle dogane e della protezione delle frontiere degli Stati Uniti United States’ Bureau<br />

of Customs and Border Protection [notificata con il numero C(2004) 1914], G.U.C.E. L<br />

235, del 6 luglio 2004.<br />

( 4 ) Il CBP fa capo al Ministero della sicurezza interna (Department of Homeland Security).


1076 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

lo delle partenze della compagnia aerea ( 5 ). La finalità della raccolta di<br />

informazioni in realtà trascende il contrasto del solo terrorismo, per allargarsi<br />

anche ai fenomeni criminali correlati ed a diversi gravi crimini di natura<br />

transnazionale, compreso il crimine organizzato.<br />

Sotto il profilo dei dati trattati i flussi informativi in questione ineriscono<br />

sia dati comuni ( 6 ) che dati sensibili ( 7 ), tuttavia relativamente a<br />

quest’ultimi il CBP si è impegnato a non farne uso, adottando a tal fine<br />

dei sistemi automatizzati di filtraggio in grado di cancellare i dati aventi<br />

tale natura, che comunque vengono trasmessi dai sistemi di prenotazione<br />

o di controllo delle partenze delle compagnie aeree operanti nell’Unione<br />

europea.<br />

Tra i diversi aspetti “abnormi” caratterizzanti il trattamento dei dati<br />

personali da parte del CBP, risalta particolarmente il lasso di tempo relativo<br />

alla durata del trattamento, che va da un minimo di tre anni e mezzo<br />

ad un massimo di otto ( 8 ); altrettanto sui generis risulta poi l’ampia facoltà<br />

( 5 ) Cfr. Aviation and Transportation Security Act (ATSA) del 19 novembre 2001 (Public<br />

Law 107-71, 107th Congress, titolo 49, sezione 44909(c)(3) del codice degli Stati Uniti) ed i relativi<br />

regolamenti di attuazione emanati dall’Ufficio delle dogane e della protezione delle<br />

frontiere del Ministero americano per la sicurezza interna (Passenger and Crew Manifests<br />

Required for Passengers Flights in Foreign Air Transportation to the United States, pubblicato<br />

nel Federal Register il 31 dicembre 2001, ed il Passenger Name Record Information Required<br />

for Passengers on Flights in Foreign Air Transportation to or from the United States, pubblicato<br />

nel Federal Register il 25 giugno 2002).<br />

( 6 ) Si tratta di informazioni di varia natura raccolte all’atto della prenotazione o già in<br />

possesso delle compagnie aeree o degli agenti di viaggio, quali ad esempio il nome del passeggero<br />

ed il suo recapito, informazioni sull’itinerario del viaggio o particolari sulla prenotazione<br />

(ad esempio, l’agenzia di viaggio ed il sistema di pagamento) o ancora ulteriori<br />

informazioni di carattere commerciale, quali la partecipazione a speciali programmi di fidelizzazione.<br />

( 7 ) In genere si tratta di informazioni idonee a rivelare l’origine razziale o etnica del<br />

passeggero, nonché il suo credo religioso o lo stato di salute.<br />

( 8 ) In specie i dati vengono conservati dal CBP per tre anni e sei mesi, a meno che il<br />

CBP consulti manualmente quei particolari dati, in tal caso questi verranno conservati per<br />

ulteriori otto anni. Se invece si tratta di informazioni connesse ad un’attività di indagine, la<br />

conservazione dura fino all’archiviazione dell’indagine medesima. Cfr. in proposito Art. 29-<br />

Gruppo di lavoro per la tutela dati personali, Parere 2/2004 sul livello di protezione adeguato<br />

dei dati a carattere personale contenuti nelle pratiche Passeggeri (PNR –Passenger<br />

Name Record) trasferite all’Ufficio delle dogane e della protezione di frontiera degli Stati<br />

Uniti (Bureau of Customs and Border Protection – US CBP), adottato il 29 gennaio 2004, p.<br />

9, secondo cui è dubbio che « l’immagazzinamento generalizzato dell’insieme dei dati PNR<br />

per periodi così lunghi possa essere giudicato proporzionale e necessario in una società “democratica”.<br />

Inoltre, la conservazione dei dati per altri otto anni, prevista per il semplice ca-


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1077<br />

di comunicare i dati a terzi, posto che le informazioni possono essere trasmesse<br />

dal CBP ad altre autorità governative, statunitensi o straniere,<br />

aventi funzioni di contrasto del terrorismo, nonché ad altre autorità governative<br />

statunitensi per finalità previste dalla legislazione americana,<br />

anche non attinenti al contrasto dei fenomeni terroristici o criminali.<br />

Tale quadro regolamentare del flusso di dati verso il CBP, frutto di<br />

un’attività di negoziazione fra la Commissione delle Comunità europee e<br />

le autorità statunitensi ( 9 ), al fine di rendere conformi gli standard introdotti<br />

oltreoceano ai presupposti richiesti per l’adozione della pronuncia di<br />

adeguatezza di cui all’art. 25, n. 6, dir. 95/46/CE, è ora messo in crisi dalla<br />

decisione della Corte di giustizia, la quale tuttavia non ha espresso un<br />

giudizio negativo sulle modalità di trattamento dei dati e sull’eventuale<br />

contrasto con la direttiva 95/46/CE, bensì ha ravvisato un’erronea individuazione<br />

del fondamento giuridico del trasferimento dei dati, escludendo<br />

in tal modo in radice ogni ulteriore disamina nel merito.<br />

Secondo la Corte infatti l’art. 95 del Trattato CE non costituisce il fondamento<br />

giuridico appropriato su cui basare la competenza della Comunità<br />

a concludere l’accordo con gli Stati Uniti, poiché quest’ultimo riguarda<br />

« trattamenti di dati. . . esclusi dall’ambito di applicazione della diretti-<br />

so in cui tali dati siano stati consultati, è sproporzionata nella misura in cui non vi è un<br />

collegamento con un’inchiesta concreta o un mandato concernenti la persona i cui dati sono<br />

consultati; ciò rende quindi possibile superare de facto il limite di tre anni e mezzo ».<br />

Osservazioni in senso contrario si leggono ora nelle conclusioni dell’Avvocato Generale,<br />

presentate il 22 novembre 2005, nelle cause riunite C-317/04 e C-318/04, secondo cui la<br />

durata normale di conservazione dei dati personali dei passeggeri « non è manifestamente<br />

eccessiva, specie se si tiene conto del fatto che, come spiegato dal Consiglio, le indagini<br />

eventualmente svolte a seguito di attentati terroristici o di altri gravi crimini si protraggono<br />

a volte per anni. Pertanto, se, in linea di principio, è auspicabile che i dati personali<br />

vengano conservati per un periodo di tempo breve, nella causa in oggetto occorre considerare<br />

in prospettiva la durata di conservazione dei dati PNR con l’utilità che essi posseggono<br />

non solo a fini di prevenzione del terrorismo, ma più in generale per finalità repressive<br />

».<br />

( 9 ) In proposito cfr. altresì parere n. 4/2003 sul livello di tutela garantito dagli Stati Uniti<br />

per la trasmissione dei dati sui passeggeri e parere n. 2/2004 sul livello di tutela adeguata<br />

dei dati personali contenuti nei fascicoli dei passeggeri aerei (PNR) trasferiti all’Ufficio delle<br />

dogane e della protezione delle frontiere degli Stati Uniti (US CBP), adottati rispettivamente<br />

il 13 giugno 2003 ed il 29 gennaio 2004 dal Gruppo-Art. 29 sulla tutela dei dati; cfr.<br />

inoltre Parere 6/2002 relativo alla trasmissione da parte delle compagnie aeree di informazioni<br />

sugli elenchi dei passeggeri e di altri dati agli Stati Uniti, adottato il 24 ottobre 2002 dal<br />

Gruppo-Art. 29 sulla tutela dei dati. Per una ricostruzione del contenzioso approdato al vaglio<br />

dei giudici delle Corte di giustizia si rinvia invece ai punti da 7 a 16 delle conclusioni<br />

presentate dall’Avvocato Generale nelle cause riunite C-317/04 e C-318/04.


1078 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

va » ( 10 ), ragion per cui non sarebbe stato neppure possibile addivenire alla<br />

pronuncia di adeguatezza di cui all’art. 25, n. 6, dir. 95/46/CE da parte<br />

della Commissione delle Comunità europee ( 11 ). La sentenza, in conformità<br />

al punto 7 dell’accordo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti d’America<br />

sul trattamento e trasferimento dei dati di identificazione delle<br />

pratiche da parte dei vettori aerei all’ufficio doganale e di protezione dei<br />

confini del dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti, fa comunque<br />

salvi gli effetti della decisione della Commissione 2004/535/CE<br />

fino al 30 settembre 2006 ( 12 ).<br />

A seguito della pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee,<br />

la Commissione europea si è poi prontamente attivata per « creare<br />

un quadro giuridico sicuro » per il trasferimento dei dati personali dei passeggeri<br />

verso gli USA ( 13 ); in particolare è stata individuata la corretta base<br />

giuridica nell’articolo 38 del Titolo VI del trattato sull’Unione europea,<br />

ravvisando in tale Titolo il contesto giuridico adeguato per concludere un<br />

accordo internazionale su questioni attinenti la pubblica sicurezza ed il<br />

diritto penale. In tal senso la Commissione ha sollecitato il Consiglio ad<br />

autorizzare l’avvio di negoziati per un nuovo accordo con gli Stati Uniti,<br />

fondato su tale nuova base giuridica, al fine di sostituire quello vigente<br />

quando quest’ultimo cesserà di applicarsi.<br />

Lasciando agli studiosi del diritto comunitario una più approfondita<br />

disamina degli aspetti tecnici sottesi alla pronuncia della Corte, per altro<br />

oggetto di ampia analisi nelle conclusioni dell’Avvocato Generale ( 14 ), va<br />

constatato come la decisione si fondi sostanzialmente sul disposto dell’art.<br />

3, n. 2, primo trattino, della direttiva 95/46/CE, laddove si afferma esplicitamente<br />

che esulano dall’ambito di operatività della stessa i trattamenti di<br />

dati personali « effettuati per l’esercizio di attività che non rientrano nel<br />

( 10 ) Cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, 30 maggio 2006, cause riunite C-<br />

317/04 e C-318/04, punti 67 e 68.<br />

( 11 ) Cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, 30 maggio 2006, cause riunite C-<br />

317/04 e C-318/04, punto 54 ss.<br />

( 12 ) Il paragrafo 7 dell’accordo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti d’America prevede<br />

infatti che « ciascuna parte può denunciare il presente accordo in qualsiasi momento,<br />

mediante notifica per via diplomatica. In tal caso, l’accordo cessa di essere in vigore novanta<br />

(90) giorni dopo la data di tale notifica ».<br />

( 13 ) Cfr. comunicato stampa del 19 giugno 2006, rif. IP/06/800, pubblicato sul sito ufficiale<br />

della Commissione Europea, www.europa.eu (consultato il 15.07.06).<br />

( 14 ) Il testo integrale delle conclusioni dell’Avvocato Generale, presentate il 22 novembre<br />

2005, nelle cause riunite C-317/04 e C-318/04, è pubblicato sul sito ufficiale della Corte<br />

di giustizia delle Comunità europee, www.curia.europa.eu (consultato il 15.07.06).


