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del fascicolo - Cedam

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Contiene I.R.<br />

ANNO LXI (Seconda Serie) - N. 2 Aprile-Giugno 2006<br />

R I V I S T A<br />

DI<br />

FONDATA NEL 1924 DA<br />

G. CHIOVENDA, F. CARNELUTTI e P. CALAMANDREI<br />

GIÀ DIRETTA DA<br />

E. T. LIEBMAN e G. TARZIA<br />

DIRETTORI<br />

C. PUNZI e E.F. RICCI<br />

COMITATO DI DIREZIONE<br />

M. ACONE - G. BONGIORNO - B. CAVALLONE - F. CIPRIANI<br />

V. COLESANTI - L.P. COMOGLIO - C. CONSOLO<br />

G. COSTANTINO - C. FERRI - R.E. KOSTORIS<br />

S. LA CHINA - G. MONTELEONE - L. MONTESANO<br />

R. ORIANI - N. PICARDI - M. PISANI - A. SALETTI<br />

B. SASSANI - N. TROCKER - R. VACCARELLA<br />

CEDAM<br />

CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI<br />

2006<br />

ISSN 0035-6182<br />

POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1,<br />

DCB BOLOGNA - PUB. TRIMESTRALE


INDICE DEL FASCICOLO<br />

Anno LXI (Seconda Serie) - N. 2 – Aprile-Giugno 2006<br />

ARTICOLI<br />

Mario Chiavario, Processo penale e alternative: spunti di riflessione<br />

su un « nuovo » dalle molte facce (non sempre inedite) . . . . . . . Pag. 407<br />

Bruno Cavallone, Forme <strong>del</strong> procedimento e funzione <strong>del</strong>la prova<br />

(ottant’anni dopo Chiovenda). La riparazione <strong>del</strong>l’ingiusta<br />

detenzione alla prova <strong>del</strong>l’equo indennizzo . . . . . . . . . » 417<br />

Giuseppe Ruffini, Produzione ed esibizione dei documenti. . . . . . . . » 433<br />

Remo Caponi, Tempus regit processum (un appunto sull’efficacia<br />

<strong>del</strong>le norme processuali nel tempo) . . . . . . . . . . . . . . » 449<br />

Maria Francesca Ghirga, Conciliazione e mediazione alla luce<br />

<strong>del</strong>la proposta di direttiva europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 463<br />

Antonino Barletta, La competenza sull’inibitoria antitrust . . . . . . » 499<br />

Pierluigi Simone, Immunità degli stati dalla giurisdizione civile<br />

e violazione di norme imperative <strong>del</strong> diritto internazionale.<br />

Considerazioni in margine al caso Ferrini . . . . . . . . . . . . . . » 527<br />

Mario Pio Fuiano, L’estinzione <strong>del</strong> processo societario . . . . . . . . » 557<br />

Giovanni Deluca, La nomina <strong>del</strong> difensore nel processo civile . . » 593<br />

ATTUALITÀ LEGISLATIVA<br />

Giorgio Costantino, Rassegna di legislazione (1° gennaio - 31<br />

marzo 2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 617<br />

Edoardo Ricci, L’arbitrato e il tipografo legislatore (elogio <strong>del</strong>la<br />

« rientranza ») . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 631<br />

Roberto E. Kostoris, Le modifiche al codice di procedura penale<br />

in tema di appello e di ricorso per cassazione introdotte<br />

dalla c.d. « legge Pecorella » . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 633<br />

Stefano Recchioni, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità<br />

cautelare « attenuata » ed estinzione <strong>del</strong> « pignoramento » . . » 643<br />

DIRITTO PROCESSUALE STRANIERO<br />

Giovanni Bonato, La nozione e gli effetti <strong>del</strong>la sentenza arbitrale<br />

nel diritto francese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 669


II<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

Opere segnalate: AA.VV. (A. Castagnola); Guido Alpa, Tommaso<br />

Galletto (a cura di) (R. Maruffi); Gaetano Annunziata (Piero<br />

Sandulli); Giovanni Bonilini, Augusto Chizzini (G. Basilico);<br />

Giovanni Campese (L. Iannicelli); Bruno Capponi (coord.)<br />

(M.F. Ghirga); Maria Grazia Coppetta (a cura di) (Roberto<br />

E. Kostoris); Marcello Daniele (Hervè Belluta); Alessandro<br />

Jommi (Niccolò Nisivoccia); Cristiano Mandrioli (Sergio La<br />

China); Marino Marinelli (S. Recchioni); Mauro Rubino<br />

Sammartano (C. Punzi); Nicolò Trocker, Vincenzo Varano<br />

(L.P. Comoglio); Giovanni Verde (a cura di) (G. Ruffini);<br />

Teresa Arruda Alvim Wambier (E.F. Ricci) . . . . . . . . . . . . . Pag. 691<br />

NOTE ALLE SENTENZE<br />

Edoardo F. Ricci, Arbitrato volontario e pregiudiziale comunitaria Pag. 710<br />

Edoardo F. Ricci, Sui poteri ufficiosi <strong>del</strong> giudice in tema di interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione e di riduzione <strong>del</strong>la penale. . . . . . » 728<br />

Renato Oriani, Sulle eccezioni proponibili in appello . . . . . . . . . . » 734<br />

Edoardo F. Ricci, La sentenza « <strong>del</strong>la terza via » e il contraddittorio » 750<br />

Luigi Paolo Comoglio, « Terza via » e processo « giusto » . . . . . » 755<br />

Emanuele Odorisio, Il termine per la proposizione <strong>del</strong> ricorso<br />

incidentale in cassazione <strong>del</strong>la parte impugnata in via incidentale<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 763<br />

Giulia Di Fazzio, Istanza di istruzione preventiva (« esplorativa<br />

») olandese e foro competente europeo. . . . . . . . . . . . . . » 776<br />

Leo Piccininni, In tema di legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 38,<br />

comma 2°, c.p.c. e di competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione<br />

a decreto ingiuntivo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 795<br />

SENTENZE<br />

Arbitrato, arbitrato volontario, questione pregiudiziale comunitaria,<br />

legittimazione degli arbitri a proporla davanti alla Corte<br />

di Giustizia, insussistenza: Corte di Giustizia CE, 27 gennaio<br />

2005 (C-125/04). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 709<br />

Eccezione, fatto impeditivo estintivo o modificato <strong>del</strong> diritto vantato<br />

dall’attore proponibile in via di azione con domanda costitutiva,<br />

esame d’ufficio, inammissibilità: Corte di Cassazione,<br />

sez. un. civ., 27 luglio 2005 n. 15661 . . . . . . . . . . . . . . . . » 715<br />

Eccezione, fatto impeditivo estintivo o modificativo <strong>del</strong> diritto


INDICE DEL FASCICOLO III<br />

vantato dall’attore proponibile in via di azione con domanda<br />

dichiarativa, esame d’ufficio, ammissibilità: Corte di Cassazione,<br />

sez. un. civ., 27 luglio 2005 n. 15661 . . . . . . . . . . . . . Pag. 715<br />

Prescrizione, interruzione, fatto interruttivo, esame d’ufficio, ammissibilità:<br />

Corte di Cassazione, sez. un. civ., 27 luglio 2005<br />

n. 15661 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 715<br />

Penale, riduzione d’ufficio, ammissibilità: Corte di Cassazione,<br />

sez. un. civ., 13 settembre 2005 n. 12818 . . . . . . . . . . . . . . . . » 715<br />

Prescrizione, interruzione, fatto interruttivo, allegazione per la<br />

prima volta in appello, ammissibilità, applicazione al diritto<br />

di accettare l’eredità: Corte di Cassazione, sez. II civ., 24<br />

maggio 2005 n. 10918 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 733<br />

Sentenza civile, decisione in base a questione rilevabile d’ufficio<br />

non proposta dal giudice nel corso <strong>del</strong> processo, nullità, insussistenza:<br />

Corte di Cassazione, sez. II civ., 27 luglio 2005<br />

n. 15705 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 747<br />

Sentenza civile, decisione in base a questione rilevabile d’ufficio<br />

non proposta dal giudice nel corso <strong>del</strong> processo, nullità, sussistenza:<br />

Corte di Cassazione, sez. III civ., 5 agosto 2005 n.<br />

16577 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 747<br />

Ricorso per cassazione, ricorso incidentale, termine, proposizione<br />

entro quaranta giorni dopo la notifica di altro ricorso incidentale,<br />

inammissibilità: Corte di Cassazione, sez. I civ., 27<br />

maggio 2005 n. 11322 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 763<br />

Convenzione di Bruxelles <strong>del</strong> 27 settembre 1968, provvedimenti<br />

provvisori o cautelari, nozione, provvedimento che ordina<br />

l’audizione di un teste anteriormente alla controversia di merito,<br />

natura di provvedimento provvisorio o cautelare, insussistenza:<br />

Corte di Giustizia CE, sez. I, 28 aprile 2005 (C-<br />

104/03) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 775<br />

Opposizione a decreto ingiuntivo, competenza, carattere funzionale<br />

e inderogabile, sussistenza: Tribunale di Lamezia Terme,<br />

28 gennaio 2005 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 791<br />

Competenza per territorio, eccezione di incompetenza, indicazione<br />

<strong>del</strong> giudice competente da parte <strong>del</strong> convenuto, adesione<br />

<strong>del</strong>l’attore, termine, mancanza, illegittimità costituzionale:<br />

Tribunale di Lamezia Terme, 28 gennaio 2005 . . . . . . . . . . . . » 791


IV<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE


IV<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE


PROCESSO PENALE E ALTERNATIVE:<br />

SPUNTI DI RIFLESSIONE<br />

SU UN « NUOVO » DALLE MOLTE FACCE<br />

(non sempre inedite)(*)<br />

SOMMARIO: 1. Alternative al processo e alternative nel processo, un’antitesi<br />

meno rigida che in apparenza: a) la mediazione … – 2. … b) i riti<br />

« premiali » … – 3. … c) la prescrizione <strong>del</strong> reato. – 4. Alternative e principio<br />

di obbligatorietà <strong>del</strong>l’azione penale: postulati formali … – 5. … ed<br />

esigenze reali di tutela. – 6: Alternative e garanzie <strong>del</strong> diritto di difesa e <strong>del</strong><br />

contraddittorio. – 7. Alternative e ragionevole durata <strong>del</strong> processo.<br />

1. – Le tematiche che vengono proposte possono sì apparire assai lontane<br />

tra loro, ma sono in realtà accomunate da alcuni punti di riferimento, che si è<br />

cercato di evidenziare attraverso un paio di parole-chiave.<br />

Una parola-chiave è: alternativa. E qui si è cercata un’antitesi, se si vuole, un<br />

po’ forzata, parlando di alternative nel processo e di alternative al processo. Antitesi,<br />

d’altronde, apparentemente molto netta, ma in realtà non priva di sfumature.<br />

Tipico esempio di alternativa al processo, se si guarda alla sostanza <strong>del</strong>le<br />

cose, è la mediazione penale, anche se, per la nostra legge, la mediazione deve<br />

necessariamente inserirsi in un processo già iniziato. Con questo strumento si<br />

affida il « caso » ad operatori sociali per tentare di ricostituire un rapporto non<br />

conflittuale, anzitutto tra chi è stato ipotizzato come autore <strong>del</strong> reato e la vittima<br />

(se ce n’è qualcuna individuabile singolarmente come tale) e per sforzarsi comunque<br />

di ottenere dal primo concreti comportamenti che, più di una sanzione<br />

penale da infliggere mediante il passaggio attraverso una formale condanna,<br />

possano ritenersi vantaggiosi, nell’interesse <strong>del</strong> suo reinserimento sociale e<br />

dunque in definitiva per la collettività stessa. Se la mediazione riesce, se ne<br />

prenderà atto e si dichiarerà estinto il reato; se no, si andrà avanti con il processo<br />

penale vero e proprio.<br />

––––––––––––<br />

(*) È il testo – omesso quanto più specificamente diretto alla presentazione <strong>del</strong><br />

Convegno – <strong>del</strong>la relazione introduttiva generale, dal titolo « Un impegno all’approfondimento<br />

di un “nuovo” dalle molte facce (non sempre inedite) », svolta al XVII Convegno<br />

annuale <strong>del</strong>l’Associazione tra gli studiosi <strong>del</strong> processo penale “Gian Domenico<br />

Pisapia” (Urbino, 23-25 settembre 2005), avente per tema « Accertamento <strong>del</strong> fatto, alternative<br />

al processo, alternative nel processo ».


408<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Nel nostro sistema di giustizia l’istituto è entrato a fatica, e quasi di soppiatto:<br />

dapprima, in una prassi costruita sul silenzio legislativo, nel settore <strong>del</strong>la<br />

giustizia minorile. Oggi, lo si trova onorato da un esplicito riconoscimento<br />

normativo, da parte <strong>del</strong>la legge di disciplina <strong>del</strong>la giustizia « di pace », che peraltro,<br />

come già si accennava, la incapsula quale accessorio <strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong>la<br />

funzione conciliativa <strong>del</strong> giudice. Oggetto di grandi speranze, la mediazione<br />

può in effetti offrire notevoli risorse a una giustizia alternativa che voglia contribuire<br />

alla sdrammatizzazione e alla soluzione equilibrata e positiva dei più<br />

reali conflitti che stanno dietro il fatto oggettivo (vero o supposto) <strong>del</strong>la commissione<br />

di un reato. In pari tempo pone nuovi, e non piccoli problemi, dal<br />

punto di vista <strong>del</strong>la salvaguardia di princìpi e di garanzie che siamo abituati a<br />

considerare come fondamentali.<br />

Ho detto che la mediazione è tipico esempio di alternativa al processo: e<br />

forse proprio per questo i processualisti hanno una certa riluttanza a parlarne.<br />

Certo, non è, nei fatti, l’unica alternativa al processo. Da sempre, in particolare,<br />

la prassi conosce le trattative che si svolgono tra il potenziale querelante e il<br />

potenziale querelato in vista di un’eventuale astensione dal proporre la querela<br />

o di una sua remissione, ancor prima che il pubblico ministero abbia assunto<br />

iniziative.<br />

E d’altra parte, se ci si mette in una diversa ottica, potrebbe anche dirsi che<br />

la stessa mediazione – per come in Italia si è prevalentemente sviluppata in ambito<br />

minorile e per come l’ha disciplinata la legislazione sul giudice di pace – si<br />

innesta su un iter già portato davanti al giudice: e dunque, in questo senso, potrebbe<br />

dirsi che anch’essa è alternativa nel processo più che alternativa al processo.<br />

2. – Alternative nel processo, da quest’ultimo punto di vista, sono sicuramente<br />

i cosiddetti riti differenziati, ai quali il codice di procedura penale<br />

dedica un intero libro, diviso in cinque « titoli », uno per ogni « procedimento<br />

speciale ».<br />

Vecchia tematica, quella dei procedimenti speciali. Sappiamo però che<br />

solo a partire dagli anni ottanta (e poi, più organicamente, con il codice vigente)<br />

tra di essi hanno acquisito uno spazio inedito – e anzi, uno spazio preminente –<br />

quelli che ci siamo abituati a chiamare « procedimenti premiali », per via <strong>del</strong>l’offerta<br />

di vantaggi che, in particolare sotto forma di riduzioni di pena, essi offrono<br />

all’imputato che li chieda (giudizio abbreviato) o comunque vi acceda<br />

(applicazione <strong>del</strong>la pena su richiesta <strong>del</strong>le parti) o, ancora, vi faccia acquiescenza<br />

ex post (procedimento per decreto).<br />

Un dato, tra i tanti, mi sembra significativo. I riti « premiali » mettono in<br />

evidenza non più soltanto – com’era e com’è nel vecchio e nel nuovo giudizio<br />

direttissimo – più o meno sensibili varianti nella struttura <strong>del</strong> procedimento. In<br />

tutti, si scorge una sorta di compensazione, appunto, tra i « premi » più o meno<br />

consistenti che vengono offerti all’imputato disposto ad avvalersene e le rinunce,<br />

da parte sua, all’uso di strumenti difensivi, altrimenti a sua disposizione. Nel


PROCESSO PENALE E ALTERNATIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE ECC. 409<br />

giudizio abbreviato, il processo può essere definito anche sulla base <strong>del</strong>le sole<br />

risultanze <strong>del</strong>le indagini condotte dal pubblico ministero. Nel procedimento per<br />

decreto penale, la condanna – a sua volta, sorretta unicamente da risultanze di<br />

queste sole indagini – è pronunciata addirittura senza sentire l’imputato: ed è<br />

soltanto l’esercizio <strong>del</strong> potere di opposizione che può azzerarla. Nell’applicazione<br />

<strong>del</strong>la pena su richiesta <strong>del</strong>le parti, infine, accusa e difesa si accordano<br />

su una pena che il giudice ha il solo dovere di accertare se rispetta certi canoni<br />

legali di calcolo e se è « congrua » in rapporto alla finalità rieducativa <strong>del</strong> reo:<br />

questo, a meno che non risultino ragioni per prosciogliere ex abrupto l’imputato<br />

(ma non sarà facile che ciò possa accadere per ragioni di merito, se è l’imputato<br />

stesso ad accettare una sanzione …).<br />

Proprio queste caratteristiche <strong>del</strong>l’« applicazione <strong>del</strong>la pena su richiesta »<br />

possono <strong>del</strong> resto indurre a collocarla a sua volta su una linea di confine tra alternative<br />

nel processo e alternative al processo. Preminente è infatti il ruolo<br />

<strong>del</strong>la negoziazione tra le parti al di fuori <strong>del</strong> contatto con il giudice: e lo esprime<br />

bene il nome che l’istituto ha assunto, nel linguaggio corrente anche tra i tecnici:<br />

« patteggiamento ».<br />

È d’altronde quella sorta di compensazione di cui si diceva, a chiamare in<br />

causa l’altra parola-chiave <strong>del</strong> convegno: accertamento, specificato come accertamento<br />

<strong>del</strong> fatto (forse, per una più immediata comprensione anche da parte<br />

dei non addetti ai lavori, sarebbe meglio dire accertamento « <strong>del</strong> fatto di reato<br />

»). E la chiama in causa perché la contropartita di rinunce viene a incidere,<br />

limitandolo più o meno fortemente, anche sul potere-dovere di accertare, con<br />

tutti i mezzi leciti possibili, se e come vi sia stato davvero un fatto di reato.<br />

Insomma: ad essere messa più o meno fortemente in parentesi è la piena<br />

cognizione, da parte <strong>del</strong> giudice, dei dati su cui costruire un adeguato giudizio<br />

di responsabilità, premessa per l’applicazione di una sanzione penale. Tutto ciò,<br />

sia pure, in nome di altre esigenze a loro volta degne di attenzione: soprattutto,<br />

ma non solo, di economia processuale.<br />

3. – L’importanza (da sempre) e la grande attualità di queste tematiche è<br />

sotto gli occhi di tutti, ulteriormente accentuata dalle profonde modifiche normative<br />

che i riti premiali hanno conosciuto in virtù di novelle successive al codice.<br />

Ma di vecchia data e insieme di scottante attualità è ancor più il problema<br />

<strong>del</strong>la prescrizione <strong>del</strong> reato. E non posso esimermi dal ricordare che proprio per<br />

questa sua bruciante attualità, collegata a una notissima proposta di legge (la<br />

cosiddetta « ex-Cirielli »), il Consiglio direttivo <strong>del</strong>l’Associazione tra gli studiosi<br />

<strong>del</strong> processo penale ha ritenuto di non poter rimanere estraneo al dibattito in<br />

corso, votando all’unanimità una presa di posizione nettamente critica, anche se<br />

non <strong>del</strong> tutto chiusa a riconoscere qualche aspetto positivo <strong>del</strong> progetto. In<br />

quella presa di posizione – mi sembra doveroso ricordare, <strong>del</strong> 4 febbraio scorso,<br />

dunque precedente ad altre, che hanno avuto e hanno l’onore di più frequenti<br />

citazioni – si stigmatizzavano le «concrete ripercussioni» che una normativa


410<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

come quella prospettata può avere sul «sistema <strong>del</strong>la giustizia penale» e<br />

sull’«applicazione <strong>del</strong> principio costituzionale <strong>del</strong>la durata ragionevole <strong>del</strong> processo»,<br />

sottolineandosi «in particolare gli effetti fulminanti che essa produrrebbe<br />

su un gran numero di processi in corso per svariate ipotesi di reato anche di<br />

notevole gravità».<br />

4 febbraio. Non ieri, né l’altro ieri.<br />

A proposito <strong>del</strong>la prescrizione, a dire il vero, si potrebbe semmai fare<br />

un’obiezione pregiudiziale contro il suo coinvolgimento nel tema qui trattato.<br />

Potrebbe cioè obiettarsi che qui non si configura una vera alternativa – nel processo<br />

o al processo – nel senso di un sistema di deroghe in termini di struttura e<br />

di regole di svolgimento <strong>del</strong> procedimento, ordinario o speciale, in cui la questione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione può venire a porsi. E la stessa regola <strong>del</strong>l’immediatezza<br />

di pronuncia (posta dall’art. 129 <strong>del</strong> codice di procedura penale) vale, in<br />

via di principio, per la prescrizione né più né meno che per le altre cause di non<br />

punibilità. Inoltre sappiamo che per tutte queste cause (prescrizione compresa)<br />

si tratta di un’immediatezza da intendere cum grano salis, che in particolare non<br />

è certo idonea a legittimare una strozzatura quantomeno <strong>del</strong> contraddittorio argomentativo,<br />

secondo le regole proprie <strong>del</strong>la fase <strong>del</strong> procedimento in corso.<br />

Perché, allora, parlare anche qui di alternativa? Ma perché qui è proprio<br />

l’accertamento <strong>del</strong> fatto di reato e <strong>del</strong>le relative responsabilità che, almeno di<br />

regola, è sostanzialmente soppresso, per via <strong>del</strong>l’imposizione di un sostanziale<br />

« non liquet », legato al decorso <strong>del</strong> tempo. Insomma, qui abbiamo un’alternativa<br />

a sua volta radicale: se non in termini di svolgimento, essenzialmente quanto<br />

ad esito obbligato <strong>del</strong> processo che ne oscura il normale presupposto cognitivo,<br />

perché la constatazione <strong>del</strong>l’avvenuta prescrizione tronca ogni altro tipo di<br />

accertamento. In particolare, la prescrizione impedisce di verificare se ci sono i<br />

presupposti per riconoscere l’innocenza o la colpevolezza <strong>del</strong>l’imputato: questo<br />

– già lo accennavo – almeno come regola generale, quando cioè non sia già evidente<br />

l’innocenza <strong>del</strong>l’imputato o non vi sia, ad esempio, da verificare il gioco<br />

<strong>del</strong>le circostanze agli effetti <strong>del</strong> calcolo <strong>del</strong>l’eventuale pena.<br />

4. – Vengo ora a qualche spunto ulteriore, che può definirsi trasversale alle<br />

diverse tematiche qui evocate, che cercherò di presentare per lo più in forma<br />

problematica anziché in forma di asserzioni « a tesi », e prendendo come punti<br />

di riferimento, almeno di partenza, alcuni princìpi costituzionali, tra quelli che<br />

più frequentemente vengono chiamati in causa quando si discorre e si discute di<br />

queste tematiche.<br />

Tra essi, anzitutto, il principio di obbligatorietà <strong>del</strong>l’azione penale, scritto<br />

nell’art. 112 Cost., per cui «il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare<br />

l’azione penale».<br />

Al riguardo, da tempo ho maturato una convinzione: quella che le relative<br />

prese di posizione riflettano una discussione spesso alterata nelle sue premesse,<br />

per non dire drogata. La responsabilità di tutto ciò – a mio modo di vedere – sta<br />

anzitutto negli attacchi strumentali che quel principio ha subito in sinergia con


PROCESSO PENALE E ALTERNATIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE ECC. 411<br />

più o meno maldestri tentativi di riportare la « politica <strong>del</strong>l’azione penale » interamente<br />

nelle mani <strong>del</strong> potere politico e con ancor più infelici tentativi di assicurare<br />

per tal via facili impunità a potenti e prepotenti d’alto rango. Il che, per<br />

reazione, ha accentuato una tendenza, non solo a difendere con i denti – senza<br />

se e senza ma, verrebbe da dire – il principio stesso, così come scritto nella nostra<br />

Costituzione, ma finanche a mitizzarlo come l’unico coerente con uno Stato<br />

di diritto e teso a garantire l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge, sorvolando<br />

sul fatto che, nei termini rigidi in cui lo leggiamo nell’art. 112 Cost., il principio<br />

non trova corrispondenti in nessun’altra parte d’Europa e forse <strong>del</strong> mondo.<br />

Donde, dovrebbe trarsi l’implicita conclusione che nessun’altra Costituzione,<br />

nessun altro ordinamento si preoccupi <strong>del</strong>l’eguaglianza di fronte alla legge e<br />

alla giustizia penale: il che mi pare francamente eccessivo.<br />

Io ho sempre ritenuto gravi quegli attacchi, ma non mi piace neppure questa<br />

mitizzazione, la quale, tra l’altro, non dà risposta ai problemi che nascono<br />

per via <strong>del</strong>la discrezionalità, nella gestione soprattutto dei tempi di avvio <strong>del</strong>le<br />

indagini, di cui i pubblici ministeri dispongono di fatto, nonostante il principio<br />

di obbligatorietà. Per contro, essa ha sovente portato a sottovalutare gli inconvenienti<br />

che possono derivare da una interpretazione, diciamo così fondamentalista,<br />

di quel principio. E tra questi inconvenienti credo di poter scorgere anche<br />

un certo formalismo con il quale si sono spesso affrontati proprio i problemi<br />

<strong>del</strong>le alternative al processo e nel processo, di cui stiamo discorrendo.<br />

In effetti, se è sempre stato difficile trovare qualcuno che chiamasse in<br />

causa il principio di obbligatorietà in relazione a un istituto come il patteggiamento,<br />

molti ostacoli, al contrario, sono stati frapposti, in nome di quel principio,<br />

a una disciplina <strong>del</strong>la mediazione penale che, come altrove, si leghi a meccanismi<br />

sul tipo <strong>del</strong>l’archiviazione condizionata degli ordinamenti francese e<br />

tedesco. Non per nulla, forse, la « nostra » mediazione è stata circoscritta nell’ambito<br />

<strong>del</strong> « tentativo di conciliazione » che il giudice di pace deve esperire<br />

quando già il suo processo è giunto all’udienza di comparizione. Del resto, ancor<br />

prima, quella mitizzazione aveva costretto il legislatore <strong>del</strong>la giustizia penale<br />

minorile a ricondurre un altro istituto innovativo di non secondaria importanza,<br />

come la declaratoria di « irrilevanza <strong>del</strong> fatto », negli schemi <strong>del</strong>la sentenza<br />

di non luogo a procedere e non <strong>del</strong>l’archiviazione; e soltanto nell’art. 34<br />

<strong>del</strong>la stessa legge sul giudice di pace troviamo in qualche modo infranto il tabù<br />

a questo riguardo, in quanto lì si ammette che la « tenuità <strong>del</strong> fatto » possa essere<br />

dichiarata anche attraverso un decreto di archiviazione.<br />

La spiegazione di tutto ciò è semplice, sul piano formale: se il meccanismo<br />

alternativo si chiude con una sentenza, c’è stato esercizio <strong>del</strong>l’azione penale:<br />

dunque – si può dire – nulla quaestio e la coscienza <strong>del</strong> giurista « d.o.c. » può<br />

stare tranquilla. Se si ammette invece che una notizia di reato possa essere archiviata<br />

anche quando non appaia infondata (e questo accade certamente nei<br />

casi in cui si fa leva sulla esiguità <strong>del</strong> fatto o si prospetta una mediazione), la<br />

regola <strong>del</strong>l’art. 112, per come è formulata, qualche problema lo pone. E quella<br />

coscienza va in crisi.


412<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Ma dev’essere proprio così?<br />

Sorvolo su uno spunto problematico che potrebbe a sua volta essere tacciato<br />

di formalismo. Si potrebbe cioè osservare che anche le cause di estinzione<br />

per così dire « classiche » – amnistia e prescrizione – possono essere dichiarate<br />

con un decreto di archiviazione (cioè senza che si sia esercitata l’azione penale);<br />

eppure anche lì non è affatto detto che la notizia di reato sia infondata: anzi<br />

... È però pur vero che con l’amnistia e la prescrizione ci si limita a prendere<br />

atto di qualcosa che, bene o male, è già avvenuto, mentre con la mediazione la<br />

causa di estinzione si innesta come il frutto di un’attività che sono gli organi<br />

stessi <strong>del</strong> procedimento penale a sollecitare. E poi, per carità, non vorrei apparire<br />

come il killer di una norma come quella che, in presenza di amnistia o di prescrizione<br />

già maturate, consente di evitare una prosecuzione certamente inutile<br />

<strong>del</strong> procedimento, che servirebbe solo a far consacrare in una sentenza quanto<br />

già si può dichiarare con decreto prima <strong>del</strong> processo.<br />

5. – Mi domando piuttosto se le cose, più in generale, non meritino di essere<br />

affrontate pure da un punto di vista che guardi, al di là <strong>del</strong>la formulazione<br />

testuale <strong>del</strong> principio di obbligatorietà, alla tutela di esigenze che proprio attraverso<br />

quel principio si è cercato e si cerca, più o meno felicemente, di salvaguardare<br />

ma che possono essere perseguite anche senza la rigidità di una regola<br />

come quella <strong>del</strong>l’art. 112 (e che infatti l’esperienza comparatistica ci insegna<br />

che vengono ritenute meritevoli di essere perseguite anche, e forse ancor più, là<br />

dove il principio non vige o quantomeno opera soltanto come regola non inderogabile<br />

e anzi ricca di eccezioni).<br />

Parlo <strong>del</strong>l’esigenza di evitare che i responsabili di reati – specialmente se<br />

gravi o se commessi a danno di persone deboli e indifese – sfuggano completamente<br />

ad ogni conseguenza <strong>del</strong>le proprie azioni: esigenza alla quale si può avvicinare,<br />

nella sensibilità <strong>del</strong> corpo sociale, quella di evitare che le eventuali<br />

conseguenze <strong>del</strong>la condotta <strong>del</strong>ittuosa siano fortemente sproporzionate al ribasso<br />

rispetto alla gravità dei fatti. Si tratta, insomma, di evitare che sia lo stesso<br />

ordinamento a favorire l’impunità o la quasi-impunità, e di incoraggiare piuttosto,<br />

in tutti, la sensazione che il <strong>del</strong>itto « non paga ».<br />

Da questo punto di vista, forse, entrano allora in gioco altri fattori e altri<br />

criteri, rispetto a quello formale di cui sopra, per la valutazione complessiva degli<br />

istituti di cui si sta parlando. E credo che neppure noi giuristi possiamo<br />

sfuggire a certi interrogativi. È il caso di vedere, ad esempio, entro quali limiti è<br />

accettabile l’estensione <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> « patteggiamento » e se esso non debba<br />

comunque implicare, almeno per i casi più gravi, un esplicito riconoscimento di<br />

responsabilità; e, più in generale, si tratta di chiedersi fino a che punto possano<br />

spingersi i « premi » concessi nelle procedure speciali. È il caso di chiedersi se<br />

la mediazione non debba comunque tener conto <strong>del</strong>la lesione inferta dal reato<br />

alla vittima (sia pur evitando che la sua opinione funzioni da veto, in una logica<br />

vendicativa, per qualsiasi soluzione alternativa a una dura condanna <strong>del</strong> reo o,<br />

peggio ancora, diventi arma di ricatto). È il caso di domandarsi se sia ammissi-


PROCESSO PENALE E ALTERNATIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE ECC. 413<br />

bile che, dove comunque lo sbocco « alternativo » è una pronuncia pienamente<br />

liberatoria (prescrizione), a farla conseguire possano essere iniziative puramente<br />

dilatorie <strong>del</strong>l’imputato che, sapendo non esserci i presupposti per un suo proscioglimento<br />

nel merito, prolunghi artificiosamente il processo fino a far scattare<br />

la causa estintiva.<br />

Resteranno sempre, certamente, margini di ingovernabilità <strong>del</strong> fenomeno<br />

<strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong>l’impunità, inarrestabile alle sue radici (quanti tra noi potrebbero<br />

dirsi sinceramente pronti ad accettare sempre – come il buon ladrone <strong>del</strong>l’Evangelo<br />

– quella che pur ritengono una giusta condanna?). In particolare sarà<br />

sempre difficile impedire che un considerevole numero di reati si prescriva prima<br />

ancora che si arrivi ad assumere iniziative d’indagine: ma una accorta programmazione<br />

<strong>del</strong>la « politica <strong>del</strong>l’azione penale » – che passi attraverso l’impegno<br />

articolato e progressivo di vari organi, dal Parlamento al C.S.M. ai consigli<br />

giudiziari agli uffici di procura – dovrebbe poter ridurre questi fenomeni e<br />

infrenarli comunque in scelte meno casuali o arbitrarie di quelle <strong>del</strong>la gestione<br />

tradizionale.<br />

6. – In qualche misura speculare alla precedente, mi pare la problematica<br />

<strong>del</strong> rapporto tra gli istituti di cui si discorre e la tutela <strong>del</strong> diritto di difesa. E<br />

non dimentichiamo che proprio in nome <strong>del</strong> diritto di difesa la Corte costituzionale<br />

ebbe, già tanti anni addietro, a rendere vincolante la previsione legislativa<br />

<strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>l’imputato di rinunciare alla prescrizione, concedendogli<br />

così la possibilità di giocarsi le sue chances per ottenere una pronuncia pienamente<br />

proscioglitiva, anche quando la sua innocenza, al momento in cui<br />

calasse la mannaia <strong>del</strong> decorso <strong>del</strong> termine prescrizionale, non fosse ancora<br />

evidente.<br />

Oggi, d’altronde, il punto di riferimento principale è diventato – più ancora<br />

<strong>del</strong> diritto di difesa – il principio <strong>del</strong> contraddittorio per la prova, che è stato<br />

elevato a specifico canone costituzionale dalla riforma <strong>del</strong>l’art. 111 e che – come<br />

giustamente si sottolinea – non tutela soltanto questa o quella parte, ma consacra<br />

al massimo livello di fonti un metodo cognitivo per l’accertamento <strong>del</strong>le<br />

responsabilità penali. Peraltro è lo stesso articolo 111 Cost. ad aprire la strada<br />

per considerare costituzionalmente coperti, sotto questo profilo, tutti gli altri<br />

istituti di cui ci stiamo occupando: da un lato, individua il processo penale (e<br />

non altro) come sede necessaria <strong>del</strong> contraddittorio per la prova, e così sembra<br />

togliere formalmente spazio a una discussione in proposito che abbia come oggetto<br />

istituti come la mediazione, che come si è detto sono radicalmente alternativi<br />

al processo; d’altro lato, esso ammette che vi siano casi – regolati dalla<br />

legge – nei quali, anche all’interno <strong>del</strong> processo penale, la formazione <strong>del</strong>la<br />

prova può non avere luogo in contraddittorio per consenso <strong>del</strong>l’imputato. E così<br />

sono tutelati i procedimenti speciali.<br />

Io credo che però, una volta ancora, occorra guardare anche al di là degli<br />

aspetti formali e in particolare vorrei che non ci limitassimo a cogliere, nelle<br />

norme costituzionali, la sola capacità di far sopprimere, per vera e propria in-


414<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

compatibilità, le norme ordinarie. I principi <strong>del</strong>la Costituzione hanno anche ben<br />

altre risorse. E pure di queste occorrerebbe sempre tener conto.<br />

Qui, allora, mi pare che non vadano trascurati almeno due (non piccoli)<br />

impegni, sollecitati proprio dalle norme costituzionali sul diritto di difesa e sul<br />

contraddittorio. Il primo è l’impegno a un grande scrupolo nell’accertamento<br />

<strong>del</strong>la consapevolezza <strong>del</strong> consenso prestato alle alternative. Il secondo – forse di<br />

ancora maggior momento e di maggiore difficoltà – è l’impegno a togliere,<br />

dall’intero sistema processuale penale, quegli stimoli che possono indurre un<br />

innocente a scegliere certe alternative (in particolare, il patteggiamento) e, per<br />

converso, indurre chi si sa colpevole a non scegliere di patteggiare: l’uno, perché,<br />

oppresso dall’incubo di un meccanismo processuale che continua a cadergli<br />

addosso con i suoi costi umani e materiali e le lontane prospettive di una sua<br />

conclusione; l’altro perché può calcolare che, con un’accorta gestione degli<br />

strumenti che gli vengono offerti, è a sua portata di mano, attraverso la prescrizione,<br />

una soluzione ancor più vantaggiosa <strong>del</strong>la ridotta pena « patteggiata ».<br />

7. – Il discorso chiama evidentemente in causa un altro grande principio,<br />

quello <strong>del</strong>la ragionevolezza di durata dei processi: ormai, non più soltanto aspirazione<br />

particolarmente sentita dagli utenti « laici » <strong>del</strong>la giustizia e da ogni<br />

cittadino interessato a un funzionamento corretto ed efficiente <strong>del</strong>le istituzioni;<br />

non più soltanto componente essenziale <strong>del</strong> catalogo, fornito dalle fonti internazionali,<br />

dei diritti fondamentali di chi sia coinvolto in un processo; ma esigenza<br />

che lo stesso testo costituzionale individua come basilare, affidando alla legge il<br />

compito di assicurarla.<br />

È nota la controversia, in relazione al « nuovo » articolo 111 Cost., tra i<br />

fautori di una concezione « oggettivistica » e quelli di una concezione « soggettivistica<br />

» <strong>del</strong>la tutela. A mio sommesso parere, hanno ragione entrambi. In<br />

primo piano, certo, sta la tutela <strong>del</strong> diritto soggettivo <strong>del</strong>l’accusato che è quello<br />

che può subire i danni maggiori dalle lungaggini processuali: <strong>del</strong> resto, sono lì<br />

le radici storiche <strong>del</strong> principio. Ma il principio non interessa soltanto l’accusato.<br />

Beninteso, neppure in questa più ampia prospettiva esso può essere preso a<br />

pretesto per oscurare o comprimere nelle loro espressioni fondamentali altri<br />

principi costituzionali, e in particolare quelli che all’accusato conferiscono specifici<br />

diritti; però, il principio <strong>del</strong>la durata ragionevole ben può richiamare alla<br />

necessità, altrettanto importante, di non dilatare oltre misura i modi di esercizio<br />

di quei diritti, abusandone a scopi dilatori o comunque in modo tale da rendere<br />

meno agevole il contenimento, appunto, entro limiti ragionevoli, <strong>del</strong>la durata<br />

<strong>del</strong> processo o di certe sue fasi. Del resto, chi ha mai messo seriamente in dubbio<br />

la sensatezza <strong>del</strong>la norma che conferisce, al presidente <strong>del</strong> collegio giudicante,<br />

il potere di moderare, quanto ai tempi, l’esplicazione <strong>del</strong> pur sacrosanto<br />

diritto di pubblici ministeri ed avvocati, di argomentare le loro ragioni nelle discussioni<br />

dibattimentali, oppure di quella che consente di « tagliare » richieste<br />

probatorie di decine o centinaia di testimoni, chiamati a deporre tutti nello stesso<br />

senso su un unico punto?


PROCESSO PENALE E ALTERNATIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE ECC. 415<br />

Oggi, il principio <strong>del</strong>la ragionevole durata <strong>del</strong> processo penale viene chiamato<br />

in causa soprattutto in relazione ai problemi <strong>del</strong>la prescrizione. E dico subito<br />

che a me sembra che non di rado anche su questo tema incomba, sotto le<br />

apparenze <strong>del</strong>l’ovvietà, un equivoco, che riveste due visioni pesantemente unilaterali.<br />

Spesso, cioè, non si riesce a (o non si vuole) cogliere il peso che, agli<br />

effetti <strong>del</strong>le interrelazioni tra dinamica <strong>del</strong>la prescrizione e durata ragionevole<br />

<strong>del</strong> processo, esercita l’eventuale incidenza di strumenti che le parti – e in particolare<br />

l’imputato – hanno a loro disposizione per influire sui tempi processuali.<br />

E si dimentica così, tra l’altro, quanto scaturisce dalla giurisprudenza <strong>del</strong>la<br />

Corte europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo, per la quale chi lamenta una lesione <strong>del</strong><br />

principio <strong>del</strong>la durata ragionevole deve dimostrare di non aver egli stesso contribuito<br />

ad allungare artificiosamente la lunghezza dei tempi processuali: e, si<br />

badi, ne subisce le conseguenze anche se l’ha fatto con mezzi astrattamente leciti.<br />

Allora, bisognerebbe sì tener conto <strong>del</strong> fatto che spesso sono giudici e<br />

pubblici ministeri che, con le loro inerzie o al contrario con il gigantismo di<br />

certe loro iniziative, allungano irragionevolmente i tempi dei processi: abusano,<br />

insomma, <strong>del</strong> processo: e da questo punto di vista è perciò vero che una<br />

disciplina <strong>del</strong>la prescrizione che metta sbarramenti severi contribuisce a frenare<br />

quelle tendenze, facendo incombere lo spettro di una non voluta impunità<br />

se non si eliminano inerzie e gigantismi; né può negarsi che, quanto più i<br />

tempi « legali » <strong>del</strong>la prescrizione sono di notevole entità, tanto più i magistrati<br />

possono essere indotti a coltivare la <strong>del</strong>eteria convinzione – <strong>del</strong>eteria<br />

soprattutto per l’innocente in attesa di giudizio – che ci sarà ancora sempre<br />

tempo per arrivare a una conclusione di merito <strong>del</strong> processo, quali che siano le<br />

lungaggini in itinere. Tutto questo è vero; però, là dove è l’imputato ad avere<br />

ampi spazi di manovra – in particolare, con le impugnazioni – il discorso<br />

cambia. La possibilità di perseguire il raggiungimento <strong>del</strong>la prescrizione può<br />

essere uno stimolo, non un antidoto a prolungare artificiosamente la durata <strong>del</strong><br />

processo.<br />

E si badi bene. A mio avviso, non è tanto una questione di calcolo di termini<br />

prescrizionali di base, che oggi sono tutt’altro che brevi, se li si considera<br />

in relazione a un ordinario e ordinato svolgimento <strong>del</strong> processo. A rendere appetibile<br />

un disinvolto uso strumentale dei mezzi di difesa, e in particolare <strong>del</strong>le<br />

impugnazioni, mi sembrano piuttosto altri fattori, a cominciare da quello <strong>del</strong><br />

mancato rilievo <strong>del</strong>la distinzione tra una prescrizione <strong>del</strong> reato che decorra dal<br />

momento <strong>del</strong>la commissione <strong>del</strong> fatto e una prescrizione <strong>del</strong>l’azione che decorra<br />

dalla conoscibilità <strong>del</strong>la notitia criminis da parte <strong>del</strong>le autorità investigative.<br />

E ad avere un peso mi sembra essere soprattutto il meccanismo dei limiti al ricalcolo<br />

in caso di interruzione <strong>del</strong> corso <strong>del</strong>la prescrizione per il passaggio<br />

dall’una all’altra fase <strong>del</strong> processo. È la rigidità <strong>del</strong>l’articolo 160 <strong>del</strong> codice penale<br />

a lasciarmi perplesso, là dove dice che « in nessun caso » i termini di base<br />

« possono essere prolungati oltre la metà » (e adesso si vorrebbe scendere addirittura<br />

al quarto …). Appelli e ricorsi per cassazione infondati possono così es-


416<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ser facilmente stimolati come mezzi per lucrare una prescrizione, più che sopravvenuta,<br />

astutamente inseguita.<br />

Come si sa, la Cassazione ha messo un freno alle più clamorose strumentalizzazioni,<br />

escludendo che, se il ricorso è manifestamente infondato, possa<br />

dichiararsi la prescrizione maturata nel frattempo. Sul piano esegetico, la soluzione<br />

può anche lasciare margini legittimi di discussione. Essa risponde peraltro<br />

a un’esigenza indiscutibile di moralizzazione, soffrendo semmai di essere una<br />

soluzione di costruzione meramente giurisprudenziale e per giunta parziale, rispetto<br />

a un problema che invano si è tante volte cercato di affrontare nei suoi<br />

termini più generali, e in tutte le sue non semplici articolazioni, a livello normativo.<br />

Al qual riguardo permettete a chi vi parla di ricordare quanto manifestato<br />

– da ben prima che il « caso » esplodesse con la legge cosiddetta ex-<br />

Cirielli – in varie prese di posizione pubbliche, orali e scritte, ma soprattutto<br />

quanto collettivamente elaborato quasi dieci anni or sono (e consegnato a un<br />

testo rimasto poi in qualche cassetto ministeriale) nell’ambito di una Commissione<br />

presieduta da Giovanni Conso, e da questa approvato a larghissima maggioranza:<br />

testo nel quale, appunto, il problema veniva affrontato con proposte<br />

che volevano affiancarsi ad altre, a loro volta rimaste sinora senza esito.<br />

Ma anche questo testo, come tanti altri di allora e di oggi, rimase malinconicamente<br />

in qualche cassetto di uffici ministeriali.<br />

MARIO CHIAVARIO<br />

Professore ordinario<br />

nell’Università di Torino


FORME DEL PROCEDIMENTO<br />

E FUNZIONE DELLA PROVA<br />

(OTTANT’ANNI DOPO CHIOVENDA) (*)<br />

SOMMARIO: 1. Il saggio di Chiovenda. Titoli e contenuto – 2. Fortuna e sfortuna<br />

<strong>del</strong> teorema chiovendiano. – 3. Un’invenzione di Voltaire: il c.d. « sistema<br />

<strong>del</strong>la prova legale ». – 4. I presunti benefici <strong>del</strong>la « elioterapia processuale<br />

». – 5. Il progressivo allontanamento <strong>del</strong> giudice dalle fonti di prova. –<br />

6. La valutazione <strong>del</strong>le « prove lontane »: tipiche, atipiche e scientifiche. –<br />

7. I teorici <strong>del</strong> « ragionamento probatorio ». Il formaggio e i buchi. – 8. È<br />

possibile (e utile) insegnare ai giudici a ragionare? – 9. Forme <strong>del</strong> procedimento<br />

e funzione <strong>del</strong>la prova. Un « cattivo maestro »: Jeremy Bentham. –<br />

10. Valutazione <strong>del</strong>la prova nel processo orale e nel processo scritto. Vantaggi<br />

e rischi rispettivi <strong>del</strong> day in court e <strong>del</strong>la stagionatura dei fascicoli. –<br />

11. Fattori « non epistemici » nella disciplina <strong>del</strong>le prove. – 12. Raccolta e<br />

conservazione <strong>del</strong>le prove. Notai medioevali e tecnologia moderna.<br />

1. – Tutti i processualisti ricordano il saggio di Chiovenda, L’oralità e la<br />

prova, che apriva poco più di ottant’anni fa, nel 1924, il primo <strong>fascicolo</strong> <strong>del</strong>la<br />

Rivista di diritto processuale civile. Ripubblicandolo nel secondo volume dei<br />

Saggi, nel 1931, Chiovenda ne modificò il titolo, lasciando quello originario tra<br />

parentesi, e premettendovi Sul rapporto tra le forme <strong>del</strong> procedimento e la funzione<br />

<strong>del</strong>la prova: ove, nel contesto <strong>del</strong> suo discorso, per « forma <strong>del</strong> procedimento<br />

» deve intendersi anche il modo in cui è disciplinata la raccolta <strong>del</strong> mate-<br />

––––––––––––<br />

(*) Questo scritto riproduce, con varianti minime, una relazione svolta al Convegno<br />

Nazionale <strong>del</strong>la Associazione Italiana fra gli Studiosi <strong>del</strong> Processo Civile, tenutosi in Cagliari<br />

il 7-8 ottobre 2005.<br />

È d’uso, quando si pubblica una relazione congressuale, aggiungervi un corredo di<br />

note. Peraltro, in questo caso, l’estensione di un adeguato apparato bibliografico sarebbe<br />

largamente maggiore di quella <strong>del</strong> testo, e produrrebbe un numero complessivo di pagine<br />

incompatibile con gli attuali criteri editoriali <strong>del</strong>la Rivista. Preferisco dunque rinunciarvi,<br />

confidando che i lettori si accontentino dei riferimenti che già originariamente ho inserito<br />

nel testo, siccome indispensabili per lo svolgimento <strong>del</strong> discorso. Ad essi vorrei solo aggiungere<br />

ora la menzione di una recentissima monografia dove si esaminano analiticamente<br />

l’evoluzione e l’involuzione, nel nostro processo penale, di problematiche analoghe<br />

a quelle qui discusse: Daniela Chinnici, L’immediatezza nel processo penale, Milano,<br />

Giuffrè, 2005.


418<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

riale probatorio; e per « funzione <strong>del</strong>la prova » il modo in cui quel materiale è<br />

valutato ai fini <strong>del</strong> giudizio di fatto.<br />

La tesi svolta in quel saggio è dunque notissima, e si risolve in una specie<br />

di teorema: l’oralità, sotto lo specifico profilo <strong>del</strong>l’immediatezza, è condizione<br />

indispensabile per una corretta applicazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la libera valutazione<br />

<strong>del</strong>le prove; nel « processo scritto » il giudizio di fatto è invece inevitabilmente<br />

frutto <strong>del</strong>l’applicazione di criteri di valutazione « aprioristici, formali,<br />

convenzionali », come quelli che caratterizzavano il c.d. sistema <strong>del</strong>la prova legale<br />

nel processo romano-canonico e comune.<br />

Chiovenda circoscriveva tuttavia la rilevanza pratica <strong>del</strong> suo teorema a<br />

quelle controversie « in cui si rendano necessarie prove diverse dalla documentale<br />

(interrogatorio, esame di testimoni, perizia, ispezione giudiziale) ».<br />

Mentre l’avere il processo forma orale oppure scritta avrebbe avuto importanza<br />

molto limitata, se non addirittura trascurabile, nelle cause in cui « non vi siano<br />

da risolvere se non questioni di diritto » e in quelle « in cui vi siano questioni di<br />

fatto, ma da risolvere esclusivamente in base a documenti ».<br />

2. – Questo teorema è stato in buona sostanza riproposto alcuni decenni<br />

dopo nell’opera maggiore di Mauro Cappelletti, nel contesto di una ben più ampia<br />

indagine dogmatica, storica e comparatistica. Ma è stato anche oggetto di<br />

motivate critiche. Ricordo fra tutte, in ordine cronologico, quelle di Nicola Picardi<br />

sulla Trimestrale <strong>del</strong> 1973; quelle di Corrado Vocino nella voce Oralità<br />

<strong>del</strong>l’Enciclopedia <strong>del</strong> diritto; quelle di Vittorio Denti nella corrispondente voce<br />

<strong>del</strong>l’Enciclopedia giuridica; le mie, si parva licet, nella Rivista di diritto processuale<br />

<strong>del</strong> 1984; più di recente quelle di Lotario Dittrich nella sua monografia<br />

sui limiti soggettivi <strong>del</strong>la prova testimoniale. Ma sarebbe anche il caso di rileggere<br />

con serenità ed obiettività, dopo tanti anni, le considerazioni svolte da Ferdinando<br />

Mazzarella sul libro di Cappelletti, nella Trimestrale <strong>del</strong> 1962.<br />

Vorrei qui riprendere qualcuna di quelle critiche: non per portare ancora<br />

una volta alla luce, ingenerosamente, certe défaillances di un nostro grande<br />

maestro (alla cui memoria devo un rispetto particolare, come allievo <strong>del</strong> suo più<br />

fe<strong>del</strong>e allievo), ma perché mi sembra che di qui sia utile partire per capire meglio<br />

quanto sta avvenendo ai nostri giorni in questo settore <strong>del</strong>la disciplina e<br />

<strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong> processo; nonché proprio per rivalutare, come meglio dirò,<br />

l’intuizione chiovendiana che tra le « forme <strong>del</strong> procedimento » e la « funzione<br />

<strong>del</strong>la prova » debba comunque esistere un rapporto significativo.<br />

È doveroso inoltre riconoscere, in ogni caso, che il discorso di Chiovenda<br />

si inseriva, naturalmente, nella sua appassionata « battaglia » in favore <strong>del</strong><br />

« processo orale ». Ne costituiva, anzi, l’ultimo e più disperato capitolo, atteso<br />

che proprio poco prima, nel 1923, il progetto di riforma di Lodovico Mortara,<br />

illustrato sulle colonne <strong>del</strong>la Giurisprudenza italiana, aveva segnato l’affossamento<br />

definitivo <strong>del</strong> precedente progetto <strong>del</strong>lo stesso Chiovenda, e più in generale<br />

<strong>del</strong>le sue proposte di riforma.<br />

Trasferire dunque la problematica <strong>del</strong>l’oralità sul solo terreno <strong>del</strong>la disci-


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 419<br />

plina <strong>del</strong>le prove, e istituire una stretta relazione biunivoca tra immediatezza e<br />

libertà di valutazione, era innanzitutto un’operazione promozionale, e un esercizio<br />

di retorica persuasiva, dato che il « libero convincimento » era allora – come<br />

è rimasto fino ad oggi tra i processualcivilisti – uno di quei valori, o di quelle<br />

formule magiche, che nessuno è disposto a mettere in discussione. Ma l’operazione<br />

di Chiovenda era anche in qualche modo autolesionistica, giacché in<br />

definitiva riduceva il grande mo<strong>del</strong>lo processuale, per il quale egli aveva lungamente<br />

combattuto, a poco più che un accorgimento tecnico, funzionale alla<br />

valutazione <strong>del</strong>le prove costituende.<br />

3. – A sostegno <strong>del</strong>la sua tesi, come si sa, Chiovenda <strong>del</strong>ineava una sinteticissima<br />

storia <strong>del</strong> processo civile italiano, o più in generale europeo, non priva<br />

di qualche passaggio avventuroso. Così dicasi, ad esempio, <strong>del</strong>l’idea che il<br />

« formalismo » <strong>del</strong> processo romano-canonico e il c.d. sistema <strong>del</strong>la prova legale,<br />

caratteri ritenuti tipici <strong>del</strong> « processo scritto », fossero figli, nel contempo,<br />

<strong>del</strong>la filosofia scolastica e <strong>del</strong> giudizio ordalico dei Longobardi (anzi « Langobardi<br />

»), <strong>del</strong> quale tutto si sarebbe potuto dire, meno che fosse stato un processo<br />

« filosofico » e scritto.<br />

Ma quella che soprattutto pare oggi difficile da accettare, indipendentemente<br />

da questa sua incerta genealogia, è proprio l’immagine dalla quale sostanzialmente<br />

muovono anche le argomentazioni propriamente teoriche di<br />

Chiovenda: cioè quella <strong>del</strong> povero giudice <strong>del</strong> processo romano-canonico, privato<br />

di qualsiasi potere di valutazione critica <strong>del</strong> materiale probatorio, e ridotto<br />

alla funzione meramente contabile <strong>del</strong>l’applicazione di rigide e pittoresche « tariffe<br />

». Si tratta infatti di uno stereotipo certamente diffuso al tempo in cui<br />

Chiovenda scriveva (e per la verità sopravvissuto anche in seguito in molta letteratura<br />

processualcivilistica), che è stato però progressivamente screditato da<br />

tutta la migliore storiografia <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>le prove, e dall’attenta lettura <strong>del</strong>le<br />

fonti che essa ha sostituito a una prassi di citazioni tralatizie di seconda e di terza<br />

mano.<br />

Non è certamente questa la sede per un esame approfondito di questa suggestiva<br />

vicenda storico-culturale, che pure meriterebbe di essere prima o poi<br />

ricostruita in dettaglio: voglio dire l’invenzione retrospettiva, da parte di Voltaire<br />

e dei suoi molti epigoni, di un sistema probatorio tanto ridicolo quanto largamente<br />

immaginario, al fine di contrapporvi l’illuminata razionalità « moderna<br />

». Quale fosse, comunque, la ben diversa realtà, rimossa o manipolata<br />

sotto la faziosa etichetta <strong>del</strong> « sistema <strong>del</strong>la prova legale », lo si può già chiaramente<br />

desumere, per esempio, da libri come quello di Giorgia Alessi Palazzolo<br />

su Prova legale e pena, o quello di Isabella Rosoni sulla storia <strong>del</strong>la prova indiziaria<br />

(entrambi sostanzialmente sfuggiti all’attenzione dei processualisti), e ora<br />

dai due ricchi affascinanti volumi dedicati da Susanne Lepsius alla minuziosa<br />

analisi testuale e teorica, nonché all’edizione critica, <strong>del</strong> Tractatus testimoniorum<br />

di Bartolo da Sassoferrato.<br />

Del resto, l’immagine <strong>del</strong> giudice medioevale burattino, che usa il pallot-


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RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

toliere invece <strong>del</strong> cervello, è in realtà obsoleta da tempo anche in ambiti culturali<br />

diversi da quello <strong>del</strong>la storiografia giuridica specialistica: lo attestano, per<br />

esempio, gli scritti di Mirjan Damaška (non solo la nota monografia sul « diritto<br />

<strong>del</strong>le prove alla deriva », ma anche molti altri suoi saggi); oppure, senza andare<br />

lontano, lo si ricava da tutta la letteratura sulle prove dei nostri cugini processualpenalisti,<br />

più abituati di noi a scandagliare nel passato e nel presente i molti<br />

significati e le molte implicazioni anche nefaste <strong>del</strong>la « formula magica » <strong>del</strong><br />

libero convincimento (penso naturalmente alla ormai classica opera di Massimo<br />

Nobili, ma anche ad un precedente saggio di Ennio Amodio su « libertà e legalità<br />

<strong>del</strong>la prova », e ad innumerevoli scritti, pur variamente orientati, di autori<br />

come Franco Cordero, Paolo Ferrua, Giulio Ubertis, Oreste Dominioni e altri);<br />

più attenti di noi al valore garantistico dei limiti imposti dalla legge alla discrezionalità<br />

<strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> fatto, sia nell’ammissione che nella valutazione <strong>del</strong>le<br />

prove (sul punto si dovrebbero citare Giovanni Conso e Luigi Ferrajoli, e poi<br />

nuovamente in blocco l’intera dottrina contemporanea <strong>del</strong> processo penale); e,<br />

last but not least, più consapevoli di noi <strong>del</strong>la posizione centrale che in ogni<br />

tempo e dovunque ha sempre rivestito per la formazione <strong>del</strong> giudizio di fatto la<br />

prova indiziaria e presuntiva, di per sé refrattaria a qualunque computo aritmetico.<br />

Chiedo scusa per questo excursus, solo apparentemente fuori tema. Ma<br />

vorrei ancora permettermi di dare un consiglio ai numerosi nostri giovani che si<br />

sono dedicati in questi anni o intendono dedicarsi allo studio <strong>del</strong>le prove. Se<br />

avessimo la pazienza di leggere per davvero qualche testo « medioevale » su<br />

questi argomenti, come i capitoli pertinenti <strong>del</strong>lo Speculum di Guglielmo Durante,<br />

compreso quello suddiviso nei 96 paragrafi scherniti da Chiovenda e<br />

Cappelletti, o il già citato sorprendente studio monografico di Bartolo sulla testimonianza,<br />

o qualche brano dei trattati sulle prove di Farinaccio, di Menochio<br />

o di Mascardo (è un po’ faticoso, ma merita la deviazione, come dicono le guide<br />

Michelin), vi scopriremmo, non già tariffe e pallottolieri, ma giacimenti ricchissimi<br />

di una sapienza analitica e casistica, protesa alla razionalizzazione <strong>del</strong><br />

giudizio di fatto, e capace di insegnarci molte cose, proprio su quell’« arte di<br />

ben congetturare » (come la si chiamava un tempo) alla quale non hanno certo<br />

contribuito altrettanto né le freddure di Voltaire, né la glorificazione rivoluzionaria<br />

<strong>del</strong>l’intime conviction, e che oggi si cerca di ricostruire – ma soltanto in<br />

termini astratti, come dirò – con l’analisi logica ed epistemologica <strong>del</strong> « ragionamento<br />

probatorio ».<br />

4. – Chiovenda non aveva insomma ragione di temere che la perpetuazione,<br />

nel nostro ordinamento, <strong>del</strong> « processo scritto », determinasse il ritorno<br />

all’« aritmetica <strong>del</strong>le prove » <strong>del</strong> processo romano-canonico: dato che questa<br />

sostanzialmente non era mai esistita. Senza dire che quell’ ipotetico « ritorno »,<br />

ove mai fosse stato concepibile, avrebbe allora dovuto essersi già compiutamente<br />

realizzato all’epoca in cui egli scriveva, dato che l’aborrito « processo<br />

scritto » di cui parlava era in vigore ormai da quasi sessant’anni.


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 421<br />

Più plausibile, se mai, poteva essere il timore, manifestato in via alternativa<br />

nelle famosissime parole conclusive <strong>del</strong> suo saggio, che in quel contesto il<br />

libero convincimento continuasse a « corrompersi ».<br />

Chiovenda peraltro non spiegava come si manifestasse concretamente la<br />

« corruzione » <strong>del</strong> giudizio di fatto nelle decisioni dei nostri tribunali; né quali<br />

fossero gli effettivi vantaggi prodotti, nel resto <strong>del</strong> mondo, « dall’aria e dalla<br />

luce <strong>del</strong>l’udienza », ma si limitava, per dimostrare i benefici di questa « elioterapia<br />

processuale » (se così volessimo irriverentemente chiamarla), a dire che<br />

nel processo orale « lo stesso giudice che deve pronunciare la sentenza ...<br />

ascolterà le risposte <strong>del</strong>le parti, le deposizioni dei testimoni, i chiarimenti dei<br />

periti, esaminerà gli oggetti, visiterà i luoghi controversi, entrando così in<br />

contatto immediato con le fonti <strong>del</strong> proprio convincimento; mentre nel processo<br />

scritto il giudice che pronuncia la sentenza conoscerà di tutte queste cose traverso<br />

i verbali ... »; ovvero, con le parole di Mario Pagano, che « nella viva voce<br />

parla eziandio il volto, gli occhi, il colore, il movimento, il tono <strong>del</strong>la voce, il<br />

modo di dire, e tant’altre picciole circostanze, le quali modificano e sviluppano<br />

il senso <strong>del</strong>le generali parole... ».<br />

Ora, dire che il giudice <strong>del</strong> fatto è in grado di apprezzare convenientemente<br />

l’attendibilità <strong>del</strong>le prove orali soltanto quando le assume di persona<br />

« dal vivo », perché così può valorizzare elementi « metatestuali » come il tono<br />

<strong>del</strong>la voce, l’espressione, la mimica dei dichiaranti, etc., è sicuramente un luogo<br />

comune <strong>del</strong>la letteratura processualistica di ogni tempo, dal famoso rescritto<br />

<strong>del</strong>l’imperatore Adriano al passo di Mario Pagano appena citato. Resta però il<br />

fatto che (come ci ricorda Lotario Dittrich) tutti i più autorevoli studi di psicologia<br />

<strong>del</strong>la testimonianza, almeno da quello di Cesare Musatti fino ai nostri<br />

giorni, insegnano che per il giudice le probabilità di ricavare seri giudizi di sincerità<br />

o di mendacio da queste impressioni immediate sono esattamente uguali a<br />

quelle che potrebbero darsi con il lancio di una monetina.<br />

5. – Le considerazioni critiche sin qui svolte non possono peraltro esonerarci<br />

dal considerare, rapidamente, quale sia stata la sorte <strong>del</strong> « teorema » di<br />

Chiovenda nella storia successiva <strong>del</strong> nostro processo, e ciò anche al fine di verificare<br />

l’ipotesi, poco fa anticipata, che un rapporto tra le « forme <strong>del</strong> procedimento<br />

» e la « funzione <strong>del</strong>la prova » nonostante tutto debba esistere, magari in<br />

termini un po’ diversi da quelli immaginati da Chiovenda.<br />

Ottant’anni dopo, il fenomeno <strong>del</strong>l’allontanamento <strong>del</strong> giudice civile dalla<br />

c.d. « prova orale-rappresentativa », ovverosia il naufragio <strong>del</strong> principio di immediatezza,<br />

è sotto gli occhi di tutti.<br />

Come si sa, infatti, anche nel sistema <strong>del</strong> codice <strong>del</strong> 1940 il collegio decidente,<br />

non diversamente che nel regime previgente, ha continuato ad avere conoscenza<br />

<strong>del</strong>le prove « orali » solo « traverso i verbali » (verbali, aggiungo, redatti<br />

con una grafia ed un lessico che avrebbero fatto giustamente inorridire i<br />

cancellieri <strong>del</strong> tempo di Chiovenda, e ancor più i vituperati notai medioevali):<br />

sia perché queste prove erano state assunte, nel migliore dei casi, da uno solo


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RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

dei suoi componenti, sia perché il lungo tempo trascorso aveva inevitabilmente<br />

annebbiato anche i ricordi <strong>del</strong>l’istruttore.<br />

Ma le cose non sono sensibilmente mutate nemmeno in seguito, se si prescinde<br />

dall’esperienza « controcorrente » <strong>del</strong> processo sulle controversie di lavoro.<br />

La struttura <strong>del</strong> « nuovo rito » prevede bensì la normale identità fisica tra<br />

giudice istruttore e giudice unico decidente, ma i tempi intercorrenti tra istruzione<br />

e decisione non si sono certo accorciati, mentre <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la « immutabilità<br />

» <strong>del</strong> giudice, altro corollario indispensabile <strong>del</strong>l’oralità chiovendiana,<br />

si fa scempio attualmente ancor più che in passato. Cosicché può accadere,<br />

come si sa, che in un medesimo procedimento più udienze stricto sensu istruttorie<br />

si svolgano dinanzi a giudici sempre diversi (qualcuno togato, qualcuno no),<br />

e la decisione sia opera di un altro giudice ancora.<br />

Nel contempo, la trasformazione <strong>del</strong>la prova orale in prova scritta, che<br />

tanto preoccupava Chiovenda, si realizza, quotidianamente, anche e soprattutto<br />

attraverso la incontenibile proliferazione <strong>del</strong>le famigerate prove « formate altrove<br />

», che approdano al processo travestite da documenti: fenomeno radicalmente<br />

eversivo anche di quella parvenza formale di oralità che il codice <strong>del</strong><br />

1940 e le recenti riforme hanno preteso di salvaguardare.<br />

D’altra parte, questi fenomeni – l’allontanamento <strong>del</strong> giudice civile <strong>del</strong><br />

fatto dalle fonti di prova, la conversione <strong>del</strong>le prove orali in prove « prefabbricate<br />

» – non appartengono soltanto al processo italiano, e non possono essere<br />

posti semplicisticamente a carico <strong>del</strong>la sua eventuale perdurante arretratezza<br />

rispetto ad altri ordinamenti contemporanei.<br />

Da un lato, la larga se non <strong>del</strong> tutto incondizionata utilizzazione <strong>del</strong>le prove<br />

« raccolte altrove » è ormai diffusa ovunque, tanto da avere perfino travolto<br />

nei sistemi di common law, con le riforme degli ultimi decenni, i limiti che a<br />

queste prove opponeva la storica rule against hearsay.<br />

Dall’altro, basta sfogliare la recente monografia di Chiara Besso sulla<br />

« prova prima <strong>del</strong> processo », per rendersi conto non soltanto <strong>del</strong>l’ampliamento,<br />

in tutti i principali sistemi processuali occidentali, dei confini tradizionali <strong>del</strong>l’istruzione<br />

preventiva, ma anche, implicitamente, <strong>del</strong>la tendenza generalizzata<br />

a collocare fuori <strong>del</strong> processo la formazione <strong>del</strong>le prove costituende, anche nel<br />

corso <strong>del</strong> giudizio di merito.<br />

Depositions, affidavits, interrogatories, attestations, Beweisfragen e<br />

schriftliche Beantwortungen, written statements e così via, sono, ancora più dei<br />

verbali di Chiovenda e di quelli che allietano le nostre udienze, i segni di un incipiente<br />

e probabilmente irreversibile commiato <strong>del</strong> giudice civile dalle fonti<br />

<strong>del</strong>le sue informazioni lato sensu testimoniali sui fatti controversi. Ovvero, per<br />

esprimerci in termini più colloquiali: non vorremo mica che il giudice, già così<br />

carico di lavoro, perda tempo anche in queste cose. Portiamogli prove già ben<br />

confezionate, non soltanto pezzi da montare, come i mobili <strong>del</strong>l’Ikea.<br />

Anzi, si può dire che questa specie di spinta centrifuga è così forte e intensa<br />

da poter addirittura condurre al rovesciamento <strong>del</strong> rapporto tra istruzione<br />

probatoria e giudizio di merito: come quando uno strumento istruttorio come il


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 423<br />

nostro accertamento tecnico preventivo, recentissimamente novellato sulla scia<br />

di mo<strong>del</strong>li francesi e tedeschi, finisce per trasformarsi in una forma alternativa<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie. Più che di prova « prima <strong>del</strong> processo », qui si<br />

potrebbe parlare di prova « invece <strong>del</strong> processo ».<br />

6. – Ora, attenendoci all’ipotesi tuttora prevalente in cui la prova formata<br />

al di fuori <strong>del</strong> controllo <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> merito deve tuttavia essere da lui valutata:<br />

è possibile sostenere che i fenomeni ora ricordati abbiano favorito o favoriscano<br />

(come pensava Chiovenda) l’affermazione di criteri « aprioristici e formali<br />

» di valutazione <strong>del</strong>le prove orali, « tipiche » ovvero travestite? La risposta<br />

negativa mi pare obbligata, anche se accompagnata, come dirò tra breve, da una<br />

significativa precisazione.<br />

Per quanto riguarda le testimonianze dei terzi, naturalmente nessuna norma<br />

di legge istituisce una qualsivoglia « gerarchia » tra di esse in ragione <strong>del</strong>le<br />

qualità personali o sociali <strong>del</strong> testimone, o <strong>del</strong> numero dei testi o di altri criteri<br />

« aprioristici ». Ed anzi la Corte Costituzionale, come si sa, è giunta persino a<br />

ritenere incompatibili con il principio <strong>del</strong> libero convincimento (la colpa è di<br />

Voltaire, diceva giustamente Corrado Vocino) alcuni dei limiti soggettivi di<br />

ammissibilità previsti nel codice <strong>del</strong> 1940, che pure non erano regole direttamente<br />

incidenti sulla valutazione <strong>del</strong>la prova.<br />

Ma nemmeno le motivazioni <strong>del</strong>le nostre sentenze, di merito o di legittimità,<br />

nella misura (invero scarsa) in cui se ne possono conoscere le parti « in<br />

fatto », sembrano proporre criteri di valutazione, non diciamo vincolanti ma almeno<br />

costanti, se tali non si vogliano considerare le « presunzioni giurisprudenziali<br />

» studiate già molti anni fa da Giovanni Verde: che però incidono sulla ripartizione<br />

degli oneri probatori, non sulla valutazione <strong>del</strong>l’esito di specifici<br />

mezzi di prova.<br />

Per converso, le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio formale<br />

sono bensì oggetto di una disciplina apparentemente rigida e minuziosa,<br />

che comprende anche regole di valutazione; ma si sa che queste regole sono applicate<br />

molto elasticamente: tanto è vero che, anche quando sarebbe possibile<br />

ricavare, dai verbali, una vera dichiarazione confessoria, il giudice solitamente<br />

evita di qualificarla come tale, e dall’attribuirle l’efficacia di piena prova che le<br />

compete per legge, e preferisce ributtarla, con la meno impegnativa qualifica di<br />

« ammissione », nel calderone <strong>del</strong>le « risultanze istruttorie », amalgamandola<br />

con tutte le altre di convergente significato, quali che ne siano l’origine e il pregio.<br />

Le quali « risultanze », comprensive anche di quelle documentali (fatta salva<br />

la sola disciplina <strong>del</strong>l’atto pubblico), sono poi oggetto di una valutazione<br />

sommaria e globale (sarebbe forse più chic dire « olistica »), dalla quale è impossibile<br />

desumere quale sia stato il peso di ciascun ingrediente nella formazione<br />

<strong>del</strong> convincimento <strong>del</strong> giudice.<br />

Quanto alla valutazione <strong>del</strong>le prove « formate altrove », è da lungo tempo<br />

consolidata in giurisprudenza, come pure si sa, la convinzione che queste prove<br />

possano (« ben possono » è lo stilema ricorrente nelle massime) essere libera-


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RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

mente apprezzate dal giudice <strong>del</strong> fatto, come quelle regolarmente formate nel<br />

processo ad quem. Anzi, il travestimento produce talvolta addirittura una sorta<br />

di purificazione, o di sublimazione, <strong>del</strong>la fonte di prova: come quando la testimonianza<br />

di un terzo « interessato » viene ritenuta inammissibile ex art. 246<br />

c.p.c., e quindi impedita, nella sede e nelle forme tipiche, e però si consente al<br />

giudice di valutare liberamente le dichiarazioni di quel medesimo testimone,<br />

raccolte altrove (anche al di fuori <strong>del</strong> contraddittorio tra le parti attuali) e prodotte<br />

nel nuovo processo in forma documentale.<br />

In questo quadro, un discorso in parte diverso potrebbe farsi solo con riguardo<br />

ai caratteri e alla funzione dovunque assunti nei processi odierni dalla<br />

prova c.d. scientifica.<br />

Qui, anche quando la prova viene disposta nel contesto <strong>del</strong> giudizio di merito,<br />

nella forma <strong>del</strong>la expert testimony ovvero mediante un incarico conferito dal<br />

giudice al consulente, ci si trova comunque di fronte – per usare un termine di<br />

moda tra gli imprenditori e i managers – ad un outsourcing <strong>del</strong>l’istruzione probatoria,<br />

o di una sua parte molto cospicua: il perito, o il consulente, o comunque<br />

l’esperto, esamina luoghi e cose che il giudice non ha mai visto e mai vedrà; raccoglie<br />

informazioni da persone che non hanno lo status processuale di testimoni;<br />

acquisisce dalle parti e dai terzi documentazione diversa e ulteriore rispetto a<br />

quella formalmente prodotta o esibita in giudizio. Dopo di che il giudice rimarrà<br />

sì, sulla carta, peritus peritorum, ma in concreto potrà accadergli, come è stato già<br />

spesso rilevato, di recepire l’elaborato <strong>del</strong>l’esperto non diversamente da come<br />

veniva recepito il responso divino nell’ordalia longobarda in cui Chiovenda vedeva<br />

l’origine di tutte le nostre sventure. È improbabile che Chiovenda pensasse<br />

anche e proprio a questo: ma si può riconoscere che il suo teorema, secondo il<br />

quale il giudice lontano dalle fonti di prova è costretto a valutarle secondo criteri<br />

formali, troverebbe (solo) per questo aspetto una inaspettata conferma.<br />

Prescindendo, comunque, da quest’ultima sorprendente convergenza di effetti<br />

tra il mezzo istruttorio che meglio rappresenta l’ingresso, nel processo moderno,<br />

dei criteri <strong>del</strong>la razionalità scientifica, e la più tipica <strong>del</strong>le prove c.d. « irrazionali<br />

» (convergenza che giustamente ha già indotto molti a riflettere sui<br />

pericoli di un incremento <strong>del</strong>l’uso di metodi scientifici nel processo, sotto la<br />

bandiera positivistica <strong>del</strong> progresso <strong>del</strong>le conoscenze umane), si può tenere<br />

ferma, in termini generali, la constatazione che l’insuccesso <strong>del</strong> principio chiovendiano<br />

<strong>del</strong>la « immediatezza » non ha di per sé limitato l’àmbito <strong>del</strong>la libertà<br />

giudiziale nella valutazione <strong>del</strong>le prove.<br />

7. – Ma che cosa dovremo allora desumerne? Apparentemente, le risposte<br />

possibili sembrerebbero due.<br />

La prima è quella che forse avrebbe dato Chiovenda: il principio <strong>del</strong> libero<br />

convincimento non è proprio « morto », ma si è « corrotto », e si corromperà<br />

ancora di più, se è vero che il nostro e tutti i principali ordinamenti processuali<br />

civili, in nome <strong>del</strong>l’economia processuale o <strong>del</strong>la deflazione <strong>del</strong> contenzioso,<br />

stanno distruggendo, o rinunciando a creare, le condizioni migliori per una cor-


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 425<br />

retta e razionale costruzione <strong>del</strong> giudizio di fatto (dunque per una « decisione<br />

giusta », stando all’equazione di Michele Taruffo).<br />

Oppure si può pensare che il discorso di Chiovenda fosse semplicemente<br />

sbagliato, nel metodo e nel merito, perché in realtà non esiste alcun apprezzabile<br />

rapporto tra « forme <strong>del</strong> procedimento » e « funzione <strong>del</strong>la prova ». Il principio<br />

<strong>del</strong> libero convincimento, conquista irreversibile <strong>del</strong>la civiltà giuridica<br />

moderna, può sopravvivere intatto e identico a sé stesso, sia che il giudice percepisca<br />

in udienza il « tuono <strong>del</strong>la voce » dei testimoni, sia che ne legga le deposizioni,<br />

magari tradotte nel linguaggio surreale dei nostri verbali.<br />

Ora, proprio quest’ultima mi sembra essere l’opinione implicitamente prevalente<br />

ai nostri giorni, presso gli autori che affrontano il tema <strong>del</strong> libero convincimento<br />

giudiziale e <strong>del</strong>la razionalizzazione <strong>del</strong> giudizio di fatto (si è molto<br />

parlato in questi anni di « ragionamento probatorio ») senza nel contempo dedicare<br />

particolare attenzione al modo in cui vengono raccolte le informazioni utilizzabili<br />

per il giudizio.<br />

Il percorso argomentativo abituale è più o meno il seguente. Il principio<br />

<strong>del</strong> libero convincimento è sacro, e rimetterlo in discussione in nome <strong>del</strong>la<br />

« legalità <strong>del</strong>la prova » ci farebbe ripiombare nella barbarie « medioevale ». Nel<br />

contempo deve però essere evitata anche un’interpretazione troppo letterale <strong>del</strong><br />

dogma <strong>del</strong>l’« intima convinzione », e pertanto rintuzzato ogni cedimento verso<br />

forme di intuizionismo, o irrazionalismo, o fatalistica rassegnazione di fronte<br />

all’imprevedibilità di ogni decisione giudiziale sul fatto. Infine, non si deve<br />

nemmeno credere che la funzione <strong>del</strong>la prova sia quella di persuadere il giudice:<br />

non sia mai, questi sono cattivi pensieri, che possono venire in mente solo<br />

agli avvocati e ai filosofi <strong>del</strong>la nouvelle rhétorique.<br />

Il « libero convincimento » non può tuttavia avere solo un significato negativo,<br />

per rapporto a tutte queste aberrazioni: deve avere anche un significato<br />

positivo, se si vuole che il giudizio di fatto sia un’operazione razionale, assoggettabile<br />

al controllo <strong>del</strong>le parti e dei giudici <strong>del</strong>le impugnazioni, quando esistono,<br />

nonché naturalmente al controllo « diffuso » <strong>del</strong>la collettività nel cui nome<br />

si pronunciano le sentenze.<br />

Ma allora, così prosegue l’argomentazione, se i parametri di questa indispensabile<br />

razionalità non possono essere dettati dalla legge, bisognerà ricavarli<br />

aliunde: dall’epistemologia, dalla logica formale, dalle teorie <strong>del</strong>la probabilità,<br />

dalle scienze statistiche, dalla metodologia <strong>del</strong>la ricerca empirica.<br />

Storicamente, i giuristi hanno sempre ottusamente pensato che il tema<br />

<strong>del</strong>la conoscenza <strong>del</strong> fatto, cioè <strong>del</strong>l’« accertamento <strong>del</strong>la verità », nel processo<br />

si identifichi con il diritto <strong>del</strong>le prove. Ma non è così: perché il giudice,<br />

di fronte all’accertamento di un fatto storico (o più esattamente alla verifica<br />

<strong>del</strong>le proposizioni che affermano o negano l’esistenza di quel fatto), si<br />

trova in via di principio nella stessa situazione di chiunque debba raggiungere<br />

una conclusione o formulare una decisione sulla base di fatti non immediatamente<br />

evidenti. La cognizione <strong>del</strong> giudice dunque subirà bensì limiti e<br />

condizionamenti vari (il minor numero possibile, per carità, come voleva


426<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Bentham), dettati appunto dalla disciplina legale <strong>del</strong>l’istruzione probatoria;<br />

ma, al di fuori di queste strettoie, sarà guidata solo dal lume <strong>del</strong>la ragione e<br />

<strong>del</strong> buon senso.<br />

Come spiega William Twining, altro è parlare di evidence, altro di proof, o<br />

di factfinding, nozioni assai più ampie che comprendono l’impiego, nel processo,<br />

di tutti quegli strumenti cognitivi e quelle forme di razionalità che valgono<br />

nella vita comune, oppure nell’indagine storica o scientifica: e questo impiego è<br />

anzi preponderante rispetto all’applicazione <strong>del</strong>le norme, che possono concepirsi<br />

come fenomeni accidentali ed intermittenti, come il rumore rispetto al silenzio,<br />

le macchie sulla pelle <strong>del</strong> leopardo, le sporadiche e parziali apparizioni <strong>del</strong><br />

gatto <strong>del</strong> Cheshire, in Alice, rispetto alla sua abituale invisibilità. (Meno felice<br />

mi sembra la metafora <strong>del</strong> formaggio svizzero, dato che una forma in cui i buchi<br />

fossero quantitativamente prevalenti si disgregherebbe).<br />

8. – Leggendo o sentendo questi discorsi, mi è accaduto in passato di chiedermi<br />

se e come sia davvero possibile imporre ai giudici il rispetto dei principii<br />

<strong>del</strong>la logica formale o l’applicazione <strong>del</strong> teorema di Bayes, senza tradurli, contraddittoriamente,<br />

in norme di legge: il che ha indotto qualche amico carissimo<br />

a definirmi affettuosamente un nostalgico <strong>del</strong> medioevo, un irrazionalista, e addirittura<br />

un « verificazionista <strong>del</strong>uso » (lusinghiero epiteto popperiano). Ma io<br />

non sono riuscito ancora a pentirmi, nemmeno dopo aver letto il saggio di William<br />

Twining dal titolo Taking Facts Seriously, dove argutamente si propone di<br />

istituire nelle facoltà di diritto anche corsi e dottorati « sul fatto ».<br />

Certo, devo ammettere che anch’io, quando ricevo dagli studenti, agli<br />

esami, risposte tanto insensate da non meritare neppure la qualifica di « sbagliate<br />

», mi rammarico sempre <strong>del</strong> fatto che nelle nostre facoltà non si impartiscano<br />

insegnamenti obbligatori e propedeutici di logica elementare, geometria<br />

euclidea, grammatica e buon senso. Anch’io credo dunque che non ci sia niente<br />

di male, ed anzi molto di bene, nell’idea che, in qualche fase <strong>del</strong>la formazione<br />

culturale e professionale dei giuristi, qualcuno insegni loro « a ragionare », con<br />

la speranza che di questo insegnamento facciano poi buon uso anche quando si<br />

troveranno a discutere sulla valutazione <strong>del</strong>le prove in sede giurisdizionale.<br />

Ma un conto è l’educazione giovanile dei giuristi, un altro conto sono i<br />

precetti impartiti direttamente dalla dottrina alla giurisprudenza nella forma teorica<br />

ed astratta dei principii logici <strong>del</strong> « ragionamento probatorio » ovvero mediante<br />

qualche decalogo di accorgimenti per la valutazione <strong>del</strong>le prove. Operazione<br />

che francamente continua a sembrarmi velleitaria.<br />

Da un lato, infatti, non mi sembra realistico pensare che i nostri giudici,<br />

dei quali proprio questa dottrina lamenta la insensibilità ai dettami di qualunque<br />

moderna epistemologia, o talvolta addirittura ai postulati <strong>del</strong>la logica comune<br />

(personalmente sarei un po’ meno severo), siano poi disposti a riconoscere<br />

i propri errori e a ricostruire le tecniche <strong>del</strong> proprio lavoro quotidiano<br />

sulla base di regole così lontane, nella loro algida formulazione astratta, dal<br />

disordinato groviglio di informazioni eterogenee che costituisce il contenuto<br />

dei fascicoli.


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 427<br />

Di fatto, non risulta che stia succedendo nulla di questo genere, nonostante<br />

che i predetti ammonimenti dottrinali si ripetano da almeno trent’anni.<br />

Dall’altro lato, quando si dice, in termini apparentemente più pragmatici,<br />

che i giudici dovrebbero valutare le prove secondo i parametri di razionalità invalsi<br />

nella cultura comune <strong>del</strong> contesto sociale di appartenenza (le care vecchie<br />

« regole di esperienza »), e non mediante metodi irrazionali; tenere conto di<br />

tutti i dati empirici acquisiti al processo e non di alcuni soltanto; prestare fede<br />

alle nozioni scientifiche accreditate nella comunità degli specialisti e non alle<br />

trovate <strong>del</strong>la junk science; privilegiare la coerenza interna ed esterna <strong>del</strong>le dichiarazioni<br />

dei testi e <strong>del</strong>le parti, e così via: si formulano raccomandazioni ovviamente<br />

ragionevoli e condivisibili, ma probabilmente poco incisive, sia appunto<br />

per la loro ovvietà, sia perché non si riferiscono – a differenza di quelle<br />

<strong>del</strong>lo Speculum judiciale o di Bartolo – ad una casistica specifica e concreta,<br />

bensì rimangono nella stessa dimensione generale ed astratta in cui si collocano<br />

gli enunciati <strong>del</strong>la logica formale e le formule dei calcoli probabilistici.<br />

Forse sarebbe più utile, anche se più faticoso (e infatti non lo si fa mai),<br />

pubblicare le parti « in fatto » di una serie di sentenze di merito su un tema determinato<br />

e ricorrente (per esempio: la conoscenza <strong>del</strong>lo stato di insolvenza<br />

nella revocatoria fallimentare) e poi confrontarle e commentarle con medioevale<br />

pazienza e umiltà. Così potrebbe essere la stessa giurisprudenza, in definitiva,<br />

ad educare sé stessa. I giudici, si sa, sono presuntuosi, e forse non hanno<br />

neanche tutti i torti, se è vero che proprio i logici e gli epistemologi – come ci<br />

ricordava Alessandro Giuliani – hanno per secoli eretto a mo<strong>del</strong>lo proprio la<br />

logica giudiziaria.<br />

9. – Riconosco che su argomenti come questi è molto più facile (forse<br />

troppo) criticare le teorie altrui che svolgerne di proprie, diverse e più soddisfacenti,<br />

proprio perché (per citare questa volta adesivamente l’amico Michele Taruffo)<br />

« l’intera storia <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>le prove, nel nostro come negli altri ordinamenti,<br />

potrebbe essere letta come la storia dei tentativi compiuti dai legislatori<br />

e dalla dottrina per prevenire o almeno limitare l’arbitrio <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong><br />

fatto », e nessuno può illudersi di dare individualmente un contributo rilevante a<br />

questi sforzi millenari.<br />

Possiamo tuttavia almeno cercare di intenderci sui termini <strong>del</strong> problema,<br />

magari ripartendo proprio dall’intuizione chiovendiana <strong>del</strong>la esistenza di un rapporto<br />

significativo tra « forme <strong>del</strong> procedimento » e « funzione <strong>del</strong>la prova ».<br />

Il fatto è – come tutti dovremmo riconoscere senza con ciò rinunciare<br />

all’« ottimismo razionalista » che secondo Twining ha sostanzialmente sempre<br />

accomunato tutti gli studiosi <strong>del</strong>le prove – che cercare di imporre un ordine e<br />

una disciplina alla valutazione <strong>del</strong>le prove, cioè di regolare la formazione <strong>del</strong><br />

giudizio di fatto nel segreto <strong>del</strong>la « camera di consiglio », e tanto più nella impenetrabile<br />

« camera di consiglio interiore » <strong>del</strong> giudice monocratico, non è<br />

soltanto difficile, ma probabilmente impossibile, se si pensa ad una disciplina<br />

fatta di precetti espliciti e diretti, quale che ne sia la fonte.


428<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Ciò che però può essere disciplinato da regole analitiche e vincolanti sono<br />

proprio le « forme <strong>del</strong> procedimento », cioè la raccolta <strong>del</strong>le informazioni utilizzabili<br />

per il giudizio, le modalità <strong>del</strong>la decisione, e prima ancora la costituzione<br />

<strong>del</strong> giudice. E qui è <strong>del</strong> tutto lecito e ragionevole chiedersi quali siano, in<br />

ogni determinato contesto storico, culturale e istituzionale, le « forme » più idonee<br />

a creare le condizioni migliori per un giudizio « razionale »; o, per usare<br />

parole meno impegnative ed evitare un circolo vizioso, un giudizio che possa<br />

essere compreso e possibilmente condiviso dalla collettività che deve assumerne<br />

idealmente la paternità e dalle parti che devono subirne gli effetti.<br />

Il fatto che il trend dottrinale in questione non dedichi adeguata attenzione<br />

a questi temi deriva, a mio avviso, proprio dalle premesse teoriche generali di<br />

cui poco fa parlavo, e in particolare dalla diffusa propensione a negare o sottovalutare<br />

la specificità <strong>del</strong>la prova giuridica, o meglio giudiziaria. Parafrasando<br />

Corrado Vocino, vorrei dire che in questo caso la colpa non è tanto di Voltaire,<br />

quanto di Jeremy Bentham e <strong>del</strong>la sua battaglia contro le « regole di esclusione<br />

» che così tanto e così immeritatamente (ma questa è un’opinione strettamente<br />

personale, avversata dall’amico Sergio Chiarloni) ha influenzato la dottrina<br />

successiva, ed anzi, fino ad epoca recente, più quella continentale che<br />

quella di common law.<br />

Sedotti dalla retorica benthamiana, infatti, i suoi seguaci sembrano ritenere<br />

che l’unico ostacolo sulla via <strong>del</strong>la desiderata assimilazione <strong>del</strong>la cognizione<br />

<strong>del</strong> giudice a quella <strong>del</strong>lo storico, <strong>del</strong>lo scienziato, o <strong>del</strong> buon padre di famiglia,<br />

sia costituito appunto dalle regole di esclusione, oltre che naturalmente da<br />

quelle di prova legale in senso stretto. Ma si tratta di una illusione ottica, perché<br />

la vera e insopprimibile « specificità » <strong>del</strong>la prova giudiziaria consiste molto<br />

più semplicemente nel fatto che le operazioni conoscitive <strong>del</strong> giudice si collocano<br />

comunque e per definizione entro la struttura di un processo, e dunque in<br />

un contesto necessariamente diverso da quello in cui si collocano le corrispondenti<br />

operazioni mentali <strong>del</strong> nostro paterfamilias, per quanto queste possano<br />

apparire in sé e per sé simili, o anche identiche, in sede di analisi logica ed epistemologica.<br />

Per far sì che la prova giudiziaria sia sottoposta solo alle regole extranormative<br />

che presiedono a qualunque razionale giudizio di fatto, non basterebbe<br />

dunque eliminare ogni forma di « legalità <strong>del</strong>la prova », né adottare la « procedura<br />

naturale » di Bentham che tanto affascinava anche Chiovenda: bisognerebbe<br />

abolire <strong>del</strong> tutto il processo.<br />

In altre parole, per ritornare alle metafore già ricordate, sarà anche vero<br />

che il rumore, le macchie <strong>del</strong> leopardo e le parti visibili <strong>del</strong> gatto <strong>del</strong> Cheshire<br />

sono accidenti, o fenomeni intermittenti, rispetto a uno sfondo più vasto ed<br />

aperto. Ma l’accertamento <strong>del</strong> fatto nel processo, quali che ne siano gli strumenti,<br />

si svolge comunque all’interno di una struttura che rimane chiusa, specifica<br />

ed artificiale, cioè più semplicemente giuridica, e che già di per sè condiziona<br />

pesantemente l’attività cognitiva <strong>del</strong> giudice, anche per gli aspetti non regolati<br />

dal diritto <strong>del</strong>le prove. Come lapidariamente diceva Francesco Carrara, il


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 429<br />

giudice deve decidere sul fatto bensì « secondo ragione », ma anche « secondo<br />

il processo ».<br />

10. – Consideriamo quell’elemento fondamentale, non istruttorio, <strong>del</strong>la disciplina<br />

di qualunque processo, che è la costituzione <strong>del</strong> giudice. Semplificando,<br />

questo potrà essere un giudice professionale o un laico, una persona sola o<br />

una pluralità di persone, e in questo caso si potrà trattare di un collegio di soli<br />

professionisti, o di soli laici, o misto. E il giudice <strong>del</strong> fatto potrà essere investito<br />

contemporaneamente anche <strong>del</strong> giudizio di diritto, oppure questo potrà essere<br />

affidato ad altri.<br />

Ora, è difficile credere che i meccanismi <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong> convincimento<br />

(Chiovenda avrebbe appunto parlato di « funzione <strong>del</strong>la prova »), per<br />

quanto « naturali » e « universali », siano esattamente i medesimi per tutti questi<br />

giudici: e così ad esempio per un collegio, che si pronuncerà presumibilmente<br />

dopo uno scambio dialettico di opinioni al suo interno, e per un giudice<br />

monocratico, che deciderà in esito a una meditazione solitaria.<br />

Mi conforta vedere che la stessa opinione è condivisa, molto più autorevolmente,<br />

da Mirjan Damaška in un recente lucido saggio su Epistemology and<br />

legal regulation of proof.<br />

Pensiamo poi alla disciplina procedimentale <strong>del</strong>la decisione sul fatto. Dovrà<br />

pur essere la legge, e non con regole stricto sensu probatorie, a stabilire se<br />

questa debba essere resa subito dopo l’acquisizione <strong>del</strong>le prove o a distanza di<br />

tempo; se debba consistere in un verdetto oracolare oppure essere corredata da<br />

una motivazione scritta; se sia censurabile e annullabile da qualche organo diverso<br />

dal giudice che l’ha pronunciata; e così via. Anche queste variabili strutturali<br />

non potranno non interferire con la « funzione <strong>del</strong>la prova ».<br />

Consideriamo infine le modalità con cui il giudice recepisce le informazioni<br />

dalle quali dovrà trarre il giudizio di fatto, prendendo ad esempio, per comodità,<br />

proprio la contrapposizione chiovendiana tra processo orale e processo<br />

scritto.<br />

Io credo che Chiovenda avesse ragione nel ritenere profondamente diverse<br />

la posizione <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> « processo orale », che si forma ed esprime il proprio<br />

convincimento sui fatti controversi sulla base <strong>del</strong>le sole informazioni raccolte<br />

immediatamente prima, nell’« aria » e nella « luce » di un’udienza dibattimentale,<br />

e quella <strong>del</strong> giudice che, prigioniero dei « labirinti » <strong>del</strong> « processo<br />

scritto », esamina e valuta nel raccoglimento <strong>del</strong>la camera di consiglio le risultanze<br />

istruttorie accumulatesi nel tempo in un <strong>fascicolo</strong> impolverato. Ma la differenza<br />

non sta nel fatto che solo il primo è in grado di riconoscere la falsità di<br />

un testimone che arrossisce o balbetta: questo è soltanto folklore.<br />

Ci sono altri caratteri differenziali molto più significativi sul piano <strong>del</strong>la<br />

« funzione <strong>del</strong>la prova ». E il primo, come ancora giustamente rileva Damaška,<br />

è banalmente quantitativo.<br />

Il materiale istruttorio utilizzato dal giudice <strong>del</strong>l’oralità sarà di regola<br />

molto ridotto, a causa sia dei limiti temporali <strong>del</strong>l’udienza (o <strong>del</strong>le poche udien-


430<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ze ravvicinate di cui parlava anche Chiovenda), sia <strong>del</strong>l’interesse dei difensori a<br />

comporre le rispettive « storie » (per usare termini e concetti diffusi nella letteratura<br />

anglo-americana) con pochi e vistosi elementi, così da evitare che il giudice<br />

<strong>del</strong> fatto si distragga o si confonda. Nel caso <strong>del</strong> processo scritto, invece, il<br />

<strong>fascicolo</strong> si irrobustisce e « stagiona » senza fretta (come diceva il sommo Rabelais)<br />

e non ha limiti di capienza: ci si può mettere di tutto.<br />

Correlativamente, sarà indispensabile che le informazioni fattuali destinate<br />

alla valutazione « immediata » <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’oralità siano accuratamente selezionate:<br />

che siano – per usare in senso generico e metaforico un’espressione<br />

che nel sistema <strong>del</strong>l’Evidence ha anche un significato più preciso – soltanto « le<br />

prove migliori ».<br />

Soprattutto per questo si elaboreranno e si imporranno, come appunto è<br />

avvenuto storicamente nel trial anglosassone, le « regole di esclusione »: non<br />

già perché, come pensava Bentham, la losca consorteria dei giudici e degli avvocati<br />

si diverta a fare <strong>del</strong>l’istruzione probatoria un esperimento bizzarro ed<br />

esoterico. E probabilmente nemmeno perché, come più seriamente pensava<br />

Thayer, dove il giudice è laico sia necessario proteggerlo da informazioni fuorvianti.<br />

Il fatto è, piuttosto, che in un processo concentrato ed immediato mancano<br />

il tempo e gli strumenti per confutare la validità o il peso di prove che, comunque,<br />

siano state acquisite nell’imminenza <strong>del</strong>la decisione.<br />

Diversamente stanno le cose nel processo « scritto ». Qui, come si è detto,<br />

le informazioni disponibili per la decisione sul fatto saranno molte di più, perché<br />

le parti, nella loro attività istruttoria, non penseranno alla preparazione di un<br />

breve e drammatico day in court, ma dedurranno a prova o inseriranno nel <strong>fascicolo</strong><br />

tutto ciò che in qualche modo potrà in seguito contribuire a sorreggere<br />

le loro allegazioni: non si sa mai, melius abundare quam deficere.<br />

Questo materiale sarà dunque scarsamente selezionato, e perfino il limite<br />

generale <strong>del</strong>la rilevanza, e quelli insiti nelle modalità di assunzione <strong>del</strong>le prove<br />

« costituende », così come le preclusioni temporali per l’acquisizione anche<br />

<strong>del</strong>le prove « precostituite », potranno essere aggirati introducendo comunque<br />

nel <strong>fascicolo</strong> in forma documentale – se <strong>del</strong> caso surrettiziamente – le informazioni<br />

che essi escluderebbero.<br />

Toccherà poi al giudice, a distanza di tempo, estrarre dal voluminoso <strong>fascicolo</strong><br />

tutto questo materiale, riordinarlo, esaminarlo (magari più di una volta),<br />

analizzarlo, compararne i singoli elementi (comme doit faire le bon juge, diceva<br />

ancora Rabelais), fino ad estrarne una meditata decisione razionale, oppure a<br />

gettare i dadi, come l’immortale giudice Bridoye, confidando nelle Intelligenze<br />

Motrici.<br />

Beninteso, non è escluso che i pericoli insiti in questi due diversi modi di<br />

giudicare sul fatto siano in qualche modo simili, dato che, come il giudice<br />

<strong>del</strong>l’oralità può essere sviato da sensazioni e impressioni superficiali, così il<br />

giudice <strong>del</strong>la scrittura può smarrirsi o distrarsi nel pelago <strong>del</strong>le carte, e limitarsi<br />

allora a tastarle o annusarle, con la speranza di intuire approssimativamente<br />

« come sono andate le cose ».


FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 431<br />

Resta il fatto che si tratta di due meccanismi valutativi diversi.<br />

11. – Come si vede, insomma, è probabile che siano soprattutto le « forme<br />

<strong>del</strong> procedimento » a condizionare la « funzione <strong>del</strong>la prova »: proprio come<br />

diceva Chiovenda.<br />

Pertanto l’attenzione alla disciplina e allo studio di queste forme (secondo<br />

i rispettivi ruoli <strong>del</strong> legislatore e <strong>del</strong>la dottrina) potrebbe rivelarsi in definitiva<br />

più utile <strong>del</strong> tentativo di imporre dall’esterno un ordine e un regolamento alle<br />

insondabili operazioni mentali <strong>del</strong> giudice.<br />

Dopo di che, sarà ovviamente impossibile stabilire una volta per tutte quali<br />

siano le « forme » più consone alla migliore razionalizzazione <strong>del</strong> giudizio di<br />

fatto, eliminando allora tutte le altre varianti rintracciabili nella storia e nel diritto<br />

comparato: sia perché lo stesso concetto di « accertamento <strong>del</strong>la verità »<br />

non è costante nel tempo e nello spazio; sia soprattutto perché nell’organizzazione<br />

<strong>del</strong> processo in ogni suo aspetto (compresa l’istruzione probatoria in<br />

senso stretto) pesano fattori ed esigenze di natura « non epistemica », bensì sociale,<br />

istituzionale, politica, economica e culturale.<br />

Basterebbe soltanto ricordare che il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> trial by jury, nonostante il<br />

fascino irresistibile che ha sempre esercitato anche sui giuristi « continentali »,<br />

non ha praticamente mai potuto essere esportato, ed anche nei suoi Paesi di origine<br />

ha sempre avuto, specie nel civile, un’applicazione ridotta, divenuta col<br />

tempo marginale.<br />

Di tutto ciò Chiovenda sembrava non rendersi conto, o disinteressarsi,<br />

quando, partendo dalla convinzione che l’oralità fosse « così bella e ragionevole<br />

» (cioè da una scelta che era ad un tempo estetica e razionalistica), ci costruiva<br />

intorno, in vitro, un mo<strong>del</strong>lo di processo e di istruzione probatoria palesemente<br />

impraticabile (almeno come strumento generale e quotidiano di risoluzione<br />

<strong>del</strong>le controversie) e pretendeva di vederlo già adottato ed operante nei<br />

più disparati contesti geografici e istituzionali, dal Regno di Gran Bretagna al<br />

Cantone di Zurigo e all’Impero <strong>del</strong> Sol Levante.<br />

12. – Ritornando infine, per concludere, al fenomeno <strong>del</strong>l’allontanamento<br />

<strong>del</strong> giudice dalla prova, che in misura crescente caratterizza i processi civili dei<br />

nostri giorni, e non solo da noi, dovrebbero essere evidenti le ragioni soprattutto<br />

economiche che ne stanno alla base, e sarebbe quindi inutile gridare allo scandalo.<br />

Se peraltro da questo fenomeno non può derivare, come si è visto, alcun<br />

« ritorno » ad un immaginario sistema <strong>del</strong>la prova legale, certo può discenderne<br />

una significativa « corruzione » <strong>del</strong> libero convincimento, nel senso di una<br />

maggiore difficoltà per il giudice <strong>del</strong> merito, comunque costituito, di interpretare<br />

e valutare razionalmente le informazioni raccolte da altri e altrove.<br />

Se e come si possa ovviare a questo indefinibile pericolo, non è facile dire.<br />

Ma ritengo che i rimedi debbano essere cercati, ancora una volta, nella disciplina<br />

<strong>del</strong>le « forme <strong>del</strong> procedimento ».


432<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Prima di tutto, allora, sarà necessario distinguere per quanto possibile,<br />

nell’àmbito di queste « prove lontane », tra quelle che si sono formate, oltre che<br />

altrove, anche ad altri fini o in funzione di altri giudizi (ad es. quelle raccolte in<br />

un processo penale), e sono importate nel giudizio ad quem in forma documentale,<br />

come « prove atipiche »; e quelle che invece si sono formate in funzione di<br />

questo specifico giudizio di merito (come le prove assunte in via preventiva),<br />

ovvero nel contesto di esso ma non in presenza e sotto il controllo diretto <strong>del</strong><br />

giudice <strong>del</strong> fatto (come sostanzialmente tutte le prove costituende in un processo<br />

« scritto » in senso chiovendiano).<br />

In questa seconda serie di ipotesi, la legge processuale potrà e dovrà dettare<br />

modalità rigorose di formazione <strong>del</strong>la prova nel rispetto <strong>del</strong> contraddittorio<br />

(ometto per brevità ulteriori analisi e specificazioni); ma dovrà anche e soprattutto<br />

fare sì che la prova destinata ad essere conosciuta dal giudice solo<br />

« traverso i verbali » gli arrivi in condizioni di accettabile integrità e « freschezza<br />

». Risultato, questo, che non è certo garantito dagli illeggibili ed inverosimili<br />

verbali manoscritti <strong>del</strong>le nostre cause civili, obbrobrio che nessuna esigenza di<br />

economia può giustificare.<br />

Ma se invece si pensa alle varie e più evolute forme di registrazione e conservazione<br />

<strong>del</strong>la prova già sperimentate anche da noi nel processo penale e nella<br />

prassi dei procedimenti arbitrali (stenotipia, registrazione magnetica, fonoscrittura,<br />

etc.), non è detto che non possano derivarne per il « prudente apprezzamento<br />

» <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> fatto risultati anche migliori di quelli <strong>del</strong>la teatrale immediatezza<br />

chiovendiana. (Qualche volta può capitare anche a un laudator temporis<br />

acti di guardare con favore al progresso tecnologico. Non c’è contraddizione:<br />

i verbali dei notai medioevali erano splendidamente analitici).<br />

Nel caso <strong>del</strong>le vere « prove atipiche », invece, la disciplina <strong>del</strong>le modalità<br />

di formazione <strong>del</strong>la prova rimarrà inevitabilmente estranea al regolamento <strong>del</strong><br />

processo ad quem, che pertanto potrà soltanto occuparsi <strong>del</strong>le condizioni e dei<br />

limiti di utilizzabilità <strong>del</strong> loro risultato. Ma non certo attribuendo espressamente<br />

alla prova atipica una efficacia inferiore, come contraddittoriamente è stato proposto<br />

proprio da qualche nemico <strong>del</strong>le « prove legali », bensì mediante ragionevoli<br />

« regole di esclusione » imperniate soprattutto sulla costituzione <strong>del</strong> contraddittorio<br />

nella sede donde la prova proviene. Ovvero, se queste regole non si<br />

ritengono concretamente praticabili, almeno offrendo al giudice – proprio grazie<br />

all’impiego dei più affinati strumenti di raccolta e di conservazione <strong>del</strong>le<br />

prove « tipiche », di cui si è detto – la possibilità di sottoporre a razionale ed<br />

utile confronto critico, ovunque possibile, le risultanze acquisite attraverso<br />

l’uno e l’altro percorso. Il che per lo meno eviterebbe il paradosso, al quale oggi<br />

capita di assistere, per il quale la prova atipica, proveniente da altra precedente<br />

e autonoma sede (un processo penale, un processo estero, un arbitrato) si presenta<br />

in realtà molto migliore (più completa, più intelligibile) di quella appositamente<br />

formata nel processo dove ora si tratta di valutarla.<br />

BRUNO CAVALLONE


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI (*)<br />

SOMMARIO: 1. Alcune precisazioni terminologiche. – 2. Conseguenze applicative<br />

sulla disciplina <strong>del</strong>l’esibizione. – 3. La c.d. relatività <strong>del</strong> vincolo<br />

di indisponibilità <strong>del</strong>le prove documentali esibite o offerte in comunicazione<br />

dalle parti. – 4. Il giudizio di ammissione <strong>del</strong>le prove documentali.<br />

1. – Qualsiasi tentativo di riflessione sull’attuale disciplina positiva <strong>del</strong>la<br />

produzione ed esibizione dei documenti necessita di alcune preliminari precisazioni<br />

di carattere terminologico, necessarie a mio avviso per mettere a fuoco<br />

alcuni degli ancora irrisolti nodi concernenti l’acquisizione al processo dei<br />

mezzi di prova precostituiti e proporre <strong>del</strong>le soluzioni sulle quali sia possibile<br />

almeno aprire un dibattito (1).<br />

Se riferiti ai documenti, i termini « produrre » ed « esibire » sono, nel linguaggio<br />

comune, sinonimi di presentare: produce o esibisce un documento chi<br />

lo presenta, lo sottopone a qualcuno, a nulla rilevando che tale attività sia<br />

spontanea o sia invece provocata da un invito o un ordine <strong>del</strong>l’autorità; la mera<br />

esibizione peraltro, al contrario <strong>del</strong>la produzione, non implica nel linguaggio<br />

comune la consegna fisica o il deposito <strong>del</strong> documento e così la perdita, almeno<br />

temporanea, <strong>del</strong> possesso o <strong>del</strong>la detenzione, essendo la stessa connotata da un<br />

carattere di provvisorietà (2).<br />

––––––––––––<br />

(*) Questo scritto riproduce, con qualche modifica e con l’aggiunta <strong>del</strong>le note, il testo<br />

<strong>del</strong>la Relazione al XXV Convegno <strong>del</strong>l’Associazione nazionale fra gli studiosi <strong>del</strong><br />

processo civile, tenutosi a Cagliari il 6, 7 e 8 ottobre 2005.<br />

(1) Va tenuto presente infatti che, anche nel linguaggio tecnico giuridico, i termini<br />

produzione ed esibizione hanno assunto nel tempo diversi e molteplici significati. Secondo<br />

la terminologia adottata da Chiovenda e mutuata da Andrioli, ad esempio, la<br />

« produzione » ha indistintamente ad oggetto tutte le prove, e « può consistere o nella<br />

esibizione di prove già complete ed immediatamente disponibili (precostituite), o nella<br />

istanza perché siano ammessi e compiuti i procedimenti per la esibizione di prove d’altra<br />

natura »: cfr. G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, rist., Napoli 1965, p.<br />

798; V. Andrioli, voce Prova (diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XIV, Torino<br />

1967, p. 260 ss., spec. p. 270 s.<br />

(2) Cfr. in argomento A. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano,<br />

Milano 2003, p. 3 ss.; S. La China, L’esibizione <strong>del</strong>le prove nel processo civile,


434<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Parzialmente diverso è invece il significato assunto dai due termini nel lessico<br />

<strong>del</strong> vigente codice di rito, che prende in considerazione i documenti come<br />

mezzi dei quali ci si può servire per la dimostrazione <strong>del</strong>l’esistenza o <strong>del</strong>l’inesistenza<br />

di un fatto rilevante per il giudizio, ovverosia come mezzi di prova,<br />

così come hanno recentemente ribadito, in due recenti e coeve sentenze, le Sezioni<br />

Unite <strong>del</strong>la Corte di Cassazione, chiamate a comporre i contrasti giurisprudenziali<br />

registratisi in punto di ammissione di nuovi documenti in appello,<br />

nel rito ordinario e in quello <strong>del</strong> lavoro (3).<br />

Dette sentenze, che hanno già suscitato vivaci e contrastanti reazioni in<br />

dottrina (4), sono certamente destinate a far discutere per avere da un lato ingiustamente<br />

obliterato i poteri istruttori d’ufficio attribuiti dal legislatore al giudice<br />

nel rito <strong>del</strong> lavoro (5), in grado di appello non meno che nel giudizio di primo<br />

grado, e per avere dall’altro lato messo involontariamente a nudo l’intrinseca<br />

––––––––––––<br />

Milano 1960, p. 1 ss.; V. Sparano, L’esibizione di prove nel processo civile, Napoli 1961,<br />

p. 1 ss.<br />

(3) Cass., sez. un., 20 aprile 2005, nn. 8202 e 8203, in questa Rivista 2005, p. 1051<br />

ss., con nota di B. Cavallone, Anche i documenti sono « mezzi di prova » agli effetti degli<br />

artt. 345 e 437 c.p.c.; in Corr. giur. 2005, p. 929 ss. con note di G. Ruffini, Preclusioni<br />

istruttorie in primo grado e ammissione di nuove prove in appello: gli artt. 345, comma<br />

3, e 437, comma 2, c.p.c. al vaglio <strong>del</strong>le Sezioni Unite, e C. Cavallini, Le Sezioni Unite<br />

restringono i limiti <strong>del</strong>le nuove produzioni documentali nell’appello civile, ma non le<br />

vietano; in Foro it. 2005, I, c. 1690 ss., con note di D. Dalfino, Limiti all’ammissibilità di<br />

documenti nuovi in appello: le sezioni unite compongono il contrasto di giurisprudenza<br />

(anche con riferimento al rito ordinario), C.M. Barone, Nuovi documenti in appello: è<br />

tutto chiarito? e A. Proto Pisani, Nuove prove in appello e funzione <strong>del</strong> processo; ivi<br />

2005, I, c. 2719 ss., con nota di C.M. Cea, Principio di preclusione e nuove prove in appello;<br />

in Giur. it. 2005, p. 1460 ss., con nota di A.M. Socci, Le sezioni unite sulla produzione<br />

dei documenti (in appello e in primo grado) e sui poteri <strong>del</strong> giudice nel rito ordinario<br />

e <strong>del</strong> lavoro, tra stop and go.<br />

(4) Cfr. gli Autori citati alla nota precedente, ai quali adde G. Balena, Le preclusioni<br />

istruttorie tra concentrazione <strong>del</strong> processo e ricerca <strong>del</strong>la verità, Relazione al XXV<br />

Congresso <strong>del</strong>l’Associazione fra gli studiosi <strong>del</strong> processo civile, in corso di pubblicazione<br />

nei relativi Atti, nn. 17-18; R. Oriani, Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. A<br />

proposito <strong>del</strong>l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione e di non condivisibili interpretazioni<br />

<strong>del</strong>l’art. 345, 2° comma, c.p.c. (II), in Corr. giur. 2005, p. 1156 ss., spec. p. 1173; Id.,<br />

L’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione è rilevabile d’ufficio: le sezioni unite <strong>del</strong>la Corte di<br />

cassazione abbandonano un indirizzo risalente al 1923, in Foro it. 2005, I, c. 2660 ss.,<br />

spec. c. 2665 s.<br />

(5) Tanto che non sono mancate successive pronunce discordi da parte <strong>del</strong>la Sezione<br />

Lavoro <strong>del</strong>la Suprema Corte: cfr. ad esempio Cass., sez. lav., 27 giugno 2005, n.<br />

13723, dove si afferma che il contratto collettivo di lavoro non prodotto in primo grado<br />

può essere prodotto per la prima volta in appello, trattandosi di prova precostituita e perciò<br />

non vietata dall’art. 437, comma 2°, c.p.c.


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 435<br />

ingiustizia ed irragionevolezza di una disciplina processuale che, non consentendo<br />

di rimediare, nemmeno in grado di appello, alle decadenze e preclusioni<br />

nelle quali le parti siano incorse nella fase introduttiva <strong>del</strong> giudizio di primo<br />

grado, sacrifica troppo disinvoltamente la giustizia ad una di per sé sola inutile,<br />

quanto chimerica, rapidità <strong>del</strong>la decisione. Non di meno le stesse hanno il pregio<br />

di avere chiarito, a fronte di taluni disorientamenti dottrinali e giurisprudenziali,<br />

che i documenti sono qualificabili a tutti gli effetti come mezzi di prova<br />

(6) e come tali sono e non possono non essere disciplinati nel nostro codice<br />

di rito (7).<br />

In contrasto con una più che autorevole e risalente dottrina (8), io non credo<br />

peraltro che la qualificazione dei documenti come mezzi di prova possa giustificare<br />

l’affermazione secondo la quale nel lessico <strong>del</strong> codice di rito la produzione<br />

<strong>del</strong> documento consisterebbe in una dichiarazione, avente per oggetto<br />

l’affermazione in ordine all’esistenza <strong>del</strong> documento e al suo collegamento col<br />

thema probandum, e si contrapporrebbe come tale all’esibizione, intesa come<br />

operazione processuale attraverso la quale il documento viene materialmente<br />

posto a disposizione <strong>del</strong>l’ufficio.<br />

Non solo infatti l’art. 87 disp. att. c.p.c. stabilisce chiaramente che la produzione<br />

dei documenti formatisi al di fuori <strong>del</strong> processo (9) avviene mediante il<br />

––––––––––––<br />

(6) Nello stesso senso in dottrina cfr. G. Chiovenda, Principii di diritto processuale<br />

civile, cit., pp. 812 s., 842; C. Lessona, Trattato <strong>del</strong>le prove in materia civile, I,<br />

Firenze 1914, pp. 86, 119 s.; F. Carnelutti, La prova civile, 2 a ed., Roma 1947, pp. 83<br />

s., 130 ss.; V. Denti, La verificazione <strong>del</strong>le prove documentali, Torino 1957, p. 28;<br />

Id., voce Prova documentale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano 1988, p.<br />

713 ss., spec. p. 716; E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile. Principi,<br />

6 a ed., Milano 2002, p. 315 s.; E. Redenti-M. Vellani, Diritto processuale civile, 4 a<br />

ed., II, Milano 1997, p. 66; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, 17 a ed., II, Torino<br />

2005, p. 106; S. La China, Diritto processuale civile. Le disposizioni generali,<br />

Milano 1991, p. 625; M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici, Milano 1992, pp. 421<br />

s., 438 ss.; G. Verde, voce Prova (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano<br />

1988, pp. 579 ss., 588 s.; L.P. Comoglio, Le prove civili, Torino 1998, p. 8 ss.; C.<br />

Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, Torino 2004, p. 1 s.; G. Ruffini, La prova nel<br />

giudizio civile di appello, Padova 1997, p. 214 ss.; A. Graziosi, L’esibizione istruttoria<br />

nel processo civile italiano, cit., p. 5; A. Tedoldi, L’istruzione probatoria<br />

nell’appello civile, Padova 2000, p. 222 ss.<br />

(7) Per la dimostrazione di tale assunto ed una ricognizione <strong>del</strong> dibattito dottrinale e<br />

giurisprudenziale sull’argomento, mi permetto di rinviare a G. Ruffini, La prova nel giudizio<br />

civile di appello, cit., p. 207 ss. Ma ancora oggi cfr., in senso contrario, C.M. Barone,<br />

op. cit., c. 1698 s.; A. Proto Pisani, op. cit., c. 1699 s.<br />

(8) Cfr. V. Denti, La verificazione, cit., p. 106, sulla scia di E. Betti, Diritto processuale<br />

civile italiano, 2 a ed., Roma 1936, p. 290.<br />

(9) Per i documenti che si formano nel processo cfr. V. Denti, voce Prova documentale<br />

(dir. proc. civ.), cit., p. 718 s.


436<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

materiale deposito degli stessi, ossia mediante il loro inserimento nel <strong>fascicolo</strong><br />

di parte o in quello d’ufficio (artt. 74 e 76 disp.att. c.p.c., art. 320 c.p.c., artt. 3 e<br />

5 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), tanto che al cancelliere è demandato il compito<br />

di rilasciarne copie ed estratti autentici (art. 58 c.p.c.), ma alla parte contro cui<br />

un documento è prodotto è altresì imposto l’onere di disconoscere la propria<br />

sottoscrizione o la propria scrittura alla prima udienza o nella prima difesa successiva<br />

alla produzione, il che davvero non si comprenderebbe se la produzione<br />

non fosse considerata dal legislatore quale attività materiale diretta a mettere il<br />

documento a disposizione <strong>del</strong>le altre parti e <strong>del</strong>l’ufficio, ai fini <strong>del</strong>la sua acquisizione<br />

al processo.<br />

Tutto ciò non significa, peraltro, che per i documenti prodotti in giudizio<br />

dalle parti non possa di regola parlarsi di proposizione e sia pertanto irrilevante,<br />

rispetto ad essi, la dichiarazione <strong>del</strong>l’esistenza degli stessi e <strong>del</strong> loro collegamento<br />

con il thema probandum (10): proposizione e produzione dei documenti<br />

sono infatti attività logicamente distinte, anche se per avventura cronologicamente<br />

coincidenti, e d’altra parte la produzione non è ammessa se i documenti<br />

non siano previamente o contestualmente indicati, e quindi proposti, quali mezzi<br />

di prova (11).<br />

Il fatto che i documenti, quali mezzi di prova, debbano entrare nel processo<br />

attraverso il loro materiale inserimento nel <strong>fascicolo</strong> di parte ovvero in quello<br />

d’ufficio, ossia con forme e modalità tali da consentire a tutte le parti di prenderne<br />

visione, estrarne copia e discuterne il contenuto, ed al giudice di trarne<br />

elementi di conoscenza utili ai fini <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong> proprio convincimento<br />

sui fatti di causa, e la circostanza che non sempre gli stessi documenti si trovano<br />

nel possesso <strong>del</strong>la parte che intende servirsene in giudizio, giustifica invece il<br />

diverso valore semantico assunto dal termine esibizione, che nel lessico <strong>del</strong> codice<br />

di rito perde innanzitutto il suo connotato di provvisorietà (12), per essere<br />

––––––––––––<br />

(10) Mi permetto in proposito di rinviare a G. Ruffini, La prova nel giudizio civile<br />

di appello, cit., p. 216 ss., non senza rilevare che la contraria opinione ora espressa da G.<br />

Balena, Le preclusioni istruttorie tra concentrazione <strong>del</strong> processo e ricerca <strong>del</strong>la verità,<br />

cit., n. 18, a parere <strong>del</strong> quale le prove documentali non sarebbero proposte, ma soltanto<br />

prodotte, si pone in contrasto con il disposto letterale <strong>del</strong>l’art. 115 c.p.c., che imponendo<br />

al giudice di fondare il proprio giudizio di fatto, in mancanza di diverse previsioni di legge,<br />

sulle prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, si riferisce evidentemente<br />

anche alle prove documentali.<br />

(11) Secondo Cass., sez. lav., 20 ottobre 2005, n. 20265, la parte che depositi documenti<br />

in giudizio ha l’onere di precisare lo scopo <strong>del</strong>la produzione in relazione alle<br />

proprie pretese, derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilità di controdedurre<br />

e risultando per il giudice preclusa la possibilità di tenere conto di detti documenti ai fini<br />

<strong>del</strong>la decisione.<br />

(12) Cfr. B. Cavallone, voce Esibizione <strong>del</strong>le prove nel diritto processuale civile, in<br />

Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino 1991, p. 664 ss., spec. p. 665; A. Graziosi, L’e-


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 437<br />

anch’essa finalizzata all’acquisizione al processo di un documento o di una cosa,<br />

come si evince agevolmente dall’art. 210 c.p.c.<br />

È noto inoltre che il nostro legislatore riserva il termine di esibizione a<br />

quella che, sulla base di esperienze provenienti da altri ordinamenti, si potrebbe<br />

altrimenti definire produzione forzata (13), effettuata da una parte o da un terzo<br />

in ottemperanza ad un ordine <strong>del</strong> giudice, emesso normalmente su istanza di<br />

parte ed in determinati casi anche d’ufficio (14); ed utilizza invece i verbi<br />

« depositare » e « produrre » per riferirsi all’attività <strong>del</strong>la parte che, essendo in<br />

possesso di un documento <strong>del</strong> quale intende avvalersi in giudizio, lo offra in<br />

comunicazione, mettendolo spontaneamente a disposizione <strong>del</strong>le altre parti e<br />

<strong>del</strong> giudice.<br />

Se peraltro è corretto il rilievo secondo il quale nel lessico <strong>del</strong> codice di<br />

rito il termine di esibizione, in senso tecnico, costituisce l’oggetto di un ordine<br />

<strong>del</strong> giudice e identifica il comportamento processuale <strong>del</strong>la parte o <strong>del</strong> terzo che<br />

a quell’ordine presti obbedienza (15), è altrettanto indubitabile che detto comportamento<br />

forzato <strong>del</strong>la parte o <strong>del</strong> terzo non consiste in altro che nel depositare<br />

in giudizio, nel produrre un documento o altra cosa di cui il giudice ritenga<br />

necessaria l’acquisizione al processo (16). Ciò è <strong>del</strong> resto fatto palese dal tenore<br />

letterale <strong>del</strong>l’art. 212 c.p.c., nel quale i verbi « esibire » e « produrre » sono utilizzati<br />

come sinonimi, e alla luce <strong>del</strong> quale appare corretto affermare che l’attività<br />

dovuta dal destinatario <strong>del</strong>l’ordine di esibizione di un documento o di un<br />

libro di commercio consiste nella produzione <strong>del</strong>l’originale, salvo che il giudice<br />

istruttore non disponga che, in sostituzione degli originali, siano prodotti copie<br />

o estratti autentici.<br />

––––––––––––<br />

sibizione istruttoria nel processo civile italiano, cit., p. 4; L.P. Comoglio, Le prove civili,<br />

cit., p. 375, nt. 9; F. Ferrari, La « prova migliore », Milano 2004, p. 289, nt. 44. Diversamente<br />

orientato, nel senso che il giudice possa ordinare che l’esibizione avvenga<br />

all’udienza, « con facoltà per il soggetto passivo di subito riprendere la cosa, dopo la descrizione<br />

nel verbale », cfr. A. Massari, voce Esibizione <strong>del</strong>le prove, in Noviss. dig. it.,<br />

VI, Torino 1960, p. 836 ss., spec. p. 845.<br />

(13) Cfr. B. Ficcarelli, Esibizione di documenti e discovery, Torino 2004, p. 47 ss.<br />

(14) Cfr. B. Cavallone, voce Esibizione <strong>del</strong>le prove, cit., p. 668 s.; L.P. Comoglio,<br />

Le prove civili, cit., p. 382 ss.; A. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile<br />

italiano, cit., p. 60 ss.<br />

(15) Cfr. L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 374; F. Ferrari, op. loc. ult. cit.; S.<br />

La China, L’esibizione <strong>del</strong>le prove nel processo civile, cit., p. 4 s.; E.T. Liebman, Manuale<br />

di diritto processuale civile. Principi, 6 a ed., cit., p. 337 s. C. Mandrioli, Diritto<br />

processuale civile, 17 a ed., II, cit., p. 240 ss.; E. Redenti – M. Vellani, Diritto processuale<br />

civile, 4 a ed., II, cit., pp. 90, 241; V. Sparano, L’esibizione di prove nel processo civile,<br />

cit., p. 7.<br />

(16) Cfr. S. La China, L’esibizione <strong>del</strong>le prove nel processo civile, cit., pp. 196 e<br />

103; L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 379.


438<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Non sembra pertanto esatto contrapporre all’esibizione la produzione, che<br />

anche nel linguaggio fatto proprio dal nostro codice di rito può essere sia spontanea<br />

che provocata, corrispondendo tanto all’attività di chi, volendo avvalersi<br />

di un documento in giudizio, lo offre in comunicazione, tanto all’attività di chi,<br />

ottemperando ad un ordine di esibizione, depositi in giudizio, mettendolo a disposizione<br />

<strong>del</strong>le parti e <strong>del</strong> giudice, un documento di cui quest’ultimo abbia ritenuto<br />

necessaria l’acquisizione. La produzione, sia spontanea che provocata, è<br />

infatti l’attività processuale attraverso la quale entrano nel processo, per essere<br />

acquisiti, i documenti e gli altri mezzi di prova precostituiti, in modo che le<br />

parti possano esercitare sugli stessi il contraddittorio ed il giudice, all’esito degli<br />

eventuali procedimenti diretti ad accertare l’autenticità o la falsità <strong>del</strong>le scritture,<br />

possa utilizzarli ai fini <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong> suo convincimento in ordine ai<br />

fatti di causa (17).<br />

Ciò che può contrapporsi all’esibizione, quale evento processuale forzato<br />

conseguente ad un ordine <strong>del</strong> giudice, non è quindi la produzione, ma la<br />

offerta in comunicazione dei documenti, evento processuale spontaneo ricollegato<br />

al potere dispositivo <strong>del</strong>le parti e disciplinato dal codice di rito sotto<br />

il profilo <strong>del</strong>l’onere di previa indicazione negli atti introduttivi dei documenti<br />

depositati in giudizio all’atto <strong>del</strong>la costituzione (artt. 163, 165, 166,<br />

167, 414, 415, 416 c.p.c.; artt. 3 e 5 d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003), <strong>del</strong>l’onere di indicazione<br />

con apposito elenco da comunicare alle altre parti, a norma <strong>del</strong>l’art.<br />

170, ult. cpv., c.p.c. dei documenti depositati in cancelleria dopo la costituzione<br />

(art. 87 disp.att. c.p.c.) ed infine <strong>del</strong> dovere di fare menzione nel relativo<br />

verbale dei documenti eventualmente prodotti in udienza (art. 87<br />

disp.att. c.p.c.) (18).<br />

––––––––––––<br />

(17) Cfr. già C. Lessona, Trattato <strong>del</strong>le prove in materia civile, I, cit., p. 118 ss.<br />

Nell’ordinamento vigente, cfr. L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 373 ss., nonché, con<br />

specifico riferimento all’esibizione e ai suoi rapporti con l’istituto <strong>del</strong>l’ispezione A. Graziosi,<br />

L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, cit., p. 88 ss.; S. La China,<br />

L’esibizione <strong>del</strong>le prove nel processo civile, cit., p. 203 ss.<br />

(18) Va precisato che nei procedimenti pretorili ancora disciplinati, ratione temporis,<br />

dalla normativa contenuta nel testo originario degli artt. 311-318 c.p.c., non ancora<br />

sostituiti dalla legge 23 novembre 1990, n. 353, la mancata previsione nell’art. 313 (contenuto<br />

<strong>del</strong>la domanda) <strong>del</strong>l’indicazione dei documenti offerti in comunicazione<br />

dall’attore e la previsione (art. 315) secondo la quale « i documenti prodotti dalle parti<br />

possono essere inseriti nel <strong>fascicolo</strong> d’ufficio » non esoneravano l’attore dall’onere di<br />

notificare al convenuto un elenco dei documenti depositati in cancelleria dopo la costituzione,<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 87 disp. att. c.p.c.; in argomento cfr. di recente Cass., 19 luglio<br />

2005, n. 15189, in Foro it. 2005, I, c. 323 ss., con nota su tale punto ingiustamente critica<br />

di C.M. Barone, Processo ordinario davanti al pretore e produzione di documenti: equivoci<br />

ed amnesie.


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 439<br />

2. – Sulla base di tali precisazioni terminologiche è senz’altro da condividere<br />

l’opinione che vuole applicabili anche alle scritture private esibite da una<br />

<strong>del</strong>le parti o da un terzo le norme dettate dagli artt. 214 ss. c.p.c. in tema di riconoscimento<br />

e verificazione <strong>del</strong>le scritture private prodotte in giudizio, con la<br />

conseguenza che la parte, richiedente l’esibizione, alla quale la scrittura esibita<br />

sia attribuita come propria ha l’onere di disconoscere la propria sottoscrizione o<br />

la propria scrittura alla prima udienza o nella prima difesa successiva alla esibizione<br />

e che l’altra parte, che di tale scrittura intenda invece avvalersi, ha l’onere<br />

di chiederne la verificazione giudiziale (19).<br />

Le stesse consentono inoltre, sul piano pratico, di accedere alla communis<br />

opinio secondo la quale nel giudizio ordinario di cognizione dinanzi al tribunale<br />

i documenti esibiti da una <strong>del</strong>le parti in conseguenza di un ordine giudiziale di<br />

esibizione devono essere inseriti nel rispettivo <strong>fascicolo</strong> assieme ai documenti<br />

dalla stessa prodotti spontaneamente, e non già nel <strong>fascicolo</strong> d’ufficio (20). Tale<br />

soluzione appare infatti imposta, sul piano esegetico, dal tenore letterale<br />

<strong>del</strong>l’art. 74 disp.att. c.p.c., a norma <strong>del</strong> quale i documenti di causa devono essere<br />

inseriti in un’apposita sezione <strong>del</strong> <strong>fascicolo</strong> di parte, il cui indice deve essere<br />

sottoscritto dal cancelliere ogni volta che vi sia inserito un nuovo atto o documento;<br />

mentre in senso contrario non mi sembra possano essere utilmente richiamati,<br />

contrariamente a quanto ipotizzato da un’autorevole dottrina (21), né<br />

l’art. 76 disp.att. c.p.c., che contemplando i documenti inseriti nel <strong>fascicolo</strong><br />

d’ufficio, accanto a quelli inseriti nei fascicoli <strong>del</strong>le parti, manifestamente si<br />

riferisce ai documenti che non siano stati depositati in giudizio da queste ultime,<br />

e così ad esempio a quelli esibiti dai terzi (22); né l’art. 168, comma 2°, c.p.c.,<br />

che nel prevedere che il cancelliere debba inserire nel <strong>fascicolo</strong> di ufficio anche<br />

« gli atti di istruzione » sembra piuttosto riferirsi ai processi verbali relativi agli<br />

atti di istruzione compiuti al di fuori <strong>del</strong>l’udienza e alle relazioni depositate dai<br />

consulenti tecnici d’ufficio.<br />

––––––––––––<br />

(19) Cfr. M. Fabiani, in Codice di procedura civile commentato, 2 a ed., a cura di C.<br />

Consolo e F.P. Luiso, Milano 2000, sub Art. 215, p. 1177 ss., spec. p. 1178; V. Sparano,<br />

L’esibizione di prove nel processo civile, cit., pp. 317-327.<br />

(20) Cfr. S. La China, L’esibizione <strong>del</strong>le prove, cit., p. 203; A. Graziosi, L’esibizione<br />

istruttoria nel processo civile italiano, cit., p. 320; B. Cavallone, voce Esibizione<br />

<strong>del</strong>le prove, cit., p. 675. Contra cfr. invece V. Sparano, L’esibizione di prove nel processo<br />

civile, cit., p. 29 ss., nonché, in termini dubitativi, L.P. Comoglio, Le prove civili, cit.,<br />

pp. 380, nt. 33 e 382.<br />

(21) Cfr. L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 380, nt. 33.<br />

(22) Nel senso che i documenti esibiti dai terzi vadano inseriti nel <strong>fascicolo</strong><br />

d’ufficio cfr. B. Cavallone, op. loc. ult. cit.; L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 380;<br />

A. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, cit., p. 320; S. La China,<br />

L’esibizione <strong>del</strong>le prove nel processo civile, cit., p. 203 s.; V. Andrioli, Diritto processuale<br />

civile, I, Napoli 1979, p. 673.


440<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Si ripropongono pertanto, anche con riferimento ai documenti esibiti in<br />

giudizio dalle parti in ottemperanza ad un ordine <strong>del</strong> giudice che ne abbia ritenuto<br />

necessaria l’acquisizione al processo, le stesse vistose incongruenze già<br />

segnalate dalla dottrina con riferimento ai documenti spontaneamente offerti in<br />

comunicazione, e scaturenti dalla c.d. relatività <strong>del</strong> vincolo di indisponibilità dei<br />

documenti inseriti nei fascicoli di parte (23).<br />

3. – Come è noto, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 169 c.p.c., non soltanto il giudice<br />

istruttore può autorizzare le parti a ritirare dalla cancelleria i rispettivi fascicoli,<br />

da ridepositarsi « ogni volta che il giudice lo disponga », ma ciascuna di esse<br />

può ritirare il proprio <strong>fascicolo</strong> all’atto <strong>del</strong>la rimessione <strong>del</strong>la causa al collegio,<br />

pur essendo tenuta a restituirlo « al più tardi al momento <strong>del</strong> deposito <strong>del</strong>la<br />

comparsa conclusionale ».<br />

Ne consegue che, ove una parte, nel corso <strong>del</strong> giudizio di primo grado, non<br />

restituisca nei termini il proprio <strong>fascicolo</strong> o alcuni dei documenti nello stesso<br />

contenuti, ovvero rimanga contumace in grado di appello, o ometta di ridepositare<br />

in detto giudizio tutti o alcuni dei documenti, se anche corre il rischio <strong>del</strong>la<br />

propria soccombenza per difetto di prova, e consente al giudice di desumere<br />

argomenti di prova dal proprio comportamento, può concretamente impedire<br />

all’avversario, che di quei documenti non abbia provveduto ad estrarre e produrre<br />

copie autentiche, di avvalersene in giudizio, ed al giudice di esaminarli al<br />

momento <strong>del</strong>la decisione <strong>del</strong>la causa (24).<br />

––––––––––––<br />

(23) Cfr. B. Cavallone, voce Esibizione <strong>del</strong>le prove, cit., p. 669; C. Mandrioli,<br />

Diritto processuale civile, 17 a ed., II, cit., p. 239; S. Chiarloni, Documenti favorevoli al<br />

vincitore non (ri)prodotti in secondo grado e convincimento <strong>del</strong> giudice: alcune spiacevoli<br />

conseguenze ascrivibili all’imperfetta attuazione <strong>del</strong> principio di acquisizione<br />

processuale per le prove precostituite, in Giur. it. 2003, p. 255 s.; M. Conte, Le prove<br />

civili, Milano 2005, p. 98 ss.; F. De Stefano, L’istruzione <strong>del</strong>la causa nel nuovo processo<br />

civile, Padova 1999, p. 337 ss.; S. Magnone Cavatorta, Sul ritiro dei documenti<br />

prodotti e sulle conseguenze <strong>del</strong>la loro mancata restituzione, in questa Rivista 1984, p.<br />

169 ss.; C. Petrucci, voce Fascicolo di parte, in Enc. dir., XVI, Milano 1967, p. 870<br />

ss., spec. p. 871 s.<br />

Con particolare riferimento ai documenti esibiti in giudizio dalle parti in ottemperanza<br />

ad un ordine <strong>del</strong> giudice cfr. A. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile<br />

italiano, cit., p. 89, testo e nt. 134; L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 381 ss.<br />

(24) In questo senso, con riferimento ai documenti depositati e poi illegittimamente<br />

sottratti nel corso <strong>del</strong> giudizio di primo grado da una <strong>del</strong>le parti, cfr. Cass., 3<br />

agosto 1951, n. 2346, in Foro it. 1952, I, c. 1380, con nota critica di A. Musatti, Irripetibilità<br />

degli « alligata »; Cass., 16 maggio 1968, n. 1535, in Foro it. 1969, I, c.<br />

737; Cass., 3 luglio 1975, n. 2580, in Foro it. Mass. 1975, c. 620; Cass., 27 ottobre<br />

1982, n. 5627, in questa Rivista 1984, p. 169 ss., con nota critica di S. Magnone Ca-


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 441<br />

In dottrina non manca chi, pur proponendo qualche correttivo, appare disposto<br />

ad accettare tali eventualità come normale conseguenza <strong>del</strong>la asserita<br />

impossibilità di un giudizio di ammissione e di una vera e propria acquisizione<br />

al processo dei mezzi di prova precostituiti, per i quali dovrebbe riemergere in<br />

modo preponderante un malinteso principio di disponibilità <strong>del</strong>le prove, in forza<br />

<strong>del</strong> quale a ciascuna parte dovrebbe sempre essere garantito il potere di sottrarre<br />

dagli atti <strong>del</strong> giudizio i documenti dalla stessa prodotti (25). Ciò che ne risulta,<br />

peraltro, è un sistema palesemente irragionevole, nel quale la parte che abbia<br />

ottemperato a un ordine giudiziale di esibizione di un documento, emanato ai<br />

fini <strong>del</strong>la stabile acquisizione <strong>del</strong>lo stesso agli atti di causa, sarebbe poi libera di<br />

sottrarre detto documento, impedendo al giudice di fondare su di esso la propria<br />

decisione; e nel quale ciascuna <strong>del</strong>le parti, dopo il giudizio di maturità <strong>del</strong>la<br />

causa effettuato dal giudice ai fini <strong>del</strong>la rimessione in decisione, sarebbe libera<br />

di sconvolgere a proprio piacimento il quadro probatorio sottraendo al proprio<br />

<strong>fascicolo</strong> uno o più documenti sui quali quel giudizio di maturità era stato fondato.<br />

Si consideri inoltre che, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 123-bis disp. att. c.p.c., il giudice<br />

dinanzi al quale sia stata impugnata una sentenza non definitiva e che ritenga<br />

necessaria, ai fini <strong>del</strong>la decisione, l’acquisizione di documentazione contenuta<br />

nel <strong>fascicolo</strong> <strong>del</strong> giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata<br />

deve richiedere la trasmissione <strong>del</strong> <strong>fascicolo</strong> d’ufficio, ovvero ordinare alla<br />

parte interessata di produrre copia <strong>del</strong>la suddetta documentazione (26). Il che<br />

rende davvero incomprensibile un sistema in cui invece, laddove ad essere impugnata<br />

sia una sentenza definitiva, il mancato deposito in appello <strong>del</strong> proprio<br />

<strong>fascicolo</strong> ad opera di una <strong>del</strong>la parti può portare alla soccombenza <strong>del</strong>l’altra per<br />

difetto di prova (27).<br />

––––––––––––<br />

vatorta, Sul ritiro dei documenti prodotti e sulle conseguenze <strong>del</strong>la loro mancata restituzione,<br />

cit.; Cass., 5 dicembre 1992, n. 12947, in Giur. it. 1993, I, 1, c. 1450; Trib.<br />

Lanciano, 13 marzo 2001, in P.Q.M. 2001, 2, p. 63; Cass. 15 marzo 2004, n. 5241, in<br />

Gius 2004, p. 3025; Cass., 6 luglio 2004, n. 12317, in Foro it. Rep. 2004, voce Procedimento<br />

civile, n. 234. Contra, nel senso che, nell’ipotesi in cui una parte che abbia<br />

prodotto un documento lo elimini successivamente dal proprio <strong>fascicolo</strong>, il giudice<br />

<strong>del</strong> tutto legittimamente potrebbe ritenere provato, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 116 c.p.c., il contenuto<br />

<strong>del</strong> documento quale affermato dalla controparte, cfr. App. Firenze, 23 novembre<br />

1965, in Giur. tosc. 1966, p. 284.<br />

Per l’ipotesi di mancato deposito nel giudizio di appello di documenti già prodotti<br />

nel giudizio di primo grado v. infra, nota n. 27.<br />

(25) M. Conte, Le prove civili, cit., pp. 61 s., 98 ss.<br />

(26) Cfr. Cass., sez. lav., 1° marzo 2005, n. 4267, in Foro it. Rep. 2005, voce Impugnazioni<br />

civili, n. 18.<br />

(27) Cfr. Cass., sez. lav., 15 gennaio 2004, n. 511, in Ragiusan 2004, fasc. 243, p.<br />

242; Cass., 8 maggio 2003, n. 6987, in Foro it. Rep. 2003, voce Prova documentale, n.


442<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

La c.d. relatività <strong>del</strong> vincolo di indisponibilità <strong>del</strong>le prove documentali<br />

esibite o offerte in comunicazione dalle parti, lungi dal costituire un’applicazione<br />

<strong>del</strong> principio dispositivo, appare pertanto il frutto indigesto di un’infelice<br />

scelta normativa adottata da un legislatore dimentico che, in un sistema informato<br />

al principio di acquisizione <strong>del</strong>le risultanze istruttorie, scopo <strong>del</strong>l’offerta<br />

in comunicazione e <strong>del</strong>l’esibizione è quello di assicurare durevolmente al<br />

processo le prove precostituite, in modo che ciascuna <strong>del</strong>le parti possa dedurne<br />

conclusioni a proprio vantaggio e il giudice possa trarne elementi per la formazione<br />

<strong>del</strong> proprio convincimento, anche contro l’interesse <strong>del</strong>la parte producente<br />

(28).<br />

D’altronde, se davvero la regola <strong>del</strong> necessario inserimento nel rispettivo<br />

<strong>fascicolo</strong> di parte, esposto all’esercizio <strong>del</strong>la facoltà di ritiro, di tutti i documenti<br />

da ciascuna parte prodotti, fosse imposta dalla necessaria reversibilità<br />

<strong>del</strong>l’acquisizione al processo <strong>del</strong>le prove precostituite, siccome asseritamente<br />

non soggette ad un giudizio di ammissione, e dalla conseguente relatività <strong>del</strong><br />

vincolo di indisponibilità sulle stesse gravante, detta regola dovrebbe indi-<br />

––––––––––––<br />

31; App. Torino, 20 luglio 2002, in Giur. it. 2003, p. 255 s., con nota critica di S. Chiarloni,<br />

Documenti favorevoli al vincitore non (ri)prodotti in secondo grado e convincimento<br />

<strong>del</strong> giudice, cit.; Cass., 26 febbraio 1998, n. 2078, in Foro it. Rep. 1998, voce Appello<br />

civile, n. 82; Cass., 24 febbraio 1993, n. 2280, in Foro it. Rep. 1993, voce Appello<br />

civile, n. 6.<br />

(28) Sull’applicabilità ai documenti <strong>del</strong> principio di acquisizione processuale<br />

cfr. G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, p. 748 s.; C. Lessona, La<br />

rinuncia ad un mezzo di prova, in Arch. giur. 1904, pp. 70 ss., 73; Id., Trattato <strong>del</strong>le<br />

prove in materia civile, I, Firenze 1914, p. 119 s.; V. Andrioli, voce Prova (diritto<br />

processuale civile), cit., p. 282 s.; E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile.<br />

Principi, 6 a ed., cit., p. 337; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, 17 a ed., II,<br />

cit., p. 239; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, rist., Milano<br />

1966, p. 203; S. Satta, C. Punzi, Diritto processuale civile, 13 a ed., Padova 2000, p.<br />

321; E. Redenti - M. Vellani, Diritto processuale civile, 4 a ed., II, cit., pp. 65, 90; G.<br />

Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel giudizio di primo grado, Milano 1972, p. 423<br />

s.; Id., Lineamenti <strong>del</strong> processo civile di cognizione, 2 a ed., Milano 2002, p. 167; B.<br />

Cavallone, Discrezionalità <strong>del</strong> giudice civile nella nomina <strong>del</strong> traduttore e<br />

<strong>del</strong>l’interprete, in questa Rivista 1968, p. 271 ss., spec. p. 272 s.; L.P. Comoglio, Acquisizione<br />

documentale e processo tributario, in Dir. e prat. trib. 1974, II, p. 837 ss.,<br />

spec. p. 847 ss.; S. Menchini, Il processo litisconsortile. I. Struttura e poteri <strong>del</strong>le<br />

parti, Milano 1993, p. 322; M. Montanari, Il principio di prova per iscritto, Torino<br />

2005, p. 499; F. De Stefano, L’istruzione <strong>del</strong>la causa nel nuovo processo civile, cit.,<br />

p. 337 s.<br />

In giurisprudenza cfr. Cass., 6 settembre 2005, n. 17794, in Foro it. Rep. 2005, voce<br />

Prova documentale, n. 7; Cass., 3 ottobre 2000, n. 13068, in Foro it. Rep. 2000, voce<br />

Matrimonio, n. 186; Cass., 27 agosto 1998, n. 8530, in Arch. locazioni 1998, 863; Cass.,<br />

12 giugno 1998, n. 5887, in Foro it. Rep. 1998, voce Fallimento, n. 292.


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 443<br />

stintamente valere per qualsiasi giudizio, e non riguardare invece esclusivamente<br />

i processi ordinari di cognizione celebrati dinanzi al tribunale e alla<br />

corte d’appello.<br />

Il panorama normativo è invece caratterizzato da scelte assai diversificate,<br />

per non dire capricciose, che dimostrano come anche per le prove precostituite<br />

sia perfettamente concepibile la piena operatività <strong>del</strong> principio di<br />

acquisizione.<br />

In particolare, mentre nel processo ordinario di cognizione dinanzi al<br />

tribunale e alla corte di appello i documenti sono tutti inseriti nel <strong>fascicolo</strong><br />

<strong>del</strong>la parte che li produce, sia se depositati all’atto <strong>del</strong>la costituzione in giudizio,<br />

sia se depositati successivamente, nel rito societario le parti possono<br />

irragionevolmente inserire nei rispettivi fascicoli, esposti alla facoltà di ritiro,<br />

soltanto i documenti offerti in comunicazione all’atto <strong>del</strong>la loro costituzione<br />

in giudizio, laddove invece i documenti depositati successivamente<br />

debbono essere inseriti nel <strong>fascicolo</strong> d’ufficio, rimanendo pertanto, essi solo,<br />

stabilmente ed irreversibilmente acquisiti al processo fino a che non ne sia<br />

eventualmente ordinato lo stralcio dagli atti di causa (cfr. artt. 3 e 5 d.lgs. 17<br />

gennaio 2003, n. 5).<br />

Dinanzi al giudice di pace, poi, l’art. 320 c.p.c. lascia ciascuna parte libera<br />

di predisporre o meno un <strong>fascicolo</strong> di parte, nel quale inserire i documenti<br />

dalla stessa prodotti, ed in mancanza <strong>del</strong> quale i documenti stessi<br />

« possono essere inseriti nel <strong>fascicolo</strong> d’ufficio ed ivi conservati fino alla<br />

definizione <strong>del</strong> giudizio »: con la singolare conseguenza che il pieno operare<br />

<strong>del</strong> principio di acquisizione, per quanto riguarda le prove documentali, finisce<br />

per dipendere dalla scelta <strong>del</strong>la parte producente di non predisporre un<br />

proprio <strong>fascicolo</strong>.<br />

Il sistema, così come sopra <strong>del</strong>ineato, appare <strong>del</strong> tutto irragionevole, sì da<br />

giustificare un davvero urgente intervento di riforma, che preveda, per tutti i<br />

riti, l’obbligo di inserimento nel <strong>fascicolo</strong> d’ufficio di tutti i documenti comunque<br />

prodotti o esibiti dalle parti, e/o ne subordini la possibilità di ritiro da parte<br />

<strong>del</strong> producente, almeno fino al passaggio in giudicato <strong>del</strong>la sentenza definitiva<br />

<strong>del</strong> giudizio, al contestuale deposito di copia autentica rilasciata dal cancelliere<br />

(29).<br />

4. – Avverso l’introduzione di una tale disciplina non potrebbe a mio<br />

––––––––––––<br />

(29) Per una diversa proposta de iure condendo cfr. invece S. Chiarloni, op. loc. ult.<br />

cit., che suggerisce di prevedere l’inserzione nel <strong>fascicolo</strong> d’ufficio di copia dei documenti<br />

prodotti, oppure, « per evitare il rischio che il <strong>fascicolo</strong> d’ufficio diventi troppo<br />

pesante e difficile da maneggiare », di stabilire che assieme alla sentenza debba essere<br />

depositata copia dei documenti che il giudice ha ritenuto rilevanti per la decisione.


444<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

avviso opporsi il rilievo, implicito in talune ricostruzioni dottrinali, secondo<br />

il quale la perdita <strong>del</strong>la disponibilità dei mezzi di prova da parte di colui che<br />

li ha introdotti in giudizio, e la loro stabile ed irreversibile acquisizione al<br />

processo, presuppone un giudizio di ammissione degli stessi da parte <strong>del</strong> giudice<br />

(30).<br />

Per quanto infatti sia diffusa ed autorevolmente condivisa l’opinione secondo<br />

la quale per i documenti non è previsto, nel nostro ordinamento processuale,<br />

un giudizio di ammissione (31), i tempi sono probabilmente maturi per<br />

una revisione critica di tale insegnamento (32).<br />

––––––––––––<br />

(30) Cfr. M. Montanari, in Codice di procedura civile commentato, 2 a ed., a cura di<br />

C. Consolo e F.P. Luiso, cit., sub Art. 245, p. 1238 ss., spec. p. 1240. Nello stesso senso<br />

sembrerebbe orientato anche V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, cit., p. 731, quando<br />

afferma che « il testimone diviene, per così dire, comune a tutte le parti » soltanto una<br />

volta che sia stato ammesso dal giudice; ma l’A. ha subito cura di precisare, con specifico<br />

riferimento ai documenti, che l’acquisizione processuale consegue alla semplice comunicazione.<br />

(31) Per tutti cfr. M. Taruffo, voce Istruzione. I) Diritto processuale civile, in Enc.<br />

giur. it., XVIII, Roma 1990, p. 6 s., secondo il quale, de iure condito, il giudice istruttore<br />

non eserciterebbe mai alcun controllo preliminare <strong>del</strong>le produzioni documentali in sede<br />

di ammissione <strong>del</strong>le prove, essendo il giudizio di ammissione esclusivamente finalizzato<br />

alla esclusione dal processo dei mezzi di prova inutili per la cui formazione occorrano<br />

attività processuali.<br />

(32) Già E. Allorio, Efficacia giuridica di prove ammesse ed esperite in contrasto<br />

con un divieto di legge?, in Giur. it. 1960, II, c. 867 ss., spec. c. 870 s., avvertiva che<br />

« al provvedimento ammissivo d’una prova costituenda può equipararsi il consenso,<br />

sempre necessario, anche se non sempre esplicito, <strong>del</strong>l’ufficio alla produzione <strong>del</strong>la<br />

prova documentale », aggiungendo che « l’ammissione d’una prova che non doveva<br />

ammettersi all’esperimento o alla produzione, è atto invalido » e che « in ordine all’atto<br />

processuale di produzione <strong>del</strong> documento può stabilirsi un’indagine valutativa di<br />

ammissibilità analoga a quella che, per le prove costituende, si istituisce rispetto<br />

all’atto processuale di parte che ha valore di introduzione di tali prove nel processo ».<br />

Oggi, comunque, la configurabilità di un giudizio di ammissione <strong>del</strong>le prove documentali<br />

appare imposta dal nuovo orientamento giurisprudenziale in tema di nuove<br />

produzioni documentali nel giudizio di appello (cfr. supra, nota n. 3), nonché dal nuovo<br />

comma 4° <strong>del</strong>l’art. 669-terdecies c.p.c., inserito dall’art. 2, comma 3°, lett. e-bis), n.<br />

4.2), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio<br />

2005, n. 80, ai sensi <strong>del</strong> quale il giudice <strong>del</strong> reclamo cautelare « può sempre assumere<br />

informazioni e acquisire nuovi documenti ». Tale norma (sulla quale cfr. S. Recchioni,<br />

Il processo cautelare uniforme, in I procedimenti sommari e speciali. II. Procedimenti<br />

cautelari, a cura di S. Chiarloni e C. Consolo, Torino 2005, p. 770 ss.) infatti, lungi<br />

dall’attribuire a detto giudice un potere istruttorio d’ufficio, subordina l’acquisizione<br />

dei nuovi documenti proposti dalle parti ad una valutazione <strong>del</strong>lo stesso giudice, evidentemente<br />

improntata ai consueti canoni <strong>del</strong>l’ammissibilità, rilevanza e non superfluità<br />

dei documenti stessi.


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 445<br />

Ove si condivida infatti il presupposto dal quale siamo partiti, sulla base<br />

<strong>del</strong> quale i documenti sono qualificati e disciplinati nel nostro codice di rito<br />

come mezzi di prova, una spassionata esegesi <strong>del</strong>le norme processuali induce<br />

a concludere che un giudizio di ammissione <strong>del</strong>le prove documentali prodotte<br />

e/o indicate dalle parti debba essere compiuto dal giudice nel momento stesso<br />

in cui, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 184, comma 1°, c.p.c. (nel testo antecedente alle modifiche<br />

introdotte dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, come modificato dalla legge di<br />

conversione 14 maggio 2005, n. 80 e successivamente dalla legge 28 dicembre<br />

2005, n. 263), « se ritiene che siano ammissibili e rilevanti, ammette i<br />

mezzi di prova proposti », ovvero, nel rito <strong>del</strong> lavoro, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 420,<br />

comma 5°, c.p.c., « ammette i mezzi di prova proposti dalle parti e quelli che<br />

le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti »,<br />

non ostando a tale conclusione il fatto che, per i documenti già spontaneamente<br />

prodotti, l’acquisizione al processo non richieda ulteriore attività processuale.<br />

Né a conclusioni diverse potrà portare il nuovo art. 183 c.p.c., che nel testo<br />

novellato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (come modificato dalla legge di conversione<br />

14 maggio 2005, n. 80 e successivamente dalla legge 28 dicembre 2005,<br />

n. 263) si limita a stabilire, nel settimo comma, che, « salva l’applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 187, il giudice provvede sulle richieste istruttorie <strong>del</strong>le parti fissando<br />

l’udienza di cui all’articolo 184 per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti<br />

ammissibili e rilevanti ».<br />

Da un lato, infatti, la stessa ammissibilità, rilevanza e non superfluità <strong>del</strong>le<br />

prove costituende <strong>del</strong>le quali sia stata richiesta l’assunzione non può evidentemente<br />

prescindere da un giudizio di ammissibilità e rilevanza <strong>del</strong>le prove documentali<br />

previamente prodotte dalle parti (33); dall’altro, non sempre la produzione<br />

in giudizio dei documenti prescinde da un previo giudizio di ammissione<br />

da parte <strong>del</strong> giudice.<br />

È pacifico, innanzitutto, che una valutazione di ammissibilità e rilevanza<br />

<strong>del</strong> documento debba essere compiuta dal giudice chiamato a pronunciarsi<br />

su un’istanza di esibizione (34). Ma anche per i documenti che si trovino in<br />

possesso <strong>del</strong>le parti che intendono avvalersene, a ben vedere, la possibilità di<br />

––––––––––––<br />

(33) Per la particolare ipotesi in cui l’ammissibilità di prove costituende dipenda<br />

dalla produzione in giudizio di un determinato documento come principio di prova<br />

per iscritto cfr. M. Montanari, Il principio di prova per iscritto, cit., passim, spec.<br />

p. 510.<br />

(34) Cfr. B. Cavallone, voce Esibizione <strong>del</strong>le prove, cit., p. 672; S. Satta, Commentario<br />

al codice di procedura civile, II, 1, cit., p. 159; A. Graziosi, L’esibizione istruttoria<br />

nel processo civile italiano, cit., p. 160 ss.; V. Sparano, L’esibizione di prove nel<br />

processo civile, cit., p. 348 s.; B. Ficcarelli, Esibizione di documenti e discovery, cit., p.<br />

260 ss.


446<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

produrre gli stessi a prescindere da un previo giudizio di ammissione da<br />

parte <strong>del</strong> giudice, diretto a filtrare il materiale probatorio utilizzabile ai fini<br />

<strong>del</strong>la decisione, è limitata, nel rito ordinario, ai soli documenti offerti in comunicazione<br />

dalle parti al momento <strong>del</strong>la loro costituzione in giudizio, ovvero<br />

a quelli depositati in cancelleria entro il primo dei termini assegnati dal<br />

giudice per le deduzioni istruttorie, termine entro il quale le parti devono a<br />

pena di decadenza indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali.<br />

Dopo tale termine, infatti, alla parte che voglia contrapporre alle prove dedotte<br />

dall’altra parte o disposte d’ufficio dal giudice una prova documentale, il<br />

primo e il terzo comma <strong>del</strong>l’art. 184 c.p.c., nel testo non ancora novellato dal<br />

d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (così come l’art. 183, commi 6° e 8°, c.p.c., nel testo<br />

sostituito dallo stesso d.l. 14 marzo 2005, n. 35, come modificato dalla legge di<br />

conversione 14 maggio 2005, n. 80 e successivamente dalla legge 28 dicembre<br />

2005, n. 263), attribuiscono unicamente il potere di indicare detta prova al giudice<br />

nel termine perentorio dallo stesso assegnato.<br />

Ciò impone di ritenere che la produzione <strong>del</strong>la prova documentale contraria,<br />

e così la sua rituale acquisizione al processo, sia subordinata, al pari<br />

<strong>del</strong>l’assunzione di una prova costituenda, ad un previo provvedimento di ammissione<br />

da parte <strong>del</strong> giudice, che ne abbia valutato, oltre che l’ammissibilità e<br />

la rilevanza, anche la sua necessità in relazione ai mezzi di prova disposti<br />

d’ufficio o preventivamente proposti dall’altra parte, e ai documenti dalla stessa<br />

prodotti (35).<br />

––––––––––––<br />

(35) Deve invece essere rigettata con vigore, perché inaccettabile sul piano <strong>del</strong>le<br />

garanzie, la differente proposta interpretativa avanzata in dottrina da M. Maffuccini,<br />

Questioni aperte sulle preclusioni istruttorie, in questa Rivista 2005, p. 543 ss., spec.<br />

p. 547 ss., il quale, constatando anch’egli che l’art. 184 c.p.c., nel testo non ancora sostituito<br />

dalle riforme <strong>del</strong> 2005, prevede, come oggetto <strong>del</strong>la memoria istruttoria di replica,<br />

soltanto la « indicazione di prova contraria », giunge ad affermare che le parti<br />

non potrebbero sfruttare l’ultimo termine assegnato dal giudice ai sensi <strong>del</strong> predetto<br />

articolo per chiedere di avvalersi, in prova contraria, di mezzi di prova documentali; e<br />

ciò sulla base <strong>del</strong>l’apodittica affermazione secondo la quale « non può darsi ‘indicazione’<br />

per il mezzo di prova documentale ». È facile peraltro replicare che siffatta affermazione<br />

è inequivocabilmente smentita dal tenore letterale degli artt. 163, comma<br />

3°, n. 5, 167, comma 1°, 414, n. 5, 416, comma 3°, c.p.c., disposizioni che prevedono<br />

tutte, testualmente, la indicazione <strong>del</strong>le prove documentali. Né appaiono più convincenti<br />

le argomentazioni che l’Autore cerca di trarre dalla « ontologica differenza tra<br />

mezzo di prova documentale e prova costituenda », rilevando che « il documento è<br />

sempre nella disponibilità materiale <strong>del</strong>la parte », che avrebbe pertanto, « in ossequio a<br />

principi di lealtà trasparenza e ordinato andamento dei lavori processuali », l’onere di<br />

produrre tutti i documenti di cui intende avvalersi nel termine di cui alla prima memoria<br />

istruttoria. Non vi è chi non veda, infatti, che detto argomento non si attaglia affatto


PRODUZIONE ED ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI 447<br />

A ben guardare, peraltro, il fatto che la produzione degli altri documenti,<br />

offerti in comunicazione dalle parti entro il primo dei termini giudiziali assegnati<br />

per le deduzioni istruttorie avvenga prima ancora <strong>del</strong> giudizio di ammissione<br />

– effettuato dal giudice ai sensi <strong>del</strong>l’art. 184, comma 1°, c.p.c. (nel testo<br />

emergente dalla legge 26 novembre 1990, n. 353 ed applicabile ai giudizi instaurati<br />

fino al 1° marzo 2006) ovvero <strong>del</strong>l’art. 183, comma 7°, c.p.c. (nel testo<br />

novellato dal d.l. n. 35 <strong>del</strong> 2005, come modificato dalla legge di conversione<br />

14 maggio 2005, n. 80 e successivamente dalla legge 28 dicembre 2005,<br />

n. 263, in vigore dal 1° marzo 2006 e applicabile ai giudizi instaurati a decorrere<br />

dal giorno successivo), ovvero ancora, nei giudizi assoggettati al rito <strong>del</strong><br />

lavoro, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 420, comma 5°, c.p.c. – non esclude affatto detti documenti<br />

dall’ambito oggettivo di tale giudizio, pur se successivo alla loro<br />

produzione.<br />

Dal momento infatti che la valutazione <strong>del</strong>l’ammissibilità, rilevanza e non<br />

superfluità <strong>del</strong>le prove costituende <strong>del</strong>le quali sia stata richiesta l’assunzione<br />

implica un contestuale giudizio di ammissibilità e rilevanza <strong>del</strong>le prove documentali<br />

previamente prodotte dalle parti, e che inoltre l’ammissione dei mezzi<br />

di prova contraria, precostituiti o costituendi, è subordinata ad un giudizio di<br />

necessità in relazione alle prove precedentemente proposte dall’altra parte, il<br />

quale non può evidentemente prescindere da una valutazione sull’ammissibilità,<br />

rilevanza ed efficacia di queste ultime, è giocoforza ritenere che il giudice, nel<br />

provvedere sull’ammissione dei mezzi di prova hinc atque inde proposti, giudichi,<br />

esplicitamente o implicitamente, <strong>del</strong>l’ammissibilità, rilevanza e non superfluità<br />

di tutte le prove offerte, pur se già introdotte nel processo attraverso<br />

un’attività di produzione spontanea.<br />

Né mi sembra che avverso una siffatta conclusione possa essere richiamato<br />

il disposto <strong>del</strong>l’art. 222 c.p.c., a norma <strong>del</strong> quale la presentazione incidentale<br />

<strong>del</strong>la querela di falso avverso un documento <strong>del</strong> quale la parte interpellata abbia<br />

dichiarato di volersi avvalere è autorizzata dal giudice soltanto laddove<br />

quest’ultimo ritenga il documento rilevante. Tale disposizione, che a prima vista<br />

potrebbe indurre l’interprete a pensare che, prima <strong>del</strong>la decisione <strong>del</strong>la controversia,<br />

un giudizio di rilevanza <strong>del</strong> documento possa essere compiuto dal<br />

giudice soltanto a seguito <strong>del</strong>la presentazione di querela di falso, in realtà si<br />

spiega agevolmente osservando che, nel vigente ordinamento processuale, la<br />

querela di falso può essere proposta in corso di causa in ogni stato e grado <strong>del</strong><br />

processo, e quindi anche prima <strong>del</strong> giudizio di rilevanza dei mezzi di prova che<br />

il giudice deve effettuare ai fini <strong>del</strong>la loro ammissione, ovvero molto tempo dopo<br />

che detto giudizio è stato effettuato. Nel primo caso la norma impone al giu-<br />

––––––––––––<br />

ai documenti la cui produzione sia resa necessaria dalle produzioni e deduzioni istruttorie<br />

<strong>del</strong>la controparte e si risolve in una palese negazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> contraddittorio.


448<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

dice di anticipare il giudizio di rilevanza <strong>del</strong> documento ai fini <strong>del</strong>l’autorizzazione<br />

<strong>del</strong>la presentazione <strong>del</strong>la querela; nel secondo caso impone invece al<br />

giudice di rinnovare il predetto giudizio di rilevanza, alla luce <strong>del</strong>la nuova situazione<br />

processuale.<br />

GIUSEPPE RUFFINI<br />

Professore ordinario<br />

nell’Università di Roma Tre


TEMPUS REGIT PROCESSUM<br />

UN APPUNTO SULL’EFFICACIA<br />

DELLE NORME PROCESSUALI NEL TEMPO (*)<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il principio di irretroattività <strong>del</strong>la legge: punti fermi<br />

ed incertezze. – 3. Il trattamento <strong>del</strong>le situazioni giuridiche pendenti. –<br />

4. Il processo come specie di procedimento e la regola tempus regit actum.<br />

– 5. La regola tempus regit actum nella prospettiva <strong>del</strong> rispetto dei diritti<br />

acquisiti. – 6. La regola tempus regit actum nella prospettiva <strong>del</strong> rispetto<br />

<strong>del</strong> fatto compiuto. – 7. Per un nuovo principio di diritto intertemporale in<br />

materia processuale. – 8. L’efficacia <strong>del</strong>le pronunce di accoglimento <strong>del</strong>la<br />

Corte costituzionale (cenni).<br />

1. – Quando si parla di efficacia <strong>del</strong>le norme nel tempo, è inevitabile accentrare<br />

la prospettiva sulla norma giuridica. Si muove dal suo ambito di efficacia,<br />

per individuare poi le situazioni <strong>del</strong>la vita che vi ricadono. In questo caso la<br />

situazione che vi ricade è il processo (civile), ma quest’ultimo non è preso in<br />

considerazione, se non in via indiretta attraverso la qualificazione <strong>del</strong>la norma<br />

come « processuale » (1).<br />

Tale visuale rivela una certa impostazione, che non è l’unica: Savigny<br />

sottolinea che lo studio <strong>del</strong>la successione <strong>del</strong>le norme nel tempo può essere<br />

svolto da due punti di vista differenti: o si muove dall’ambito di efficacia <strong>del</strong>le<br />

norme per individuare poi le situazioni che vi ricadono; o ci si rappresenta dapprima<br />

la situazione da disciplinare per cercare poi la regola di diritto da applicare<br />

(2).<br />

2. – Seguendo dapprima l’angolatura prescelta dal titolo, vengono in considerazione<br />

i principi di diritto intertemporale, e così per primo il principio di<br />

––––––––––––<br />

(*) Con un titolo parzialmente diverso e qualche modifica secondaria, il saggio è<br />

stato destinato alla raccolta di studi in onore <strong>del</strong> prof. Egas Dirceu Moniz de Aragão.<br />

(1) Per un’ampia bibliografia sul tema si rinvia a B. Capponi, Appunti sulla legge<br />

processuale civile, Napoli 1999, p. 111 ss. Tra i vari contributi si può segnalare E. Fazzalari,<br />

Efficacia <strong>del</strong>la legge processuale nel tempo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1989,<br />

p. 889 ss.<br />

(2) F.C. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, vol. VIII, Berlin<br />

1849, p. 1 ss.