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1079<br />

campo di applicazione del diritto comunitario, come quelle previste dai titoli<br />

V e VI del trattato sull’Unione europea e comunque ai trattamenti<br />

aventi come oggetto la pubblica sicurezza, la difesa, la sicurezza dello Stato<br />

(compreso il benessere economico dello Stato, laddove tali trattamenti<br />

siano connessi a questioni di sicurezza dello Stato) e le attività dello Stato<br />

in materia di diritto penale ». Secondo la Corte, se infatti è pur vero che i<br />

dati personali dei passeggeri sono inizialmente raccolti per fini commerciali<br />

da parte delle compagnie aeree ( 15 ), tuttavia essi sono sottoposti ad ulteriori<br />

forme di trattamento da parte del CBP aventi natura del tutto differente,<br />

poiché non finalizzate alla realizzazione di una prestazione di servizi,<br />

ma funzionali alla salvaguardia della pubblica sicurezza ed al perseguimento<br />

di finalità repressive ( 16 ); ne deriva dunque che la prevalenza di<br />

quest’ultimi scopi comporta l’inapplicabilità al caso di specie delle disposizioni<br />

della direttiva 95/46/CE. Va peraltro osservato come, con riguardo al<br />

merito dell’accordo, nelle conclusioni dell’Avvocato Generale non abbiano<br />

comunque trovato accoglimento gli ulteriori rilievi critici concernenti<br />

la violazione del diritto alla vita privata ( 17 ) derivante dal trattamento posto<br />

in essere dal CBP, nonché le osservazioni circa il difetto di proporzionalità<br />

fra il trattamento posto in essere in virtù degli accordi con gli USA ed i fini<br />

di contrasto del terrorismo e della criminalità perseguiti ( 18 ).<br />

Sulla base della pronuncia della Corte e delle considerazioni dell’Avvocato<br />

Generale da ultimo richiamate, emerge dunque l’opportunità di<br />

spostare la riflessione in ambito pubblicistico, focalizzando l’attenzione<br />

sui rapporti fra Stato e cittadino, sulla possibilità per i poteri pubblici di<br />

porre in essere intrusioni significative nella sfera privata individuale al fine<br />

di prevenire fenomeni criminali di notevole rilevanza. L’esclusione della<br />

materia della sicurezza dello Stato, e di quelle ulteriori di cui all’art. 3, n.<br />

2, primo trattino, dir. 95/46/CE, dall’ambito della disciplina comunitaria<br />

del trattamento dei dati personali non può infatti tradursi nella mancata<br />

( 15 ) La raccolta dei dati avviene dunque nell’ambito dello svolgimento di un’attività che<br />

rientra a pieno titolo nel diritto comunitario, quale la vendita di un biglietto aereo che dà<br />

diritto ad una prestazione di servizi.<br />

( 16 ) Cfr. punto 56 della sentenza ove si asserisce che « il trasferimento dei dati PNR<br />

[Passenger Name Record] al CBP costituisce un trattamento avente come oggetto la pubblica<br />

sicurezza e le attività dello Stato in materia di diritto penale »; cfr. altresì punto 55 della<br />

medesima pronuncia.<br />

( 17 ) Cfr. art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle<br />

libertà fondamentali.<br />

( 18 ) Cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale, presentate il 22 novembre 2005, nelle cause<br />

riunite C-317/04 e C-318/04, punti 108 ss.


1080 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

tutela dei diritti fondamentali, riconosciuta in primo luogo dall’art. 8 della<br />

Convenzione europea. Occorre allora interrogarsi sui limiti e sulle garanzie<br />

che devono caratterizzare l’esercizio dei pubblici poteri, specie laddove<br />

essi mirino ad un’assai lata facoltà di accesso alle banche dati detenute<br />

dai privati per fini diversi, permettendo forme di profilazione individuali<br />

sconosciute in precedenza ( 19 ).<br />

Un potere informativo così vasto, seppure fosse limitato alla sola prevenzione<br />

ed al perseguimento di atti terroristici, costituirebbe già di per sé<br />

una schedatura di massa difficilmente compatibile con i principi del rispetto<br />

della dignità umana e della vita privata dell’individuo. È poi facile<br />

immaginare come le potenzialità insite in tali banche dati possano indurre<br />

facilmente all’utilizzo abusivo delle stesse, per finalità private, sia da<br />

parte degli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei dati, sia da<br />

parte di terzi che accedano alle informazioni attraverso la violazione dei<br />

sistemi informatici. . . a meno di credere ciecamente nei miti della lealtà e<br />

correttezza di tutto il genere umano e dell’inviolabilità degli strumenti<br />

informatici.<br />

Va poi da ultimo osservato come l’acquisizione di informazioni provenienti<br />

da archivi privati, rispetto ai quali non sono dunque note né tanto<br />

meno controllate le singole prassi di gestione, può comportare l’impiego<br />

di dati non aggiornati o errati, se non addirittura acquisiti illecitamente,<br />

con la conseguenza che eventuali decisioni in ordine alla pubblica sicurezza<br />

potrebbero trarre origine o fondarsi, almeno in parte, su false rappresentazioni<br />

della realtà se non sulla violazione del diritto sui propri dati<br />

riconosciuto a ciascuno.<br />

Viene dunque necessariamente a porsi con nuovo vigore all’attenzione<br />

del Vecchio Continente il dibattito sui rapporti fra sicurezza e tutela dei<br />

( 19 ) È infatti proprio la possibilità di unire le basi di dati pubbliche a quelle private che<br />

prospetta una concentrazione di informazioni sui cittadini in capo ai soggetti pubblici che<br />

non ha precedenti nella storia, anche in ragione della crescita esponenziale delle banche dati<br />

registratasi negli ultimi trent’anni in conseguenza dello sviluppo dell’informatizzazione.<br />

Sembra in proposito del tutto condivisibile l’assunto formulato dall’Art. 29-Gruppo di lavoro<br />

per la tutela dei dati personali nel Parere 2/2004 sul livello di protezione adeguato dei<br />

dati a carattere personale contenuti nelle pratiche Passeggeri (PNR –Passenger Name Record)<br />

trasferite all’Ufficio delle dogane e della protezione di frontiera degli Stati Uniti (Bureau<br />

of Customs and Border Protection – US CBP), adottato il 29 gennaio 2004, p. 4, secondo<br />

cui « non è certo che la lotta contro il terrorismo e il mantenimento della sicurezza interna<br />

saranno più efficaci mettendo parzialmente tra parentesi i principi di proporzionalità<br />

e di minimizzazione dei dati, mentre il rispetto di questi principi costituisce una garanzia<br />

essenziale per la protezione dei diritti dei cittadini ».


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 1081<br />

dati e delle vicende personali ( 20 ), che già ampia eco ha avuto negli Stati<br />

Uniti, a causa delle disposizioni illiberali del «USA Patriot ( 21 ) Act »e di diverse<br />

norme anti-terrorismo; le sollecitazioni che derivano dall’attuale<br />

contesto globale spingono infatti ad un più approfondito esame di questi<br />

temi, auspicabilmente evitando di mutuare passivamente le soluzioni provenienti<br />

da oltreoceano, conservando invece, anche di fronte a notevoli rischi<br />

per la sicurezza collettiva, il pieno rispetto per la persona umana e la<br />

sua dignità, alla ricerca di vie che evitino di presentare in maniera alternativa<br />

la garanzia della sicurezza e la garanzia delle libertà individuali ( 22 ).<br />

Alessandro Mantelero<br />

( 20 ) Cfr. in proposito Rodotà, Intervista su privacy e libertà, a cura di P. Conti, Roma-<br />

Bari, 2005, p. 93 ss., il quale, esprimendo considerazioni critiche sulla legislazione emergenziale<br />

adottata negli Stati Uniti, osserva: « dobbiamo chiederci se alcuni strumenti, fortemente<br />

limitativi delle libertà altrui, non siano sproporzionati rispetto al fine che si vuole<br />

raggiungere e, al tempo stesso, non siano lesivi dei principi stessi di democrazia » e ricorda<br />

come « non si può perdere la democrazia sostenendo di volerla difendere ».<br />

( 21 ) Curioso lo sforzo di fantasia per realizzare un acronimo evocativo: Uniting and<br />

Strenghthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism<br />

Act.<br />

( 22 ) In fase di correzione delle bozze del presente contributo si apprende l’intervenuto<br />

accordo provvisorio siglato fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti con riguardo all’elaborazione<br />

ed al trasferimento dei dati PNR, cfr. Agreement between the European union and the<br />

United States of America on the processing and transfer of passenger name record (PNR) data<br />

by air carries to the United States Department of Homeland Security, Bussels, 11 ottobre 2006,<br />

n. 13216/06; cfr. altresì Council Decision on the signing, on behalf of the European Union, of<br />

an Agreement between the European union and the United States of America on the processing<br />

and transfer of passenger name record (PNR) data by air carries to the United States Department<br />

of Homeland Security, Bussels, 11 ottobre 2006, n. 13226/06. I testi dei due documenti<br />

sono pubblicati sul sito www.consilium.europea.ue. Nella specie l’accordo siglato ha una validità<br />

limitata, fino al 31 luglio 2007, e prevede ancora l’accesso diretto da parte del Department<br />

of Homeland Security ai sistemi di prenotazione delle compagnie aeree al fine di raccogliere<br />

i dati PNR « until there is a satisfactory system in place allowing for transmission<br />

of such data by the air carriers ».


Osservatorio sull’attuazione in Italia<br />

delle normative CE<br />

L’iter della comunitaria 2006: lo stato dell’arte del disegno di legge<br />

1. – Premessa<br />

Il 9 giugno 2006 è stato presentato il progetto di legge comunitaria<br />

2006 alla Camera dei Deputati dal ministro per le politiche europee e dal<br />

Presidente del Consiglio di concerto con i ministri degli affari esteri, della<br />

giustizia, dell’economia e delle finanze e con il ministro per gli affari regionali<br />

e le autonomie locali ( 1 ).<br />

L’atto legislativo in oggetto – recante il numero 1042 – è stato quindi<br />

sottoposto all’esame di merito delle singole commissioni in sede consultiva.<br />

Concluse le letture parlamentari il testo del progetto modificato – ma<br />

sul punto torneremo tra breve – è stato approvato il 19 luglio dalla 14 a<br />

commissione permanente per le politiche dell’Unione europea.<br />

Come si evince dalla Relazione della citata 14 a commissione presentata<br />

all’Assemblea, e successivamente – il 25 luglio 2006 – oggetto di discussione<br />

congiunta sulle linee generali con l’originario disegno di legge n.<br />

1042, il testo del progetto si compone di ventuno articoli.<br />

Allo stato dell’arte è dato volgere lo sguardo alla prima fase dell’iter<br />

parlamentare ( 2 ) che porterà nei prossimi due mesi circa al testo definitivo<br />

della legge la quale – secondo il solito cliché – delegherà il Governo a<br />

adottare i decreti legislativi enuncianti le norme occorrenti per dare attuazione<br />

alle direttive comprese negli elenchi degli allegati A, B e C del provvedimento<br />

in oggetto ( 3 ).<br />

( 1 ) Il disegno di legge d’iniziativa governativa è stato poi annunciato alla Camera nella<br />

seduta n. 10 del 13 giugno 2006, quindi assegnato il 15 giugno 2006 alla 14 a commissione per<br />

le politiche dell’Unione Europea in sede referente.<br />

( 2 ) Si segnala al lettore che, durante l’elaborazione della Rivista, il progetto n. 1042 in<br />

esame è stato approvato dall’Assemblea nella seduta del 21 settembre 2006.<br />

( 3 ) Basti ricordare che si tratta del secondo progetto di legge comunitaria presentato dal<br />

ministro per le politiche comunitarie in applicazione della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante<br />

norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea<br />

e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari (c.d. « Legge Buttiglione »)<br />

che ha abrogato e sostituito (ex art. 22, cpv., legge 4 febbraio 2005, n. 11) la legge 9 marzo<br />

1989, n. 86 (c.d. « Legge La Pergola »).


1084 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

2. – I punti salienti del disegno di legge<br />

Puntando l’attenzione all’articolato del progetto dopo la prima lettura<br />

alla Camera dei Deputati (atto n. 1042-A) emerge un ampliamento della<br />

struttura del provvedimento rispetto alla consueta bipartizione fra il capo<br />

primo della legge comunitaria comprendente le disposizioni generali per<br />

l’adempimento degli obblighi comunitari e il capo successivo che di massima<br />

detta, invece, le disposizioni particolari di adempimento e i criteri<br />

specifici di delega legislativa, concernenti settori determinati. Prima di<br />

questa parte, infatti, sono stati inseriti nel testo del disegno di legge presentato<br />

dalla commissione per le politiche europee due ulteriori capi di<br />

cui si darà conto più avanti.<br />

Occorre procedere con ordine osservando innanzitutto che il provvedimento<br />

che ci sta occupando, in ottemperanza alle novità introdotte dalla<br />

legge n. 11 del 2005, contiene all’art. 1, la delega per l’attuazione delle<br />

direttive contenute negli allegati e, segnatamente, nel testo proposto dalla<br />

commissione, una sola direttiva nell’allegato A, ventidue direttive nell’allegato<br />

B e una nell’allegato C.<br />

L’allegato B – come noto – prevede una procedura per così dire « aggravata<br />

» in quanto riguardo agli schemi dei decreti legislativi di recepimento<br />

è richiesto il parere dei competenti organi parlamentari. Sul punto<br />

il relatore del progetto di legge rammenta che « il passaggio di numerose<br />

direttive dall’allegato A all’allegato B, risultante dall’approvazione di<br />

emendamenti proposti dalle Commissioni di merito o dal relatore, è volto,<br />

appunto, ad un rafforzamento delle prerogative parlamentari e ad un<br />

più forte coinvolgimento del Parlamento nel procedimento di emanazione<br />

dei decreti legislativi di attuazione; attuazione che segna, in Italia, gravi<br />

ritardi » ( 4 ).<br />

Proprio per far fronte a tale problema, su proposta del Governo, oltre<br />

a inserire nell’allegato B ulteriori direttive da recepire, tramite l’art. 1,<br />

comma 1°, sono stati ridotti i tempi di delega: il termine di diciotto mesi<br />

previsto nel testo del disegno di legge è stato portato a dodici mesi, che<br />

scendono a sei nel caso che il termine di recepimento sia già scaduto o<br />

scada nei sei mesi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria<br />

in esame.<br />

Ancora a proposito dell’art. 1 occorre sottolineare che il comma 6° reca<br />

una significativa novità, autorizzando il Governo – entro tre anni dalla<br />

( 4 ) Cfr. la relazione della 14 a commissione permanente pubblicata sul sito ufficiale del<br />

Parlamento italiano.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DELLE NORMATIVE CE 1085<br />

data di entrata in vigore dei decreti legislativi adottati per il recepimento<br />

di direttive per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare<br />

norme di attuazione – a recepire tali disposizioni nell’ordinamento nazionale,<br />

allorché siano effettivamente adottate, con regolamenti governativi,<br />

ai sensi dell’art. 17, comma 1°, della legge n. 400 del 1988 ( 5 ).<br />

L’art. 2 del progetto di legge contiene, come di consueto, i princìpi e<br />

criteri direttivi delle deleghe, mentre l’art. 3 prevede la delega al Governo<br />

per la disciplina sanzionatoria della violazione di disposizioni comunitarie<br />

attuate in via regolamentare o amministrativa. L’art. 4 riguarda gli oneri<br />

per prestazioni e controlli, mentre l’art. 5 dispone interventi di riordino<br />

normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie.<br />

È importante sottolineare che durante l’esame in commissione, è stato<br />

introdotto il nuovo capo II, che introduce due articoli (15-bis e 15-ter)<br />

nella legge n. 11 del 2005. Sulla base del parere espresso dalla commissione<br />

bilancio, sono state infatti introdotte due nuove previsioni dirette a garantire<br />

al Parlamento un’informativa completa e il più possibile tempestiva<br />

sia sulle sentenze e sulle procedure di contenzioso riguardanti l’Italia e<br />

le relative conseguenze finanziarie (15-bis), sia sui flussi finanziari con l’Unione<br />

europea (15-ter).<br />

Segue il capo III sulla legislazione concorrente, nell’àmbito del quale<br />

l’art. 7 del disegno di legge (rubricato « Individuazione di princìpi fondamentali<br />

in particolari materie di competenza concorrente ») contiene<br />

un’ulteriore innovazione d’indubbio rilievo, in quanto traccia le linee direttrici<br />

nel rispetto delle quali regioni e province autonome esercitano<br />

l’attività legislativa in talune materie di competenza concorrente (tutela e<br />

sicurezza del lavoro, nonché tutela della salute), limitatamente al recepimento<br />

degli atti comunitari contemplati dal disegno di legge in oggetto.<br />

Infine nel capo IV, relativo a misure specifiche di adempimento, l’art.<br />

8 detta i criteri specifici per il recepimento della direttiva 2005/14/CE,<br />

concernente l’assicurazione della responsabilità civile. Poiché, tuttavia, la<br />

delega per il recepimento dell’atto citato, entro il 23 agosto 2007, è stata<br />

( 5 ) Cfr. sul punto il resoconto stenografico della seduta n. 31 del 25 luglio 2006, relatore<br />

Ottone, pubblicato sul sito ufficiale del Parlamento italiano in cui si precisa che anche « il<br />

comma 6 dell’articolo 1 della legge comunitaria per il 2005 prevedeva la possibilità di adottare<br />

decreti legislativi integrativi e correttivi, al fine di tener conto delle eventuali disposizioni<br />

di attuazione di specifiche direttive, adottate dalla Commissione europea. La norma<br />

in esame, pertanto, risponde ad analoghe esigenze, fornendo però una risposta maggiormente<br />

completa, in quanto generalizza tale possibilità, svincolandola da riferimenti specifici<br />

a singole direttive, ed utilizza lo strumento del regolamento governativo al posto del decreto<br />

legislativo integrativo e correttivo ».


1086 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA<br />

già conferita con la legge comunitaria 2005, durante l’esame in commissione<br />

la norma è stata riformulata nel senso di riferirla alla legge n. 29 del<br />

2006.<br />

Nel corso della prima lettura del progetto di legge sono stati altresì introdotti<br />

due nuovi articoli che, recependo il parere della commissione affari<br />

costituzionali, prevedono misure specifiche per il recepimento delle<br />

direttive 2005/71/CE e 2005/85/CE relative, segnatamente, alla procedura<br />

per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a scopo di ricerca scientifica<br />

consentendo che la relativa domanda possa essere accolta anche quando il<br />

cittadino del paese terzo si trovi già in Italia (art. 8-bis ), e alle procedure ai<br />

fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (art. 8-ter).<br />

Merita inoltre segnalare che è stata aggiunta al testo originario del disegno<br />

di legge la disposizione di cui al nuovo art. 15-bis la quale, in applicazione<br />

della direttiva 2001/77/CE, relativa alla promozione dell’energia<br />

elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, è volta a risolvere una<br />

situazione che vede l’Italia colpita da una procedura d’infrazione.<br />

Per concludere la panoramica sui rilievi più interessanti del progetto<br />

occorre ancora ricordare che l’art. 16 inserisce una nuova disposizione al<br />

codice del consumo (art. 144-bis) con il precipuo compito d’investire il<br />

ministero dello sviluppo economico della funzione di autorità pubblica<br />

nazionale, ai sensi del regolamento (CE) n. 2006/2004, per la cooperazione<br />

degli Stati attraverso i diversi enti nazionali responsabili dell’esecuzione<br />

della normativa a tutela del consumatore.<br />

3. – Direttive oggetto di delega al Governo per l’attuazione<br />

Diverse sono le direttive alla cui attuazione il Governo è delegato dal<br />

disegno di legge comunitaria 2006, rientranti come sempre in ambiti assai<br />

differenti tra loro.<br />

Pur rimandando al commento del testo definitivo – di cui nel prossimo<br />

numero della Rivista – l’esame dettagliato dei singoli provvedimenti<br />

con una più approfondita esposizione ratione materiae, pare opportuno<br />

anticipare sin d’ora che tra gli atti comunitari da recepire suscita particolare<br />

attenzione, per quanto concerne il più scarno allegato A, la direttiva<br />

2005/68/CE relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive<br />

in materia 73/239/CEE, 92/49/CEE, 98/78/CE e 2002/83/CE.<br />

Con riferimento all’allegato B, invece, si segnalano all’attenzione del<br />

lettore in àmbito societario e finanziario la direttiva 2005/56/CE relativa alle<br />

fusioni transfrontaliere delle società di capitali e la direttiva 2005/81/CE<br />

che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazio-


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DELLE NORMATIVE CE 1087<br />

ni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche nonché fra<br />

determinate imprese.<br />

Con riguardo alla legislazione lavoristica conviene ricordare la direttiva<br />

2005/47/CE concernente l’accordo tra la Comunità delle ferrovie europee<br />

(CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su<br />

taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano<br />

servizi di « interoperabilità » transfrontaliera nel settore ferroviario.<br />

Degni di nota, altresì, tra i provvedimenti a tutela dell’ambiente contro<br />

le fonti inquinanti, la direttiva 2005/55/CE sul ravvicinamento delle<br />

legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da prendere contro<br />

l’emissione di inquinanti gassosi e di particolato prodotti dai motori ad<br />

accensione spontanea destinati alla propulsione di veicoli e contro l’emissione<br />

di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione comandata<br />

alimentati con gas naturale o con gas di petrolio liquefatto destinati alla<br />

propulsione di veicoli; nonché la direttiva 2005/64/CE sull’omologazione<br />

dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità<br />

e ricuperabilità e che modifica la direttiva 70/156/CEE e, infine, la direttiva<br />

2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e<br />

che modifica la direttiva 2004/35/CE.<br />

Per quanto da ultimo concerne il settore creditizio, si segnalano le direttive<br />

2006/48/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al<br />

suo esercizio (rifusione) e la 2006/49/CE relativa all’adeguatezza patrimoniale<br />

delle imprese di investimento e degli enti creditizi (rifusione).<br />

Rossana Pennazio


INDICI GENERALI DEL 2006<br />

INDICE SOMMARIO<br />

DIBATTITI<br />

SEI VOCI SUL «CODICE DEL CONSUMO» ITALIANO<br />

I diritti dei consumatori e il «Codice del consumo» nell’esperienza<br />

italiana di Guido Alpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1<br />

Il Codice del consumo: prime impressioni fra critiche e consensi di Liliana<br />

Rossi Carleo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33<br />

Le disposizioni «generali» e «finali» del Codice del consumo: profili<br />

problematici di Giovanni De Cristofaro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 43<br />

Il Codice del consumo tra «consolidazione» di leggi e autonomia privata<br />

di Roberto Calvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 73<br />

Leggendo il Codice del consumo alla ricerca della nozione di consumatore<br />

di Lucia Delogu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 87<br />

Il «taglia e incolla» non si addice al legislatore di Maria Giovanna Falzone<br />

Calvisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 101<br />

RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE IN EUROPA<br />

DI SENTENZE STATUNITENSI RELATIVE AD UNA «CLASS ACTION»<br />

The Recognition and Enforcement of US Class Action Judgments in<br />

England di Jonathan Harris . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 617<br />

Would French Courts Enforce U.S. Class Action Judgments? di Marina<br />

Matousekova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 651<br />

SAGGI<br />

Paolo Mengozzi, I giudici CE e l’equilibrio istituzionale comunitario . . . . . . . . » 117<br />