450<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

irretroattività, che nell’ordinamento italiano è espresso nell’art. 11 disp. prel.<br />

c.c.: « la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo ».<br />

La disposizione traduce fe<strong>del</strong>mente l’art. 2 c.c. francese <strong>del</strong> 1804: la loi ne<br />

dispose que pour l’avenir; elle n’a point d’effet rétroactiv.<br />

Dalla disposizione si ricava a contrario una definizione di norma retroattiva<br />

che, nonostante la sua indeterminatezza e genericità, si può assumere come<br />

ipotesi di lavoro: la norma retroattiva « dispone per il passato ».<br />

Nell’ordinamento italiano attuale, eccettuate le norme penali incriminatrici<br />

(art. 25, comma 2°, Cost.), il principio di irretroattività non ha rango costituzionale.<br />

Esso può essere derogato dalla legge ordinaria, sempre che l’intervento<br />

retroattivo <strong>del</strong> legislatore abbia una ragionevole giustificazione e non incontri<br />

limiti in particolari norme costituzionali.<br />

L’art. 11 disp. prel. c.c. contiene una direttiva rivolta al legislatore e una<br />

regola rivolta all’interprete. Al principio di irretroattività può sottrarsi il legislatore<br />

ordinario, ma non può sottrarsi l’interprete. Come regola d’interpretazione<br />

l’art. 11 disp. prel. c.c. è vincolante, a meno che la norma, nella sua interpretazione<br />

retroattiva, sia « favorevole » a tutti gli interessi coinvolti nella situazione<br />

da disciplinare (3).<br />

Il significato e la portata <strong>del</strong> principio di irretroattività sono controversi.<br />

Le energie profuse su questo tema in un arco di tempo millenario nelle varie<br />

esperienze giuridiche consentono quantomeno di escludere qualche concezione<br />

<strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la retroattività, prospettata in passato, che non appare corretta<br />

nell’attuale stadio di sviluppo <strong>del</strong>le conoscenze, e di indicare qualche punto<br />

fermo di contorno (4).<br />

In primo luogo, l’efficacia <strong>del</strong>la norma nel passato non può essere intesa in<br />

senso letterale e va riferita ad un fenomeno ulteriore rispetto alla produzione di<br />

effetti, poiché la norma retroattiva, al pari di ogni altra norma, produce effetti<br />

solo dopo che è entrata in vigore (5). Punto controverso è invece se l’abrogazione<br />

determini la cessazione <strong>del</strong> vigore <strong>del</strong>la norma abrogata o unicamente una<br />

<strong>del</strong>imitazione <strong>del</strong>la sua efficacia nel tempo. In ogni caso, le nozioni di vigenza e<br />

di efficacia <strong>del</strong>la norma sono distinte (6).<br />

In secondo luogo, esistono <strong>del</strong>le situazioni <strong>del</strong> passato che di regola non<br />

vengono travolte dalla norma retroattiva. Si tratta <strong>del</strong>le situazioni che esauriscono<br />

i rapporti giuridici (res finitae) non solo alla stregua <strong>del</strong>la norma anteriore,<br />

ma anche nei confronti <strong>del</strong>la norma posteriore retroattiva. Punto controverso<br />

––––––––––––<br />

(3) Così, R. Quadri, Dell’applicazione <strong>del</strong>la legge in generale, in Commentario <strong>del</strong><br />

codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna - Roma 1974, p. 103 ss.<br />

(4) Per approfondimenti si rinvia a R. Caponi, La nozione di retroattività <strong>del</strong>la legge,<br />

in Giur. cost. 1990, p. 1332 ss.<br />

(5) Art. 73, comma 3°, Cost.; art. 10 disp. prel. c.c.<br />

(6) Cfr. R. Tarchi, Le leggi di sanatoria nella teoria <strong>del</strong> diritto intertemporale, Milano<br />

1990, p. 79 ss.


TEMPUS REGIT PROCESSUM UN APPUNTO SULL’EFFICACIA ECC. 451<br />

è l’elenco di tali situazioni, che è oscillante nel corso <strong>del</strong>la storia, ma da sempre<br />

comprende la cosa giudicata (7).<br />

Al di là di questi aspetti, tutto è discutibile sulla retroattività. La discussione<br />

non lascia intravedere esiti certi. Comprendere le ragioni di ciò dà un’utile<br />

indicazione di metodo per studiare l’efficacia <strong>del</strong>la legge « nel tempo <strong>del</strong> processo<br />

civile ».<br />

La dottrina contemporanea effettua una tripartizione tra norme ad efficacia<br />

retroattiva, norme ad efficacia immediata, norme ad efficacia differita (8). In<br />

relazione alle tre fasi in cui si scompone il tempo, si individuano tre posizioni<br />

per l’applicazione di una legge: effetto retroattivo, allorché l’applicazione risale<br />

al passato; effetto immediato, allorché l’applicazione riguarda il presente; effetto<br />

differito, allorché l’applicazione è spostata nel futuro.<br />

I primi dubbi si insinuano già in questo stadio iniziale <strong>del</strong>la riflessione, in<br />

cui il problema è impostato come un rapporto tra norma giuridica ed una nozione<br />

di tempo astratta, priva di riferimento agli interessi ed alle attività umane che<br />

dovrebbero essere fin da subito al centro <strong>del</strong>l’attenzione.<br />

La dottrina non si ferma a questo stadio, ma predica la retroattività come<br />

un concetto che istituisce una relazione tra norma giuridica e fatti <strong>del</strong> passato. È<br />

avvertita poi la necessità di determinare ulteriormente il concetto, ma i tentativi<br />

in questa direzione sollevano dubbi, perplessità e dissensi tali da farli apparire<br />

inani.<br />

3. – In particolare, il nodo centrale <strong>del</strong> diritto intertemporale è il trattamento<br />

da riservare alle situazioni pendenti al momento <strong>del</strong>l’entrata in vigore<br />

<strong>del</strong>la nuova norma (in latino: facta pendentia; in francese: situations en cours;<br />

in tedesco: noch nicht abgeschlossene Sachverhalte und Rechtsbeziehungen).<br />

Situazione pendente alla data di entrata in vigore <strong>del</strong>la nuova norma può<br />

essere, alternativamente:<br />

a) una situazione di fatto che evolve verso il perfezionamento di una fattispecie<br />

astratta prevista dalla norma anteriore;<br />

b) un effetto giuridico astratto (cioè una regola di condotta facoltativa o<br />

doverosa), sorto alla stregua <strong>del</strong>la norma anteriore, chiamato a concretizzarsi<br />

ormai dopo l’entrata in vigore <strong>del</strong>la norma posteriore;<br />

c) un effetto giuridico concreto (cioè un contegno umano conforme alla regola<br />

di condotta) che ha iniziato a svolgersi prima <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>la nuova<br />

norma e, alla stregua <strong>del</strong>la norma anteriore, deve dispiegarsi anche in futuro (9).<br />

––––––––––––<br />

(7) Per approfondimenti sia consentito rinviare a R. Caponi, L’efficacia <strong>del</strong> giudicato<br />

civile nel tempo, Milano 1991, p. 175 ss.<br />

(8) Cfr. P. Roubier, Le droit transitoire, Paris 1960, pp. 9-12, pp. 350-353.<br />

(9) La norma giuridica opera, secondo uno schema largamente accettato, ricollegando<br />

al verificarsi <strong>del</strong>la situazione di fatto che integra la fattispecie da essa prevista il<br />

sorgere di un effetto giuridico. La differenziazione tra norma e fatto, che percorre la no-


452<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

In ordine al trattamento <strong>del</strong>le situazioni pendenti, nella storia <strong>del</strong> diritto<br />

intertemporale degli ultimi due secoli, si possono cogliere due orientamenti<br />

contrapposti (10).<br />

Il primo atteggiamento, prevalente nell’Ottocento e oggi minoritario (almeno<br />

in Italia), guarda con favore alla conservazione dei valori giuridici e<br />

identifica il principio di irretroattività con il rispetto dei diritti acquisiti (11). Da<br />

tale concezione discende tendenzialmente, con riferimento all’articolazione<br />

<strong>del</strong>le situazioni pendenti sopra prospettata:<br />

a) una situazione di fatto che evolve verso il perfezionamento di una fattispecie<br />

prevista dalla norma anteriore può essere riqualificata da una norma<br />

posteriore;<br />

b) un effetto giuridico astratto (una regola di condotta), sorto alla stregua<br />

<strong>del</strong>la norma anteriore, deve concretizzarsi così come prefigurato da questa anche<br />

dopo l’entrata in vigore <strong>del</strong>la norma posteriore;<br />

––––––––––––<br />

zione di fattispecie esprimendosi nella distinzione tra fattispecie legale (o astratta) e fattispecie<br />

concreta, si riflette anche sulla nozione di effetto giuridico, che quindi può essere<br />

intesa in due sensi (A. Falzea): come effetto giuridico astratto (la regola di condotta facoltativa<br />

o doverosa) e come effetto giuridico concreto (il comportamento umano conforme<br />

alla regola di condotta). L’effetto giuridico può essere poi istantaneo o durevole.<br />

Sulla distinzione tra effetti giuridici istantanei e durevoli, si rinvia a R. Caponi, In tema di<br />

limiti temporali <strong>del</strong> giudicato civile sulle situazioni soggettive che proteggono un interesse<br />

durevole nel tempo, in Foro it. 1998, I, c. 1193 ss.<br />

Nella fattispecie costitutiva di un effetto può rientrare un effetto giuridico di una<br />

diversa fattispecie, sia nella sua componente di valore (la qualificazione giuridica <strong>del</strong><br />

comportamento umano), che nella sua componente di fatto (il contegno umano conforme<br />

alla regola). Ad es., nella fattispecie costitutiva <strong>del</strong> diritto agli alimenti è compresa la parentela<br />

<strong>del</strong>l’obbligato, come effetto giuridico di una diversa fattispecie, e non un qualsivoglia<br />

atto di esercizio dei diritti o di adempimento dei doveri scaturenti dallo status di<br />

parente. In questa ipotesi, nella fattispecie costitutiva di un effetto giuridico dipendente<br />

rientra la componente di valore di un effetto giuridico pregiudiziale. In altre ipotesi, nella<br />

fattispecie costitutiva <strong>del</strong> secondo effetto giuridico rientra la condotta concreta, non la<br />

qualificazione giuridica <strong>del</strong>la condotta operata dalla norma precedente. Ad es., la denunzia<br />

dei vizi <strong>del</strong>la cosa venduta entro un certo numero di giorni dalla scoperta è esercizio<br />

<strong>del</strong> potere di denunzia (componente di fatto di un effetto) e contemporaneamente elemento<br />

costitutivo <strong>del</strong> diritto alla garanzia (elemento di fattispecie costitutiva di un effetto).<br />

Per approfondimenti, v. R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano<br />

1996, p. 6 s.<br />

(10) Per ampie indicazioni <strong>del</strong>la dottrina di diritto intertemporale, v. R. Caponi, La<br />

nozione di retroattività <strong>del</strong>la legge, cit., p. 1332 ss.; ad esse si possono aggiungere i riferimenti<br />

contenuti in A. Giuliani, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1<br />

a 15, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 2 a ed., Torino 1999, p. 470 ss.<br />

(11) Tra i sostenitori di questa concezione, v. F. Lassalle, Die Theorie der erworbenen<br />

Rechte und der Collision der Gesetze, 2 a ed., Leipzig l880; G. Broggini, Intertemporales<br />

Privatrecht, in Scheizerisches Privatrecht, Basel e Stuttgart 1969.


TEMPUS REGIT PROCESSUM UN APPUNTO SULL’EFFICACIA ECC. 453<br />

c) un effetto giuridico concreto (un contegno umano conforme alla regola<br />

di condotta posta dalla norma anteriore), che ha iniziato a svolgersi prima<br />

<strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>la norma posteriore, deve dispiegarsi anche in futuro<br />

così come prefigurato dalla norma anteriore.<br />

Un secondo atteggiamento, prevalente oggi nella giurisprudenza italiana,<br />

guarda con più favore al mutamento dei valori giuridici e identifica il<br />

principio di irretroattività con il rispetto <strong>del</strong> « fatto compiuto » (12). Questa<br />

concezione rivolge alla precedente una critica fondamentale: il rispetto dei<br />

diritti acquisiti implica un differimento di efficacia <strong>del</strong>le nuove norme. In tal<br />

caso le norme abrogate sopravviverebbero non solo per valutare i contegni<br />

passati, ma altresì per regolare i contegni futuri con riferimento alle situazioni<br />

giuridiche già sorte al momento <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>le nuove norme.<br />

Ciò non sarebbe conciliabile con il principio <strong>del</strong>l’efficacia immediata<br />

<strong>del</strong>le norme. L’intento di questo secondo orientamento è di estendere<br />

l’incidenza <strong>del</strong>le norme posteriori sulle situazioni pendenti, pervenendo ad<br />

un risultato tendenzialmente opposto a quello conseguito dal principio <strong>del</strong><br />

rispetto dei diritti acquisiti in relazione alle situazioni sub b) e sub c), come<br />

si vedrà più avanti.<br />

4. – All’interno <strong>del</strong>le situazioni giuridiche che possono essere pendenti al<br />

momento <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>la nuova norma, si deve prendere in considerazione<br />

a questo punto il processo. Esso è una specie di procedimento, cioè una<br />

sequenza di norme giuridiche (o di fattispecie o di effetti giuridici) coordinate<br />

alla produzione di un atto finale e di un correlativo effetto giuridico finale. La<br />

nota minima <strong>del</strong>la sequenza procedimentale, comune alle principali descrizioni<br />

circolanti in dottrina, è il riferimento allo schema secondo cui la fattispecie prevista<br />

dalla norma successiva <strong>del</strong>la sequenza è integrata dagli effetti prodotti<br />

dall’attuazione <strong>del</strong>la norma precedente (13). In altri termini: l’effetto giuridico<br />

––––––––––––<br />

(12) Un contributo importante all’elaborazione <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong> fatto compiuto risale<br />

a G. Vareilles-Sommières, Une théorie nouvelle sur la rétroactivité des lois, in Revue<br />

critique de législation et de jurisprudence 1893, p. 444 ss., ma nel testo la formula non<br />

deve essere riferita in particolare alla teoria <strong>del</strong> Vareilles-Sommières, ma più genericamente<br />

alle teorie che si contrappongono al principio <strong>del</strong> rispetto dei diritti acquisiti. Un<br />

punto di riferimento in Italia è N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, 2 a ed., Milano<br />

- Roma - Napoli 1915, p. 108 ss.<br />

(13) Così Giovanni Conso ritiene « meritevole di accoglimento la tesi che ravvisa<br />

in ogni procedimento non una pluralità di atti e un unico effetto, ma una serie di atti e una<br />

serie di effetti causalmente collegati sino ad un effetto conclusivo »: G. Conso, I fatti giuridici<br />

processuali penali, Milano 1955, p. 135. Elio Fazzalari coglie il procedimento<br />

« quando ci si trova di fronte ad una serie di norme, ciascuna <strong>del</strong>le quali regola una determinata<br />

condotta (qualificandola come lecita o doverosa), ma enuncia come presupposto<br />

<strong>del</strong>la propria incidenza il compimento di un’attività regolata da altra norma <strong>del</strong>la serie,<br />

e così via fino alla norma regolatrice di un ‘atto finale’ »: E. Fazzalari, Istituzioni di


454<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

previsto dalla norma successiva <strong>del</strong>la serie vede sempre la sua fattispecie costitutiva<br />

integrata dalla componente di fatto <strong>del</strong>l’effetto giuridico previsto dalla<br />

norma precedente e così via fino al perfezionamento di una fattispecie che<br />

mette capo all’effetto finale <strong>del</strong> procedimento.<br />

Se la situazione pendente è un procedimento, il suo regime giuridico discende<br />

dalla regola « che ciascun fatto, sia per ciò che riguarda il regime <strong>del</strong>la<br />

sua essenza, <strong>del</strong>la sua struttura e dei suoi requisiti, sia per ciò che riguarda il<br />

regime <strong>del</strong>le sue conseguenze, è di massima sottoposto alla legge <strong>del</strong> tempo in<br />

cui venne posto in vita. Secondo una nota massima, la quale ben traduce questo<br />

principio, tempus regit factum » (14).<br />

La regola tempus regit actum è equivoca, ma ai nostri fini per actus si può<br />

intendere ciascun atto <strong>del</strong>la sequenza; per tempus il momento in cui il contegno<br />

umano perfeziona la fattispecie normativa <strong>del</strong>l’atto.<br />

Le varianti fondamentali nell’interpretazione <strong>del</strong>la regola tempus regit actum<br />

riproducono l’alternativa tra principio <strong>del</strong> rispetto dei diritti acquisiti e principio<br />

<strong>del</strong> fatto compiuto. L’alternativa è sviluppata nei prossimi due paragrafi.<br />

––––––––––––<br />

diritto processuale, 7 a ed., Padova 1994, p. 60. Vittorio Denti sofferma la propria attenzione<br />

sull’esigenza di connettere gli atti <strong>del</strong> processo sul piano <strong>del</strong>l’effetto giuridico che<br />

dai medesimi discende, esigenza che gli appare « pienamente realizzata » dagli sviluppi<br />

degli studi sul procedimento: V. Denti, Note sui vizi <strong>del</strong>la volontà negli atti processuali,<br />

in Pubblicazioni <strong>del</strong>la Università di Pavia, in Studi nelle scienze giuridiche e sociali<br />

<strong>del</strong>l’Università di Pavia, Pavia 1959, ora in Dall’azione al giudicato, Padova 1983,<br />

p. 127 ss., p. 131. Giovanni Fabbrini individua nella sequenza tipica fatto-situazione soggettiva-atto<br />

l’ossatura <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> procedimento, precisa che « la sequenza procedimentale,<br />

come struttura formale costante, si caratterizza per essere disciplinata da una<br />

serie di norme collegate fra loro in modo tale che la norma successiva <strong>del</strong>la serie vede<br />

sempre la sua fattispecie costitutiva integrata dagli effetti prodotti dall’attuazione <strong>del</strong>la<br />

norma precedente » ed esemplifica in riferimento al processo civile: « l’asserita lesione di<br />

un diritto soggettivo (fatto) attribuisce al titolare il potere (situazione soggettiva) di proporre<br />

la domanda giudiziale (atto); ma l’avvenuta proposizione <strong>del</strong>la domanda (fatto,<br />

ormai) investe attore e convenuto <strong>del</strong> potere (situazione soggettiva) di iscrivere la causa a<br />

ruolo (atto), investe il convenuto <strong>del</strong> potere (situazione soggettiva) di formulare e depositare<br />

la comparsa di risposta (atto), investe infine il cancelliere <strong>del</strong> dovere (situazione<br />

soggettiva) di ricevere l’iscrizione a ruolo (atto), e così via … »: G. Fabbrini, voce Potere<br />

<strong>del</strong> giudice, in Enc. <strong>del</strong> dir., vol. XXXIV, Milano 1985, p. 721 ss., p. 722.<br />

Un’eccezione si deve fare per il pensiero di Aldo M. Sandulli, il quale nega che il<br />

procedimento possa essere concepito come una categoria di carattere sostanziale, in<br />

quanto esso « sta a rappresentare il procedere, e cioè lo svolgersi (a dirla coi tedeschi, il<br />

Vorgang), di un fenomeno verso la sua conclusione. Quindi vale a designare non tanto la<br />

serie dei singoli fatti che nel corso di tale svolgimento trovano la loro concretizzazione<br />

… quanto piuttosto il modo <strong>del</strong> loro susseguirsi » (A.M. Sandulli, Il procedimento amministrativo,<br />

1940, rist. Milano 1964, p. 35 ss.). Su questa nozione si veda, in senso critico,<br />

N. Picardi, La successione processuale, Milano 1964, p. 74.<br />

(14) Così, A.M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, cit., p. 31.


TEMPUS REGIT PROCESSUM UN APPUNTO SULL’EFFICACIA ECC. 455<br />

5. – Se si dà svolgimento al principio <strong>del</strong> rispetto dei diritti acquisiti, si<br />

deve preliminarmente chiarire che il termine « diritti » non può che essere<br />

riferito agli effetti giuridici astratti (poteri e doveri) scaturenti dal compimento<br />

di atti <strong>del</strong> procedimento. In questa variante, la massima tempus regit<br />

actum significa anche tempus regit effectum e implica il rispetto degli effetti<br />

sorti alla stregua <strong>del</strong>la norma anteriore, indipendentemente dal fatto che essi<br />

si siano o meno concretizzati in contegni umani conformi alla regola di condotta<br />

(15).<br />

Può essere utile un esempio tratto da un saggio <strong>del</strong> 1952 di Karl Sieg,<br />

che nella letteratura tedesca accoglie questa impostazione: una norma che abbassa<br />

il limite di valore <strong>del</strong>la controversia per l’ammissibilità <strong>del</strong>l’impugnazione<br />

da 100 a 50 marchi non rende ammissibile l’impugnazione di una<br />

sentenza su una controversia da 75 marchi, anche se la norma è sopravvenuta<br />

prima <strong>del</strong>la scadenza <strong>del</strong> termine d’impugnazione previsto astrattamente dalla<br />

legge (16). Il nuovo effetto previsto dalla norma posteriore (potere di impugnare)<br />

non si sostituisce all’effetto disposto dalla norma anteriore (inammissibilità<br />

<strong>del</strong>l’impugnazione).<br />

6. – Se si dà svolgimento al prevalente principio <strong>del</strong> fatto compiuto, la variante<br />

<strong>del</strong>la regola tempus regit actum ad esso conforme implica il rispetto degli<br />

effetti giuridici concretizzatisi nel passato.<br />

Diverso è invece il trattamento degli effetti giuridici sorti alla stregua <strong>del</strong>la<br />

norma anteriore, ma non ancora concretizzatisi.<br />

Il trattamento degli effetti che sorgono in forza di un fatto passato e si concretizzano<br />

in futuro si ricava dall’applicazione <strong>del</strong>la seguente regola: « Si la loi<br />

nouvelle supprime ou modifie pour l’avenir un de nos droits à raison d’un fait<br />

passé, elle est rétroactive » (17). Nella letteratura italiana il criterio è stato riprodotto<br />

nei termini seguenti: « Efficacia retroattiva c’è, non solo quando la<br />

––––––––––––<br />

(15) In questo senso, nella letteratura tedesca, K. Sieg, Die Einwirkung von Änderungen<br />

zivilprozessualer Normen auf schwebende Verfahren, in Zeitschrift für Zivilprozeß<br />

1952, p. 249 ss., specie p. 257 s., sub c): « Perfezionamento <strong>del</strong>la fattispecie legale ed<br />

effetto <strong>del</strong>la medesima possono essere giudicati unicamente alla stregua di uno stesso<br />

ordinamento giuridico ». La concezione <strong>del</strong> tempus regit effectum è fatta consapevolmente<br />

propria oggi, nella letteratura italiana, da O. Mazza, La norma processuale penale<br />

nel tempo, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Ubertis e G.P. Voena, Milano<br />

1999, p. 128: « Per quanto riguarda gli effetti non ancora esauriti su cui intervenga la<br />

successione normativa, è possibile affermare che la nuova disciplina, secondo il principio<br />

in esame [tempus regit actum], non può mai travolgere la parte di effetti già prodottasi né<br />

può impedire o regolare diversamente gli effetti futuri ». Il corsivo è nell’originale.<br />

(16) Così, K. Sieg, Die Einwirkung von Änderungen zivilprozessualer Normen auf<br />

schwebende Verfahren, cit., p. 258.<br />

(17) Così, G. Vareilles-Sommières, Une théorie nouvelle sur la rétroactivité des<br />

lois, cit., p. 445. Il corsivo è nell’originale.


456<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

nuova legge disconosce le conseguenze già realizzate <strong>del</strong> fatto compiuto, cioè<br />

distrugge i vantaggi già nati, ma anche quando impedisce una conseguenza futura<br />

di un fatto già compiuto, per una ragione relativa a questo fatto soltanto<br />

(…). Quando invece la legge nuova regola anche le conseguenze d’un fatto passato<br />

che s’avverano sotto il suo impero per se stesse considerate, e non per una<br />

ragione relativa a quel fatto, il quale così non vien toccato, non v’ha retroattività,<br />

ma applicazione immediata <strong>del</strong>la legge. Sicché non sempre le conseguenze<br />

d’un fatto passato debbono essere regolate dalla legge vigente al tempo <strong>del</strong> fatto<br />

che n’è la causa (…) ma quelle le quali non possono venire regolate dalla legge<br />

nuova, senza che questa venga così a regolare lo stesso fatto che n’è la causa. Il<br />

criterio perciò che serve a discernerle è il rapporto di causa ad effetto che passerebbe<br />

tra il fatto passato e l’applicazione <strong>del</strong>la nuova legge: la ragione per cui la<br />

conseguenza di un fatto passato viene ad essere disconosciuta. (…) La massima<br />

‘la legge non ha forza retroattiva’ significa che il giudice non può applicarla a<br />

fatti passati, o sconoscendo le conseguenze già avverate, o togliendo efficacia, o<br />

attribuendone una diversa, alle conseguenze nuove in base alla sola valutazione<br />

<strong>del</strong> fatto passato » (18).<br />

Il criterio <strong>del</strong> fatto compiuto è empirico e dischiude indagini con sviluppi<br />

ed esiti prevedibili ed uniformi solo nei casi più semplici (19). Esso viene abbracciato<br />

dalla giurisprudenza italiana che lo segue tuttora. Esso le consente,<br />

specialmente in presenza di fattispecie a formazione successiva e di procedimenti,<br />

un notevole margine di apprezzamento nella scelta <strong>del</strong>la norma da applicare<br />

fra quella anteriore e quella posteriore, scelta che viene effettuata « privilegiando<br />

uno dei momenti <strong>del</strong>la fattispecie, oppure forzando con una finzione<br />

uno dei vari momenti nella globalità <strong>del</strong> fatto unico » (20).<br />

7. – Come già detto, vi è un’impostazione radicalmente diversa da quella considerata<br />

finora. Non si muove dall’ambito di efficacia <strong>del</strong>la legge per individuare<br />

poi i fatti che vi ricadono, ma al contrario ci si rappresenta dapprima la situazione<br />

––––––––––––<br />

(18) Così, N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, cit., p. 108 s.<br />

(19) Dal punto di vista <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la rilevanza giuridica, il principio <strong>del</strong> fatto<br />

compiuto presta il fianco ad un’obiezione: « se un fatto è giuridico in forza degli effetti<br />

che ad esso conseguono, non solo ogni modifica di questi ultimi equival[e] a modifica<br />

<strong>del</strong>la rilevanza giuridica <strong>del</strong> fatto, ma, al tempo stesso, risult[a] oggettivamente impossibile<br />

distinguere tra effetti al fine di selezionarne uno o più idonei, contrariamente ad altri,<br />

a far sì che, come invece si pretende, la disciplina giuridica <strong>del</strong> fatto generatore rimanga<br />

immutata ». Così, G. Furgiuele, voce Diritti acquisiti, in Digesto <strong>del</strong>le discipline privatistiche,<br />

sezione civile, vol. V, Torino 1989, p. 369 ss., p. 378.<br />

(20) Così, A. Giuliani, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a<br />

15, cit., p. 483. Per l’analisi di talune fattispecie di ius superveniens di natura processuale,<br />

v. R. Caponi, È davvero irretroattiva l’abrogazione <strong>del</strong> divieto di svolgere la funzione<br />

procuratoria “extra districtum”?, in Foro it. 1999, I, c. 159 ss.


TEMPUS REGIT PROCESSUM UN APPUNTO SULL’EFFICACIA ECC. 457<br />

da disciplinare per cercare poi la regola di diritto da applicare: non l’efficacia <strong>del</strong>la<br />

legge processuale nel tempo, ma il tempo <strong>del</strong> processo e la sua disciplina.<br />

Alla stregua di questa seconda prospettiva, nell’affrontare i problemi di diritto<br />

intertemporale non conviene porsi tanto dall’angolo visuale di un’astratta<br />

distinzione tra retroattività e irretroattività (e <strong>del</strong>le varianti cui essa ha dato luogo),<br />

quanto da quello, più concreto, degli interessi protetti dalla norma anteriore<br />

che, di volta in volta, sono toccati o lasciati intatti dalla norma posteriore. In ciò<br />

si manifesta la perdurante fecondità <strong>del</strong>l’approccio <strong>del</strong>l’esperienza giuridica<br />

romana (21).<br />

Con ciò si restituisce profondità storica all’indagine, che si tende spesso<br />

a limitare all’epoca moderna. La limitazione è in un certo senso insita nell’impostazione<br />

che fa perno sull’efficacia temporale <strong>del</strong>la legge, in quanto atto di<br />

volontà dei detentori <strong>del</strong> potere politico nello Stato moderno. Si tratta di uno<br />

dei tanti frutti <strong>del</strong>la svolta che la storia giuridica <strong>del</strong>l’Europa continentale ha<br />

conosciuto alla fine <strong>del</strong> Settecento con lo snaturamento <strong>del</strong>la dimensione giuridica<br />

e la puntigliosa realizzazione di un monopolio <strong>del</strong> diritto da parte <strong>del</strong>lo<br />

Stato (22).<br />

Se ci si rappresenta dapprima la situazione da disciplinare e poi si ricerca<br />

la regola di diritto da applicare, viene in considerazione prima il processo. Il<br />

processo civile viene in considerazione prima <strong>del</strong>la legge non solo nel discorso,<br />

ma anche nella storia. Il processo come fenomeno storico viene prima <strong>del</strong>lo<br />

Stato moderno.<br />

Il legame tra Stato moderno e funzione di rendere giustizia è infatti la perpetuazione<br />

di un preciso disegno, maturato in quel profondo mutamento <strong>del</strong>la<br />

temperie culturale e politica che, fra il secolo XVII e il secolo XVIII, segna il<br />

progressivo affermarsi nell’Europa continentale dei moderni ordinamenti processuali<br />

(23). Quel momento di svolta, se da un lato è animato dalla tensione a<br />

––––––––––––<br />

(21) Per approfondimenti si rinvia a R. Caponi, L’efficacia <strong>del</strong> giudicato civile nel<br />

tempo, cit., p. 178.<br />

(22) Su questa vicenda, in una prospettiva riassuntiva, v. P. Grossi, Scienza giuridica<br />

e legislazione nella esperienza attuale <strong>del</strong> diritto, in Riv. dir. civ. 1997, p. 175 ss.<br />

(23) Su questa temperie culturale e politica si possono vedere le ricerche di Alessandro<br />

Giuliani, tra cui: Ordine isonomico ed ordine asimmetrico: « nuova retorica » e<br />

teoria <strong>del</strong> processo, in Soc. <strong>del</strong> dir. 1986, p. 81 ss.; L’ordo judiciarius medioevale (riflessioni<br />

su un mo<strong>del</strong>lo puro di ordine isonomico), in questa Rivista 1988, p. 598 ss.; voce<br />

Prova in genere (filosofia <strong>del</strong> diritto), in Enc. <strong>del</strong> dir., vol. XXXVII, Milano 1988, p. 518<br />

ss. Sulle origini <strong>del</strong>la concezione moderna <strong>del</strong> processo, si possono vedere inoltre i lavori<br />

di N. Picardi, voce Processo (dir. moderno), in Enc. <strong>del</strong> dir., vol. XXXVI, Milano 1987,<br />

p. 101 ss., specie p. 110 ss.; voce Codice di procedura civile (presupposti storici e logici),<br />

in Digesto <strong>del</strong>le Discipline Privatistiche, sezione civile, vol. II, Torino 1988, p. 457<br />

ss., specie p. 461 ss.; infine i saggi raccolti in Mo<strong>del</strong>li storici <strong>del</strong>la procedura continentale,<br />

II, Dall’ordo judiciarius al codice di procedura, a sua volta ricompreso in L’educazione<br />

giuridica, a cura di A. Giuliani e N. Picardi, vol. VI, Napoli 1994. Considera-


458<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rimediare alla degenerazione <strong>del</strong> processo romano-canonico (24) e ad apprestare<br />

certezza alla disciplina <strong>del</strong> processo, relega al margine un’idea feconda di<br />

giustizia astatuale, resa in un processo – l’ordo iudiciarius medievale – i cui<br />

principi non provengono dalla volontà <strong>del</strong> legislatore, ma dalle regole <strong>del</strong>la retorica<br />

e <strong>del</strong>l’etica (25). Tali regole non sono imposte da un’autorità superiore ed<br />

esterna, ma sono proprie <strong>del</strong>la stessa comunità cui appartengono i protagonisti<br />

<strong>del</strong>la vicenda processuale.<br />

E certamente fra quelle regole di etica processuale ve n’era una secondo la<br />

quale non si cambiano le regole <strong>del</strong> processo quando esso è in corso. Le regole<br />

<strong>del</strong> contraddittorio devono essere previamente conoscibili dalle parti e non devono<br />

essere esposte all’alea di modificazioni sopravvenute.<br />

Si può ammettere che questa <strong>del</strong>icata operazione che si compie nel processo<br />

(« la vera e sola ricerca <strong>del</strong> tempo perduto che fa l’esperienza pratica: il tempo<br />

che si ripresenta, il fiume che risale verso la sorgente, la vita che si coglie<br />

nella sua lacerazione e si reintegra nella sua unità » per richiamare le parole di<br />

Giuseppe Capograssi) (26) possa essere compiuta sotto l’incubo di nuove regole<br />

<strong>del</strong> procedere immediatamente applicabili?<br />

L’intrinseca ragionevolezza <strong>del</strong> principio secondo cui non si cambiano le<br />

regole <strong>del</strong> processo quando esso è in corso è stata messa in ombra dalla statualizzazione<br />

<strong>del</strong>la procedura, con il connesso incontrollato interventismo di un<br />

legislatore, al quale solo in casi eccezionali si può riconoscere ormai una sufficiente<br />

attenzione verso la sacrosanta esigenza di certezza e di garanzia nel trattamento<br />

<strong>del</strong>le situazioni processuali (27).<br />

Talché si può ritenere che la ragionevolezza di questa regola permei di sé<br />

l’interpretazione <strong>del</strong>l’art. 11 <strong>del</strong>le Preleggi con riferimento alle leggi processuali<br />

(nonostante che la communis opinio sia in senso opposto) (28): se la legge<br />

––––––––––––<br />

zioni parzialmente critiche su queste ricerche possono leggersi in K.W. Nörr, Alcuni momenti<br />

<strong>del</strong>la storiografia <strong>del</strong> diritto processuale, in questa Rivista 2004, p. 1 ss.<br />

(24) Per un incisivo quadro <strong>del</strong>la degenerazione <strong>del</strong> processo romano-canonico, con<br />

particolare riferimento alle disastrose condizioni in cui l’amministrazione <strong>del</strong>la giustizia<br />

versa in Italia nel secolo XVIII, in conseguenza <strong>del</strong>la molteplicità e confusione <strong>del</strong>le fonti<br />

legali <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong> processo, <strong>del</strong>la struttura complessa e formalistica <strong>del</strong><br />

procedimento civile e <strong>del</strong> caos nell’ordinamento <strong>del</strong>le giurisdizioni, v. M. Taruffo, La<br />

giustizia civile in Italia dal ’700 a oggi, Bologna 1980, p. 7 ss.<br />

(25) Cfr. A. Giuliani, L’ordo judiciarius medioevale (riflessioni su un mo<strong>del</strong>lo puro<br />

di ordine isonomico), cit., p. 613.<br />

(26) G. Capograssi, Giudizio processo scienza verità, in questa Rivista 1950, p. 1<br />

ss., p. 5.<br />

(27) Per una riflessione su aspetti collegati a quelli trattati nel testo, v. R. Caponi,<br />

In tema di autonomia e certezza nella disciplina <strong>del</strong> processo civile, in Foro it. 2006,<br />

I, 136.<br />

(28) Per un quadro critico, v. B. Capponi, La legge processuale civile. Fonti interne<br />

e comunitarie (Applicazione e vicende), 2 a ed., Torino 2004, p. 111 ss.


TEMPUS REGIT PROCESSUM UN APPUNTO SULL’EFFICACIA ECC. 459<br />

non dispone che per l’avvenire, la legge processuale non dispone che per i processi<br />

futuri (o quantomeno, non dispone che per i futuri gradi di giudizio).<br />

A questa stregua si può profilare una netta distinzione, per quanto riguarda<br />

i principi di diritto intertemporale, tra intervento di nuove norme sostanziali da<br />

applicare alla fattispecie dedotta in giudizio ed intervento di nuove norme processuali.<br />

Per quanto attiene alle norme sostanziali, vale per esse ciò che vale per i<br />

fatti sopravvenuti. Poiché il processo culmina in un giudizio in cui si applica la<br />

norma al fatto, l’economia dei giudizi impone che il materiale <strong>del</strong>l’accertamento<br />

sia il più recente possibile, per evitare di mettere in circolazione una decisione<br />

nata già vecchia, foriera di nuove dispute anziché <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong>la<br />

controversia.<br />

Per quanto riguarda le norme processuali, la stessa economia dei giudizi<br />

gioca in senso opposto: nel senso che l’assetto predisposto in considerazione di<br />

un certo modus procedendi non debba tendenzialmente essere sconvolto da<br />

norme sopravvenute, che rimettono inevitabilmente in discussione l’unità e la<br />

coerenza <strong>del</strong>l’intera attività processuale, cioè l’unità e la coerenza <strong>del</strong>l’attività<br />

processuale già svolta con quella futura. Si può esprimere questo nuovo principio<br />

di diritto intertemporale con una parafrasi <strong>del</strong> vecchio brocardo tempus regit<br />

actum, precisando che l’actus è quell’actus trium personarum in cui consiste<br />

l’intero processo (o quanto meno il singolo grado di giudizio): tempus regit processum.<br />

Laddove esigenze di ordine pubblico processuale impongano l’applicabilità<br />

<strong>del</strong>le nuove norme ai processi in corso, soccorre la ponderata adozione di<br />

norme di diritto transitorio. La distinzione tra norme di diritto intertemporale,<br />

inteso come quel complesso di regole che disciplinano la successione <strong>del</strong>le<br />

norme nel tempo, e norme di diritto transitorio, inteso come insieme di prescrizioni<br />

dettate di volta in volta per regolare gli accadimenti compresi nel<br />

periodo in cui si verifica un mutamento legislativo, rivela in questo caso tutta<br />

la sua utilità.<br />

Anzi, un principio di diritto intertemporale così impegnativo dal punto di<br />

vista <strong>del</strong>la conservazione dei valori giuridico-processuali – la litispendenza come<br />

unica situazione acquisita, in quanto tale non sottoposta all’impero <strong>del</strong> diritto<br />

nuovo – responsabilizza molto di più il legislatore nell’adozione di una calibrata<br />

disciplina transitoria in vista <strong>del</strong>l’applicazione <strong>del</strong>le nuove norme ai processi<br />

pendenti, di quanto non faccia attualmente il principio tempus regit actum<br />

riferito al singolo atto <strong>del</strong>la sequenza processuale, che assicura automaticamente<br />

al legislatore il risultato per lui più interessante – l’applicabilità <strong>del</strong>le<br />

nuove norme ai processi in corso – talché, quanto ai dettagli <strong>del</strong> passaggio dalla<br />

vecchia alla nuova disciplina, troppo spesso il legislatore si permette di dire a<br />

giudici ed avvocati di risolvere il problema da soli.<br />

8. – Diverso è, in linea di principio, il discorso sull’efficacia <strong>del</strong>le pronunce<br />

di accoglimento <strong>del</strong>la Corte costituzionale, in relazione alla quale è infatti


460<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

improprio parlare di retroattività. Dal giorno successivo alla pubblicazione nella<br />

Gazzetta ufficiale, la sentenza <strong>del</strong>la Corte si applica immediatamente ai processi<br />

in corso, altrimenti la sua efficacia sarebbe destinata a rimanere preclusa dal<br />

limite temporale <strong>del</strong> giudicato (29). L’ultimo momento utile per la sua applicazione,<br />

in quanto ius superveniens, è il momento che precede il deposito <strong>del</strong>la<br />

sentenza in cancelleria (30).<br />

Gli effetti temporali <strong>del</strong>le sentenze di accoglimento <strong>del</strong>la Corte costituzionale<br />

(31) sono disciplinati nell’ordinamento dall’art. 136 Cost. (32) e dall’art.<br />

30, comma 3° <strong>del</strong>la l. 11 marzo 1953, n. 87 (33). Per inquadrarli si può richiamare<br />

la classica argomentazione svolta da Carlo Esposito nel 1950 al Convegno<br />

internazionale di diritto processuale di Firenze: poiché il legislatore costituzionale<br />

ha scelto il sistema di sindacato incidentale, fondato sulla sollevazione<br />

<strong>del</strong>la questione nell’ambito <strong>del</strong> giudizio (34), è inevitabile riconoscere che la<br />

norma dichiarata incostituzionale perda efficacia anche come criterio di valutazione<br />

dei fatti passati ancora sub iudice (35). Anche se si dovesse ritenere che la<br />

legge <strong>del</strong>la cui costituzionalità si dubita sia, prima <strong>del</strong>la dichiarazione d’incostituzionalità,<br />

efficace e obbligatoria nei confronti dei soggetti <strong>del</strong>l’ordinamento<br />

––––––––––––<br />

(29) Cfr. sul punto, R. Caponi, L’efficacia <strong>del</strong> giudicato civile nel tempo, cit.,<br />

p. 145 ss.<br />

(30) V. da ultimo R. Caponi, Lo “ius superveniens” nel corso <strong>del</strong> processo civile si<br />

deve applicare immediatamente anche se interviene tra la <strong>del</strong>iberazione e la pubblicazione<br />

<strong>del</strong>la sentenza, in Foro it. 1998, I, c. 1076.<br />

(31) Cfr. gli atti <strong>del</strong> seminario di studi Effetti temporali <strong>del</strong>le sentenze <strong>del</strong>la Corte<br />

costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, Milano 1989; M. D’Amico,<br />

Giudizio sulle leggi ed efficacia temporale <strong>del</strong>le decisioni di incostituzionalità, Milano<br />

1993; R. Pinardi, La Corte, i giudici ed il legislatore, Milano 1993; nonché, se vuoi,<br />

R. Caponi, La nozione di retroattività <strong>del</strong>la legge, cit., p. 1363 ss.; R. Caponi, L’efficacia<br />

<strong>del</strong> giudicato civile nel tempo, cit., p. 43 ss.<br />

(32) Testo <strong>del</strong>l’art. 136, comma 1°, Cost.: « Quando la Corte dichiara la illegittimità<br />

costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa<br />

di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione <strong>del</strong>la decisione ».<br />

(33) Testo <strong>del</strong>l’art. 30, comma 3°, l. 11 marzo 1953, n. 87: « Le norme dichiarate<br />

incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione<br />

<strong>del</strong>la decisione ».<br />

(34) Cfr. art. 1, l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1.<br />

(35) Cfr. C. Esposito, Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità <strong>del</strong>le leggi<br />

in Italia, relazione letta nel 1950 al Congresso internazionale di diritto processuale di<br />

Firenze, in La costituzione italiana. Saggi, Padova 1954, p. 269 s.; invece secondo F.<br />

Modugno, in Effetti temporali <strong>del</strong>le sentenze <strong>del</strong>la Corte costituzionale anche con riferimento<br />

alle esperienze straniere, cit., p. 13: « mentre la legge costituzionale <strong>del</strong> 1948,<br />

istituendo l’incidentalità come mezzo ordinario per l’instaurazione <strong>del</strong> giudizio costituzionale,<br />

rende a rigore non applicabile la norma dichiarata illegittima ai soli fatti oggetto<br />

<strong>del</strong> giudizio a quo, è la legge ordinaria n. 87 a stabilire la inapplicabilità generale <strong>del</strong>la<br />

norma ».


TEMPUS REGIT PROCESSUM UN APPUNTO SULL’EFFICACIA ECC. 461<br />

e che, di conseguenza, la pronuncia di accoglimento <strong>del</strong>la Corte costituzionale<br />

sia in qualche modo assimilabile ad una sentenza di annullamento (36), si deve<br />

subito aggiungere che la sua efficacia si estende a tutti i rapporti non ancora<br />

esauriti (37).<br />

Se oggetto <strong>del</strong>la dichiarazione di incostituzionalità è una norma processuale,<br />

gli effetti <strong>del</strong>la pronuncia <strong>del</strong>la Corte costituzionale sono ben più penetranti<br />

<strong>del</strong> semplice intervento, nel corso <strong>del</strong> processo, di una nuova legge processuale<br />

ad applicazione immediata, ma non retroattiva (38). Anche la validità<br />

degli atti processuali già compiuti nei processi ancora in corso deve essere valutata,<br />

in linea di principio, alla stregua <strong>del</strong>le norme posteriori, risultanti dall’intervento<br />

<strong>del</strong>la Corte (39).<br />

La sentenza di accoglimento <strong>del</strong>la Corte costituzionale, al pari <strong>del</strong>la legge<br />

retroattiva, non tocca però, in via di principio, i rapporti che si sono esauriti per<br />

l’intervento di un giudicato, di una prescrizione, di una decadenza (tranne che la<br />

dichiarazione di incostituzionalità investa proprio la norma che determina l’esaurimento<br />

<strong>del</strong> rapporto). Il giudicato, la prescrizione e la decadenza sono infatti<br />

situazioni che esauriscono il rapporto giuridico nei confronti <strong>del</strong>lo ius superveniens<br />

retroattivo (40), mentre è problematico se rientri fra queste situazioni<br />

la preclusione processuale (41).<br />

Si può comprendere che la notevole proiezione verso il passato <strong>del</strong>l’ef-<br />

––––––––––––<br />

(36) La cautela in ordine alla possibilità di impiegare la coppia nullità–annullabilità<br />

riceve alimento dalle osservazioni di Valerio Onida nella Presentazione <strong>del</strong> volume di M.<br />

D’Amico, Giudizio sulle leggi ed efficacia temporale <strong>del</strong>le decisioni di incostituzionalità,<br />

cit., p. X.<br />

Per ampie indicazioni bibliografiche sul punto si rinvia a R. Pinardi, La Corte, i<br />

giudici ed il legislatore, cit., p. 19, in nota n. 43.<br />

(37) Per la possibilità di parlare di retroattività <strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>le sentenze di accoglimento<br />

<strong>del</strong>la Corte costituzionale, pur con una serie di precisazioni, R. Caponi, La nozione<br />

di retroattività <strong>del</strong>la legge, cit., p. 1367.<br />

(38) Sulle differenze tra successione di leggi nel tempo e dichiarazione<br />

d’incostituzionalità, v. V. Onida, Illegittimità costituzionale di leggi limitatrici di diritti e<br />

decorso <strong>del</strong> termine di decadenza, in Giur. cost. 1965, p. 514 ss., specie p. 558 ss.<br />

(39) Sul punto v. peraltro le osservazioni di M. D’Amico, Giudizio sulle leggi ed<br />

efficacia temporale <strong>del</strong>le decisioni di incostituzionalità, cit., p. 113 ss.<br />

(40) Per una riflessione complessiva sui rapporti esauriti si rinvia a R. Caponi,<br />

L’efficacia <strong>del</strong> giudicato civile nel tempo, cit., p. 175 ss.<br />

(41) In senso favorevole G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Milano 1988,<br />

p. 267. In senso tendenzialmente sfavorevole, A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale,<br />

3 a ed., Milano 2001, p. 224. Per una recente meditazione su questo tema, v. A. Gragnani,<br />

Il giudizio in via incidentale: gli effetti nel tempo <strong>del</strong>le decisioni di illegittimità costituzionale,<br />

in A. Pizzorusso, R. Romboli, Le norme integrative per i giudizi davanti alla<br />

Corte costituzionale dopo quasi mezzo secolo di applicazione, a cura di G. Famiglietti, E.<br />

Malfatti, P.P. Sabatelli, Torino 2002, p. 29 ss., p. 34 s.


462<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ficacia <strong>del</strong>le decisioni di accoglimento <strong>del</strong>la Corte costituzionale crei spesso<br />

molti problemi, specialmente dal punto di vista pratico o dal punto di vista <strong>del</strong><br />

rispetto di certi istituti previsti dalla legge ordinaria. Questi punti di vista sono<br />

però destinati a soccombere, se non si ancorano a valori costituzionali che possano<br />

<strong>del</strong>imitare, in via di bilanciamento, il valore costituzionale sotteso all’efficacia<br />

verso il passato <strong>del</strong>le sentenze <strong>del</strong>la Corte.<br />

REMO CAPONI<br />

Professore ordinario<br />

nell’Università di Firenze


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE<br />

ALLA LUCE DELLA PROPOSTA<br />

DI DIRETTIVA EUROPEA<br />

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La conciliazione quale forma di ADR. – 3. I<br />

vantaggi <strong>del</strong> ricorso alla conciliazione. – 4. La necessità di una precisazione<br />

terminologica. – 5. Le diverse classificazioni <strong>del</strong>le tipologie di conciliazione.<br />

– 6. La conciliazione stragiudiziale e il ruolo <strong>del</strong>le Camere di Commercio.<br />

– 7. Il quadro di riferimento europeo. – 8. La conciliazione stragiudiziale<br />

in materia societaria e i Regolamenti attuativi: aspetti poco convincenti<br />

<strong>del</strong>la disciplina. – 9. La Proposta di Direttiva <strong>del</strong> Parlamento Europeo<br />

e <strong>del</strong> Consiglio relativa a determinati aspetti <strong>del</strong>la mediazione in<br />

materia civile e commerciale. – 10. Le iniziative interne de iure condendo.<br />

– 11. Conclusioni.<br />

1. – Questo scritto prende le mosse dalla constatazione che è in atto,<br />

non solo nel nostro sistema interno, ma anche in quello comunitario, il tentativo<br />

di promuovere lo strumento <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale (1). Di<br />

––––––––––––<br />

(1) Sul tema, per il momento, ci si limita ad indicare le più recenti pubblicazioni,<br />

molte <strong>del</strong>le quali di carattere più pratico che teorico, mancando ancora una più completa<br />

riflessione scientifica, come si avrà modo di osservare. Si rinvia quindi a: AA.VV., Conciliazione:<br />

Prospettive a confronto, a cura di V. Federici, Unioncamere Lombardia - Edizioni<br />

Il sole 24 Ore S.p.A., Milano 2005; Cafaro, Le procedure arbitrali e di ADR. Casi<br />

pratici, regolamenti e tariffe degli organismi arbitrali e <strong>del</strong>le società di ADR, <strong>Cedam</strong>,<br />

Padova 2005; Soldati, Arbitrato e risoluzione alternativa <strong>del</strong>le controversie commerciali,<br />

Ipsoa, 2005; AA.VV., La risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie e il ruolo <strong>del</strong>l’avvocatura,<br />

a cura di G. Alpa e R. Danovi, Giuffrè, Milano 2004; De Palo, D’Urso, Golann,<br />

Manuale <strong>del</strong> conciliatore professionista. Procedure e tecniche per la risoluzione alternativa<br />

<strong>del</strong>le controversie civili e commerciali (ADR), Giuffrè, Milano 2004; Cicogna, Di<br />

Rago, Giudice, La conciliazione commerciale. Manuale teorico-pratico, Maggioli Editore,<br />

2004; Luiso, La conciliazione nel quadro <strong>del</strong>la tutela dei diritti, in www.judicium.it<br />

(10 dicembre 2003); Caponi, La conciliazione stragiudiziale come metodo di ADR<br />

(« Alternative Dispute Resolution »), in Foro it. 2003, V, 165 ss.; Di Rocco, Santi, La<br />

conciliazione. Profili teorici ed analisi degli aspetti normativi e procedurali <strong>del</strong> metodo<br />

conciliativo, Giuffrè, Milano 2003; E. Minervini, La conciliazione stragiudiziale <strong>del</strong>le<br />

controversie. Il ruolo <strong>del</strong>le Camere di commercio, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli


464<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

essa si discute non solo in seno alla dottrina, ma anche nel dibattito politico,<br />

con diverse iniziative de iure condendo che si inseriscono nel solco disegnato<br />

da quelle assunte a livello europeo, fino alla Proposta di Direttiva <strong>del</strong><br />

Parlamento Europeo e <strong>del</strong> Consiglio relativa a determinati aspetti <strong>del</strong>la mediazione<br />

in materia civile e commerciale (2), presentata dalla Commissione<br />

il 22 ottobre 2004. Il fenomeno merita quindi di essere osservato più da vicino<br />

per cogliere le potenzialità <strong>del</strong>l’istituto e per valutare attraverso le scelte<br />

legislative adottate e da adottare quanto ci si possa aspettare in termini di sua<br />

affermazione.<br />

Si può allora cominciare con una osservazione di tipo culturale, ovvero<br />

ricordando come la dottrina rilevi che parlare di conciliazione significa superare<br />

quella concezione che attribuisce un primato all’esercizio <strong>del</strong> potere giurisdizionale<br />

nella soluzione dei conflitti (3), e quindi abbandonare il principio<br />

di priorità <strong>del</strong>la giurisdizione a favore di quello <strong>del</strong>la sussidiarietà (4), – in<br />

base al quale l’intervento <strong>del</strong>l’autorità giudiziaria rappresenterebbe l’ultima<br />

chance a disposizione, alla quale far ricorso quando tutti gli altri strumenti<br />

offerti dal sistema abbiano fallito –, e promuovere il ricorso a forme di auto-<br />

––––––––––––<br />

2003; AA.VV., La via <strong>del</strong>la conciliazione, a cura di S. Giacomelli, Ipsoa, 2003; Uzqueda,<br />

Frediani, La conciliazione. Guida per la soluzione negoziale <strong>del</strong>le controversie, Giuffrè,<br />

Milano 2002; AA.VV., La conciliazione. Mo<strong>del</strong>li ed esperienze di composizione non<br />

conflittuale <strong>del</strong>le controversie, a cura di P. Bernardini, Isdaci - Egea, Milano 2001.<br />

(2) COM(2004) 718 definitivo, SEC(2004) 1314, e che verrà esaminata nel § 9.<br />

(3) Luiso, La conciliazione, cit., 3 s., afferma che « l’idea comune è quella <strong>del</strong>la<br />

priorità <strong>del</strong>la giurisdizione, che è concetto diverso da quello <strong>del</strong>la centralità <strong>del</strong>la giurisdizione.<br />

Con quest’ultima espressione si indica un principio assolutamente ovvio, che<br />

trova fondamento negli artt. 24 e 111 Costituzione: la tutela giurisdizionale dei diritti è<br />

un’attività costituzionalmente necessaria, che il legislatore ordinario non può circoscrivere<br />

o eliminare. Con l’altra espressione invece, si indica quello stato psicologico istintivo,<br />

in base al quale – ove si presenti la necessità di tutelare un diritto – il ricorso alla giurisdizione<br />

viene invocato come il primo ed immediato rimedio ». Sul punto v. anche Caponi,<br />

La conciliazione stragiudiziale, cit., 167. Ma, più che di un fattore psicologico mi pare<br />

si tratti di un mo<strong>del</strong>lo culturale di riferimento, tanto è vero che, con riguardo a quanto qui<br />

interessa, si parla sempre più <strong>del</strong>la necessità di diffondere « la cultura <strong>del</strong>la conciliazione<br />

».<br />

(4) Dunque, il principio di sussidiarietà si applicherebbe anche al processo e riguarderebbe<br />

principalmente i rapporti tra strumenti giurisdizionali e non giurisdizionali<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie: così Luiso, Sassani, Il progetto di riforma <strong>del</strong>la commissione<br />

Vaccarella: c’è chi preferisce il processo attuale, in www.judicium.it (15 novembre<br />

2003). Evoca il principio di sussidiarietà anche De Santis, La conciliazione in<br />

materia societaria. Fondamenti negoziali, contrafforti pubblicistici e riflessi sul processo<br />

ordinario, in Giur. it. 2004, 449 ss.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 465<br />

composizione (5) <strong>del</strong>la lite, che si collocano nell’ambito <strong>del</strong>l’autonomia dei<br />

privati.<br />

Questi strumenti sono rappresentati prima di tutto dalla negoziazione, che<br />

si caratterizza per il fatto che sono gli stessi destinatari <strong>del</strong>le regole di condotta<br />

ad individuarle in modo per loro vincolante, risolvendo la controversia attraverso<br />

un contratto; quindi, e quando essa si dimostra incapace di raggiungere il risultato<br />

voluto, dalla conciliazione che, in prima approssimazione, si può definire<br />

come quel procedimento attraverso il quale le parti cercano di individuare il<br />

contenuto <strong>del</strong>l’atto consensuale risolutivo <strong>del</strong>la controversia con l’aiuto di un<br />

terzo, il conciliatore. Solo nel caso in cui questi strumenti consensuali si dimostrino<br />

incapaci di funzionare, si dovrebbe ricorrere agli strumenti eteronomi di<br />

risoluzione <strong>del</strong> conflitto insorto, altrimenti definiti come aggiudicativi (6), nei<br />

quali la soluzione è rimessa alla decisione di un terzo ed è idonea a vincolare le<br />

parti, e quindi all’arbitrato o, in assenza di clausola compromissoria o di compromesso,<br />

all’autorità giudiziaria. Quello descritto sarebbe il mo<strong>del</strong>lo di tutela<br />

dei diritti al quale occorrerebbe far oggi riferimento per capire il fenomeno studiato<br />

e di cui si intende discutere (7).<br />

Pare essere questo, in effetti, il contesto culturale nel quale collocare correttamente<br />

il tema <strong>del</strong>la conciliazione (8), come risulta evidente a chi si è confrontato<br />

con il primo esempio di disciplina articolata offerta dal legislatore in<br />

tema di conciliazione stragiudiziale, rappresentato dagli artt. 38-40 <strong>del</strong> c.d. rito<br />

societario (9), sui quali ci si soffermerà rappresentando essi, seppure introdotti<br />

––––––––––––<br />

(5) Si tratta di una terminologia ormai diffusa nella letteratura sul tema. Si richiamano<br />

qui le definizioni di Luiso, La conciliazione, cit., 1, per il quale gli strumenti idonei<br />

a risolvere le controversie in materia di diritti disponibili possono essere distinti in due<br />

gruppi: quello degli strumenti autonomi e quello degli strumenti eteronomi. Gli strumenti<br />

autonomi si caratterizzerebbero, come già detto nel testo, per il fatto che sono gli stessi<br />

destinatari <strong>del</strong>le regole di condotta ad individuarle in modo per loro vincolante, così risolvendo<br />

la controversia; quelli eteronomi per il fatto che è un terzo a porre tali regole<br />

con un atto vincolante per le parti, in ragione <strong>del</strong>la sua posizione istituzionale (giudice), o<br />

perché così esse hanno voluto (arbitro).<br />

(6) V. la nota precedente.<br />

(7) Per Luiso, ult. loc. cit., si tratterebbe <strong>del</strong> più corretto ed attuale approccio al tema<br />

<strong>del</strong>la tutela dei diritti.<br />

(8) Anche per De Santis, ult. loc. cit., la conciliazione appare come un fenomeno<br />

culturale realmente alternativo alla giurisdizione « sul quale si misura la capacità<br />

<strong>del</strong>l’ordinamento di offrire o di favorire la diffusione di strumenti efficaci e credibili di<br />

soluzione di una certa categoria di controversie ».<br />

(9) Sul tema si rinvia per il momento a Ghirga, Gli strumenti alternativi di risoluzione<br />

<strong>del</strong>le controversie nel quadro <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> diritto societario, in<br />

www.judicium.it (28 febbraio 2004), scritto nel quale si è cercato di ricostruire le linee<br />

guida <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> diritto societario per meglio cogliere lo spirito che ha animato la


466<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

in una legislazione speciale, l’archetipo e il mo<strong>del</strong>lo di riferimento per la futura<br />

adozione di questo strumento con portata più generale (10).<br />

Per il momento interessa rilevare come l’aver messo a fuoco il contesto<br />

politico-culturale nel quale muoversi, consenta di liberarsi di alcuni luoghi comuni<br />

che potrebbero portare il discorso su sentieri ormai abbandonati.<br />

2. – Ed infatti non si è ancora fatto cenno ad uno dei possibili inquadramenti<br />

<strong>del</strong>la conciliazione, al quale si è, peraltro, riferito lo stesso legislatore <strong>del</strong><br />

societario (11), che è quello che la vuole inserita tra le più usate forme di ADR.<br />

Si suole parlare di forme alternative di risoluzione <strong>del</strong>la controversia<br />

usando una espressione di ampio utilizzo anche in ambito italiano e che, com’è<br />

noto, trae origine dalla importazione e traduzione <strong>del</strong>l’espressione anglosassone<br />

Alternative Dispute Resolution, altrimenti conosciuta per mezzo <strong>del</strong>l’acronimo<br />

ADR, con la quale sono stati indicati i sistemi di risoluzione <strong>del</strong>le dispute che si<br />

distinguono rispetto a quelli azionati da un bisogno di tutela espresso ad un giudice<br />

statale (12).<br />

––––––––––––<br />

riforma processuale, ed in particolare l’introduzione e la disciplina <strong>del</strong>la conciliazione<br />

quale principale strumento alternativo di risoluzione <strong>del</strong>le controversie.<br />

(10) V. infra il § 10 quando si parlerà <strong>del</strong>le proposte di legge in materia di conciliazione<br />

stragiudiziale.<br />

(11) V. infra il § 8.<br />

(12) La bibliografia sul tema è molto ricca; senza nessuna pretesa di completezza,<br />

oltre alle più recenti opere dedicate alla conciliazione più sopra citate (cfr. nota<br />

1), – tra le quali in questa sede si segnala l’utile volume La risoluzione stragiudiziale<br />

<strong>del</strong>le controversie e il ruolo <strong>del</strong>l’avvocatura, a cura di G. Alpa e R. Danovi, che raccoglie<br />

molti saggi, in alcuni casi già altrove pubblicati, che meritano di essere qui<br />

ricordati, quali quello di: Danovi, Le ADR e le iniziative <strong>del</strong>l’Unione Europea, 3 ss.;<br />

Alpa, Le ADR dalla tutela dei consumatori alla amministrazione efficiente <strong>del</strong>la giustizia<br />

civile, 29 ss.; E. Von Hippel, Les moyens judiciaires et parajudiciares des consommateurs<br />

vue sous l’angle du droit comparé, 77 ss.; Denti, Quale futuro per la giustizia<br />

minore, 89 ss.; Id., Giustizia: l’Europa ci insegna le alternative, 145 ss.; Silvestri,<br />

Osservazioni in tema di strumenti alternativi per la risoluzione <strong>del</strong>le controversie,<br />

155 ss.; Chiarloni, La domanda di giustizia: deflazione e/o risposte differenziate,<br />

101 ss.; Id., Stato attuale e prospettive <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale, 177 ss.;<br />

Capponi, Una deflazione per la giustizia civile, 131 ss.; Taruffo, Adeguamento <strong>del</strong>le<br />

tecniche di composizione dei conflitti di interesse, 197 ss.; Giovannucci Orlandi, La<br />

conciliazione stragiudiziale: struttura e funzioni, 211 ss.; Severin, What place is there<br />

for civil mediation in Europe?, 239 ss.; Kierse, Micklitz, Comment on the Green Paper<br />

on alternative dispute resolution in civil and commercial law, 297 ss. –; si rinvia<br />

a: Schlosser, « Alternative dispute resolution » (uno stimolo alla riforma per<br />

l’Europa?), in Riv. dir. proc. 1987, 1005 ss.; Alpa, La circolazione dei mo<strong>del</strong>li di risoluzione<br />

stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, in Giust. civ. 1994, II, 111 ss.; Delfino,<br />

L’« ombudsman » come mo<strong>del</strong>lo di « alternative dispute resolution » nel settore pri-


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 467<br />

Non è questa la sede per intrattenersi sulla storia di quel movimento di<br />

pensiero, sorto negli Stati Uniti negli anni ’70, che ha portato alla creazione e<br />

alla diffusione di questi strumenti come risposta alla crisi <strong>del</strong> sistema giustizia<br />

(13). Ciò nonostante pare opportuno qui sottolineare come l’approccio attuale<br />

al tema sia più di recente mutato. Oggi si dubita, infatti, che sia corretto<br />

guardare alle forme alternative di risoluzione <strong>del</strong>le controversie come a strumenti<br />

che devono la loro ragion d’essere alla crisi <strong>del</strong>la giustizia, pronte a<br />

soccorrere ad una situazione in cui l’ordinamento non è più in grado di assolvere<br />

alla richiesta di composizione <strong>del</strong>le liti insorte (14). Anzi, da più parti si<br />

––––––––––––<br />

vato, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1995, 247 ss.; Chiarloni, Nuovi mo<strong>del</strong>li processuali,<br />

in Riv. dir. civ. 1993, I, 269 ss.; Id., La conciliazione stragiudiziale come mezzo alternativo<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le dispute; in Riv. dir. proc. 1996, 694 ss.; Id., Brevi note<br />

sulla conciliazione stragiudiziale (e contro l’obbligatorietà <strong>del</strong> tentativo), in Giur. it.<br />

2000, 209 ss.; La China, Riflessioni in libertà su Adr, arbitrato, conciliazione, in Studi<br />

in onore di Luigi Montesano, II, Padova 1997, I, 165 ss.; Buonfrate, Leogrande, La<br />

giustizia alternativa in Italia tra ADR e conciliazione, in Riv. arb. 1999, 375 ss.; De<br />

Palo, Guidi, Risoluzione alternativa <strong>del</strong>le controversie nelle Corti federali degli Stati<br />

Uniti, Milano 1999, passim; Comoglio, Mezzi alternativi di tutela e garanzie costituzionali,<br />

in Riv. dir. proc. 2000, 318 ss.; Converso, Note minime in tema di strumenti<br />

alternativi per la risoluzione <strong>del</strong>le controversie, in Giur. mer. 2000, 719 ss.; Cuomo<br />

Ulloa, Mo<strong>del</strong>li di conciliazione nell’esperienza nordamericana, in Riv. trim. dir.<br />

proc. civ. 2000, 1283 ss.; Fusaro, Costi e benefici nella scelta <strong>del</strong>le tecniche di risoluzione<br />

alternativa <strong>del</strong>le controversie civili: la prospettiva <strong>del</strong> Lord Chancellor’s Dapartment,<br />

in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, 771 ss.; Peeples, ADR: un panorama <strong>del</strong>le<br />

alternative alla causa civile, in Riv. not. 2003, 7 ss.; Nela, Tecniche <strong>del</strong>la mediazione<br />

<strong>del</strong>le liti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 1017 ss.; con riguardo alla conciliazione è<br />

utile consultare anche le seguenti voci enciclopediche: Punzi, voce Conciliazione e<br />

tentativo di conciliazione, in Enc. <strong>del</strong> dir. Agg., IV, Milano 2000, 327 ss.; Santagada,<br />

voce Conciliazione giudiziale ed extragiudiziale, in Dig. IV disc. priv. sez. civ. Agg.,<br />

Torino 2000, 180 ss.; Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, in Dig IV disc. priv.<br />

sez. civ., III, Torino 1988, 203 ss.; Rossi, voce Conciliazione (diritto processuale civile),<br />

in Enc. giur. Treccani, VII, Roma 1988. Più risalenti sono i contributi al tema<br />

di Lancelotti, voce Conciliazione <strong>del</strong>le parti, in Enc. <strong>del</strong> dir., VIII, Milano 1961, 397<br />

ss. e di Nicoletti, La conciliazione nel processo civile, Milano 1963, passim. Per la<br />

bibliografia relativa agli strumenti alternativi previsti nel nuovo rito societario v. infra,<br />

il § 8.<br />

(13) Sulla storia di questo movimento cfr. soprattutto Silvestri, Osservazioni in tema<br />

di strumenti alternativi, cit., 158 ss.<br />

(14) Da ultimo Luiso, La conciliazione, cit., 4, afferma che « la conciliazione e più<br />

in generale i mezzi alternativi di risoluzione <strong>del</strong>le controversie non devono essere considerati<br />

un ripiego a fronte di una situazione drammatica <strong>del</strong>la giurisdizione statale: quasi<br />

che, se quest’ultima funzionasse bene, dei mezzi alternativi si potrebbe benissimo fare a<br />

meno. E non devono essere considerati neppure uno strumento deflativo di una richiesta


468<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

fa notare che il successo di tali strumenti è tanto più assicurato in un ordinamento<br />

che presenta un efficiente sistema giustizia, tanto che è invalso l’uso di<br />

sostituire l’aggettivo « alternative » con quello di « adeguate » che meglio<br />

risponderebbe alla ratio <strong>del</strong> ricorso ai procedimenti che si ricomprendono<br />

nella categoria (15).<br />

In questa prospettiva la conciliazione va sempre più acquistando un suo<br />

ruolo attraverso l’attività promozionale di quanti, soprattutto alla luce <strong>del</strong>l’esperienza<br />

maturata sul campo, ne evidenziano i numerosi vantaggi; non vi è dubbio,<br />

infatti, che la riflessione scientifica sull’istituto, – che pare essere ancora in<br />

fase di elaborazione, mancando una trattazione completa e attuale <strong>del</strong>le nuove<br />

prospettive che sembrano interessare il tema –, è stata preceduta da una copiosa<br />

elaborazione proveniente soprattutto da soggetti che hanno praticato lo strumento<br />

(16).<br />

3. – Dunque, dal punto di vista dei vantaggi offerti dal ricorso alla conciliazione,<br />

sembra opportuno sottolineare, – oltre a quello che fa leva sul fatto che<br />

la stessa consentirebbe la continuazione dei rapporti, mentre con l’adire il giudice<br />

ci si muoverebbe in una logica di agone che necessariamente porta ad un<br />

vincitore e ad un soccombente, quindi in un contesto fortemente conflittuale<br />

(17); o ancora a quello <strong>del</strong>la riservatezza <strong>del</strong>la conciliazione (18) o <strong>del</strong>la sua<br />

––––––––––––<br />

di tutela giurisdizionale, cui l’apparato pubblico non riesce a far fronte ». Sul valore aggiunto<br />

rispetto alla giustizia civile statale dei metodi di ADR cfr. già Caponi, La conciliazione<br />

stragiudiziale, cit., 172 ss. Individuano tra le cause <strong>del</strong> ricorso a strumenti alternativi<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie l’incapacità <strong>del</strong>lo Stato a rispondere adeguatamente<br />

alla domanda di giustizia: Taruffo, Adeguamenti <strong>del</strong>le tecniche di composizione dei conflitti<br />

di interesse, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 779 ss.; Chiarloni, Stato attuale e prospettive<br />

<strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale, ivi 2000, 447 ss., scritti entrambi oggi raccolti<br />

nel volume, La risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie e il ruolo <strong>del</strong>l’avvocatura,<br />

già citato.<br />

(15) Di Rocco, Santi, La conciliazione, cit., 21, nota 31, rinviano a Mackie, Miles,<br />

Marsh, Commercial Dispute Resolution - an ADR practice guide, London 1995, 7, secondo<br />

i quali piuttosto che parlare di Alternative Dispute Resolution sarebbe più opportuno<br />

adottare le locuzioni Appropiate o Additional o Complementary Dispute Resolution<br />

così da poter considerare i metodi di ADR « il canale principale ». Essi dovrebbero rappresentare<br />

un’opzione primaria per le parti che si trovano di fronte ad una controversia.<br />

Sul punto v. anche Cosi, Perché conciliare, in La via <strong>del</strong>la conciliazione, cit., 51.<br />

(16) V. la bibliografia più recente citata a nota 1.<br />

(17) Si tratta di una considerazione assolutamente ricorrente nella letteratura sul<br />

tema.<br />

(18) Anche questa è una caratteristica che costantemente viene sottolineata come<br />

requisito tipico <strong>del</strong>la conciliazione, come si vedrà, suggerita anche a livello europeo.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 469<br />

estrema flessibilità (19); – ripetiamo, sembra opportuno sottolineare, quello <strong>del</strong><br />

possibile contenuto <strong>del</strong>la stessa (20).<br />

Pare essere questo, in particolare, il vantaggio <strong>del</strong> ricorso allo strumento di<br />

cui si sta parlando e che in vario modo e con diversi gradi di consapevolezza<br />

sembra imporsi almeno in una certa parte degli studi sul tema. Alcuni esempi<br />

tratti da questi paiono illuminanti. Il primo (21) mette in luce come attraverso lo<br />

strumento conciliativo sia possibile far emergere quelle motivazioni sottostanti<br />

la pretesa (22), spesso definite in termini di bisogno, che non avrebbero la possibilità<br />

di essere considerate in caso di utilizzo di strumenti di tipo aggiudicativo,<br />

quali l’arbitrato o il ricorso all’autorità giudiziaria. Così se due soggetti si<br />

contendono l’unica arancia rimasta, la soluzione di dividerla a metà lascerebbe<br />

entrambi <strong>del</strong> tutto insoddisfatti se, investigando sui motivi che spingono gli<br />

stessi a volerla ciascuno per intero, risultasse che l’uno desidera la polpa per<br />

berne il succo e l’altro ha bisogno <strong>del</strong>l’intera scorza per preparare un dolce.<br />

L’analisi degli interessi sottostanti la singola pretesa consente, nel caso di specie,<br />

di trovare una soluzione che soddisfa entrambi i litiganti. Altri (23) ha utilizzato<br />

un esempio che forse oggi ha il sapore <strong>del</strong>l’antico, quello <strong>del</strong>la controversia<br />

tra concedente e mezzadro relativa alla persistenza <strong>del</strong> rapporto di mezzadria,<br />

per rilevare come essa possa essere risolta in via eteronoma solo riconoscendo<br />

o negando al mezzadro il diritto a permanere nella detenzione <strong>del</strong>l’intero<br />

fondo. Utilizzando uno strumento di risoluzione <strong>del</strong>la controversia di tipo autonomo,<br />

come la conciliazione, essa potrebbe invece essere risolta con il rilascio<br />

di una parte <strong>del</strong> fondo e la stipulazione di un contratto di comodato o di locazione<br />

rispetto ad altra parte <strong>del</strong> fondo.<br />

Se ci si chiede quale sia la ragione di questa diversità di risultati ottenibili<br />

la si può facilmente cogliere nel fatto che nel processo civile, come in quello<br />

arbitrale, non entra, né può entrare, la valutazione circa i motivi soggettivi che<br />

spingono a far valere la pretesa e quelli che si collocano a monte <strong>del</strong>l’attività<br />

difensiva. Forse solo una valutazione in concreto <strong>del</strong>la meritevolezza <strong>del</strong>la tutela<br />

richiesta potrebbe assolvere a questo compito (24). Ma non è questa la sede<br />

––––––––––––<br />

(19) Caratteristica che la vede contrapposta ai formalismi processuali, dei quali<br />

spesso però si sottovaluta la valenza garantista.<br />

(20) Così aderendo a quanto già rilevato da Luiso, La conciliazione nel quadro<br />

<strong>del</strong>la tutela dei diritti, cit., 4.<br />

(21) Si tratta di un esempio tratto da Cicogna, Di Rago, Giudice, La conciliazione<br />

commerciale, cit., 97, che è considerato l’archetipo di tutti i case study in materia di negoziazione.<br />

(22) Gli autori sopra citati parlano di « interesse concreto che le parti intendono<br />

conseguire ».<br />

(23) Luiso, La conciliazione, cit., 5.<br />

(24) Sul punto ci si permette di rinviare a Ghirga, La meritevolezza <strong>del</strong>la tutela richiesta.<br />

Studio sull’abuso <strong>del</strong>l’azione giudiziale, Giuffrè, Milano 2004, passim.


470<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

per affrontare questo complesso discorso, perché già bastano a giustificare la<br />

diversità evidenziata le osservazioni di chi (25) ha messo in luce come la ragione<br />

di essa sta nel fatto che né il giudice, né l’arbitro hanno il potere di disporre<br />

<strong>del</strong> diritto controverso, e tanto meno il diritto di disporre di situazioni sostanziali<br />

diverse ed ulteriori rispetto a quelle controverse che costituiscono oggetto<br />

<strong>del</strong> giudizio (26). Da questo punto di vista sembra, allora, che sia sul piano <strong>del</strong><br />

contenuto <strong>del</strong>l’atto risolutivo <strong>del</strong>la controversia che si possa maggiormente apprezzare<br />

il ricorso a strumenti quali la conciliazione.<br />

Spesso si trova scritto che ciò che differenzia questo mezzo rispetto al<br />

ricorso al giudice o all’arbitro va individuato nel fatto che, a differenza di<br />

questi ultimi che devono accertare una situazione preesistente, l’angolo prospettico<br />

dal quale guardare la controversia per il conciliatore è quello <strong>del</strong>la<br />

regolamentazione futura, non solo di una singola situazione, ma di un complesso<br />

di rapporti che legano i soggetti in conflitto (27). La conciliazione si<br />

muove quindi libera da quei principi che per i processualisti rappresentano<br />

dei dogmi, come il principio <strong>del</strong>la domanda che, nella sua applicazione dinamica<br />

<strong>del</strong>la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, vincola tutto lo<br />

svolgimento <strong>del</strong> processo <strong>del</strong>imitandone l’ambito oggettivo. Nel procedimento<br />

conciliativo le parti restano libere di disporre come credono dei loro<br />

diritti, ampliando o restringendo il campo <strong>del</strong>la loro negoziazione alla presenza<br />

di un terzo.<br />

Ma se questo pare essere il maggior vantaggio <strong>del</strong>la conciliazione, è al-<br />

––––––––––––<br />

(25) Afferma Luiso, cit., 2, « la risoluzione consensuale <strong>del</strong>la controversia, infatti,<br />

proviene da soggetti che hanno il potere di disporre <strong>del</strong>le proprie situazioni sostanziali: e<br />

non solo essi possono disporre di quella interessata alla controversia, ma anche – confronta<br />

l’art. 1965, secondo comma c.c. – di altre situazioni sostanziali ». L’autore cita<br />

Cass. 9 luglio 2003, n. 10794 che ha così statuito: « ai sensi <strong>del</strong> comma 1 <strong>del</strong>l’art. 1965<br />

c.c., la transazione può avere ad oggetto, per la realizzazione <strong>del</strong>la sua funzione, anche<br />

diritti estranei alla controversia che, con essa, si vuole evitare, con la conseguenza che<br />

essa ben può intervenire a disciplinare il rapporto patrimoniale tra coniugi, con esclusione,<br />

peraltro, dei diritti indisponibili dei contraenti ».<br />

(26) Luiso, ult. loc. cit., ne trae la conseguenza che « il contenuto <strong>del</strong>l’atto risolutivo<br />

<strong>del</strong>la controversia, ove esso abbia natura autonoma, è essenzialmente atipico. Al contrario,<br />

l’atto risolutivo <strong>del</strong>la controversia, ove esso abbia natura eteronoma, è essenzialmente<br />

tipico, in quanto non può avere un contenuto diverso da quello previsto dalla legge<br />

sostanziale, che regola il rapporto ».<br />

(27) Si tratta di un’altra affermazione ricorrente nella letteratura sul tema, che spesso<br />

si trova riferita ai vantaggi offerti dal mezzo che consentirebbe di garantire la continuità<br />

<strong>del</strong>le relazioni tra le controparti anche attraverso una regolamentazione <strong>del</strong> conflitto<br />

che guardi al futuro e al complesso degli interessi in gioco. Sul punto cfr. anche Luiso,<br />

Magistratura togata, magistratura onoraria, « altra giustizia », in www.judicium.it (29<br />

gennaio 2005), 1.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 471<br />

trettanto certo che il suo ambito oggettivo possa riguardare solo quelle situazioni<br />

giuridiche qualificabili in termini di diritti disponibili. L’osservazione può<br />

apparire ovvia, ma tale non è di fronte a diversi tentativi di ridurre sempre più<br />

l’area di ingerenza <strong>del</strong>l’autorità giudiziaria nelle vicende private, ed in primo<br />

luogo in quelle di tipo lato sensu commerciali.<br />

Quando si pensa alla possibilità di utilizzare uno strumento alternativo di<br />

risoluzione <strong>del</strong>la controversia, strumento alternativo o più adeguato rispetto al<br />

giudizio espresso da un giudice statale, ci si deve innanzitutto chiedere quale sia<br />

l’oggetto <strong>del</strong>la lite. Questo perché la sottrazione al giudice statale di una controversia<br />

è consentita solo entro gli stessi limiti in cui la stessa possa essere oggetto<br />

di una composizione negoziale (28).<br />

Per questo si è ritenuto di dover dissentire da quella opinione, pur autorevolmente<br />

sostenuta, che ha cercato di dimostrare che il legislatore <strong>del</strong> societario<br />

avrebbe introdotto l’arbitrato in materia di diritti indisponibili (29); per questo<br />

––––––––––––<br />

(28) Per un approfondimento <strong>del</strong> tema, affrontato con riguardo alla materia compromettibile<br />

in arbitrato dopo la riforma <strong>del</strong> diritto societario, si rinvia a Ghirga, Gli<br />

strumenti alternativi di risoluzione <strong>del</strong>le controversie nel quadro <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> diritto<br />

societario, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, Giuffrè,<br />

Milano 2005, 2007 ss., – articolo che riproduce con alcune modifiche lo scritto già apparso<br />

in www.judicium.it sopra citato –, anche per ulteriori riferimenti bibliografici. In quella<br />

sede, oltre a denunciare una violazione <strong>del</strong> principio costituzionalmente garantito <strong>del</strong><br />

giudice naturale, ci si è chiesti se, posto che il legislatore può stabilire la non compromettibilità<br />

in arbitrato di controversie anche per ragioni di mera opportunità (cfr. Corte<br />

cost. 28 novembre 2001, n. 376, in Foro it. 2002, I, 1648), valga anche il contrario. Ruffini,<br />

Arbitrato e disponibilità dei diritti nella legge <strong>del</strong>ega per la riforma <strong>del</strong> diritto societario,<br />

in Riv. dir. proc. 2002, 149, con riferimento alla legge <strong>del</strong>ega di riforma <strong>del</strong> diritto<br />

societario, la legge n. 366/2001, ha affermato che una norma che consenta alle parti<br />

di ricorrere all’arbitrato volontario anche per la soluzione di controversie relative a diritti<br />

indisponibili si porrebbe in contrasto con l’art. 102 Cost. L’affermazione è confutata da<br />

Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in www.judicium.it, (4 giugno 2003), 12, secondo il<br />

quale l’arbitrato sarebbe costituzionalmente legittimo solo se fondato su una libera scelta<br />

<strong>del</strong>le parti, e il legislatore sarebbe libero nella soluzione <strong>del</strong> problema relativo ai presupposti<br />

di legittimità di tale scelta (che si sostanzia per l’autore nella scelta di un giudice:<br />

cfr. nota seguente). Così come « il quesito di sapere se ed entro quali limiti la disponibilità<br />

<strong>del</strong>la materia controversa meriti di essere inserita tra tali presupposti, è soggetto a<br />

quella stessa variabilità storica, che caratterizza tutte le scelte consentite de iure condendo<br />

».<br />

(29) Ci si riferisce alla tesi espressa da Ricci nel saggio Il nuovo arbitrato societario,<br />

cit., 11, e <strong>del</strong>la quale si è trattato nell’articolo sopra citato. L’autore, sviluppando il<br />

pensiero già altrove formulato (La « natura » <strong>del</strong>l’arbitrato rituale e <strong>del</strong> relativo lodo:<br />

parlano le Sezioni Unite, in Riv. dir. proc. 2001, 263 ss.; La « funzione giudicante » degli<br />

arbitri e l’efficacia <strong>del</strong> lodo. (Un grand arrêt <strong>del</strong>la Corte Costituzionale), in Riv. dir.<br />

proc. 2002, 358 ss.) sostiene che la compromettibilità può venire disgiunta dalla disponi-


472<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

crediamo non si debba incoraggiare quel tentativo di aprire la conciliazione a<br />

qualunque materia (30).<br />

Ed infatti il ruolo <strong>del</strong>la conciliazione, allorquando siano coinvolti diritti<br />

indisponibili, è <strong>del</strong> tutto diverso (31) perché le parti non hanno per definizione<br />

il potere di autocomporre la controversia e l’atto negoziale eventualmente e<br />

comunque da esse stipulato sarebbe radicalmente nullo (32).<br />

––––––––––––<br />

bilità <strong>del</strong> diritto, ove si sia disposti ad accettare il fatto che la convenzione arbitrale abbia<br />

come oggetto la mera scelta di un giudice diverso da quello offerto dallo Stato, e che<br />

pertanto l’operazione negoziale si limiti a questo solo aspetto <strong>del</strong>lo strumento arbitrale.<br />

Sul punto merita di essere ricordato che la legge 14 maggio 2005, n. 80, « Conversione in<br />

legge, con modificazioni, <strong>del</strong> decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni<br />

urgenti nell’ambito <strong>del</strong> Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale,<br />

<strong>del</strong>eghe al governo per la modifica <strong>del</strong> codice di procedura civile in materia di processo<br />

di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong>le procedure<br />

concorsuali » contiene, come si evince dal titolo, la <strong>del</strong>ega al governo per la riforma,<br />

tra l’altro, <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong>l’arbitrato. In essa si prevede quale criterio direttivo<br />

« la disponibilità <strong>del</strong>l’oggetto come unico e sufficiente presupposto <strong>del</strong>l’arbitrato, salva<br />

diversa disposizione di legge ». Sul punto cfr. Ricci, La <strong>del</strong>ega sull’arbitrato, in Riv. dir.<br />

proc. 2005, 955 s., che esprime critiche nei confronti <strong>del</strong>la scelta operata dal legislatore<br />

italiano che si confermerebbe riluttante ad ammettere l’arbitrato anche in materia indisponibile;<br />

Punzi, Ancora sulla <strong>del</strong>ega in tema di arbitrato: riaffermazione <strong>del</strong>la natura<br />

privatistica <strong>del</strong>l’istituto, ivi, 967 ss., per il quale tale scelta sarebbe necessitata dal rispetto<br />

<strong>del</strong>le norme costituzionali ed in particolare <strong>del</strong>l’art. 102 Cost. Al criterio ha dato<br />

attuazione il novellato art. 806, come dettato dall’art. 20 <strong>del</strong> d.lgs. n. 40 <strong>del</strong> 2006. In esso<br />

la regola in materia di controversie arbitrabili è formulata in negativo, nel senso che si<br />

afferma espressamente che si possano far decidere da arbitri controversie « che non abbiano<br />

per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge », divieto che sembra<br />

allora riferito a materia disponibile, ma sottratta comunque alla compromettibilità in<br />

arbitrato.<br />

(30) Si trova così affermato che nell’ordinamento italiano esiste un limite di tipo<br />

formale all’esperimento <strong>del</strong>la conciliazione dato dalla disponibilità dei diritti in oggetto,<br />

ma che la conciliazione in sé potrebbe essere validamente e potenzialmente utilizzata per<br />

qualsiasi tipo di controversia: v. Cicogna, Di Rago, Giudice, La conciliazione commerciale,<br />

cit., 62 s.<br />

(31) Cfr. Luiso, La conciliazione, cit., 5. che a proposito <strong>del</strong>la mediazione familiare,<br />

tema di cui in questa sede non ci si può occupare, osserva come la funzione <strong>del</strong>la stessa<br />

sia più quella di prevenire comportamenti illeciti o comunque inopportuni, che non<br />

quella di porre fine ad una controversia.<br />

(32) Così già Luiso, ult. loc. cit., il quale osserva come dalla disciplina <strong>del</strong>la transazione<br />

si possa evincere con evidenza che il naturale ed ovvio limite al potere negoziale<br />

<strong>del</strong>le parti è costituito dalla indisponibilità <strong>del</strong> diritto, ma anche che è nulla la transazione<br />

relativa ad un contratto illecito. Ciò legittima il dubbio se vi siano spazi ulteriori, oltre a<br />

quello dei diritti indisponibili, riservati alla risoluzione giurisdizionale <strong>del</strong>le controversie,<br />

e così sottratti vuoi alla composizione negoziale, vuoi anche in virtù <strong>del</strong> rinvio contenuto


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 473<br />

4. – Abbiamo fino ad ora parlato di conciliazione, ma è venuto il momento<br />

di effettuare una precisazione di carattere terminologico, che introduca poi al<br />

tema <strong>del</strong>le diverse tipologie riconducibili all’istituto. Spesso, infatti, si trova<br />

utilizzata l’espressione mediazione, il che impone un chiarimento.<br />

Salvo quanto nel prosieguo si dirà a proposito <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale<br />

societaria, al momento il nostro sistema non conosce una definizione normativa<br />

di conciliazione, anche se questo è il termine che più correttamente è stato<br />

usato con riferimento al fenomeno di cui si sta discutendo. Esso corrisponde a<br />

quello che nel mondo anglosassone è indicato con l’espressione mediation; ma<br />

l’utilizzo <strong>del</strong>la sua traduzione nel nostro ordinamento è stata considerata fonte di<br />

equivoci in presenza di una previsione normativa, quale l’art. 1754 <strong>del</strong> codice civile,<br />

che definisce come mediatore « colui che mette in relazione due o più parti<br />

per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti<br />

di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza ».<br />

In ambito privatistico, che è quello di cui ci si occupa (33), si è fatto quindi<br />

generalmente ricorso al termine conciliazione. Con esso si è intesa la soluzione<br />

concordata di una controversia insorta tra due o più parti, raggiunta attraverso<br />

l’opera di un terzo qualificato, sia esso un giudice o altro soggetto, e volta<br />

a perseguire un risultato soddisfacente per entrambe le parti.<br />

Se questa è l’accezione più comune di conciliazione, altrettanto diffusa è<br />

la considerazione che con il termine conciliazione si possa alludere sia al risultato<br />

<strong>del</strong>la stessa, sia all’attività che può condurre a quel risultato. Dal punto di<br />

vista strutturale si può infatti distinguere la dimensione procedurale e l’aspetto<br />

sostanziale, il « tentativo di conciliare, inteso come procedimento, finalizzato<br />

alla ricerca di una soluzione <strong>del</strong>la lite fondata sul consenso, e la conclusa conciliazione,<br />

atto che pone fine alla lite, ristabilendo tra le parti una situazione di<br />

assenza di conflitto » (34). Questi due momenti nei quali si può scomporre il<br />

fenomeno conciliativo si prestano ad alcune puntualizzazioni. Con riferimento<br />

al primo aspetto si può evidenziare una differenza <strong>del</strong>la conciliazione rispetto<br />

all’arbitrato. Ed infatti mentre la nullità <strong>del</strong> procedimento arbitrale è causa di<br />

invalidità <strong>del</strong> lodo, il mancato rispetto <strong>del</strong>le regole <strong>del</strong> procedimento di conciliazione<br />

non costituisce ragione di invalidità <strong>del</strong>l’eventuale accordo raggiunto<br />

tra le parti (35). Con riguardo alla conciliazione come risultato, è noto che la<br />

––––––––––––<br />

nell’art. 806 c.p.c. alla composizione arbitrale <strong>del</strong>le controversie. Sul punto cfr. Festi,<br />

Clausola compromissoria e contratto illecito, in Corr. giur. 1997, 1446.<br />

(33) Sulla mediazione penale si rinvia per tutti a Mannozzi, La giustizia senza spada,<br />

Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Giuffrè, Milano<br />

2003 e al volume a cura <strong>del</strong>la stessa autrice Mediazione e diritto penale, Giuffrè, Milano<br />

2004.<br />

(34) Così Rossi, voce Conciliazione, cit., 1.<br />

(35) Cfr. Luiso, La conciliazione, cit., 6, il quale osserva che mentre l’art. 829


474<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

maggior dottrina attribuisce natura negoziale alla soluzione conciliativa <strong>del</strong>la<br />

controversia, discutendosi se sia configurabile un autonomo negozio giuridico<br />

qualificabile come negozio di conciliazione (36). Così si afferma che la conciliazione<br />

non costituirebbe una figura negoziale a sé, ma indicherebbe una serie<br />

di negozi suscettibili di essere utilizzati per fornire alla controversia uno sbocco<br />

convenzionale. La conciliazione rappresenterebbe una sorta di sintesi verbale<br />

per designare quei negozi idonei a definire un conflitto giuridico, individuati<br />

nella transazione, nel riconoscimento, nella rinuncia (37).<br />

Ma il vero elemento caratterizzante <strong>del</strong> fenomeno conciliativo andrebbe<br />

cercato al di fuori <strong>del</strong> contenuto negoziale <strong>del</strong> suo risultato. Il quid pluris <strong>del</strong>la<br />

conciliazione rispetto ai diversi negozi impiegati per definire la lite andrebbe,<br />

infatti, individuato nel fatto che l’atto negoziale con il quale si pone fine alla<br />

controversia viene posto in essere nell’ambito di un procedimento preordinato a<br />

tale scopo e alla presenza di un terzo, investito <strong>del</strong> compito di coadiuvare le<br />

parti nella composizione <strong>del</strong> conflitto tra loro insorto (38).<br />

Su questa struttura di base <strong>del</strong> fenomeno conciliativo si innestano le variabili<br />

storiche e di diritto positivo che originano le diverse fattispecie conciliative<br />

presenti nel nostro ordinamento, che possono essere variamente classificate in<br />

base a criteri che danno vita a diverse combinazioni.<br />

5. – Così è a tutti certamente noto che si può distinguere la conciliazione<br />

giudiziale da quella stragiudiziale a seconda che il terzo a cui è affidata<br />

l’attività conciliativa sia o meno un organo <strong>del</strong> potere giudiziario (39). Con rife-<br />

––––––––––––<br />

c.p.c., nel disciplinare l’impugnazione per nullità, elenca una serie di vizi che possono<br />

sempre essere fatti valere, nonostante qualsiasi contraria pattuizione antecedente alla pronuncia<br />

<strong>del</strong> lodo – il che dipenderebbe dal fatto che le parti sono vincolate alla decisione<br />

arbitrale, in quanto questa sia emessa nel rispetto <strong>del</strong>le regole che ne disciplinano la formazione<br />

– nel caso <strong>del</strong> procedimento conciliativo, il rispetto <strong>del</strong>le regole, invece, non<br />

rileverebbe perché le parti sono vincolate all’atto che decide la controversia solo dopo<br />

che ne hanno conosciuto il contenuto.<br />

(36) Sul punto v. per tutti Rossi, cit., 2, ove richiami alla dottrina classica.<br />

(37) V. nota precedente.<br />

(38) V. per tutti Rossi, ult. loc. cit. Punzi, voce Conciliazione e tentativo di conciliazione,<br />

cit., 328, osserva come la conciliazione si differenzi dall’arbitrato perché la soluzione<br />

<strong>del</strong>la controversia non è deferita alla decisione di un terzo, ma anche dalla transazione<br />

perché questa si perfeziona con il mero incontro <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong>le parti, mentre la<br />

conciliazione richiede sì l’accordo di esse, ma con la presenza e l’intervento sollecitatore<br />

di un terzo.<br />

(39) Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., 205, preferisce questa distinzione<br />

a quella che vede nella conciliazione extragiudiziale quella che si svolge al di fuori <strong>del</strong><br />

processo e che svaluta la presenza o meno di un organo <strong>del</strong> potere giudiziario. Per<br />

l’autore, infatti, l’attività <strong>del</strong> giudice prestata in sede conciliativa rappresenta esercizio


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 475<br />

rimento a quella giudiziale si possono al riguardo citare gli artt. 183, 185 (40),<br />

420 <strong>del</strong> codice di procedura civile, l’art. 16 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003 sul rito societario<br />

(41).<br />

Si distingue poi una conciliazione preventiva, da una successiva, a seconda<br />

<strong>del</strong> rapporto cronologico con l’inizio <strong>del</strong> processo (42), distinzione che<br />

in relazione alla conciliazione giudiziale può precisarsi o sostituirsi con la distinzione<br />

tra conciliazione in sede non contenziosa, per la quale si può citare<br />

l’art. 322 <strong>del</strong> codice di procedura civile che disciplina la fattispecie davanti al<br />

giudice di pace (43), o conciliazione in sede contenziosa, la quale ultima può<br />

––––––––––––<br />

<strong>del</strong>la funzione giurisdizionale e più precisamente di quella funzione giurisdizionale sui<br />

generis e a sé stante indicata come giurisdizione conciliativa e collocata tra quella contenziosa<br />

e quella volontaria.<br />

(40) La legge 14 maggio 2005, n. 80 [di conversione <strong>del</strong> decreto legge 14 marzo<br />

2005, n. 35, il c.d. decreto sulla competitività (cfr. nota 30), come modificata dalla legge<br />

17 agosto 2005, n. 168, di conversione <strong>del</strong> decreto legge 30 giugno 2005, n.115,<br />

dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263 e dal decreto legge 30 dicembre 2005, n. 271] ha<br />

introdotto una serie di modifiche alle norme <strong>del</strong> codice di procedura civile, che risulta<br />

così novellato in numerose parti. Per quanto riguarda la trattazione <strong>del</strong>la causa, sono<br />

stati sostituiti gli artt. 180, 183, 184 e 185. Nel testo <strong>del</strong>l’art. 183 scompare il riferimento<br />

testuale al tentativo di conciliazione: nel comma 3° si prevede che il giudice<br />

istruttore fissi una nuova udienza se deve procedersi a norma <strong>del</strong>l’art. 185. Questa<br />

norma, rubricata Tentativo di conciliazione dispone che « il giudice istruttore, in caso<br />

di richiesta congiunta <strong>del</strong>le parti, fissa la comparizione <strong>del</strong>le medesime al fine di interrogarle<br />

liberamente e di provocarne la conciliazione ». Il giudice non è quindi più obbligato<br />

a procedere all’interrogatorio libero <strong>del</strong>le parti, la cui funzione è confermato<br />

essere anche quella di stimolarle ad una conciliazione; lo farà solo se richiesto congiuntamente<br />

dalle stesse.<br />

(41) Sulla conciliazione giudiziale nel nuovo rito societario cfr.: Briguglio, in La<br />

riforma <strong>del</strong>le società, Il processo, a cura di B. Sassani, Giappicchelli, 2003, sub art. 16,<br />

165 ss.; Miccolis, Arbitrato e conciliazione nella riforma <strong>del</strong> diritto societario, in<br />

www.judicium.it, (30 marzo 2003), 11 ss.; Sassani, Tiscini, Il nuovo processo societario.<br />

Prima lettura <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003, in Giust. civ. 2003, II, 49; Costantino, Il<br />

nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. dir.<br />

proc. 2003, 427; Trisorio Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo<br />

grado davanti al tribunale, in www.judicium.it, (13 giugno 2003), 34; Bove, Il processo<br />

dichiarativo societario di primo grado, ivi, (1 dicembre 2003), 18; Carratta, Il nuovo<br />

processo societario, Commentario diretto da S. Chiarloni, Zanichelli, Torino 2004, sub<br />

art. 16, 459 ss.; Cuomo Ulloa, La nuova conciliazione societaria, in Riv. trim. dir.<br />

proc. civ. 2004, 1035 ss.<br />

(42) Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., 205.<br />

(43) Santagada, voce Conciliazione giudiziale ed extragiudiziale, cit., 181, ricorda<br />

che l’art. 322 c.p.c., « novellato dall’art. 31 <strong>del</strong>la legge 374/1991, che ha accorpato in un<br />

unico articolo il dettato dei precedenti artt. 321 e 322 relativi al giudice conciliatore, de-


476<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

intervenire non solo durante, ma nello svolgimento e all’interno <strong>del</strong> processo<br />

pendente (44).<br />

Nota è la distinzione tra conciliazione facoltativa e conciliazione obbligatoria,<br />

dove naturalmente l’obbligatorietà riguarda il procedimento e non il risultato,<br />

e può esplicarsi secondo gradi diversi. Si è così messo in luce come<br />

l’obbligatorietà <strong>del</strong>la conciliazione può comportare un dovere imposto tout<br />

court all’organo e assistito dalla momentanea improponibilità o improcedibilità<br />

<strong>del</strong>l’azione giudiziaria relativa, ovvero un dovere condizionato al riscontro ampiamente<br />

discrezionale di determinati presupposti, ovvero ancora un semplice<br />

onere <strong>del</strong>le parti di richiedere l’esperimento <strong>del</strong> tentativo di conciliazione a pena<br />

di improponibilità o improcedibilità <strong>del</strong>l’azione giudiziaria (45).<br />

Disciplinano tentativi obbligatori di conciliazione l’art. 46 <strong>del</strong>la legge 3<br />

maggio 1982, n. 203, recante Norme sui contratti agrari; gli artt. 410 - 412 bis<br />

c.p.c. in materia di controversie di lavoro e gli artt. 65 - 66 <strong>del</strong> d.lgs. 30 marzo<br />

2001, n. 165 recante Norme generali sull’ordinamento <strong>del</strong> lavoro alle dipendenze<br />

<strong>del</strong>le amministrazioni pubbliche, e dunque in materia di controversie di<br />

lavoro con le pubbliche amministrazioni; l’art. 10 <strong>del</strong>la legge 18 giugno 1998,<br />

n. 192 in materia di controversie relative ai contratti di subfornitura; l’art. 194<br />

bis <strong>del</strong>la legge 22 aprile 1941, n. 633, così come inserito dall’art. 35 <strong>del</strong> d.lgs. 9<br />

aprile 2003, n. 68, in materia di diritto d’autore. Disciplinano un tentativo facoltativo<br />

di conciliazione gli artt. 38 - 40 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003 in materia di<br />

rito societario sui quali poi ci si soffermerà.<br />

Altra distinzione, non da tutti accolta, è quella che fa leva sulla genericità<br />

o specificità <strong>del</strong>la materia, e quindi se il tentativo di conciliazione possa<br />

o meno riguardare in linea di principio controversie aventi qualunque oggetto<br />

(46).<br />

––––––––––––<br />

manda la conciliazione preventiva (conciliazione in sede non contenziosa) al giudice di<br />

pace “competente per territorio secondo le disposizioni <strong>del</strong>la sezione III, capo I, titolo I,<br />

<strong>del</strong> libro primo”». La disciplina sarebbe rimasta peraltro sostanzialmente immutata, tanto<br />

che la conciliazione preventiva risulterebbe ancor oggi connotata dagli stessi caratteri<br />

distintivi riconosciuti all’attività <strong>del</strong> conciliatore: la generalità e la facoltatività. L’autrice<br />

a nota 5 ricostruisce il dibattito che ha portato a tale innovazione legislativa. È interessante<br />

riportare, in considerazione dei discorsi che più oltre si affronteranno, l’affermazione<br />

secondo la quale « il processo di conciliazione preventiva è <strong>del</strong> tutto autonomo<br />

rispetto a quello contenzioso, la cui instaurazione è meramente eventuale … di tutta<br />

l’attività svolta in fase conciliativa, relativa all’allegazione e alla precisazione dei fatti,<br />

all’allegazione ed all’esperimento <strong>del</strong>le prove, non resta alcuna traccia nel processo successivo<br />

».<br />

(44) Briguglio, ult. loc. cit.<br />

(45) Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., 205.<br />

(46) Briguglio, cit., 206, per il quale sarebbe meglio parlare in relazione all’organo<br />

terzo, di funzione conciliativa generale o speciale.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 477<br />

Si parla infine di conciliazione <strong>del</strong>egata, con riferimento a quella affidata<br />

dal giudice ad un soggetto estraneo, come nel caso <strong>del</strong>l’art. 198 <strong>del</strong> c.p.c., ovvero<br />

quando è necessario esaminare documenti contabili e registri e il giudice<br />

istruttore ne dà incarico al consulente tecnico, affidandogli il compito di tentare<br />

la conciliazione <strong>del</strong>le parti (47). È la legge stessa ad affidare al consulente tale<br />

compito nel caso <strong>del</strong> nuovo art. 696 bis (48).<br />

Quelle riportate sono le classificazioni <strong>del</strong> fenomeno studiato più comuni e<br />

note. Si tratta ora di vedere se, concentrando l’attenzione, come già anticipato,<br />

sulla conciliazione stragiudiziale, che più si presta a seguire il trend normativo,<br />

non sia necessario apportare alle stesse alcuni correttivi.<br />

6. – Non si può affrontare il tema <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale senza<br />

cominciare con il ricordare il ruolo svolto al riguardo dalle Camere di commercio<br />

(49). La legge 29 dicembre 1993, n. 580, recante il Riordinamento <strong>del</strong>le<br />

Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che ha attribuito<br />

alla stesse poteri di regolamentazione <strong>del</strong> mercato (50), dispone all’art. 2, com-<br />

––––––––––––<br />

(47) Sul punto v. da ultimo Frediani, La conciliazione nella C.T.U., Giuffrè, Milano<br />

2004, passim.<br />

(48) La norma, introdotta dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, più volte citata, è rubricata<br />

« Consulenza tecnica preventiva ai fini <strong>del</strong>la composizione <strong>del</strong>la lite ». Su di essa<br />

ci si permette di rinviare a Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in Riv.<br />

dir. proc. 2005, 822 ss. Peraltro e per i discorsi che si andranno a fare, giova sottolineare<br />

come nel dettato <strong>del</strong>l’art. 696 bis si sia evitato di dare rilevanza alle posizioni espresse<br />

dalle parti nel corso <strong>del</strong> tentativo di conciliazione al fine <strong>del</strong>la regolamentazione <strong>del</strong>le<br />

spese <strong>del</strong> processo e anche ai fini <strong>del</strong>l’applicazione <strong>del</strong>l’art. 96 c.p.c. nell’eventuale giudizio<br />

susseguente l’accertamento tecnico.<br />

(49) Sul punto v. soprattutto E. Minervini, La conciliazione giudiziale <strong>del</strong>le<br />

controversie. Il ruolo <strong>del</strong>le Camere di Commercio, cit., passim. È interessante riportare<br />

i dati statistici fornitici dal Servizio di conciliazione <strong>del</strong>la Camera arbitrale nazionale<br />

e internazionale di Milano. Nel periodo compreso tra il 1998 ed il 2003, la Camera<br />

Arbitrale di Milano ha gestito 1295 procedimenti di conciliazione. Nel 2004<br />

sono state depositate 260 domande di conciliazione, di cui 159 business to consumer<br />

e 101 business to business. Il 49% di tali domande ha registrato l’adesione <strong>del</strong>la controparte<br />

al tentativo di conciliazione; il 39% la mancata adesione; nel 14% dei casi si<br />

è raggiunto un accordo transattivo prima di aderire alla richiesta di procedimento<br />

conciliativo; nel 2% dei casi l’attore ha ritirato la propria domanda. Il valore medio<br />

dei procedimenti è stato di Euro 49.286,00. La durata media dei procedimenti è stata<br />

di 39 giorni. Dei 108 incontri di conciliazione svoltisi nel corso <strong>del</strong>l’anno, 91 sono<br />

sfociati in un accordo pienamente raggiunto, 2 in un accordo parziale, 15 in un mancato<br />

accordo.<br />

(50) L’art. 2 comma 4° di tale legge dispone che le Camere di commercio, singolarmente<br />

o in forma associata, possano oltre che promuovere la costituzione di<br />

Commissioni arbitrali o conciliative, come subito nel testo, « b) predisporre e promuo-


478<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ma 4°, che « Le Camere di commercio, singolarmente o in forma associata,<br />

possano tra l’altro: a) promuovere la costituzione di Commissioni arbitrali e<br />

conciliative per la risoluzione <strong>del</strong>le controversie tra imprese e tra imprese e<br />

consumatori e utenti ». Essa avrebbe così ratificato l’operato ormai consolidato<br />

di molte Camere di commercio, che da tempo avevano costituito camere arbitrali<br />

e conciliative che, fino al 1993, erano rimaste prive di riscontri normativi<br />

(51). Tale legge si sarebbe mossa nell’ottica di facilitare l’accesso alla giustizia<br />

di soggetti deboli, quali i consumatori e le piccole imprese, in una prospettiva<br />

di contenimento dei tempi e dei costi, e di semplificazione <strong>del</strong>le procedure,<br />

specie con riguardo alle controversie di scarso valore, ossia alla micro-conflittualità<br />

tra imprese e tra imprese e consumatori (52). Inoltre è stato detto che,<br />

con la stessa, il legislatore mirava a realizzare un effetto deflativo <strong>del</strong>l’amministrazione<br />

<strong>del</strong>la giustizia ordinaria (53).<br />

Di fatto la previsione normativa non è rimasta una dichiarazione di<br />

principio, perché alla legge citata hanno fatto seguito altri provvedimenti legislativi<br />

che espressamente richiamano le commissioni conciliative istituite<br />

dalle Camere di commercio. Si tratta più precisamente <strong>del</strong>l’art. 2, comma<br />

24° <strong>del</strong>la legge 14 novembre 1995, n. 481, recante Norme per la concorrenza<br />

e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione <strong>del</strong>le Autorità di<br />

regolazione dei servizi di pubblica utilità; <strong>del</strong>l’art. 10, comma 1°, <strong>del</strong>la legge<br />

18 giugno 1998, n. 192, recante Disciplina <strong>del</strong>la subfornitura nelle attività<br />

––––––––––––<br />

vere contratti-tipo tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi<br />

dei consumatori e degli utenti; c) promuovere forme di controllo sulla presenza di<br />

clausole inique inserite nei contratti ». Riferisce E. Minervini, cit., 9 s., che la norma è<br />

stata criticata dalla dottrina in quanto generica e non priva di ambiguità. De Nova,<br />

Considerazioni introduttive, in Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,<br />

a cura di C.M. Bianca e G. Alpa, Padova 1996, 304, la giudica « norma in<br />

bianco »; Antonini, Le Camere di Commercio, il controllo <strong>del</strong>le clausole « vessatorie »<br />

e le clausole « inique » ex L. 580/93, in Clausole « vessatorie » e « abusive », a cura di<br />

U. Ruffolo, Milano 1997, 154, le riconosce carattere « sibillino ». Sui poteri di regolazione<br />

<strong>del</strong> mercato così riconosciuti alle Camere di commercio, le quali sarebbero dovute<br />

diventare le garanti <strong>del</strong>la correttezza <strong>del</strong>le regole <strong>del</strong> gioco tra imprese e tra imprese<br />

e consumatori, e quindi <strong>del</strong> corretto funzionamento <strong>del</strong> mercato, v. per tutti E.<br />

Minervini, cit., e la bibliografia dall’autore riportata alle note 4 e 5.<br />

(51) Così E. Minervini, La conciliazione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit.,<br />

13. Si tratterebbe di una constatazione diffusa in dottrina: cfr. nota 19 <strong>del</strong>la p. appena<br />

citata.<br />

(52) E. Minervini, cit., 14.<br />

(53) Cfr. per tutti Quinto, Camere di commercio e conciliazione nelle controversie<br />

tra imprese e tra imprese e consumatori, Roma 1997, 13; Perrini, Il ruolo <strong>del</strong>le Camere<br />

di commercio, in La conciliazione, Mo<strong>del</strong>li ed esperienze di composizione non conflittuale<br />

<strong>del</strong>le controversie, cit., 44.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 479<br />

produttive; <strong>del</strong>l’art. 3, commi 2°, 3°, e 4° <strong>del</strong>la legge 30 luglio 1998, n. 281,<br />

recante Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti; <strong>del</strong>l’art. 4,<br />

comma 5°, <strong>del</strong>la legge 29 marzo 2001, n. 135, recante Riforma <strong>del</strong>la legislazione<br />

nazionale <strong>del</strong> turismo; <strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°, <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 17<br />

gennaio 2003, recante Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario<br />

e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia,<br />

in attuazione <strong>del</strong>l’art. 12 <strong>del</strong>la legge 3 ottobre 2001, n. 366; <strong>del</strong>l’art.<br />

7 <strong>del</strong>la legge 6 maggio 2004, n. 129, recante Norme per la disciplina<br />

<strong>del</strong>l’affiliazione commerciale, che contiene un espresso riferimento alla conciliazione<br />

stragiudiziale societaria, da ultimo richiamata dall’art. 27 <strong>del</strong>la<br />

legge 28 dicembre 2005, n. 262 recante Disposizioni per la tutela <strong>del</strong> risparmio<br />

e la disciplina dei mercati finanziari, mentre l’art. 2 <strong>del</strong>la legge 14<br />

febbraio 2006, n. 55 in materia di patto di famiglia, richiama gli organismi di<br />

conciliazione di cui all’art. 38 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003.<br />

È sulla disciplina <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale societaria che si concentrerà<br />

l’attenzione, non potendo passare in rassegna tutte le fattispecie citate,<br />

se non per evidenziare la mancanza di sistematicità <strong>del</strong> legislatore, il quale<br />

sembra fino ad oggi non aver perseguito un disegno unitario (54). Si è affermato<br />

al riguardo che l’utilizzo <strong>del</strong>la conciliazione camerale non sembra la conseguenza<br />

di scelte programmatiche, ma il frutto di iniziative dettate da fattori<br />

contingenti, osservando come appare governata dal caso la preferenza che il<br />

legislatore accorda ora per l’obbligatorietà, ora per la facoltatività <strong>del</strong> tentativo<br />

di conciliazione, ora per la natura contrattuale <strong>del</strong> verbale di conciliazione, ora<br />

per il suo valore di titolo esecutivo, ora per la sospensione dei termini per agire<br />

in giudizio nelle more <strong>del</strong> tentativo di conciliazione, ora per la decorrenza degli<br />

stessi e così via (55).<br />

D’altro canto sarebbe mancata una linearità da parte <strong>del</strong> legislatore anche<br />

nel perseguire il rafforzamento <strong>del</strong>la conciliazione camerale, posto che è stata<br />

rilevata (56) l’incongruenza con la quale la legge <strong>del</strong> 31 luglio 1997, n. 229, recante<br />

Istituzione <strong>del</strong>l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui<br />

sistemi <strong>del</strong>le telecomunicazioni e radiotelevisivo, ha prescelto come via ordinaria<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie il ricorso a procedure conciliative, senza<br />

lasciare spazio a quella camerale, prevista invece dalla legge n. 481 <strong>del</strong> 1995,<br />

––––––––––––<br />

(54) Per supportare l’affermazione basta confrontare il diverso contenuto <strong>del</strong>le<br />

norme sopra citate. Si è peraltro detto che con le stesse il legislatore avrebbe costituito<br />

una legislazione « promozionale » con una valorizzazione <strong>del</strong>l’art. 2, comma 4°, lett. a)<br />

<strong>del</strong>la legge n. 580 <strong>del</strong> 1993: così Vigoriti, Il rifiuto <strong>del</strong> processo civile, in Le nuove leggi<br />

civ. comm. 1999, 241 ss.<br />

(55) Così E. Minervini, Le Camere di commercio e la conciliazione <strong>del</strong>la controversia,<br />

in La risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit., 365.<br />

(56) E. Minervini, cit., 366.


480<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

che è la legge generale in tema di autorità di regolazione dei servizi di pubblica<br />

utilità (57).<br />

Ma se si osserva il trend normativo non si può non rilevare come<br />

l’ampliamento <strong>del</strong>la conciliazione camerale non possa essere considerato solo<br />

in termini quantitativi, come maggior estensione dei settori interessati alla stessa,<br />

ma anche in termini qualitativi, non essendo più solo riservata a controversie<br />

di tipo bagatellare, ma essendo essa prevista come possibile soluzione di liti che<br />

possono avere una forte importanza economica come quelle societarie (58).<br />

7. – Questo ampliamento <strong>del</strong>la portata <strong>del</strong>la conciliazione e <strong>del</strong> suo ambito<br />

applicativo, registratosi nel nostro ordinamento interno, sembra seguire<br />

l’evoluzione che la materia ha subito in sede europea (59). È noto come il miglioramento<br />

<strong>del</strong>l’accesso dei consumatori alla giustizia sia stato uno dei principali<br />

obbiettivi perseguiti dalla Commissione nell’ambito <strong>del</strong>la formulazione di<br />

una politica volta alla tutela dei consumatori (60). Più precisamente,<br />

l’obbiettivo perseguito è stato quello di facilitare la risoluzione <strong>del</strong>le controversie<br />

in materia di consumo, garantendo ai consumatori non solo l’accesso alla<br />

giustizia in senso stretto, ma altresì un effettivo esercizio dei propri diritti, ovviando<br />

ai problemi che derivano dalla sproporzione tra la portata economica<br />

<strong>del</strong>la controversia e il costo <strong>del</strong> suo regolamento giudiziale (61).<br />

––––––––––––<br />

(57) Così Patroni Griffi, Tipi di autorità indipendenti, in I garanti <strong>del</strong>le regole. Le<br />

autorità indipendenti, Bologna 1996, 33.<br />

(58) Così E. Minervini, cit., 367 ss., il quale auspica, peraltro, un riordino <strong>del</strong>la<br />

materia <strong>del</strong>la conciliazione camerale attraverso una sorta di legge quadro che incoraggi<br />

l’attività <strong>del</strong>le Camere di commercio, e si preoccupi da un lato di istituire gli opportuni<br />

incentivi, specie fiscali, e dall’altro di imporre il rispetto <strong>del</strong>le garanzie fondamentali<br />

(imparzialità <strong>del</strong> conciliatore, tutela <strong>del</strong> contraddittorio ecc.), magari subordinando<br />

l’esecutività <strong>del</strong> verbale di conciliazione, al rispetto di tali garanzie. Si tratta di quanto<br />

già suggerito da Chiarloni, La conciliazione stragiudiziale, cit., 700.; Id., Stato attuale,<br />

cit., 460.<br />

(59) Sul tema cfr.: Danovi, Le ADR e le iniziative <strong>del</strong>l’Unione europea, in La risoluzione<br />

stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit., 3 ss.; Severin, What place is there for civil<br />

mediation in Europe? ivi, 239 ss.; Lapenna, L’opera <strong>del</strong>l’Unione Europea. La politica<br />

<strong>del</strong>l’accesso dei consumatori alla giustizia, in La conciliazione. Mo<strong>del</strong>li ed esperienze,<br />

cit., 31 ss.; Di Rocco, Santi, La conciliazione, cit., 335 ss.; Sticchi Damiani, Le forme di<br />

risoluzione <strong>del</strong>le controversie alternative alla giurisdizione. Disciplina vigente e prospettive<br />

di misurazione statistica. Le iniziative comunitarie e <strong>del</strong> Consiglio d’Europa, in<br />

Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2003, 743 ss.; Licini, Alternative dispute resolution (ADR):<br />

aspettative europee ed esperienze USA, attraverso il libro verde <strong>del</strong>la Commissione europea,<br />

e la sapienza di un giurista mediator americano, in Riv. not. 2003, 1.<br />

(60) Cfr. per tutti Lapenna, ult. loc. cit.<br />

(61) Così quasi testualmente Lapenna, cit.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 481<br />

Al riguardo si possono ricordare la Comunicazione <strong>del</strong>la Commissione<br />

Piano di azione sull’accesso dei consumatori alla giustizia e sulla risoluzione<br />

<strong>del</strong>le controversie in materia di consumo nell’ambito <strong>del</strong> mercato interno<br />

<strong>del</strong> 14 febbraio 1996 (62), la quale ha fatto seguito al Libro Verde <strong>del</strong>la<br />

Commissione in tema di Accesso dei consumatori alla giustizia e di risoluzione<br />

<strong>del</strong>le controversie in materia di consumo nell’ambito <strong>del</strong> mercato unico<br />

<strong>del</strong> 16 novembre 1993 (63), e più di recente la Raccomandazione <strong>del</strong>la<br />

Commissione riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per<br />

la risoluzione extragiudiziale <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo <strong>del</strong><br />

30 marzo 1998 (64) e con la stessa data la Comunicazione <strong>del</strong>la Commissio-<br />

––––––––––––<br />

(62) Comunicazione <strong>del</strong>la Commissione COM(96)0013 - C4-0195/96.<br />

(63) Commissione <strong>del</strong>le Comunità Europee, Bruxelles 16 novembre 1993 COM<br />

(1993) 576. Su di esso cfr. Martinello, Libro verde sull’accesso dei consumatori alla<br />

giustizia; appunti per un’analisi critica, in Doc. giust. 1994, 340 ss.; Id., Accesso dei<br />

consumatori alla giustizia. I risultati <strong>del</strong> progetto pilota <strong>del</strong> Comitato Difesa consumatori<br />

promosso dalla Commissione CEE, in Doc. giust. 1996, 1500 ss.; Capponi, Il<br />

libro verde sull’accesso dei consumatori alla giustizia, in Doc. giust. 1994, 361 ss.;<br />

Gasparinetti, Consumatori-utenti e giustizia civile nel Mercato Unico. Un dibattito<br />

aperto, in Doc. giust. 1994, 330. Il Libro verde definisce l’accesso alla giustizia come<br />

un diritto <strong>del</strong>l’uomo ed una condizione per l’operatività effettiva di qualsiasi ordinamento<br />

giuridico, ivi compreso quello comunitario. Cfr. anche i seguenti documenti raccolti<br />

in appendice nel volume La risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit., 657<br />

ss.: Risoluzione <strong>del</strong> 22 aprile 1994 sul Libro verde <strong>del</strong>la Commissione concernente<br />

l’accesso dei consumatori alla giustizia e alla risoluzione <strong>del</strong>le controversie in materia<br />

di consumo nell’ambito <strong>del</strong> mercato unico (C3-0493/93); Parere <strong>del</strong> Comitato <strong>del</strong>le<br />

Regioni in merito al Libro verde: l’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione<br />

<strong>del</strong>le controversie in materia di consumo nell’ambito <strong>del</strong> mercato unico (CdR<br />

47/94 in G.U. 6 agosto 1994, n. C 217); Parere <strong>del</strong> Comitato economico e sociale in<br />

merito al « Libro verde: l’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione <strong>del</strong>le<br />

controversie in materia di consumo nell’ambito <strong>del</strong> mercato unico »; Risoluzione <strong>del</strong><br />

Parlamento <strong>del</strong> 14 novembre 1996, n. A-0355/96, G.U. n. C362 <strong>del</strong> 2 dicembre 1996<br />

sulla Comunicazione <strong>del</strong>la Commissione « Piano d’azione sull’accesso dei consumatori<br />

alla giustizia e sulla risoluzione <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo<br />

nell’ambito <strong>del</strong> mercato interno ».<br />

(64) Commissione <strong>del</strong>le Comunità Europee, Bruxelles 30 marzo 1998 SEC (1998)<br />

576 def. La raccomandazione riguarda le procedure che, a prescindere dalla loro denominazione,<br />

conducono ad una soluzione <strong>del</strong>la controversia attraverso l’intervento attivo di<br />

un terzo che prende formalmente posizione su una soluzione; non riguarda le procedure<br />

spesso designate come « mediazione ». In essa si raccomanda che tutti gli organismi esistenti<br />

o che saranno creati in futuro e che avranno come competenza la risoluzione stragiudiziale<br />

<strong>del</strong>le controversie in materia di consumo rispettino i seguenti principi: principio<br />

di indipendenza; principio di trasparenza; principio <strong>del</strong> contraddittorio; principio di<br />

efficacia; principio di legalità; principio di libertà; principio di rappresentanza.


482<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ne sulla risoluzione extragiudiziale <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo<br />

(65); ancora, la Raccomandazione <strong>del</strong>la Commissione <strong>del</strong> 4 aprile 2001<br />

sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione<br />

consensuale <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo (66) e in pari<br />

data la Comunicazione Ampliare l’accesso dei consumatori alla risoluzione<br />

alternativa <strong>del</strong>le controversie (67).<br />

Ma il tema <strong>del</strong> ricorso alla conciliazione assume in sede comunitaria nuovo<br />

spessore con la pubblicazione <strong>del</strong> Libro verde <strong>del</strong> 19 aprile 2002 relativo ai<br />

modi alternativi di risoluzione <strong>del</strong>le controversie in materia civile e commerciale<br />

(68), il cui obbiettivo era quello di avviare un’ampia consultazione degli<br />

ambienti interessati su un certo numero di questioni di ordine giuridico. In esso<br />

si afferma che il rinnovato interesse all’interno <strong>del</strong>l’Unione Europea per i modi<br />

alternativi di risoluzione <strong>del</strong>le controversie (69) in campo civile e commercia-<br />

––––––––––––<br />

(65) Commissione <strong>del</strong>le Comunità Europee, Bruxelles 30 marzo 1998 COM (1998)<br />

198 def., la quale indica tre vie possibili « per migliorare l’accesso dei consumatori alla<br />

giustizia: la semplificazione e il miglioramento <strong>del</strong>le procedure giudiziarie, il miglioramento<br />

<strong>del</strong>la comunicazione tra gli operatori economici professionali e i consumatori e le<br />

procedure extragiudiziali per la risoluzione <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo.<br />

Queste tre vie, lungi dal costituire metodi alternativi, sono assolutamente complementari.<br />

Tuttavia una fondamentale differenza separa la prima via dalle altre due: mentre la prima<br />

si situa nel contesto tradizionale <strong>del</strong>la risoluzione giudiziale <strong>del</strong>le controversie e intende<br />

migliorare i sistemi esistenti, le altre due fanno uscire, nella misura <strong>del</strong> possibile, le controversie<br />

dal contesto giudiziario ». Con tale Comunicazione la Commissione ha varato<br />

due iniziative volte a migliorare la situazione esistente in materia di accesso dei consumatori<br />

alla giustizia, una <strong>del</strong>le quali si presenta sottoforma di « una raccomandazione<br />

volta a individuare una serie di principi applicabili al funzionamento degli organi extragiudiziali<br />

(esistenti o da creare) per la risoluzione <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo<br />

».<br />

(66) 2001/310/CE. Essa raccomanda a tutti gli organi terzi responsabili <strong>del</strong>le procedure<br />

di risoluzione extragiudiziale <strong>del</strong>le controversie in materia di consumo, che si adoperano<br />

per risolvere una controversia facendo incontrare le parti per convincerle a trovare<br />

una soluzione di comune accordo, che siano garantiti nella procedura i seguenti principi:<br />

imparzialità, trasparenza, efficacia, equità.<br />

(67) COM2001/161 def. In essa si prende atto <strong>del</strong>l’esistenza di numerose fattispecie<br />

di risoluzione alternativa <strong>del</strong>le controversie alle quali tutte vanno estesi i principi<br />

e le garanzie comuni che ne assicurano l’imparzialità, la trasparenza, l’efficacia e<br />

l’equità.<br />

(68) Si può leggere in La risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit., 866 ss.<br />

(69) Viene usato per la prima volta, rispetto ai documenti sopra ricordati,<br />

l’acronimo ADR che sta per Alternative Dispute Resolution, che tende sempre più universalmente<br />

ad imporsi nella pratica. Il Libro verde non utilizza invece in maniera sistematica<br />

le espressioni più diffuse nelle legislazioni nazionali quali mediazione e conciliazione.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 483<br />

le (70) risponde a tre ordini di ragioni. In primo luogo ci si è resi conto <strong>del</strong> rinnovamento<br />

che conoscono sul campo i metodi di ADR, a beneficio dei cittadini,<br />

il cui accesso alla giustizia risulta migliorato. In secondo luogo l’ADR è oggetto<br />

di una particolare attenzione negli Stati membri, traducendosi spesso in iniziative<br />

di carattere legislativo. Infine l’ADR rappresenta una priorità politica per le<br />

istituzioni <strong>del</strong>l’Unione Europea, alle quali spetta il compito di promuovere tali<br />

metodi alternativi, di garantire il miglior contesto possibile per il loro sviluppo e<br />

la loro qualità.<br />

La Commissione ha così promosso una consultazione pubblica su questo<br />

Libro verde, che aveva come obbiettivo quello di raccogliere le osservazioni<br />

generali degli ambienti interessati, nonché le risposte alle domande<br />

formulate, che riguardavano elementi determinanti <strong>del</strong> processo di ADR,<br />

quali le questioni <strong>del</strong>le clausole di ricorso all’ADR, il problema dei termini<br />

di prescrizione, l’esigenza di riservatezza, la validità dei consensi, l’efficacia<br />

degli accordi scaturiti dall’ADR, la formazione dei terzi, il loro regime di<br />

responsabilità.<br />

Il Comitato economico sociale europeo l’11 dicembre 2002 ha espresso<br />

il proprio parere sulle questioni poste dalla Commissione (71), individuando<br />

le esigenze alle quali occorre dare risposta nella materia considerata ed i<br />

principi informatori <strong>del</strong> possibile intervento comunitario, e sottolineando la<br />

necessità che i procedimenti di risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie<br />

siano improntati ai principi di imparzialità, di trasparenza, di efficacia, di<br />

equità, nel senso di equidistanza <strong>del</strong> conciliatore rispetto alle parti, e di riservatezza.<br />

Il Comitato ha altresì sottolineato la necessità <strong>del</strong>l’uniformazione <strong>del</strong><br />

valore giuridico degli accordi di conciliazione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie<br />

e l’indispensabilità di una formazione professionale dei terzi incaricati di<br />

assistere le parti nella negoziazione dei loro accordi, anche attraverso<br />

l’introduzione di un codice deontologico europeo al quale debbono uniformare<br />

la loro condotta coloro i quali si propongono di promuovere professionalmente<br />

la soluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie in materia civile e<br />

commerciale (72).<br />

––––––––––––<br />

(70) Si precisa alla nota 4 che sono escluse dall’ambito di applicazione <strong>del</strong> Libro<br />

verde le questioni relative ai diritti indisponibili e che interessano l’ordine pubblico, quali<br />

un certo numero di disposizioni <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>le persone e di famiglia, <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>la<br />

concorrenza, <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong> consumo, che in effetti non possono costituire oggetto di<br />

ADR.<br />

(71) 2003/C/85/02. Il comitato individua la strada <strong>del</strong>la Raccomandazione come la<br />

più appropriata per l’approccio generale al problema.<br />

(72) In La risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit., 914 ss., si può leggere<br />

il Parere espresso dall’European Consumer Law Group sul Libro verde.


484<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

È in questo contesto che occorre collocare la disciplina <strong>del</strong>la conciliazione<br />

stragiudiziale contenuta negli artt. 38 - 40 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003 <strong>del</strong>la quale<br />

ora ci occuperemo, limitatamente ad alcuni aspetti che ci paiono i più interessanti,<br />

rinviando agli ormai numerosi contributi <strong>del</strong>la dottrina per una trattazione<br />

più completa <strong>del</strong> tema (73).<br />

8. – Cominciamo con il ribadire che presupposto non sempre espresso per<br />

l’utilizzazione <strong>del</strong>la conciliazione è che si tratti di materia disponibile. Nel caso<br />

<strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale, di cui agli artt. 38 - 40 (74), anche se essa<br />

sembra poter avere ad oggetto tutte le controversie sorte sulle materie di cui<br />

all’art. 1 <strong>del</strong> decreto in commento, lo si ricava dall’inquadramento sistematico<br />

<strong>del</strong>l’istituto (75). Ed infatti e pur trattandosi nel caso di specie di conciliazione<br />

amministrata – così definendosi quella societaria in cui le parti accettano la<br />

proposta di una determinata istituzione che offre al pubblico un’organizzazione<br />

e un regolamento per lo svolgimento di tentativi di conciliazione, così distinguendosi<br />

dalla conciliazione ad hoc, in cui lo svolgimento <strong>del</strong> tentativo è sorretto<br />

da una struttura elementare creata volta per volta (76) –, ricondotta ad un<br />

contratto atipico misto nel quale sarebbero presenti elementi <strong>del</strong>l’appalto di servizi<br />

(art. 1655 c.c.) e <strong>del</strong>l’opera intellettuale (art. 2230 c.c.) (77), non vi è dub-<br />

––––––––––––<br />

(73) Li si vedano citati alla nota seguente.<br />

(74) Sulla conciliazione stragiudiziale nel nuovo rito societario cfr.: Miccolis,<br />

Arbitrato e conciliazione nella riforma <strong>del</strong> diritto societario, cit., 14 ss.; Id., in La riforma<br />

<strong>del</strong>le società, cit., sub artt. 38-40, 357 ss.; Caponi, La conciliazione stragiudiziale<br />

come metodo di ADR, cit., 171 ss.; Caponi, Romualdi, in La via <strong>del</strong>la conciliazione,<br />

cit., 159; Luiso, in La via <strong>del</strong>la conciliazione, cit., 227 ss.; Di Roco, Santi, La conciliazione,<br />

cit., 303 ss.; Cuomo Ulloa, La nuova conciliazione societaria, cit., 1054 ss.;<br />

Galletto, La conciliazione stragiudiziale nel nuovo diritto societario, in La risoluzione<br />

stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie, cit., 371 ss.; Bartolomucci, La conciliazione stragiudiziale<br />

nella riforma <strong>del</strong> diritto societario, ivi, 405 ss.; E. Minervini, La conciliazione,<br />

cit., 61 ss.; Id., La conciliazione stragiudiziale <strong>del</strong>le controversie in materia societaria,<br />

in Le soc. 2003, 657 ss.; Negrini, in Il nuovo processo societario, cit., sub artt. 38-40,<br />

1043 ss.; Rubinio La riforma <strong>del</strong> diritto societario. I procedimenti (d.lgs. 17 gennaio<br />

2003, n. 5), a cura di Lo Cascio, Milano 2003, sub artt. 30-40, 493 ss.; De Santis, La<br />

conciliazione in materia societaria, cit., 449 ss.; Bisignani, in Processo, arbitrato e<br />

conciliazione nelle controversie societarie, bancarie, e <strong>del</strong> mercato finanziario. Commento<br />

al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, a cura di G. Alpa e T. Galletto, Giuffrè, Milano<br />

2004, sub artt. 38-40, 261 ss.<br />

(75) Sull’ambito <strong>del</strong>la conciliazione in materia societaria e sul problema dei diritti<br />

indisponibili cfr. Galletto, La conciliazione stragiudiziale, cit., 401 ss.<br />

(76) Così quasi testualmente Caponi, Romualdi, La via, cit., 152.<br />

(77) Caponi, Romualdi, cit., 154, che gli attribuiscono il nomen di contratto di amministrazione<br />

di conciliazione.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 485<br />

bio che la stessa agisca sul piano negoziale, incontrando gli stessi limiti<br />

<strong>del</strong>l’autonomia privata in materia di diritti indisponibili.<br />

Gli artt. 38, 39 e 40 <strong>del</strong> Titolo VI <strong>del</strong> d.lgs. n. 5/2003 si occupano in effetti<br />

<strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale amministrata (78), in quanto affidata ad enti<br />

registrati e solo in quanto svolta presso gli stessi, destinataria dei benefici e<br />

<strong>del</strong>le regole di efficacia previste. Con tali norme il legislatore ha inteso, come si<br />

legge nella Relazione, disciplinare l’accesso ai sistemi di ADR organizzati da<br />

Enti pubblici e privati in condizioni di concorrenza paritaria e sotto il controllo<br />

<strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la Giustizia, presso il quale devono essere compiuti gli adempimenti<br />

che abilitano allo svolgimento <strong>del</strong> servizio.<br />

Di fronte a questo impianto di norme che, non vi è dubbio, svolgano una<br />

funzione promozionale rispetto allo strumento conciliativo, la disciplina complessiva<br />

contenuta nel d.lgs. n. 5/2003 suscita alcune perplessità di fondo sulle<br />

quali pare opportuno soffermarsi.<br />

Si può cominciare dal riferimento all’imparzialità che sembra tradire la funzione<br />

solitamente riconosciuta al conciliatore (79). Si è detto che il conciliatore non<br />

deve giudicare, ma aiutare le parti ad individuare una soluzione <strong>del</strong>la controversia<br />

insorta sulla base di una valutazione <strong>del</strong>le opposte posizioni, compiuta più in termini<br />

di convenienza che di stretto diritto (80). Una soluzione alla quale le parti dovrebbero<br />

pervenire sentendola come propria e che consenta una composizione<br />

<strong>del</strong>la controversia nell’ambito <strong>del</strong>la quale non sia possibile individuare un vincitore<br />

ed un soccombente. Anche laddove al conciliatore venga richiesto di valutare le<br />

pretese <strong>del</strong>le parti e di formulare una proposta di accordo, si deve ritenere che a tale<br />

accordo le parti pervengano comunque sulla base di una loro libera adesione.<br />

Ora, se anche si considera che non al primo mo<strong>del</strong>lo (81), quello <strong>del</strong>la<br />

––––––––––––<br />

(78) Cuomo Ulloa, La nuova conciliazione societaria, cit., 1057, afferma che non si<br />

possono escludere « forme di conciliazione semi-amministrate, ossia gestite da enti organizzati,<br />

ma – al pari di quanto spesso avviene in materia arbitrale – affidate a conciliatori<br />

scelti dalle parti, i quali dovranno comunque operare secondo il regolamento<br />

<strong>del</strong>l’organismo conciliativo ».<br />

(79) Il comma 1° <strong>del</strong>l’art. 40 dispone che i regolamenti di procedura devono prevedere<br />

le modalità di nomina <strong>del</strong> conciliatore che « ne garantiscano l’imparzialità ». De<br />

Santis, La conciliazione, cit., 454, osserva che l’art. 40 impone il rispetto di una serie di<br />

principi « “minimali” per un verso annoverabili all’idea <strong>del</strong> giusto processo come fissato<br />

dall’art. 111 cost. (imparzialità <strong>del</strong> conciliatore e ragionevole durata <strong>del</strong>la procedura) per<br />

altro verso riconducibili alla speciale finalità <strong>del</strong>l’istituto (professionalità <strong>del</strong> conciliatore,<br />

riservatezza <strong>del</strong> procedimento) ».<br />

(80) Si rinvia sul punto alla dottrina specialistica più volte citata.<br />

(81) La distinzione tra mo<strong>del</strong>lo facilitativo e mo<strong>del</strong>lo valutativo, riproposta nel testo,<br />

proviene dalla dottrina nordamericana che le fa corrispondere approcci e strategie<br />

diverse da parte <strong>del</strong> terzo. Per riferimenti bibliografici cfr. Cuomo Ulloa, La nuova conciliazione<br />

societaria, cit., 1058, nota 65.


486<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

conciliazione facilitativa (82), ma al secondo, quello <strong>del</strong>la conciliazione valutativa<br />

(83), sembrava essersi ispirato il legislatore <strong>del</strong> rito societario (84), ciò non<br />

toglie che l’imparzialità sia una prerogativa richiesta a colui che è chiamato a<br />

giudicare, mentre nel caso <strong>del</strong> conciliatore sarebbe più corretto parlare di neutralità,<br />

o di equidistanza come a livello europeo. Il che risolverebbe il dubbio<br />

altrimenti legittimo <strong>del</strong>la copertura costituzionale <strong>del</strong>la garanzia <strong>del</strong>l’imparzialità<br />

anche per il conciliatore, con il conseguente tema <strong>del</strong>la sua possibile ricusazione<br />

(85), ponendosi semmai il problema <strong>del</strong>la eventuale impugnazione<br />

––––––––––––<br />

(82) In questo tipo di mo<strong>del</strong>lo conciliativo, il conciliatore non esprime <strong>del</strong>le valutazioni<br />

in ordine alla fondatezza o meno <strong>del</strong>le posizioni dei contendenti, ma cerca invece di<br />

stimolare la loro capacità di elaborare valide alternative alla controversia insorta: così Di<br />

Rocco, Santi, La conciliazione, 123. Per altre definizioni <strong>del</strong>la conciliazione facilitativa<br />

cfr.: Uzqueda, in La via <strong>del</strong>la conciliazione, cit., 95; Caponi, La conciliazione stragiudiziale,<br />

cit., 167; Luiso, La conciliazione nel quadro <strong>del</strong>la tutela dei diritti, cit., 9.<br />

(83) In questo tipo di mo<strong>del</strong>lo conciliativo, invece, al conciliatore viene chiesto di<br />

valutare le pretese <strong>del</strong>le parti, e di formulare una proposta di accordo, rispetto alla quale<br />

le parti mantengono la loro libertà di adesione: così Uzqueda, ult. loc. cit.; cfr. anche Di<br />

Rocco, Santi, ult. loc. cit.; Caponi, ult. loc. cit. Questo mo<strong>del</strong>lo viene definito da Luiso,<br />

ult. loc. cit., aggiudicativo perché imporrebbe al conciliatore di valutare la fondatezza<br />

<strong>del</strong>le rispettive pretese, al fine di formulare una proposta il cui contenuto dipende<br />

dall’opinione che il conciliatore si è fatto circa le posizioni <strong>del</strong>le parti. Il conciliatore ricercherà<br />

la soluzione giusta per la controversia.<br />

(84) Così Caponi, Romualdi, in La via <strong>del</strong>la conciliazione, cit., 160; Luiso, ivi, 327;<br />

Caponi, La conciliazione stragiudiziale, cit., 172; Giovannucci Orlandi, Primi spunti<br />

sulla conciliazione extragiudiziale nelle controversie societarie, in Conciliazione e arbitrato<br />

nelle controversie societarie, Atti <strong>del</strong> convegno organizzato dall’AIA, Roma 7 novembre<br />

2002, 2003, 124; Galletto, La conciliazione stragiudiziale nel nuovo diritto societario,<br />

cit., 388. Cuomo Ulloa, La nuova conciliazione, cit., 1060 nota 68, aderisce a<br />

questo inquadramento <strong>del</strong>la conciliazione extragiudiziale societaria, ma precisa che il<br />

mo<strong>del</strong>lo di conciliazione valutativo descritto dalla dottrina nordamericana appare più<br />

complesso e articolato. Per Bartolomucci, La conciliazione stragiudiziale, cit., 454 s., il<br />

mo<strong>del</strong>lo inizialmente adottato dal legislatore <strong>del</strong> societario sarebbe stato un terzo mo<strong>del</strong>lo<br />

di conciliazione « un mo<strong>del</strong>lo a doppio binario che ritiene prioritario il raggiungimento di<br />

accordo spontaneo tra le parti, che chiede al conciliatore il compimento di tutti gli sforzi<br />

necessari per realizzarlo e, solo nel caso di oggettiva impossibilità, la formulazione di una<br />

proposta che sia il frutto <strong>del</strong>la sua autonoma iniziativa e valutazione in quanto soggetto<br />

terzo super partes ». La scelta era comunque criticabile perché basata su un assunto errato,<br />

ovvero che « il conciliatore debba necessariamente svolgere un ruolo valutativo,<br />

proponendo alle parti una soluzione che ritiene migliore ».<br />

(85) Luiso, ult. loc. cit., afferma che poiché il conciliatore può trovarsi a dover<br />

esprimere un giudizio, la sua terzietà assume lo stesso rilievo di quella <strong>del</strong> giudice e<br />

<strong>del</strong>l’arbitro. Miccolis, in La riforma <strong>del</strong>le società, cit., 365, esclude, invece, che<br />

l’imparzialità <strong>del</strong> conciliatore possa essere assicurata dalle norme poste a garanzia<br />

<strong>del</strong>l’imparzialità <strong>del</strong> giudice (artt. 51 e 52 c.p.c.) e <strong>del</strong>l’arbitro (art. 815 c.p.c.).


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 487<br />

negoziale <strong>del</strong>la conciliazione raggiunta attraverso un conciliatore non neutrale<br />

(86).<br />

Si diceva che il mo<strong>del</strong>lo al quale si è ispirato il legislatore pareva essere<br />

quello <strong>del</strong>la conciliazione valutativa, almeno prima <strong>del</strong>le ultime modifiche<br />

apportate alla norma dal d.lgs. n. 37 <strong>del</strong> 2004 (87). In effetti il comma 2°<br />

<strong>del</strong>l’art. 40, nella sua prima versione, stabiliva, per il caso di mancato raggiungimento<br />

di un accordo, che il procedimento conciliativo si concludesse<br />

con una proposta <strong>del</strong> conciliatore rispetto alla quale ciascuna <strong>del</strong>le parti indicava<br />

la propria definitiva posizione, ovvero le condizioni alle quali era disposta<br />

a conciliare. Di tali posizioni il conciliatore dava atto in un apposito verbale,<br />

come <strong>del</strong>la mancata adesione di una <strong>del</strong>le parti all’esperimento <strong>del</strong> tentativo<br />

di conciliazione (88).<br />

I risvolti poco convincenti <strong>del</strong>la disciplina attenevano a quanto previsto nel<br />

comma 5° <strong>del</strong>l’art. 40 per il caso di non raggiunto accordo, in quanto si disponeva<br />

che la mancata comparizione di una <strong>del</strong>le parti e le posizioni assunte dinanzi<br />

al conciliatore fossero valutate dal giudice ai fini <strong>del</strong>la decisione <strong>del</strong>le<br />

spese processuali, anche ai sensi <strong>del</strong>l’art. 96 c.p.c. (89). Disciplina criticabile<br />

––––––––––––<br />

(86) Così Miccolis, ult. loc. cit.<br />

(87) « Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 <strong>del</strong> 17 gennaio<br />

2003 recanti la riforma <strong>del</strong> diritto societario, nonché al testo unico <strong>del</strong>le leggi in materia<br />

bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo n. 385 <strong>del</strong> 1° settembre 1993 e al testo<br />

unico <strong>del</strong>l’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 <strong>del</strong> 24 febbraio<br />

1998 », pubblicato in G.U. <strong>del</strong> 14 febbraio 2004, n. 37, suppl. ord. n. 24. Sul nuovo mo<strong>del</strong>lo<br />

di conciliazione cfr. Bartolomucci, La conciliazione, cit., 460 ss. Sulle ultime modifiche<br />

apportate dal legislatore cfr. anche Negrini, in Il nuovo processo societario, cit., sub<br />

art. 40, 1063 ss.; Sassani, Tiscini, in La riforma <strong>del</strong>le società. Aggiornamento commentato.<br />

Diritto sostanziale e processuale, a cura di M. Sandulli, V. Santoro e B. Sassani,<br />

Giappicchelli, Torino 2004, sub art. 40, 224 ss.<br />

(88) Nella proposta <strong>del</strong> conciliatore Luiso, in La via <strong>del</strong>la conciliazione, cit., 237,<br />

vede un giudizio che fa acquisire a tutto il procedimento conciliativo una connotazione<br />

aggiudicativa. Il conciliatore potrà e dovrà cercare gli elementi che stabiliscano chi ha<br />

ragione e chi ha torto « in modo di essere in grado di fare una proposta secondo giustizia<br />

e non secondo convenienza, come nel mo<strong>del</strong>lo facilitativo ».<br />

(89) Il giudice era infatti chiamato a valutare comparativamente le posizioni assunte<br />

dalle parti e il contenuto <strong>del</strong>la sentenza da lui pronunciata al fine di escludere in tutto o in<br />

parte la ripetizione <strong>del</strong>le spese sostenute dal vincitore che aveva rifiutato la conciliazione,<br />

che poteva essere condannato altresì al rimborso <strong>del</strong>le spese sostenute dal soccombente.<br />

Parametro di riferimento di questa operazione non era il contenuto <strong>del</strong>la proposta di conciliazione,<br />

ma le posizioni <strong>del</strong>le parti, valutate non rispetto alla stessa proposta, ma a<br />

quello che era il contenuto <strong>del</strong>la sentenza. Dunque non pareva corretto dedurne che nella<br />

proposta fosse insito un vero e proprio giudizio, il che avrebbe fatto acquisire alla procedura<br />

una connotazione aggiudicativa, con la conseguenza di dover valutare il requisito<br />

<strong>del</strong>la imparzialità <strong>del</strong> conciliatore alla stessa stregua di quello <strong>del</strong> giudice o <strong>del</strong>l’arbitro:


488<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

perché se la conciliazione stragiudiziale vuole avere una qualche speranza di<br />

affermarsi nella prassi applicativa, deve operare sul solo piano <strong>del</strong> tentativo negoziale,<br />

senza che possa avere <strong>del</strong>le ricadute sull’eventuale futuro giudizio (90).<br />

––––––––––––<br />

così Luiso, in La via <strong>del</strong>la conciliazione, cit., 238. Oltre al fatto che i parametri valutativi<br />

utilizzati dal conciliatore sarebbero stati diversi da quelli di stretto diritto utilizzati dal<br />

giudice, essendo proprio questo uno dei possibili vantaggi offerti dal ricorso a questo<br />

strumento alternativo di risoluzione <strong>del</strong>le controversie: la possibilità di valutare il conflitto<br />

insorto tenendo conto <strong>del</strong> sistema di interessi sotteso allo stesso e non vincolando la<br />

possibile soluzione all’applicazione di norme di stretto diritto. Per queste ragioni non mi<br />

convince la ricostruzione offerta da Luiso, cit., 237, <strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> conciliatore in<br />

termini di giudizio. Non vedo perché la proposta non debba essere formulata sulla base<br />

<strong>del</strong>la « convenienza », secondo le caratteristiche tipiche <strong>del</strong>l’istituto, invece che <strong>del</strong>la<br />

« giustizia ». Ma sul punto, <strong>del</strong>lo stesso autore, cfr. Magistratura togata, magistratura<br />

onoraria, « altra giustizia », cit., 1 ss. Quanto all’interpretazione <strong>del</strong>la norma in commento<br />

l’autore afferma che « se è stata la parte vittoriosa a rifiutare una proposta <strong>del</strong> conciliatore<br />

che, nella sostanza, gli avrebbe dato quello che poi ha ottenuto nel processo giurisdizionale,<br />

allora il giudice potrà compensare le spese, o anche condannare la parte vittoriosa<br />

a pagare, in tutto o in parte, le spese alla parte soccombente. Se è stata la parte<br />

soccombente a rifiutare una proposta <strong>del</strong> conciliatore che, nella sostanza, riconosceva alla<br />

controparte quello che poi quest’ultima ha ottenuto nel processo giurisdizionale, allora vi<br />

potrà essere la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c ». Per Luiso si sarebbe<br />

così applicato, in relazione alle spese e ai danni, il criterio <strong>del</strong>la causalità, intendendosi<br />

per colui che ha dato causa alla controversia giurisdizionale chi abbia rifiutato<br />

una proposta conciliativa coincidente con quella che sarà poi la decisione <strong>del</strong>la controversia.<br />

Per Miccolis, in La riforma <strong>del</strong>le società, cit., 366 s., la fattispecie di cui all’art.<br />

40, comma 5°, avrebbe presupposto in realtà una soccombenza parziale, ossia un parziale<br />

accoglimento <strong>del</strong>la domanda. Non sarebbe infatti ragionevole ritenere che il legislatore si<br />

sia voluto riferire al caso <strong>del</strong>l’attore che chiede 100 e che abbia rifiutato una proposta<br />

conciliativa <strong>del</strong> convenuto per 100 o 99, per poi ottenere dal giudice con sentenza 100, o<br />

al convenuto vincitore che rifiuti una proposta conciliativa formulata dall’attore soccombente<br />

per 0 o 1, per poi ottenere dal giudice il rigetto integrale <strong>del</strong>la domanda. L’autore<br />

critica questa disciplina che finirebbe con il punire l’attore ostile alla conciliazione, favorendo<br />

il convenuto che, anziché formulare offerta reale per l’importo in questione, si rende<br />

semplicemente disponibile a sottoscrivere un atto avente valore di titolo esecutivo per<br />

il medesimo importo. In considerazione di ciò Miccolis esprime la sua preferenza per<br />

soluzioni che prevedano un’ammenda o una sanzione amministrativa a carico <strong>del</strong>l’attore<br />

che ha rifiutato ragionevoli proposte conciliative.<br />

(90) Il legislatore ha invece ritenuto di disincentivare atteggiamenti ostili alla conciliazione.<br />

Sul punto cfr. Miccolis, in La riforma <strong>del</strong>le società, cit., 366. Una proposta<br />

estrema de iure condendo è quella formulata da Proto Pisani, Per un nuovo titolo esecutivo<br />

di formazione stragiudiziale, in Foro it. 2003, V, 117, e definita « variante piuttosto<br />

spinta <strong>del</strong>la conciliazione valutativa » da Caponi, La conciliazione stragiudiziale, cit.,<br />

173. Si tratterebbe di affidare obbligatoriamente per legge ad un collegio presieduto da<br />

un terzo imparziale e integrato da rappresentanti <strong>del</strong>le parti il tentativo di conciliazione di


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 489<br />

Ora non sembra che questi rilievi possano considerarsi superati alla luce<br />

<strong>del</strong> più recente e già ricordato intervento legislativo operato sull’art. 40 <strong>del</strong><br />

d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003 (91), che ha modificato il primo periodo <strong>del</strong> comma 2°<br />

<strong>del</strong>la norma citata. Essa, dopo la novella, così dispone: « Se entrambe le<br />

parti lo richiedono, il procedimento di conciliazione, ove non sia raggiunto<br />

un accordo, si conclude con una proposta <strong>del</strong> conciliatore rispetto alla<br />

quale ciascuna <strong>del</strong>le parti, se la conciliazione non ha luogo, indica la propria<br />

definitiva posizione, ovvero le condizioni alle quali è disposta a conciliare<br />

» (92).<br />

Mi pare che risulti evidente, dal confronto con il precedente testo, che<br />

la novità sta tutta nell’aver subordinato la formalizzazione <strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong><br />

conciliatore alla richiesta <strong>del</strong>le parti. Sembrerebbe, in altre parole, che le<br />

parti debbano esprimere il consenso all’adozione <strong>del</strong> cosiddetto mo<strong>del</strong>lo valutativo,<br />

nel quale, come si è visto, al conciliatore viene chiesto di formulare<br />

una proposta. Se così è occorre allora ridimensionare l’affermazione secondo<br />

la quale il legislatore <strong>del</strong> societario, nell’introdurre la conciliazione stragiudiziale<br />

cosiddetta amministrata, avrebbe optato per il mo<strong>del</strong>lo valutativo. Pare<br />

invece che il ricorso a tale strumento alternativo di risoluzione <strong>del</strong>la controversia,<br />

disciplinato dagli artt. 38 e seguenti, lasci ancora aperta la scelta<br />

per le parti di concordare il tipo di intervento che le stesse richiedono al conciliatore.<br />

Ma il vero nodo problematico posto dalla norma, come novellata, è se, in<br />

assenza <strong>del</strong>la richiesta <strong>del</strong>le parti, e dunque in mancanza <strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong><br />

conciliatore, si applichi ugualmente il comma 5° <strong>del</strong>l’art. 40. Non mi sembra<br />

possano esservi dubbi sul fatto che il giudice sia chiamato a valutare,<br />

nell’eventuale successivo giudizio, ai fini <strong>del</strong>la decisione sulle spese processuali,<br />

anche ai sensi <strong>del</strong>l’art. 96 c.p.c., la mancata comparizione di una <strong>del</strong>le<br />

parti. Del resto il conciliatore deve dare atto, ai sensi <strong>del</strong> comma 2° <strong>del</strong>l’art.<br />

40, con apposito verbale, <strong>del</strong>la mancata adesione di una parte al tentativo di<br />

conciliazione.<br />

Quello che non è chiaro è se il conciliatore debba verbalizzare comunque<br />

––––––––––––<br />

una serie di controversie, individuate per materia e valore, e in caso di esito negativo di<br />

consentire al collegio di emanare una decisione allo stato degli atti che accerti il diritto,<br />

con possibilità di pervenire, in caso di accoglimento <strong>del</strong>l’istanza, alla formazione di un<br />

titolo esecutivo stragiudiziale di origine privata.<br />

(91) V. p. 21 e nota (87).<br />

(92) Per Bartolomucci, La conciliazione, cit., 461, il mo<strong>del</strong>lo di conciliazione<br />

societaria sarebbe stato <strong>del</strong> tutto stravolto non tanto perché sarebbe stato eliminato il<br />

collegamento tra conciliazione fallita e processo civile successivamente instaurato,<br />

ma perché tale collegamento sarebbe strettamente connesso alla libera volontà <strong>del</strong>le<br />

parti.


490<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

le definitive posizioni <strong>del</strong>le parti, ovvero le condizioni alle quali sarebbero disposte<br />

a conciliare, anche nel caso in cui non abbia formalizzato la sua proposta<br />

in quanto ciò non gli sia stato richiesto; perché se è vero che esse sembrano, nel<br />

comma 2° <strong>del</strong>la norma, doversi rapportare al contenuto <strong>del</strong>la proposta stessa, ai<br />

fini <strong>del</strong>l’applicazione <strong>del</strong> comma 5°, il giudice è chiamato a valutare comparativamente<br />

queste posizioni e il contenuto <strong>del</strong>la sentenza. In altre parole, ciò che<br />

sembra rilevare non è la proposta <strong>del</strong> conciliatore, che potrebbe anche mancare,<br />

ma sono le posizioni assunte dalle parti davanti al conciliatore. Una diversa interpretazione<br />

lascerebbe alle parti la scelta se applicare o meno, nel successivo<br />

ed eventuale giudizio, una sanzione di carattere processuale che non sembra<br />

possa rientrare nella loro disponibilità (93).<br />

Non si può allora che concludere sul punto osservando come la modifica<br />

così introdotta non sia in grado di eliminare quei dubbi sull’efficacia <strong>del</strong>lo<br />

strumento che la norma già poneva, e che miglior soluzione sarebbe stata quella<br />

di non consentire in alcun modo l’utilizzo, nel futuro ed eventuale processo, di<br />

ciò che è accaduto in sede conciliativa, tenendo rigorosamente separati i due<br />

contesti.<br />

Espressi questi dubbi sulla disciplina dettata dal legislatore <strong>del</strong> societario<br />

––––––––––––<br />

(93) Per Bartolomucci, La conciliazione, cit., 461, « la condizione essenziale alla<br />

quale il conciliatore potrà formulare una proposta e verbalizzare le posizioni <strong>del</strong>le parti<br />

e il giudice, a sua volta, potrà valutare (ai sensi <strong>del</strong> comma 5°) il loro comportamento e<br />

le loro dichiarazioni di mancata adesione alla proposta formulata dal conciliatore è che<br />

vi sia la concorde volontà <strong>del</strong>le parti ». Sulle possibili interpretazioni <strong>del</strong>la norma v.<br />

Negrini, cit., sub art. 40, 1069, secondo il quale, quella per cui in caso di mancanza<br />

<strong>del</strong>la concorde richiesta <strong>del</strong>le parti verrebbe meno non solo l’obbligo <strong>del</strong> conciliatore<br />

di formulare la sua proposta, ma anche il dovere <strong>del</strong>le parti di indicare le proprie condizioni<br />

per l’accordo, sarebbe troppo ampia. Nel successivo giudizio mancherebbe il<br />

parametro con cui valutare ai fini <strong>del</strong>le spese il comportamento tenuto in sede di conciliazione.<br />

Contra: Sassani, Tiscini, cit., 225, secondo i quali la definitiva posizione di<br />

ciascuna <strong>del</strong>le parti sarebbe subordinata alla proposta <strong>del</strong> conciliatore. Non vi sarebbe<br />

spazio per una presa di posizioni <strong>del</strong>le parti in assenza <strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> conciliatore<br />

« semplicemente perché esse sono chiamate a prendere posizione solo sulla proposta<br />

avanzata dal conciliatore ». Questa interpretazione non pregiudicherebbe la ratio <strong>del</strong><br />

comma 5° <strong>del</strong>l’art. 40 in quanto « la posizione assunta dalle parti innanzi al conciliatore<br />

» non necessariamente coinciderebbe con quella susseguente alla formulazione da<br />

parte <strong>del</strong> conciliatore stesso <strong>del</strong>la propria proposta. « Essa potrebbe più genericamente<br />

consistere nelle dichiarazioni <strong>del</strong>le parti messe a verbale nel corso <strong>del</strong> tentativo di conciliazione.<br />

Sicché, in sede di giudizio il giudice conserva ampio potere di trarre considerazioni<br />

dalla lettura <strong>del</strong> verbale di mancata conciliazione tale da indurlo a disporre<br />

sulle spese di giudizio in un senso o nell’altro ». Secondo gli autori sottrarre alle parti<br />

l’obbligo di prendere posizione in assenza di una loro richiesta congiunta sarebbe più<br />

conforme alla ratio <strong>del</strong>la modifica, la quale subordinerebbe alla richiesta di parte<br />

l’attivazione <strong>del</strong> meccanismo.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 491<br />

in materia di conciliazione stragiudiziale, prima di abbandonare il tema occorre<br />

cominciare a sciogliere la riserva formulata quando si è riproposta la più nota e<br />

diffusa classificazione <strong>del</strong>l’istituto in esame. Si ricorderà che in quella sede si<br />

era indicata, quale ulteriore linea di indagine, quella di verificare se la stessa<br />

possa considerarsi ancora attuale alla luce dei più recenti interventi legislativi<br />

interni e, anche se in fieri, comunitari.<br />

Al riguardo assume importanza innanzitutto il Regolamento recante la<br />

determinazione dei criteri e <strong>del</strong>le modalità di iscrizione nonché di tenuta <strong>del</strong><br />

registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 <strong>del</strong> decreto legislativo<br />

17 gennaio 2003, n. 5 (94). Esso infatti, al suo art. 1, contiene <strong>del</strong>le<br />

definizioni, tra le quali, alla lett. d), quella di « conciliazione ». L’istituto<br />

posto ad oggetto <strong>del</strong>le nostre osservazioni viene definito in questi termini:<br />

« il servizio reso da uno o più soggetti, diversi dal giudice o dall’arbitro, in<br />

condizioni di imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo<br />

di dirimere una lite già insorta o che può insorgere tra le parti, attraverso<br />

modalità che comunque ne favoriscano la composizione autonoma ». Siamo<br />

qui di fronte alla prima definizione normativa di conciliazione stragiudiziale,<br />

la quale sembra, peraltro, echeggiare quella di mediazione offerta dalla Proposta<br />

di Direttiva in materia, di cui ora occorre occuparsi per poter comprendere<br />

appieno il problema terminologico, che non è solo tale, sottendendo<br />

realtà diverse.<br />

9. – Prima di affrontare la questione terminologica, pare però opportuno<br />

segnalare i punti <strong>del</strong>la Relazione che accompagna la Proposta (95), che sembrano<br />

confermare alcune <strong>del</strong>le considerazioni che fino ad ora abbiamo svolto.<br />

Innanzitutto in essa si pone in rilievo che, se un migliore accesso alla giustizia<br />

ha sempre rappresentato uno degli obbiettivi chiave <strong>del</strong>la politica UE, esso<br />

« dovrebbe includere la promozione <strong>del</strong>l’accesso ad adeguate procedure di<br />

risoluzione <strong>del</strong>le controversie per i privati e le imprese, e non soltanto la possibilità<br />

di accedere al sistema giudiziario ». Come dire, riconoscimento che il<br />

sistema giustizia di uno Stato membro non può non prevedere accanto al possibile<br />

ricorso all’autorità giudiziaria, forme alternative di risoluzione <strong>del</strong>le controversie<br />

(96). La necessità di un quadro giuridico stabile sulla interazione tra<br />

––––––––––––<br />

(94) Assunto con decreto <strong>del</strong> Ministro <strong>del</strong>la Giustizia, 23 luglio 2004, n. 222. Ad<br />

esso ha fatto seguito il Regolamento recante approvazione <strong>del</strong>le indennità spettanti agli<br />

organismi di conciliazione a norma <strong>del</strong>l’art. 39 <strong>del</strong> decreto legislativo 17 gennaio 2003,<br />

n. 5, assunto con decreto <strong>del</strong> Ministro <strong>del</strong>la Giustizia, 23 luglio 2004, n. 223.<br />

(95) Dà notizia <strong>del</strong>la Proposta di direttiva Int’l Lis 2004/2005, 9.<br />

(96) La Relazione prosegue affermando che « La direttiva oggetto <strong>del</strong>la proposta<br />

contribuisce a questo obbiettivo agevolando l’accesso alla risoluzione <strong>del</strong>le con-


492<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

mediazione e procedimenti civili, si afferma, « potrebbe contribuire a porre la<br />

mediazione su un piede di parità con i procedimenti giudiziari quando i fattori<br />

connessi alla specifica controversia giocano il ruolo più significativo per le<br />

parti nella determinazione <strong>del</strong>la scelta <strong>del</strong> mezzo di risoluzione <strong>del</strong>la controversia<br />

».<br />

La Commissione afferma di credere nelle potenzialità <strong>del</strong>la conciliazione<br />

quale strumento di risoluzione <strong>del</strong>le controversie e come accesso alla giustizia<br />

per privati ed imprese che presenta indubbi vantaggi: si tratterebbe di<br />

« un modo più veloce, più semplice ed economicamente più efficiente di risolvere<br />

le controversie, che consente di prendere in considerazione una<br />

gamma più ampia di interessi <strong>del</strong>le parti, con una maggiore possibilità di<br />

raggiungere un accordo che sarà rispettato su base volontaria e che preserva<br />

una relazione amichevole e sostenibile tra esse ». Sono qui concentrate<br />

quelle caratteristiche <strong>del</strong>lo strumento da noi già evidenziate, compreso il riferimento<br />

alla pluralità di interessi che possono essere fatti oggetto <strong>del</strong> procedimento<br />

in esame, e che bene mette in luce quella sua peculiarità già individuata<br />

sul piano <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong>lo stesso.<br />

Ma nella Relazione che accompagna la Proposta di Direttiva vi è anche<br />

espressa quella consapevolezza, più di recente acquisita, sul ruolo degli strumenti<br />

alternativi di risoluzione <strong>del</strong>le controversie, che appunto più che alternativi<br />

ai procedimenti giudiziari e indipendentemente dalla loro caratteristica di<br />

poter alleggerire la pressione sul sistema giudiziario, si presentano come i più<br />

adeguati. Così la Commissione vede nella mediazione « uno dei diversi mezzi<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie disponibile in una società moderna e che può<br />

essere il più idoneo per alcuni tipi di controversie ».<br />

Venendo ora al contenuto <strong>del</strong>la Proposta, essa dopo aver precisato nel<br />

suo art. 1 l’obbiettivo e l’ambito di applicazione (97), contiene all’art. 2 alcune<br />

definizioni che qui meritano di essere ricordate. Si è infatti obbligati a<br />

confrontarsi, in particolare, con la definizione che la Proposta di Direttiva<br />

offre di mediazione: « il termine mediazione indica qualunque procedimen-<br />

––––––––––––<br />

troversie attraverso due tipi di disposizioni: in primo luogo, quelle volte a garantire<br />

un’efficace relazione tra la mediazione ed i procedimenti giudiziari, istituendo una<br />

normativa minima comune nella Comunità relativamente ad un certo numero di<br />

aspetti fondamentali <strong>del</strong>la procedura civile. In secondo luogo, fornendo ai tribunali<br />

degli stati membri strumenti efficaci per promuovere attivamente l’utilizzo <strong>del</strong>la mediazione,<br />

senza tuttavia rendere la mediazione obbligatoria o soggetta a sanzioni<br />

specifiche ».<br />

(97) Dispone l’art. 1: « 1. L’obbiettivo <strong>del</strong>la presente direttiva è quello di facilitare<br />

l’accesso alla risoluzione <strong>del</strong>le controversie promuovendo il ricorso alla mediazione e<br />

garantendo un’efficace relazione tra mediazione e procedimenti giudiziari. 2. La presente<br />

direttiva si applica in materia civile e commerciale ».