Sommario: 1. I rapporti con riferimento ai quali i giudici CE stanno confermando<br />

il ruolo da essi tradizionalmente esercitato in materia: a) i rapporti<br />

Comunità-Stati membri relativi all’applicazione dell’ordine pubblico


1090 INDICI GENERALI 2006<br />

come limite alle libertà di circolazione. – 2. Segue: e alla modifica del sistema<br />

giuridico comunitario. – 3. b) i rapporti tra Commissione e Consiglio<br />

relativamente alle procedure per disavanzo eccessivo. – 4. Segue: e al treaty<br />

making power della Commissione. – 5. c) i rapporti relativi all’esercizio dei<br />

poteri della Commissione nei confronti di imprese relativamente alla disciplina<br />

della concorrenza. – 6. d) i rapporti tra l’esercizio dei poteri degli Stati<br />

membri e la tutela dei diritti del cittadino dell’Unione.<br />

Laura Pignataro, La politica della Commissione in materia di sanzioni per inadempimento<br />

delle sentenze della Corte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 129<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La politica della Commissione in materia di<br />

sanzioni: le Comunicazioni sull’applicazione dell’art. 171 Tratt. CE (divenuto<br />

art. 228 Tratt. CE). – 3. La giurisprudenza della Corte. – 4. La Comunicazione<br />

della Commissione del 13 dicembre 2005: i principi generali. – 5. Segue:<br />

le modifiche dei criteri per l’irrogazione della penalità di mora rispetto alla<br />

precedente Comunicazione del 1997. – 6. Segue: i criteri per l’imposizione<br />

della somma forfetaria (punti 19-24 della Comunicazione). – 7. Considerazioni<br />

conclusive sull’interpretazione ed applicazione della Comunicazione.<br />

Paolo Mengozzi, I diritti e gli interessi delle imprese, il diritto dell’Organizzazione<br />

mondiale del Commercio e le prerogative delle istituzioni della Unione Europea:<br />

verso una dottrina comunitaria delle political questions? . . . . . . . . . . » 150<br />

Sommario: 1. L’opportunità di valutare l’incidenza della globalizzazione sull’equilibrio<br />

tra poteri pubblici e diritti dei privati nella Comunità. – 2. L’equilibrio<br />

in questione nella fase caratterizzata dall’applicazione del GATT 1947 e<br />

la negazione a disposizioni di questo della diretta applicabilità da parte della<br />

Corte di giustizia. – 3. Le novità presentate dagli accordi istitutivi del WTO. –<br />

4. Gli interrogativi a cui hanno dovuto far fronte i giudici comunitari. – 5. La<br />

sentenza con cui la Corte di giustizia, nel caso Portogallo c. Consiglio, ha<br />

escluso la diretta applicabilità anche degli accordi OMC. – 6. Il ribadimento<br />

di tale atteggiamento della Corte di giustizia anche a fronte di determinazioni<br />

dell’Organismo per la soluzione delle controversie del WTO. – 7. Le ragioni<br />

del pervicace persistere della Corte di giustizia nel suo atteggiamento e il<br />

profilarsi, nel campo dell’applicazione degli accordi internazionali, di una<br />

dottrina comunitaria delle « political questions ». – 8. La conferma che l’atteggiamento<br />

della giurisprudenza comunitaria ha trovato anche di fronte a<br />

domande di risarcimento danni basate sul principio dell’égalité des charges<br />

avanzate da imprese comunitarie toccate da ritorsioni autorizzate dal WTO.<br />

Mario Serio, Sistemi di integrazione giuridica e tecniche di armonizzazione,<br />

uniformazione ed unificazione per influsso del diritto comunitario . . . . . . . . . » 162<br />

Oreste Pallotta, Illeciti antitrust, contratti a valle e presunzione di danno . . . . » 177<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’interesse del consumatore nel diritto antitrust<br />

italiano. – 3. . . . ed in quello comunitario. – 4. La natura dell’interesse


INDICI GENERALI 2006 1091<br />

del contraente a valle. – 5. Il fine giustifica i mezzi. – 6. Le conseguenze<br />

dell’illecito antitrust sui contratti a valle. – 7. La presunzione di danno e<br />

l’inversione dell’onere della prova. – 8. Conclusioni.<br />

Francesco Liberatore, Distribuzione di medicinali e importazioni parallele:<br />

quali spazi per le imprese farmaceutiche nel diritto antitrust? . . . . . . . . . . . . pag. 210<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. La regolamentazione dei prezzi e la distribuzione<br />

nel settore farmaceutico europeo. – 3. L’interesse delle imprese farmaceutiche<br />

alla riduzione delle importazioni parallele. – 4. Il diritto della<br />

concorrenza applicato al settore farmaceutico. – 5. Le relazioni commerciali<br />

tra le imprese farmaceutiche e i grossisti indipendenti ai sensi dell’art.<br />

81 CE: la causa Bayer. – 6. Il rifiuto unilaterale di fornitura ai sensi dell’art.<br />

82 CE: la causa Syfait. – 7. Profili procedurali: cenni. – 8. Conclusioni.<br />

Antonio Preto-Claudia Desogus, La direttiva comunitaria sulle fusioni transfrontaliere<br />

di società di capitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 234<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le barriere alle fusioni transfrontaliere. – 3.<br />

L’illegittimità del divieto di fusione transfrontaliera. – 4. La necessità di<br />

un mercato europeo dei capitali più integrato. – 5. Gli elementi principali<br />

della direttiva. – 5.1. L’ambito soggettivo. – 5.2. L’ambito oggettivo. – 5.3.<br />

Il diritto applicabile. – 5.4. Il progetto di fusione. – 5.5. La pubblicità. –<br />

5.6. La relazione degli amministratori e degli esperti indipendenti. – 5.7.<br />

La partecipazione dei lavoratori. – 5.8. La clausola di revisione e i tempi<br />

di recepimento. – 5.9. Una differenza importante rispetto alla Società Europea.<br />

– 6. Una breve cronistoria dell’adozione della direttiva. – 7. La Mitbestimmung<br />

in Germania. – 8. La partecipazione dei lavoratori nella direttiva.<br />

– 9. La posizione italiana. – 10. La riforma fiscale delle fusioni transfrontaliere.<br />

Alessandra Fratini-Federico Poggi, Il quadro regolamentare delle comunicazioni<br />

elettroniche: analisi dei mercati wholesale della telefonia mobile . . . » 263<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. La procedura « Articolo 7 ». – 3. Accesso e<br />

raccolta nelle reti mobili: regolamentazione necessaria? – 4. Terminazione<br />

su reti mobili: rimedi « su misura » per i piccoli operatori? – 5. Conclusioni.<br />

Donato Nitti, Come cambia la professione forense inglese: spunti per una comparazione<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 280<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Barristers e solicitors. – 3. Le origini di Law Society<br />

e Bar Council. – 4. Le riforme della giustizia. – 5. I regolamenti del Bar<br />

Council. – 6. I regolamenti della Law Society. – 7. Divergenze e concordanze.<br />

– 7.1. Formazione ed accesso. – 7.2. Il certificato di abilitazione. – 7.3.<br />

L’esercizio della professione: i doveri dei barristers. – 7.4. I doveri dei solici-


1092 INDICI GENERALI 2006<br />

tors. – 7.5. Il rapporto avvocato-cliente. – 7.6. Il compenso. – 7.7. La pubblicità<br />

professionale. – 7.8. L’esercizio collettivo della professione. – 8. La responsabilità<br />

professionale. – 9. Professione forense e competition law. – 10.<br />

Valutazioni d’insieme.<br />

Valerio Sangiovanni, Finanziamenti dei quotisti di s.r.l. tedesca (GmbH) alla<br />

società e insolvenza della società . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 329<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. I diversi meccanismi di finanziamento di<br />

una s.r.l. – 3. L’ambito soggettivo di applicazione della disposizione. – 4. La<br />

crisi della società esistente prima della concessione del finanziamento. – 5.<br />

La crisi della società subentrata successivamente alla concessione del finanziamento.<br />

– 6. Conseguenze della insolvenza della s.r.l. – 6.1. Segue:<br />

postergazione del credito. – 6.2. Segue: revocatoria.<br />

Valentina Cuocci, Brevi note sulla direttiva comunitaria relativa ai ritardi di<br />

pagamento nelle transazioni commerciali e sulla sua attuazione in Germania » 349<br />

Sommario: 1. La ratio della direttiva comunitaria 2000/35/CE sui ritardati<br />

pagamenti nelle transazioni commerciali e i nuovi strumenti a tutela del<br />

credito: tra autonomia privata e controllo giudiziale. – 2. Tempo dell’adempimento<br />

e conseguenze sanzionatorie: l’attuazione della direttiva sui<br />

ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali in Germania e il problema<br />

dell’estensione della disciplina comunitaria ai consumatori. – 3. Accordi<br />

gravemente iniqui e meccanismi di riequilibrio contrattuale. – 4.<br />

Conclusioni.<br />

Sonia Ugolini, Verso il riconoscimento del contratto di fiducie nel codice civile<br />

francese? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 366<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Gli ostacoli all’introduzione della fiducie. La<br />

proprietà fiduciaria. – 2.1. Lo spettro della fraude fiscale. – 3. Le ragioni a favore<br />

dell’introduzione della fiducie. – 4. Le fiducies innommées. – 5. I progetti<br />

di legge volti ad istituire la fiducie. – 6. Il progetto di legge dell’8 febbraio<br />

2005. La fiducie come contratto speciale. – 6.1. Le patrimoine d’affectation.<br />

– 6.2. L’utilizzo del mandato e del contratto a favore del terzo. La responsabilità<br />

del fiduciaire. – 6.3. I beneficiari, la durata, la forma e la risoluzione<br />

del contratto. – 7. Potenziali applicazioni del contratto di fiducie. – 8.<br />

Una possibile ricezione del trust (amorfo) attraverso la fiducie? – 9. Fiducie<br />

e trust interno. – 10. Conclusioni.<br />

Matteo Benozzo, Tutela della salute, mercato interno e dinamiche internazionali:<br />

le regole della food safety negli Stati Uniti d’America . . . . . . . . . . . . . . . . » 390<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. I fondamenti della food safety Law statunitense<br />

tra alimenti e mangimi. – 3. « Bisogno di salubrità » e libera circolazione<br />

dei prodotti. – 4. I processed animal wastes nella produzione di man-


INDICI GENERALI 2006 1093<br />

gimi e le disposizioni in materia di Bse. – 5. Dinamiche interne e dinamiche<br />

internazionali: nuove ragioni di intervento. – 6. Conclusioni.<br />

*<br />

VERSO UNA DISCIPLINA EUROPEA<br />

DEL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE?<br />

Giovanna Volpe Putzolu, Il contratto di assicurazione nella prospettiva europea:<br />

il punto di vista del civil lawyer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 411<br />

Roberto Pardolesi, Il contratto di assicurazione tra discipline nazionali ed armonizzazione<br />

comunitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 419<br />

Sommario: 1. Diritto delle assicurazioni e armonizzazione comunitaria. –<br />

2. Aneliti e guasti degli sforzi di armonizzazione: un esempio emblematico.<br />

– 3. Sui rapporti fra assicurazione e responsabilità civile. – 4. Necessità<br />

di non alterare il sistema di incentivi della responsabilità civile. – 5. Le ricadute<br />

del diritto comunitario. – 6. Una conclusione inquietante.<br />

Onofrio Troiano, Terzo danneggiato ed assicuratore della responsabilità civile:<br />

verso la contrattualizzazione del rapporto? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 427<br />

Sommario: 1. Tutela del terzo danneggiato e azione diretta nei confronti<br />

dell’assicuratore della responsabilità civile: l’evoluzione nei paesi aderenti<br />

alla Comunità europea. – 2. Le esperienze italiana e tedesca a confronto: il<br />

pagamento diretto dell’assicuratore al terzo danneggiato. – 3. Evoluzione<br />

della prassi: la gestione della lite da parte dell’assicuratore. Il progetto tedesco<br />

di riforma del contratto di assicurazione: rapporto tra l’assicuratore<br />

ed il terzo danneggiato e tutela di quest’ultimo. – 4. L’evoluzione della giurisprudenza<br />

italiana: casi di contrattualizzazione del rapporto tra l’assicuratore<br />

ed il terzo danneggiato. – 5. Un possibile corollario: la gestione della<br />

lite come fase precontrattuale? – 6. L’assicurazione di un interesse altrui ed<br />

i suoi limiti operativi: un tentativo di spiegare gli attuali limiti dell’evoluzione<br />

giurisprudenziale italiana nella tutela del terzo. – 7. L’effetto della<br />

contrattualizzazione: una (parziale) convergenza tra third party insurance e<br />

first party insurance.<br />

Arturo Pironti, L’azione diretta nella assicurazione della responsabilità civile<br />

ed il regime delle eccezioni opponibili nel Regno Unito . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 450<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Liability insurance e contrattualizzazione<br />

della posizione del terzo nel Regno Unito: il problema dell’accertamento<br />

della responsabilità dell’assicurato. – 3. Contrattualizzazione del terzo e regime<br />

delle eccezioni opponibili. – 4. Conclusioni.