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 493<br />

to, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti <strong>del</strong>la controversia<br />

sono assistite da un terzo allo scopo di raggiungere un accordo<br />

sulla risoluzione <strong>del</strong>la controversia, indipendentemente dal luogo in cui il<br />

procedimento è stato intrapreso dalle parti, suggerito o ordinato da un tribunale<br />

o prescritto dalla legge nazionale di uno Stato membro ». La Proposta<br />

contiene una precisazione che obbliga a tornare sulla terminologia usata<br />

nel sistema interno. Essa prosegue infatti alla lett. a) <strong>del</strong>l’art. 2 affermando<br />

che il termine non comprende « i tentativi messi in atto dal giudice al fine di<br />

giungere ad una soluzione transattiva nell’ambito <strong>del</strong> procedimento giudiziario<br />

oggetto <strong>del</strong>la vertenza ».<br />

Se volessimo uniformarci al linguaggio usato in sede comunitaria dovremmo<br />

allora riservare il termine di conciliazione a quell’attività prestata dal<br />

giudice nell’ambito <strong>del</strong> procedimento giudiziale che si svolge innanzi allo stesso,<br />

usando quello di mediazione con riferimento invece all’attività svolta dal<br />

terzo al di fuori <strong>del</strong> processo per agevolare le parti nella ricerca di una soluzione<br />

consensuale <strong>del</strong>la lite. Non si tratterebbe però solamente di una precisazione<br />

terminologica perché al diverso linguaggio si potrebbero far corrispondere<br />

realtà differenti, rispondenti ad esigenze diverse e a criteri normativi non omogenei.<br />

La Proposta, sul presupposto che « garantire una relazione efficace tra la<br />

mediazione ed i procedimenti giudiziari contribuirà comunque indirettamente a<br />

promuovere anche la mediazione » (98), prevede al suo art. 3 quella che noi<br />

chiameremmo mediazione <strong>del</strong>egata, ovvero la possibilità per il tribunale investito<br />

di una causa di invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di<br />

dirimere la controversia (99).<br />

La Proposta di Direttiva, dopo essersi occupata <strong>del</strong>la garanzia <strong>del</strong>la qualità<br />

<strong>del</strong>la mediazione (100) e <strong>del</strong>l’esecuzione degli accordi transattivi (101), e prima<br />

––––––––––––<br />

(98) Così la Relazione che accompagna la Proposta di Direttiva. V. anche la nota<br />

precedente.<br />

(99) La norma aggiunge che « Il tribunale può, in ogni caso, richiedere alle parti di<br />

partecipare ad un incontro informativo sul ricorso alla mediazione ».<br />

(100) Ad essa è dedicato l’art. 4 che così dispone: « 1. La Commissione e gli<br />

Stati membri promuovono ed incoraggiano lo sviluppo di un codice di condotta da<br />

parte dei mediatori e <strong>del</strong>le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione, nonché<br />

l’ottemperanza al medesimo, sia a livello nazionale che a livello comunitario,<br />

nonché qualunque altro efficace meccanismo di controllo <strong>del</strong>la qualità riguardante la<br />

fornitura di servizi di mediazione. 2. Gli Stati membri promuovono e incoraggiano la<br />

formazione dei mediatori allo scopo di consentire alle parti <strong>del</strong>la controversia di<br />

scegliere un mediatore in grado di gestire la mediazione in modo efficiente secondo<br />

le attese <strong>del</strong>le parti ».<br />

(101) Prevede l’art. 5 che gli Stati membri garantiscano che, su richiesta <strong>del</strong>le parti,<br />

« un accordo transattivo raggiunto in seguito ad una mediazione possa essere confer-


494<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

di disciplinare i termini di prescrizione e di decadenza (102), pone dei limiti ai<br />

mediatori nel rendere testimonianza o fornire prove nei procedimenti civili in<br />

relazione ad alcune circostanze che attengono a quanto accaduto in sede di mediazione<br />

(103). Essa non contiene, invece, alcuna indicazione in merito al rilievo<br />

che le proposte <strong>del</strong> mediatore possono avere nel successivo ed eventuale<br />

giudizio di merito.<br />

Al riguardo, se la definizione di mediazione sembra presupporre quale<br />

mo<strong>del</strong>lo di strumento preso in considerazione quello di tipo facilitativo,<br />

nell’art. 6 si fa più volte riferimento alla proposta <strong>del</strong> mediatore che è tipica<br />

––––––––––––<br />

mato tramite sentenza, decisione, dichiarazione di autenticità o qualunque altra modalità<br />

da un tribunale o da una autorità pubblica che renda l’accordo esecutivo similmente ai<br />

provvedimenti giudiziari emessi in base al diritto nazionale, purché l’accordo non sia<br />

contrario al diritto europeo e al diritto nazionale <strong>del</strong>lo Stato membro ove la richiesta è<br />

presentata ».<br />

(102) Ad essi è dedicato l’art. 7 il quale prevede che « 1. Il decorso di qualsivoglia<br />

termine di prescrizione o decadenza rispetto alla controversia oggetto <strong>del</strong>la mediazione è<br />

sospeso qualora, successivamente al sorgere <strong>del</strong>la controversia: a) le parti esprimano il<br />

loro accordo in merito al ricorso alla mediazione, b) il ricorso alla mediazione sia ordinato<br />

da un tribunale, oppure c) l’obbligo di ricorrere alla mediazione sorga ai sensi <strong>del</strong><br />

diritto nazionale di uno Stato membro. 2. Quando la mediazione si conclude senza il<br />

raggiungimento di un accordo transattivo, il termine riprende a decorrere a partire dalla<br />

data in cui entrambe le parti o il mediatore dichiarano che la mediazione è conclusa o di<br />

fatto la abbandonano. Il termine si proroga in ogni caso almeno di un mese dalla data in<br />

cui esso ricomincia a decorrere, a meno che si tratti di un termine entro il quale deve<br />

essere intrapresa un’azione al fine di evitare che una misura provvisoria o similare cessi<br />

di avere effetto o sia revocata ».<br />

(103) Esse sono così indicate nell’art. 6: a) l’invito di una parte ad intraprendere la<br />

mediazione o il fatto che una parte intendesse partecipare alla mediazione; b) opinioni<br />

espresse o suggerimenti di una parte <strong>del</strong>la mediazione rispetto ad una possibile definizione<br />

<strong>del</strong>la controversia; c) dichiarazioni o ammissioni rese da una parte nel corso <strong>del</strong>la mediazione;<br />

d) proposte <strong>del</strong> mediatore; e) il fatto che una parte abbia espresso la sua volontà<br />

di accettare una proposta di accordo <strong>del</strong> mediatore; f) un documento predisposto esclusivamente<br />

ai fini <strong>del</strong>la mediazione. La norma si applica anche ad ogni altro soggetto coinvolto<br />

nell’amministrazione di servizi di mediazione. Essa dopo aver escluso che le comunicazioni<br />

<strong>del</strong>le informazioni relative alle circostanze indicate possano essere ordinate da<br />

un tribunale o da un’altra autorità giudiziaria, e che se tale informazione è offerta come<br />

prova deve essere dichiarata inammissibile, pone <strong>del</strong>le eccezioni. Tale informazione può<br />

infatti essere comunicata o ammessa come prova a) nella misura in cui essa è necessaria<br />

al fine <strong>del</strong>l’applicazione o <strong>del</strong>l’esecuzione <strong>del</strong>l’accordo transattivo raggiunto quale risultato<br />

diretto <strong>del</strong>la mediazione; b) per superiori considerazioni di ordine pubblico, in particolare<br />

se richiesta per assicurare la protezione di minori e per scongiurare un danno<br />

all’integrità fisica o psicologica di una persona; oppure c) se il mediatore e le parti sono<br />

d’accordo.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 495<br />

invece di quello valutativo. Resta il fatto che molto opportunamente non si<br />

prevede alcuna rilevanza di quanto accaduto nel corso <strong>del</strong> tentativo di mediazione<br />

nell’eventuale e successivo giudizio promosso per la stessa controversia,<br />

tenendo rigorosamente separati i due ambiti. Questo è vero certamente<br />

con riferimento alla disciplina <strong>del</strong>le spese, che non viene infatti presa in considerazione<br />

nella Proposta di Direttiva, diversamente dal nostro sistema interno;<br />

mentre con riferimento alla possibilità di fare oggetto di prova quanto accaduto<br />

in sede di mediazione, essa sembra contemplarlo nel caso in cui vi sia<br />

l’accordo <strong>del</strong> mediatore e <strong>del</strong>le parti. C’è da domandarsi se si tratti di<br />

quell’accordo che le parti debbono raggiungere sul tipo di mo<strong>del</strong>lo di mediazione<br />

al quale ricorrere con il consenso <strong>del</strong> mediatore, chiamato in alcuni casi<br />

ad esprimere <strong>del</strong>le proposte che potrebbero allora tra l’altro rilevare nell’eventuale<br />

e successivo giudizio.<br />

10. – Agli stessi dubbi espressi sul punto in materia di conciliazione<br />

stragiudiziale societaria si espongono anche i criteri contenuti in materia<br />

nello schema di disegno di legge recante <strong>del</strong>ega al governo per l’attuazione<br />

di modifiche al codice di procedura civile, presentato dalla Commissione<br />

Vaccarella, approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2003 (104), il<br />

cui art. 57 indica quello <strong>del</strong>la previsione di strumenti di composizione extragiudiziale<br />

<strong>del</strong>le controversie secondo forme e modalità di mediazione non<br />

obbligatoria (105). La relazione è esplicita nell’aderire al mo<strong>del</strong>lo di conciliazione/mediazione<br />

laddove si riferisce a « forme di risoluzione consensuale<br />

<strong>del</strong>la controversia, favorite dall’intervento di un terzo, conciliatore o mediatore,<br />

che sia in grado di condurre le parti fino ad un punto di incontro<br />

soddisfacente per entrambe ». In quest’ottica sarebbe stato apprezzabile la<br />

scelta di evitare ogni accenno agli eventuali effetti che il mancato raggiungimento<br />

<strong>del</strong>l’accordo avrebbe nel successivo eventuale giudizio. Ma così<br />

non è in quanto in materia di spese l’art. 11, dopo aver offerto quale criterio<br />

per la disciplina <strong>del</strong>le stesse il principio <strong>del</strong>la soccombenza, fa salva la facoltà<br />

per il giudice di derogarvi, sulla base di esplicita motivazione, « sia<br />

compensandole, sia ponendole, in tutto o in parte, a carico <strong>del</strong>la parte formalmente<br />

vittoriosa che abbia, tuttavia, causato o mantenuto in vita la lite,<br />

eventualmente rifiutando ragionevoli proposte conciliative ». Non è contemplata,<br />

invece, una valutazione ai fini <strong>del</strong>la responsabilità aggravata. La stessa<br />

norma esclude peraltro che si possano utilizzare gli atti e le dichiarazioni<br />

<strong>del</strong>la procedura di conciliazione come fonte di prova, anche indiretta, in un<br />

eventuale successivo giudizio.<br />

––––––––––––<br />

(104) Presentato alla Camera dei deputati il 19 dicembre 2003: atto Camera 4578,<br />

assegnato il 27 gennaio 2004 alla Commissione Giustizia <strong>del</strong>la Camera.<br />

(105) Sulla norma cfr. Bartolomucci, cit., 481.


496<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Con riferimento a questa prospettiva de lege ferenda, – che dà spazio alla<br />

clausola conciliativa, prevedendo la sospensione <strong>del</strong> processo da parte <strong>del</strong> giudice<br />

per un breve tempo; che contempla una disciplina <strong>del</strong>l’interruzione o <strong>del</strong>la<br />

sospensione dei termini processuali e sostanziali quale effetto <strong>del</strong>l’istanza di<br />

conciliazione; che dispone la valenza di titolo esecutivo per il verbale di conciliazione,<br />

previo controllo formale da parte <strong>del</strong> giudice; – occorre segnalare la<br />

possibile introduzione <strong>del</strong>la conciliazione <strong>del</strong>egata, sul mo<strong>del</strong>lo presente in altri<br />

ordinamenti vicino al nostro quale quello francese (106) e altresì nella Proposta<br />

di Direttiva sopra commentata.<br />

Si prevede infatti che il giudice, ove non vi sia opposizione di alcuna <strong>del</strong>le<br />

parti, possa sospendere, per breve tempo, il procedimento, invitando le parti<br />

stesse ad esperire un tentativo di conciliazione presso un soggetto iscritto<br />

nell’apposito registro.<br />

Molti altri sono i disegni di legge in materia (107). Mi limito in questa<br />

sede a ricordare la proposta di legge n. 5492 Disposizioni per la promozione<br />

<strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale presentata dall’onorevole Cola il 15 dicembre<br />

2004, che dichiaratamente si inserisce in un contesto normativo mu-<br />

––––––––––––<br />

(106) Il Nouveau Code de procédure civile contempla due diversi istituti: la conciliation<br />

e la médiation. Alla conciliation sono dedicati gli artt. 127-131, il primo dei quali<br />

dispone che « Les parties peuvent se concilier, d’elles-même ou à l’initiative du juge tout<br />

au long de l’instance ». La médiation è disciplinata dagli artt. 131-1 - 131-15. Nella<br />

prima norma si afferma che « Le juge saisi d’un litige peut, après avoir recuilli l’accord<br />

des partes, désigner une tierce personne afin d’entendre les parties et de confronter leurs<br />

points de vue pour leur permettre de trouver une solution au conflit qui les oppose. Ce<br />

pouvoir appartient également au juge des référés, en cours d’instance ». Sull’esperienza<br />

francese cfr.: Guillaume, Hofnung, La mediation, Parigi 1995.<br />

(107) Si possono qui ricordare le iniziative parlamentari sulla conciliazione<br />

stragiudiziale professionale, all’esame di un apposito Comitato ristretto presso la<br />

Commissione Giustizia <strong>del</strong>la Camera dei deputati: atto C/541 (On. Bonito ed altri)<br />

« Norme concernenti la conciliazione e l’arbitrato », presentato il 6 giugno 2001;<br />

atto C/2538 (On. Fragalà) « Disposizioni per l’istituzione e il funzionamento <strong>del</strong>le<br />

Camere di conciliazione », presentato il 19 marzo 2002; atto C/2463 (On. Cola ed<br />

altri) « Norme per la promozione <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale professionale »,<br />

presentato il 5 marzo 2002 e infine l’atto C/2877 (On. Mazzoni) « Disciplina <strong>del</strong>la<br />

risoluzione consensuale e negoziale <strong>del</strong>le controversie civili », presentato il 19 giugno<br />

2002; a questi va aggiunto l’atto n. 1551 « Norme per la promozione <strong>del</strong>la conciliazione<br />

stragiudiziale professionale », di iniziativa <strong>del</strong> Sen. Costa, presentato il 27<br />

giugno 2002, e l’atto n. 3559 (On. Finocchiaro), presentato il 21 gennaio 2003. Questi<br />

progetti di legge, esaminati dal Comitato ristretto al fine <strong>del</strong>la redazione di un testo<br />

unificato, sono confluiti in un testo base che è quello presentato dall’On. Cola.<br />

L’esame <strong>del</strong> provvedimento è tuttora in sede referente presso la Commissione Giustizia.<br />

Per l’esame di queste iniziative legislative cfr. Bartolomucci, La conciliazione,<br />

cit., 483 ss.


CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE ECC. 497<br />

tato dalla entrata in vigore <strong>del</strong>la conciliazione stragiudiziale societaria e<br />

dalla Proposta di direttiva di cui sopra si è riferito. Non stupisce quindi che<br />

essa estenda a tutte le controversie civili e commerciali in materia di diritti<br />

disponibili la disciplina <strong>del</strong>la conciliazione societaria (art. 3), offra una definizione<br />

di conciliazione (art. 2) che corrisponde a quella <strong>del</strong> Regolamento<br />

sopra riportata (108), che tra l’altro recepisce le indicazioni provenienti a<br />

livello internazionale e contempli la conciliazione stragiudiziale raccomandata<br />

dal giudice (art. 4), fattispecie che darebbe attuazione a quanto previsto<br />

all’art. 3 <strong>del</strong>la Proposta di Direttiva.<br />

11. – Chiudiamo con qualche breve osservazione. In questo scritto si è<br />

cercato di fare il punto su un istituto ancora poco studiato dai teorici, e invece<br />

molto discusso dai pratici. Nella trattazione <strong>del</strong> tema si è scelto di portare<br />

l’attenzione soprattutto sulla questione dei rapporti tra conciliazione e/o mediazione<br />

ed eventuale giudizio ordinario perché mi pare che sia su questo piano<br />

che si possa giocare un futuro di successi per l’istituto e una più sicura divulgazione<br />

<strong>del</strong>la cultura conciliativa.<br />

Si tratta di piani che devono restare separati perché se non vi è dubbio che la<br />

promozione <strong>del</strong>la conciliazione e/o mediazione si colloca nel contesto di un nuovo<br />

sistema di tutela dei diritti, che certamente valorizza la ricerca di soluzioni rimesse<br />

alla libera volontà <strong>del</strong>le parti ed alla loro capacità di autodeterminarsi e<br />

quindi di scegliere autonomamente le regole per loro vincolanti, dall’altro non è<br />

pensabile che il processo e i suoi principi si pieghino a questa esigenza.<br />

Basti pensare all’affermazione assolutamente diffusa secondo la quale nel<br />

procedimento conciliativo non troverebbe applicazione il principio <strong>del</strong> contraddittorio.<br />

Come consentire che la proposta <strong>del</strong> conciliatore, formatasi senza il<br />

rispetto di questo principio cardine <strong>del</strong> sistema processuale possa avere una<br />

qualche rilevanza nel successivo e futuro processo? Mi pare che la questione sia<br />

piuttosto <strong>del</strong>icata e meriti di essere attentamente ponderata. Così come mi pare<br />

sistematicamente poco accettabile far dipendere dalla volontà <strong>del</strong>le parti l’applicazione<br />

di una sanzione processuale.<br />

Dunque molte sarebbero le questioni che meriterebbero una più attenta<br />

considerazione. Ma volendoci per il momento limitare ad una valutazione <strong>del</strong>la<br />

conciliazione solo in termini di efficacia e capacità di affermazione nelle relazioni<br />

sociali, mi sembrerebbe che tutta quella enfasi che accompagna il requisito<br />

<strong>del</strong>la riservatezza tipico <strong>del</strong>la procedura conciliativa, mal si concili con la<br />

possibilità che di quanto accaduto nell’ambito di essa si possa tener conto davanti<br />

ad un giudice.<br />

––––––––––––<br />

(108) Si tratta <strong>del</strong> Regolamento recante la determinazione dei criteri e <strong>del</strong>le modalità<br />

di iscrizione nonché di tenuta <strong>del</strong> registro degli organismi di conciliazione di cui<br />

all’art. 38 <strong>del</strong> decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 17 sul quale cfr. supra.


498<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Vero è piuttosto che l’affermazione <strong>del</strong>la conciliazione presuppone il mutamento<br />

di mentalità soprattutto da parte degli operatori giuridici e forse e prima<br />

ancora di chi li forma. È in questo campo allora che ci si può forse impegnare<br />

pensando ad una integrazione <strong>del</strong>le materie giuridiche insegnate nelle Università,<br />

che sull’esempio americano, contempli anche lo studio <strong>del</strong>le forme alternative<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie.<br />

MARIA FRANCESCA GHIRGA<br />

Professore straordinario<br />

nell’Università <strong>del</strong>l’Insubria


LA COMPETENZA<br />

SULL’INIBITORIA ANTITRUST<br />

SOMMARIO: 1. Le norme sulla competenza e l’effettività nell’attuazione <strong>del</strong>le norme<br />

antitrust. – 2. I problemi interpretativi sorti nell’applicazione <strong>del</strong>l’art. 33,<br />

comma 2°, legge n. 287 <strong>del</strong> 1990, soprattutto riguardo alla possibilità di ricorso<br />

all’inibitoria. – 3. Il coordinamento tra l’attività <strong>del</strong>l’Autorità Garante, la giurisdizione<br />

esclusiva <strong>del</strong> giudice amministrativo e l’ambito riservato all’A.g.o., e<br />

il sistema comunitario in materia di concorrenza. – 4. (Segue) In particolare, il<br />

potere di diffida di cui all’art. 15, legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 e i provvedimenti inibitori<br />

<strong>del</strong> giudice ordinario. – 5. La competenza esclusiva <strong>del</strong>la Corte d’Appello<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 33, legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 ad emanare provvedimenti, anche<br />

inibitori, a tutela <strong>del</strong>la concorrenza in ambito nazionale. – 6. Considerazioni<br />

de iure condendo e riflessioni conclusive.<br />

1. – La recente opzione <strong>del</strong> legislatore comunitario, nel senso di un controllo<br />

giurisdizionale diffuso da parte dei giudici nazionali sull’applicazione<br />

<strong>del</strong>le norme comunitarie in materia di concorrenza, ai sensi degli artt. 81 e 82<br />

<strong>del</strong> Trattato CE (1), può essere considerata come il segno di un mutamento epocale<br />

nell’applicazione <strong>del</strong>le norme sulla concorrenza (2).<br />

Tra i consideranda <strong>del</strong> Reg. CE n. 1/2003, infatti, si è ammesso apertamente<br />

che il sistema c.d. « centralizzato », precedentemente in vigore, non fosse<br />

più in grado di assicurare un corretto equilibrio tra i due principali obiettivi<br />

<strong>del</strong>la normativa comunitaria in tema di concorrenza, consistenti, da una parte,<br />

nell’anelito ad una sorveglianza efficace sulla sussistenza di eventuali infrazioni<br />

e, dall’altra, in quello di mantenere un controllo il più possibile semplificato.<br />

––––––––––––<br />

(1) Il riferimento è al Reg. CE n. 1/2003 <strong>del</strong> 16 dicembre 2003, entrato in vigore dal<br />

maggio 2004, il quale prevede il passaggio dal sistema c.d. « centralizzato » di applicazione<br />

<strong>del</strong>le norme comunitarie sulla concorrenza, di cui agli artt. 81 e 82 <strong>del</strong> Trattato CE,<br />

stabilito dal Reg. CEE 17/62, a quello <strong>del</strong> controllo decentrato, in ispecie da parte dei<br />

giudici nazionali degli Stati membri, riconoscendo a questi ultimi non più solo la competenza<br />

giurisdizionale a decidere sulle domande di risarcimento dei danni causati dalla<br />

violazione <strong>del</strong>le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza, bensì una competenza<br />

piena nell’attuazione dei citati artt. 81 e 82.<br />

(2) Cfr. le ampie considerazioni svolte a riguardo in Libro Bianco sulla modernizzazione<br />

<strong>del</strong>le norme per l’applicazione degli articoli 85 e 86 <strong>del</strong> Trattato CE, Programma<br />

<strong>del</strong>la Commissione n. 99/027, <strong>del</strong> 28 aprile 1999.


500<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Nell’ambito <strong>del</strong> nuovo regime comunitario in tema di applicazione <strong>del</strong>le<br />

norme sulla concorrenza, quindi, assume notevole importanza l’abrogazione<br />

<strong>del</strong>la norma sulla competenza <strong>del</strong>la Commissione sancita dall’art. 9, comma 3°,<br />

<strong>del</strong> Reg. CEE n. 17 <strong>del</strong> 1962, nella parte in cui prevedeva che i giudici nazionali<br />

rimanevano competenti in materia, anche ove non fossero scaduti i termini per<br />

la notificazione, ma soltanto fino a quando la Commissione non avesse iniziato<br />

alcuna procedura a norma degli artt. 2, 3 o 6 <strong>del</strong> citato Reg. n. 17. In pratica, la<br />

notifica prevista dalle disposizioni comunitarie finiva per rappresentare un rilevante<br />

ostacolo per qualunque iniziativa, promossa avanti le Autorità giurisdizionali<br />

nazionali, che fosse diretta ad accertare la sussistenza di comportamenti<br />

anticoncorrenziali e ad ottenere provvedimenti volti alla loro cessazione (3).<br />

Del resto, l’esperienza statunitense dimostra l’efficacia <strong>del</strong> c.d. sistema di<br />

private enforcement in tema di concorrenza, cioè <strong>del</strong> sistema volto a favorire<br />

l’iniziativa privata nell’attuazione <strong>del</strong>le norme sulla concorrenza da parte degli<br />

organi giurisdizionali, e in particolare l’importanza in materia dei rimedi inibitori<br />

(4). Tale sistema, nel mo<strong>del</strong>lo statunitense, contempla, altresì, norme volte a<br />

––––––––––––<br />

(3) A tale proposito la stessa Commissione ha osservato in modo perentorio che<br />

« le imprese si sono servite di questo regime centralizzato d’autorizzazione … per bloccare<br />

azioni private avviate dinanzi agli organi giudiziari e alle competenti autorità nazionali.<br />

Tale situazione ha compromesso gli sforzi volti a promuovere un’applicazione decentrata<br />

<strong>del</strong>le regole di concorrenza comunitarie. Ne ha sofferto l’applicazione sistematica<br />

e rigorosa <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>la concorrenza ed è stato ostacolato il decentramento <strong>del</strong>l’applicazione<br />

<strong>del</strong> diritto comunitario. In un mercato comunitario sempre più integrato, tale<br />

mancata applicazione sistematica <strong>del</strong>le norme e l’impossibilità di utilizzare un insieme<br />

comune di regole danneggiano gli interessi <strong>del</strong>l’industria europea » (così Libro Bianco<br />

sulla modernizzazione <strong>del</strong>le norme per l’applicazione degli articoli 85 e 86 <strong>del</strong> Trattato<br />

CE, cit., 4 s. – c.vo nostro; cfr., altresì, Libro Bianco, cit., 35 s. e v. le ulteriori considerazioni<br />

svolte infra nel testo e nelle note seguenti).<br />

(4) Il Clayton Act <strong>del</strong> 1914 (An Act to Supplement existing laws against unlawful<br />

Restraints and Monopolies, and for other purposes, ch. 323, 38 Stat. 730, 1914, che nel<br />

testo vigente è contenuto nello U.S. Code <strong>del</strong> 1996, § 12) ha rappresentato un rilevante<br />

progresso nella disciplina statunitense sulla concorrenza, introducendo per la prima volta<br />

in materia i rimedi in equity, tra i quali spicca per importanza, appunto l’injunction (Section<br />

16 <strong>del</strong> Clayton Act <strong>del</strong> 1914). Sul punto cfr. K. Roach-M. Trebilcock, Private enforcement<br />

of competition laws, in Osgoode Hall Law Journal 1996, 464 ss.). La possibilità<br />

di emettere provvedimenti inibitori in materia antitrust è, <strong>del</strong> resto, presente in Francia<br />

(anche nell’ambito di procédure en référé e subordinando il mancato ottemperamento<br />

al pagamento di penali giornaliere – cfr. Corte d’Appello di Parigi, 1 febbraio 1995,<br />

SARL Parfumerie Jerbo/SNC Estée Lauder, in RJDAS 1995, n. 560), Germania (ove si<br />

ammette, oltre il rimedio <strong>del</strong> risarcimento per equivalente e quello <strong>del</strong>l’inibitoria, anche<br />

la condanna <strong>del</strong>la parte che abbia posto in essere un comportamento anticoncorrenziale,<br />

ad eliminare gli effetti <strong>del</strong> proprio comportamento – § 33 (1) GWB; §§ 1004, 823 (2)<br />

BGB, pure nel combinato disposto con gli artt. 81 e 82 Trattato CE e <strong>del</strong> § 9 UWG) e<br />

Inghilterra (dove può essere emanata una final o preliminary injunction, di cui sono


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 501<br />

facilitare l’accesso ai rimedi giurisdizionali proponibili dai privati, in materia di<br />

spese <strong>del</strong> giudizio ed estensione <strong>del</strong> novero dei soggetti legittimati ad agire (5).<br />

Il funzionamento <strong>del</strong> nuovo sistema in materia di concorrenza, tuttavia, dipende<br />

soprattutto dall’efficienza degli strumenti giuridici e <strong>del</strong>le norme applicabili<br />

ai procedimenti, aventi ad oggetto l’accertamento di violazioni antitrust,<br />

avanti ai giudici nazionali o alle autorità amministrative competenti (6).<br />

In mancanza di norme specifiche (comunitarie o nazionali) applicabili ai<br />

procedimenti aventi ad oggetto l’applicazione degli artt. 81 e 82 <strong>del</strong> Trattato CE<br />

è di particolare rilevanza stabilire se l’ordinamento sia capace di assicurare una<br />

tutela efficace da parte <strong>del</strong> giudice ordinario in caso di pratiche anticoncorrenziali<br />

rilevanti sul piano interno, anche sotto il profilo <strong>del</strong>l’adempimento degli<br />

––––––––––––<br />

esclusivamente competenti i giudici ordinari e non i CAT, giudici speciali, aventi in generale<br />

competenza concorrente con quella dei giudici ordinari in materia antitrust, istituiti<br />

dall’Enterprise Act <strong>del</strong> 2002).<br />

(5) Roach-Trebilcock, Private enforcement of competition laws, cit., 464 ss.;<br />

W.E. Kovacic, Private participation in the Enforcement of Public Competition Laws, in<br />

www.ftc.gov/speeches/other/030514biicl.htm. Sui vantaggi <strong>del</strong>l’adozione di un sistema<br />

volto a favorire il private enforcement <strong>del</strong>le norme comunitarie <strong>del</strong>la concorrenza cfr.<br />

M. Monti, Private enforcement as a key complement to public enforcement of competition<br />

rules and the first conclusions on the implementation of the new Merger Regulation,<br />

8° Conferenza IBA, Fiesole 17 settembre 2004, in europa.eu.int.<br />

Anche il Competition Act recentemente promulgato in Canada è frutto di una scelta<br />

volta a favorire il private enforcement <strong>del</strong>le disposizioni in materia di concorrenza<br />

(cfr. J.B.Laskin-L.M.Plumpton, Private enforcement and litigation, in www.torys.com/publications/pdf/AR2003-14T.pdf).<br />

Per altro verso, gli AA. statunitensi si sono recentemente soffermati sugli effetti distorsivi<br />

<strong>del</strong>le previsioni in tema di spese di giudizio e <strong>del</strong>l’estensione <strong>del</strong> novero dei soggetti<br />

legittimati ad agire (W.F. Shughart, Private Antitrust Enforcement: Compensation, Deterrence,<br />

or Extortion?, in www.cato.org/pubs/regulation/regv13n3/reg13n3-shughart.html).<br />

Nell’applicazione <strong>del</strong>le norme sulla concorrenza interne ai singoli Stati federali degli Stati<br />

Uniti, invece, si assiste ad una tendenza contraria all’eccessiva proliferazione di procedimenti<br />

volti all’attuazione <strong>del</strong>le norme antitrust e dei conseguenti effetti distorsivi. In particolare,<br />

si segnala l’abrogazione nel novembre 2004 per referendum (c.d. Prop 64) di alcune<br />

norme <strong>del</strong>la Section 17200 <strong>del</strong>l’Unfair Competition Law, contenuto nel California Business<br />

& Professions Code, nella parte in cui consentivano l’instaurazione dei procedimenti anche<br />

da parte di soggetti che non avessero allegato e provato di aver subito dei danni in conseguenza<br />

<strong>del</strong> presunto comportamento anticoncorrenziale.<br />

(6) Mario Monti, in qualità di Commissario Europeo per la Concorrenza, ha recentemente<br />

evidenziato che le norme che disciplinano la tutela civile avanti i giudici nazionali<br />

degli Stati Membri in caso di violazione <strong>del</strong>le norme sulla concorrenza è al vaglio<br />

<strong>del</strong>la Commissione, anticipando sul punto la pubblicazione di un Libro Verde (M. Monti,<br />

A reformed competition policy: achievements and chanllenges for the future, Center for<br />

European Reform, Bruxelles 28 ottobre 2004, 5).


502<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

obblighi comunitari (7), posto che l’applicazione analogica <strong>del</strong>la normativa nazionale<br />

in materia costituisce nel caso di specie il criterio interpretativo di riferimento<br />

(8).<br />

In ispecie, occorre confrontarsi con l’esigenza di rendere effettivo – anche<br />

in termini di rapidità <strong>del</strong> procedimento – il controllo interno nell’applicazione<br />

<strong>del</strong>le regole antitrust, qualunque sia la sede ove venga effettuato, consentendo<br />

agli organi a ciò deputati d’imporre, quando occorra, il rispetto di tali regole<br />

agli operatori <strong>del</strong> mercato.<br />

La legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 <strong>del</strong>inea un articolato sistema di controllo, riservando<br />

all’Autorità Garante poteri ispettivi e sanzionatori e statuendo all’art. 33,<br />

comma 1°, la giurisdizione esclusiva <strong>del</strong> giudice amministrativo sull’impugnazione<br />

dei provvedimenti emessi dall’Autorità Garante. Per altro verso, al<br />

comma 2° <strong>del</strong>lo stesso art. 33 è prevista la competenza <strong>del</strong>le Corti d’Appello<br />

dettagliata in relazione alle « azioni di nullità e risarcimento <strong>del</strong> danno, nonché<br />

[ai] ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti d’urgenza in relazione alla violazione<br />

<strong>del</strong>le disposizioni di cui ai titoli dal I al IV ».<br />

Quanto osservato in precedenza manifesta l’urgenza di una rinnovata meditazione<br />

sul ruolo assegnato dalla legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 al giudice ordinario, e<br />

nomine alle Corti d’Appello, funzionalmente competenti in materia antitrust ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°. Tanto più che le finalità, cui s’ispira il nuovo ordi-<br />

––––––––––––<br />

(7) In proposito, la Commissione CE, nella propria comunicazione 2004/C 101/04<br />

sulla cooperazione tra la Commissione medesima e le giurisdizioni nazionali circa<br />

l’applicazione degli artt. 81 e 82 Trattato CE, pone il problema <strong>del</strong>la compatibilità <strong>del</strong><br />

diritto nazionale al diritto comunitario, richiamando al riguardo la giurisprudenza <strong>del</strong>la<br />

Corte di Giustizia, secondo la quale, per quanto più rileva, in caso di violazione <strong>del</strong> diritto<br />

comunitario, il diritto nazionale deve prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e<br />

dissuasive (cfr. Corte Giust., 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia, in<br />

Racc. 1989, 2965, punti da 23 a 25) e non deve rendere l’attuazione <strong>del</strong> diritto comunitario<br />

eccessivamente difficile o praticamente impossibile (cfr. Corte Giust., 10 aprile 1984,<br />

causa 79/83, Harz, in Racc. 1984, 1921, punti 18 e 23; Corte Giust., 16 dicembre 1976,<br />

causa 45/76 Comet, in Racc. 1976, 2043, punto 12; Corte Giust., 16 dicembre 1976, causa<br />

33/76, Rewe, in Racc. 1976, 1989, punto 5).<br />

(8) A proposito specificatamente <strong>del</strong>l’attuazione <strong>del</strong>le disposizioni antitrust di fonte<br />

comunitaria Corte Giust., 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage, in Racc. 2001, I-<br />

6297, punto 29: « in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta<br />

all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti<br />

e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti<br />

spettanti ai singoli in forza <strong>del</strong>l’effetto diretto <strong>del</strong> diritto comunitario, purché dette modalità<br />

non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna<br />

(principio di equivalenza) né rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile<br />

l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)<br />

» (c.vi nostri). Cfr., inoltre, in relazione a tale principio Corte Giust., 10 luglio<br />

1997, causa C-261/95, Palmisani, in Racc. 1997, I-4025, punto 27.


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 503<br />

namento comunitario antitrust, sembrano meritevoli di considerazione, oltre<br />

che in sede di riforma <strong>del</strong>la disciplina interna, già nell’esegesi e nell’applicazione<br />

<strong>del</strong>le norme vigenti (9).<br />

2. – All’alba <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>la legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 la dottrina<br />

ha evidenziato che la formulazione <strong>del</strong>l’art. 33 è principalmente il frutto di un<br />

discutibile compromesso politico (10), peraltro assente in entrambi i disegni di<br />

legge che hanno immediatamente preceduto la promulgazione <strong>del</strong>la legge antitrust<br />

(11). In particolare, l’assenza di un coordinamento tra la disposizione sulla<br />

competenza antitrust e le norme <strong>del</strong> codice di rito e <strong>del</strong>l’ordinamento giudiziario<br />

ha reso particolarmente arduo il compito <strong>del</strong>l’interprete nell’individuazione<br />

––––––––––––<br />

(9) In occasione <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong> Reg. 1/2004 la bozza <strong>del</strong>la 7° novella <strong>del</strong><br />

GWB pubblicata il 28 maggio 2004 (Regierungsentwurf) si propone specificamente di<br />

semplificare e promuovere l’accesso alla giustizia ordinaria da parte dei soggetti danneggiati<br />

dalle violazioni <strong>del</strong>le norme antitrust.<br />

(10) Cfr. R. Alessi-G. Olivieri, La disciplina <strong>del</strong>la concorrenza e <strong>del</strong> mercato, Torino<br />

1991, 169; più recentemente, nello stesso senso, G. Giovannelli, Autorità « antitrust<br />

» e questioni di giurisdizione, in Foro amm. 1996, 743.<br />

(11) Il riferimento è al disegno di legge presentato dal Sen. Guido Rossi datato<br />

10 maggio 1988, recante « Norme per la tutela <strong>del</strong> mercato », (Atti parl. Sen., X legislatura,<br />

n. 1012) e al disegno di legge Battaglia presentato dal governo il 26 luglio<br />

1988, recante « Norme per la tutela <strong>del</strong>la concorrenza e <strong>del</strong> mercato », (Atti parl.<br />

Sen., X legislatura, n. 1240). Il disegno di legge Rossi prevedeva una competenza<br />

giurisdizionale esclusiva riservata ad istituende commissioni specializzate presso le<br />

Corti d’Appello (artt. 19, 21, 23), nell’ambito di un sistema secondo il quale all’organo<br />

amministrativo indipendente, che doveva essere posto a presidio <strong>del</strong> corretto<br />

funzionamento <strong>del</strong> mercato, era assegnato un ruolo subalterno e spesso solo consultivo<br />

(cfr. Alessi-Olivieri, La disciplina <strong>del</strong>la concorrenza e <strong>del</strong> mercato, cit., 169). Per<br />

altro verso, il disegno di legge Battaglia prevedeva una ripartizione <strong>del</strong>la giurisdizione<br />

tra giudice ordinario e giudice amministrativo, affidando a quest’ultimo solo la<br />

proposizione di ricorsi avverso i provvedimenti di carattere discrezionale emanati<br />

dall’Autorità antitrust, nell’ambito di un sistema nel quale a tale Autorità erano affidati<br />

non solo compiti tecnici nel rilievo <strong>del</strong>le violazioni <strong>del</strong>le disposizioni antitrust,<br />

bensì anche di valutare gli effetti economici complessivi, non solo concorrenziali, di<br />

una concentrazione e di verificare se fossero soddisfatti « nell’interesse <strong>del</strong>l’economia<br />

internazionale » specifici requisiti, indicati dalla legge, tali da consentire deroghe<br />

a concentrazioni anticoncorrenziali.<br />

Il Parlamento, tuttavia, ha ritenuto di attribuire all’Autorità Garante poteri di carattere<br />

esclusivamente tecnico, escludendo in tal modo valutazioni discrezionali, ritenute<br />

estranee alle sue specifiche competenze.<br />

Nell’ambito di tale sistema – come meglio vedremo nel prosieguo <strong>del</strong> discorso –<br />

l’attribuzione <strong>del</strong>la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in ordine alla<br />

impugnazione dei provvedimenti <strong>del</strong>l’Autorità Garante appare per molti versi criticabile.


504<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong>le disposizioni applicabili al procedimento avanti il giudice ordinario, a cominciare<br />

dalla costituzione <strong>del</strong>l’organo giudicante (12).<br />

Del tutto inusuale, in ispecie, è il fatto che la competenza <strong>del</strong>le Corti<br />

d’Appello non sia stata <strong>del</strong>ineata semplicemente ratione materiae, come sarebbe<br />

potuto avvenire limitandosi a fare riferimento alle controversie nelle quali<br />

venga dedotta la violazione <strong>del</strong>le disposizioni <strong>del</strong>la legge n. 287 <strong>del</strong> 1990. Al<br />

contrario, com’è noto, la lettera <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, specifica i petita che è<br />

possibile rivolgere al giudice ordinario a fronte di violazioni <strong>del</strong>le disposizioni<br />

sulla concorrenza, consistenti in particolare nelle azioni di declaratoria <strong>del</strong>le<br />

nullità <strong>del</strong>le intese e di risarcimento dei danni per violazione <strong>del</strong>le norme antitrust<br />

e nei provvedimenti d’urgenza.<br />

A distanza di ben oltre un decennio dall’entrata in vigore <strong>del</strong>la legge<br />

n. 287 <strong>del</strong> 1990, non risulta affatto chiaro se sussistano rimedi ulteriori rispetto<br />

a quelli espressamente menzionati dall’art. 33, comma 2°, nonché se sia possibile<br />

ottenere provvedimenti d’urgenza ex 700 c.p.c. non strumentali alle suddette<br />

azioni di merito. Tali problemi interpretativi si pongono di sovente già<br />

ante causam in sede cautelare, soprattutto in relazione alla possibilità di fare<br />

ricorso alla tutela inibitoria d’urgenza nel caso di violazioni <strong>del</strong>le norme antitrust.<br />

L’orientamento più restrittivo è nel senso che l’art. 33, comma 2°, preveda<br />

rimedi tassativi (declaratoria di nullità <strong>del</strong>le intese e condanna al risarcimento<br />

dei danni) di competenza esclusiva <strong>del</strong>le Corti d’Appello (13).<br />

––––––––––––<br />

(12) A questo proposito una parte <strong>del</strong>la giurisprudenza ha rilevato che ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 56 <strong>del</strong>l’ord. giud. la Corte d’Appello giudica sempre con il numero invariabile di<br />

tre votanti, il che in ambito cautelare troverebbe conferma nel richiamo all’art. 669-terdecies<br />

c.p.c., là dove – presupponendo la collegialità <strong>del</strong> giudice cautelare di prima istanza –<br />

rimette la decisione <strong>del</strong> reclamo avverso i provvedimenti cautelari pronunciati dalla Corte<br />

d’Appello ad altra sezione <strong>del</strong>la stessa Corte, ovvero alla Corte d’Appello più vicina (cfr.<br />

App. Torino, 7 agosto 2001, in Dir. ind. 2002, 262; App. Catanzaro, 3 luglio 1998, in Foro<br />

it. 1998, I, 2359, pronunciandosi riguardo alla competenza a pronunciare provvedimenti<br />

cautelari ante causam; App. Roma, 3 marzo 1997, in Riv. dir. ind. 2000, II, 29).<br />

Per converso, confermando il proprio precedente orientamento sul punto, la Corte<br />

d’Appello di Milano (App. Milano, 20 luglio 2004, ined.; Id., 3 giugno 2004, ined.; Id., 2<br />

maggio 2003, in Dir. ind. 2003, 537) ha osservato in modo convincente che la trattazione<br />

collegiale è applicabile ai soli giudizi di secondo grado (art. 350 c.p.c.), mentre in materia<br />

antitrust la Corte d’Appello è chiamata a provvedere come giudice di primo ed unico<br />

grado e che l’art. 669-terdecies c.p.c., nel disciplinare la competenza e la composizione<br />

<strong>del</strong> collegio che deve decidere sui provvedimenti pronunciati dalla Corte d’Appello, presuppone<br />

parimenti che l’emanazione di tali provvedimenti sia avvenuta nel giudizio<br />

d’impugnazione <strong>del</strong>la sentenza pronunciata in prime cure.<br />

(13) Cfr. Cass., 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro it. 2003, 1121, con nota di<br />

A. Palmieri, Intese restrittive <strong>del</strong>la concorrenza e azione risarcitoria <strong>del</strong> consumatore<br />

finale: argomentazioni « extravagantes » per un illecito inconsistente, il quale nell’esclu-


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 505<br />

In ispecie, dal novero dei rimedi accessibili da parte dei soggetti lesi da<br />

pratiche anticoncorrenziali sarebbe esclusa la possibilità di ottenere provvedimenti<br />

inibitori dal giudice ordinario per la cessazione di tali comportamenti.<br />

Tale orientamento si fonda sul presupposto che la legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 abbia<br />

introdotto un sistema centralizzato di controllo nell’applicazione <strong>del</strong>le norme<br />

antitrust da parte <strong>del</strong>l’Autorità Garante, nel quale ai giudici ordinari viene riconosciuta<br />

una funzione <strong>del</strong> tutto eccezionale e residuale (14).<br />

Conseguentemente, si ritiene che solamente l’Autorità Garante possa ordinare<br />

la cessazione di comportamenti posti in essere in violazione <strong>del</strong>le disposizioni<br />

sulla concorrenza attraverso l’emanazione di provvedimenti di diffida di<br />

cui all’art. 15 legge antitrust (15).<br />

Secondo una diversa opzione interpretativa l’art. 33, comma 2°, legge antitrust<br />

dovrebbe considerarsi una norma speciale sulla competenza, la quale<br />

sancirebbe appunto la competenza funzionale <strong>del</strong>le Corti d’Appello in ordine ai<br />

soli rimedi indicati in quest’ultima disposizione. In conseguenza, i rimedi, che<br />

non sono contemplati dalla disposizione citata, potrebbero essere concessi da<br />

giudici individuati dalle norme ordinarie (16).<br />

Tale soluzione determina, però, il sorgere di un’altra questione interpretativa<br />

sulla possibilità di stabilire un coordinamento tra i procedimenti instaurati<br />

avanti rispettivamente le Corti d’Appello e i Tribunali o i Giudici di Pace aditi<br />

––––––––––––<br />

dere l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust riguardo alle domande di risarcimento<br />

proposte dai consumatori, si è orientato nel senso <strong>del</strong>la tassatività e <strong>del</strong>la tipicità<br />

dei rimedi civili previsti nel sistema di tutela <strong>del</strong>la concorrenza; App. Catanzaro, 3 luglio<br />

1998, cit. Favorevole alla soluzione adottata da tale orientamento giurisprudenziale si è<br />

dichiarato M. Scuffi, Giudizio di merito e concorrenza sleale, in M. Tavassi - M. Scuffi,<br />

Diritto processuale antitrust, Milano 1998, 290 s., secondo il quale il mancato riferimento<br />

<strong>del</strong>l’art. 33 legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 all’inibitoria corrisponde ad una scelta ben precisa<br />

<strong>del</strong> legislatore, nell’ambito di un sistema antitrust che, prima <strong>del</strong> Reg. n. 1 <strong>del</strong> 2003,<br />

avrebbe ricalcato quanto previsto nell’ordinamento comunitario. Diversamente, però,<br />

sempre a proposito <strong>del</strong>la competenza a conoscere dei rimedi antitrust proposti dai consumatori<br />

cfr. Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Corr. giur. 2005, 337 ss., con<br />

nota di I. Pagni, La tutela civile antitrust dopo la sentenza n. 2207/05: la Cassazione alla<br />

ricerca di una difficile armonia nell’assetto dei rimedi <strong>del</strong> diritto alla concorrenza; ibidem<br />

2005, 342 con nota di M. Negri, Il lento cammino <strong>del</strong>la tutela civile antitrust: luci e<br />

ombre di un atteso grand arrêt; in www.judicium.it, con nota di G. Canale, I consumatori<br />

e la tutela antitrust; in Riv. dir. proc. 2005, in corso di pubblicazione, con nota di<br />

A. Barletta, Le domande dei consumatori nei confronti dei responsabili di comportamenti<br />

anticoncorrenziali: questioni di competenza, legittimazione ed interesse ad agire.<br />

(14) Cass., 9 dicembre 2002, n. 17475, cit.<br />

(15) Cfr. App. Catanzaro, 3 luglio 1998, cit. In dottrina Scuffi, Giudizio di merito e<br />

concorrenza sleale, cit., 290 s.<br />

(16) Favorevole a tale interpretazione è M. Tavassi, La competenza cautelare <strong>del</strong>la<br />

Corte d’Appello, in Tavassi-Scuffi, Diritto processuale antitrust, cit., 232.


506<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

per l’emanazione di provvedimenti diversi rispetto a quelli sanciti dall’art. 33,<br />

comma 2°, legge antitrust e individuati sulla base <strong>del</strong>le ordinarie disposizioni<br />

sulla competenza. A questo proposito la dottrina fa riferimento alle norme in<br />

materia di pregiudizialità, affermando in ispecie l’applicabilità <strong>del</strong> disposto di<br />

cui all’art. 295 c.p.c.<br />

Sempre inclini ad un’interpretazione restrittiva <strong>del</strong>la disposizione sulla<br />

competenza in materia antitrust, oltre che per una dichiarata esigenza di coerenza<br />

sistematica con le disposizioni di cui agli art. 669-bis ss. c.p.c., si ritiene<br />

che il riferimento, contenuto nell’ultima parte <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge<br />

antitrust, riguardante la competenza <strong>del</strong>le Corti d’Appello ad emanare provvedimenti<br />

d’urgenza, sia comunque limitato alle misure rigorosamente strumentali<br />

ai provvedimenti che (si ritiene) possano essere pronunciati nel merito<br />

(i.e.: accertamento <strong>del</strong>la nullità <strong>del</strong>le intese e condanna al risarcimento dei<br />

danni) (17).<br />

Movendo da tali premesse sistematiche, però, si è talora ritenuto possibile<br />

emanare provvedimenti d’urgenza di carattere inibitorio strumentali alla declaratoria<br />

<strong>del</strong>la nullità <strong>del</strong>l’intesa e (soprattutto) al provvedimento di condanna al<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno: provvedimenti d’urgenza la cui funzione sarebbe quella<br />

di contenere e limitare gli effetti lesivi <strong>del</strong> comportamento anticoncorrenziale,<br />

accertato in sede di cognizione sommaria cautelare, e il conseguente danno risarcibile<br />

(18).<br />

Non sono, comunque, mancate prese di posizione nel senso di un’appli-<br />

––––––––––––<br />

(17) Cfr. App. Milano, 3 giugno 2004, inedita; App. Torino, 18 giugno 2001, in<br />

Riv. dir. comm. 2003, II, 56, con nota di L. Albertini, Le violazioni antitrust davanti al<br />

giudice civile: tra cautela e merito, tra giurisdizione ordinaria e amministrativa; App.<br />

Roma, 16 gennaio 2001, in Danno e responsabilità 2001, 284; App. Roma 23 febbraio<br />

1995, in appendice a Tavassi-Scuffi, Diritto processuale antitrust, cit., 676; App. Milano<br />

8 ottobre 1994, in Foro it. 1995, I, 1325; App. Roma, 21 dicembre 1993, in Foro it. 1994,<br />

I, 3518; App. Roma, 20 agosto 1993; App. Roma, 14 gennaio 1993, in Foro it. 1993, I,<br />

3377, con nota di P.F. Valdina, Prime osservazioni sulla tutela cautelare antitrust. Questo<br />

orientamento rifiuta in tal modo di dare un’applicazione letterale alla disposizione di<br />

cui all’art. 33, comma 2°, legge antitrust, là dove fa genericamente riferimento alla competenza<br />

<strong>del</strong>le Corti d’Appello ad emanare provvedimenti d’urgenza che si ricollegano a<br />

violazioni <strong>del</strong>le norme antitrust, in ossequio al sistema <strong>del</strong>la competenza cautelare introdotto<br />

con la riforma <strong>del</strong> processo civile <strong>del</strong> 1990 (cfr. Scuffi, La tutela cautelare antitrust,<br />

in Tavassi - Scuffi, Diritto processuale antitrust, cit., 228).<br />

(18) Cfr. Scuffi, La tutela cautelare antitrust, cit., 232 s. In giurisprudenza App.<br />

Milano, 3 giugno 2004, cit.; App. Roma, 16 gennaio 2001, cit. A tale proposito si afferma<br />

la possibilità per il giudice <strong>del</strong>la cautela di emettere provvedimenti d’urgenza che si discostano<br />

dalla rigorosa anticipazione degli effetti tipici <strong>del</strong> provvedimento di merito richiamato<br />

nella domanda cautelare, nonché alla possibilità di ottenere una tutela<br />

d’urgenza anche in relazione a diritti di credito e alla possibilità di ottenere in sede di<br />

merito un risarcimento in forma specifica ai sensi <strong>del</strong>l’art. 2058 c.c.


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 507<br />

cazione letterale <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust, nella parte in cui<br />

rimette alle Corti d’Appello l’emanazione di provvedimenti d’urgenza, senza<br />

espliciti riferimenti dai quali desumere la necessità che essi rappresentino<br />

l’anticipazione di provvedimenti nel merito, di competenza <strong>del</strong>le stesse<br />

Corti (19).<br />

Con la sentenza n. 2207 <strong>del</strong> 4 febbraio 2005 le Sezioni Unite <strong>del</strong>la Cassazione<br />

hanno affermato il carattere generale <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong>le Corti<br />

d’Appello in materia antitrust. A tale proposito, infatti, si è affermato che le<br />

Corti d’Appello debbono pronunciarsi ai sensi <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge<br />

n. 287 <strong>del</strong> 1990 riguardo a tutte le domande con le quali si chieda una tutela<br />

« riparatoria » di un pregiudizio cagionato da un comportamento anticoncorrenziale<br />

vietato, e cioè quando la violazione de qua faccia parte <strong>del</strong>la causa petendi<br />

<strong>del</strong>le suddette domande (20). Sempre in base allo stesso principio la Suprema<br />

Corte ha osservato l’irrilevanza <strong>del</strong>la qualificazione <strong>del</strong>la res in iudicium deducta<br />

quale domanda di risarcimento aquiliano, ovvero di ripetizione d’indebito<br />

di cui all’art. 2033 c.c. (21).<br />

Occorre, quindi, interrogarsi se il riferimento, contenuto nella sentenza<br />

n. 2207/2005, al carattere « riparatorio » <strong>del</strong>le domande devolute dal legislatore<br />

antitrust alla competenza <strong>del</strong>le Corti d’Appello debba o meno essere<br />

interpretato nel senso di escludere la proponibilità dei rimedi inibitori. Le<br />

indicazioni, che è possibile rinvenire a riguardo dalla pronuncia appena richiamata,<br />

non sembrano univoche. Da un lato, infatti, la Cassazione sembra<br />

riservare all’Autorità Garante lo svolgimento <strong>del</strong>l’attività preventiva in<br />

materia antitrust (22); dall’altra, però, l’individuazione <strong>del</strong>l’ambito <strong>del</strong>la<br />

giurisdizione <strong>del</strong> giudice civile e <strong>del</strong>le forme di tutela, che quest’ultimo può<br />

riconoscere riguardo ai comportamenti anticoncorrenziali, sembra interamente<br />

affidata all’applicazione di principi generali <strong>del</strong> processo civile e, in<br />

ispecie, al necessario ricorrere <strong>del</strong>l’interesse ad agire, costituito dalla sussi-<br />

––––––––––––<br />

(19) Cfr. Trib. Napoli, 9 febbraio 1998, in Gius 1998, 3077; App. Torino, 17 febbraio<br />

1995, in Giur. it. 1996, I, 2, 288; App. Milano, 23 gennaio 1992, in Foro it. 1993, I,<br />

3377; App. Firenze, 16 maggio 1991, in appendice a Tavassi - Scuffi, op. cit., 496.<br />

(20) Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, cit.<br />

(21) Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, cit.<br />

(22) Nel fare riferimento ai rapporti e alle diverse funzioni attribuite in materia, rispettivamente,<br />

all’Autorità Garante e al giudice ordinario la Suprema Corte afferma: « la<br />

legge vieta anche le intese che abbiano anche solo per “oggetto” la distorsione di cui si<br />

tratta, oltre che per “effetto”, ma ciò si spiega in considerazione <strong>del</strong> doppio livello di intervento<br />

che essa prevede, quello amministrativo <strong>del</strong>la AGCM e quello riparatorio di cui<br />

alla azione di nullità e risarcimento. L’Autorità Garante è organo di Amministrazione,<br />

ancorché caratterizzato da ampiezza di poteri sui generis. Essa opera anche in vista di un<br />

pericolo, e dunque in considerazione <strong>del</strong>la esigenza economica di prevenire l’effetto distorsivo<br />

<strong>del</strong> fenomeno di mercato » (così Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, cit. –<br />

c.vi nostri).


508<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

stenza, o anche solo « in vista » (ossia dinanzi al probabile verificarsi) di un<br />

pregiudizio (23).<br />

Alla stregua di un indirizzo interpretativo favorevole al riconoscimento di<br />

una più ampia competenza nel merito in materia antitrust, e per altro verso incline<br />

ad ammettere la possibilità di emanare provvedimenti inibitori da parte <strong>del</strong><br />

giudice ordinario, l’art. 33 legge antitrust rappresenterebbe una mera disposizione<br />

sulla competenza (esclusiva) <strong>del</strong>le Corti d’Appello, contenente un’esemplificazione<br />

dei provvedimenti che possono essere pronunciati dalle stesse Corti<br />

(24).<br />

Si è in presenza, quindi, di posizioni assai variegate, alle quali non sembra<br />

possibile dare una risposta sulla base <strong>del</strong> solo tenore letterale <strong>del</strong> disposto di cui<br />

all’art. 33 legge antitrust. L’oggetto <strong>del</strong>la nostra indagine s’inserisce, infatti,<br />

nell’ambito <strong>del</strong>la più vasta tematica dei rapporti tra l’Autorità Garante e gli organi<br />

giurisdizionali ordinari e amministrativi, e in special modo dalla possibilità<br />

di affermare l’attribuzione in via esclusiva di talune funzioni alla medesima<br />

Autorità, quale in particolare quella di emanare provvedimenti volti alla cessazione<br />

dei comportamenti anticoncorrenziali ai sensi <strong>del</strong>l’art. 15 legge antitrust.<br />

3. – L’orientamento prevalente e costante in giurisprudenza è nel senso<br />

che il ricorso all’A.g.o. in materia di concorrenza sia possibile indipendentemente<br />

dagli accertamenti compiuti dall’Autorità Garante ai sensi degli artt. 14 e<br />

15 legge n. 287/90. In particolare, sul punto si afferma che la tutela civilistica di<br />

cui all’art. 33, comma 2°, legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 può essere esercitata in modo<br />

<strong>del</strong> tutto autonomo rispetto alle funzioni svolte dall’Autorità Garante (25).<br />

––––––––––––<br />

(23) Affermano a tale riguardo le Sezioni Unite che il giudice civile, nell’ambito<br />

<strong>del</strong>la funzione giurisdizionale che gli è attribuita dall’ordinamento, può pronunciarsi<br />

« solo in presenza o in vista almeno di un pregiudizio » (così Cass., sez. un., 4 febbraio<br />

2005, n. 2207, cit. – c.vi nostri).<br />

(24) Cfr. M. Libertini, Il ruolo <strong>del</strong> giudice nell’applicazione <strong>del</strong>le norme antitrust,<br />

in Giur. comm. 1998, I, 662 ss.; R. Alessi, Legge n. 287: tutela cautelare inibitoria, mercato<br />

rilevante ed altri problemi, in Riv. dir. comm. 1992, II, 288. In giurisprudenza in tal<br />

senso App. Roma, 6 febbraio 2001 e App. Roma, 16 agosto 2000, in Nuova giur. civ.<br />

comm. 2002, I, 839, secondo la quale la Corte d’Appello ha competenza in materia antitrust<br />

ad emanare i provvedimenti inibitori di cui all’art. 2599 c.c. e, conseguentemente,<br />

ad emettere in sede cautelare i provvedimenti d’urgenza tesi ad anticipare gli effetti di<br />

tale pronuncia nel merito; App. Bologna, 20 settembre 1995, in Giur. dir. ind. 1996, 453.<br />

Per una interpretazione estensiva <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust in relazione alle<br />

domande di restituzione conseguenti alla declaratoria di nullità <strong>del</strong>le intese, fondata sulla<br />

dipendenza tra la domanda restitutoria e quella di nullità cfr. App. Genova 14 ottobre<br />

1996, in Dir. ind. 1997, 589.<br />

(25) Cfr. Cass. 11 giugno 2003, n. 9384, in Foro it. 2004, I, 466; App. Milano, 3<br />

giugno 2004, cit.; App. Roma, 6 febbraio 2001 e App. Roma, 16 agosto 2000, cit.; App.<br />

Roma, 21 dicembre 1993, in Foro it. 1994, I, 3518; App. Roma, 14 gennaio 1993, in Fo-


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 509<br />

Tale asserto si fonda sulla premessa teorica che l’Autorità Garante e<br />

l’A.g.o., rispettivamente, svolgono le proprie funzioni su piani di reciproca indifferenza<br />

(26). In particolare, il giudice ordinario può procedere a norma<br />

<strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, indipendentemente dall’avvio <strong>del</strong>la procedura avanti<br />

l’Autorità Garante e malgrado manchi un provvedimento di cui all’art. 15 legge<br />

antitrust. Si rileva, infatti, che quest’ultimo provvedimento non costituisce un<br />

presupposto o una condizione di procedibilità <strong>del</strong> giudizio ordinario ed è, pertanto,<br />

irrilevante ai fini <strong>del</strong>la richiesta di tutela civile verso comportamenti anticoncorrenziali<br />

(27).<br />

Per altro verso, non è possibile configurare un rapporto di pregiudizialità<br />

tra il procedimento amministrativo di cui all’art. 12 ss. legge antitrust e il giudizio<br />

pendente avanti il giudice ordinario e, inoltre, ove si sia in presenza di un<br />

provvedimento sanzionatorio <strong>del</strong>l’Autorità Garante, non si pone nemmeno un<br />

problema di disapplicazione <strong>del</strong> provvedimento sanzionatorio (28).<br />

––––––––––––<br />

ro it. 1993, I, 3377. Anche la giurisprudenza dei giudici amministrativi (Cons. Stato, 2<br />

marzo 2004, n. 926, in www.giustizia-amministrativa.it) ammette che la giurisdizione<br />

esclusiva è limitata al sindacato di legittimità dei provvedimenti <strong>del</strong>l’Autorità Garante e<br />

non può essere estesa all’accertamento <strong>del</strong> rapporto giuridico relativo all’applicazione<br />

<strong>del</strong>le norme antitrust. In dottrina cfr. Giovannelli, Autorità « antitrust », cit., 749. Tuttavia,<br />

riguardo alla definizione <strong>del</strong>l’ambito di giurisdizione riservato al giudice ordinario il<br />

Consiglio di Stato non è andato oltre ad un richiamo alla previsione sulla competenza<br />

<strong>del</strong>le Corti d’Appello in materia di nullità <strong>del</strong>le intese e di risarcimento <strong>del</strong> danno<br />

(art. 33, comma 2°, legge antitrust).<br />

(26) Cfr. M. Romajoli, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Milano<br />

1998, 382.<br />

(27) Cfr. Romajoli, Attività amministrativa e disciplina antitrust, cit., 382 ss.<br />

(28) Romajoli, ult. op. loc. cit. Tale asserzione, a ben vedere, sembra concordare<br />

con le osservazioni <strong>del</strong>la Cassazione di cui alla sentenza n. 2207/2005. La Suprema Corte,<br />

infatti, ha osservato i diversi « obiettivi » cui s’ispira l’attività <strong>del</strong>l’Autorità Garante e<br />

quella <strong>del</strong> giudice ordinario. La prima compie degli accertamenti che riguardano la violazione<br />

antitrust al fine di far cessare o prevenire fenomeni distorsivi <strong>del</strong> corretto funzionamento<br />

<strong>del</strong> mercato. E infatti nell’ambito di tale attività l’Autorità Garante utilizza dei<br />

dati aggregati, cioè riferiti a intere categorie di operatori <strong>del</strong> mercato, ovvero ad una parte<br />

rilevante <strong>del</strong>lo stesso. Il giudice civile, al contrario, deve accertare la violazione <strong>del</strong>le<br />

disposizioni a tutela <strong>del</strong>la concorrenza sul processo riferita direttamente alle parti in causa.<br />

Il punto, semmai, è quello di stabilire se e in che limiti i provvedimenti <strong>del</strong>l’Autorità<br />

Garante possano essere utilizzati dal giudice al fine di trarre il proprio convincimento sui<br />

fatti rilevanti in sede decisoria, il che dipende, sempre, dalla possibilità di riferire direttamente<br />

all’assunto trasgressore <strong>del</strong>le norme antitrust i dati e i comportamenti accertati<br />

dall’Autorità amministrativa.<br />

Maggiori problemi interpretativi sono prospettati in dottrina a proposito <strong>del</strong>le autorizzazioni<br />

in deroga da parte <strong>del</strong>l’Autorità Garante di intese ai sensi <strong>del</strong>l’art. 4 legge antitrust<br />

o di operazioni di concentrazione a norma <strong>del</strong>l’art. 25 legge antitrust (cfr. Giovan-


510<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Del resto, in dottrina si è avuto modo di chiarire che, almeno nell’emanazione<br />

dei provvedimenti disciplinati dall’art. 15 legge antitrust, l’Autorità<br />

Garante non esprime una vera e propria discrezionalità amministrativa, bensì<br />

esercita esclusivamente poteri « neutri » (29), quale organo amministrativo indipendente<br />

dall’attività d’indirizzo politico e con funzione esclusivamente tecnica<br />

(30) e non alla costituzione di rapporti giuridici nuovi.<br />

Nell’ambito <strong>del</strong>l’irrogazione <strong>del</strong>le sanzioni nei confronti degli autori di<br />

comportamenti anticoncorrenziali, infatti, la funzione <strong>del</strong>l’Autorità Garante si<br />

esaurisce nella c.d. « contestualizzazione » dei concetti normativi astratti utilizzati<br />

nelle norme antitrust e nell’accertamento in concreto dei fatti rilevanti ai<br />

fini <strong>del</strong>l’integrazione di un’attività vietata (31).<br />

Il sindacato giurisdizionale su tali provvedimenti, attribuito in via esclusiva<br />

al giudice amministrativo, si estende al controllo <strong>del</strong>le valutazioni tecniche<br />

compiute dall’Autorità, tanto in sede di « contestualizzazione » <strong>del</strong>le disposizioni<br />

antitrust, quanto nel giudizio tecnico finale. Il solo limite <strong>del</strong> sindacato<br />

compiuto dal giudice amministrativo – intrinseco nello schema tipico <strong>del</strong>lo stesso<br />

giudizio amministrativo – risiede nell’impossibilità di sovrapporre una propria<br />

valutazione tecnica a quella effettuata nel provvedimento impugnato (32).<br />

La pronuncia <strong>del</strong> giudice amministrativo può cioè avere unicamente carattere<br />

––––––––––––<br />

nelli, Autorità « antitrust » e questioni di giurisdizione, cit., 752 ss., ove in proposito sono<br />

riportati ampi riferimenti bibliografici).<br />

(29) Tale espressione, in ispecie, è utilizzata in Cons. Stato, 2 marzo 2004, n. 926,<br />

Consip, cit.<br />

(30) Del resto, secondo l’opinione largamente maggioritaria in dottrina le valutazioni<br />

tecniche <strong>del</strong>la pubblica amministrazione sono estranee dal campo <strong>del</strong>la discrezionalità<br />

(cfr. F.G. Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e <strong>del</strong>la dottrina successiva,<br />

in Riv. trim. dir. pubbl. 2000, 1061 ss.).<br />

(31) Cfr. Cons. Stato, 2 marzo 2004, n. 926, Consip, cit., la quale in proposito afferma<br />

« i provvedimenti <strong>del</strong>l’Autorità antitrust hanno natura atipica e sono articolati in<br />

più parti: a) una prima fase di accertamento dei fatti; b) una seconda di “contestualizzazione”<br />

<strong>del</strong>la norma posta a tutela <strong>del</strong>la concorrenza che facendo riferimento a “concetti<br />

giuridici indeterminati” (quali il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante, le<br />

intese restrittive <strong>del</strong>la concorrenza) necessita di esatta individuazione degli elementi costitutivi<br />

<strong>del</strong>l’illecito contestato (le norme in materia di concorrenza non sono di “stretta<br />

interpretazione”, ma colpiscono il dato sostanziale costituito dai comportamenti collusivi<br />

tra le imprese, non previamente identificabili, che abbiano oggetto o effetto anticoncorrenziale);<br />

c) una terza in cui i fatti accertati vengono confrontati con il parametro come<br />

sopra “contestualizzato”; d) una ultima fase di applicazione <strong>del</strong>le sanzioni, previste dalla<br />

disciplina vigente ».<br />

(32) Cfr. Cons. Stato, 23 aprile 2002, n. 2199, in Giur. comm. 2003, II, 170, con<br />

nota di R. Caranta, I limiti <strong>del</strong> sindacato <strong>del</strong> giudice amministrativo sui provvedimenti<br />

<strong>del</strong>l’Autorità garante <strong>del</strong>la concorrenza e <strong>del</strong> mercato; Cons. Stato, 2 marzo 2004, n.<br />

926, Consip, cit.


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 511<br />

demolitorio e mai sostitutivo all’attività compiuta dall’Autorità Garante: attività<br />

che successivamente all’accoglimento <strong>del</strong>l’impugnazione dovrà essere rinnovata<br />

dall’Autorità Garante, non senza conseguenze sul piano <strong>del</strong>l’effettività<br />

nell’attività di contrasto dei comportamenti anticoncorrenziali.<br />

Nell’ambito di tale sistema, inoltre, non sembra possa configurarsi una<br />

connessione per pregiudizialità tra il giudizio pendente avanti il giudice amministrativo,<br />

in sede d’impugnazione <strong>del</strong> provvedimento sanzionatorio o di diffida<br />

<strong>del</strong>l’Autorità Garante, e quello instaurato davanti al giudice ordinario ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art 33, comma 2°, legge antitrust. Il che fa concludere nel senso che<br />

nell’ipotesi appena considerata non vi è alcuno spazio in sé per l’applicazione<br />

<strong>del</strong>l’istituto <strong>del</strong>la sospensione necessaria ai sensi <strong>del</strong>l’art. 295 c.p.c.<br />

Si ritiene, pertanto, che la legge <strong>del</strong> 1990 abbia introdotto un controllo diffuso<br />

nell’accertamento <strong>del</strong>le violazioni antitrust. Cosicché la disciplina interna<br />

in materia di concorrenza si differenzia in larga misura rispetto al previgente<br />

sistema comunitario di cui al Reg. n. 17/1962, che invece prevedeva – come si è<br />

avuto modo di vedere – la competenza esclusiva ad applicare talune norme <strong>del</strong><br />

Trattato CE in subjecta materia, nonché la sospensione ex lege <strong>del</strong> giudizio<br />

pendente avanti i giudici nazionali in seguito all’effettuazione <strong>del</strong>la notifica alla<br />

Commissione.<br />

Per altro verso, la mancanza di disposizioni, che sanciscano espressamente<br />

un coordinamento tra i provvedimenti <strong>del</strong>l’Autorità Garante o <strong>del</strong> giudice amministrativo<br />

in sede di sindacato su tali atti, e le decisioni <strong>del</strong> giudice ordinario<br />

nell’applicazione <strong>del</strong>le disposizioni antitrust, non può essere attuata facendo<br />

ricorso alle regole ordinarie in tema di conflitti tra decisioni, data la loro diversa<br />

natura o il loro diverso oggetto.<br />

La problematicità di tale soluzione legislativa non sembra possa essere superata<br />

con la giustificazione teorica, sostenuta da una parte <strong>del</strong>la dottrina a supporto<br />

<strong>del</strong> riparto di giurisdizione sancito dal legislatore <strong>del</strong> ’90, nel senso che<br />

essa si è resa necessaria al fine di evitare problematiche distinzioni tra interessi<br />

legittimi e diritti soggettivi ai fini <strong>del</strong>l’individuazione <strong>del</strong> giudice competente<br />

(33). E ciò proprio per il fatto che l’Autorità antitrust, <strong>del</strong>ineata dalla legge<br />

––––––––––––<br />

(33) Cfr. Giovannelli, Autorità « antitrust » e questioni di giurisdizione, cit., 744,<br />

anche per i riferimenti bibliografici ivi citati.<br />

La ratio riportata nel testo, volta a giustificare il riparto di giurisdizione di cui<br />

all’art. 33 legge antitrust è stata, invece, richiamata dai rimettenti alla Corte Costituzionale<br />

in ordine al giudizio di legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 33, commi 1° e 2°, lettere<br />

b) ed e), d.lgs., 31 marzo 1998, n. 80, avente ad oggetto la devoluzione esclusiva alla giurisdizione<br />

<strong>del</strong> giudice amministrativo <strong>del</strong>le controversie in materia di pubblici servizi, e<br />

<strong>del</strong>l’art. 34, comma 1°, d.lgs., 31 marzo 1998, n. 80, là dove prevede la giurisdizione<br />

esclusiva <strong>del</strong> giudice amministrativo, oltre che in relazione agli « atti e [ai] provvedimenti<br />

», attraverso i quali le pubbliche amministrazioni svolgono le proprie funzioni in<br />

materia urbanistica e edilizia, anche in relazione ai « comportamenti » (cfr. Corte Cost., 5


512<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong> 1990, è un organismo amministrativo indipendente, al quale è conferita<br />

esclusivamente una funzione di natura tecnica in ordine all’accertamento <strong>del</strong>le<br />

violazioni antitrust. In conseguenza, i provvedimenti, emanati dall’Autorità a<br />

norma <strong>del</strong>l’art. 15 legge antitrust, non possono considerarsi espressione di<br />

quella discrezionalità amministrativa (34), il cui esercizio segna il riparto di<br />

––––––––––––<br />

luglio 2004, n. 204, in Foro it. 2004, I, 2593). I rimettenti hanno infatti sostenuto che in<br />

materia antitrust vi sarebbe stata un’estensione <strong>del</strong>la giurisdizione esclusiva « non… confliggente<br />

con alcun parametro costituzionale in quanto … pur sempre limitata a specifiche<br />

controversie connotate non già da una generica rilevanza pubblicistica, bensì dall’intreccio<br />

di situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi e come diritti soggettivi<br />

». In sede di declaratoria <strong>del</strong>le norme censurate dai giudici a quo, tuttavia, la Corte<br />

Costituzionale ha evitato di esprimersi, sia pure solo incidentalmente, sulla legittimità<br />

<strong>del</strong>l’asserzione relativa alla legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 33 legge antitrust. Sul<br />

punto si è espressa, invece, una recente sentenza <strong>del</strong>le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 29<br />

aprile 2005, n. 8882, in www.cortedicassazione.it), ribadendo, invero in modo apodittico,<br />

che « nella particolare materia in esame, il diritto soggettivo … non è isolato ma si inserisce<br />

in un contesto più ampio nel quale sono presenti interessi pubblici di estrema rilevanza…<br />

Sussiste, dunque, l’intreccio di situazioni qualificabili come interessi legittimi e come<br />

diritti soggettivi che… giustifica la giurisdizione esclusiva <strong>del</strong> giudice amministrativo<br />

in ordine ai provvedimenti adottati dall’Autorità ».<br />

Per un’attenta critica <strong>del</strong>la scelta operata dal legislatore <strong>del</strong> ’90 in materia di riparto<br />

di giurisdizione nelle controversie antitrust cfr. G. Scarselli, La tutela dei diritti dinanzi<br />

alle Autorità Garanti, I Giurisdizione e amministrazione, Milano 2000, 278 ss.<br />

(34) È indirizzo consolidato <strong>del</strong>la Suprema Corte, in materia di riparto di giurisdizione<br />

nelle impugnazioni dei provvedimenti sanzionatori irrogati dalla P.A., che i provvedimenti<br />

di carattere pecuniario afferiscono alla giurisdizione <strong>del</strong> giudice ordinario (cfr.<br />

Cass., sez. un., 24 febbraio 1978, n. 926, in Giust. civ. 1978, I, 601, con ampia e dettagliata<br />

motivazione; più recentemente l’indirizzo de quo è stato ribadito da Cass., sez. un.,<br />

26 giugno 2001, n. 8746, in Mass. Foro it. 2001; Cass., sez. un., 2 febbraio 1990, n. 718,<br />

in Foro it. 1992, I, 1912, con osservazioni di A. Travi). In questo caso, infatti, la sanzione<br />

avrebbe una funzione solamente punitiva (e diretta solo mediatamente al perseguimento<br />

di interessi pubblici) e non sarebbe espressione di una valutazione di preminenti interessi<br />

pubblici: di modo che la posizione soggettiva <strong>del</strong> privato destinatario <strong>del</strong>la sanzione<br />

avrebbe nella specie la consistenza <strong>del</strong> diritto soggettivo e non <strong>del</strong>l’interesse legittimo.<br />

Peraltro, recentemente la Cassazione ha affermato la sussistenza <strong>del</strong>la giurisdizione<br />

<strong>del</strong> giudice ordinario in materia di sanzioni irrogate nei confronti dei promotori finanziari<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 196 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, anche ove venga irrogata una sanzione<br />

diversa da quella pecuniaria, in considerazione dei criteri previsti dalla legge per la<br />

loro irrogazione: e cioè la « gravità <strong>del</strong>la violazione » e l’« eventuale recidiva » (cfr.<br />

Cass., sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1992, in Mass. Foro it. 2003; Cass., sez. un., 11 luglio<br />

2001, 9383, in Società 2001, 1347). Il riferimento compiuto dal legislatore <strong>del</strong> ‘90 a<br />

valutazioni inerenti all’illecito compiuto dal promotore e alla personalità di questo, infatti,<br />

esclude secondo la Suprema Corte l’esercizio di qualsiasi discrezionalità amministrativa<br />

da parte <strong>del</strong>la CONSOB nell’applicazione <strong>del</strong>le sanzioni de quibus.


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 513<br />

giurisdizione tra il giudice ordinario e quello in materia di provvedimenti sanzionatori<br />

emanati da organi amministrativi (35).<br />

Al contrario, la normativa comunitaria in materia antitrust – abbandonato<br />

il sistema che s’imperniava sulla sospensione ope legis ai sensi <strong>del</strong>l’art. 9,<br />

comma 3°, Reg. n. 17/62 in conseguenza all’effettuazione <strong>del</strong>la notifica e<br />

all’apertura dei procedimenti avanti la Commissione – è particolarmente attenta<br />

al profilo <strong>del</strong> coordinamento tra lo svolgimento <strong>del</strong>le funzioni <strong>del</strong>la Commissione<br />

e l’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione dei giudici nazionali riguardo all’applicazione<br />

<strong>del</strong>le norme comunitarie antitrust. Coordinamento che è garantito<br />

dall’art. 16 Reg. CE n. 1/2003, il quale prevede la possibilità per il giudice nazionale<br />

di procedere ad una sospensione <strong>del</strong> giudizio pendente avanti a sé, in<br />

attesa che la Commissione adotti una decisione (36).<br />

Il criterio cui deve riferirsi il giudice nazionale al fine di procedere o meno<br />

alla sospensione facoltativa <strong>del</strong> processo è costituito dall’interesse alla certezza<br />

<strong>del</strong> diritto comunitario sulla concorrenza (37). Cosicché il giudice nazionale<br />

potrà senz’altro procedere quando la Commissione abbia già adottato una deci-<br />

––––––––––––<br />

(35) Sempre sulla base <strong>del</strong>le argomentazioni svolte nel testo, anche alla luce <strong>del</strong>la<br />

motivazione <strong>del</strong>la sent. <strong>del</strong>la Corte Cost., 5 luglio 2004, n. 204, cit., e Corte Cost., 28<br />

luglio 2004, n. 281, ibidem, si potrebbe persino prospettare un rilievo di legittimità costituzionale<br />

per contrarietà agli artt. 25 e 102 Cost. riguardo al riparto di giurisdizione<br />

contemplato nell’art. 33, comma 1°, legge antitrust, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione<br />

esclusiva <strong>del</strong> giudice amministrativo il sindacato dei provvedimenti sanzionatori<br />

<strong>del</strong>l’Autorità Garante, che pure non sono connotati dall’esercizio di discrezionalità<br />

amministrativa <strong>del</strong>l’Autorità e, quindi, in materia <strong>del</strong> tutto estranea a quella degli interessi<br />

legittimi. Osserva, infatti, la Corte Costituzionale nella sent. n. 204 <strong>del</strong> 2004 che « il<br />

vigente art. 103 Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata<br />

discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute<br />

alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie”<br />

nelle quali “la tutela nei confronti <strong>del</strong>la pubblica amministrazione” investe “anche”<br />

diritti soggettivi: un potere, quindi, <strong>del</strong> quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto<br />

né incondizionato, e <strong>del</strong> quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura <strong>del</strong>le<br />

situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, <strong>del</strong>le<br />

materie » (c.vi nostri); nello stesso senso cfr. Corte Cost., 28 luglio 2004, n. 281, cit.<br />

(36) A tal fine il giudice nazionale può chiedere alla Commissione se abbia avviato<br />

un procedimento riguardante i medesimi accordi, decisioni o pratiche, che formino oggetto<br />

di allegazione nel processo instaurato avanti a sé e di informarla sull’andamento <strong>del</strong><br />

procedimento e sulla probabilità che venga adottata una decisione (cfr. Corte Giust., 12<br />

dicembre 1995, cause riunite C-319/93, C-40/94 e C-224/94, Dijkstra, in Racc. 1995, I-<br />

4471, punto 34; Corte Giust., 28 febbraio 1991, causa C-234/89, Delimitis, in Racc.<br />

1991, I-935, punto 53).<br />

(37) Cfr. Comunicazione <strong>del</strong>la Commissione relativa alla cooperazione tra la<br />

Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri <strong>del</strong>l’UE ai fini <strong>del</strong>l’applicazione degli<br />

articoli 81 e 82 <strong>del</strong> trattato CE, 2004/C 101/04, in GUCE 2004, C101, 54 ss., v. spec.<br />

n. 12 <strong>del</strong>la Comunicazione cit., 56.


514<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

sione su un caso analogo, ovvero quando non abbia motivi ragionevoli per dubitare<br />

<strong>del</strong>la decisione che verrà adottata dalla Commissione, sulla base di una<br />

prognosi <strong>del</strong>la decisione che verrà adottata dalla Commissione (38).<br />

Il giudice nazionale, per altro verso, è tenuto a conformarsi alla decisione<br />

già in precedenza resa dalla Commissione sul caso, salvo la possibilità di sottrarsi<br />

all’efficacia vincolante di tale decisione, rimettendo alla Corte di Giustizia<br />

una domanda pregiudiziale ai sensi <strong>del</strong>l’art. 234 Trattato CE sull’interpretazione<br />

degli artt. 81 e 82 Trattato CE (39).<br />

La sospensione facoltativa di cui all’art. 16 <strong>del</strong> Reg. n. 1/2003 è assai diversa<br />

per presupposti, regime e ratio rispetto alle ipotesi di sospensione previste<br />

nel codice di rito e applicabili ai procedimenti aventi ad oggetto fattispecie antitrust<br />

a mera rilevanza interna. Pertanto, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi in cui la sospensione,<br />

prevista dalla menzionata norma comunitaria, risulta direttamente<br />

applicabile, non sembra suscettibile di applicazione analogica, in particolare nei<br />

rapporti tra giudice ordinario e Autorità Garante.<br />

In conseguenza, l’istituzione di un coordinamento tra l’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione<br />

e l’attività <strong>del</strong>l’Autorità Garante, nell’applicazione <strong>del</strong>le norme sulla<br />

concorrenza, siano esse d’origine interna o comunitaria, ovvero di un coordinamento<br />

con la sussistenza di procedimenti aventi ad oggetto l’applicazione<br />

degli artt. 81 e 82 Trattato CE, instaurati avanti alle autorità amministrative di<br />

altri Stati membri <strong>del</strong>la Comunità Europea, necessita di apposito intervento <strong>del</strong><br />

legislatore, così come è già avvenuto in Francia (40).<br />

4. – A tenore <strong>del</strong>le considerazioni sin qui svolte, non può escludersi in<br />

apicibus un concorso tra la competenza <strong>del</strong>l’Autorità Garante e la giurisdizione<br />

<strong>del</strong> giudice ordinario anche in relazione all’emanazione di provvedimenti<br />

volti alla cessazione dei comportamenti anticoncorrenziali. In altri<br />

termini, l’ambito <strong>del</strong>la giurisdizione riservato al giudice ordinario in materia<br />

antitrust non può affatto considerarsi eccezionale rispetto alle funzioni attribuite<br />

dalla legge all’Autorità Garante, come talora viene proclamato in giurisprudenza<br />

soprattutto in relazione al potere di diffida di cui all’art. 15 legge<br />

antitrust (41), potendo l’A.g.o. esercitare le proprie funzioni in modo <strong>del</strong><br />

tutto autonomo e indipendente.<br />

––––––––––––<br />

(38) Cfr. Comunicazione <strong>del</strong>la Commissione relativa alla cooperazione tra la<br />

Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri, cit., 56.<br />

(39) Cfr. Comunicazione <strong>del</strong>la Commissione relativa alla cooperazione tra la<br />

Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri, cit., ivi.<br />

(40) Il riferimento è all’ordinanza n. 2004/1173 <strong>del</strong> 4 novembre 2004 <strong>del</strong> Ministero<br />

francese <strong>del</strong>l’economia, <strong>del</strong>le finanze e <strong>del</strong>l’industria, in esecuzione <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega di cui<br />

alla legge n. 2004/237 <strong>del</strong> 18 marzo 2004 e al decreto n. 2005/1668 <strong>del</strong> 27 dicembre 2005<br />

<strong>del</strong> Consiglio di Stato francese in www.legifrance.gouv.fr.<br />

(41) V. note 14 e 15.