1094 INDICI GENERALI 2006<br />

Salvatore Sica, L’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile automobilistica:<br />

diritto interno e trends europei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 464<br />

Sommario: 1. La R.C.A. nel quadro giuridico europeo. – 2. Dal dato normativo<br />

alla ricerca di coerenza nel sistema. – 2.1. La connotazione nazionale<br />

del mercato della R.C.A. – 2.2. L’importanza della “interferenza” giurisprudenziale.<br />

– 2.3. L’apporto del formante legislativo. – 3. Le prospettive<br />

del settore tra trends europei ed opzioni nazionali. – 4. Rilievi conclusivi.<br />

Diana Cerini, « Diritto degli intermediari » e « diritto del contratto » nella creazione<br />

del Mercato Unico delle Assicurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 477<br />

Sommario: 1. Intermediazione assicurativa e creazione del mercato unico<br />

delle assicurazioni. – 2. Due esempi delle « interferenze » tra la disciplina di<br />

esercizio dell’attività intermediatizia e la disciplina del contratto assicurativo:<br />

obblighi informativi (A) e protezione finanziaria dell’utenza assicurativa<br />

(B). – 3. Alcuni cenni alla disciplina del Codice delle Assicurazioni Private.<br />

Raffaele Lener, L’offerta al pubblico di fondi pensione, polizze assicurative e<br />

strumenti finanziari in prospettiva italiana e comparata . . . . . . . . . . . . . . . . . » 495<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Mercato bancario, mercato assicurativo,<br />

mercato mobiliare: definizione di « prodotto finanziario » e prodotti assicurativi<br />

esenti. – 3. Alcuni interventi verso una disciplina armonizzata delle<br />

forme di raccolta del risparmio. – 4. Le esenzioni ex art. 100 T.U.F.: valutazioni<br />

di diritto comparato. – 5. La direttiva 2003/71/CE.<br />

Malcolm Clarke, L’acquisto e la vendita di assicurazioni nel Regno Unito nel<br />

2005 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 506<br />

Sommario: 1. Il passato: pacchi e pensioni. – 2. Nuove regole e nuovi nomi<br />

per vecchi problemi. – 2.1. Chi? Gli attori – 2.2. Cosa? L’assicurazione<br />

regolata. – 2.3. Competenza. – 2.4. Mancanza di autorizzazione. – 3. ICOB.<br />

– 3.1. Clienti. – 3.2. Principi cardine. – 3.3. Obblighi informativi. – 3.4. Contrattare<br />

l’assicurazione: idoneità. – 3.5. Comunicazione. – 3.6. Spiegazione.<br />

– 3.7. Integrità: la commissione. – 3.8. Mela marcia o Pandemia? – 4. Il<br />

mezzo e il messaggio.<br />

*<br />

Alessandro Somma, Esportare la democrazia economica. Diritti e doveri nella<br />

disciplina del contratto europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 677<br />

Sommario: 1. Dal diritto privato come sistema di diritti al diritto privato<br />

come sistema di doveri. – 2. L’economia sociale di mercato e il sistema dei<br />

diritti e dei doveri nella disciplina del contratto europeo. – 3. Diritto con-


INDICI GENERALI 2006 1095<br />

trattuale europeo e tutela dell’ambiente: contratto turistico e turismo sostenibile.<br />

– 4. Diritto contrattuale europeo e tutela dei lavoratori: contratto<br />

standard e consumerismo critico.<br />

Antonio Lordi, Valori etici e principio di complementarità tra sistemi giuridici . . » 697<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Economia di mercato e diritto: la nascita della<br />

distinzione tra « contratto isolato » e « contratto di mercato ». – 3. L’influenza<br />

del civil law sul common law: compravendita di beni immobili e rimedi<br />

di Equity. – 4. Etica puritana e diritto dei contratti: dall’absolute contract<br />

al new spirit del contratto. – 5. Il giurista italiano tra civil law e common<br />

law.<br />

Paolo Cassinis, I nuovi poteri dell’Autorità nell’ambito della dialettica tra public<br />

e private enforcement . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 719<br />

Sommario: 1. Premessa. – Parte I: 2. I “nuovi” poteri dell’Autorità Garante<br />

della Concorrenza e del Mercato. – 2.1. Le misure cautelari. – 2.2. Le decisioni<br />

con impegni. – 2.3. Il programma di clemenza. – Parte II: 3. Rapporti<br />

ed interrelazioni tra public e private enforcement – 3.1. Tutela “binaria” del<br />

diritto antitrust: ruoli e funzioni del public e private enforcement. – 3.2. Caratteristiche<br />

degli illeciti antitrust: la natura segreta delle intese hard-core. –<br />

3.3. Rapporti tra procedimento antitrust e giudizi civili antitrust: ambiti e limiti.<br />

– 3.3.1. Coordinamento tra procedimento antitrust e giudizio civile:<br />

efficacia della decisione antitrust nei giudizi civili: A) Le decisioni della<br />

Commissione: artt. 16, 10 e 9, Reg. CE 1/2003; B) Le decisioni delle autorità<br />

di concorrenza nazionali: la « soluzione tedesca »; la « soluzione inglese<br />

»; la « situazione italiana »; le opzioni del Libro Verde. – 3.3.2. Strumenti<br />

di cooperazione e raccordo tra public e private enforcement. – 3.3.3. Garanzie<br />

di funzionalità del procedimento amministrativo: tutela della riservatezza<br />

e le opzioni del Libro Verde. – 4. Conclusioni.<br />

Ermenegildo Mario Appiano, Parlamento Europeo e Commissione a confronto<br />

sulle delocalizzazioni industriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 751<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La posizione iniziale del Parlamento Europeo.<br />

– 3. La posizione iniziale della Commissione. – 4. Il compromesso.<br />

Luigi A. Scarano, Notificazione e comunicazione di atti nell’Unione europea . . » 780<br />

Sommario: 1. Unione europea, spazio giuridico europeo e « comunitarizzazione<br />

» della disciplina in tema di comunicazione e notificazione di atti<br />

giudiziari ed extragiudiziali. – 2. Ambito oggettivo della disciplina. a) La<br />

materia civile e commerciale. – 3. Segue: b) Atti giudiziari ed extragiudiziali.<br />

– 4. Segue: c) Trasmissione a scopo di notificazione o comunicazione.<br />

– 5. Segue: d) Recapito noto del destinatario dell’atto. Recapito ignoto<br />

e destinatario irreperibile. – 6. Caratteri essenziali della disciplina. a) Sem-


1096 INDICI GENERALI 2006<br />

plificazione del procedimento e sistema decentrato. – 7. Segue: b) Accelerazione<br />

della trasmissione. – 8. Segue: c) Lingua dell’atto. – 9. Modalità e<br />

forma principale di notificazione o comunicazione. – 10. Data di notificazione<br />

o comunicazione dell’atto. Il principio della “scissione” tra perfezionamento<br />

ed efficacia della notificazione o comunicazione. – 11. Segue:<br />

Il principio della “scissione” nell’ordinamento italiano. Rilievi critici. – 12.<br />

Segue: La soluzione accolta dal Regolamento: critica. – 13. Modalità alternative<br />

o sussidiarie. a) Notificazione o comunicazione (“indiretta” e “diretta”)<br />

per via consolare o diplomatica. – 14. Segue: b) Notificazione o comunicazione<br />

postale “diretta”. – 15. Segue: c) Forme particolari di notifica.<br />

– 16. Segue: d) La domanda “diretta” di notificazione. – 17. L’art. 19 quale<br />

fonte di disciplina processuale uniforme. – 18. Segue: a) La regolare costituzione<br />

del contraddittorio. La sospensione necessaria (cd. europea) del<br />

processo. – 19. Segue: b) Contumacia del convenuto e rimessione in termini.<br />

– 20. Osservazioni conclusive.<br />

André Janssen, La restituzione dei pagamenti fatti agli «Schenkkreise» tedeschi pag. 855<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le fattispecie giustiziate dal BGH. – 3. Le<br />

valutazioni giuridiche contenute nelle due sentenze (letteralmente identiche)<br />

del BGH. – 3.1. I presupposti della condictio indebiti secondo il § 812,<br />

comma 1°, periodo 1°, alternativa 1 a , BGB. – 3.2. L’impedimento alla condictio<br />

di cui al § 817, periodo 2°, BGB nell’ipotesi d’immoralità bilaterale. –<br />

4. In sintesi.<br />

Michele Rondinelli, Il Deutscher Corporate Governance Kodex . . . . . . . . . » 865<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le fasi che hanno preceduto la realizzazione<br />

del DCGK. – 3. I destinatari e la struttura del DCGK. – 4. Il contenuto<br />

del DCGK: raccomandazioni, suggerimenti e altre regole. – 5. Il §<br />

161 della legge azionaria. Entsprechenserklärung e divergenze dal principio<br />

anglosassone del «comply or explain ». – 6. Gli obblighi pubblicitari<br />

previsti dal § 161 della legge azionaria e dai §§ 285 n. 16, 314 comma 1°, n.<br />

8, 325 comma 1°, del codice di commercio. – 7. Natura e conseguenze<br />

giuridiche dell’obbligo informativo ex § 161 della legge azionaria. – 8. Segue:<br />

sull’ipotesi di fehlende Entsprechenserklärung. – 9. Segue: sull’ipotesi<br />

di Entsprechenserklärung non veritiera. – 10. Segue: sull’ipotesi di Entsprechenserklärung<br />

rivolta al futuro nel caso di devianza da essa nel corso<br />

dell’anno. – 11. Il DCGK dalla prima versione del 2000 alle recenti modifiche.<br />

– 12. Il DCGK nella prassi. – 13. Critiche e prospettive del<br />

DCGK. Considerazioni conclusive.<br />

Cristiana Cicoria, Il diritto di recesso dai contratti porta-a-porta: il caso delle<br />

«Schrottimmobilien » in Germania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 901<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il contratto di mutuo porta-a-porta e il<br />

diritto di recesso: la normativa tedesca e comunitaria prima della sentenza


INDICI GENERALI 2006 1097<br />

Heininger. – 3. L’applicazione della direttiva in Germania e la sentenza<br />

Heininger: questioni di compatibilità. – 4. Gli effetti del recesso sul contratto<br />

di mutuo. – 5. Gli effetti del recesso sul contratto di vendita: la normativa<br />

sui contratti collegati. – 6. Le critiche alla giurisprudenza del BGH e le<br />

tendenze attuali. – 7. Il giudizio di rinvio: opinioni e pareri e la decisione<br />

della Corte di giustizia delle Comunità europee. – 8. Conseguenze della<br />

decisione della Corte di Giustizia per i consumatori tedeschi: alcune alternative.<br />

– 9. Il dovere di informativa della banca: le attuali problematiche<br />

nel diritto civile tedesco. – 10. Conclusioni.<br />

Antonio Albanese, Il rapporto tra restituzioni e arricchimento ingiustificato dall’esperienza<br />

italiana a quella europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 922<br />

Sommario: 1. Un problema europeo. – 2. L’influenza del sistema francese.<br />

– 3. L’influenza del sistema germanico. – 4. L’influenza del common law. –<br />

5. Il sistema italiano: commistione e complementarità delle obbligazioni<br />

restitutorie. – 6. I requisiti dell’azione di arricchimento nel modello anglotedesco.<br />

– 6.1. La sussidiarietà. – 7. I Principles of European Unjustified Enrichment<br />

Law.<br />

Najdat Al Najjari-Erica Mussato, L’impatto del diritto comunitario nell’ordinamento<br />

interno: in particolare, il problema della discriminazione « a rovescio<br />

» nell’accesso alle professioni tra giurisprudenza e interventi normativi . . » 962<br />

Sommario: 1. Premessa: il concetto di discriminazione « a rovescio ». – 2.<br />

La discriminazione « a rovescio » e le professioni regolamentate: una ricostruzione<br />

storica. – 3. Origine delle discriminazioni « a rovescio ». – 4. I<br />

possibili rimedi di natura giurisdizionale: Corte di Giustizia e Corte Costituzionale.<br />

– 5. La giurisprudenza recente della Corte di Giustizia e la professione<br />

di avvocato. – 6. Altre decisioni rilevanti in tema di discriminazioni<br />

« a rovescio ». – 7. La posizione della Corte Costituzionale. – 8. Segue. Il<br />

principio di uguaglianza tra Corte di Giustizia e Corte Costituzionale. – 9.<br />

La Corte Costituzionale e le discriminazioni « a rovescio ». – 10. L’articolo<br />

2, comma 1°, lett. h), della legge comunitaria 2005. – 11. Campo di applicazione<br />

soggettivo: le attività professionali e commerciali. – 12. Prospettive<br />

ed attuazione del divieto. – 13. Conclusioni.<br />

Eugenia C. Laurenza-Miriam Kominarecova, Some Reflections from the<br />

WTO Mexico – Telecommunications Dispute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 998<br />

Contents: 1. Introduction. – 2. The WTO Telecommunication Framework.<br />

– 2.1. The General Agreement on Tariffs and Trade and the Annex. –<br />

2.2. The Reference Paper on Telecommunication Services. – 3. The Telmex<br />

Case. – 3.1. Background of the dispute. – 3.2. The Panel Report. – 3.2.1. Interconnection<br />

at « Cost Oriented Rates ». – 3.2.2. The prevention of anticompetitive<br />

practices. – 3.2.3. Access and use of public telecommunication<br />

networks. – 4. Lessons from the Telmex Case. – 5. Conclusions.


1098 INDICI GENERALI 2006<br />

OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO<br />

La nuova disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato per la<br />

compensazione di oneri di servizio pubblico di Fabio Filpo . . . . . . . . . pag. 523<br />

La direttiva 2005/68/CE in materia di riassicurazione di Ilaria Riva . . . . » 533<br />

L’accordo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti d’America sul<br />

commercio del vino di Daniele Pisanello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 545<br />

La riforma del sistema comunitario di tutela delle denominazioni d’origine<br />

e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli e alimentari<br />

di Daniele Pisanello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 556<br />

Repertorio dell’attività giurisdizionale dell’Organizzazione Mondiale<br />

del Commercio di Eugenia C. Laurenza-Paolo R. Vergano . . . . . . . . . . » 1016<br />

Note minime in margine alla pronuncia della Corte di giustizia delle<br />

Comunità europee sul trasferimento dei dati personali dei passeggeri<br />

dei vettori aerei verso gli Stati Uniti di Alessandro Mantelero . » 1075<br />

OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DELLE NORMATIVE CE<br />

La legge comunitaria 2005 di Rossana Pennazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 575<br />

Le conseguenze della vessatorietà di clausole del contratto al vaglio<br />

della Corte di giustizia di Pieralberto Mengozzi . . . . . . . . . . . . . . » 588<br />

Note a prima lettura sul Decreto di recepimento della Direttiva<br />

2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di<br />

Monica Togliatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 594<br />

Il recepimento della direttiva comunitaria 98/44/CE sulla protezione<br />

legale delle invenzioni biotecnologiche di Antonella Nurra . . . . . . . » 609<br />

L’ITER della comunitaria 2006: lo stato dell’arte del disegno di legge<br />

di Rossana Pennazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1083


1. LE MONOGRAFIE DI « CONTRATTO E IMPRESA »<br />

La Serie raccoglie i saggi e le ricerche su temi specifici cui si addice, per i caratteri<br />

assunti, la pubblicazione in volume a sé stante.<br />

Volumi già pubblicati<br />

1. Massimo Franzoni, Il terzo danneggiato nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità<br />

civile, 1986, pp. 222.<br />

2. Sergio Alagna, Regime patrimoniale della famiglia e operazioni bancarie, 1988, pp.<br />

160.<br />

3. Massimo Franzoni, Colpa presunta e responsabilità del debitore, 1988, pp. 446.<br />

4. Mauro Bernardini, La prelazione urbana fra diritto comune e leggi speciali, 1988, pp.<br />

374.<br />

5. La collaborazione fra imprese nell’appalto per l’esecuzione di opere pubbliche, a cura di<br />

Franco Mastragostino, 1988, pp. 220.<br />

6. Aldo Pellicanò, Il problema della simulazione nei contratti, 1988, pp. 168.<br />

7. La giurisprudenza per massime e il valore del precedente con particolare riguardo alla responsabilità<br />

civile, a cura di Giovanna Visintini, 1988, pp. 504.<br />

8. Maria Vita De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, I, Le sponsorizzazioni, 1988,<br />

pp. 176.<br />

9. Vincenzo Zeno-Zencovich, La responsabilità civile da reato, 1989, pp. 282.<br />

10. Luca Nivarra, L’obbligo a contrarre e il mercato, 1989, pp. 274.<br />

11. Giovanni Zaccarelli, La revoca dell’omologazione nel sistema dei controlli sulla legittimità<br />

degli atti societari, 1990, pp. 130.<br />

12. Pasquale Gianniti, Causa lucrativa, causa mutualistica e cambiamento del tipo sociale,<br />

1991, pp. 110.<br />

13. Clara Enrico Lucifredi, Il contratto di arruolamento, 1990, pp. 168.<br />

14. Carlo Rossello, Il danno evitabile. La misura della responsabilità tra diligenza ed efficienza,<br />

1990, pp. 320.<br />

15. Daniela Memmo, Dichiarazione contrattuale e comunicazione linguistica, 1990, pp. 156.<br />

16. Luca Nanni, L’interposizione di persona, 1990, pp. 286.<br />

17. Fabrizio Devescovi, Titolo di credito e informatica, 1991, pp. 384.<br />

18. Raffaella De Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati. Promesse di<br />

vendita, preliminari per persona da nominare e in favore di terzo, 1991, pp. 196.<br />