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 515<br />

A parte i rilievi sull’opportunità di non lasciare l’attuazione <strong>del</strong>le norme<br />

antitrust esclusivamente ad un sistema di public enforcement (42), dalla disamina<br />

<strong>del</strong> potere di diffida di cui all’art. 15 legge antitrust emerge che l’Autorità<br />

Garante non riesce ad assicurare una tutela equiparabile a quella che in astratto<br />

potrebbe garantire l’A.g.o.<br />

Nella recente pronuncia Pellegrini/Consip (43) il Consiglio di Stato si è<br />

occupato <strong>del</strong>le modalità in cui deve estrinsecarsi il potere di diffida di comportamenti<br />

anticoncorrenziali, quando, in esecuzione <strong>del</strong>l’intesa vietata dalle norme<br />

sulla concorrenza, siano sorti rapporti contrattuali con i terzi (44).<br />

La questione ha coinvolto necessariamente la più ampia materia <strong>del</strong> coordinamento<br />

tra l'attività <strong>del</strong>l’Autorità Garante e la funzione <strong>del</strong> giudice amministrativo<br />

e di quello ordinario in materia antitrust. In ispecie, si è fatto riferimento<br />

alla giurisdizione <strong>del</strong> giudice ordinario in relazione all’esclusiva possibilità<br />

per quest’ultimo di pronunciarsi sulla nullità dei contratti conclusi « a valle<br />

» nell’ambito <strong>del</strong>l’esecuzione di un’intesa vietata e, quindi, sempre in base a<br />

quanto stabilito dalla lettera <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust.<br />

Al contrario, secondo quanto è stato statuito dal Consiglio di Stato,<br />

l’esercizio <strong>del</strong> potere di diffida volto alla cessazione dei comportamenti anticoncorrenziali,<br />

spettante all’Autorità Garante, richiederebbe la previa valutazione dei<br />

suoi « riflessi … sulle posizioni dei terzi e l’idoneità <strong>del</strong>le misure imposte sotto il<br />

profilo <strong>del</strong>la ragionevolezza e <strong>del</strong>la proporzionalità » (45) (c.vi nostri).<br />

L’Autorità Garante, quindi, dovrebbe esercitare un potere discrezionale,<br />

in relazione all’opportunità di sacrificare le posizioni giuridiche soggettive<br />

acquisite dai terzi rispetto all’attuazione <strong>del</strong>le disposizioni in materia di concorrenza<br />

solo quando – sulla base <strong>del</strong>la motivazione contenuta nel provvedimento<br />

di diffida – l’interesse alla suddetta attuazione possa essere ritenuto<br />

prevalente.<br />

L’Autorità Garante, inoltre, non potrebbe limitarsi ad emettere una diffida<br />

<strong>del</strong> tutto generica senza indicare alle parti alcuno specifico comportamento<br />

da tenere riguardo ai rapporti in essere con i terzi, sulla base di<br />

un’« adeguata motivazione e … valutazione <strong>del</strong>la posizione di tutte le parti<br />

interessate » (46).<br />

Il potere di diffida di cui all’art. 15 legge antitrust, quindi, si rivela parti-<br />

––––––––––––<br />

(42) Cfr. sul punto Monti, Private enforcement as a key complement to public enforcement<br />

of competition rules and the first conclusions on the implementation of the new<br />

Merger Regulation, cit., 2 ss.<br />

(43) Cons. Stato, 2 marzo 2004, n. 926, cit.<br />

(44) Il riferimento, in ispecie, è alla materia <strong>del</strong>le intese poste in essere in relazione<br />

alle operazioni di aggiudicazione nell’ambito di procedure ad evidenza pubblica (cfr.<br />

Cons. Stato, 2 marzo 2004, n. 926, cit.).<br />

(45) Così Cons. Stato, 2 marzo 2004, n. 926, cit.<br />

(46) Così Cons. Stato, 2 marzo 2004, n. 926, cit.


516<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

colarmente inefficace (47), soprattutto a mente <strong>del</strong> fatto che esso non è suscettibile<br />

di essere esercitato in via cautelare ed urgente. Cosicché le parti <strong>del</strong>l’intesa<br />

possono rendere più lenta e difficile l’esplicazione <strong>del</strong>l’attività <strong>del</strong>l’Autorità<br />

Garante proseguendo nella loro attività lesiva <strong>del</strong>la concorrenza, soprattutto nel<br />

caso in cui vengano in essere rapporti con terzi.<br />

I limiti che caratterizzano l’esplicazione <strong>del</strong> potere di diffida <strong>del</strong>l’Autorità<br />

antitrust, peraltro, accrescono l’eventualità di un conflitto tra decisioni nella<br />

fattispecie sopra considerata, pur a prescindere dalla sussistenza o meno di poteri<br />

inibitori in capo al giudice ordinario. Difatti, nell’accertamento relativo alla<br />

sussistenza o meno di violazioni <strong>del</strong>le disposizioni antitrust il giudice ordinario<br />

non potrebbe neppure tener conto <strong>del</strong>le valutazioni compiute dall’Autorità Garante<br />

in termini di razionalità e proporzionalità nell’esercizio <strong>del</strong> proprio potere<br />

di diffida sancito dall’art. 15 legge antitrust. Conseguentemente, il giudice ordinario<br />

potrebbe ritenere nulli i contratti stipulati « a valle », anche ove l’Autorità<br />

Garante non ritenga di esercitare il proprio potere di diffida per carenza<br />

dei presupposti di razionalità e proporzionalità (48).<br />

Quindi, non solo non può escludersi la potestas iudicandi <strong>del</strong> giudice civile<br />

in materia di inibitoria antitrust, facendo richiamo al parallelo riconoscimento<br />

<strong>del</strong> potere (amministrativo) di diffida riconosciuto all’Autorità Garante,<br />

bensì la proponibilità di tali rimedi è resa necessaria proprio alla luce <strong>del</strong> rilievo<br />

che la previsione di tale potere di diffida non riesce ad esaurire le esigenze di<br />

tutela che si possono presentare a fronte di un comportamento anticompetitivo,<br />

con particolare riguardo agli atti attuativi di un programma anticoncorrenziale<br />

posti in essere con i terzi.<br />

Per altro verso, prima <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>la legge n. 287 <strong>del</strong> 1990<br />

la giurisprudenza ammetteva senz’altro la possibilità di ricorrere al giudice<br />

ordinario per la richiesta di provvedimenti di carattere inibitorio sulla base<br />

<strong>del</strong>le norme in materia di concorrenza sleale ai sensi <strong>del</strong> combinato disposto<br />

degli artt. 2598 e 2599 c.c. (49). Così non sembra possibile concordare con la<br />

––––––––––––<br />

(47) L’Autorità Garante, nella propria Relazione sull’attività svolta nel 2003 <strong>del</strong> 30<br />

aprile 2004, osserva a proposito <strong>del</strong>la sentenza sul caso Consip: « la recente esperienza ha<br />

… evidenziato che, nel caso in cui sia accertata una collusione in gara e sia in corso di<br />

esecuzione il contratto pubblico, non sembrano ancora sussistere idonei strumenti per<br />

rimediare a questa palese alterazione <strong>del</strong> gioco <strong>del</strong>la concorrenza ».<br />

(48) Sulla configurabilità di un’azione di nullità dei contratti « a valle » cfr. Cass.,<br />

sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, cit., la quale ha così superato il contrasto giurisprudenziale<br />

insorto sulla questione: nel senso <strong>del</strong>la validità dei contratti a valle è Cass., 11 giugno<br />

2003, n. 9384, in Danno e resp. 2003, 1067; in senso contrario cfr. Cass., 1 febbraio<br />

1999, n. 827, in Giust. civ. 1999, I, 1654. Sull’invalidità <strong>del</strong> contratto a valle cfr., inoltre,<br />

C. Castronovo, Antitrust e abuso <strong>del</strong>la responsabilità civile, in Danno e resp. 2004, 473.<br />

(49) La giurisprudenza si è, infatti, avvalsa <strong>del</strong>l’estrema duttilità dei rimedi, preventivi<br />

e inibitori, previsti per la concorrenza sleale sia in relazione alla condotta integrativa<br />

<strong>del</strong>l’illecito concorrenziale soprattutto a norma <strong>del</strong>l’art. 2598, n. 3, c.c., sia con rife-


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 517<br />

lettura restrittiva <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust, perché in tal modo la<br />

legge <strong>del</strong> 1990 avrebbe implicitamente comportato, senza un’idonea giustificazione,<br />

una limitazione <strong>del</strong> novero dei rimedi già esperibili avanti l’A.g.o.,<br />

con grave detrimento per l’effettività <strong>del</strong>l’applicazione <strong>del</strong>le disposizioni antitrust<br />

(50).<br />

Si tratta, semmai, di stabilire se i rimedi inibitori possano essere proposti<br />

solo da parte di imprenditori in regime di concorrenza con gli autori <strong>del</strong> comportamento<br />

anticompetitivo, secondo il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> rimedio tipico in materia di<br />

concorrenza sleale, ovvero se tali domande possano essere proposte anche dai<br />

consumatori, ai quali è oramai riconosciuta, con la sentenza n. 2207 <strong>del</strong> 2005<br />

<strong>del</strong>le Sezioni Unite, la possibilità di ottenere la tutela civile a fronte di violazioni<br />

antitrust. Tale materia partecipa <strong>del</strong>la nota vexata quaestio relativa alla configurabilità<br />

di un’azione inibitoria atipica (51), ma potrebbe trovare una soluzione<br />

favorevole al riconoscimento <strong>del</strong>la tutela inibitoria a favore dei consumatori<br />

anche nell’ambito <strong>del</strong>la ricostruzione in termini rigorosamente tipici dei<br />

rimedi in discorso, attraverso un’applicazione estensiva <strong>del</strong> disposto di cui<br />

all’art. 2599 c.c., poiché la generalizzazione <strong>del</strong>l’accesso alla protezione antitrust<br />

a chiunque abbia interesse (Cass., sez. un., n. 2207/2005), manifesta la<br />

possibilità che a fronte di un comportamento anticoncorrenziale si presenti un<br />

identico bisogno di tutela, a prescindere dalla qualifica soggettiva rivestita da<br />

chi esercita il rimedio di volta in volta considerato, e ciò non può non valere<br />

anche ai fini <strong>del</strong>la concessione <strong>del</strong>la protezione inibitoria (52).<br />

5. – È d’uopo, a questo punto, osservare che il riferimento, contenuto<br />

nell’art. 33, comma 2°, legge n. 287/1990, alle pronunce declaratorie <strong>del</strong>la nullità<br />

<strong>del</strong>le intese e a quelle di condanna al pagamento dei danni conseguenti a<br />

––––––––––––<br />

rimento alla tipologia di pregiudizio, richiesto ai fini <strong>del</strong>la loro concessione (cfr. Cass.,<br />

sez. un., 23 novembre 1995, n. 12103, in Resp. civ. prev. 1996, 637, con nota di A. Dassi,<br />

Appunti sul danno da concorrenza sleale). Sempre sulla base <strong>del</strong> menzionato richiamo<br />

giurisprudenziale App. Roma, 16 agosto 2001, cit., afferma la possibilità di esperire rimedi<br />

inibitori avverso comportamenti anticoncorrenziali anche dopo l’entrata in vigore<br />

<strong>del</strong>la legge n. 287 <strong>del</strong> 1990.<br />

(50) Per una diversa conclusione nel senso di un’applicazione analogica <strong>del</strong>l’art.<br />

2599 c.c. in materia antitrust nell’ambito di un’approfondita disamina <strong>del</strong>le forme<br />

di tutela previste dall’art. 33 legge n. 287 <strong>del</strong> 1990 cfr. I. Pagni, Tutela specifica e tutela<br />

per equivalente, Milano 2004, 179 ss., v. spec. 231 ss.<br />

(51) Cfr. riguardo a tale questione C. Rapisarda-M. Taruffo, Inibitoria (azione), I)<br />

Diritto processuale civile, in Enc. giur., vol. XVII, Roma 1989, 7 ss., a cui si ritiene di<br />

fare opportuno rinvio anche per i riferimenti ivi citati.<br />

(52) D’altro canto, in dottrina (L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in<br />

Trattato di diritto civile, XVI, Torino 1985, 101, nota 21, e 174) si è osservata in generale<br />

l’utilità <strong>del</strong> riferimento all’art. 100 c.p.c. in sede di interpretazione estensiva <strong>del</strong>le<br />

ipotesi in cui è prevista un’azione tipica, come in materia di inibitoria.


518<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

comportamenti anticoncorrenziali, non si riferisce a tutte le forme di tutela giurisdizionale<br />

che il giudice ordinario può concedere in presenza di un comportamento<br />

anticoncorrenziale.<br />

In altre parole, si può affermare che la norma di cui all’art. 33, comma 2°,<br />

legge antitrust consista in una disposizione tout court sulla competenza (per<br />

materia) <strong>del</strong>le Corti d’Appello, perché non è diretta a prevedere in modo tassativo<br />

i rimedi proponibili avverso comportamenti anticoncorrenziali.<br />

L’interprete è chiamato a confrontarsi con la mens legis di tale incompleto<br />

richiamo: occorre cioè stabilire se il legislatore <strong>del</strong> 1990 abbia voluto circoscrivere<br />

la competenza esclusiva <strong>del</strong>le Corti d’Appello unicamente alle domande<br />

sopra richiamate, o al contrario se l’ambito <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong>le Corti d’Appello<br />

debba intendersi in modo estensivo, ritenendo che il rinvio in discorso abbia<br />

un carattere esemplificativo.<br />

Alla prima ipotesi interpretativa consegue implicitamente che il giudice<br />

competente per i rimedi diversi da quelli contemplati nell’art. 33, comma 2°,<br />

legge antitrust debba essere individuato sulla base <strong>del</strong>le ordinarie regole poste<br />

dal codice di rito. Poste queste premesse, non potrebbe certo escludersi che, in<br />

ordine allo stesso comportamento anticoncorrenziale, vengano istaurati contestualmente<br />

più processi avanti rispettivamente le Corti d’Appello e avanti i Tribunali<br />

o, più raramente, i Giudici di Pace, ponendosi quindi un problema di coordinamento<br />

tra i suddetti giudizi (53).<br />

––––––––––––<br />

(53) Cfr. M. Tavassi, I provvedimenti d’urgenza, in Antitrust tra diritto nazionale e<br />

diritto comunitario, in Riv. dir. ind. 1993, I, 407 ss.; Id., I rapporti tra i giudizi avanti<br />

alla Corte di Appello ed al Tribunale, in Tavassi-Scuffi, Diritto processuale antitrust,<br />

cit., 189 ss. Peraltro, il problema di coordinamento risulta aggravato dall’attuazione <strong>del</strong><br />

controllo decentrato nell’attuazione <strong>del</strong>le norme comunitarie, per il fatto che il territorio<br />

di uno Stato membro può rappresentare anch’esso parte rilevante <strong>del</strong> mercato comune,<br />

quando le pratiche anticoncorrenziali dedotte in giudizio, per quanto territorialmente ristrette,<br />

vengano prospettate come suscettibili di effetti distorsi <strong>del</strong>la concorrenza anche<br />

nei mercati di altri Stati membri (M. Scuffi, Le sezioni specializzate di diritto industriale<br />

per cooperazione comunitaria ed applicazione decentrata <strong>del</strong>le regole di concorrenza, in<br />

Dir. ind. 2003, 219). In questo caso si prospetta una « composizione sul piano processuale<br />

… attraverso pronunzie di incompetenza ovvero mediante sospensione per pregiudizialità<br />

<strong>del</strong> processo che si ponga in dipendenza logica rispetto a quello interessato dal<br />

rilievo comunitario » (così Scuffi, Le sezioni specializzate di diritto industriale, cit., 219).<br />

Il primo rilievo è senz’altro da condividere, poiché la divaricazione <strong>del</strong>le competenze a<br />

conoscere di comportamenti concorrenziali antitrust tra Corti d’Appello e i giudici, individuati<br />

secondo le norme ordinarie, fa sì che il giudice adito debba decidere assai spesso<br />

su eccezioni d’incompetenza fondate su rilievi, a seconda dei casi, tendenti a dimostrare<br />

il carattere nazionale o comunitario, al solo fine di ottenere una pronuncia declinatoria<br />

sulla competenza. Al contrario, l’applicazione <strong>del</strong>l’istituto <strong>del</strong>la sospensione di cui all’art.<br />

295 c.p.c. non sembra possibile, proprio perché in apicibus l’accertamento <strong>del</strong> carattere<br />

comunitario escluderebbe <strong>del</strong> tutto l’applicabilità <strong>del</strong>le disposizioni interne anti-


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 519<br />

In proposito la dottrina ha prospettato un coordinamento dei giudizi concernenti<br />

i medesimi comportamenti anticoncorrenziali, facendo ricorso all’applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 295 c.p.c. (54).<br />

Tale asserzione, tuttavia, ci vede perplessi, soprattutto se si tiene presente<br />

l’ipotesi <strong>del</strong>la contemporanea pendenza, da una parte, di un giudizio avanti la<br />

Corte d’Appello avente ad oggetto la declaratoria <strong>del</strong>la nullità d’intese anticoncorrenziali<br />

e/o la condanna al risarcimento di danni, dall’altra, di un giudizio<br />

nel quale il Tribunale o, assai meno probabilmente, il Giudice di Pace, venga<br />

richiesto di emettere un provvedimento inibitorio, volto ad ottenere la cessazione<br />

<strong>del</strong>le violazioni antitrust.<br />

La pronuncia di un provvedimento inibitorio, infatti, non dipende né<br />

dall’accertamento <strong>del</strong>la nullità di eventuali intese contrarie alle disposizioni antitrust,<br />

né dalla pronuncia di una sentenza di condanna al risarcimento <strong>del</strong> danno.<br />

Quindi, in questa fattispecie non sussiste la relazione <strong>del</strong>la pregiudizialità<br />

tra rapporti giuridici diversi, rispettivamente oggetto di separati giudizi: relazione<br />

che a tenore <strong>del</strong>la dottrina maggioritaria e <strong>del</strong>la giurisprudenza è il presupposto<br />

richiesto per l’applicazione <strong>del</strong>l’istituto <strong>del</strong>la sospensione necessaria<br />

(55).<br />

A chi scrive sembra che l’accento debba essere posto sulla considerazione<br />

che, ove gli stessi comportamenti anticoncorrenziali siano posti a fondamento<br />

<strong>del</strong>le richieste d’inibitoria e di nullità <strong>del</strong>le intese e/o di risarcimento <strong>del</strong> danno,<br />

tali domande si fondano su identiche fattispecie, integranti i medesimi illeciti<br />

antitrust.<br />

È sì vero che la domanda d’inibitoria verso un comportamento anticoncorrenziale<br />

si differenzia rispetto a quella di nullità <strong>del</strong>l’intesa e/o di risarcimento<br />

<strong>del</strong> danno in ragione <strong>del</strong> tipo di provvedimento richiesto, ossia per il petitum<br />

(56). Ma, prescindendo per un momento dai diversi rimedi previsti dalla<br />

––––––––––––<br />

trust e in conseguenza la competenza <strong>del</strong>le Corti d’Appello sancita dall’art. 33, comma<br />

2°, legge antitrust.<br />

(54) Tavassi, I rapporti tra i giudizi avanti alla Corte di Appello ed al Tribunale,<br />

cit., 191 ss.<br />

(55) La letteratura sulla sospensione necessaria e la pregiudizialità tra cause è vastissima,<br />

in proposito, quindi, si ritiene opportuno fare rinvio a S. Menchini, Sospensione<br />

<strong>del</strong> processo civile, a) Processo civile di cognizione, in Enc. dir., XLIII, Milano 1990, 15<br />

ss. e ai riferimenti bibliografici ivi citati.<br />

(56) In dottrina (cfr. M.S. Spolidoro, Provvedimenti provvisori <strong>del</strong> diritto industriale,<br />

in Riv. dir. ind. 1994, I, 413 ss.), nello sforzo di ricavare dall’art. 33 legge antitrust<br />

la possibilità di ricorrere a rimedi inibitori, si è osservato che la pronuncia avente ad<br />

oggetto la nullità <strong>del</strong>l’intesa e/o il risarcimento <strong>del</strong> danno conterrebbe, altresì, l’accertamento<br />

<strong>del</strong>l’obbligo giuridico di astensione dalla condotta integrante violazione di disposizioni<br />

antitrust. Da ciò si trae la conclusione che l’accertamento giudiziale <strong>del</strong>l’illegittimità<br />

di un certo comportamento concreto comporti già, di per sé, un obbligo di


520<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

legge a fronte dei comportamenti anticoncorrenziali di volta in volta considerati,<br />

in definitiva, ogni qualvolta venga richiesta l’attuazione di norme antitrust,<br />

vi è sempre l’accertamento <strong>del</strong> medesimo rapporto giuridico intercorrente tra il<br />

soggetto, o i soggetti che hanno violato le disposizioni sulla concorrenza, e coloro<br />

che hanno subito le conseguenze di tali violazioni, ossia <strong>del</strong>l’obbligo di<br />

astenersi da comportamenti vietati dalle regole sulla concorrenza. Non a caso le<br />

Sezioni Unite hanno recentemente eletto quale unico dato rilevante, ai fini<br />

<strong>del</strong>l’individuazione <strong>del</strong>la competenza per materia <strong>del</strong>le Corti d’Appello, proprio<br />

il fatto che la domanda proposta in giudizio abbia ad oggetto l’accertamento di<br />

violazioni antitrust, al di là <strong>del</strong>lo specifico rimedio fatto valere in tale sede (57).<br />

Per questo motivo, ove si ritenga che debbano essere proposti avanti a<br />

giudici diversi, rispettivamente, il processo avente ad oggetto l’accertamento<br />

<strong>del</strong>la nullità di un’intesa vietata ai sensi <strong>del</strong>l’art. 2 legge antitrust e la domanda<br />

inibitoria, la contestuale proposizione dei rimedi di cui all’art. 33 legge antitrust<br />

e di quello inibitorio darebbe luogo ad una pluralità di cause tra loro parzialmente<br />

identiche, perché aventi ad oggetto l’accertamento di violazioni antitrust<br />

(identità che si riferisce, quindi, a parte <strong>del</strong> petitum e alla causa petendi), che<br />

vedrebbero altresì il concorso di ulteriori fatti costitutivi richiesti dal tipo di rimedio<br />

fatto valere e consistenti nell’esistenza di un danno potenziale o effettivo,<br />

a seconda che si tratti di una domanda inibitoria o risarcitoria, nella sfera <strong>del</strong><br />

soggetto leso dall’attività anticoncorrenziale e <strong>del</strong> relativo nesso di causalità<br />

(58).<br />

––––––––––––<br />

astenersene per il futuro, posto che sia l’inibitoria, sia il risarcimento <strong>del</strong> danno, presuppongono<br />

l’accertamento <strong>del</strong>la violazione e quindi l’inibitoria. Tuttavia, occorre considerare<br />

che il petitum <strong>del</strong>la domanda inibitoria, ossia di un provvedimento contenente<br />

l’ordine di cessare un comportamento illecito, non è riconducibile a quello <strong>del</strong>le domande<br />

di nullità e/o di risarcimento <strong>del</strong> danno. E, d’altra parte, accanto alla violazione <strong>del</strong>le<br />

norme antitrust (su cui si fondano le domande espressamente contemplate nell’art. 33<br />

legge n. 287/90) le misure inibitorie potranno essere concesse solo ove ricorrano gli ulteriori<br />

elementi <strong>del</strong>la probabilità <strong>del</strong> danno e <strong>del</strong> nesso di causalità tra quest’ultimo e la<br />

condotta illecita <strong>del</strong> soggetto che ha violato le disposizioni antitrust.<br />

(57) Cfr. Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, cit.<br />

(58) App. Roma, 25 giugno 1993, in Tavassi-Scuffi, Diritto processuale antitrust,<br />

cit., Appendice II, 522 ss., nel negare la litispendenza tra un giudizio promosso avanti il<br />

Tribunale e avente ad oggetto l’accertamento e l’inibitoria di cui agli artt. 2598 s. c.c. e<br />

un giudizio avanti la Corte d’Appello per ottenere la declaratoria di nullità <strong>del</strong>le intese in<br />

relazione al medesimo comportamento anticoncorrenziale, ha ritenuto che in tale fattispecie<br />

non ricorresse l’identità di alcuno degli elementi oggettivi <strong>del</strong>le rispettive cause, affermando<br />

la diversità <strong>del</strong>la causa petendi (quella cioè <strong>del</strong>la concorrenza sleale di cui<br />

all’art. 2598 c.c. e non quella di cui all’art. 2, comma 3°, legge n. 287 <strong>del</strong> 1990) e <strong>del</strong> petitum<br />

(i.e. l’inibitoria di cui all’art. 2599 c.c. e non la nullità). L’argomentazione appena<br />

richiamata non convince riguardo alla diversità tout court <strong>del</strong>la causa petendi, poiché con<br />

riferimento ai comportamenti anticoncorrenziali vietati da specifiche disposizioni <strong>del</strong>la


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 521<br />

Cosicché non vi sarebbe qui l’eventualità di una contrarietà meramente logica<br />

tra giudicati, e come tale tollerabile all’interno <strong>del</strong>l’ordinamento giuridico,<br />

perché tale contrarietà non sarebbe inerente ai soli accertamenti in fatto compiuti<br />

nell’ambito <strong>del</strong>le rispettive decisioni; bensì consterebbe il rischio di un<br />

conflitto pratico inerente all’accertamento <strong>del</strong>l’applicabilità <strong>del</strong>l’obbligo giuridico<br />

di astenersi dal comportamento anticompetitivo alla luce dei fatti dedotti,<br />

che costituiscono allo stesso tempo i presupposti per l’applicazione dei diversi<br />

rimedi previsti dall’ordinamento per dare attuazione alle disposizioni sulla concorrenza.<br />

L’istituto, al quale si ritiene debba farsi riferimento al fine di evitare tale<br />

conflitto pratico tra giudicati, è quello <strong>del</strong>la continenza di cui all’art. 39, comma<br />

2°, c.p.c., non dovendosi nemmeno ricorrere alla nozione <strong>del</strong>la continenza<br />

c.d. qualitativa, a cui la giurisprudenza (59) e parte <strong>del</strong>la dottrina (60) fanno richiamo<br />

qualora nelle cause pendenti avanti a giudici diversi consti, oltre<br />

all’identità di soggetti, anche la (mera) parziale identità degli elementi oggettivi,<br />

quando essi si fondino sul medesimo rapporto giuridico. Diverso è, infatti, il<br />

caso oggetto <strong>del</strong>la nostra attenzione: le domande richiamate dall’art. 33, comma<br />

2°, legge antitrust e quella <strong>del</strong>l’inibitoria presentano tutte un’identità parziale<br />

sia <strong>del</strong>la causa petendi, sia <strong>del</strong> petitum in ordine all’accertamento <strong>del</strong>le<br />

violazioni antitrust, differenziandosi, per altro verso, in relazione alla richiesta<br />

dei rimedi conseguenti a tale accertamento e consistenti, rispettivamente, nella<br />

declaratoria <strong>del</strong>la nullità <strong>del</strong>le intese, nella condanna al risarcimento dei danni e<br />

nell’ordine di cessazione <strong>del</strong> comportamento anticoncorrenziale, oltre che in<br />

relazione ai fatti costitutivi richiesti specificamente ai fini <strong>del</strong>la concessione di<br />

ciascuno di essi (e consistenti, a seconda dei casi, nella sussistenza di un danno<br />

––––––––––––<br />

legge n. 287/90 si è in presenza di un concorso (solo) apparente con le norme generali<br />

sulla concorrenza sleale, cosicché l’art. 2598 c.c. può trovare applicazione solo de residuo,<br />

nel caso in cui non risultino applicabili le norme speciali in materia antitrust (cfr.<br />

Tavassi, I rapporti tra i giudizi avanti alla Corte di Appello ed al Tribunale, cit., 189). Il<br />

riferimento alle norme <strong>del</strong> codice civile in materia di concorrenza sleale è, invece, necessario<br />

al solo fine di ottenere un provvedimento inibitorio a tenore <strong>del</strong> disposto <strong>del</strong>l’art.<br />

2599 c.c. (cfr. L. Nivarra, La tutela civile: profili sostanziali, in Diritto antitrust italiano,<br />

a cura di Frignani, Pardolesi, Padroni Griffi, Ubertazzi, Bologna 1993, 1461 ss).<br />

(59) Cfr. Cass., 12 aprile 1990, n. 3146, in Mass. Giur. it. 1990; Cass., 23 ottobre<br />

1989, n. 4304, in Mass. Giur. it. 1989; Cass., 2 marzo 1989, n. 1178, in Mass. Giur. it.<br />

1989; Cass., 5 giugno 1984, n. 3397, in Giust. civ. 1984, I, 3331; Cass., 14 aprile 1982, n.<br />

2250, in Mass. Giur. it. 1982. In ispecie, la giurisprudenza fa applicazione di questa nozione<br />

<strong>del</strong>la continenza (c.d. qualitativa) soprattutto in relazione alle domande che si ricollegano<br />

allo stesso rapporto negoziale.<br />

(60) Cfr. G. Scarselli, Note in tema di continenza di cause nel processo ordinario di<br />

cognizione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1986, 1397 ss.; E. Merlin, Su alcune ricorrenti<br />

questioni in tema di procedimento monitorio, continenza e azione in prevenzione <strong>del</strong> debitore,<br />

in Giur. it. 1989, I, 2, 601 ss.; Menchini, Sospensione <strong>del</strong> processo civile, cit., 6 ss.


522<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

attuale o potenziale e/o nel pericolo di reiterazione dei comportamenti anticoncorrenziali<br />

e nel nesso di causalità con la condotta vietata).<br />

In forza <strong>del</strong>l’art. 39, comma 2°, c.p.c. le cause potrebbero in astratto essere<br />

riunite sempre in capo alle Corti d’Appello (61), indipendentemente dal criterio<br />

di prevenzione, a mente <strong>del</strong> carattere esclusivo <strong>del</strong>la competenza attribuita a<br />

queste ultime in materia antitrust; tuttavia, ciò dovrebbe escludersi, stante il carattere<br />

in thesi eccezionale <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong>le stesse Corti.<br />

L’applicazione <strong>del</strong>la continenza, per la soluzione <strong>del</strong>la (parziale) duplicazione<br />

dei giudizi, che si presenta nella fattispecie più volte ipotizzata, non risulta<br />

a fortiori praticabile, ove il provvedimento inibitorio richiesto sia relativo<br />

ad un comportamento anticoncorrenziale interferente con diritti di privativa industriale,<br />

nel qual caso la causa dovrebbe essere attribuita alla competenza<br />

esclusiva <strong>del</strong>le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />

(art. 3, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168). Difatti, in tale eventualità – il cui<br />

verificarsi non è per nulla improbabile – nessuno dei giudici interessati dalla<br />

duplicazione sarebbe in apicibus competente a conoscere la causa instaurata<br />

avanti all’altro giudice. Né sarebbe possibile, in questo caso, applicare la disposizione<br />

di cui all’art. 295 c.p.c., che, come si è visto, ha un ambito di applicazione<br />

<strong>del</strong> tutto diverso rispetto a quello <strong>del</strong>la continenza (62).<br />

––––––––––––<br />

(61) Contra Tavassi, I rapporti tra i giudizi avanti alla Corte di Appello ed al Tribunale,<br />

cit., 190 s., secondo la quale « l’istituto [<strong>del</strong>la continenza] … non pare … utilizzabile<br />

perché le norme sulla continenza non sono applicabili quando la causa<br />

« contenuta » (se avanti la Corte d’Appello) sia oggetto di competenza per materia o per<br />

territorio e venendo – diversamente – la causa riunificanda (se pendente avanti al Tribunale)<br />

a perdere un grado di giurisdizione ». Tale osservazione, tuttavia, non risulta di per<br />

sé decisiva, perché l’eliminazione <strong>del</strong>la (parziale) duplicazione dei giudizi potrebbe essere<br />

attuata in astratto attraverso la riunione <strong>del</strong>le cause avanti la Corte d’Appello, nonostante<br />

la competenza sia stata stabilita dal legislatore in capo alla Corte d’Appello, quale<br />

giudice di unico grado. Neppure la conseguenza necessaria, consistente nella perdita di<br />

un grado di giudizio, sembra consentire una diversa soluzione, perché l’esigenza di evitare<br />

un conflitto pratico tra decisioni su una causa (in questo caso rappresentata dall’accertamento<br />

<strong>del</strong>la violazione antitrust) prevarrebbe sul principio (derogabile) <strong>del</strong>la normale<br />

predisposizione di un doppio grado di giurisdizione di merito (cfr. E.F. Ricci, Doppio<br />

grado di giurisdizione (principio <strong>del</strong>), I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., vol.<br />

XII, Roma 1989, 1 ss., v. spec. 3). Al più, la perdita di un grado di giudizio nel caso di<br />

specie potrebbe essere di per sé assimilata ad un mutamento di rito, necessario al fine di<br />

consentire la riassunzione avanti il giudice competente (arg. dall’art. 40, comma 4°,<br />

c.p.c.) e favorire la piena esplicazione <strong>del</strong>le finalità di cui all’art. 33, comma 2°, legge<br />

antitrust, consistenti nella rapidità <strong>del</strong>lo svolgimento dei procedimenti antitrust e nell’effettività<br />

all’applicazione <strong>del</strong>le disposizioni sulla concorrenza.<br />

(62) In dottrina si è avvertito che il diverso ambito di applicazione, rispettivamente,<br />

<strong>del</strong>la litispendenza (e analogo discorso è a dirsi per l’istituto <strong>del</strong>la continenza) e <strong>del</strong>la<br />

sospensione necessaria, esclude qualsiasi possibilità di ricorrere a quest’ultima, quando la


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 523<br />

A tenore <strong>del</strong>l’interpretazione restrittiva <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust<br />

si potrebbe verificare, perciò, l’eventualità di un conflitto pratico tra giudicato<br />

insuscettibile di essere risolto in via preventiva durante la contemporanea<br />

pendenza dei giudizi interessati dalla duplicazione. Sicché la soluzione di tale<br />

conflitto sarebbe affidata al passaggio in giudicato di una <strong>del</strong>le sentenze che definiscano<br />

nel merito la causa instaurata avanti al Tribunale, al Giudice di Pace o<br />

alla Corte d’Appello, che consentirebbe il rilievo <strong>del</strong> precedente giudicato o la<br />

proposizione <strong>del</strong> rimedio impugnatorio di cui all’art. 395, n. 5, c.p.c., ovvero<br />

potrebbe rendersi necessario il ricorso al criterio cronologico, in base al quale il<br />

giudicato intervenuto per secondo prevale sul primo (63).<br />

In definitiva, l’interpretazione restrittiva <strong>del</strong> precetto di cui all’art. 33,<br />

comma 2°, legge antitrust pone gravi problemi di coordinamento dei giudizi<br />

instaurati avanti Corti d’Appello con quelli introdotti davanti ad organi giudiziari<br />

diversi.<br />

Allo stesso tempo, di per sé tale lettura non sembra funzionale con quella<br />

che appare, con più semplicità e immediatezza, la ratio <strong>del</strong>la norma sulla competenza<br />

in materia antitrust, la quale plausibilmente consiste nell’attribuire in<br />

via esclusiva alle Corti d’Appello l’applicazione <strong>del</strong>le disposizioni poste dal<br />

legislatore <strong>del</strong> 1990 a tutela <strong>del</strong>la concorrenza.<br />

Conseguentemente, si ritiene che l’art. 33, comma 2°, debba essere inteso<br />

nel senso che le Corti d’Appello siano gli unici organi competenti a conoscere<br />

ed accertare la sussistenza di violazioni <strong>del</strong>le disposizioni antitrust, indipendentemente<br />

dal rimedio richiesto dalle parti in forza <strong>del</strong>le norme civilistiche e,<br />

quindi, anche ove venga richiesta l’inibitoria avverso comportamenti anticoncorrenziali<br />

(64).<br />

Sul piano applicativo tale soluzione ha il pregio di escludere qualsiasi problema<br />

di coordinamento tra giudizi, almeno in relazione alla richiesta di tutela<br />

da parte <strong>del</strong>l’A.g.o. L’interpretazione estensiva <strong>del</strong>l’art. 33 legge antitrust, in<br />

altre parole, farebbe sì che il processo venga instaurato avanti la Corte d’Appello,<br />

quale giudice esclusivamente competente, e ciò anche per l’ipotesi in cui<br />

le cause antitrust presentino una « interferenza » con questioni di privativa in-<br />

––––––––––––<br />

prima non si ritenga in concreto applicabile (cfr. su questo punto V. Colesanti, Mutamenti<br />

giurisprudenziali in materia processuale: la litispendenza, in Riv.dir. proc. 2004, 378 ss.,<br />

v. spec. 379 s.).<br />

(63) Cfr. G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli 1923, 900;<br />

F. Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, I, Padova 1936, 314; E.T. Liebman,<br />

Giudicato, I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., XV, Roma 1989, 5. In giurisprudenza<br />

cfr. per tutte Cass., 27 gennaio 1993, n. 997, in Inf. prev. 1993, 391; Cass., 25 gennaio<br />

1993, n. 883, in Mass. Foro it. 1993, 80.<br />

(64) In questo senso, in consapevole dissenso con l’indirizzo al momento prevalente<br />

in giurisprudenza, App. Roma, 6 febbraio 2002, cit.; App. Bologna, 20 settembre<br />

1995, cit.


524<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

dustriale e intellettuale ai sensi <strong>del</strong>l’art. 3 d.lgs. n. 168 <strong>del</strong> 2003. Difatti, si dovrebbe<br />

ritenere che anche in questo caso, in base al principio di specialità <strong>del</strong>la<br />

materia antitrust, l’inibitoria debba essere decisa dalle Corti d’Appello, designati<br />

quali giudici esclusivamente competenti sulle violazioni <strong>del</strong>le disposizioni<br />

sulla concorrenza.<br />

6. – L’art. 134, comma 1°, <strong>del</strong> codice dei diritti di proprietà industriale<br />

(d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) prevede l’attribuzione alla competenza <strong>del</strong>le sezioni<br />

specializzate istituite con il d.lgs. n. 168 <strong>del</strong> 2003 riguardo agli « illeciti<br />

afferenti all'esercizio di diritti di proprietà industriale ai sensi <strong>del</strong>la legge 10 ottobre<br />

1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 <strong>del</strong> Trattato UE ».<br />

Tale disposizione è stata oggetto di critiche proprio per la difficoltà di coordinamento<br />

dei giudizi, che – a tenore di tale formulazione – dovrebbero essere<br />

instaurati avanti le sezioni specializzate di diritto industriale, e quelli eventualmente<br />

pendenti avanti le Corti d’Appello ai sensi <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°,<br />

legge antitrust. Il che renderebbe ancora più incerta l’osservanza dei principi di<br />

semplificazione ed efficacia <strong>del</strong>l’attuazione <strong>del</strong> diritto comunitario sulla concorrenza,<br />

a cui s’ispira il Reg. CE n. 1 <strong>del</strong> 2003, da parte <strong>del</strong>l’ordinamento interno<br />

(65).<br />

Peraltro, alla luce di quanto già osservato, l’introduzione <strong>del</strong>la disposizione<br />

contenuta nel codice dei diritti di proprietà industriale comporta la possibilità<br />

di una duplicazione (parziale) dei giudizi, in relazione all’accertamento <strong>del</strong>le<br />

violazioni antitrust, insuscettibile di essere risolta con l’applicazione <strong>del</strong>l’isti-<br />

––––––––––––<br />

(65) Nell’ottobre 2003 il Ministero <strong>del</strong>le attività produttive ha avviato alcune consultazioni<br />

informali su un articolato volto a dare attuazione alla <strong>del</strong>ega di cui all’art. 15<br />

<strong>del</strong>la legge n. 273 <strong>del</strong> 2002. Di seguito, e precisamente nella riunione <strong>del</strong> 10 settembre<br />

2004, il Consiglio dei Ministri, su proposta <strong>del</strong>lo stesso Ministro <strong>del</strong>le attività produttive,<br />

ha approvato uno schema di decreto legislativo recante il riassetto <strong>del</strong>le disposizioni in<br />

materia di proprietà industriale, che è stato successivamente sottoposto all’esame <strong>del</strong><br />

Parlamento, il quale in merito ha avviato una serie di audizioni informali.<br />

In tali occasioni da più parti sono state manifestate perplessità in ordine<br />

all’estensione <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong>le sezioni specializzate in materia antitrust sia pure<br />

quando siano afferenti all’esercizio di privative industriali (cfr. Lettera di Adriano Vanzetti<br />

al Ministro <strong>del</strong>le attività produttive <strong>del</strong> 7 novembre 2003, in www.ubertazzi.it/it/codiceip/materiali/Vanzetti.pdf,<br />

5; nonché Codice dei diritti di proprietà industriale: le osservazioni<br />

<strong>del</strong>l’industria italiana. Testo <strong>del</strong>l’audizione di Confindustria alla X Commissione<br />

permanente <strong>del</strong>la Camera dei Deputati <strong>del</strong> 30 novembre 2004, in www.confindustria.it).<br />

Tali osservazioni sono certamente da condividere, tanto più che il rimedio<br />

proposto nel codice dei diritti di proprietà industriale presenta conseguenze più problematiche<br />

– in termini di possibili duplicazioni dei giudizi nell’accertamento <strong>del</strong>le violazioni<br />

antitrust – <strong>del</strong> « male » che intende curare (i.e. l’impossibilità di realizzare la trattazione<br />

simultanea <strong>del</strong>le cause antitrust e di quelle di proprietà industriale eventualmente<br />

connesse).


LA COMPETENZA SULL’INIBITORIA ANTITRUST 525<br />

tuto <strong>del</strong>la continenza, né altrimenti risolvibile con la sospensione necessaria di<br />

cui all’art. 295 c.p.c.<br />

Semmai le più recenti riforme <strong>del</strong>la disciplina antitrust, compiute nei<br />

maggiori paesi europei anche al fine di dare attuazione ai principi ispiratori <strong>del</strong><br />

nuovo sistema comunitario sulla concorrenza, testimoniano che l’orientamento,<br />

che dovrebbe ispirare i conditores di un riordino in materia, debba piuttosto essere<br />

quello di stabilire norme volte a favorire tanto l’esigenza di una sollecita e<br />

snella definizione dei giudizi, quanto quella di evitare conflitti tra decisioni<br />

aventi ad oggetto l’accertamento d’illeciti antitrust in relazione allo stesso<br />

comportamento.<br />

L’attribuzione di una parte <strong>del</strong>la competenza antitrust alle sezioni specializzate<br />

di diritto industriale aggrava una situazione, già resa critica, sotto il profilo<br />

<strong>del</strong> coordinamento dei giudizi, da una prassi applicativa <strong>del</strong>l’art. 33, comma<br />

2°, legge antitrust, che ha visto sin qui il prevalere di letture restrittive<br />

<strong>del</strong>l’ambito <strong>del</strong>la competenza esclusiva attribuito alle Corti d’Appello, assecondando<br />

una tendenza che, a parere di chi scrive, non è rispondente al dato normativo<br />

vigente, in quanto non è giustificata dalla ratio <strong>del</strong>la disposizione più<br />

volte citata, né dai principi ispiratori <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> ’90.<br />

In ottica di riforma si tratterebbe piuttosto di intervenire in modo organico,<br />

eliminando anche la giurisdizione esclusiva <strong>del</strong> giudice amministrativo in materia<br />

d’impugnazione dei provvedimenti <strong>del</strong>l’Autorità Garante, là dove quest’ultima<br />

non esprima una vera e propria discrezionalità amministrativa nell’accertamento<br />

degli illeciti antitrust, a favore dei giudici ordinari competenti in<br />

via esclusiva ad accertare la violazione <strong>del</strong>le disposizioni antitrust. In tale occasione<br />

si potrebbe migliorare, sul piano <strong>del</strong>la tecnica legislativa, la disposizione<br />

relativa alla competenza esclusiva antitrust, chiarendo che quest’ultima sussiste<br />

sempre, nel merito, come in sede cautelare, al di là degli specifici rimedi attualmente<br />

richiamati dal disposto <strong>del</strong>l’art. 33, comma 2°, legge antitrust.<br />

Riguardo alla scelta dei giudici a cui destinare la competenza esclusiva in<br />

ambito antitrust, occorre considerare che la soluzione adottata dal legislatore<br />

<strong>del</strong> 1990 a favore <strong>del</strong>la Corte d’Appello, quale giudice in unico grado, è ispirata<br />

dall’esigenza di rapidità dei giudizi ed è volta a favorire la formazione di<br />

un’elevata specializzazione e professionalità dei giudicanti in materia antitrust.<br />

Nondimeno, bisogna valutare con attenzione l’opportunità di attribuire tale<br />

competenza alle sezioni specializzate di diritto industriale (66), soprattutto alla<br />

luce <strong>del</strong>le frequenti possibilità di connessione tra le cause antitrust e quelle<br />

aventi ad oggetto diritti di privativa industriale o di proprietà intellettuale. Tanto<br />

più che, con l’introduzione <strong>del</strong>la competenza esclusiva in materia di proprietà<br />

industriale e intellettuale a favore <strong>del</strong>le sezioni specializzate, istituite presso le<br />

––––––––––––<br />

(66) In questo senso già Scuffi, Le sezioni specializzate di diritto industriale,<br />

cit., 219, sulla base <strong>del</strong> rilievo <strong>del</strong>la contiguità <strong>del</strong>la materia trattata da tali sezioni e <strong>del</strong>la<br />

professionalità da esse acquisita.


526<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Corti d’Appello e i Tribunali specificamente individuati nel d.lgs. n. 168 <strong>del</strong><br />

2003, il sistema vigente non consente altrimenti la realizzazione <strong>del</strong> cumulo di<br />

cause nelle ipotesi appena richiamate.<br />

I confini imposti dall’oggetto <strong>del</strong> presente studio, poi, impediscono di approfondire<br />

ulteriormente la materia, in vista <strong>del</strong>le numerose altre ragioni per cui<br />

si rende opportuna una riforma organica <strong>del</strong>la disciplina processuale antitrust,<br />

nell’ottica <strong>del</strong>la realizzazione di un coordinamento con l’attività, rivolta all’attuazione<br />

<strong>del</strong>le norme interne e comunitarie sulla concorrenza, <strong>del</strong>l’Autorità<br />

Garante, <strong>del</strong>la Commissione, nonché <strong>del</strong>le autorità amministrative e dei giudici<br />

degli altri paesi membri <strong>del</strong>la CE. Nondimeno, si può affermare che anche alla<br />

luce di tali finalità la previsione di un’unica competenza esclusiva nell’accertamento<br />

<strong>del</strong>la violazione <strong>del</strong>le disposizioni antitrust appare fortemente auspicabile.<br />

ANTONINO BARLETTA<br />

Professore associato<br />

nell’Università Cattolica <strong>del</strong> Sacro Cuore


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE<br />

CIVILE E VIOLAZIONE DI NORME IMPERATIVE<br />

DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.<br />

CONSIDERAZIONI IN MARGINE AL CASO FERRINI<br />

Tra le ipotesi nelle quali si è sempre costantemente ritenuto che uno Stato<br />

straniero potesse legittimamente eccepire la propria immunità dalla giurisdizione<br />

civile di un altro Stato, quelle connesse all’avvenuto esercizio di azioni di<br />

guerra o comunque di atti compiuti nel contesto di un conflitto armato non hanno<br />

mai suscitato particolari perplessità, trattandosi di situazioni che costituiscono<br />

tipica esternazione di sovranità, tali quindi da poter giustificare l’esenzione<br />

indicata. Derogando alle consuetudini internazionali vigenti in tema di immunità,<br />

alcune recenti manifestazioni giurisprudenziali e tra queste, ultima in ordine<br />

di tempo, una pronuncia <strong>del</strong>la Cassazione italiana, sembrerebbero peraltro<br />

voler inaugurare una tendenza al superamento <strong>del</strong> criterio appena enunciato,<br />

perlomeno nei casi in cui gli organi di uno Stato, anche operando in teatro bellico,<br />

abbiano commesso o concorso a commettere serie violazioni di norme imperative<br />

<strong>del</strong> diritto internazionale generale. Con la sentenza 11 marzo 2004, n.<br />

5044, Ferrini c. Repubblica federale di Germania (1), le Sezioni Unite <strong>del</strong>la<br />

––––––––––––<br />

(1) In Giust. civ. 2004, I, 1191 ss. con nota di Baratta, L’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione<br />

civile sullo Stato straniero autore di un crimine di guerra, ivi, 1200 ss.; in Cass. pen.<br />

2004, 1031 ss. con nota di Ciampi, Crimini internazionali e giurisdizione, ivi, 2656 ss.; in<br />

Riv. dir. int. 2004, 539 ss. con nota di Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli<br />

Stati dalla giurisdizione nella sentenza Ferrini, ivi, 643 ss.; in Diritto e giustizia, 15,<br />

2004, 28 ss. con nota di Nappi, Diritti inviolabili, apertura coraggiosa ma ancora troppo<br />

limitata, ivi, 24 ss.; in Guida al diritto, 14, 2004, 34 ss. con nota di Ronzitti, Un cambio<br />

di orientamento <strong>del</strong>la Cassazione che favorisce i risarcimenti <strong>del</strong>le vittime, ivi, 38 ss.; in<br />

Diritto e giurisprudenza 2004, 505 ss. con nota di Sico, Sulla immunità dalla giurisdizione<br />

italiana <strong>del</strong>la Repubblica Federale di Germania in rapporto alle conseguenze patrimoniali<br />

di atti compiuti dalle forze armate tedesche in Italia nell’anno 1944. Su di essa<br />

v. inoltre Iovane, The Ferrini Judgment of the Italian Supreme Court: Opening Up Domestic<br />

Courts to Claims of Reparation for Victims of Serious Violations of Fundamental<br />

Human Rights, in Italian Yearbook of International Law 2004, 165 ss.; Bianchi, Ferrini<br />

v. Federal Republic of Germany. Italian Court of Cassation, March 11, 2004, in American<br />

Journal of International Law 2005, 242 ss.; De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati<br />

dalla giurisdizione e violazioni di diritti <strong>del</strong>l’uomo: la sentenza <strong>del</strong>la Cassazione italiana<br />

nel caso Ferrini, in Giur. it. 2005, 255 ss.; Id., State Immunity and Human Rights: The


528<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Corte di Cassazione hanno infatti ritenuto sussistente la giurisdizione italiana in<br />

relazione a una controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni causati<br />

a un individuo per l’internamento in un campo di prigionia nazista durante la<br />

Seconda Guerra Mondiale (2).<br />

Alla pronuncia <strong>del</strong>la Cassazione è stato giustamente dato ampio risalto<br />

dalla dottrina, che l’ha commentata in senso sia adesivo sia critico, in quanto<br />

essa, configurando la deportazione e il lavoro forzato quali crimini internazionali<br />

gravemente lesivi dei diritti fondamentali <strong>del</strong>la persona umana e pertanto<br />

non soggetti a prescrizione, e affermando al tempo stesso che l’obbligo di contrastarli<br />

è espressione di norme inderogabili collocate al vertice <strong>del</strong>l’ordinamento<br />

giuridico internazionale, prevalenti su qualsiasi altra disposizione di tipo<br />

sia consuetudinario sia convenzionale, ha negato alla parte convenuta l’immunità<br />

dalla giurisdizione italiana nonostante la dinamica dei fatti, che avevano<br />

avuto il loro inizio in Italia, avesse denotato il coinvolgimento di un altro Stato<br />

con l’esecuzione di attività di stampo pubblicistico. Tale provvedimento, dunque,<br />

proprio per la presenza di circostanze atte a violare norme di ius cogens,<br />

offre una chiave di lettura fortemente innovativa e più attenta di situazioni per<br />

le quali, rinvenendosi l’esercizio di potestà di imperio in capo allo Stato interessato,<br />

collegate oltretutto al compimento di operazioni di guerra, si sarebbe invece<br />

più facilmente portati a invocare e ad applicare il principio <strong>del</strong>l’immunità,<br />

anche considerando quest’ultima nella sua più attuale accezione di immunità<br />

ristretta o relativa.<br />

La sentenza n. 5044 <strong>del</strong> 2004, come giustamente sottolineato da diversi<br />

Autori, si distingue sotto il profilo <strong>del</strong> metodo seguito nella rilevazione e nella<br />

configurazione <strong>del</strong>le norme internazionali richiamate, denotando un significativo<br />

e raro sforzo per il reperimento e l’indagine critica dei dati <strong>del</strong>la prassi internazionale<br />

e interna pertinenti, nonché per l’importanza <strong>del</strong> risultato raggiunto e<br />

per le conseguenze che ne potrebbero auspicabilmente scaturire (3). Il reale<br />

––––––––––––<br />

Italian Supreme Court Decision on the Ferrini Case, in European Journal of International<br />

Law 2005, 89 ss.; Gattini, War Crimes and State Immunity in the Ferrini Decision, in<br />

Journal of International Criminal Justice 2005, 224 ss.<br />

(2) La vicenda processuale aveva preso avvio il 23 settembre 1998, quando un cittadino<br />

italiano, che il 4 agosto 1944 era stato catturato in Toscana da militari <strong>del</strong>la<br />

Wehrmacht durante un’azione di ritorsione condotta contro la popolazione civile, deportato<br />

nel tristemente famoso lager di Kahla (situato nei pressi <strong>del</strong>la città di Jena, in Turingia)<br />

e utilizzato per circa un anno come lavoratore forzato da imprese tedesche produttrici<br />

di materiale bellico (la Reichsmarschall Hermann Göring-Reimahg Werke e la Messerschmitt),<br />

aveva citato dinanzi al Tribunale di Arezzo la Repubblica federale di Germania<br />

al fine di poter essere risarcito dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in occasione<br />

<strong>del</strong> suddetto periodo detentivo.<br />

(3) Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2668 s.; Gianelli, Crimini internazionali ed<br />

immunità degli Stati, cit., 644 e 683; Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 169; Nappi, Di-


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 529<br />

valore <strong>del</strong>la decisione <strong>del</strong> Supremo Collegio, pur nella sua novità, potrà peraltro<br />

essere valutato con maggiore consapevolezza soltanto dopo la conclusione <strong>del</strong><br />

processo di primo grado riapertosi per effetto <strong>del</strong>la sentenza stessa (4) e alla luce<br />

degli esiti <strong>del</strong> successivo processo di esecuzione, anche perché <strong>del</strong> tutto irrisolto<br />

rimane il problema <strong>del</strong>l’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione esecutiva<br />

e, come meglio si vedrà in seguito, nei pochi casi in cui finora in altri ordinamenti<br />

si è giunti a determinazioni analoghe a quelle qui analizzate, il risultato<br />

concreto in favore dei vari ricorrenti è stato vanificato o nella fase esecutiva<br />

o nelle ulteriori fasi di gravame, venendo confermata in un modo o nell’altro la<br />

sostanziale immunità <strong>del</strong>lo Stato straniero. Il contributo offerto dalla decisione<br />

in commento si rivela in sintonia con le posizioni più avanzate finora espresse<br />

in tema di tutela giudiziaria dei diritti fondamentali <strong>del</strong>l’uomo ma non <strong>del</strong>inea<br />

di certo uno scenario pienamente consolidato né tantomeno, dal punto di vista<br />

<strong>del</strong> suo contenuto e <strong>del</strong>le sue possibili implicazioni, appare privo di limiti o<br />

esente da interrogativi.<br />

La chiave di volta <strong>del</strong> ragionamento seguito dalla Corte nel caso di specie<br />

è evidentemente data dalla valutazione <strong>del</strong> tipo di comportamento concretamente<br />

riscontrato, per cui è sembrato opportuno domandarsi se l’immunità giurisdizionale<br />

di uno Stato possa essere invocata in presenza di atti che, per usare<br />

le stesse parole dei giudici di legittimità, denotano « (…) connotati di estrema<br />

gravità, configurandosi, in forza di norme consuetudinarie, quali crimini internazionali,<br />

in quanto lesivi di valori universali che trascendono gli interessi <strong>del</strong>le<br />

singole comunità statali ».<br />

In effetti, i fenomeni <strong>del</strong>la deportazione di individui e <strong>del</strong>l’assoggettamento<br />

di questi ultimi ai lavori forzati, da meri atti illeciti ricadenti unicamente sotto la<br />

responsabilità <strong>del</strong>le diverse comunità statali, si sono progressivamente trasformati<br />

in crimini idonei a provocare il coinvolgimento anche <strong>del</strong>l’individuo-organo che<br />

––––––––––––<br />

ritti inviolabili, cit., 25; Ronzitti, Un cambio di orientamento, cit., 38; Bianchi, Ferrini v.<br />

Federal Republic of Germany, cit., 245; De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla<br />

giurisdizione, cit., 255 s.; Id., State Immunity and Human Rights, cit., 91; Gattini, War<br />

Crimes, cit., 242.<br />

(4) Il giudizio si era instaurato sulla sola questione di giurisdizione, non avendo la<br />

controparte accettato il contraddittorio sul merito, e aveva visto l’attore soccombere sia in<br />

primo che in secondo grado: sia il Tribunale di Arezzo, con sentenza <strong>del</strong> 3 novembre<br />

2000, sia la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza <strong>del</strong> 14 gennaio 2002 (cassata con<br />

rinvio nonostante le conclusioni difformi <strong>del</strong> Pubblico Ministero) erano stati infatti concordi<br />

nel rilevare il difetto di giurisdizione poiché la domanda attorea era basata su azioni<br />

poste in essere da uno Stato straniero nell’esercizio <strong>del</strong>la sua sovranità e perciò sottratte<br />

alla cognizione <strong>del</strong> giudice italiano. Cfr. sul punto Ciampi, Crimini internazionali, cit.,<br />

2659 s.; Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 166; Bianchi, Ferrini v. Federal Republic of<br />

Germany, cit., 242; De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit., 256;<br />

Id., State Immunity and Human Rights, cit., 93; Gattini, War Crimes, cit., 226.


530<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

li ha posti in essere e non più soltanto degli Stati in nome dei quali costui ha agito<br />

(5). Dalla sentenza n. 5044 <strong>del</strong> 2004 non emerge però una distinzione tra il<br />

concetto di « crimine internazionale <strong>del</strong>l’individuo » e il concetto di « crimine<br />

internazionale <strong>del</strong>lo Stato » né viene indicata quale sia l’effettiva incidenza dei<br />

dati normativi sulla responsabilità individuale per i crimini internazionali di deportazione<br />

e di sottoposizione a lavoro forzato appena citati (e ampiamente richiamati<br />

nella motivazione <strong>del</strong> provvedimento adottato dalla Suprema Corte come<br />

elementi a sostegno <strong>del</strong> rifiuto <strong>del</strong>l’immunità alla Repubblica federale tedesca)<br />

rispetto alla configurazione di una responsabilità propria <strong>del</strong>lo Stato, profilo<br />

quest’ultimo di sicura rilevanza per il giudizio e che quindi avrebbe certamente<br />

meritato più adeguata evidenza. Si può anzi dire che la Cassazione, confondendo<br />

forse inconsapevolmente le due nozioni di crimine, « a volte dà l’impressione di<br />

esaminare insieme i caratteri <strong>del</strong>la responsabilità penale individuale e <strong>del</strong>la responsabilità<br />

statale; altre volte sembra ritenere che le norme “interstatali” si riferiscano<br />

necessariamente alla responsabilità <strong>del</strong>lo Stato » (6). La qualificazione<br />

<strong>del</strong>la deportazione e <strong>del</strong> lavoro forzato quali crimini internazionali <strong>del</strong>lo Stato è<br />

emersa in passato in seno alla stessa Commissione di diritto internazionale <strong>del</strong>le<br />

Nazioni Unite, nell’ambito dei lavori per l’elaborazione <strong>del</strong> progetto di articoli<br />

––––––––––––<br />

(5) Per un’analisi <strong>del</strong> processo di codificazione dei crimini internazionali nella sua<br />

evoluzione cfr., con l’ampia letteratura dagli stessi richiamata, Sperduti, voce Crimini<br />

internazionali, in Enc. dir., XI, Milano 1962, 337 ss.; Francioni, voce Crimini internazionali,<br />

in Digesto (pubbl.), IV, Torino 1989, 464 ss.; Ronzitti, voce Crimini internazionali,<br />

in Enc. giur., X, Roma 1988 (1995), 2 ss.; Caracciolo, Dal diritto penale internazionale<br />

al diritto internazionale penale. Il rafforzamento <strong>del</strong>le garanzie giurisdizionali, Napoli<br />

2000, 117 ss.; e Leanza, Il diritto internazionale. Da diritto per gli Stati a diritto per<br />

gli individui, Torino 2002, 297 ss. In argomento v. inoltre Bassiouni, Historical Survey:<br />

1919-1998, in Bassiouni (compiled by), The Statute of the International Criminal Court.<br />

A Documentary History, Ardsley, New York 1998, 1 ss.; von Hebel, An International<br />

Criminal Court-A Historical Perspective, in von Hebel-Lammers-Schukking (eds.), Reflections<br />

on the International Criminal Court, Essays in Honour of Adriaan Bos, The<br />

Hague 1999, 13 ss.; Cassese, From Nuremberg to Rome: International Military Tribunals<br />

to the International Criminal Court, in Cassese-Gaeta-Jones (eds.), The Rome Statute of<br />

the International Criminal Court: A Commentary, I, Oxford 2002, 3 ss.; Treves, Diritto<br />

internazionale. Problemi fondamentali, Milano 2005, 205 ss.<br />

(6) Così Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 672. Secondo<br />

Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 172, tale confusione « (…) could be a positive (…)<br />

indication by the Court about the particular kind of legal regime which is taking shape in<br />

international practice in order to protect the most basic human rights. In this regime, the<br />

responsibility of States and that of individuals both concur in the international protection<br />

of fundamental values in international law ». Sulla tendenza <strong>del</strong>la Corte a considerare<br />

unitariamente i principi sviluppatisi in relazione alla repressione dei crimini internazionali<br />

individuali e quelli attinenti alla responsabilità <strong>del</strong>lo Stato e alle sue conseguenze v.<br />

anche De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit., 258; Id., State<br />

Immunity and Human Rights, cit., 98; Gattini, War Crimes, cit., 229 s.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 531<br />

sulla responsabilità degli Stati per atti illeciti internazionali, con riferimento a<br />

ipotesi, contemplate nell’originario art. 19 <strong>del</strong> progetto medesimo, come la schiavitù<br />

(alla quale possono direttamente ricondursi le due fattispecie qui esaminate),<br />

il genocidio e l’apartheid nonché alle violazioni gravi e su larga scala di obblighi<br />

internazionali di importanza essenziale per la salvaguardia <strong>del</strong>l’essere umano (7).<br />

Un regime di responsabilità aggravata pari a quello teoricamente previsto dalla<br />

norma appena citata, assai contestato e discusso, non sembra peraltro aver trovato<br />

riscontro nella prassi. Il serrato dibattito dottrinale sviluppatosi in proposito ha<br />

anzi indotto la Commissione a cancellare la disposizione stessa dal testo e a sostituirla<br />

con l’attuale art. 41 (espressamente menzionato dal Collegio nella motivazione<br />

<strong>del</strong>la sentenza) il quale però, occupandosi, come si avrà modo di notare<br />

in seguito (8), <strong>del</strong>le particolari conseguenze derivanti dalla violazione grave di<br />

una norma cogente, continua pur sempre ad accogliere al riguardo una nozione di<br />

crimine intesa come violazione grave dei valori fondamentali <strong>del</strong>la Comunità internazionale<br />

(9). Nel ragionamento <strong>del</strong>la Corte, perciò, un collegamento tra le<br />

––––––––––––<br />

(7) Cfr. i commenti <strong>del</strong> rapporteur speciale Ago ai proposti artt. 18 e 19 <strong>del</strong> progetto,<br />

riportati da Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 672, nt. 123. Rispetto<br />

alla prima norma, il relatore sosteneva tra l’altro che la violazione degli obblighi essenziali<br />

in essa indicati comportava sia la responsabilità personale <strong>del</strong>l’individuo-organo<br />

autore dei crimini sia la sottomissione <strong>del</strong>lo Stato a un regime di responsabilità speciale.<br />

Quanto alla avvenuta menzione <strong>del</strong>la schiavitù, <strong>del</strong> genocidio e <strong>del</strong>l’apartheid, lo stesso<br />

Ago precisava che « (…) il existe évidemment d’autres crimes internationaux résultant de<br />

la violation d’obligations en rapport avec la sauvegarde de l’être humain, comme le massacre<br />

de prisonniers de guerre ou la déportation de populations. Si le Comité de rédaction<br />

n’a pas fourni plus d’examples, c’est pour ne pas donner l’impression que la liste (…) voudrait<br />

être exhaustive et pour éviter d’aborder les crimes visés par les conventions de droit<br />

humanitaire, domaine dans le quel il peut être très difficile de faire une distinction entre les<br />

crimes internationaux et les autres faits internationalement illicites ». In dottrina v. Iovane,<br />

La tutela dei diritti fondamentali nel diritto internazionale, Napoli 2000, 20 ss.; Rosenne,<br />

State Responsibility and International Crimes: Further Reflections on Article 19 of the<br />

Draft Articles on State Responsibility, in New York University Journal of International Law<br />

and Politics 2001, 145 ss.; e Picone, Obblighi erga omnes e codificazione <strong>del</strong>la responsabilità<br />

degli Stati, in Riv. dir. int. 2005, 897 ss. (riprodotto in Comunità internazionale e obblighi<br />

« erga omnes ». Studi critici di diritto internazionale, Napoli 2006, 593 ss.) nonché gli<br />

Autori da essi richiamati.<br />

(8) Cfr. infra, nt. 36.<br />

(9) Per una ricostruzione sistematica degli sforzi effettuati in seno alla Commissione<br />

di diritto internazionale <strong>del</strong>l’ONU ai fini di una revisione dei differenti aspetti <strong>del</strong>l’art.<br />

19 <strong>del</strong> progetto di articoli nel contesto <strong>del</strong>la responsabilità degli Stati, esemplificativi appaiono<br />

i rapporti presentati dal rapporteur speciale Arangio Ruiz tra il 1986 e il 1996, in<br />

particolare, tra gli altri, i Rapporti V <strong>del</strong> 1993 e VII <strong>del</strong> 1995 (entrambi menzionati da<br />

Ciciriello, L’aggressione in diritto internazionale. Da « crimine » di Stato a crimine<br />

<strong>del</strong>l’individuo, Napoli 2002, 58, nt. 68). Cfr. altresì, per una lettura critica <strong>del</strong> nuovo approccio<br />

<strong>del</strong>la Commissione Crawford-Bodeau-Peel, La seconde lecture du projet


532<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

norme concernenti i crimini individuali e quelle relative a illeciti di particolare<br />

gravità degli Stati sussiste dato che in entrambi gli ambiti sia la deportazione di<br />

individui sia l’assoggettamento di questi a pratiche di lavoro forzato vengono<br />

proibiti e puniti, in quanto crimini internazionali ormai codificati nel primo caso,<br />

a causa <strong>del</strong>la gravità e <strong>del</strong>la sistematicità <strong>del</strong>la condotta tenuta e ritenuta fortemente<br />

lesiva di consuetudini espressive di valori universalmente avvertiti nel secondo<br />

caso. I giudici di legittimità hanno seguito l’approccio dominante nella<br />

prassi internazionale relativa alle gross violations dei diritti umani: quello di concentrarsi<br />

sulla sostanza <strong>del</strong> valore internazionalmente protetto e su tutti i possibili<br />

rimedi che il diritto internazionale pone a disposizione <strong>del</strong>la persona vittima <strong>del</strong><br />

crimine. In tale prospettiva, non è di primaria importanza stabilire chi ha commesso<br />

il crimine bensì accertare quali diritti fondamentali sono stati violati e attivare<br />

conseguentemente gli opportuni rimedi (10). La deportazione e il lavoro forzato<br />

hanno quindi subito una evoluzione concettuale e normativa che, pur trovando<br />

nel diritto internazionale penale il suo ambito operativo naturale e pur esprimendo<br />

nella responsabilità penale internazionale degli individui il suo elemento<br />

di spicco e la sua chiave di lettura oggi più immediata, è ugualmente in grado di<br />

far comprendere quale sia il motivo giustificatore <strong>del</strong> diniego di immunità dalla<br />

giurisdizione civile sancito dalla Cassazione nel caso qui affrontato e in quali<br />

elementi vadano rinvenuti i fondamenti <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong> giudice italiano<br />

conseguentemente riconosciuta. Le Sezioni Unite, sostanzialmente, intravedono<br />

uno stretto nesso tra crimine individuale e crimine <strong>del</strong>lo Stato, immaginando un<br />

regime internazionale unitario incentrato sulla figura <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong>la violazione<br />

e sui possibili rimedi, anche di tipo civilistico, messi a loro disposizione, senza<br />

tenere conto <strong>del</strong> fatto che la violazione stessa sia stata commessa da uno Stato, da<br />

un organo statale o da un singolo; esse ritengono di conseguenza che esigenze di<br />

coerenza <strong>del</strong> sistema impongano di negare l’immunità <strong>del</strong>lo Stato negli stessi casi<br />

in cui non viene riconosciuta l’immunità <strong>del</strong>l’organo (11).<br />

Nel quadro <strong>del</strong> sempre maggiore interesse dimostrato per i comportamenti<br />

––––––––––––<br />

d’articles sur la responsabilité des Etats de la Commission du droit international. Evolution<br />

ou bouleversement?, in Rev. gén. dr. int. publ. 2000, 911 ss. e Iovane, The Activity of<br />

the International Law Commission during its 52 nd Session: A Critical Appraisal, in Italian<br />

Yearbook of International Law 2000, 207 ss.<br />

(10) V. in tal senso Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 173.<br />

(11) Così Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 675. Cfr.<br />

inoltre Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 175 e Gattini, War Crimes, cit., 230. A giudizio<br />

di Bianchi, Ferrini v. Federal Republic of Germany, cit., 245, peraltro, « (…) to hold<br />

that deportation and forced labor are well-established individual crimes under international<br />

law does not imply that they are necessarily international crimes of States as<br />

such ». Sul collegamento tra immunità funzionale e immunità <strong>del</strong>lo Stato dalla giurisdizione<br />

cfr. ampiamente De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit.,<br />

261 ss.; Id., State Immunity and Human Rights, cit., 104 ss.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 533<br />

che costituiscono violazioni dei principi fondamentali <strong>del</strong>la Comunità internazionale,<br />

deportazione e lavoro forzato si inseriscono dunque a pieno titolo nei<br />

processi di formazione <strong>del</strong>la norma consuetudinaria che concepisce determinate<br />

azioni come crimini in quanto direttamente lesive di interessi superiori <strong>del</strong>l’ordinamento<br />

internazionale e <strong>del</strong>la norma consuetudinaria sulla responsabilità penale<br />

internazionale <strong>del</strong>l’individuo autore dei crimini stessi (12). Si sono pertanto<br />

formate al riguardo <strong>del</strong>le vere e proprie norme imperative di diritto internazionale<br />

generale, norme consuetudinarie cogenti che, secondo il disposto<br />

<strong>del</strong>l’art. 53 <strong>del</strong>la Convenzione di Vienna <strong>del</strong> 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati,<br />

non possono essere contraddette, a pena di nullità, né da fonti convenzionali<br />

né da altre fonti consuetudinarie. Quanto appena detto viene confermato<br />

dalla stessa giurisprudenza internazionale: la Corte internazionale di giustizia ha<br />

infatti sempre costantemente inquadrato i diritti inviolabili <strong>del</strong>la persona umana<br />

tra i principi fondamentali <strong>del</strong>l’ordinamento internazionale (13), mentre la Camera<br />

di prima istanza <strong>del</strong> Tribunale per la ex Jugoslavia ha ribadito che la violazione<br />

grave dei diritti fondamentali contravviene a norme inderogabili, poste<br />

al vertice <strong>del</strong>l’ordinamento suddetto e prive <strong>del</strong> requisito <strong>del</strong>la flessibilità solitamente<br />

appartenente alle norme consuetudinarie (14).<br />

Nella sentenza in commento, la deroga al principio <strong>del</strong>l’immunità viene<br />

fondata sull’accertata lesione <strong>del</strong>la norma consuetudinaria internazionale che<br />

condanna e reprime le violazioni dei diritti fondamentali <strong>del</strong>l’uomo e viene giu-<br />

––––––––––––<br />

(12) Sulla responsabilità penale internazionale <strong>del</strong>l’individuo v. per tutti Bassiouni,<br />

Le fonti e il contenuto <strong>del</strong> diritto penale internazionale. Un quadro teorico, Milano 1999,<br />

32 ss.; Caracciolo, Dal diritto penale internazionale al diritto internazionale penale, cit.,<br />

196 ss.; Leanza, Il diritto internazionale, cit., 309 ss.; Leanza-Ciciriello, Crimes internationaux<br />

et responsabilité individuelle, in Koufa (ed.), The New International Criminal<br />

Law, Thesaurus Acroasium, XXXII, Athens-Thessaloniki 2003, 503 ss.; Treves, Diritto<br />

internazionale, cit., 205 ss.<br />

(13) V. al riguardo le sentenze emanate il 9 aprile 1949 nel caso <strong>del</strong>lo Stretto di<br />

Corfù (Regno Unito c. Albania), il 5 febbraio 1970 nel caso Barcelona Traction Light &<br />

Power Co. Ltd. (Belgio c. Spagna) e il 27 giugno 1986 nel caso <strong>del</strong>le attività militari e<br />

paramilitari in e contro il Nicaragua (Nicaragua c. Stati Uniti d’America) nonché il parere<br />

consultivo reso il 28 maggio 1951 in merito alle riserve alla Convenzione sulla prevenzione<br />

e la repressione <strong>del</strong> crimine di genocidio (i relativi testi si trovano rispettivamente<br />

pubblicati in International Court of Justice, Reports of Judgments, Advisory Opinions<br />

and Orders of the International Court of Justice, The Hague 1949, 35 ss.; 1970, 32<br />

ss.; 1986, 14 ss.; e 1951, 15 ss.). Cfr. in merito Bassiouni, Crimes against Humanity in<br />

International Law, 2° ed., The Hague-Boston-London 1999, 212 ss.; Id., Le fonti e il<br />

contenuto <strong>del</strong> diritto penale internazionale, cit., 74 ss.<br />

(14) Esemplificative appaiono al riguardo la sentenza 10 dicembre 1998, causa IT-<br />

95-17/1, Procuratore c. Furundžija (in International Legal Materials 1999, 317 ss.) nonché<br />

la sentenza 14 gennaio 2000, causa IT-95-16, Procuratore c. Kupreskić ed altri (in<br />

American Journal of International Law 2002, 439 ss.).


534<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

stificata in base all’antinomia riscontrata tra tale ultima norma, che assume valore<br />

imperativo, e la regola sull’immunità, con conseguente disapplicazione<br />

<strong>del</strong>la seconda (15). La proibizione a livello internazionale <strong>del</strong>la deportazione e<br />

<strong>del</strong> lavoro forzato in quanto comportamenti criminosi, rileva la Corte, viene<br />

sancita dal diritto consuetudinario prima ancora che da quello convenzionale, e<br />

il diritto internazionale generale esprime al riguardo carattere imperativo con<br />

tutte le conseguenze che ne derivano in termini di prevalenza rispetto ad altre<br />

fonti internazionali, di imprescrittibilità <strong>del</strong>l’azione di risarcimento <strong>del</strong> danno e<br />

di capacità punitiva riconosciuta agli Stati. Non avendo peraltro distinto nel suo<br />

ragionamento tra crimini internazionali <strong>del</strong>l’individuo e crimini internazionali<br />

<strong>del</strong>lo Stato, la Cassazione, come si avrà modo di ribadire meglio tra breve, è<br />

andata così a estendere alle conseguenze civili di un illecito ritenuto imputabile<br />

allo Stato tedesco l’operatività di disposizioni e principi sorti per finalità di repressione<br />

penale di crimini individuali, deducendo altresì che il riconoscimento<br />

<strong>del</strong>l’immunità dalla giurisdizione civile in favore di uno Stato come la Germania,<br />

resosi responsabile di aver compiuto atti criminosi, potesse essere di ostacolo<br />

alla tutela di quei valori che invece la Comunità internazionale avverte<br />

come essenziali al punto da giustificare, rispetto a essi, forme di reazione universali<br />

e obbligatorie.<br />

Non mancano per la verità, sia nella giurisprudenza internazionale sia in<br />

quella interna più recenti, pronunce favorevoli ad accordare l’immunità dalla<br />

giurisdizione civile a uno Stato straniero pur in presenza di accuse concernenti<br />

l’avvenuta commissione di crimini. Per quanto riguarda la giurisprudenza internazionale,<br />

si pensi ad esempio alla sentenza resa dalla Corte europea dei diritti<br />

––––––––––––<br />

(15) L’idea di una antinomia tra le norme di diritto internazionale consuetudinario<br />

in materia di immunità e i diritti <strong>del</strong>l’uomo era già stata sviluppata da Lauterpacht, The<br />

Problem of Jurisdictional Immunities of Foreign States, in British Yearbook of International<br />

Law 1951, 220 ss. Il Ronzitti, Un cambio di orientamento, cit., 40, ritiene peraltro<br />

che l’antinomia indicata dovrebbe essere risolta già a livello di diritto internazionale in<br />

quanto direttamente in tale ambito le norme internazionali imperative vengono a configurarsi<br />

come principi supremi immodificabili se non da norme cogenti successive. In ogni<br />

caso, anche ammettendo che l’antinomia non si risolva a livello di diritto internazionale,<br />

la norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione non potrebbe<br />

ritenersi immessa nel nostro ordinamento qualora la sua applicazione determinasse<br />

una violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto ciò contrasterebbe con i<br />

principi supremi <strong>del</strong>la nostra Costituzione; il rinvio disposto dall’art. 10, comma 1° Cost.<br />

non sarebbe di conseguenza operativo in relazione alla regola sull’immunità e quest’ultima<br />

dovrebbe essere disapplicata dallo stesso giudice ordinario senza necessità di un<br />

rinvio alla Corte costituzionale. V. altresì Gianelli, Crimini internazionali ed immunità<br />

degli Stati, cit., 643 s.; Bianchi, Ferrini v. Federal Republic of Germany, cit., 244; De<br />

Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit., 257; Id., State Immunity<br />

and Human Rights, cit., 95; Gattini, War Crimes, cit., 230.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 535<br />

<strong>del</strong>l’uomo il 21 novembre 2001 nella causa Al-Adsani c. Regno Unito (16), relativa<br />

al caso sollevato da un pilota militare kuwaitiano in possesso anche <strong>del</strong>la<br />

cittadinanza britannica, il quale, dopo aver partecipato alla Guerra <strong>del</strong> Golfo<br />

contro l’Iraq <strong>del</strong> 1991, era stato tratto in arresto dalle autorità <strong>del</strong> Kuwait e aveva<br />

subito maltrattamenti e torture in carcere. Pur dichiarando che il divieto di<br />

tortura ha acquisito lo status di norma imperativa nell’ordinamento giuridico<br />

internazionale e indipendentemente dal carattere speciale <strong>del</strong> divieto medesimo<br />

(17), la Corte (con il voto favorevole di nove contro otto) ha escluso che<br />

uno Stato non goda più <strong>del</strong>l’immunità dalla giurisdizione civile dinanzi ai giudici<br />

di un altro Stato qualora sia accusato di aver compiuto atti di tortura, respingendo<br />

con ciò la domanda <strong>del</strong> ricorrente e non ritenendo che il riconoscimento<br />

<strong>del</strong>l’immunità giurisdizionale nel caso specifico costituisse un diniego<br />

ingiustificato <strong>del</strong> diritto di accesso a un tribunale ai sensi <strong>del</strong>l’art. 6, par. 1 <strong>del</strong>la<br />

Convenzione di Roma <strong>del</strong> 1950 (18). Quanto alla giurisprudenza interna, e<br />

––––––––––––<br />

(16) In Conseil de l’Europe, Recueil des arrêts et décisions de la Cour européenne<br />

des droits de l’homme, Strasbourg 2001-XI; in Riv. dir. int. 2002, 404 ss.; e, per estratto,<br />

in Focarelli, Digesto <strong>del</strong> diritto internazionale, Napoli 2004, 189 s. Su di essa v. Orakhelashvili,<br />

State Immunity and International Public Order, in German Yearbook of International<br />

Law 2002, 227 ss.; Rau, After Pinochet: Foreign Sovereign Immunity in Respect of<br />

Serious Human Rights Violations. The Decision of the European Court of Human Rights<br />

in the Al-Adsani Case, in German Law Journal 2002, 204 ss.; Bianchi, Serious Violations<br />

of Human Rights and Foreign States’ Accountability Before Municipal Courts, in<br />

Vohrah-Pocar-Featherstone-Fourmy-Graham-Hocking-Robson (eds.), Man’s Inhumanity<br />

to Man. Essays in Honour of Antonio Cassese, The Hague-Boston-London-New York<br />

2003, 159 s.; Id., L’immunité des Etats et les violations graves des droits de l’homme: la<br />

fonction de l’interprète dans la determination du droit international, in Rev. gén. dr. int.<br />

publ. 2004, 76 s.; Flauss, La compétence civile universelle devant la Cour européenne<br />

des droits de l’homme, in Revue trimestrielle des droits de l’homme 2003, 156 ss.; Gattini,<br />

To What Extent are State Immunity and Non-Justiciability Major Hurdles to Individuals’<br />

Claims for War Damages?, in Journal of International Criminal Justice 2003, 354<br />

s.; Baratta, L’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione civile sullo Stato straniero, cit., 1202; e Gianelli,<br />

Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 653 s.<br />

(17) Oltre a essere proibita e punita dalla Convenzione di New York <strong>del</strong> 10 dicembre<br />

1984, la tortura viene inclusa tra i crimini contro l’umanità dall’art. 7, lett. f) <strong>del</strong>lo<br />

Statuto di Roma <strong>del</strong> 1998.<br />

(18) Ciò che è stato sostenuto dai giudici di Strasburgo appare per la verità <strong>del</strong><br />

tutto censurabile: non ha molto senso, infatti, riconoscere la qualifica di norma di ius<br />

cogens al divieto di tortura senza permettere a tale norma, alla quale si va ad attribuire<br />

dunque un rango più elevato, di prevalere in caso di conflitto su altre norme consuetudinarie,<br />

come quella riguardante l’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione<br />

civile, che di tale carattere imperativo sono certamente prive, impedendo così alla vittima<br />

<strong>del</strong>le torture di ottenere un giusto risarcimento per le lesioni subite (Conforti, Diritto<br />

internazionale, 6 a ed., Napoli 2002, 253). Cfr. in proposito quanto affermato nella<br />

loro opinione dissidente dai giudici Rozakis, Caflisch, Wildhaber, Costa, Cabral Bar-


536<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

sempre con riferimento ad atti di tortura, esemplificativa appare la sentenza<br />

emessa in Canada il 1° maggio 2002 dalla Superior Court of Justice <strong>del</strong>l’Ontario<br />

nel caso Houshang Bouzari v. Islamic Republic of Iran (19), con la quale,<br />

in virtù <strong>del</strong>l’immunità accordata allo Stato estero convenuto, un immigrato iraniano<br />

che aveva acquisito la cittadinanza canadese, imprigionato e pesantemente<br />

torturato per diversi mesi da agenti governativi durante un suo soggiorno<br />

occasionale in Iran e rilasciato solo dopo il pagamento di un riscatto, si è visto<br />

negare il diritto a essere risarcito per quanto gli era accaduto (20).<br />

Le pronunce appena citate, e altre ugualmente rilevanti in argomento (21),<br />

––––––––––––<br />

reto e Vajić: « En admettant que la règle prohibant la torture est une règle de jus cogens,<br />

la majorité reconnaît que cette règle est hiérarchiquement supérieure à toute<br />

autre règle du droit international, générale ou particulière, coutumière ou conventionnelle,<br />

sauf bien sûr les autres normes de jus cogens. Une règle de jus cogens a en effet<br />

cette caractéristique essentielle que, en tant que source du droit dans l’ordre juridique<br />

international vu sous l’angle vertical, elle est supérieure à toute autre règle n’ayant<br />

pas la même qualité. En cas de conflit entre une norme de jus cogens et toute autre<br />

règle du droit international, la première l’emporte. Du fait de cette primauté, la règle<br />

en cause est nulle et non avenue ou, en tout cas, ne déploie pas d’effets juridiques qui<br />

se heurtent à la teneur de la règle impérative ». In senso sostanzialmente analogo, v.<br />

altresì le opinioni dissidenti dei giudici Ferrari Bravo e Loucaides. Si esprimono in<br />

modo critico sulle conclusioni cui è giunta la Corte anche Bou Franch, Inmunidad <strong>del</strong><br />

Estado y violación de normas internacionales de jus cogens: el asunto Al-Adsani contra<br />

el Reino Unido, in Anuario de derecho internacional 2002, 296 ss.; De Wet, The<br />

Prohibition of Torture as an International Norm of Jus Cogens and its Implication for<br />

National and Customary Law, in European Journal of International Law 2004, 97 ss.;<br />

e Treves, Diritto internazionale, cit., 418 s.<br />

(19) In International Law Reports 2002, 427 ss.<br />

(20) La pronuncia emessa dalla Superior Court of Justice <strong>del</strong>l’Ontario risulta confermata<br />

in appello: con una sentenza <strong>del</strong> 30 giugno 2004, la Court of Appeal for Ontario,<br />

composta dai giudici Goudge, MacPherson e Cronk, ha infatti rilevato il difetto di giurisdizione<br />

in relazione alla controversia in questione, dichiarando che « Just as Canada’s<br />

treaty obligations do not do so, the rules of customary international law binding Canada<br />

do not accord to the appellant the civil remedy he seeks ». Su di essa v. Bianchi,<br />

L’immunité des Etats, cit., 78; Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati,<br />

cit., 654 s.<br />

(21) Tra le sentenze emesse da giudici statunitensi, di particolare interesse sono<br />

quelle <strong>del</strong>la Court of Appeals for the District of Columbia Circuit concernenti i casi Persinger<br />

v. Islamic Republic of Iran <strong>del</strong> 1984, Saltany v. Reagan <strong>del</strong> 1988 e Princz v. Federal<br />

Republic of Germany <strong>del</strong> 1994; <strong>del</strong>la Court of Appeals for the 9 th Circuit nel caso Siderman<br />

de Blake v. Republic of Argentina <strong>del</strong> 1992; <strong>del</strong>la Court of Appeals for the 2 nd<br />

Circuit sul caso Smith v. Socialist People’s Libyan Arab Jamahiriya <strong>del</strong> 1996; e <strong>del</strong>la<br />

District Court for the Northern District of Illinois relativa al caso Sampson v. Federal<br />

Republic of Germany <strong>del</strong> 1997. Parimenti significativa appare inoltre la sentenza resa<br />

dalla Camera dei Lord il 24 marzo 1999 nei casi Regina v. Bartle and the Commissioner


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 537<br />

contrastano dunque con il risultato finale cui la Cassazione italiana è pervenuta<br />

nel caso di specie e possono indurre a sollevare alcune obiezioni sulla soluzione<br />

proposta dal Collegio, in special modo per quanto attiene alla portata <strong>del</strong> principio<br />

di rilevanza <strong>del</strong>l’illecito ai fini <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong>l’immunità (22). La<br />

Cassazione ha ritenuto di poter superare il contrasto evidenziando come nelle<br />

controversie di cui sopra i crimini oggetto <strong>del</strong>le singole vicende processuali si<br />

fossero verificati in uno Stato diverso da quello <strong>del</strong> foro. La soluzione accolta<br />

dal giudice inglese e dal giudice canadese nei casi poc’anzi descritti nega giustizia<br />

ai ricorrenti ed è in effetti conforme all’impostazione propria <strong>del</strong>le norme<br />

vigenti nel Regno Unito e in Canada nonché in altri ordinamenti di common<br />

law, nei quali, nell’ambito <strong>del</strong>la regola <strong>del</strong>la tort exception, l’opponibilità<br />

<strong>del</strong>l’esenzione dalla giurisdizione civile da parte di uno Stato nelle controversie<br />

relative a domande di risarcimento per danni a persone o a cose è per l’appunto<br />

regolata secondo il criterio <strong>del</strong> luogo di commissione <strong>del</strong>l’illecito (locus commissi<br />

<strong>del</strong>icti), escludendosi che l’immunità possa essere invocata per danni provocati<br />

da atti compiuti nel territorio <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro (23). Sebbene nelle<br />

pronunce precedentemente richiamate si affrontino situazioni di fatto nelle quali<br />

sussiste senza dubbio un collegamento con dei crimini internazionali, gli illeciti<br />

che hanno dato vita alle pretese risarcitorie sono risultati compiuti in uno Stato<br />

diverso da quello <strong>del</strong> foro, per cui non si rinviene una perfetta coincidenza tra<br />

quelle vicende e la vicenda che ha dato adito alla sentenza <strong>del</strong>la Suprema Corte<br />

––––––––––––<br />

of Police for the Metropolis and Others ex parte Pinochet e Regina v. Evans and Another<br />

and the Commissioner of Police for the Metropolis and Others ex parte Pinochet (pubblicata<br />

in International Legal Materials 1999, 581 ss. nonché, limitatamente ad alcuni brani,<br />

in Focarelli, Digesto, cit., 179 ss., e sulla quale cfr. per tutti De Sena, Immunità di ex-<br />

Capi di Stato e violazioni individuali <strong>del</strong> divieto di tortura: sulla sentenza <strong>del</strong> 24 marzo<br />

1999 <strong>del</strong>la Camera dei Lords nel caso Pinochet, in Riv. dir. int. 1999, 933 ss.).<br />

(22) Nappi, Diritti inviolabili, cit., 27, rileva in proposito che « (…) le ricordate<br />

pronunzie denunziano l’assenza di una norma cogente che l’immunità escluda per le fattispecie<br />

in questione », per cui, a suo parere, « (…) la Cassazione finisce per assumere<br />

una posizione tautologica, giacché afferma la fonte consuetudinaria –e quindi universalmente<br />

accettata- <strong>del</strong> diritto alla tutela inviolabile <strong>del</strong>la persona in contrapposizione a <strong>del</strong>le<br />

decisioni che, per il solo fatto di accordare l’immunità, l’esistenza di tale consuetudine<br />

negano ».<br />

(23) V. in merito l’art. 1605 (5) <strong>del</strong> Foreign Sovereign Immunities Act statunitense<br />

<strong>del</strong> 1976, l’art. 5 <strong>del</strong>lo State Immunity Act britannico <strong>del</strong> 1978, l’art. 3 <strong>del</strong> Foreign States<br />

Immunity Act sudafricano <strong>del</strong> 1981, l’art. 6 <strong>del</strong>lo State Immunity Act canadese <strong>del</strong> 1982 e<br />

l’art. 13 <strong>del</strong> Foreign States Immunity Act australiano <strong>del</strong> 1985. Cfr. Trooboff, Foreign<br />

State Immunity: Emerging Consensus on Principles, in Recueil des Cours de l’Académie<br />

de droit international de La Haye 1986, V, 352 ss., Steinberger, voce State Immunity, in<br />

Bernhardt (ed.), Encyclopedia of Public International Law, 4, Amsterdam-Lausanne-<br />

New York-Oxford-Shannon-Tokyo 2000, 626 s., Ciampi, Crimini internazionali, cit.,<br />

2666 e Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 645 ss.


538<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

qui analizzata, nella quale l’azione criminosa aveva al contrario avuto inizio in<br />

territorio italiano per poi proseguire in Germania, configurandosi però già in<br />

Italia come crimine internazionale.<br />

La stessa impostazione accolta dagli ordinamenti di tradizione anglosassone<br />

è stata recepita sul piano internazionale dalla Convenzione europea sull’immunità<br />

degli Stati, firmata a Basilea il 16 maggio 1972 ed entrata in vigore l’11<br />

giugno 1976, dal progetto di articoli sull’immunità giurisdizionale degli Stati e<br />

dei loro beni, approvato il 4 luglio 1991 dalla Commissione di diritto internazionale<br />

<strong>del</strong>le Nazioni Unite nonché oggi dalla Convenzione <strong>del</strong>le Nazioni Unite<br />

sull’immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni, adottata dall’Assemblea<br />

generale il 2 dicembre 2004 e aperta alla firma a New York il 17 gennaio<br />

2005 (24). L’art. 11 <strong>del</strong>la Convenzione di Basilea dispone infatti che uno Stato<br />

contraente non possa invocare l’immunità dalla giurisdizione dinanzi al tribunale<br />

di un altro Stato contraente in procedimenti riguardanti il risarcimento <strong>del</strong><br />

danno arrecato a persone o a cose qualora i fatti che hanno dato luogo al danno<br />

siano avvenuti sul territorio <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro e qualora l’autore <strong>del</strong> danno<br />

medesimo fosse presente su tale territorio al momento in cui i fatti stessi si sono<br />

verificati (25); parimenti, secondo l’art. 12 <strong>del</strong> progetto <strong>del</strong> 1991, nel caso di un<br />

––––––––––––<br />

(24) Per il testo <strong>del</strong>la Convenzione di Basilea <strong>del</strong> 1972 v. Conseil de l’Europe,<br />

Convention européenne sur l’immunité des Etats (Bâle, 16 mai 1972), Strasbourg 1972, 1<br />

ss. Il testo <strong>del</strong> progetto di articoli <strong>del</strong> 1991, originariamente pubblicato in United Nations,<br />

Yearbook of the International Law Commission, New York 1991, II, 2, 12 ss., è stato riprodotto<br />

in Riv. dir. int. 1991, 721 ss. e più di recente in Luzzatto-Pocar, Codice di diritto<br />

internazionale pubblico, 3 a ed., Torino 2003, 149 ss. Il testo <strong>del</strong>la Convenzione di New<br />

York <strong>del</strong> 2004 si trova invece allegato alla risoluzione 2 dicembre 2004, n. 59/38 (United<br />

Nations, Resolutions and Decisions adopted by the General Assembly during its Fiftyninth<br />

Session, I, New York 2005, 486 ss.).<br />

(25) Relativamente a tale Accordo e al suo Protocollo addizionale, firmato<br />

anch’esso a Basilea il 16 maggio 1972 ed entrato in vigore il 22 maggio 1985, cfr. Belinfante,<br />

The European Convention on State Immunity, in Netherlands International Law<br />

Review 1973, 297 ss.; Sinclair, The European Convention on State Immunity, in International<br />

and Comparative Law Quarterly 1973, 254 ss.; Valle, A propos de la Convention<br />

européenne sur l’immunité des Etats, in Rev. trim. dr. eur. 1973, 205 ss.; Wiederkehr, La<br />

Convention européenne sur l’immunité des Etats, in Annuaire français de droit international<br />

1974, 925 ss.; Krafft, La Convention européenne sur l’immunité des Etats et son<br />

Protocol addictionnel, in Annuaire suisse de droit international 1975, 11 ss.; Strebel,<br />

Staatenimmunität. Die Europaratskonvention und die neuen Gesetze der Vereinigten<br />

Staaten und Grossbritannes, in Rabels Zeitschrift für ausländisches und internationales<br />

Privatrecht 1980, 665 ss.; M. Miele, voce Immunità giurisdizionale degli Stati, in Noviss.<br />

dig. it., Appendice, III, Torino 1982, 1226 ss.; Giuliano-Scovazzi-Treves, Diritto internazionale,<br />

II, 2 a ed., Milano 1983, 543; Verhoeven, L’entrée en vigueur du Protocole additionnel<br />

à la Convention européenne sur l’immunité des Etats, in Revue belge de droit<br />

international 1986, 647 ss.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 539<br />

procedimento instaurato dinanzi ai giudici di uno Stato in merito al risarcimento<br />

dei danni per morte o lesioni personali o per danni o perdita di beni che si afferma<br />

siano conseguenti a una azione od omissione attribuibili a uno Stato straniero,<br />

quest’ultimo non può invocare l’immunità dalla giurisdizione se l’azione<br />

o l’omissione sono avvenute in tutto o in parte nel territorio <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro<br />

con la presenza <strong>del</strong>l’autore materiale <strong>del</strong>l’illecito (26).<br />

Il riferimento alla tort exception e alla lex loci commissi <strong>del</strong>icti espresso in<br />

tutti i dati normativi appena evidenziati, ha consentito alla Cassazione stessa di<br />

criticare quanto a suo tempo asserito dalla Corte europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo<br />

nella sentenza 21 novembre 2001, McElhinney c. Irlanda (27). In quell’occasione,<br />

respingendo la requête <strong>del</strong> ricorrente (si trattava di un cittadino irlandese<br />

il quale, inseguito e minacciato con un’arma da fuoco da un soldato inglese<br />

di guardia a un posto di blocco alla frontiera con l’Irlanda <strong>del</strong> Nord, si era<br />

visto negare in patria il risarcimento invocato a causa <strong>del</strong>l’immunità dalla giurisdizione<br />

comunque riconosciuta in favore <strong>del</strong> Regno Unito), i giudici erano in<br />

maggioranza rimasti ancorati a una interpretazione troppo riduttiva <strong>del</strong>l’art. 12<br />

<strong>del</strong> progetto di articoli <strong>del</strong> 1991, avendo essi ritenuto che la suddetta disposizione<br />

fosse essenzialmente riferita ai soli danni assicurabili, cioè a dire ai danni<br />

derivanti dalla circolazione dei veicoli, e che di conseguenza l’esito <strong>del</strong> giudizio<br />

sopra richiamato non fosse in contrasto con l’art. 6, par. 1 <strong>del</strong>la Convenzione di<br />

Roma <strong>del</strong> 1950; invece, se è vero che l’eccezione al principio generale <strong>del</strong>l’immunità<br />

dalla giurisdizione civile espressa dall’art. 12 appena menzionato si applica<br />

principalmente ai danni assicurabili, è altrettanto vero che essa copre anche<br />

i danni fisici intenzionali e i danni materiali derivanti da reato, ivi compresi<br />

l’incendio, l’omicidio e l’assassinio politico. Tale impostazione sembra peraltro<br />

venga riproposta dall’art. 12 <strong>del</strong>la Convenzione di New York <strong>del</strong> 2004 sull’immunità<br />

giurisdizionale degli Stati e dei loro beni, la cui disciplina, a conferma di<br />

quanto dedotto con riferimento al progetto di articoli sopra richiamato, riguarda<br />

azioni compiute dallo Stato sia nell’esercizio <strong>del</strong>la sua autorità sovrana sia in<br />

quanto soggetto privato ed è concepita a beneficio di coloro che siano vittime<br />

non solo e non tanto di incidenti stradali ma anche di comportamenti <strong>del</strong>iberatamente<br />

posti in essere da organi <strong>del</strong>lo Stato straniero, come ad esempio gli<br />

agenti di polizia o dei servizi segreti (28).<br />

––––––––––––<br />

(26) Per un commento <strong>del</strong>l’art. 12 <strong>del</strong> progetto di articoli <strong>del</strong> 1991 v. Kessedjian-<br />

Schreuer, Le projet d’articles de la Commission du droit international des Nations Unies<br />

sur les immunités des Etats, in Rev. gén. dr. int. publ. 1992, 318.<br />

(27) In Conseil de l’Europe, Recueil des arrêts et décisions de la Cour européenne<br />

des droits de l’homme, Strasbourg 2001-XI e in American Journal of International Law<br />

2002, 699 ss.<br />

(28) Secondo l’art. 12 <strong>del</strong>la Convenzione di New York <strong>del</strong> 2004 (in relazione al<br />

quale si rinvia a Foakes-Wilmshurst, State Immunity: The United Nations Convention<br />

and its Effect, in Chatham House International Law Programme, Briefing Paper n. 05/01,


540<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

La più ampia accezione <strong>del</strong> significato espresso dall’art. 12 <strong>del</strong> progetto<br />

<strong>del</strong> 1991, fondata oltretutto sul contenuto <strong>del</strong> Rapporto esplicativo pubblicato in<br />

proposito dalla Commissione di diritto internazionale <strong>del</strong>l’ONU e ora confermata<br />

dall’art. 12 <strong>del</strong>la Convenzione <strong>del</strong> 2004, era già stata percepita nella sua<br />

essenza da alcuni dei giudici <strong>del</strong>la Corte europea di Strasburgo rimasti in minoranza<br />

relativamente alla stessa vicenda McElhinney (29) ed è stata accolta dalla<br />

Cassazione nel caso di nostro interesse. Il Supremo Collegio, valutandola congiuntamente<br />

a quanto disposto dall’art. 11 <strong>del</strong>la Convenzione di Basilea, l’ha<br />

anzi ritenuta chiaro indice di una evidente tendenza al superamento, nelle controversie<br />

inerenti la responsabilità per fatti illeciti, <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>l’immunità<br />

ristretta o relativa, essendo tale teoria basata, come visto, sulla classica distinzione<br />

tra atti iure imperii e atti iure gestionis, ormai inadeguata e non più in<br />

grado di operare nei casi in cui il fatto illecito generatore <strong>del</strong>la responsabilità si<br />

configuri come crimine internazionale. In presenza di controversie che sottendano<br />

violazioni particolarmente gravi dei diritti fondamentali <strong>del</strong>l’uomo si starebbe<br />

cioè sempre più facendo strada nella Comunità internazionale una opinio<br />

iuris contraria ad attribuire in casi di questo tipo portata generale al criterio fondato<br />

sulla natura <strong>del</strong>l’atto lesivo, con la conseguenza che lo Stato straniero e i<br />

suoi individui-organi responsabili <strong>del</strong>la violazione non potrebbero invocare<br />

l’immunità dalla giurisdizione civile qualora fossero convenuti in giudizio dinanzi<br />

ai giudici di un altro Stato, perlomeno in tutte le ipotesi, come quella di<br />

specie, in cui l’atto illecito abbia avuto la sua manifestazione iniziale nel territorio<br />

<strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro. Il rispetto dei diritti inviolabili <strong>del</strong>la persona umana<br />

consentirebbe pertanto in tal caso il superamento <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>l’immunità ristretta,<br />

ritenendosi prevalente la tutela di quei valori rispetto all’interesse <strong>del</strong><br />

singolo Stato (30).<br />

Il ricorso al criterio <strong>del</strong>la tort exception operato dal giudice italiano al fine<br />

di <strong>del</strong>ineare l’ambito di applicazione <strong>del</strong>la deroga all’immunità giurisdizionale,<br />

presenta peraltro <strong>del</strong>le incoerenze di fondo, viste le motivazioni <strong>del</strong> provvedimento<br />

emanato. Se infatti il diniego di immunità viene sancito e costantemente<br />

––––––––––––<br />

2005, 6), « Unless otherwise agreed between the States concerned, a State cannot invoke<br />

immunity from jurisdiction before a court of another State which is otherwise competent<br />

in a proceeding which relates to pecuniary compensation for death or injury to the person,<br />

or damage to or loss of tangible property, caused by an act or omission which is<br />

alleged to be attributable to the State, if the act or omission occurred in whole or in part<br />

in the territory of that another State and if the author of the act or omission was present<br />

in that territory at the time of the act or omission ».<br />

(29) V. al riguardo quanto riportato nell’opinione dissidente dei giudici Caflisch,<br />

Cabral Barreto e Vajić.<br />

(30) V. in proposito Bianchi, Serious Violations, cit., 151 ss., Id., Ferrini v. Federal<br />

Republic of Germany, cit., 244; Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2665; Gianelli, Crimini<br />

internazionali ed immunità degli Stati, cit., 666 s.; Nappi, Diritti inviolabili, cit., 26.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 541<br />

presentato nella sentenza come diretta conseguenza <strong>del</strong>la speciale protezione da<br />

accordare ai diritti umani fondamentali, può apparire riduttivo fondare la giurisdizione<br />

italiana su una eccezione alla regola <strong>del</strong>l’immunità concepita in origine<br />

per fattispecie minori (31). L’attenzione dedicata alla tort exception appare<br />

inoltre eccessiva in quanto, poiché la giurisdizione viene affermata sulla base di<br />

norme internazionali di rango superiore a quella sull’immunità, tali da derogare<br />

per l’appunto quest’ultima regola, meglio sarebbe stato effettuare più abbondanti<br />

richiami a prassi e giurisprudenza nelle quali fosse stata riscontrata e rilevata<br />

una antinomia pari a quella evidenziata dal giudice italiano nel caso di specie<br />

(32). Per altro verso, tale scelta è stata probabilmente motivata dall’esigenza<br />

di addivenire, come sostenuto in dottrina, a un « ragionevole bilanciamento tra<br />

gli ideali di principio che hanno guidato la Corte nell’analisi giuridica e la realtà<br />

(…) <strong>del</strong>le relazioni internazionali tra Stati » e di giustificare così una soluzione<br />

diversa da quella affermata dalla Corte europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo nel caso<br />

Al-Adsani (33); verosimilmente, poi, la Cassazione ha sottolineato il necessario<br />

collegamento con lo Stato <strong>del</strong> foro anche per la consapevolezza <strong>del</strong>la ancora<br />

non compiuta affermazione in ambito internazionale <strong>del</strong> principio che essa era<br />

in procinto di enunciare e per la conseguente necessità di giustificare dal punto<br />

di vista logico la soluzione raggiunta (34).<br />

Il carattere cogente attribuibile alle norme internazionali sui crimini viene<br />

inoltre abbinato, nel ragionamento seguito dalla Suprema Corte, ai due principi<br />

<strong>del</strong>l’imprescrittibilità <strong>del</strong>l’azione e <strong>del</strong>l’universalità <strong>del</strong>la giurisdizione, entrambi<br />

citati come argomenti a favore per l’ammissibilità <strong>del</strong>la giurisdizione <strong>del</strong><br />

giudice italiano nel caso affrontato dalla decisione qui esaminata. Il diniego<br />

<strong>del</strong>l’immunità giurisdizionale in favore <strong>del</strong>la parte resistente è stato in particolare<br />

motivato in ragione <strong>del</strong>la repressione, universale e obbligatoria, che riguardo<br />

ai crimini internazionali gli Stati sono tenuti a garantire. Se infatti il collegamento<br />

tra norme di ius cogens e obblighi erga omnes è un dato tipico <strong>del</strong>la Comunità<br />

internazionale contemporanea, caratterizzata, come opportunamente<br />

sottolineato, da una interdipendenza che « (…) registra il progressivo affermarsi<br />

(…) di alcuni valori essenziali sottratti alla libera disponibilità degli Stati, e<br />

oggetto, per quanto concerne le funzioni di produzione, accertamento e garanzia<br />

<strong>del</strong>le norme relative, di forme di gestione e di tutela in senso lato “pubblicistiche”,<br />

in quanto basate sulla concorrente potenziale attività degli Stati<br />

––––––––––––<br />

(31) Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 177.<br />

(32) Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 669; Gattini, War<br />

Crimes, cit., 231.<br />

(33) Così Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2670. Cfr. in senso analogo De Sena-<br />

De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit., 257; Id., State Immunity and<br />

Human Rights, cit., 95.<br />

(34) Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 669.


542<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

operanti uti universi » (35), non c’è motivo di dubitare che tale reazione, più<br />

severa di quella stabilita per gli altri illeciti (36), possa esprimersi anche<br />

nell’ambito dei processi civili che traggono origine dall’avvenuta commissione<br />

di simili reati. In tal caso, l’esercizio sul piano interno <strong>del</strong>la giurisdizione civile<br />

nei confronti di uno Stato estero ritenuto responsabile dei crimini in questione<br />

rende possibile proprio l’attività di accertamento e garanzia appena menzionata,<br />

apparendo altresì speculare al diritto riconosciuto alle vittime di poter esperire<br />

un’azione civile dinanzi a giudici stranieri per il risarcimento dei danni a esse<br />

cagionati (37). La Corte, dunque, ancora una volta e a maggior ragione « (…)<br />

––––––––––––<br />

(35) Picone, Interventi <strong>del</strong>le Nazioni Unite e obblighi erga omnes, in Picone (a cura<br />

di), Interventi <strong>del</strong>le Nazioni Unite e diritto internazionale, Padova 1995, 519.<br />

(36) A tale proposito, il progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti<br />

illeciti internazionali, adottato dalla Commissione di diritto internazionale <strong>del</strong>le Nazioni<br />

Unite il 9 agosto 2001 [cfr. il Report of the International Law Commission on the Work of<br />

its Fifty-third Session, in United Nations, Official Records of the General Assembly, Fifty-sixth<br />

Session, Suppl. n. 10, New York 2001 e in Riv. dir. int. 2001, 878 ss. nonché<br />

Crawford (ed.), The International Law Commission’s Articles on State Responsibility.<br />

Introduction, Text and Commentaries, Cambridge 2002], dopo aver affermato all’art. 40<br />

che il Cap. III, <strong>del</strong> quale tale norma fa parte, « (…) applies to the international responsibility<br />

which is entailed by a serious breach by a State of an obligation arising under a<br />

peremptory norm of general international law » e che « a breach of such an obligation is<br />

serious if it involves a gross or systematic failure by the responsible State to fulfil the<br />

obligation », precisa poi all’art. 41 che « States shall cooperate to bring to an end<br />

through lawful means any serious breach within the meaning of article 40. No State shall<br />

recognize as lawful a situation created by a serious breach within the meaning of article<br />

40, nor render aid or assistance in maintaining that situation ». Per una analisi in merito<br />

agli artt. 40 e 41 e alla configurabilità di conseguenze qualitativamente diverse a carico<br />

<strong>del</strong>lo Stato violatore di obblighi erga omnes si rinvia a Gaja, Obligations Erga Omnes,<br />

International Crimes and Jus Cogens, in Weiler-Cassese-Spinedi (eds.), International<br />

Crimes of States. A Critical Analysis of the ILC’s Draft Article 19 on State Responsibility,<br />

Berlin-New York 1989, 156 ss., a Pellet, Le nouveau projet de la C.D.I. sur la responsabilité<br />

de l’Etat pour fait internationalement illecite: requiem pour le crime?, in<br />

Vohrah-Pocar-Featherstone-Fourmy-Graham-Hocking-Robson (eds.), Man’s Inhumanity<br />

to Man, cit., 655 ss. e a Picone, Obblighi erga omnes, cit., 926 ss. (anche in Comunità<br />

internazionale e obblighi « erga omnes », cit., 622 ss.) con l’ampia bibliografia riportata.<br />

Per i riferimenti all’art. 41 <strong>del</strong> progetto contenuti nella sentenza n. 5044 <strong>del</strong> 2004 v.<br />

Bianchi, L’immunité des Etats, cit., 92 ss.; Id., Ferrini v. Federal Republic of Germany,<br />

cit., 244; Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2664; Iovane, The Ferrini Judgment, cit.,<br />

182 s.; Gattini, War Crimes, cit., 236. Sulle norme sopra menzionate cfr. più in generale<br />

anche Treves, Diritto internazionale, cit., 556 s.<br />

(37) V. in tal senso quanto affermato dal Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia<br />

nella sentenza Furundžija, menzionata supra, nt. 14 e richiamata da Gianelli, Crimini<br />

internazionali ed immunità degli Stati, cit., 659. Anche Conforti, Diritto internazionale,<br />

cit., 253, ritiene in linea di principio possibile l’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione qualora


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 543<br />

seems to understand jus cogens as the material values of the international community<br />

as a whole, as a sort of ordre public to be protected by the special regimes<br />

created by both customary and conventional international law. These regimes<br />

might also include interventions by domestic courts » (38).<br />

Anche il richiamo effettuato dalla Cassazione all’imprescrittibilità <strong>del</strong>l’azione<br />

e all’universalità <strong>del</strong>la giurisdizione induce tuttavia ad alcune osservazioni,<br />

motivate in gran parte, come detto, dal fatto di aver applicato nel contesto di<br />

una controversia civile che vede coinvolto uno Stato concetti sorti e affermatisi<br />

a livello di diritto internazionale penale in relazione a comportamenti di individui-organi.<br />

Quando menziona l’imprescrittibilità e l’universalità, la Corte di<br />

Cassazione, proprio in virtù <strong>del</strong>l’approccio da essa stessa adottato e consistente<br />

nell’avere utilizzato elementi normativi riguardanti la responsabilità individuale<br />

per il crimine internazionale di deportazione e assoggettamento a lavoro forzato<br />

al fine di configurare una responsabilità <strong>del</strong>la Germania (aggravata dalla sistematicità<br />

<strong>del</strong>la condotta da questa tenuta), finisce in effetti con l’applicare alla<br />

deroga all’immunità degli Stati principi che identificano altrettanti elementi <strong>del</strong><br />

regime internazionale concernente i crimini compiuti da individui e che esprimono<br />

la connotazione penale <strong>del</strong>le violazioni corrispondenti, presentando il<br />

concetto di universalità <strong>del</strong>la giurisdizione civile come equivalente al concetto<br />

di universalità <strong>del</strong>la giurisdizione penale e ispirandosi, per quanto riguarda<br />

l’imprescrittibilità, a strumenti internazionali non pertinenti per il settore civilistico<br />

né vincolanti per l’ordinamento italiano. A quest’ultimo proposito, non<br />

può non rilevarsi come la Corte abbia basato il proprio convincimento su Accordi<br />

internazionali, quali la Convenzione di New York <strong>del</strong> 26 novembre 1968<br />

sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità e la<br />

Convenzione di Strasburgo <strong>del</strong> 25 gennaio 1974 sull’imprescrittibilità dei crimini<br />

contro l’umanità e dei crimini di guerra, che oltre a riguardare la dimensione<br />

penale dei fatti illeciti presi in considerazione, neppure possono definirsi<br />

rilevanti in materia, anche perché attualmente sono privi di vigore in Italia (39).<br />

––––––––––––<br />

uno Stato straniero sia convenuto in giudizio per le conseguenze civilistiche <strong>del</strong>la violazione<br />

di norme di ius cogens, non potendo queste ultime « (…) non prevalere non solo<br />

sulle convenzioni internazionali ma anche sulle altre norme consuetudinarie ». Inoltre,<br />

secondo Cassese, Diritto internazionale, I, I lineamenti, Bologna 2003, 125 s., « Dal<br />

momento in cui si riconosce che, nel caso <strong>del</strong>la tortura, la regola sull’immunità funzionale<br />

(…) non trova applicazione, si deve coerentemente riconoscere che tale eccezione<br />

operi anche rispetto alla regola sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati esteri (…).<br />

Ciò tanto più se si considera che la regola sull’immunità funzionale (…) costituisce una<br />

naturale estensione <strong>del</strong>la regola sull’immunità degli Stati ». L’Autore chiarisce peraltro<br />

come non vi siano ancora elementi sufficienti <strong>del</strong>la prassi per sostenere che si sia formata<br />

una regola corrispondente nell’ordinamento internazionale.<br />

(38) Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 173.<br />

(39) La Convenzione <strong>del</strong>le Nazioni Unite sull’imprescrittibilità dei crimini di guer-


544<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

L’avvenuta menzione di essi nella motivazione <strong>del</strong>la sentenza risulta perciò<br />

tutt’altro che calzante; sarebbe stato al limite preferibile affermare la mancata<br />

soggezione dei crimini internazionali a termini di prescrizione, confermata<br />

dall’art. 29 <strong>del</strong>lo Statuto <strong>del</strong>la Corte penale internazionale e assicurata altresì da<br />

norme interne laddove esistenti (40), alla luce di una apposita norma consuetudinaria<br />

la cui ormai avvenuta formazione potrebbe forse anche essere ipotizzata,<br />

per ritenerla quindi applicabile, data l’esigenza di tutela dei valori materiali<br />

<strong>del</strong>la Comunità internazionale di cui si è detto, anche alla fattispecie controversa<br />

in esame. Inoltre, per quanto attiene all’universalità, il ricorso fatto dalla Suprema<br />

Corte alla lex loci commissi <strong>del</strong>icti sopra citata, che <strong>del</strong>imita l’ambito di<br />

applicazione <strong>del</strong>la deroga all’immunità <strong>del</strong>lo Stato straniero dalla giurisdizione<br />

ai soli atti compiuti nel territorio <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro, è perlomeno contraddittorio<br />

se raffrontato all’esigenza di garantire una repressione universale e obbligatoria<br />

dei crimini internazionali proclamata dalla pronuncia in esame in quanto<br />

direttamente connessa al valore cogente <strong>del</strong>le norme internazionali sui crimini<br />

medesimi (41). La soluzione che ne deriva presenta risvolti potenzialmente problematici,<br />

che la Cassazione tenta di attutire, da un lato accennando alla questione<br />

<strong>del</strong>l’universalità solo dopo aver affermato e giustificato la giurisdizione<br />

italiana sull’assunto che parte dei fatti si era verificata in Italia; dall’altro, poiché<br />

non è chiaro se il principio <strong>del</strong>l’imprescrittibilità <strong>del</strong>l’azione valga anche<br />

nei confronti <strong>del</strong>lo Stato, lasciando volutamente impregiudicata ogni questione<br />

relativa anche alla proponibilità <strong>del</strong>la domanda, e rinviando così ogni decisione<br />

sul punto alla successiva valutazione <strong>del</strong> giudice di merito. La mancanza di una<br />

dimostrazione positiva riguardo al ragionamento da essa svolto, induce perciò a<br />

––––––––––––<br />

ra e dei crimini contro l’umanità, aperta alla firma a New York il 26 novembre 1968 ed<br />

entrata in vigore l’11 novembre 1970 (in United Nations, Treaty Series, vol. 754, New<br />

York 1969, 73 ss.), pur essendo stata ratificata da numerosi Paesi, soprattutto <strong>del</strong>l’Est<br />

europeo e in via di sviluppo, non ha mai ottenuto le ratifiche dagli Stati europei occidentali<br />

membri <strong>del</strong> Consiglio d’Europa, critici fin dall’inizio su diversi punti presenti nella<br />

versione finale <strong>del</strong> testo, come quello di cui all’art. 1, che applica l’imprescrittibilità anche<br />

a crimini compiuti prima <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>l’Accordo in parola anche se i termini<br />

di prescrizione sono già decorsi, e quello di cui all’art. 3, che prevede norme in tema<br />

di estradizione non adeguatamente formulate. In un secondo momento, si è giunti quindi<br />

all’adozione <strong>del</strong>la Convenzione di Strasburgo <strong>del</strong> 25 gennaio 1974 sull’imprescrittibilità<br />

dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, entrata in vigore soltanto il 27 giugno<br />

2003 (in International Legal Materials 1974, 504 ss.), che però a tutt’oggi risulta essere<br />

stata ratificata solamente da tre Stati (Belgio, Paesi Bassi e Romania).<br />

(40) Relativamente all’ordinamento italiano cfr. Zappalà, Droit italien, in Cassese-<br />

Delmas Marty (sous la direction de), Juridictions nationales et crimes internationaux,<br />

Paris 2002, 205.<br />

(41) Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2670; Nappi, Diritti inviolabili, cit., 26 s.;<br />

Bianchi, Ferrini v. Federal Republic of Germany, cit., 246; Gattini, War Crimes, cit.,<br />

231.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 545<br />

supporre che il riferimento fatto ai concetti di universalità e di imprescrittibilità<br />

sia in definitiva esclusivamente da interpretare in senso rafforzativo <strong>del</strong> prevalente<br />

valore attribuito dalla Suprema Corte, nel caso che qui ci occupa, al principio<br />

<strong>del</strong> rispetto dei diritti inviolabili <strong>del</strong>la persona umana (42).<br />

Le conclusioni cui è pervenuto il giudice italiano con la sentenza n. 5044<br />

<strong>del</strong> 2004 sono, come anticipato, tutt’altro che pacifiche e scontate nel panorama<br />

giuridico internazionale. Comparando la decisione in parola con le pronunce<br />

emesse da altri giudici nazionali investiti di questioni analoghe a quella qui affrontata,<br />

ci si rende conto di essere in presenza di principi non ancora definitivamente<br />

affermati e i cui contorni non sono ancora completamente <strong>del</strong>ineati. Il<br />

problema <strong>del</strong> risarcimento per danni causati da Stati responsabili di aver condotto<br />

operazioni belliche che hanno presentato i caratteri propri <strong>del</strong> crimine internazionale<br />

ha infatti assunto particolare rilievo negli ultimi anni, ponendosi<br />

all’attenzione di vari organi giurisdizionali stranieri; questi ultimi hanno fornito<br />

soluzioni divergenti, a volte confermando e altre volte smentendo, immediatamente<br />

in primo grado, nei successivi gradi di giudizio o in fase di esecuzione, la<br />

sottoponibilità a giudizio <strong>del</strong>lo Stato straniero colpevole <strong>del</strong> comportamento<br />

lamentato.<br />

Tre controversie, svoltesi negli Stati Uniti d’America, in Grecia e in Francia<br />

e concernenti tutte gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dalle Forze<br />

Armate tedesche al di fuori dei confini nazionali durante la Seconda Guerra<br />

Mondiale, forniscono più di altre spunti utili, data anche la comunanza concettuale<br />

e storica da esse presentata con quanto lamentato dal protagonista <strong>del</strong> caso<br />

da noi preso in esame: si tratta segnatamente <strong>del</strong>la causa Princz v. Federal Republic<br />

of Germany, risolta dalla District Court for the District of Columbia con<br />

una sentenza <strong>del</strong> 23 dicembre 1992 e inerente alla vicenda di un cittadino statunitense<br />

di razza ebraica che nel 1942, quando viveva con la sua famiglia in Slovacchia,<br />

venne arrestato dalla polizia, consegnato alle SS naziste, internato nei<br />

campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau e di Dachau e lì avviato al lavoro<br />

forzato presso industrie chimiche e belliche tedesche (43); <strong>del</strong>l’azione civile<br />

––––––––––––<br />

(42) De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione e tutela dei diritti fondamentali,<br />

in Riv. dir. int. 2002, 590, rileva infatti che « (…) il principio <strong>del</strong>la giurisdizione<br />

universale ha valore di diritto internazionale positivo solo con riferimento alla giurisdizione<br />

penale nei confronti di individui che siano imputati di crimina iuris gentium. Di<br />

conseguenza, la possibilità di una sua applicazione anche in materia di giurisdizione civile<br />

nei confronti di Stati che abbiano commesso lo stesso tipo di crimine dovrebbe essere<br />

dimostrata ». V. altresì Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit.,<br />

676 s.; Iovane, The Ferrini Judgment, cit., 182; De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati<br />

dalla giurisdizione, cit., 261; Id., State Immunity and Human Rights, cit., 103; Gattini,<br />

War Crimes, cit., 228 s.<br />

(43) Su tale sentenza (pubblicata in International Legal Reports 1996, 598 ss.) cfr.<br />

Cerna, Hugo Princz v. Federal Republic of Germany: How Far Does the Long-Arm Juri-


546<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

intentata contro la Germania da 258 cittadini ellenici parenti <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong><br />

massacro compiuto il 10 giugno 1944 nel villaggio di Distomo, in Beozia, dalle<br />

forze naziste di occupazione, decisa nel merito dal Πολυµελές Πρωτοδικείο<br />

(Tribunale di prima istanza) di Livadia con la sentenza 30 ottobre 1997, n. 137<br />

(Prefettura di Voiotia c. Repubblica federale di Germania), a sua volta confermata<br />

dall’Άρειος Πάγος (Corte Suprema di Cassazione) mediante la sentenza 4<br />

maggio 2000, n. 11, e conclusasi con la condanna <strong>del</strong> Governo tedesco al pagamento<br />

di complessivi 28 milioni di euro in favore dei ricorrenti a titolo di riparazione<br />

dei danni morali e materiali loro arrecati (44); e <strong>del</strong> caso deciso in<br />

Francia dal Conseil de prud’hommes di Fontainebleau con sentenza <strong>del</strong> 5 febbraio<br />

2002 (Bucheron c. République fédérale d’Allemagne), che ha visto lo<br />

Stato tedesco condannato al pagamento di circa 95.000 euro come arretrati per<br />

emolumenti salariali non corrisposti, oltre a danni e interessi, a beneficio di un<br />

cittadino francese che nel 1944 era stato prelevato con la forza dalla propria<br />

abitazione e avviato al lavoro obbligato in Germania (45). Tutte e tre le volte,<br />

––––––––––––<br />

sdiction of US Law Reach?, in Leiden Journal of International Law 1995, 377 ss.; Reimann,<br />

A Human Rights Exception to Foreign Immunity: Some Thoughts on Princz v. Federal<br />

Republic of Germany, in Michigan Journal of International Law 1995, 404 ss.;<br />

Gergen, Human Rights and the Foreign Sovereign Immunities Act, in Virginia Journal of<br />

International Law 1996, 785 ss.; Bergen, Princz v. The Federal Republic of Germany:<br />

Why the Courts Should Find that Violating Jus Cogens Norms Constitutes an Implied<br />

Waiver of Sovereign Immunity, in Connecticut Journal of International Law 1999, 172<br />

ss. A essi fa riferimento anche Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati,<br />

cit., 649, nt. 26.<br />

(44) Il testo <strong>del</strong>la sentenza emessa dal Tribunale di prima istanza di Livadia si trova<br />

riprodotto in Revue hellénique de droit international 1997, 595 ss. con nota di Gavouneli,<br />

War Reparation Claims and State Immunity e in American Journal of International Law<br />

1998, 765 ss. con nota redazionale di Bantekas. La sentenza 4 maggio 2000, n. 11 è pubblicata<br />

in American Journal of International Law 2001, 198 ss. con nota redazionale di<br />

Gavouneli e Bantekas; essa viene altresì analizzata da De Vittor, Immunità degli Stati<br />

dalla giurisdizione, cit., 587 s.; Ronzitti, Azioni belliche e risarcimento <strong>del</strong> danno, in Riv.<br />

dir. int. 2002, 688; Id., Compensation for Violations of the Law of War and Individual<br />

Claims, in Italian Yearbook of International Law 2002, 41; Bianchi, Serious Violations,<br />

cit., 150 s.; Id., L’immunité des Etats, cit., 65 s.; Id., Ferrini v. Federal Republic of Germany,<br />

cit., 243; Gattini, To What Extent, cit., 356 ss.; Gianelli, Crimini internazionali ed<br />

immunità degli Stati, cit., 655 ss.; De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione,<br />

cit., 258; Id., State Immunity and Human Rights, cit., 97.<br />

(45) Con una legge <strong>del</strong> 16 febbraio 1943 il regime di Vichy, sotto pressione <strong>del</strong>le<br />

autorità di occupazione germaniche, aveva istituito il Service de travail obligatoire<br />

(STO). Sarebbero dovuti andare a lavorare in Germania circa 875.000 giovani, ma decine<br />

di migliaia di essi scelsero la clandestinità pur di sfuggire a tale obbligo. Il Sig. Bucheron,<br />

ricorrente nel procedimento citato, era stato preso dalla Gestapo francese l’8 giugno<br />

1944 a Egreville, consegnato alle autorità tedesche insieme ad altre persone iscritte sulle<br />

liste <strong>del</strong> STO e costretto a lavorare per dieci mesi come elettricista, in condizioni assai


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 547<br />

l’eccezione di immunità giurisdizionale sollevata dalla parte convenuta non ha<br />

trovato accoglimento, avendo sostenuto i giudici aditi che il trattamento inflitto<br />

ai ricorrenti o alle vittime con le quali alcuni dei ricorrenti stessi erano imparentati<br />

fosse espressivo di una violazione di norme internazionali cogenti e che<br />

in conseguenza di ciò la Germania avesse implicitamente rinunciato alla propria<br />

immunità o non potesse comunque invocarla.<br />

Il vero nodo da sciogliere consiste nel capire fino a che punto si stia spingendo<br />

questa tendenza, se essa abbia già assunto il valore di una vera e propria<br />

norma consuetudinaria o se al riguardo sia ancora in atto uno sviluppo progressivo<br />

<strong>del</strong> diritto internazionale, già allo stadio avanzato o ancora soltanto embrionale,<br />

e ciò anche per superare l’ostacolo costituito in verità dall’assai scarso<br />

numero di Stati nei quali la Convenzione <strong>del</strong> 1972 è in vigore (tra di essi non<br />

figura neanche l’Italia) (46) e dal valore meramente interlocutorio e non vincolante<br />

<strong>del</strong> progetto di articoli <strong>del</strong> 1991, attualmente confluito in un testo convenzionale,<br />

quale è l’Accordo <strong>del</strong> 2004, privo di qualsivoglia efficacia in quanto<br />

ancora aperto alla firma degli Stati e ratificato finora dalla sola Norvegia (47).<br />

La Cassazione italiana non sembra aver espresso una posizione netta in favore<br />

<strong>del</strong>la prima ipotesi, essendosi limitata, come visto, a riscontrare una evoluzione<br />

<strong>del</strong>la prassi nel senso sopra prospettato; è quindi alla prassi che occorre far riferimento<br />

per tentare di comprendere quanto questa evoluzione sia marcata, così<br />

da poter verificare se sia corretto parlare al riguardo di una norma di diritto internazionale<br />

generale ormai formatasi oppure se un risultato <strong>del</strong> genere sia allo<br />

stato attuale ancora lontano. Orbene, le vicende alle quali ci si è appena riferiti,<br />

nonostante il tenore <strong>del</strong>le decisioni cui hanno inizialmente dato luogo, non possono<br />

indurre a far ritenere che nelle questioni connesse alla violazione dei diritti<br />

umani fondamentali il superamento <strong>del</strong>la distinzione tra atti espressivi di pub-<br />

––––––––––––<br />

difficili e senza ricevere alcun compenso, presso le officine <strong>del</strong>la Akkufabrike (oggi<br />

Varta) di Hannover, impresa produttrice di motori per navi e sottomarini da guerra.<br />

(46) La Convenzione di Basilea è stata infatti ratificata da Austria (10 luglio 1974),<br />

Belgio (27 ottobre 1975), Cipro (10 marzo 1976), Germania (15 maggio 1990), Lussemburgo<br />

(11 dicembre 1986), Paesi Bassi (21 febbraio 1985), Regno Unito (3 luglio 1979) e<br />

Svizzera (6 luglio 1982), mentre il Protocollo addizionale è stato ratificato da questi stessi<br />

Stati (nelle medesime date rispettivamente indicate) a eccezione <strong>del</strong>la Germania (che<br />

l’ha peraltro firmato il 16 maggio 1972) e <strong>del</strong> Regno Unito; Convenzione e Protocollo<br />

sono stati inoltre firmati dal Portogallo il 10 maggio 1979, ma a tale firma non ha fatto<br />

seguito alcuna ratifica formale.<br />

(47) La Convenzione di New York <strong>del</strong> 2004 risulta a tutt’oggi essere stata firmata:<br />

il 17 gennaio 2005 da Austria e Marocco; il 25 febbraio 2005 dal Portogallo; il 22 aprile<br />

2005 dal Belgio; l’8 luglio 2005 dalla Norvegia; il 14 settembre 2005 da Cina, Finlandia,<br />

Romania e Svezia; il 15 settembre 2005 da Madagascar e Slovacchia; il 16 settembre<br />

2005 da Islanda, Paraguay e Timor Est; il 21 settembre 2005 dal Senegal; il 30 settembre<br />

2005 dal Regno Unito; l’11 novembre 2005 dal Libano; il 30 marzo 2006 dall’Estonia.<br />

La Norvegia ha depositato il proprio strumento di ratifica il 27 marzo 2006.


548<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

bliche funzioni e atti negoziali iure privatorum sia un principio ormai pienamente<br />

affermato, ma solamente che il principio medesimo è in via di iniziale<br />

affermazione.<br />

Con la sentenza 1° luglio 1994, la Court of Appeals for the District of Columbia<br />

Circuit, occupandosi nuovamente <strong>del</strong> caso Princz v. Federal Republic of<br />

Germany, ha infatti ribaltato il giudizio di primo grado e ha accordato l’immunità<br />

alla Germania, dimostrando tra l’altro l’inconsistenza logica <strong>del</strong>l’argomento<br />

secondo il quale l’adesione ad accordi miranti a garantire protezione ai diritti<br />

umani fondamentali comporti una rinuncia implicita all’immunità qualora uno<br />

Stato parte si renda esso stesso responsabile <strong>del</strong>la violazione dei medesimi diritti<br />

(48). Per quanto riguarda ciò che è stato asserito dalla Cassazione greca,<br />

bisogna rilevare come la procedura esecutiva intrapresa dai ricorrenti vincitori<br />

nel merito, avviata ugualmente nonostante fosse stata negata la prescritta preventiva<br />

autorizzazione <strong>del</strong> Ministro <strong>del</strong>la Giustizia, sia stata prima sospesa e in<br />

seguito, dopo alterne prese di posizione, definitivamente bloccata (49). Il 17<br />

––––––––––––<br />

(48) In International Legal Reports 1996, 604 ss. Cfr. però l’opinione dissidente <strong>del</strong><br />

Circuit Judge Wald, il quale ribadisce che « Germany waived its sovereign immunity by<br />

violating the jus cogens norms of international law concerning enslavement and genocide.<br />

A jus cogens norm, also known as a “peremptory norm” of international law, “is a<br />

norm accepted and recognized by the international community of States as a whole as a<br />

norm from which no derogation is permitted and which can be modified only by a subsequent<br />

norm of general international law having the same character” ». Per una più approfondita<br />

disamina in merito alla portata <strong>del</strong>la sentenza Princz <strong>del</strong> 1994 si rinvia ai contributi<br />

offerti dagli Autori già citati in precedenza alla nt. 43.<br />

(49) L’espropriazione immobiliare, che aveva inizialmente determinato il pignoramento<br />

<strong>del</strong>la sede <strong>del</strong> Goethe-Institut ad Atene (e che era stato ipotizzato potesse essere<br />

esperita anche nei confronti <strong>del</strong>le Deutsche Schulen di Atene e Salonicco nonché<br />

<strong>del</strong>l’Istituto archeologico tedesco situato nella stessa capitale greca), venne infatti interrotta<br />

dal Tribunale di prima istanza di Atene (sentenza 19 settembre 2000, n. 8206) in<br />

seguito alla presentazione di un atto di opposizione da parte <strong>del</strong>la Germania motivato<br />

dalla mancanza <strong>del</strong>l’autorizzazione governativa prevista dall’art. 923 <strong>del</strong> Codice di procedura<br />

civile greco, anche se poi lo stesso Tribunale, con sentenze 10 luglio 2001, nn.<br />

3666 e 3667, ritenne che l’art. 923 fosse contrario all’art. 6, par. 1 <strong>del</strong>la Convenzione<br />

europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo e all’art. 2, par. 3 <strong>del</strong> Patto internazionale relativo ai diritti<br />

civili e politici <strong>del</strong> 1966, e rigettò quindi l’opposizione suddetta. Una seconda sospensione<br />

venne decisa il 18 luglio 2001 su richiesta <strong>del</strong>lo Stato tedesco, che nel frattempo aveva<br />

impugnato la decisione <strong>del</strong> Tribunale di prima istanza a esso sfavorevole. Con sentenze<br />

14 settembre 2001, nn. 4867 e 4868, la Corte d’Appello (Εφετείο) di Atene riformò il<br />

giudizio di primo grado, confermando l’opposizione formulata dalla Germania, e rilevò<br />

che l’art. 923 assolveva al fine generale di evitare le controversie tra Stati e di favorire le<br />

relazioni internazionali e che l’autorizzazione ministeriale non inficiava il diritto a una<br />

protezione effettiva. La pronuncia <strong>del</strong>l’Εφετείο è stata infine definitivamente confermata<br />

dalla Corte Suprema di Cassazione con le sentenze 28 giugno 2002, nn. 36 e 37 (cfr.<br />

Ronzitti, Compensation for Violations, cit., 41; Vournas, Prefecture of Voiotia v. Federal


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 549<br />

settembre 2002 si è giunti inoltre a una pronuncia, adottata a maggioranza di sei<br />

giudici contro cinque dalla Corte Suprema Speciale di Grecia, adita dalla Corte<br />

di Cassazione affinché risolvesse una controversia simile a quella relativa al<br />

massacro di Distomo e instaurata contro la Repubblica federale di Germania da<br />

un individuo i cui beni erano stati immotivatamente distrutti dalle truppe tedesche<br />

durante la Seconda Guerra Mondiale, nella quale, modificando il principio<br />

a suo tempo sostenuto dal Tribunale di Livadia e dall’Άρειος Πάγος nella causa<br />

Prefettura di Voiotia, si è dichiarato che la Germania dovesse godere <strong>del</strong>l’immunità<br />

dalla giurisdizione senza limitazioni o eccezioni e che di conseguenza<br />

tale Stato non potesse essere convenuto in giudizio dinanzi a tribunali greci per<br />

rispondere civilmente di infrazioni connesse all’esercizio dei suoi poteri sovrani,<br />

non essendosi ancora formata una norma di diritto internazionale consuetudinario<br />

che escluda determinati atti dall’immunità riconosciuta agli Stati<br />

(50). A ciò si aggiunga che una analoga azione di risarcimento danni promossa<br />

dai parenti <strong>del</strong>le vittime di Distomo dinanzi ai giudici tedeschi non è stata<br />

accolta, essendo stata respinta sia dall’Oberlandesgerichtshof di Colonia sia dal<br />

––––––––––––<br />

Republic of Germany: Sovereign Immunity and the Exception of Jus Cogens Violations,<br />

in New York Law School Journal of International and Comparative Law 2002, 629 ss.;<br />

Gattini, To What Extent, cit., 360 ss.; e Handl, Introductory Note to the German Supreme<br />

Court: Judgment in the Distomo Massacre Case, in International Legal Materials 2003,<br />

1027 s.). Il ricorso conseguentemente presentato dai parenti <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong>l’eccidio di<br />

Distomo dinanzi alla Corte europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo, tramite il quale si lamentava<br />

l’avvenuta violazione <strong>del</strong>l’art. 6, par. 1 <strong>del</strong>la Convenzione di Roma <strong>del</strong> 1950 e <strong>del</strong>l’art. 1<br />

<strong>del</strong> Protocollo addizionale a essa allegato (adottato a Parigi il 20 marzo 1952), è stato<br />

inoltre dichiarato irricevibile (ordinanza 12 dicembre 2002, Kalogeropoulou ed altri c.<br />

Germania e Grecia, in Conseil de l’Europe, Recueil des arrêts et décisions de la Cour<br />

européenne des droits de l’homme, Strasbourg 2002-X; su di essa v. Bartsch-Elberling,<br />

Jus Cogens vs. State Immunity, Round Two: The Decision of the European Court of Human<br />

Rights in the Kalogeropoulou et al. v. Greece and Germany Case, in German Law<br />

Journal 2003, 248 ss.; Gattini, To What Extent, cit., 361 s.; e Gianelli, Crimini internazionali<br />

ed immunità degli Stati, cit., 657 s.).<br />

(50) Si tratta <strong>del</strong>la sentenza resa dall’Ανώτατο Ειδικό ∆ικαστήριο, adito ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 100, lett. f) <strong>del</strong>la Costituzione greca, nella causa Repubblica federale di Germania<br />

c. Margellos (sulla quale cfr. Ronzitti, Compensation for Violations, cit., 41 s.; Gattini,<br />

To What Extent, cit., 360 s.; Id., War Crimes, cit., 225; Panezi, Sovereign Immunity<br />

and Violations of Jus Cogens, in Revue hellénique de droit internatonal 2003, 200 ss.;<br />

Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 658). Anche la decisione<br />

emanata dall’Άρειος Πάγος nel 2000 era stata adottata a maggioranza: nelle loro opinioni<br />

dissidenti, il Presidente <strong>del</strong>la Corte e altri tre giudici avevano anzi affermato che lo Stato<br />

straniero deve beneficiare <strong>del</strong>l’immunità in merito a qualsiasi rivendicazione risultante da<br />

una situazione di conflitto armato e che la violazione <strong>del</strong>lo ius cogens non comporta cessazione<br />

<strong>del</strong>l’immunità stessa.


550<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Bundesgerichtshof, quest’ultimo con sentenza emessa il 26 giugno 2003 (51).<br />

Quanto alla vicenda francese, il 9 settembre 2002 la Corte d’Appello di Parigi<br />

ha riformato la decisione adottata dal Conseil de prud’hommes di Fontainebleau<br />

asserendo che l’arresto, la deportazione e la sottoposizione a lavoro forzato <strong>del</strong><br />

soggetto leso, attuati dalla Potenza occupante con funzione strumentale ai propri<br />

disegni offensivi, andavano inquadrati nell’ambito di operazioni svolte dallo<br />

Stato tedesco nell’esercizio di una sua potestà pubblica, per cui i detti comportamenti,<br />

per quanto gravi, non sono stati ritenuti tali da poter vanificare il principio<br />

<strong>del</strong>l’esenzione <strong>del</strong>lo Stato straniero dalla giurisdizione civile (52).<br />

Stando ai dati forniti dalla pertinente giurisprudenza straniera ed emersi in<br />

seguito alla rapida ricognizione appena effettuata, è dunque alquanto azzardato<br />

e prematuro sostenere che uno Stato estero responsabile di aver compiuto crimini<br />

internazionali nell’ambito di comportamenti riconducibili a una manifestazione<br />

<strong>del</strong> suo potere di imperio, sia senz’altro assoggettabile alla giurisdizione<br />

civile di un altro Stato relativamente a cause di risarcimento collegate ai comportamenti<br />

suddetti, essendosi formata al riguardo una apposita norma consuetudinaria<br />

che non permette di beneficiare in questi casi <strong>del</strong>la tradizionale immunità<br />

<strong>del</strong>la quale altrimenti lo Stato straniero sarebbe ammesso a godere. Alla<br />

luce però degli stessi elementi forniti dalla prassi (internazionale e interna, recente<br />

e meno recente), neanche può più ritenersi pacifica e assolutamente acquisita<br />

la tesi contraria, in virtù <strong>del</strong>la quale nelle medesime fattispecie appena<br />

indicate uno Stato straniero deve essere di sicuro considerato immune dalla giurisdizione<br />

civile. Si va anzi sempre più evidenziando una corrente di pensiero<br />

propensa a escludere che Stati responsabili di gravi e significative violazioni dei<br />

diritti <strong>del</strong>l’uomo possano opporre il funzionamento <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>l’immunità<br />

in loro favore, specialmente allorquando essi vengano convenuti in giudizio per<br />

cause aventi ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da persone fisiche nel<br />

territorio <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro (53).<br />

––––––––––––<br />

(51) Pubblicata in International Legal Materials 2003, 1030 ss. V. in merito Bianchi,<br />

L’immunité des Etats, cit., 78 s.; Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli<br />

Stati, cit., 658 s.; Pittrof, Compensation Claims for Human Rights Breaches Committed<br />

by German Armed Forces Abroad during the Second World War: Federal Court of Justice<br />

Hands Down Decision in the Distomo Case, in German Law Journal 2004, 15 ss.<br />

(52) Si consideri inoltre che il 18 maggio 2001 il Conseil de prud’hommes di Parigi<br />

si era dichiarato incompetente a esaminare un caso relativo a tre ex lavoratori forzati e<br />

analogo a quello <strong>del</strong> Sig. Bucheron, ritenendo sussistente l’immunità in favore <strong>del</strong>la<br />

Germania e aggiungendo comunque che i fatti dovevano ritenersi ormai prescritti e che<br />

l’assenza di un contratto determinava l’impossibilità di sottoporre la questione alla magistratura<br />

<strong>del</strong> lavoro.<br />

(53) Baratta, L’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione civile sullo Stato straniero, cit., 1202,<br />

sottolinea anzi come parte <strong>del</strong>la dottrina condivida l’ipotesi secondo la quale non possa<br />

negarsi la giurisdizione nel caso in cui « (…) lo Stato estero sia convenuto in giudizio per<br />

accertare le conseguenze civilistiche <strong>del</strong>la violazione di norme di ius cogens e in parti-


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 551<br />

Se infatti il contenzioso poc’anzi segnalato impone pur sempre all’interprete<br />

una estrema cautela, diverse circostanze inducono al tempo stesso a ritenere<br />

che si sia comunque in presenza, e questo le vicende citate sembrano confermarlo,<br />

di una incontestabile e progressiva affermazione, nell’ordinamento<br />

internazionale e negli ordinamenti interni, <strong>del</strong>la rilevanza <strong>del</strong> criterio basato<br />

sulla natura <strong>del</strong>l’atto lesivo nelle controversie aventi a oggetto pretese di risarcimento<br />

<strong>del</strong> danno fondate su illeciti nel cui compimento siano coinvolti altri<br />

Stati. Si va se non altro insinuando il dubbio che la suddetta immunità debba<br />

essere negata in presenza di azioni qualificabili come crimini internazionali, in<br />

base all’evoluzione in precedenza ampiamente riferita e in ossequio al valore<br />

cogente <strong>del</strong>le rispettive norme proibitive, perlomeno quando la dinamica di<br />

svolgimento di queste azioni sia tale, per sistematicità, continuità e gravità, da<br />

integrare i requisiti <strong>del</strong>la gross violation e qualora le azioni stesse, che toccano<br />

la coscienza di tutta l’umanità, siano integralmente realizzate o siano anche solo<br />

intraprese nel territorio <strong>del</strong>lo Stato in cui il giudizio viene instaurato. Ne è chiaro<br />

sentore il fatto che le pronunce <strong>del</strong>la Corte europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo e<br />

degli organi giurisdizionali interni fin qui menzionate sono state il più <strong>del</strong>le<br />

volte rese a maggioranza di pochi voti e anche di un solo voto, rinvenendosi<br />

nelle varie opinioni dissidenti a esse allegate manifestazioni di pensiero e argomentazioni<br />

a sostegno sia <strong>del</strong> riconoscimento sia <strong>del</strong>la negazione <strong>del</strong>l’immunità<br />

nei singoli casi di specie; che ordinamenti in passato favorevoli all’immunità<br />

assoluta e ormai da vari anni fautori <strong>del</strong>l’immunità ristretta o relativa, come<br />

quelli di derivazione anglosassone, ammettano la competenza giurisdizionale<br />

dei propri giudici interni nelle ipotesi di controversie riguardanti il risarcimento<br />

dei danni prodottisi in seguito ad atti illeciti compiuti nel territorio <strong>del</strong>lo Stato<br />

<strong>del</strong> foro e riconducibili a uno Stato straniero; e che un ordinamento come quello<br />

statunitense, anch’esso tenace assertore <strong>del</strong>l’immunità assoluta fino a un recente<br />

passato, manifesti a livello normativo, come rilevato dalla Suprema Corte « un<br />

––––––––––––<br />

colare di violazioni gravi dei diritti umani »: il riferimento è a Conforti, Diritto internazionale,<br />

cit., 253 e a Cassese, Diritto internazionale, cit., 125 s. (supra, nt. 37). In senso<br />

analogo si esprimono anche Bianchi, Denying State Immunity to Violators of Human<br />

Rights, in Austrian Journal of Public International Law 1994, 195 ss. e Iovane, The Ferrini<br />

Judgment, cit., 180 ss. Secondo quest’ultimo Autore (op. cit., 180) « (…) it is possibile<br />

to affirm that (…) the application of an innovative solution does not amount to the<br />

commission of an internationally wrongful act especially if the departure from current<br />

law is justified by the vindication of a universally recognised principle, such as the protection<br />

against gross violations of human rights »; egli inoltre (op. cit., 181), dopo aver<br />

ribadito che « (…) the denial of sovereign immunity is not per se illegitimate when the<br />

State is accused of gross violations of human rights. (…) », aggiunge che « Under this<br />

status of the current practice, a denial of jurisdictional immunity would not be unlawful<br />

on the sole condition that the violation of fundamental human rights by the foreign State<br />

is notorious and has been well established ».


552<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rilievo prioritario (…), in presenza di attività <strong>del</strong>ittuose di particolare gravità,<br />

(…) ormai attribuito alla tutela dei diritti fondamentali <strong>del</strong>la persona umana rispetto<br />

alla protezione <strong>del</strong>l’interesse <strong>del</strong>lo Stato al riconoscimento <strong>del</strong>la propria<br />

immunità dalla giurisdizione straniera » (54), dato quest’ultimo costantemente<br />

confermato a livello giurisprudenziale, al contrario di quanto accadeva solo pochi<br />

anni fa (55).<br />

La decisione <strong>del</strong>la Cassazione qui considerata si colloca pertanto a pieno<br />

titolo nel trend evolutivo finora <strong>del</strong>ineato. Nonostante sia d’obbligo mantenere<br />

una valutazione più che prudente in merito ai futuri sviluppi che la situazione<br />

controversa potrà esprimere, il dispositivo di tale sentenza è certamente da approvare<br />

e si spera possa produrre un risultato concreto. Ammettendo la giurisdizione<br />

civile nei confronti di uno Stato straniero con riguardo a una condotta iure<br />

imperii particolarmente grave esplicatasi almeno in parte sul territorio nazionale,<br />

essa si configura per l’appunto quale ulteriore e coraggioso contributo alla<br />

protezione <strong>del</strong>l’individuo vittima di gravi violazioni dei propri diritti fondamentali,<br />

in grado di incidere positivamente sul rafforzamento e lo sviluppo di<br />

tendenze alla progressiva erosione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>l’immunità già in atto<br />

nell’ambito <strong>del</strong>la Comunità internazionale. Nei fatti posti alla base <strong>del</strong>la vicen-<br />

––––––––––––<br />

(54) Cfr. quanto disposto dall’art. 226 <strong>del</strong>l’Anti-Terrorism and Effective Death Penalty<br />

Act <strong>del</strong> 3 gennaio 1996, ai sensi <strong>del</strong> quale, ai classici casi di esclusione<br />

<strong>del</strong>l’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri di cui all’art. 1605 <strong>del</strong> Foreign Sovereign<br />

Immunities Act <strong>del</strong> 1976, viene aggiunta l’ipotesi concernente le pretese volte a<br />

ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di morte o lesioni personali derivanti da<br />

tortura, assassinio, sabotaggio di aereo e presa di ostaggi, ipotesi questa per la verità ritenuta<br />

applicabile solo agli Stati esteri ritenuti sponsor <strong>del</strong> terrorismo. In senso critico sul<br />

punto, v. Conforti, Diritto internazionale, cit., 253 e Sico, Sull’immunità dalla giurisdizione<br />

italiana, cit., 512; sull’Anti-Terrorism and Effective Death Penalty Act si rinvia a<br />

Leigh, 1996 Amendments to the Foreign Sovereign Immunities Act with Respect to Terrorist<br />

Activities, in American Journal of International Law 1997, 187 nonché ai cenni fatti<br />

da Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2666, da Gianelli, Crimini internazionali ed immunità<br />

degli Stati, cit., 650 ss., da Bianchi, Ferrini v. Federal Republic of Germany, cit.,<br />

244 e da De Sena-De Vittor (Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit., 260; State Immunity<br />

and Human Rights, cit., 103).<br />

(55) V., in senso contrario a quanto la giurisprudenza statunitense ha asserito in<br />

passato (supra, nt. 21), le sentenze emesse dalla District Court for the Southern District<br />

of Florida il 17 dicembre 1997 (Alejandre v. Republic of Cuba) e dalla District Court for<br />

the District of Columbia l’11 marzo 1998 (Flatow v. Islamic Republic of Iran), il 27 agosto<br />

1998 (Cicippio v. Islamic Republic of Iran), il 24 marzo 2000 (Anderson v. Islamic<br />

Republic of Iran), l’11 luglio 2000 (Eisenfeld v. Islamic Republic of Iran), il 21 settembre<br />

2000 (Higgins v. Islamic Republic of Iran), il 25 giugno 2001 (Sutherland v. Islamic Republic<br />

of Iran), il 23 agosto 2001 (Polhill v. Islamic Republic of Iran), il 19 settembre<br />

2001 (Mousa v. Islamic Republic of Iran), il 9 ottobre 2001 (Jenco v. Islamic Republic of<br />

Iran), il 6 novembre 2001 (Wagner v. Islamic Republic of Iran) e il 5 dicembre 2001<br />

(Daliberti v. Republic of Iraq).


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 553<br />

da oggetto <strong>del</strong>la sentenza in commento, il requisito <strong>del</strong>la gravità <strong>del</strong>le violazioni<br />

perpetrate assume oltretutto contorni più che evidenti: deportazione e lavoro<br />

forzato si sono rivelati, tra il 1939 e il 1945, elementi di una precisa strategia<br />

perseguita dal regime nazista con sistematicità e determinazione in patria e nei<br />

territori occupati, sia a danno di civili, tra i quali moltissimi oppositori politici<br />

ma anche semplici cittadini abitanti nelle zone poste sotto occupazione, sia a<br />

danno di prigionieri di guerra, per sostenere l’economia e la produzione bellica<br />

tedesche (56). Il principio derogatorio enunciato dal Supremo Collegio appare<br />

poi maggiormente apprezzabile in considerazione <strong>del</strong> rischio che le richieste di<br />

risarcimento dei danni patiti in conseguenza di gross violations possano venire<br />

regolarmente respinte quando inoltrate dinanzi a organi <strong>del</strong>lo Stato responsabile,<br />

rischio questo che per moltissimi internati italiani superstiti e loro aventi<br />

causa si è trasformato in realtà, visti gli assai numerosi dinieghi opposti dalle<br />

autorità tedesche, in sede tanto amministrativa quanto giurisdizionale, rispetto<br />

alle istanze risarcitorie da essi presentate. Tutte le volte in cui, in questi casi di<br />

particolare gravità, i tribunali <strong>del</strong>lo Stato sul cui territorio si sono prodotti l’atto<br />

o l’omissione denunciati negano la propria competenza giurisdizionale rifiutando<br />

l’accesso ai soggetti lesi, le possibilità reali che questi ultimi rimangano privi<br />

di un adeguato risarcimento per i danni subiti aumentano considerevolmente:<br />

non v’è infatti alcuna certezza, come dimostrato dai fatti, che i soggetti stessi<br />

possano ottenere soddisfazione presso l’autorità amministrativa o i giudici <strong>del</strong>lo<br />

Stato estero responsabile <strong>del</strong>l’illecito, essendo anzi verosimile il contrario, dato<br />

il presumibile rischio di difetto di imparzialità dovuto a un evidente coinvolgimento<br />

diretto nell’episodio criminoso lamentato <strong>del</strong>l’apparato statale <strong>del</strong> quale<br />

l’amministrazione e i giudici stessi sono espressione (57).<br />

––––––––––––<br />

(56) Come constatato dal Tribunale militare internazionale di Norimberga nella<br />

sentenza emanata il 1° ottobre 1946, « (…) the German occupation authorities did succeed<br />

in forcing many of the inhabitants of the occupied territories to work for the German<br />

war effort, and in deporting at least 5.000.000 persons to Germany to serve German<br />

industry and agriculture. (…) In all the occupied territories compulsory labour service<br />

was promptly instituted. Inhabitants of the occupied countries were conscripted and<br />

compelled to work in local occupations, to assist the German war economy. (…) As local<br />

supplies of raw materials and local industrial capacity became inadequate to meet the<br />

German requirements, the system of deporting labourers to Germany was put into force.<br />

By the middle of April, 1940, compulsory deportation of labourers to Germany had been<br />

ordered in the Government General; and a similar procedure was followed in other eastern<br />

territories as they were occupied. (…) ». Cfr. Fried, Transfer of Civilian Manpower<br />

from Occupied Territory, in American Journal of International Law 1946, 312 ss.<br />

(57) E infatti secondo Baratta, L’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione civile sullo Stato<br />

straniero, cit., 1204, nella sentenza n. 5044 <strong>del</strong> 2004 « (…) la Suprema Corte avrebbe<br />

potuto chiarire che nell’ordinamento tedesco non esistono i presupposti per consentire<br />

un’adeguata ed efficace tutela giurisdizionale <strong>del</strong>la posizione giuridica soggettiva<br />

<strong>del</strong>l’attore; invero, la giurisprudenza tedesca respinge le azioni individuali risarcitorie per


554<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Due questioni, assolutamente determinanti per il buon esito <strong>del</strong>la vicenda<br />

processuale da noi considerata, restano peraltro pur sempre insolute: il diritto<br />

<strong>del</strong>la vittima al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, la<br />

sussistenza <strong>del</strong> quale deve essere valutata dal giudice di merito; e l’esecuzione<br />

<strong>del</strong>l’eventuale sentenza di condanna <strong>del</strong>la Repubblica federale di Germania in<br />

caso di inadempimento spontaneo da parte di quest’ultima. Di tali aspetti non si<br />

occupa ovviamente e giustamente la pronuncia in commento, essendo stata essa<br />

emanata nell’ambito di un regolamento di giurisdizione.<br />

Quanto al primo punto, occorre innanzitutto rilevare come sussista un problema<br />

di fondo, rappresentato dalla difficoltà di ricostruire nell’ordinamento<br />

internazionale un diritto <strong>del</strong>l’individuo al risarcimento dei danni subiti in seguito<br />

alla violazione di obblighi posti da norme consuetudinarie di tutela dei<br />

diritti fondamentali, nei confronti <strong>del</strong>lo Stato autore <strong>del</strong>l’illecito: si tratta di un<br />

diritto previsto in alcuni sistemi convenzionali di tutela dei diritti fondamentali<br />

<strong>del</strong>l’uomo, ma la cui esistenza è dubbia nel diritto internazionale umanitario e<br />

controversa nel diritto internazionale consuetudinario (58). Poiché la Cassazione<br />

ha affermato nel caso di specie che le norme internazionali generali « (…)<br />

che configurano come “crimini internazionali” i comportamenti che più gravemente<br />

attentano (…) » alla libertà e alla dignità <strong>del</strong>la persona umana sono parte<br />

integrante <strong>del</strong> nostro ordinamento in virtù <strong>del</strong>l’art. 10, comma 1° Cost., e sono<br />

perciò « (…) pienamente idonee ad assumere il ruolo di parametro <strong>del</strong>l’ingiustizia<br />

<strong>del</strong> danno causato da un “fatto” doloso o colposo altrui », e poiché nel<br />

sostenere questo la Suprema Corte fa in realtà riferimento ai crimini di individui<br />

ricollegando la titolarità <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>l’individuo alla qualifica negativa attribuita<br />

alla condotta dal diritto internazionale senza che rilevi il contenuto <strong>del</strong>la<br />

norma internazionale alla quale il nostro ordinamento si adatta, vi è chi, interpretando<br />

il senso <strong>del</strong>l’affermazione appena riportata, ha ritenuto di poter scorgere<br />

il fondamento <strong>del</strong> diritto al risarcimento nell’art. 2043 c.c. in combinato<br />

disposto con la norma di adattamento che qualifica come crimine l’attività<br />

<strong>del</strong>l’individuo e non con la norma di adattamento a una regola internazionale<br />

––––––––––––<br />

crimini di guerra commessi nel secondo conflitto mondiale. Con questa motivazione il<br />

rigetto <strong>del</strong>l’immunità dalla giurisdizione sarebbe apparso più rispondente ai valori di<br />

fondo <strong>del</strong>l’ordinamento internazionale e alla regola <strong>del</strong> previo esaurimento dei ricorsi<br />

interni ». Lo stesso Autore (op. cit., 1203) configura il previo esaurimento dei ricorsi interni<br />

« (…) quale vera e propria precondizione per l’esercizio <strong>del</strong>la giurisdizione civile<br />

nei confronti di uno Stato straniero la cui immunità sia in questione ». Qualora<br />

l’individuo non dovesse disporre di un rimedio giurisdizionale effettivo e adeguato<br />

nell’ordinamento di tale Stato, con un procedimento tale da garantire imparzialità e indipendenza<br />

<strong>del</strong> giudice soprattutto dal potere esecutivo, « (…) la regola <strong>del</strong>l’immunità verrebbe<br />

a cadere e il giudice territoriale potrebbe far “rivivere” la propria giurisdizione ».<br />

(58) Cfr. al riguardo Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit.,<br />

678 s., nonché la dottrina dalla stessa riportata alle nt. 144, 145, 146 e 147.


IMMUNITÀ DEGLI STATI DALLA GIURISDIZIONE CIVILE ECC. 555<br />

che preveda il risarcimento <strong>del</strong> danno, definendo tale ratio applicabile anche<br />

alle condotte di Stati. Le norme internazionali consuetudinarie assumerebbero<br />

quindi rilievo solo come elemento integratore <strong>del</strong>l’illecito extracontrattuale e<br />

non come titolo autonomo al risarcimento (59). Con l’espressione « diritto » al<br />

risarcimento non si intenderebbe inoltre una vera e propria situazione giuridica<br />

soggettiva di diritto internazionale, non pienamente configurabile in presenza di<br />

una prassi giurisprudenziale che ha ammesso solo occasionalmente la deroga<br />

all’immunità, bensì una situazione che diventa tutelata come diritto solo nell’ordinamento<br />

interno in seguito all’adempimento <strong>del</strong>l’obbligo internazionale da<br />

parte <strong>del</strong>lo Stato; il diritto azionabile sul piano interno deriverebbe pertanto da<br />

una norma internazionale generale recante un obbligo per lo Stato autore<br />

<strong>del</strong>l’illecito di fornire la riparazione agli individui, semplici beneficiari <strong>del</strong> diritto<br />

medesimo (60).<br />

La portata innovativa e il concreto esito <strong>del</strong>la sentenza rischiano inoltre di<br />

essere oggettivamente ridimensionati da un altro problema rilevante: quello<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione <strong>del</strong> provvedimento. Si profila al riguardo la questione <strong>del</strong>l’immunità<br />

<strong>del</strong>lo Stato straniero dalla giurisdizione esecutiva, sulla quale la Cassazione<br />

non si pronuncia neanche in via incidentale; questione non di poco conto<br />

in quanto, come si è avuto modo di notare citando il caso Prefettura di Voiotia<br />

(61), non è escluso che uno Stato, anche se condannato in primo grado, possa<br />

nuovamente invocare e ottenere l’immunità in sede di esecuzione. L’immunità<br />

degli Stati esteri dalla giurisdizione esecutiva <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong> foro assume<br />

anch’essa un carattere ristretto o relativo, similmente a quanto accade per la<br />

giurisdizione di cognizione, concernendo i soli beni destinati all’espletamento<br />

di una pubblica funzione e non anche i beni detenuti da uno Stato a titolo privato<br />

(62). Ciò non significa peraltro che l’immunità dall’esecuzione rappresenti<br />

una semplice appendice <strong>del</strong>l’immunità dalla cognizione; si tratta al contrario di<br />

regole tra loro autonome ed evolutesi in maniera differenziata nel corso <strong>del</strong><br />

tempo. Da un lato, vi è dunque chi ha ritenuto che se anche il procedimento di<br />

primo grado riapertosi per effetto <strong>del</strong> rinvio operato dalla Cassazione si concludesse<br />

positivamente per l’attore e costui si vedesse costretto a far eseguire coattivamente<br />

la sentenza, si dovrebbe comunque applicare la regola <strong>del</strong>l’immunità<br />

––––––––––––<br />

(59) Così Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 677 s. V.<br />

inoltre De Sena-De Vittor, Immunità degli Stati dalla giurisdizione, cit., 265, nt. 91; Id.,<br />

State Immunity and Human Rights, cit., 111, nt. 89.<br />

(60) Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 679 ss.<br />

(61) V. supra, nt. 49.<br />

(62) Cfr. in proposito quanto già previsto dall’art. 18 <strong>del</strong> progetto di articoli <strong>del</strong>la<br />

Commissione di diritto internazionale <strong>del</strong>le Nazioni Unite <strong>del</strong> 1991 sull’immunità giurisdizionale<br />

degli Stati e dei loro beni (Kessedjian-Schreuer, Le projet d’articles, cit., 326<br />

ss.), confermato oggi dall’art. 19 <strong>del</strong>la Convenzione di New York <strong>del</strong> 2004 sull’immunità<br />

giurisdizionale degli Stati e dei loro beni (Foakes-Wilmshurst, State Immunity, cit., 7).