19. Maurizio Irrera, I « prestiti » dei soci alla società, 1992, pp. 220.<br />

20. Luciano Pontiroli, Le garanzie autonome e il rischio del creditore, 1992, pp. 212.<br />

21. Mauro Bussani, La colpa soggettiva, 1992, pp. 264.<br />

22. Rappresentazione e gestione, a cura di G. Visintini, 1992, pp. 272.<br />

23. Rossella Cavallo Borgia, Il contratto di Engineering, 1992, pp. 156.<br />

24. Gianluca Sicchiero, Adempimento delle obbligazioni pecuniarie di rilevante importo,<br />

1992, pp. 192.<br />

25. Mauro Bernardini, La convivenza fuori del matrimonio, 1992, pp. 256.<br />

26. Alessandro Savini, Segni distintivi e televisione, 1992, pp. 132.<br />

27. Luca Nanni, La revoca del mandato, 1992, pp. 238.<br />

28. Giusella Finocchiaro, I contratti ad oggetto informatico, 1993, pp. 148.<br />

29. Leonardo Lenti, La procreazione artificiale. Genoma della persona e attribuzione della<br />

paternità, 1993, pp. 334.<br />

30. Margherita Pittalis, Credito all’esportazione e forfaiting, 1994, pp. 188.


31. Flavio Peccenini, La finzione di avveramento della condizione, 1994, pp. 140.<br />

32. Rafael Verdera Server, Inadempimento e risoluzione del contratto, 1994, pp. 396.<br />

33. Annamaria Bernini, L’arbitrato amministrato. Il modello della camera di commercio internazionale,<br />

1996, pp. 136.<br />

34. Franco Angeloni, Liberalità e solidarietà. Contributo allo studio del volontariato, 1994,<br />

pp. 374.<br />

35. Rita Rolli, L’espromissione e la liberazione del debitore originario, 1995, pp. 132.<br />

36. Gianluca Sicchiero, Il contratto con causa mista, 1995, pp. 360.<br />

37. Nadia Zorzi, Il marchio come valore di scambio, 1995, pp. 380.<br />

38. Laura Valle, Il contratto future, 1996, pp. 138.<br />

39. Roberto Calvo, La proprietà del mandatario, 1996, pp. 234.<br />

40. Giacomo Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, 1996, pp. 288.<br />

41. Silverio Annibale, La tutela ambientale in campo internazionale, 1996, pp. 364.<br />

42. Anna Maria Bernini, Intervento statale e privatizzazioni, 1996, pp. 156.<br />

43. Valentina Di Gregorio, La rappresentanza apparente, 1996, pp. 314.<br />

44. Paolo Gaggero, La modificazione unilaterale dei contratti bancari, 1999, pp. 322.<br />

45. Franco Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari,<br />

1997, pp. 566.<br />

46. Pasquale Gianniti, Responsabilità civile e penale a confronto, 1998, pp. 194.<br />

47. Silvia Magelli, L’estetica nel diritto della proprietà intellettuale, 1998, pp. 192.<br />

48. Daniela Cenni, La formazione del contratto tra realità e consensualità, 1998, pp. 406.<br />

49. Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni 90, a cura di<br />

Luciana Cabella Pisu e Luca Nanni, 1998, pp. 528.<br />

50. Matteo Tonello, L’abuso della responsabilità limitata nelle società di capitali, 1999,<br />

pp. 336.<br />

51. Nadia Zorzi, L’abuso della responsabilità giuridica. Tecniche sanzionatorie a confronto.<br />

2002, pp. 302.<br />

52. Francesco Scaglione, Possesso dell’etere e tutela del canale televisivo, 2000, pp. 160.<br />

53. Giorgia Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 1999, pp. 224.<br />

54. Rita Rolli, L’impossibilità sopravvenuta della prestazione imputabile al creditore, 2000,<br />

pp. 338.<br />

55. Antonio Albanese, L’omologazione degli atti societari, 2000, pp. 218.<br />

56. Alberto Pizzoferrato, Molestie sessuali sul lavoro, 2000, pp. 416.<br />

57. Luigi Balestra, Il contratto aleatorio e l’alea normale, 2000, pp. 292.<br />

58. Lucia Delogu, Le modificazioni convenzionali della responsabilità civile, 2000, pp. 304.<br />

59. Armando Plaia, Vizi del bene promesso in vendita e tutela del promissario acquirente,<br />

2000, pp. 208.<br />

60. Giovanna Savorani, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico,<br />

2000, pp. 336.<br />

61. Paola Manes, Il consenso al trattamento dei dati personali, 2001, pp. 156.<br />

62. Elena Poddighe, “Diritti televisivi” e teoria dei beni, seconda edizione, 2003, pp. 374.<br />

63. Chiara Alvisi, Subfornitura e autonomia collettiva, 2002, pp. 246.<br />

64. Giovanni Meruzzi, La trattativa maliziosa, 2002, pp. 338.<br />

65. Lisia Carota, Della cartolarizzazione dei crediti, 2002, pp. 130.<br />

66. Alessandro Ciatti, Responsabilità medica e decisione sul fatto incerto, 2002 pp. 218.<br />

67. Laura Valle, L’inefficacia delle clausole vessatorie, 2004, pp. 508.<br />

68. Angelo Riccio, Il contratto usurario nel diritto civile, 2002, pp. 210.<br />

69. Vincenzo Maurini, L’incapacità naturale, 2002, pp. 206.<br />

70. Marco Capecchi, Il nesso di causalità, 2002, pp. 300.


71. Gianluca Riolfo, I patti parasociali, 2003, pp. 402.<br />

72. Pasquale Gianniti, Processo civile e penale a confronto, 2003, pp. 194.<br />

73. Giacomo Oberto, Le prestazioni lavorative del convivente more uxorio, 2003, pp. 142.<br />

74. Paola Morandi, Le associazioni di azionisti nelle società quotate, 2003, pp. 310.<br />

75. Patrizia Petrelli, Interessi collettivi e responsabilità civile, 2003, pp. 288.<br />

76. Giovanni Zampini, La previdenza complementare, 2004, pp. 378.<br />

77. Massimo Bianca, La rappresentanza dell’azionista nelle società a capitale diffuso, 2003,<br />

pp. 410.<br />

78. Stefano Faillace, La responsabilità da contratto sociale, 2004 pp. 186.<br />

79. Enrico Al Mureden, Le sopravvenienze contrattuali, 2004, pp. 188.<br />

80. Luca Sgarbi, Mansioni e inquadramenti dei dipendenti pubblici, 2004, pp. 252.<br />

81. Elisabetta Bertacchini, Le ragioni del credito nelle società riformate, 2004, pp. 222.<br />

82. Alessandro Mantelero, Attività di impresa in Internet e tutela della persona, 2004, pp. 288.<br />

83. Pieralberto Mengozzi, Lo squilibrio delle posizioni contrattuali nel diritto italiano e<br />

nel diritto comunitario, 2004.<br />

84. Pablo Fernández Carballo-Calero, Pubblicità occulta e product placement, 2004.<br />

85. Paola Manes, Fondazione fiduciaria e patrimoni allo scopo, 2005.<br />

86. Alberto Donati, Danno non patrimoniale e solidarietà, 2004.<br />

87. Antonio Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, 2005.<br />

88. Maria Carmela Venuti, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto, 2004.<br />

89. Stefania Pellegrini, Il processo civile e la civile giustizia, 2005.<br />

90. Giovanni Meruzzi, L’exceptio doli: dal diritto civile al diritto commerciale, 2005.<br />

91. Marco Capecchi, Evoluzione del terzo settore e disciplina civilista, 2005.<br />

92. David Pérez Millán, Documenti di legittimazione e titoli impropri, 2005.<br />

93. Massimo Tuozzo, La fondazione ed i suoi organi, 2005.<br />

94. Guido Smorto, Il danno da inadempimento, 2005.<br />

95. Francesco Gennari, I patrimoni destinati ad uso specifico affare, 2005.<br />

96. Riccardo Salomone, Il diritto del lavoro nella riforma costituzionale, 2005.<br />

SERIE DI DIRITTO COMPARATO<br />

1. Paola Manes, Il superamento della personalità giuridica. L’esperienza inglese, 1999, pp.<br />

242.<br />

2. Luca Bordignon, La cessione del credito tra disciplina generale e disciplina speciale. L’esperienza<br />

francese, 2003, pp. 372.<br />

3. Marina Timoteo, Il contratto in Cina e Giappone nello specchio dei diritti occidentali,<br />

2004, pp. 392.<br />

2. I CLASSICI DI « CONTRATTO E IMPRESA »<br />

Ripropone all’attenzione testi di grandi Maestri, il cui pensiero è tutt’ora<br />

una guida per il giurista di oggi.<br />

1. Walter Bigiavi, Appunti sul diritto giudiziario, con prefazione di M. Bin, 1989, pp. 174.<br />

2. Giuseppe Osti, La separazione dei patrimoni e fallimento « post mortem ». A cura di Angelo<br />

Bonsignori, 1997, pp. 130.


3. I GRANDI ORIENTAMENTI<br />

DELLA GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE<br />

La Collana percorre le aree del diritto civile e commerciale nelle quali la<br />

giurisprudenza assolve, in modo rilevante, una funzione creativa di diritto,<br />

dando contenuto alle « clausole generali » della legge o svolgendo con l’interpretazione<br />

evolutiva opera di adeguamento della legge ai mutamenti della<br />

realtà o, più in generale, enunciando ad integrazione della legge quelli<br />

che vengono generalmente accettati come principi giurisprudenziali. Offre<br />

gli strumenti per rapportare i principi di diritto enunciati da ciascuna sentenza<br />

al caso di specie deciso e per identificare, al di là delle « massime », la<br />

effettiva ratio decidendi. Colloca le singole sentenze nelle grandi linee di<br />

tendenza della produzione giurisprudenziale, per una migliore comprensione<br />

degli apporti attuali e per una ragionata previsione dei possibili sviluppi<br />

ulteriori.<br />

Volumi già pubblicati<br />

1. Giovanna Visintini, I fatti illeciti, I, Ingiustizia del danno. Terza edizione, 2004, pp. 664.<br />

2. Francesco Galgano, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati. Seconda edizione,<br />

1996, pp. 512.<br />

3. Massimo Franzoni, La responsabilità oggettiva, I, Il danno da cose e da animali, 1988,<br />

pp. 568.<br />

4. Luca Nanni, La buona fede contrattuale, 1988, pp. 616.<br />

5. Rossella Cavallo Borgia, Azioni e obbligazioni di società, 1988, pp. 492.<br />

6. Michele Sesta, Le garanzie atipiche, I, Vendita, cessione del credito, mandato a scopo di<br />

garanzia; contratto autonomo di garanzia, 1988, pp. 562.<br />

7. Augusto Baldassari, I contratti di distribuzione. Agenzia, mediazione, concessione di<br />

vendita, franchising, 1989, pp. 562.<br />

8. Angelo Bonsignori, L’amministrazione controllata, 1989, pp. 488.<br />

9. Elena Frascaroli Santi, Il concordato preventivo, 1990, pp. 826.<br />

10. Andrea Fusaro, Il regime patrimoniale della famiglia, 1990, pp. 804.<br />

11. Ira Bugani, La nullità del contratto, 1990, pp. 754.<br />

12. Giovanna Visintini, I fatti illeciti, II, La colpa in rapporto agli altri criteri di imputazione<br />

della responsabilità, 1990, pp. 372.<br />

13. Franco Angeloni, La responsabilità civile del notaio, 1990, pp. 448.<br />

14. Marianna Galioto -Alida Paluchowski, L’amministrazione straordinaria delle grandi<br />

imprese in crisi, 1991, pp. 1150.<br />

15. Francesco Molfese, La circolazione giuridica degli autoveicoli, 1991, pp. 510.<br />

16. Pasquale Gianniti, Principi di deontologia forense, 1992, pp. 650.<br />

17. Guido Santoro, La responsabilità contrattuale, 1992, pp. 836.<br />

18. Franco Angeloni, Le prove illecite, 1992, pp. 624.<br />

19. Maria Elena Gallesio-Piuma, L’azione revocatoria fallimentare, 1992, pp. 622.<br />

20. La vendita. A cura di Marino Bin, I, La formazione del contratto. Oggetto ed effetti in generale,<br />

1999, pp. 1338.<br />

21. Gabriele Moneta, I mutamenti nella giurisprudenza della Cassazione civile, 1993,<br />

pp. 590.<br />

22. Nadia Zorzi, La circolazione dei segni distintivi, 1994, pp. 768.<br />

23. Filippo De Maria, La compravendita di azioni non quotate, 1994, pp. 486.


24. La vendita. A cura di Marino Bin, II, Vendita di partecipazioni sociali, azienda, beni immateriali,<br />

credito e contratto, 1994, pp. 858.<br />

25. La vendita. A cura di Marino Bin, III, Vendita immobiliare e altre vendite “speciali”,<br />

1995, pp. 1316.<br />

26. Marino Bin, Il precedente giudiziario, 1995, pp. 234.<br />

27. Massimo Franzoni, La responsabilità oggettiva, II, Il danno da cose, da esercizio di attività<br />

pericolose, da circolazione di veicoli, 1995, pp. 646.<br />

28. Salvatore Patti, Le condizioni generali di contratto, 1996, pp. 838.<br />

29. Gabriele Moneta, Conflitti giurisprudenziali in Cassazione, 1995, pp. 224.<br />

30. Federico di Maio, La società fiduciaria e il contratto fiduciario nella giurisprudenza e<br />

nella prassi degli organi di controllo, 1995, pp. 584.<br />

31. Flavio Peccenini, La condizione nei contratti, 1995, pp. 514.<br />

32. Raffaella De Matteis, La responsabilità medica, 1995, pp. 582.<br />

33. La vendita. A cura di Marino Bin, IV, Garanzie e inadempimento, 1996, pp. 1830.<br />

34. Ilario Menghi, Il bilancio di esercizio della Società per Azioni, 1997, pp. VI-774.<br />

35. Elena Paolini, Il contratto di accertamento, 1997, pp. X-276.<br />

36. Patrizia Petrelli, Il danno non patrimoniale, 1997, pp. 706.<br />

37. Alessandra Pinori, Il danno contrattuale, 1998, pp. 462.<br />

38. Pier Giuseppe Monateri-Marco Bona, Il danno alla persona, 1998, pp. 490.<br />

39. Giorgia Manzini, Trasformazione, fusione, scissione di società, 1998, pp. 758.<br />

40. Giovanna Visintini, I fatti illeciti, 1999, pp. 995.<br />

41. Lisia Carota, Il funzionamento dell’assemblea nella società per azioni, 1999, pp. 533.<br />

42-I. Franco Angeloni, Rinunzie, transazione e arbitrato nei rapporti familiari, 1999, pp. 1035.<br />

42-II. Franco Angeloni, Rinunzie, transazione e arbitrato nei rapporti familiari, 1999, pp. 2225.<br />

43. Elena Paolini, La causa nel contratto, 1999, pp. 796.<br />

44. Francesco Molfese, Il contratto di viaggio e le agenzie turistiche, 1999, pp. 432.<br />

45. Maria Rosaria Maugeri, Le immissioni, 1999, pp. 365.<br />

46. Daniela Memmo, Il diritto privato nei contratti della pubblica amministrazione, 1999,<br />

pp. 515.<br />

47. Valentina Di Gregorio, La valutazione equitativa del danno, 1999, pp. 848.<br />

48. Giorgia Manzini, Le operazioni sul capitale sociale, 2000, pp. 1194.<br />

49. Alessandra Pinori, Il danno contrattuale. II: Criteri di valutazione. Tecniche e regole<br />

giudiziali di liquidazione, 2001, pp. 700.<br />

50. Maria Clementina Traverso, Le cause di giustificazione nella disciplina dei fatti illeciti,<br />

2001, pp. 732.<br />

51. Angelo Riccio, L’anatocismo, 2002, pp. 676.<br />

52. Pasquale Gianniti, Principi di deontologia giudiziaria, 2002, pp. 658.<br />

53. Sabrina Morelli, Tecniche di tutela dei diritti fondamentali della persona, 2003, pp. 194.<br />

54. Giovanni Facci, Il risarcimento del danno in caso di morte, 2004, pp. 256.<br />

55. Antonio Albanese, Il pagamento dell’indebito, 2004, pp. 1176.<br />

56. Luigi Balestra, La famiglia di fatto, 2004, pp. 728.<br />

57. Christoph Jenny, Le tecniche del commercio all’ingrosso. Il cash and carry, 2004, pp. 134.<br />

58. Francesco Molfese-Antonio Molfese, Risarcimento da incidente stradale con valutazione<br />

medico-legale, 2005, pp. 558.<br />

Volumi in preparazione<br />

Riccardo Guastini, Le fonti e l’interpretazione del diritto.<br />

Angelo Venchiarutti, Interdizione, inabilitazione, incapacità naturale.


Aldo Giuliani, L’equità del giudice e degli arbitri.<br />

Mauro Bernardini, La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sulle professioni tecniche.<br />

Bruno Inizitari, La moneta e la valuta.<br />

Maria Giovanna Cubeddu, La risoluzione del contratto.<br />

Flavio Peccenini, La condizione e la presupposizione nei contratti.<br />

Maria Elena Poggi Baracchi, La circolazione dei beni culturali.<br />

Annalisa Atti-Mauro Bussani, Le garanzie atipiche II.<br />

Giovanni Grippo, L’impresa commerciale.<br />

Marino Bin, La concorrenza.<br />

Vincenzo Zeno-Zencovich, I mezzi di comunicazione di massa.<br />

Maria Vittoria Ballestrero, La tutela della salute nel rapporto di lavoro.<br />

Massimo Ferro, L’estensione del fallimento sociale.<br />

Massimo Di Paolo, Il danno patrimoniale.<br />

Cipriano Cossu, La responsabilità del produttore.<br />

Antonella Monteleone, Civile e penale nella tutela della reputazione.


Novità<br />

I libri de LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE<br />

I PROCEDIMENTI IN MATERIA<br />

COMMERCIALE<br />

Commento sistematico al D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5<br />

e successive modificazioni e integrazioni<br />

A cura di Giorgio Costantino<br />

Aggiornato con tutte le più recenti modifiche e infine con la legge<br />

14 maggio 2005, n. 80<br />

(maxiemendamento al D.L. competitività)<br />

pp. XII-908 e 88,00<br />

ISBN 88-13-26106-3<br />

L’opera contiene il commento al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 sulla disciplina<br />

processuale applicabile alle controversie societarie e alle successive<br />

novità ed estensioni introdotte dal Codice della proprietà industriale<br />

(d.lgs. 10 febbraio 2005), dal Codice del consumo (d.lgs. 22<br />

luglio 2005) e dal d.l. competitività (e legge di conversione 14 maggio<br />

2005 n. 35).<br />

L’opera esamina articolo per articolo tutte le novità normative introdotte<br />

dalla riforma societaria/processuale e la loro prima attuazione<br />

giurisprudenziale nonché il dibattito dottrinale.<br />

Il commento è diviso in paragrafi, con relativo sommario per un migliore<br />

orientamento, e corredato da un ricco apparato di note, la prima<br />

delle quali è sempre dedicata all’indicazione delle modifiche normative.<br />

In vendita nelle migliori librerie, presso i nostri centri di documentazione<br />

e distribuzione e sul sito www.cedam.com


Novità<br />

Sido Bonfatti Paolo Felice Censoni<br />

LA RIFORMA DELLA LEGGE<br />

FALLIMENTARE E LA DISCIPLINA<br />

DELL’AZIONE REVOCATORIA,<br />

DEL CONCORDATO PREVENTIVO E<br />

DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE<br />

pp. XVIII-532 e 45,00<br />

ISBN 88-13-26472-0<br />

Si tratta di un commento alla parte di riforma fallimentare entrata in<br />

vigore con il d.l. competitività (d.l. 14 marzo 2005, n. 35) e relativa<br />

agli istituti dell’azione revocatoria (per la quale sono previsti nuovi termini<br />

e requisiti), del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione<br />

(nuovo istituto), che scaturisce dall’articolato dibattito che già è<br />

sorto tra studiosi ed operatori del diritto.<br />

Particolare attenzione viene data alla disciplina applicabile alle procedure<br />

concorsuali già pendenti al momento di entrata in vigore del Decreto<br />

Legge e quella applicabile alle procedure concorsuali iniziate<br />

dopo l’entrata in vigore della riforma (dichiarazione di fallimento successiva).<br />

Numerose le parti dedicate agli orientamenti giurisprudenziali affermatisi<br />

prima della riforma ed utili a comprendere lo sviluppo della disciplina<br />

e la ratio di certe soluzioni normative.<br />

L’opera si propone quindi di guidare il lettore negli aspetti più delicati<br />

e controversi di queste novità importanti e non sempre facili da interpretare.<br />

Contiene:<br />

– una APPENDICE LEGISLATIVA con i testi normativi più utili per<br />

districarsi efficacemente nella ingarbugliata matassa legislativa che<br />

regola il diritto fallimentare attuale<br />

– un indice sommario sintetico dettagliato<br />

– l’indice bibliografico e analitico<br />

In vendita nelle migliori librerie, presso i nostri centri di documentazione<br />

e distribuzione e sul sito www.cedam.com


Novità<br />

Collana:<br />

Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia -<br />

Diretto da Francesco Galgano<br />

Numero: 42<br />

Martone Michel<br />

GOVERNO DELL’ECONOMIA<br />

E AZIONE SINDACALE<br />

pp. XII-326 e 35,00 IVA assolta dall’editore<br />

ISBN 88-13-26899-8<br />

Il saggio indaga i modi e le tecniche di coinvolgimento delle organizzazioni<br />

sindacali nel governo dell’economia. Un percorso di analisi che<br />

sempre in bilico tra diritto privato e diritto pubblico, descrive la trasformazione<br />

del sindacato da potere eversivo a potere costitutivo. Nella prima<br />

parte sono esaminate le vicende della nascita e dello sviluppo dell’azione<br />

sindacale negli ordinamenti liberali ed in quelli totalitari. Nella<br />

seconda parte, l’attenzione è dedicata all’analisi del sindacato come “veto<br />

player” e, soprattutto, all’esercizio dell’autonomia sindacale in funzione<br />

politica. Nel quinto e nel sesto capitolo sono, infine, approfondite,<br />

sia a livello teorico che fenomenologico, le tante questioni sottese alla<br />

concertazione quale metodo di governo della società complessa. Sotto<br />

il profilo giuridico, l’analisi è condotta attraverso l’approfondimento<br />

dei più importanti provvedimenti legislativi e accordi concertativi che<br />

hanno progressivamente segnato la via dell’azione sindacale nel governo<br />

dell’economia. Ma anche di quelle sentenze della Corte costituzionale<br />

e della Corte di cassazione che hanno determinato l’evoluzione<br />

della costituzione materiale che presiede alle relazioni di produzione.<br />

Ed infine delle costruzioni dottrinali che, preso atto della mancata attuazione<br />

del disegno costituzionale, hanno dato concretezza al contratto<br />

collettivo di diritto comune nel periodo post costituzionale. Nell’epilogo<br />

sono messe in luce la sempre più evidente debolezza dello Stato e<br />

le tante questioni sollevate dal conflitto generazionale che attraversa le<br />

principali economie occidentali.<br />

In vendita nelle migliori librerie, presso i nostri centri di documentazione<br />

e distribuzione e sul sito www.cedam.com


<strong>Contratto</strong> e impresa / Europa<br />

ABBONAMENTO PER IL 2007:<br />

ITALIA r 98,00; ESTERO r 130,00<br />

Condizioni generali di abbonamento ai periodici CEDAM<br />

➣ L’abbonamento decorre dal 1 o gennaio e scade il 31 dicembre successivo. In ipotesi<br />

il cliente sottoscriva l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è comunque<br />

stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: in tal caso l’abbonato sarà<br />

tenuto al pagamento dell’intera annata ed avrà diritto di ricevere gli arretrati editi<br />

nell’anno prima dell’inizo dell’abbonamento.<br />

➣ L’abbonamento si intenderà tacitamente rinnovato per l’anno successivo in assenza<br />

di disdetta da comunicarsi almeno 30 giorni prima della scadenza del 31<br />

dicembre, esclusivamente a mezzo lettera raccomandata a.r.<br />

➣ I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro e non oltre<br />

un mese dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine saranno<br />

spediti contro rimessa dell’importo.<br />

Il pagamento potrà essere effettuato tramite gli incaricati della Casa Editrice<br />

sottoscrivendo l’apposita ricevuta numerata e recante il marchio <strong>Cedam</strong>, oppure<br />

con un versamento intestato a <strong>Cedam</strong> Spa – Via Jappelli 5/6 – 35121<br />

Padova – utilizzando le seguenti possibilità:<br />

– Conto corrente postale 205351;<br />

– Bonifico Banca Intesa BCI c.c. 047084250184 ABI 03069 CAB 12110 CIN<br />

W - codice SWIFT BCITITMM530;<br />

– Carta di credito Visa, Master Card, Carta Sì, American Card, American Express,<br />

Diners Club, Eurocard specificando il numero e la data di scadenza.<br />

Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 1483 del 10 novembre 1995<br />

Direttore responsabile: Marino Bin<br />

Stampa: Bertoncello Artigrafiche - Cittadella (PD)


<strong>Contratto</strong> e impresa / Europa è uno strumento di analisi critica e di<br />

informazione selettiva sulla progressiva creazione di un diritto civile e<br />

commerciale europeo.<br />

Punto di riferimento privilegiato resta – in continuità con la rivista <strong>Contratto</strong><br />

e impresa – il diritto privato comune, ma il campo di osservazione si allarga<br />

all’Europa: l’attenzione è principalmente rivolta all’evoluzione del diritto<br />

comunitario e alla sua attuazione in Italia, alle esperienze legislative e<br />

giurisprudenziali, nonché alle prassi contrattuali, dei diversi Paesi europei,<br />

che confluiscono nella costruzione di un mercato unico.<br />

Sullo sfondo si colloca la cultura giuridica europea, che sollecita una<br />

ricerca delle sue radici comuni ed una analisi dei suoi elementi di<br />

differenziazione, terreno sul quale si misura l’opera di armonizzazione<br />

del diritto privato in Europa.<br />

Ne curano la direzione Francesco Galgano e Marino Bin (direttori), con<br />

Gianmaria Ajani, Guido Alpa, Paolo Auteri, Aldo Berlinguer, Fabio Bortolotti,<br />

Franco Ferrari, Paolo Mengozzi, Bruno Nascimbene, Alberto Santa<br />

Maria, Giuseppe Sbisà, Antonio Tizzano (comitato di direzione).<br />

Segreteria di redazione: Ilaria Riva (capo-redattore), Lorenza Morello.<br />

Redazione italiana: Ermenegildo Mario Appiano, Claudio Biscaretti di Ruffia,<br />

Mark Bosshard, Roberto Calvo, Paolo L. Carbone, Cristina Cavaliere, Alessandro<br />

Ciatti, Massimo Condinanzi, Lucia Delogu, Luciano Di Via, Paolo Fergola,<br />

Edoardo Ferrante, Andrea Fusaro, Paolo Gaggero, Paola Gelato, Enrico Gentile,<br />

Paolo Lombardi, Valentina Maglio, Alessandro Mantelero, Paolo Martinello,<br />

Cristina Martinetti, Pieralberto Mengozzi, Donato Nitti, Daniela Pappadà,<br />

Rossana Pennazio, Fabio Alberto Regoli, Monica Togliatto, Fabio Toriello, Marco<br />

Venturello.<br />

Redazione di Bruxelles:Aldo Berlinguer (responsabile), Filippo Amato, Daniele<br />

Domenicucci, Mario Filipponi, Fabio Filpo, Alessandra Franchi, Alessandra<br />

Fratini, Francesco Liberatore, Francesco Meggiolaro, Maurizio Pappalardo,<br />

Mattia Pellegrini, Laura Pignataro, Antonio Preto, Mario Todino, Paolo Vergano.<br />

Redazione di Münster: André Janssen (responsabile), Ingo Saenger, Martin<br />

Weitenberg.<br />

Redazione di Parigi: Fabrizio Marrella (responsabile), Dominique Carreau,<br />

Philippe Delebecque, Charles Goyet, Camille Jauffret Spinosi.<br />

Direzione e redazione italiana hanno sede in Via Susa n. 31 - 10138 Torino (tel.<br />

011/4330533 - fax 011/4330518 – E-mail: contrattoeimpresa_europa@hotmail.com).<br />

L’Amministrazione ha sede presso la Casa Editrice CEDAM s.p.a.,<br />

in Via Jappelli n. 5/6 (tel. 049.8239.111 – Fax 049.8752.900 –<br />

35121 Padova).<br />

Internet: http://www.cedam.com<br />

E-mail: info@cedam.com<br />

PREZZO t 50,00<br />

ANNO XI - N. 2 LUGLIO - DICEMBRE 2006 (CON I.P.)<br />

Sped. in a. p. - 45% - art. 2, comma 20/B - Legge n. 662/96 - Fil. di Padova<br />

TAXE PERÇUE - TASSA RISCOSSA - PADOVA C.M.P.<br />

ATTENZIONE! In caso di mancato recapito, rinviare<br />

all’Ufficio di Padova C.M.P. per la restituzione al<br />

mittente, che si impegna a corrispondere la tariffa<br />

dovuta.

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