556<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ristretta per cui sarebbero aggredibili solamente i beni <strong>del</strong>lo Stato tedesco non<br />

destinati a una pubblica funzione (63); dall’altro, vi è chi ha sostenuto che l’argomento<br />

basato sulla superiorità gerarchica <strong>del</strong>la norma imperativa e sull’esigenza<br />

di assicurare adeguata tutela agli interessi da quella norma protetti potrebbe<br />

trovare applicazione anche in sede di esecuzione <strong>del</strong>l’eventuale sentenza<br />

di condanna, per quanto riguarda i beni destinati a pubblica funzione (64).<br />

Non resta quindi che attendere la fine <strong>del</strong> processo di merito riassunto dinanzi<br />

al Tribunale di Arezzo e auspicare che il giudice adito accolga le giuste<br />

richieste formulate dall’istante, liquidando in suo favore un congruo, seppur tardivo,<br />

indennizzo per la prigionia subita. Un simile esito, unito al fruttuoso esperimento<br />

<strong>del</strong>la conseguente fase esecutiva, avrebbe un significato non limitabile<br />

al caso singolo e neppure alla sola categoria degli ex internati: sarebbe un importante<br />

segnale di civiltà, prima ancora che di giustizia, e gli effetti positivi che<br />

ne deriverebbero andrebbero sicuramente a ripercuotersi ben oltre i confini <strong>del</strong><br />

nostro Paese.<br />

PIERLUIGI SIMONE<br />

Ricercatore<br />

nell’Università degli Studi di Roma « Tor Vergata »<br />

––––––––––––<br />

(63) Ciampi, Crimini internazionali, cit., 2670.<br />

(64) Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati, cit., 683.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I termini di costituzione <strong>del</strong>le parti … – 3. … e gli<br />

effetti <strong>del</strong>la loro violazione: i diversi orientamenti emersi in dottrina. Critica<br />

e conclusioni: la mancata o tardiva costituzione di tutte le parti implica,<br />

salvo casi eccezionali, l’estinzione <strong>del</strong> processo. – 4. Segue. Le attività<br />

processuali successive alla tardiva costituzione in giudizio di almeno una<br />

<strong>del</strong>le parti. – 5. Il processo contumaciale. In particolare: i problemi connessi<br />

alla decorrenza <strong>del</strong> termine di costituzione <strong>del</strong>l’attore nelle cause con<br />

pluralità di convenuti. – 6. Segue. La tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore determina<br />

l’estinzione <strong>del</strong> processo. – 7. Segue. Il contenuto e la notificazione<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza. – 8. Segue. Il termine finale per<br />

il deposito <strong>del</strong>l’istanza di fissazione di udienza e le conseguenze <strong>del</strong>la sua<br />

violazione. – 9. Segue. Considerazioni conclusive sul rapporto fra contumacia<br />

ed estinzione nel nuovo processo societario. – 10. I termini per la<br />

notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione di udienza … – 11. … e gli effetti<br />

<strong>del</strong>la loro violazione. – 12. Le conseguenze <strong>del</strong> mancato o tardivo deposito<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione di udienza. – 13. Conclusioni.<br />

1. – Con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, è stato introdotto, com’è noto, un<br />

procedimento speciale a cognizione piena ed esauriente riservato alla definizione<br />

<strong>del</strong>le controversie relative a rapporti societari e di intermediazione mobiliare,<br />

nonché in materia bancaria e di credito per le opere pubbliche.<br />

Il nuovo rito presenta una struttura che differisce radicalmente da quella<br />

dei tradizionali mo<strong>del</strong>li processuali rinvenibili sia nel nostro c.p.c. sia nelle numerose<br />

leggi speciali in materia di contenzioso civile promulgate a partire dal<br />

1940. Esso, infatti, sulla falsariga <strong>del</strong> procedimento formale previsto dal codice<br />

di procedura civile <strong>del</strong> 1865 (1), consta di due fasi: la prima, che si svolge per<br />

––––––––––––<br />

(1) Il vecchio c.p.c., invero, prevedeva due procedimenti a cognizione piena: il<br />

formale (artt. 158 ss. c.p.c. <strong>del</strong> 1865) e il sommario (artt. 389-392 c.p.c. <strong>del</strong> 1865). Il<br />

primo, che rappresentava la regola, cominciava con una citazione a rispondere, proseguiva<br />

con lo scambio di comparse (che ciascuna parte poteva in qualsiasi momento<br />

interrompere chiedendo che la causa fosse portata dinanzi al collegio per essere decisa)<br />

e implicava l’espletamento <strong>del</strong>l’istruttoria al di fuori <strong>del</strong>l’udienza, dinanzi ad un giudice<br />

<strong>del</strong>egato; il secondo, che avrebbe dovuto essere utilizzato soltanto nei casi stabiliti<br />

dalla legge ovvero previa autorizzazione <strong>del</strong> presidente, si apriva con una citazione ad


558<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

intero al di fuori <strong>del</strong>l’udienza, è sottratta al controllo <strong>del</strong> giudice, si snoda attraverso<br />

lo scambio di comparse fra le parti entro termini minimi prestabiliti ed è<br />

tesa alla definizione <strong>del</strong> thema decidendum e <strong>del</strong> thema probandum oltre che<br />

alla deduzione <strong>del</strong>le prove costituende e alla produzione dei documenti; la seconda,<br />

meramente eventuale, che si apre allorquando anche una sola <strong>del</strong>le parti<br />

ne faccia richiesta depositando un’apposita istanza, è caratterizzata dal susseguirsi<br />

di udienze presiedute dal giudice che, all’esito <strong>del</strong>l’istruttoria, pronuncia<br />

sentenza.<br />

La riforma, invero, non ha incontrato il favore <strong>del</strong>la dottrina, gran parte<br />

<strong>del</strong>la quale, sin dai primi commenti, si è mostrata molto critica nei confronti <strong>del</strong><br />

legislatore, reo di aver varato un « mini-codice di diritto processuale civile societario<br />

» (2) non soltanto ad alto sospetto di incostituzionalità (3), ma anche<br />

––––––––––––<br />

udienza fissa e si sviluppava per udienze. Allo scopo di soddisfare le esigenze degli<br />

avvocati i quali manifestarono subito una chiara preferenza per il procedimento sommario<br />

(che, però, aveva il difetto di essere disciplinato da poche norme ad hoc), furono<br />

emanati la legge 31 marzo 1901, n. 107, che ribaltò il rapporto tra il procedimento<br />

formale e quello sommario facendo sì che il primo diventasse l’eccezione e il secondo<br />

la regola, e il r.d. 31 agosto 1901, n. 413, opera di Lodovico Mortara, recante le disposizioni<br />

per l’attuazione e il coordinamento di quella legge. Per ulteriori ragguagli in<br />

materia, si rinvia a Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano 1991, p. 13<br />

ss.; Id., Nel centenario <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> procedimento sommario, in Rass. dir. civ.<br />

2001, p. 526 ss.<br />

(2) La definizione, non priva di qualche accento polemico, è di Consolo, Esercizi<br />

imminenti sul c.p.c.: metodi asistematici e penombre, in Corr. giur. 2002, p. 1544.<br />

(3) Nel senso che il legislatore, in violazione <strong>del</strong>l’art. 76 Cost., avrebbe ecceduto<br />

i limiti <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega, v., infatti, Mandrioli, Diritto processuale civile, III, 17 a ed., Torino<br />

2005, p. 308; G. Costantino, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria<br />

in primo grado, in questa Rivista 2003, p. 389 ss.; Consolo, Esercizi imminenti, cit.,<br />

p. 1543 s.; Tommaseo, Lezioni sul processo societario, Roma 2005, p. 15 s.; Trisorio<br />

Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al tribunale, in<br />

www.judicium.it, § 1; Graziosi, Sul nuovo rito societario a cognizione piena, in Riv.<br />

trim. dir. e proc. civ. 2005, (suppl. al n. 1), p. 47 ss. Sulla scia di quanto rilevato dal<br />

Csm nel Parere <strong>del</strong> 12 dicembre 2002 sullo schema di decreto <strong>del</strong>egato (pratica 68/02),<br />

§ 1, che leggesi in Alpa-Galletto (a cura di), Processo, arbitrato e conciliazione nelle<br />

controversie societarie, bancarie e <strong>del</strong> mercato finanziario, Milano 2004, p. 410 ss., vi<br />

è stato pure chi ha osservato che, quand’anche tali dubbi di legittimità fossero superati,<br />

ci si troverebbe comunque di fronte ad un palese caso di incostituzionalità <strong>del</strong>la legge<br />

<strong>del</strong>ega per mancanza di specificità e determinatezza dei principi <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega medesima:<br />

in tal senso, v. Proto Pisani, La nuova disciplina <strong>del</strong> processo societario (note a<br />

prima lettura), in Foro it. 2003, V, c. 12 s.; Punzi, Lineamenti <strong>del</strong> nuovo processo in<br />

materia societaria - Il processo ordinario, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2004, p. 73 ss.;<br />

Tarzia, Interrogativi sul nuovo processo societario, in questa Rivista 2003, p. 641 ss.;<br />

Chiarloni, Il nuovo processo societario, (commentario diretto da), Bologna 2004, p. 2


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 559<br />

tecnicamente imperfetto. Nello specifico, in relazione a quest’ultimo profilo,<br />

numerosi studiosi hanno giustamente osservato che l’impianto <strong>del</strong> nuovo rito<br />

presenta « un’enorme quantità di problemi interpretativi » (4) in virtù <strong>del</strong>la<br />

formulazione « tutt’altro che limpida ed univoca » (5) di diverse disposizioni<br />

(per la cui comprensione si rendono necessari notevoli sforzi ermeneutici (6)) e<br />

a causa <strong>del</strong>la « esagerata utilizzazione di rinvii interni che rendono le singole<br />

norme quasi mai autosufficienti » (7) perché necessariamente ed indissolubilmente<br />

connesse ad altre.<br />

Uno degli snodi più complessi e oscuri <strong>del</strong> processo societario è indubitabilmente<br />

rappresentato dalla disciplina <strong>del</strong>la mors litis (8). Il legislatore <strong>del</strong>egato,<br />

in ragione <strong>del</strong> particolare meccanismo che regola l’incedere <strong>del</strong>la fase<br />

preliminare <strong>del</strong> giudizio, si è visto costretto ad introdurre, con riferimento a<br />

questo primo stadio procedimentale, alcune fattispecie estintive completamente<br />

nuove rispetto a quelle contemplate dal c.p.c. È previsto, infatti, che, nel corso<br />

di tale fase, il processo possa perimersi:<br />

– se l’istanza di fissazione di udienza non sia notificata entro venti giorni<br />

decorrenti dalla scadenza: a) dei termini mobili di cui ai primi tre commi<br />

––––––––––––<br />

ss.; Carratta, ibid., p. 21 ss., il quale ravvisa anche la violazione <strong>del</strong>l’art. 111, comma<br />

2°, Cost.; Civinini, Il nuovo processo societario, in Quest. giust. 2003, p. 531 ss.<br />

Si segnala che, poco dopo l’entrata in vigore <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003, l’intero impianto<br />

<strong>del</strong> processo societario di primo grado (artt. 2-17) è stato rimesso alla Consulta,<br />

per sospetta violazione degli artt. 3, 76, 97 e 111, commi 1° e 2°, Cost., da Trib. Brescia<br />

18 ottobre 2004, in Società 2005, p. 85 ss., con nota di Senini. Sull’argomento, v. anche<br />

l’approfondito commento di Menchini, Legittimità costituzionale <strong>del</strong> rito di cognizione<br />

ordinario per le controversie societarie?, in Corr. giur. 2005, p. 301 ss.<br />

(4) Così Chiarloni, op. cit., p. 9. Nello stesso senso, v., seppure sulla base di rilievi<br />

generici, Proto Pisani, op. cit., c. 12; Trisorio Liuzzi, op. cit., § 2; Buoncristiani,<br />

Profili sistematici e problemi pratici <strong>del</strong> nuovo rito speciale societario, in<br />

www.judicium.it, passim.<br />

(5) Così Balena, Prime impressioni sulla riforma dei procedimenti in materia societaria.<br />

La fase introduttiva <strong>del</strong> processo di cognizione, in Giur. it. 2003, p. 2203.<br />

Nello stesso senso, v. Chiarloni, op. cit., p. 9, il quale discorre di « redazione molto<br />

difettosa ».<br />

(6) In tal senso, v. Costantino, Le riforme <strong>del</strong>la giustizia civile nella XIV legislatura,<br />

in questa Rivista 2005, p. 26 s.; Id., Il nuovo processo commerciale, cit., p. 431;<br />

Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, in Corr. giur. 2003,<br />

p. 1507; M. Fabiani, La partecipazione <strong>del</strong> giudice al processo societario, in questa<br />

Rivista 2004, p. 154; Ziino, Le nuove disposizioni sul processo societario (decreto legislativo<br />

17 gennaio 2003, n. 5). Il giudizio di cognizione in primo grado, in<br />

www.judicium.it, § 4.<br />

(7) Così M. Fabiani, La partecipazione <strong>del</strong> giudice, cit., p. 154.<br />

(8) Cfr., in tal senso, M. Fabiani, Le attività <strong>del</strong> giudice nel processo commerciale<br />

di cognizione, in www.judicium.it, § 6.6; Id., La partecipazione <strong>del</strong> giudice, cit., p. 197.


560<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong>l’art. 8; b) <strong>del</strong> termine stabilito dall’art. 7, comma 2°, per il deposito <strong>del</strong>la<br />

memoria di controreplica <strong>del</strong> convenuto; c) <strong>del</strong> termine massimo di cui all’art.<br />

7, comma 3° (art. 8, comma 4°);<br />

– se l’attore non si costituisca affatto ovvero si costituisca tardivamente e<br />

il convenuto (tempestivamente costituito) formuli la relativa eccezione (art. 13,<br />

comma 1°).<br />

A tali ipotesi sembrerebbe che debbano esserne aggiunte <strong>del</strong>le altre, ricavate<br />

in via interpretativa da alcuni autori, secondo i quali il processo societario<br />

si estingue anche se nessuna <strong>del</strong>le parti si costituisca in termini (art. 13, comma<br />

3°) e se l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza sia depositata oltre il termine perentorio<br />

di dieci giorni dall’ultima notificazione (art. 9, comma 3°).<br />

Queste norme, sul cui funzionamento – ad oltre due anni dall’entrata in<br />

vigore <strong>del</strong> decreto – dottrina e giurisprudenza continuano a discutere fornendo,<br />

come vedremo in séguito, le soluzioni più varie, assumono carattere di<br />

specialità rispetto alla lex generalis <strong>del</strong>la materia (offerta dagli artt. 306-310<br />

c.p.c.), alla quale per taluni aspetti si affiancano integrandola, per talaltri si<br />

sovrappongono modificandola: ne è derivata una disciplina quant’altre mai<br />

disomogenea, astrusa ed articolata, fonte di non pochi e non semplici problemi<br />

interpretativi e dubbi applicativi che nelle pagine che seguono si tenterà di<br />

risolvere.<br />

2. – Le norme regolatrici <strong>del</strong>l’estinzione non trovano una sistemazione<br />

unitaria e razionale all’interno <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003 ma, al contrario, risultano<br />

collocate, si direbbe, senza un preciso criterio e talora, sotto il profilo logico,<br />

invertite. Non deve sorprendere, quindi, il fatto che per la trattazione <strong>del</strong> tema<br />

prescelto esse saranno esaminate secondo l’ordine offerto dal naturale incedere<br />

<strong>del</strong> processo, a prescindere dalla numerazione loro attribuita nel decreto <strong>del</strong>egato.<br />

Tanto premesso, va detto che nel processo societario l’attore deve costituirsi<br />

entro dieci giorni dalla notificazione <strong>del</strong>la domanda giudiziale, termine<br />

che, in caso di pluralità di convenuti, decorre dall’ultima notificazione (art. 3).<br />

Il convenuto, invece, deve costituirsi entro dieci giorni dalla notifica <strong>del</strong>la<br />

comparsa di risposta ovvero, nel caso in cui la citazione sia diretta nei confronti<br />

di più convenuti, dal sessantesimo giorno successivo all’iscrizione a<br />

ruolo (art. 5, comma 1°). Tuttavia, qualora non debba depositare documenti<br />

né spiegare domande riconvenzionali o chiamare terzi in causa (ma abbia comunque<br />

tempestivamente notificato la propria comparsa di risposta), egli potrà<br />

costituirsi « entro dieci giorni dalla notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza a cui abbia provveduto altra parte » (art. 5, comma 2°), dovendo<br />

intendersi per tale l’attore ovvero un altro convenuto che, ovviamente, si sia<br />

tempestivamente costituito.<br />

Se nessuna <strong>del</strong>le parti si costituisce nel termine a lei assegnato, a differenza<br />

di quanto stabilito in via generale dagli artt. 171, comma 1°, e 307, commi 1°<br />

e 2°, c.p.c., che prevedono la necessità <strong>del</strong>la riassunzione – a pena di estinzione


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 561<br />

<strong>del</strong> giudizio – entro il termine di un anno, nel nuovo rito non si incorre, almeno<br />

apparentemente, in alcuna sanzione, atteso che il decreto <strong>del</strong>egato si limita a<br />

disporre che « l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza può essere sempre proposta<br />

dalla parte che si sia costituita » (art. 13, comma 3°).<br />

Il legislatore, quindi, pur mantenendo inalterato il regime <strong>del</strong>la incomunicabilità<br />

dei termini di costituzione <strong>del</strong>le parti sembrerebbe aver inteso attenuare<br />

il rigore <strong>del</strong> meccanismo adottato nel 1950 per il caso <strong>del</strong>la mancata costituzione<br />

bilaterale (9). Tuttavia, il dettato non propriamente impeccabile <strong>del</strong>la dispo-<br />

––––––––––––<br />

(9) È forse opportuno ricordare che, sotto il vecchio c.p.c., se nessuna <strong>del</strong>le parti si<br />

costituiva in termini, il procedimento non poteva essere proseguito e la citazione, cui<br />

conseguiva, ex art. 380, comma 2°, c.p.c. <strong>del</strong> 1865, un semplice « effetto conservativo »<br />

dei diritti vantati dall’attore, doveva rinnovarsi (in tal senso, v. Mattirolo, Trattato di diritto<br />

giudiziario civile italiano, III, 5 a ed., Torino 1903, p. 773 ss.; Mortara, Principii di<br />

procedura civile, 5 a ed., Firenze 1904, p. 194; Bruno, voce Contumacia (civile), in Digesto<br />

it., VIII, 3, Torino 1898, p. 573).<br />

Col c.p.c. <strong>del</strong> 1940 le cose mutarono profondamente. Il legislatore, infatti, stabilì<br />

che alla mancata costituzione in termini di ambo le parti conseguisse l’estinzione officiosa<br />

<strong>del</strong> giudizio (artt. 171, comma 1°, e 307, comma 2°, c.p.c.) e che, invece, qualora una<br />

<strong>del</strong>le parti si fosse costituita « nel termine assegnatole », l’altra poteva costituirsi, evitando<br />

la contumacia, sino alla prima udienza dinanzi al g.i. (art. 171, comma 2°, c.p.c.).<br />

Quest’ultima disposizione, seppur dopo molte esitazioni, fu interpretata nel senso che<br />

l’attore il quale non si fosse costituito nel termine di dieci giorni dalla notificazione <strong>del</strong>la<br />

citazione, ben avrebbe potuto evitare l’estinzione <strong>del</strong> processo costituendosi nel più ampio<br />

termine concesso al convenuto ex art. 166 c.p.c. (cfr. Cass. S.U. 14 giugno 1949, n.<br />

1458, in Foro it. 1950, I, c. 303 ss., con nota di De Martini, Ancora sulla inosservanza<br />

dei termini di costituzione nel giudizio d’appello, in Giur. it. 1949, I, 1, c. 713 ss., con<br />

osservazioni di Barbareschi e in Giur. Cass. civ. 1949, III, p. 924 ss., con nota di Bianchi<br />

d’Espinosa, Ancora sui termini di costituzione ed estinzione <strong>del</strong> processo; Cass. 11 ottobre<br />

1946, n. 1312, in Giur. it. 1947, I, 1, c. 193 ss., con nota di Satta, Termini di costituzione<br />

ed estinzione <strong>del</strong> processo).<br />

In sede di elaborazione <strong>del</strong>la riforma al c.p.c., si pensò di codificare tale tendenza<br />

giurisprudenziale (cfr. la Relazione <strong>del</strong> Guardasigilli Grassi al d.lgs. 5 maggio 1948, n.<br />

483, § 7, che leggesi in Ferrara, Linee fondamentali <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> Codice di Procedura<br />

Civile, Roma 1948, p. 54) e di prevedere espressamente che se una parte si fosse<br />

costituita entro il termine stabilito per la costituzione <strong>del</strong> convenuto, l’altra potesse<br />

costituirsi fino alla prima udienza di comparizione (art. 7, d.lgs. n. 483 <strong>del</strong> 1948). Il<br />

legislatore <strong>del</strong> 1950, però, nel ratificare il citato decreto, espunse dall’art. 171, comma<br />

1°, c.p.c. ogni riferimento all’estinzione <strong>del</strong> processo in caso di mancata costituzione<br />

bilaterale, ma conservò la struttura originaria <strong>del</strong> 2° comma, che già consentiva alla<br />

parte che non fosse costituita di provvedervi direttamente alla prima udienza, precisando<br />

che tale possibilità era condizionata dal fatto che una <strong>del</strong>le parti si fosse costituita<br />

« entro il termine rispettivamente a lei assegnato ». Con la conseguenza che dal 1950 i<br />

termini di costituzione per attore e convenuto sono divenuti tra loro incomunicabili e<br />

indipendenti.


562<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

sizione in esame ha fatto sì che in dottrina si registrassero posizioni estremamente<br />

diverse in ordine al reale significato da attribuirle e alle conseguenze legate<br />

all’inattività di entrambe le parti.<br />

3. – In proposito, possiamo distinguere tre orientamenti: uno, teso a restringere<br />

il campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 13, comma 3°; un altro, incline ad<br />

ampliarlo quanto più possibile; un altro ancora, che si pone in una posizione<br />

intermedia.<br />

Nell’ambito <strong>del</strong>l’orientamento più restrittivo possiamo far rientrare coloro<br />

i quali ritengono che la possibilità concessa alle parti non costituite di rimettere<br />

in moto il processo incontri il limite <strong>del</strong>l’art. 307, comma 1°, c.p.c., e<br />

quindi concludono nel senso che il processo può proseguire soltanto se<br />

l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza venga proposta entro l’anno dalla scadenza<br />

<strong>del</strong> termine di costituzione in giudizio <strong>del</strong> convenuto (10). Altri autori, pur<br />

muovendosi nella medesima direzione, individuano tale limite nei termini<br />

previsti dall’art. 7, commi 2° e 3°, richiamati dall’art. 8, comma 4°, giungendo<br />

ad affermare che per evitare l’estinzione è necessario che l’istanza de qua<br />

sia notificata nei venti giorni successivi alla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito<br />

<strong>del</strong>la memoria di controreplica <strong>del</strong> convenuto ovvero entro ottanta giorni<br />

dalla notificazione di tale memoria (11). Da un rigore ancora maggiore è poi<br />

ispirato chi sostiene che la mancata tempestiva costituzione bilaterale implichi<br />

comunque, sempre che vi sia eccezione di parte, l’immediata estinzione <strong>del</strong><br />

processo (12).<br />

Invero, tali tesi non sembrano condivisibili. Esse, infatti, non tengono in<br />

alcuna considerazione il tenore letterale <strong>del</strong>l’art. 13, comma 3°, che consente<br />

ad una qualsiasi <strong>del</strong>le parti il potere di riavviare il processo « sempre », avverbio<br />

che nelle interpretazioni offerte viene totalmente ignorato. Inoltre,<br />

pare incongruo sia il richiamo all’art. 8, comma 4°, che presuppone non soltanto<br />

la costituzione di almeno una parte ma anche che vi sia stato uno<br />

scambio di comparse, sia il rinvio agli artt. 171 e 307 c.p.c. che, in quanto<br />

––––––––––––<br />

(10) In tal senso, v. Arieta-De Santis, Diritto processuale societario, Padova 2004,<br />

p. 152 s.; Giorgetti, Fase introduttiva e fissazione <strong>del</strong>l’udienza nel processo societario, in<br />

www.judicium.it, § 18.<br />

(11) Cfr., in tal senso, Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., p. 419 s.<br />

(il quale, però, osserva che, in considerazione <strong>del</strong>le difficoltà di individuazione <strong>del</strong><br />

dies a quo relativo a ciascuno di tali termini, si potrebbe anche ritenere che la fattispecie<br />

sia « regolata dalla disciplina comune e, quindi, che ciascuna parte possa, non<br />

riassumere, ma presentare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza di cui all’art. 8 <strong>del</strong> decreto<br />

“entro un anno dalla scadenza <strong>del</strong> termine per la costituzione <strong>del</strong> convenuto”<br />

»); Picaroni, in Lo Cascio (a cura di), I procedimenti (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n.<br />

5), Milano 2003, p. 150 s.<br />

(12) In tal senso, v. Ziino, op. cit., § 18.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 563<br />

lex generalis, risultano evidentemente derogati dalla disciplina speciale <strong>del</strong><br />

rito societario. Deve, infine, evidenziarsi che tutte le descritte soluzioni presentano<br />

il non trascurabile difetto di prevedere che la parte che vuole riavviare<br />

il processo possa farlo evitando la prosecuzione <strong>del</strong>la trattazione scritta<br />

(13). Inconveniente di assoluto rilievo se si pensa, ad esempio, che il convenuto,<br />

accertata la mancata costituzione tempestiva <strong>del</strong>l’attore, potrebbe notificargli<br />

una comparsa di risposta contenente una riconvenzionale per poi costituirsi<br />

fuori dal termine assegnatogli e chiedere la fissazione <strong>del</strong>l’udienza,<br />

impedendo così all’avversario di replicare o comunque di difendersi dalla<br />

nuova domanda.<br />

Al secondo orientamento fanno capo quegli studiosi secondo i quali l’art.<br />

13, comma 3°, consentirebbe, in caso di mancata costituzione bilaterale, alla<br />

parte che ne abbia interesse, di costituirsi in qualsiasi momento e riavviare il<br />

processo chiedendo, però, immediatamente la fissazione <strong>del</strong>l’udienza, con repentino<br />

passaggio <strong>del</strong>la causa alla fase apud iudicem (14).<br />

Anche questa interpretazione, che pure si lascia preferire alla prima in<br />

quanto maggiormente rispettosa <strong>del</strong> dettato normativo, non convince. Essa, a<br />

ben vedere, ricorda molto da vicino quanto stabilito dal vecchio c.p.c. ove si<br />

prevedeva che se nessuna <strong>del</strong>le parti si costituiva in termini, la domanda giudiziale,<br />

pur conservando gli effetti sostanziali, perdeva quelli processuali e il<br />

giudizio non poteva che essere ripreso ab initio con una nuova citazione (art.<br />

380 c.p.c. <strong>del</strong> 1865). Tuttavia, mentre in virtù di quel razionale e coerente<br />

meccanismo, decorsi vanamente i termini di costituzione, il processo cessava<br />

di pendere e le parti erano libere di principiarne un altro entro il termine di<br />

prescrizione interrotto dalla prima citazione, stando alla proposta lettura<br />

<strong>del</strong>l’art. 13, comma 3°, dovrebbe ammettersi che un processo le cui parti non<br />

si siano costituite possa pendere sine die e che quindi la relativa citazione introduttiva<br />

possa continuare a produrre per un tempo indefinito non soltanto gli<br />

effetti sostanziali ma anche quelli processuali. Con l’irragionevole conseguenza<br />

che, quando la mancata costituzione in giudizio sia frutto di una transazione,<br />

la parte che voglia liberarsi di quel processo (e degli effetti <strong>del</strong>la do-<br />

––––––––––––<br />

(13) Sull’argomento, v. le osservazioni di Balena, Prime impressioni, cit., p. 2208.<br />

(14) In tal senso, v. Mandrioli, op. cit., III, p. 324; Punzi, op. cit., p. 104 s.; Monteleone,<br />

Il processo nelle controversie societarie ed assimilate, Padova 2004, p. 15, il quale<br />

aggiunge che « quello descritto, più che un rimedio alla mancata costituzione <strong>del</strong>le parti,<br />

è un modo alternativo di gestione e svolgimento <strong>del</strong> processo »; Sassani (a cura di), La<br />

riforma <strong>del</strong>le società. Il processo, Torino 2003, p. 142; Cecchella, Il nuovo rito ordinario<br />

per le liti societarie: un’anticipazione <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> processo civile, in<br />

www.judicium.it, § 13; Sotgiu, La disciplina <strong>del</strong>l’estinzione <strong>del</strong> processo nel nuovo rito<br />

commerciale a cognizione piena, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2005, (suppl. al n. 1),<br />

p. 179 ss.


564<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

manda) si vedrà costretta, prima o poi, a costituirsi in modo da avere la possibilità<br />

di farlo estinguere.<br />

Un ulteriore punto debole <strong>del</strong>la soluzione prospettata pare potersi individuare<br />

nella sua contraddittorietà, atteso che sembra <strong>del</strong> tutto incongruo che le<br />

parti, pur avendo il potere di far rimanere quiescente un processo per un tempo<br />

teoricamente illimitato, quando decidano di rimetterlo in moto, debbano farlo<br />

correre portando la causa immediatamente in udienza. E ciò a tacere <strong>del</strong> fatto<br />

che anche siffatta interpretazione ripropone, senza risolverla, la questione <strong>del</strong>la<br />

eliminazione <strong>del</strong>la fase preparatoria scritta e <strong>del</strong>la conseguente inammissibile<br />

coartazione <strong>del</strong> diritto di difesa <strong>del</strong>l’altra parte rimasta inattiva.<br />

Tanto premesso, pare che la via obbligata da seguire sia quella tracciata da<br />

coloro i quali, assumendo una posizione intermedia fra le due descritte tendenze,<br />

sostengono che il legislatore con la norma in esame abbia voluto riferirsi<br />

all’ipotesi in cui le parti, pur non essendosi costituite tempestivamente, abbiano<br />

comunque proceduto, a norma degli artt. 4 ss., alla trattazione scritta <strong>del</strong>la causa<br />

e abbiano ancora a disposizione i termini di cui all’art. 8 per il deposito<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, lo spirare dei quali implicherebbe l’estinzione<br />

<strong>del</strong> processo (15).<br />

Vero è che anche detta interpretazione poggia su una forzatura <strong>del</strong>l’art. 13,<br />

comma 3°, specie per la parte in cui l’avverbio « sempre » viene inteso « nel<br />

senso che l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza può essere egualmente proposta,<br />

nonostante la mancata costituzione di entrambe le parti » (16). Quella forzatura,<br />

però, si rivela non soltanto utile per spiegare il riferimento contenuto nella norma<br />

de qua agli « scritti difensivi », ma anche e soprattutto assolutamente necessaria<br />

per preservare i diritti <strong>del</strong>le parti e tentare di dare coerenza al sistema (17).<br />

Che non sembra risultato di poco conto.<br />

––––––––––––<br />

(15) In tal senso, v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2208; Trisorio Liuzzi, op. cit.,<br />

§ 11.3.; M. Fabiani, Le attività <strong>del</strong> giudice, cit., § 6.6; nonché, pur se problematicamente,<br />

Bove, Il processo dichiarativo societario di primo grado, in www.judicium.it, § 2; Poliseno,<br />

I procedimenti in materia commerciale, Commentario a cura di Costantino, in Nuove leggi<br />

civ. comm. 2005, p. 289 s., la quale ritiene che la norma trovi applicazione anche quando le<br />

parti abbiano notificato soltanto la citazione e la comparsa di risposta; Manica, in Alpa-<br />

Galletto (a cura di), Processo, arbitrato e conciliazione, cit., p. 99. Nella medesima direzione<br />

si muove Carratta, op. cit., p. 384, secondo il quale, però, « non è affatto da escludere –<br />

proprio alla luce <strong>del</strong> 3° comma <strong>del</strong>l’art. 13 – che l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, anche<br />

in caso di mancata costituzione di entrambe le parti, venga avanzata tardivamente, dopo che<br />

siano decorsi i termini massimi fissati dai primi quattro commi <strong>del</strong>l’art. 8, senza che sia rilevata<br />

(ad istanza di parte o d’ufficio, a seconda dei casi) l’eccezione di estinzione <strong>del</strong> processo;<br />

né è da escludere che possa essere avanzata senza che si sia avuto lo svolgimento<br />

<strong>del</strong>la fase preparatoria attraverso lo scambio degli atti difensivi fra le parti ».<br />

(16) Così Balena, Prime impressioni, cit., p. 2208, nt. 40 (corsivo nel testo).<br />

(17) In tal senso, v. Trisorio Liuzzi, op. cit., § 11.3.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 565<br />

A prescindere dalla soluzione <strong>del</strong> rebus contenuto nella esaminata disposizione,<br />

ciò che interessa maggiormente evidenziare è che il descritto meccanismo,<br />

predisposto dal legislatore <strong>del</strong>egato per salvare dall’estinzione il processo<br />

nel quale l’attore non si sia tempestivamente costituito, è destinato a non funzionare<br />

sol che il convenuto si costituisca tempestivamente ed eccepisca<br />

l’estinzione <strong>del</strong> giudizio (art. 13, comma 1°). Evenienza affatto remota se si<br />

considera che il convenuto, salvo casi particolari ed eccezionali, è la parte meno<br />

interessata alla prosecuzione di un processo principiato nei suoi confronti e che,<br />

quindi, presumibilmente, lungi dal venire incontro alle esigenze <strong>del</strong>l’attore che<br />

abbia fatto scadere inutilmente il termine per costituirsi, assai difficilmente si<br />

lascerà sfuggire la ghiotta occasione di sfruttare l’errore commesso dall’avversario<br />

e di provocare la mors litis.<br />

Se ne può dedurre che l’unica ipotesi, probabilmente soltanto scolastica, in<br />

cui tale congegno potrà operare sarà quella in cui entrambe le parti si siano accordate<br />

per non costituirsi o, comunque, per non eccepire l’estinzione: in tutti<br />

gli altri casi, invece, il processo sarà inesorabilmente destinato alla perenzione<br />

immediata.<br />

Quindi, ad onta <strong>del</strong> decantato incremento <strong>del</strong>la « flessibilità » e <strong>del</strong> « tasso<br />

di disponibilità <strong>del</strong> “bene” <strong>del</strong>la “concentrazione” » (18), ma soprattutto <strong>del</strong>la<br />

valorizzazione <strong>del</strong> principio dispositivo (19), che avrebbero dovuto caratterizzare<br />

il nuovo rito societario, il legislatore <strong>del</strong>egato ha adottato, per l’ipotesi <strong>del</strong>la<br />

mancata costituzione bilaterale, una soluzione assai più rigorosa di quella prevista<br />

per il processo ordinario di cognizione, dove, com’è noto, la conseguenza di<br />

tale inattività è data da null’altro se non dal dipartirsi di un termine annuale per<br />

provvedere alla riassunzione. Segno che, con tutta evidenza, non è stata affatto<br />

abbandonata quella « malintesa concezione “pubblicistica” <strong>del</strong> processo civile<br />

(in realtà paternalistica, autoritaria e illiberale) » (20) sottesa al nostro c.p.c., in<br />

virtù <strong>del</strong>la quale « l’interesse pubblico esige che il processo civile, una volta<br />

iniziato, si svolga rapidamente fino alla sua meta naturale che è la sentenza<br />

» (21).<br />

4. – Per completare la descrizione <strong>del</strong> meccanismo previsto dalla disposizione<br />

in esame, va detto che la parte che abbia deciso, seppur tardivamente, di<br />

costituirsi, deve depositare in cancelleria, in uno all’istanza di fissazione<br />

––––––––––––<br />

(18) Così la Relazione al d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003, che leggesi in Alpa-Galletto (a cura<br />

di), Processo, arbitrato e conciliazione, cit., p. 402 ss.<br />

(19) Cfr. il Comunicato <strong>del</strong> Consiglio dei Ministri n. 88 <strong>del</strong> 10 gennaio 2003, che<br />

leggesi in www.governo.it.<br />

(20) Così Cipriani, Il codice di procedura civile tra gerarchi e processualisti, Napoli<br />

1992, p. 104.<br />

(21) Così la Relazione al re sul c.p.c., § 28.


566<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong>l’udienza, gli scritti difensivi e i documenti offerti in comunicazione. Inoltre,<br />

« <strong>del</strong>l’avvenuto deposito <strong>del</strong>l’istanza deve essere data notizia mediante atto notificato<br />

alle altre parti » (art. 13, comma 3°).<br />

Circa quest’ultima previsione sorgono ulteriori perplessità. Bisogna evidenziare,<br />

infatti, che l’impersonale « deve essere data notizia » ingenera nell’interprete<br />

il dubbio se la notificazione cui si riferisce la norma sia posta a carico<br />

<strong>del</strong>la parte costituita oppure <strong>del</strong>la cancelleria. A tutta prima, invero, sembrerebbe<br />

di dover propendere per il secondo capo <strong>del</strong>l’alternativa, atteso che quando il<br />

legislatore ha voluto che tale onere ricadesse sulla parte, lo ha detto espressamente<br />

(ne è prova il preciso dettato <strong>del</strong>l’art. 8). D’altro canto, ritenere che<br />

quell’atto debba essere notificato a cura <strong>del</strong>la cancelleria, sarebbe coerente col<br />

complessivo impianto <strong>del</strong>la norma che stabilisce il preventivo deposito <strong>del</strong>l’istanza<br />

di fissazione <strong>del</strong>l’udienza (22) ma non fissa alcun termine per provvedere<br />

alla successiva notificazione <strong>del</strong>l’avviso di avvenuto deposito <strong>del</strong>l’istanza<br />

medesima.<br />

Non si possono ignorare, tuttavia, le ragioni di opportunità che militano<br />

per l’opposta soluzione rendendola alla fine preferibile: rimettere all’ufficio<br />

questa nuova incombenza significherebbe appesantire ulteriormente (seppur<br />

in misura assai lieve) il già gravoso carico di lavoro <strong>del</strong>le cancellerie, anche<br />

in considerazione <strong>del</strong> fatto che la notificazione, se diretta a parti non costituite,<br />

dovrà essere loro effettuata personalmente nelle forme ordinarie e non<br />

già ai procuratori, utilizzando le più snelle e moderne modalità previste<br />

dall’art. 17.<br />

Resta, però, da risolvere la questione <strong>del</strong>la mancata previsione <strong>del</strong> dies ad<br />

quem entro il quale la parte costituita dovrà provvedere a notificare quell’avviso.<br />

In proposito, pare fuor di dubbio che l’interprete non possa colmare la lacuna<br />

normativa senza correre il rischio di violare l’art. 152 c.p.c. che espressamente<br />

prevede una riserva di legge in ordine alla fissazione dei termini per il<br />

compimento di atti processuali (23). Così stando le cose, e soprattutto non essendovi<br />

alcuna necessità di costringere la parte costituita ad accelerare i tempi<br />

(visto che l’altra è comunque inerte), il problema potrebbe considerarsi più che<br />

––––––––––––<br />

(22) Si veda, in proposito, Balena, Prime impressioni, cit., p. 2208, il quale, nel<br />

tentativo di trovare una spiegazione a tale insolito meccanismo, osserva che il preventivo<br />

deposito <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza « può giustificarsi per il fatto ch’essa proviene<br />

da una parte non ancora costituita (che si costituisce, per l’appunto, in uno alla proposizione<br />

<strong>del</strong>l’istanza medesima) e viene proposta nei confronti di parti anch’esse non<br />

costituite ».<br />

(23) Sull’argomento, v. Balbi, La decadenza nel processo di cognizione, Milano<br />

1983, p. 35 ss.; Picardi, Dei termini, in Commentario <strong>del</strong> codice di procedura civile diretto<br />

da Allorio, I, 2, Torino 1973, p. 1532 ss.; Id., Per una sistemazione dei termini processuali,<br />

in Jus 1963, p. 209 ss.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 567<br />

ragionevolmente risolto ritenendo che sino a quando non sia stata fornita la<br />

prova <strong>del</strong>l’avvenuta notifica e non siano decorsi dieci giorni dal perfezionamento<br />

di quest’ultima (ossia il termine concesso alle altre parti per costituirsi),<br />

al giudice sia inibita la fissazione <strong>del</strong>l’udienza (24).<br />

Come poc’anzi accennato, entro i dieci giorni successivi alla notificazione<br />

<strong>del</strong>l’atto col quale la parte tardivamente costituita informa le altre <strong>del</strong> deposito<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, queste potranno a loro volta costituirsi in<br />

giudizio depositando i propri scritti difensivi, i documenti offerti in comunicazione<br />

e la nota contenente la formulazione <strong>del</strong>le conclusioni, redatta a norma<br />

<strong>del</strong>l’art. 10, comma 1°.<br />

Nei confronti <strong>del</strong>la parte che si sia costituita oltre quel termine (ovvero<br />

non si sia costituita affatto) si produrranno le conseguenze previste dall’art. 13,<br />

commi 1° e 2°. Dal momento che, però, tali norme regolano gli effetti determinati<br />

dalla contumacia iniziale di attore e convenuto, affinché esse siano applicabili<br />

alla fattispecie in esame necessitano di una interpretazione adeguatrice, in<br />

virtù <strong>del</strong>la quale sembrerebbe di poter affermare che: a) in caso di tardiva o<br />

mancata costituzione <strong>del</strong>l’attore, il convenuto che si sia presentato in udienza<br />

potrà scegliere se eccepire l’estinzione <strong>del</strong> processo (ricorrendone i presupposti)<br />

ovvero proseguire il giudizio chiedendo una pronuncia di merito (25); b) in caso<br />

di mancata o tardiva costituzione <strong>del</strong> convenuto, invece, la ficta confessio in<br />

ordine ai fatti posti dall’attore a fondamento <strong>del</strong>la domanda maturerà a suo carico<br />

soltanto se in precedenza egli non abbia tempestivamente notificato la propria<br />

comparsa di risposta (26).<br />

––––––––––––<br />

(24) Cfr. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2208, nt. 41, secondo il quale, invece,<br />

il giudice, accertata l’avvenuta notifica, potrebbe già pronunciare il decreto di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza. Tale soluzione, però, non sembra appagante. Infatti, poiché quel<br />

decreto andrebbe comunicato alle sole parti costituite (art. 12, comma 2°), aderendo a<br />

tale interpretazione restrittiva si rischierebbe di privare <strong>del</strong>la vocatio in ius, e quindi di<br />

penalizzare, quella parte che, pur avendo rispettato il termine di dieci giorni a lei concesso<br />

dall’art. 13, comma 3°, non abbia fatto in tempo a costituirsi nel periodo intercorrente<br />

tra il deposito <strong>del</strong>l’atto notificato e la pronuncia <strong>del</strong> decreto di fissazione di<br />

udienza.<br />

(25) Sembra ovvio accedere a tale interpretazione estensiva <strong>del</strong>l’art. 13, comma 1°,<br />

la cui applicazione letterale, com’è stato ineccepibilmente osservato, « non avrebbe invero<br />

senso » (così Sassani, op. cit., p. 142).<br />

(26) Cfr., infatti, Monteleone, Il processo nelle controversie societarie, cit., p. 13;<br />

M. Fabiani, Le attività <strong>del</strong> giudice, cit., § 8; Giorgetti, op. cit., § 17. Per la stessa soluzione,<br />

già nella vigenza <strong>del</strong> testo originario <strong>del</strong> decreto <strong>del</strong>egato, v. Costantino, Il nuovo<br />

processo commerciale, cit., p. 421 s.; Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207 s.; Trisorio<br />

Liuzzi, op. cit., § 11.3; Bove, op. cit., § 2; M. Fabiani, La partecipazione <strong>del</strong> giudice, cit.,<br />

p. 206; Ziino, op. cit., § 18, nt. 121. Sostengono, invece, che la ficta confessio si produca<br />

in confronto <strong>del</strong> convenuto per il sol fatto che non si sia costituito nei dieci giorni conces-


568<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

5. – Terminato l’esame <strong>del</strong>la disciplina dettata per il nuovo rito societario<br />

nell’ipotesi in cui nessuna <strong>del</strong>le parti abbia rispettato il termine per costituirsi,<br />

passiamo a verificare cosa avviene qualora almeno una parte si sia costituita in<br />

giudizio tempestivamente.<br />

Il decreto <strong>del</strong>egato, per l’eventualità in cui il convenuto non notifichi la<br />

comparsa nei modi e nei tempi stabiliti dall’art. 2, comma 1°, lett. c), oppure,<br />

se la citazione è diretta contro più convenuti, dall’art. 3, comma 2°, prevede<br />

che l’attore che si sia regolarmente costituito può notificare all’avversario<br />

« una nuova memoria a norma <strong>del</strong>l’art. 6, ovvero depositare, previa notifica,<br />

istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza » (art. 13, comma 2°). Nel primo caso, il<br />

contumace – che potrà replicare a norma <strong>del</strong>l’art. 7 – verrà sostanzialmente<br />

rimesso in termini; nel secondo, invece, subirà gli effetti <strong>del</strong>la ficta confessio,<br />

essendo previsto che « i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto<br />

abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non<br />

contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa<br />

», fatto salvo il potere <strong>del</strong> giudice di deferire all’attore il giuramento suppletorio<br />

(art. 13, comma 2°) (27).<br />

Qualora, invece, l’attore non si costituisca (ovvero si costituisca oltre il<br />

––––––––––––<br />

si dall’art. 13, comma 3°, Punzi, op. cit., p. 105; Carratta, op. cit., p. 387 s.; Arieta-De<br />

Santis, op. cit., p. 153. Sull’argomento, v., da ultima, Poliseno, op. cit., p. 284 ss.<br />

Invero, appare inevitabile ritenere, salvo incorrere nella incostituzionalità <strong>del</strong>la<br />

norma per violazione degli artt. 3 e 111, comma 2°, Cost., che, qualora il convenuto<br />

abbia spiegato domanda riconvenzionale, gli effetti <strong>del</strong>la ficta confessio si producano<br />

anche in danno <strong>del</strong>l’attore che non abbia tempestivamente notificato la memoria di<br />

replica ex art. 6 (in tal senso, v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207; Trisorio<br />

Liuzzi, op. cit., § 11.2; Arieta-De Santis, op. cit., p. 158; Bove, op. cit., § 2; Graziosi,<br />

op. cit., p. 39, nt. 57; Cecchella, op. cit., § 13. Sull’argomento v. anche Carratta, op.<br />

cit., p. 370 ss.).<br />

(27) Sull’argomento, v. Monteleone, Il processo nelle controversie societarie, cit.,<br />

p. 12 ss.; Punzi, op. cit., p. 102 ss.; Arieta-De Santis, op. cit., p. 153; Carratta, op. cit.,<br />

p. 371 ss.; Graziosi, op. cit., p. 37 ss.; Poliseno, op. cit., p. 282 ss. Con riferimento al<br />

dettato normativo anteriore alle modifiche <strong>del</strong> 2004, v. Costantino, Il nuovo processo<br />

commerciale, cit., p. 421 s.; Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207 s.; Sassani, op. cit.,<br />

p. 143 s.; Trisorio Liuzzi, op. cit., § 11.2.; Ziino, op. cit., § 17.<br />

Va sottolineato che, pochi anni or sono, nel tentativo di porre rimedio al grave stato<br />

di crisi <strong>del</strong>la nostra giustizia civile, vi è stato chi, molto autorevolmente, ha proposto alcuni<br />

interventi « per evitare che si vada verso il definitivo collasso », auspicando, tra le<br />

altre cose, l’introduzione <strong>del</strong>la ficta confessio in caso di contumacia <strong>del</strong> convenuto nei<br />

processi su diritti disponibili (v., infatti, Cipriani, Civinini e Proto Pisani, Una strategia<br />

per la giustizia civile nella XIV legislatura, in Foro it. 2001, V, c. 82; Cipriani, Per un<br />

nuovo processo civile, ibid., V, c. 326).


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 569<br />

termine massimo di dieci giorni dalla notificazione <strong>del</strong>la citazione (28)), il convenuto<br />

che abbia deciso di costituirsi tempestivamente (29) potrà scegliere se<br />

proseguire il giudizio oppure farlo estinguere (art. 13, comma 1°).<br />

Preliminarmente è opportuno sottolineare che detta norma, com’è stato osservato<br />

(30), sembra destinata ad andare incontro a gravi anomalie di funzionamento<br />

nelle cause con pluralità di convenuti, in riferimento alle quali l’art. 3,<br />

comma 2°, ribaltando la regola sancita dall’art. 165, comma 2°, c.p.c. (almeno<br />

nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza più recente (31)), prevede che<br />

––––––––––––<br />

(28) In tal senso, v. espressamente Monteleone, Il processo nelle controversie societarie,<br />

cit., p. 12; Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207; Sassani, op. cit., p. 141;<br />

Arieta-De Santis, op. cit., p. 151 s.; Poliseno, op. cit., p. 281; Sotgiu, op. cit., p. 184.<br />

Ritengono, invece, che l’art. 13, comma 1°, non regoli le conseguenze collegate<br />

alla tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore e che, quindi, a tale fattispecie si applichi la disciplina<br />

comune, Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., p. 422, e Giorgetti, op. cit., §<br />

16. Invero, l’opinione espressa da questi due studiosi non sembra condivisibile, atteso<br />

che la norma in esame non si limita a disporre per il caso <strong>del</strong>la mancata costituzione<br />

<strong>del</strong>l’attore ma si riferisce genericamente all’ipotesi in cui « l’attore non si costituisce nel<br />

termine di cui all’articolo 3 ».<br />

(29) Se anche il convenuto dovesse costituirsi fuori termine, sarà applicabile la disciplina,<br />

in precedenza esaminata, dettata dall’art. 13, comma 3°.<br />

(30) V. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2204 s.; Trisorio Liuzzi, op. cit., § 6. Il<br />

problema, seppur con minore preoccupazione, è stato sollevato anche da Arieta-De Santis,<br />

op. cit., p. 139, nonché da Spada, in I procedimenti in materia commerciale, cit.,<br />

p. 170 ss., e da Poliseno, ibid., p. 265. Sull’argomento, v. anche gli approfonditi rilievi<br />

formulati da Carratta, op. cit., p. 162 ss.<br />

(31) Cfr., infatti, da ultime, Cass. 16 luglio 1997, n. 6481, in Giur. it. 1998, p. 1576<br />

ss.; App. Napoli 17 settembre 2000, in Foro it., Rep. 2001, voce Appello civile, n. 86;<br />

Trib. Napoli 5 marzo 2002, id. 2003, I, c. 303 ss. Nello stesso senso, v., in dottrina, Andrioli,<br />

Commento al codice di procedura civile, 3ª ed., II, Napoli 1956, p. 19; Satta,<br />

Commentario al c.p.c., II, 1, Milano 1959/1960, p. 40; Ferroni, in Vaccarella-Verde (a<br />

cura di), Codice di procedura civile commentato, II, Torino 1997, p. 62.<br />

Nel senso che, invece, il termine di costituzione decorra dall’ultima notificazione,<br />

v. Cass. 6 novembre 1958, n. 3601, in Foro it. 1958, I, c. 1587 ss.; App. Palermo 27<br />

ottobre 1992, in Giur. mer. 1993, p. 956 ss., con nota di Conte, Costituzione in giudizio<br />

<strong>del</strong>l’attore e pluralità di convenuti: nuove prospettive giurisprudenziali?; Trib. Firenze<br />

10 luglio 1980, in Giust. civ. 1981, I, p. 194 ss. Tale indirizzo trova autorevoli sostenitori<br />

anche in dottrina: v., infatti, Cerino Canova, Dell’introduzione <strong>del</strong>la causa, in<br />

Allorio (a cura di), Commentario <strong>del</strong> codice di procedura civile, cit., II, 1, p. 375 ss.;<br />

Mandrioli, op. cit., II, p. 42; Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I,<br />

2, Padova 2001, p. 1034; Saletti, voce Costituzione in giudizio, in Enc. giur. Treccani,<br />

X, Roma 1993, p. 2; Ciaccia Cavallari, voce Costituzione in giudizio, in Digesto, Disc.<br />

priv. sez. civ., IV, Torino 1989, p. 466; Arieta-De Santis, op. cit., p. 136 ss., i quali,<br />

peraltro, anche alla luce <strong>del</strong>la previsione di cui all’art. 3, comma 2°, d.lgs. n. 5 <strong>del</strong><br />

2003, dubitano <strong>del</strong>la legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 165, comma 2°, c.p.c., come


570<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

l’attore debba costituirsi entro dieci giorni dall’ultima notificazione e non già<br />

dalla prima.<br />

Va rilevato, in proposito, che nessun problema sorge quando l’attore, come<br />

avviene di solito, richieda all’ufficiale giudiziario che la citazione sia notificata<br />

a tutte le parti contro le quali è diretta la domanda. In questo caso, la decorrenza<br />

<strong>del</strong> termine di costituzione ex art. 3, comma 2°, sarà certa e conoscibile<br />

dai convenuti, atteso che, grazie ad alcuni recenti interventi <strong>del</strong>la Corte costituzionale<br />

(32), essa coinciderà con la data di consegna <strong>del</strong>l’atto nelle mani<br />

<strong>del</strong>l’ufficiale giudiziario, a prescindere dal giorno in cui la notificazione si sarà<br />

perfezionata in una <strong>del</strong>le forme stabilite dagli artt. 137 ss. c.p.c. Sicché, qualora<br />

l’attore non osservi tale termine, ciascuno dei litisconsorti avrà la possibilità,<br />

costituendosi tempestivamente, di chiedere che il processo prosegua ovvero che<br />

ne sia dichiarata l’estinzione.<br />

Potrebbe, però, accadere che l’attore notifichi l’atto introduttivo soltanto<br />

ad alcuni dei convenuti ovvero che la notificazione, pure richiesta nei confronti<br />

––––––––––––<br />

interpretato dal diritto vivente; Giudiceandrea, voce Costituzione in giudizio, in Enc.<br />

dir., XI, Milano 1962, p. 236; Ronco, Sul termine per la costituzione <strong>del</strong>l’attore e sulle<br />

conseguenze <strong>del</strong>la sua violazione, in Giur. it. 1998, p. 1576 ss.; Nazzini, in Vaccarella-<br />

Verde (a cura di), Codice di procedura civile commentato. Aggiornamento, I, Torino<br />

2001, p. 309.<br />

(32) Cfr. Corte cost. 2 aprile 2004, n. 107, in Foro it. 2004, I, c. 1321 ss., con<br />

nota di Caponi, Sul perfezionamento <strong>del</strong>la notificazione e l’iscrizione <strong>del</strong>la causa a<br />

ruolo, in Giur. it. 2005, p. 91 ss., con nota di Turroni, Perfezionamento <strong>del</strong>la notificazione<br />

e termine per iscrivere la causa a ruolo e in Giur. mer. 2005, I, p. 45 ss., con<br />

nota di Delle Donne, Momento perfezionativo <strong>del</strong>la notifica per il notificante, computo<br />

dei termini di costituzione e rimessione in termini in una nuova sentenza <strong>del</strong>la Consulta;<br />

Corte cost. 23 gennaio 2004, n. 28, in Foro it. 2004, I, c. 645 ss., con nota di Caponi,<br />

Sul perfezionamento <strong>del</strong>la notificazione nel processo civile (e su qualche disattenzione<br />

<strong>del</strong>la Corte costituzionale), e in Giur. it. 2004, p. 939 ss., con nota di Delle<br />

Donne, Il perfezionamento <strong>del</strong>la notifica per il notificante tra diritto di difesa e principio<br />

<strong>del</strong> contraddittorio: riflessioni a margine di un recente intervento interpretativo<br />

<strong>del</strong>la Consulta; Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477, in Foro it. 2003, I, c. 13 ss., con<br />

nota di Caponi, La notificazione a mezzo posta si perfeziona per il notificante alla data<br />

di consegna all’ufficiale giudiziario: la parte non risponde <strong>del</strong>le negligenze di terzi, in<br />

Giur. cost. 2003, p. 1068 ss., con nota di Basilico, Notifiche a mezzo <strong>del</strong> servizio postale<br />

e garanzie per le parti, in Giur. it. 2003, p. 1549 ss., con nota di Dalmotto, La<br />

Corte manipola la norma sul perfezionamento <strong>del</strong>la notifica postale: vecchie alternative<br />

e nuovi problemi, e in Corr. giur. 2003, p. 23 ss., con nota di Conte, Diritto di difesa<br />

ed oneri <strong>del</strong>la notifica. L’incostituzionalità degli art. 149 c.p.c. e 4, 3° comma, l.<br />

890/82: una « rivoluzione copernicana »?. Sull’argomento, v. anche Dalmotto, La giurisprudenza<br />

costituzionale come fonte <strong>del</strong>l’odierno sistema <strong>del</strong>le notificazioni a mezzo<br />

posta, in www.judicium.it; Rusciano, Decorrenza <strong>del</strong> termine per la costituzione<br />

<strong>del</strong>l’attore, in questa Rivista 2004, p. 907 ss.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 571<br />

di tutti, non vada a buon fine (e debba considerarsi inesistente) rispetto a taluni<br />

di essi. In queste ipotesi, poiché l’art. 3, comma 2°, implicitamente vuole, affinché<br />

decorra il termine di costituzione <strong>del</strong>l’attore, che questi abbia notificato la<br />

citazione a ciascuno dei destinatari <strong>del</strong>la domanda, è evidente che il dies a quo<br />

relativo a detto termine verrà a maturazione soltanto quando l’attore avrà provveduto<br />

a completare ritualmente tutte le notifiche, con la conseguenza che, sino<br />

a quel momento, egli non potrà essere considerato contumace e i convenuti non<br />

potranno far valere l’estinzione <strong>del</strong> processo ex art. 13, comma 1° (33).<br />

Il legislatore <strong>del</strong>egato, quindi, nei processi con pluralità di parti ha inopinatamente<br />

rimesso alla discrezionalità <strong>del</strong>l’attore il potere di rinviare sine die la<br />

propria costituzione, a tutto danno dei convenuti i quali, al fine di evitare che<br />

nei loro confronti penda un giudizio per un tempo indefinito (34), non avendo la<br />

possibilità di chiederne l’estinzione, si vedranno costretti a costituirsi « al<br />

buio », senza poter prendere visione dei documenti che magari l’attore aveva<br />

preannunciato di offrire in comunicazione mediante deposito nel proprio <strong>fascicolo</strong>.<br />

6. – Come si è accennato più su, l’art. 13, comma 1°, dispone che, in caso<br />

di omessa o tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore, il convenuto può costituirsi nel<br />

termine stabilito dall’art. 5 e decidere se far valere o no l’estinzione <strong>del</strong> giudizio:<br />

nel primo caso, dovrà, in comparsa di risposta, « eccepire l’estinzione <strong>del</strong><br />

processo e depositare istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza »; nel secondo, procederà<br />

a norma <strong>del</strong>l’art. 4, comma 2°, sostanzialmente rimettendo in termini – ai soli<br />

fini <strong>del</strong>la costituzione – l’attore che, se non dovesse costituirsi neanche in prosieguo,<br />

sarà dichiarato contumace in udienza.<br />

Con riferimento all’ipotesi in cui il convenuto intenda approfittare <strong>del</strong>la<br />

estinzione, è opportuna l’analisi di taluni aspetti <strong>del</strong> meccanismo, soltanto apparentemente<br />

chiaro e lineare, previsto dalla norma in esame.<br />

Preliminarmente va segnalato che, così come avviene nel giudizio ordinario<br />

di cognizione, il convenuto dovrà formulare nella propria comparsa l’eccezione<br />

di estinzione <strong>del</strong> processo « prima di ogni altra sua difesa » (art. 307,<br />

comma 4°, c.p.c.). Ma, poiché potrebbe anche darsi che l’eccezione sia rigettata,<br />

per evitare di incorrere nelle decadenze di cui all’art. 4, comma 1°, con lo<br />

stesso atto dovrà proporre anche le eventuali domande riconvenzionali e/o dichiarare<br />

di voler chiamare terzi in causa (35).<br />

––––––––––––<br />

(33) In tal senso, v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2204 s.; Trisorio Liuzzi, op.<br />

cit., § 6. In termini sostanzialmente identici, v. Carratta, op. cit., p. 165 s.<br />

(34) Nel senso che, in caso di processo contro una pluralità di convenuti, la notificazione<br />

<strong>del</strong>la citazione nei confronti anche di uno solo di essi determini la litispendenza,<br />

v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2204.<br />

(35) In tal senso, v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207; Poliseno, op. cit., p. 269 s.


572<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Non mi pare possano esservi dubbi in ordine al fatto che, nella fattispecie<br />

in esame, il convenuto sia comunque tenuto a notificare la comparsa di risposta<br />

(nel termine a difesa fissato nell’atto di citazione), anche nel caso in cui non<br />

abbia formulato domande nuove o riconvenzionali (36). D’altro canto, è appena<br />

il caso di precisare che, non essendovi stata la valida costituzione <strong>del</strong> procuratore<br />

<strong>del</strong>l’attore, in ossequio al disposto <strong>del</strong>l’art. 170 c.p.c., la comparsa dovrà essere<br />

notificata alla parte personalmente (37).<br />

Entro dieci giorni dalla notificazione di tale comparsa, il convenuto si dovrà<br />

costituire depositando in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo, il <strong>fascicolo</strong><br />

contenente l’originale ovvero la copia <strong>del</strong>la comparsa di risposta precedentemente<br />

notificata all’attore, la copia <strong>del</strong>l’atto di citazione, la procura e i documenti<br />

offerti in comunicazione, dopodiché potrà chiedere la fissazione <strong>del</strong>l’udienza.<br />

7. – In relazione a quest’ultimo adempimento, è stabilito che « l’istanza<br />

di fissazione <strong>del</strong>l’udienza deve sempre contenere le conclusioni, di rito e di<br />

merito, con esclusione di ogni modificazione <strong>del</strong>le domande, nonché la definitiva<br />

formulazione <strong>del</strong>le istanze istruttorie già proposte. In mancanza, si intendono<br />

formulate le conclusioni di cui al primo atto difensivo <strong>del</strong>l’istante »<br />

(art. 9, comma 1°).<br />

Dal dettato di tale disposizione, quindi, sembrerebbe doversi dedurre che il<br />

convenuto sia tenuto a precisare integralmente le conclusioni in ogni caso in cui<br />

depositi la domanda di fissazione di udienza, anche quando questa sia finalizzata<br />

soltanto a provocare la decisione <strong>del</strong> giudice in ordine alla eccezione di estinzione<br />

sollevata in séguito alla mancata o alla tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore.<br />

Tuttavia, vien fatto di osservare che, ferma l’ovvia inutilità di un siffatto<br />

onere per il caso in cui il giudizio dovesse essere effettivamente dichiarato<br />

estinto, nell’ipotesi inversa di rigetto <strong>del</strong>l’eccezione di estinzione, l’applica-<br />

––––––––––––<br />

(36) Cfr., infatti, Monteleone, Il processo nelle controversie societarie, cit., p. 12;<br />

Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207; Sassani, op. cit., p. 141; Arieta-De Santis, op.<br />

cit., p. 151; Giorgetti, op. cit., § 16; Sotgiu, op. cit., p. 184. Nel senso che, invece, la notificazione<br />

<strong>del</strong>la comparsa sarebbe necessaria, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 292, comma 2°, c.p.c., soltanto<br />

nell’ipotesi in cui il convenuto proponga domande riconvenzionali, v. Costantino, Il<br />

nuovo processo commerciale, cit., p. 421, secondo il quale, peraltro, il convenuto che<br />

volesse soltanto far valere l’estinzione <strong>del</strong> giudizio potrebbe anche limitarsi a depositare<br />

la procura unitamente all’istanza con la quale eccepisce l’estinzione. Ritiene, invece, Carratta,<br />

op. cit., p. 367, che il convenuto il quale eccepisca l’estinzione sia tenuto a redigere<br />

la comparsa di costituzione e a depositarla in cancelleria nel termine di cui all’art. 5,<br />

comma 1°, senza notificarla all’attore.<br />

(37) V., infatti, Balena, Prime impressioni, cit., p. 2205 ss. Sul contenuto e<br />

sull’interpretazione <strong>del</strong>l’art. 170 c.p.c., v. Id., voce Notificazione e comunicazione, in<br />

Digesto, Disc. priv. sez. civ., XII, Torino 1995, p. 262 ss.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 573<br />

zione letterale <strong>del</strong>la norma in esame avrebbe un senso se, in relazione alla fattispecie<br />

contemplata dall’art. 13, comma 1°, il legislatore avesse previsto la comparizione<br />

<strong>del</strong>le parti in udienza dinanzi al collegio che, in quanto giudice naturale<br />

e quindi dotato di poteri decisori, ritenuta la causa matura per essere decisa,<br />

avrebbe anche potuto pronunciarsi sulla controversia.<br />

L’art. 12, comma 5°, invece, dispone che le parti costituite siano convocate<br />

(presumibilmente in camera di consiglio (38)) dinanzi al giudice relatore il<br />

quale non soltanto non ha alcun potere decisorio (anzi, al pari <strong>del</strong>l’istruttore <strong>del</strong><br />

giudizio ordinario di cognizione, non è neanche un organo giurisdizionale (39))<br />

ma, disattesa l’eccezione di estinzione, non può neanche fissare l’udienza di<br />

discussione collegiale, dovendosi limitare a riavviare la fase preparatoria e a<br />

disporre la prosecuzione <strong>del</strong>lo scambio di memorie precedentemente interrotto<br />

dal convenuto (40).<br />

Sembrerebbe, quindi, potersi agevolmente dedurre che, nella fattispecie<br />

che ci occupa, la precisazione integrale <strong>del</strong>le conclusioni si tradurrebbe in uno<br />

sterile formalismo, rivelandosi una attività doppiamente inutile, atteso che per<br />

un verso il relatore non potrebbe mai essere investito <strong>del</strong>l’intera controversia,<br />

dovendosi limitare, per i motivi innanzi precisati, a pronunciarsi sulla sola eccezione<br />

di estinzione (a prescindere dalle altre richieste formulate nell’istanza di<br />

fissazione di udienza) (41); per altro verso, le conclusioni istruttorie e/o di me-<br />

––––––––––––<br />

(38) In tal senso, v. Briguglio, in Sassani (a cura di), La riforma <strong>del</strong>le società, cit.,<br />

p. 137.<br />

(39) Cfr., infatti, con esclusivo riferimento alla figura <strong>del</strong> giudice istruttore, le limpide<br />

osservazioni di Cipriani, Il giudice istruttore e la competenza a provvedere ex art.<br />

156, 6° comma, c.c., in Foro it. 1996, I, c. 3608 s., e ora in Id., Ideologie e mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong><br />

processo civile. Saggi, Napoli 1997, p. 234. Da notare che il « giudice relatore » non è<br />

neanche menzionato dal nostro ordinamento giudiziario.<br />

(40) Più precisamente, con la stessa ordinanza reiettiva <strong>del</strong>l’eccezione di estinzione,<br />

il relatore dovrà assegnare all’attore il termine che il convenuto, ex art. 4, comma<br />

2°, avrebbe dovuto concedergli per replicare alla comparsa di risposta. In tal senso,<br />

v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207, il quale rinviene nell’applicazione analogica<br />

<strong>del</strong>l’art. 8, comma 5°, la soluzione al problema <strong>del</strong>la mancanza di una norma ad hoc<br />

che disciplini la ripresa <strong>del</strong> processo societario dopo il rigetto <strong>del</strong>l’eccezione di estinzione.<br />

Sul punto, aggiungerei soltanto che potrebbe anche essere utilmente richiamato,<br />

sempre in via analogica, l’art. 11, comma 3°, che disciplina la fase successiva alla comunicazione<br />

<strong>del</strong>l’ordinanza con la quale il tribunale, pronunciandosi su questioni pregiudiziali<br />

o preliminari, non abbia definito il giudizio. Alle medesime conclusioni di<br />

Balena, seppure sulla base di un diverso ragionamento, giunge Carratta, op. cit., p. 369<br />

s. Nel senso che, invece, il giudice relatore, disattesa l’eccezione di estinzione, sia tenuto<br />

a emanare il decreto di fissazione di udienza, v. Poliseno, op. cit., p. 272.<br />

(41) A ciò si aggiunga che se è vero che, come è stato osservato, la ratio <strong>del</strong><br />

complesso contenuto <strong>del</strong>l’istanza di fissazione di udienza risiede nella opportunità di


574<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rito, come precisate nell’istanza de qua, sarebbero comunque caratterizzate<br />

dalla provvisorietà, essendo con ogni probabilità destinate ad essere modificate<br />

in un secondo momento, in funzione <strong>del</strong>le eventuali successive difese e/o domande<br />

<strong>del</strong>l’attore che, in séguito al rigetto <strong>del</strong>l’eccezione di estinzione e alla<br />

ripresa <strong>del</strong>la fase preparatoria, ben potrebbe notificare la memoria di replica e,<br />

non essendosi maturata a suo carico nessuna decadenza, costituirsi e partecipare<br />

attivamente al processo.<br />

Se le precedenti considerazioni sono esatte, può allora concludersi che<br />

l’istanza volta ad ottenere la convocazione in camera di consiglio dinanzi al relatore<br />

perché si pronunci sull’estinzione <strong>del</strong> processo per mancata o tardiva costituzione<br />

<strong>del</strong>l’attore deve essere considerata come un atto che: a) introduce un<br />

sub-procedimento eccezionale rispetto a quello previsto in via ordinaria dall’art.<br />

11 per la decisione su questioni pregiudiziali e preliminari (42); b) risponde ad<br />

un mo<strong>del</strong>lo semplificato rispetto a quello tipico disegnato dall’art. 9; c) non deve<br />

(rectius, potrebbe anche non) contenere né le conclusioni di rito e di merito<br />

né la formulazione <strong>del</strong>le richieste istruttorie. Anzi, considerato che l’art. 9,<br />

comma 1°, stabilisce espressamente che la mancanza <strong>del</strong>le conclusioni di rito e<br />

di merito nella domanda di fissazione di udienza implica che il giudice faccia<br />

riferimento alle conclusioni formulate nel primo atto difensivo, sembra logico<br />

ritenere che detta istanza possa essere priva anche <strong>del</strong>la richiesta di estinzione,<br />

essendo sufficiente che la relativa eccezione sia stata formulata – prima di ogni<br />

altra difesa – nella comparsa di risposta (43).<br />

––––––––––––<br />

fornire « uno strumento di ausilio per il giudice al fine <strong>del</strong>la corretta comprensione<br />

<strong>del</strong>la controversia » e che « l’onere imposto all’istante (non diversamente da quello<br />

imposto alle altre parti ex art. 10, comma 1°) ha allora lo scopo di fornire al tribunale<br />

un chiarimento su ciò di cui è chiamato a decidere » (così Tiscini, in Sassani (a cura<br />

di), La riforma <strong>del</strong>le società, cit., p. 101), altrettanto vero è che tali considerazioni possono<br />

ritenersi valide soltanto per il caso in cui il giudice sia investito <strong>del</strong>la decisione di<br />

tutta la causa.<br />

(42) Cfr. Carratta, op. cit., p. 362 ss.; Poliseno, op. cit., p. 270 ss. Sembrerebbe di<br />

poter dire che l’eccezionalità <strong>del</strong> meccanismo stabilito dall’art. 12, comma 5°, rispetto a<br />

quello di cui all’art. 11, che invece costituisce la regola, ricorda molto da vicino, mutatis<br />

mutandis, il rapporto intercorrente tra gli artt. 307, comma 4°, e 187 c.p.c. (sul quale rapporto,<br />

v. Cipriani, La declaratoria di estinzione per inattività <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong> processo di<br />

cognizione di primo grado, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1966, p. 122 ss.; Vaccarella,<br />

Inattività <strong>del</strong>le parti ed estinzione <strong>del</strong> processo di cognizione, Napoli 1975, p. 263 ss. e<br />

274 ss.; Monteleone, voce Estinzione (processo di cognizione), in Digesto, Disc. priv.<br />

sez. civ., VIII, Torino 1992, p. 138 s.; Saletti, voce Estinzione <strong>del</strong> processo. I) Diritto<br />

processuale civile, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma 1994, p. 10 s.).<br />

(43) Sull’argomento, v. Arieta-De Santis, op. cit., p. 205 ss., i quali hanno osservato<br />

che il dettato <strong>del</strong>l’art. 9, comma 1°, non autorizza a dedurre che il legislatore <strong>del</strong>egato<br />

abbia voluto derogare a principi che in materia ormai costituiscono ius receptum, tra i


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 575<br />

Resta da verificare se quella istanza vada soltanto depositata in cancelleria,<br />

come testualmente recita l’art. 13, comma 1°, ovvero debba essere portata anche<br />

a conoscenza <strong>del</strong>l’attore e <strong>del</strong>le eventuali altre parti <strong>del</strong> processo.<br />

Invero, motivi quantomeno di opportunità indurrebbero a propendere per<br />

quest’ultima soluzione (44) e quindi a ritenere che, nel caso di specie, il legislatore<br />

minus dixit quam voluit.<br />

A prescindere dall’ipotesi, evidentemente neanche presa in considerazione<br />

dalla norma, in cui il processo si svolga tra una pluralità di parti (nel qual caso<br />

non v’è alcun dubbio in ordine alla necessità di notificare l’istanza in confronto<br />

<strong>del</strong>le parti costituite), non sembra sussista alcuna ragione che possa giustificare<br />

una disparità di trattamento tra l’attore non costituito (ovvero costituito tardivamente)<br />

e il convenuto contumace, il quale, secondo quanto disposto dall’art.<br />

13, comma 2°, come novellato dal d.lgs. n. 37 <strong>del</strong> 2004, ha diritto a ricevere la<br />

notificazione <strong>del</strong>la domanda di fissazione di udienza (45). Per altro verso, deve<br />

osservarsi che, poiché l’art. 13 prevede espressamente la notificazione di tutti<br />

gli atti difensivi alle parti non costituite, parrebbe che il legislatore <strong>del</strong>egato abbia<br />

voluto derogare, almeno con riferimento alla fase preliminare <strong>del</strong> nuovo rito<br />

societario, alla lex generalis rappresentata dall’art. 292 c.p.c., con la conseguenza<br />

che, almeno sino a quando il relatore non dichiari la contumacia di una parte,<br />

tutti gli atti processuali, inclusa l’istanza di fissazione di udienza, dovrebbero<br />

esserle notificati personalmente.<br />

––––––––––––<br />

quali vi è quello secondo cui l’omessa riproposizione, in sede di precisazione <strong>del</strong>le conclusioni,<br />

di una domanda formulata in corso di giudizio implica, a meno di indicazioni<br />

contrarie desumibili dalla condotta processuale <strong>del</strong>la parte, una presunzione di abbandono<br />

<strong>del</strong>l’istanza non riproposta (cfr., infatti, ex plurimis, Cass. 29 gennaio 2003, n. 1281,<br />

in Foro it., Rep. 2003, voce Procedimento civile, n. 37; Cass. 26 agosto 2002, n. 12482,<br />

id. 2002, voce cit., n. 236; Cass. 11 febbraio 2000, n. 1522, id. 2000, voce cit., n. 280). Il<br />

rilievo è senz’altro corretto. Tuttavia, qualora il convenuto rediga l’istanza di fissazione<br />

di udienza finalizzata alla dichiarazione di estinzione ex art. 13, comma 1°, senza riprodurre<br />

integralmente tutte le conclusioni e, magari, chiedendo soltanto la pronuncia<br />

sull’estinzione, da tale condotta non potrebbe presumersi il tacito abbandono <strong>del</strong>le altre<br />

istanze visto che il relatore non viene investito <strong>del</strong>l’intera controversia e che, invece, il<br />

citato indirizzo giurisprudenziale sembra giustificarsi unicamente in virtù <strong>del</strong>l’applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 189 c.p.c., una norma che per il suo funzionamento richiede che il giudice<br />

sia investito di tutta la causa e che, comunque, « suppone la chiusura <strong>del</strong>l’istruttoria »<br />

(così Andrioli, op. cit., II, p. 101).<br />

(44) Nel senso che « la mancata previsione <strong>del</strong>la notificazione all’attore <strong>del</strong>l’istanza<br />

di fissazione <strong>del</strong>l’udienza secondo la disposizione generale <strong>del</strong>l’art. 8 non produce effetti<br />

negativi sull’esercizio <strong>del</strong> diritto di difesa di quest’ultimo in quanto l’eccezione di estinzione<br />

<strong>del</strong> giudizio è contenuta nel primo atto difensivo <strong>del</strong> convenuto che gli deve essere<br />

notificato », v. Giorgetti, op. cit., § 16.<br />

(45) Nello stesso senso, v. Poliseno, op. cit., p. 265 s., nt. 111.


576<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Qualora poi non si condividesse tale interpretazione e si ritenesse applicabile<br />

l’art. 292 c.p.c., si giungerebbe alle medesime conclusioni. Infatti, considerato<br />

che la richiesta di fissazione di udienza sembra essere domanda nuova rispetto<br />

a quelle originariamente proposte (46), non potrebbe che dedursi la sua<br />

necessaria notificazione anche alle parti non costituite.<br />

8. – Bisogna infine evidenziare che l’art. 13, comma 1°, non dispone alcunché<br />

in ordine al termine entro il quale l’istanza tesa ad ottenere la convocazione<br />

<strong>del</strong>le parti dinanzi al relatore debba essere depositata in cancelleria (ovvero,<br />

per quanto si è osservato sopra, notificata alle altre parti), sicché, nel silenzio<br />

<strong>del</strong>la legge, vi è stato chi ha rilevato che la presentazione di tale istanza<br />

« dovrebbe prescindere dai termini di cui all’art. 8, tenuto conto ch’essa mira<br />

comunque alla declaratoria d’estinzione <strong>del</strong> processo » (47) e chi, invece, ha<br />

suggerito che, a norma <strong>del</strong>l’art. 8, comma 2°, lett. c), debba essere notificata<br />

entro venti giorni dalla costituzione in giudizio <strong>del</strong> convenuto (48). È stato anche<br />

sostenuto, con maggiore rigore, che l’istanza in questione debba essere depositata<br />

dal convenuto, in uno alla comparsa di risposta, nel termine di costituzione<br />

in giudizio assegnatogli dall’art. 5, comma 1° (49).<br />

La prima <strong>del</strong>le soluzioni prospettate non sembra <strong>del</strong> tutto appagante perché<br />

darebbe luogo a gravi inconvenienti nell’ipotesi in cui il convenuto, dopo aver<br />

sollevato l’eccezione di estinzione in comparsa, tardasse nel (ovvero evitasse<br />

di) chiedere la fissazione <strong>del</strong>la camera di consiglio.<br />

In proposito, non sembra inutile osservare preliminarmente che l’estinzione<br />

<strong>del</strong> processo per omessa o tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore si presenta come<br />

una fattispecie a formazione progressiva, atteso che essa non consegue automaticamente<br />

alla inattività <strong>del</strong>la parte, ma per perfezionarsi richiede che il<br />

convenuto: a) si costituisca tempestivamente; b) formuli la relativa eccezione in<br />

comparsa; c) inoltri l’istanza di fissazione <strong>del</strong>la camera di consiglio dinanzi al<br />

giudice relatore; d) richieda a quest’ultimo, nel corso <strong>del</strong>la camera di consiglio,<br />

di dichiarare l’estinzione <strong>del</strong> giudizio.<br />

Ciò premesso, pare indubbio che, con riferimento all’ipotesi da noi presa<br />

in considerazione, l’attore non potrebbe ovviare all’inerzia <strong>del</strong>l’avversario<br />

––––––––––––<br />

(46) Si noti che, con riferimento al giudizio ordinario di cognizione, si ritiene assai<br />

autorevolmente (Satta-Punzi, Diritto processuale civile, 13 a ed., Padova 2000, p. 392, in<br />

nota) che « debba essere notificata la dichiarazione <strong>del</strong> convenuto di voler continuare il<br />

giudizio, che costituisce sostanzialmente un novum rispetto alla domanda <strong>del</strong>l’attore<br />

contumace ».<br />

(47) Così, Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207, nt. 35.<br />

(48) In tal senso, v., pur se problematicamente, Poliseno, op. cit., p. 265, nt. 111;<br />

Picaroni, op. cit., p. 148.<br />

(49) V., infatti, Carratta, op. cit., p. 367 s., nt. 3.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 577<br />

presentando egli stesso l’istanza e portando così a compimento il complesso<br />

iter finalizzato alla declaratoria di estinzione, in quanto trattasi di attività<br />

espressamente riservata al convenuto costituito tempestivamente. E d’altra<br />

parte, se l’attore scegliesse di riproporre l’azione in un autonomo successivo<br />

giudizio, il giudice <strong>del</strong> secondo processo non potrebbe, salvo esplicita richiesta<br />

<strong>del</strong> convenuto, accertare la sussistenza <strong>del</strong>l’evento estintivo inerente il<br />

primo (50), atteso che, come si è appena osservato, nel rito societario la mancata<br />

o tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore non è di per sé sufficiente ad integrare<br />

alcuna fattispecie estintiva e che, comunque, la relativa eccezione è riservata<br />

al convenuto.<br />

Ne consegue che rassegnarsi alla mancanza di un termine entro il quale<br />

chiedere la nomina <strong>del</strong> giudice relatore affinché provveda sull’eccezione di<br />

estinzione ex art. 13, comma 1°, significherebbe rischiare di favorire l’esercizio<br />

di tattiche dilatorie e maliziose da parte <strong>del</strong> convenuto il quale, evitando<br />

di presentare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, non soltanto avrebbe la possibilità<br />

di lasciar pendere la causa sul ruolo sine die per poi farla estinguere<br />

alla maturazione <strong>del</strong> termine prescrizionale <strong>del</strong> diritto fatto valere in suo confronto,<br />

ma potrebbe anche immobilizzare <strong>del</strong> tutto l’attore il quale, se volesse<br />

azionare nuovamente il diritto già fatto valere nel processo in cui aveva omesso<br />

di costituirsi tempestivamente, si vedrebbe eccepire la pendenza <strong>del</strong> precedente<br />

processo.<br />

Viceversa, qualora si ritenesse che il convenuto, dopo aver sollevato l’eccezione<br />

di estinzione <strong>del</strong> processo per omessa o tardiva costituzione <strong>del</strong>l’attore,<br />

sia tenuto a presentare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>la camera di consiglio entro un<br />

dies ad quem, che potremmo individuare indifferentemente (quanto al risultato<br />

pratico) nel termine concesso al convenuto per costituirsi in giudizio ovvero in<br />

quello stabilito dall’art. 8, comma 2°, lett. c) (51), gli inconvenienti appena evi-<br />

––––––––––––<br />

(50) Circa la possibilità di far valere l’estinzione <strong>del</strong> giudizio in un nuovo processo,<br />

v. Cipriani, La declaratoria di estinzione, cit., p. 164. Sull’argomento, v. anche<br />

Vaccarella, op. cit., p. 286 ss. In giurisprudenza, costituisce ius receptum il principio<br />

secondo cui l’estinzione <strong>del</strong> giudizio per inattività può esser dichiarata incidenter<br />

tantum dal giudice di un diverso processo (cfr., infatti, Cass. 27 febbraio 1997, n.<br />

1752, in Foro it., Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 350; Cass. sez. lav. 12 dicembre<br />

1995, n. 12694, id. 1995, voce Competenza civile, n. 127; Cass. 19 ottobre<br />

1993, n. 10352, id. 1993, voce Rinvio civile, n. 16; Cass. 22 giugno 1993, n. 6903,<br />

ibid., voce Procedimento civile, n. 195; Cass. S.U. 23 gennaio 1991, n. 597, id. 1992,<br />

I, c. 3090 ss.; Corte conti 22 maggio 2002, n. 164/A, id. 2002, voce Amministrazione<br />

Stato, n. 254).<br />

(51) Il ricorso a detto criterio si imporrebbe in quanto, pur vertendosi in materia di<br />

eccezione non rilevabile d’ufficio, l’art. 8, comma 2°, lett. a), sembrerebbe inapplicabile<br />

visto che l’art. 13, comma 1°, non prevede che l’attore possa replicare alla comparsa di<br />

costituzione con la quale il convenuto eccepisce l’estinzione.


578<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

denziati non si porrebbero neanche, pur se rimarrebbe comunque da comprendere<br />

quali conseguenze derivino dal mancato rispetto di detto termine.<br />

A tal fine, deve osservarsi che sarebbe irragionevole applicare al caso di<br />

specie il disposto di cui all’art. 8, comma 4°, e quindi sanzionare con l’estinzione<br />

<strong>del</strong> processo la tardiva presentazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>la camera<br />

di consiglio, non foss’altro perché siffatta conseguenza procurerebbe un<br />

vantaggio al convenuto il quale, anche se il mancato rispetto <strong>del</strong> dies ad quem<br />

fosse dipeso da negligenza sua o <strong>del</strong> procuratore, verrebbe sostanzialmente rimesso<br />

in termini per eccepire l’estinzione, e un danno all’attore che, invece,<br />

quand’anche si fosse costituito fuori termine per causa non imputabile a sé o al<br />

proprio procuratore, non avrebbe alcuna possibilità di evitare l’estinzione.<br />

Riterrei, invece, che sarebbe assai più utile, produttivo e coerente, risolvere<br />

il problema nel senso che, scaduto inutilmente il termine per provvedere alla presentazione<br />

<strong>del</strong>l’istanza per ottenere la fissazione <strong>del</strong>la camera di consiglio, e dunque<br />

non essendo stato completato tempestivamente l’iter che conduce al perfezionamento<br />

<strong>del</strong>l’eccezione di estinzione collegata alla contumacia <strong>del</strong>l’attore, il<br />

convenuto decada dalla possibilità di far valere la mors litis. In particolare, a mio<br />

sommesso modo di vedere, non pare vi sia alcun impedimento a sostenere che,<br />

qualora il convenuto abbia presentato tardivamente quell’istanza e l’attore, nel<br />

corso <strong>del</strong>la camera di consiglio, l’abbia fatto rilevare, il giudice relatore dovrà rigettare<br />

l’eccezione di estinzione e contestualmente, applicando in via analogica il<br />

disposto di cui all’art. 8, ultimo comma, assegnare all’attore il termine che il convenuto,<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 4, comma 2°, avrebbe dovuto concedergli per replicare<br />

alla comparsa di risposta. Per altro verso, credo che nulla vieti di affermare che,<br />

nel caso in cui il convenuto non abbia proposto, neanche in ritardo, l’istanza di<br />

fissazione <strong>del</strong>la camera di consiglio, l’attore che intenda proseguire il giudizio<br />

possa inoltrarla egli stesso al solo scopo di far valere la decadenza <strong>del</strong> convenuto<br />

dall’eccezione di estinzione e di ottenere l’assegnazione <strong>del</strong> termine per notificare<br />

la memoria di replica ex art. 6.<br />

Siffatta soluzione, indubbiamente, necessita di una buona dose di creatività<br />

ed implica una certa forzatura <strong>del</strong> laconico dettato normativo, forzatura che<br />

però sembra inevitabile per porre rimedio ai gravi inconvenienti poc’anzi evidenziati<br />

ma soprattutto per tutelare l’attore che per un qualsivoglia motivo non<br />

si sia costituito nei ristretti termini concessigli dall’art. 3.<br />

9. – L’esame sin qui svolto <strong>del</strong>le disposizioni che regolano le conseguenze<br />

<strong>del</strong>la mancata o tardiva costituzione di entrambe le parti ovvero <strong>del</strong> solo attore<br />

nel nuovo rito societario, ci consegna, purtroppo, una disciplina <strong>del</strong>la materia<br />

per nulla chiara, costellata da gravi lacune e corposi dubbi interpretativi, la soluzione<br />

dei quali risulta costantemente caratterizzata da un alto grado di opinabilità.<br />

Spiace però dover constatare che quelle stesse norme non si lasciano apprezzare<br />

neppure sotto il profilo <strong>del</strong>la coerenza col dichiarato obiettivo <strong>del</strong>la<br />

« liberalizzazione » (quantomeno <strong>del</strong>la fase introduttiva) <strong>del</strong> nuovo rito, co-


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 579<br />

struito, secondo quel che si dice, in modo da valorizzare « in pieno il principio<br />

dispositivo » (52).<br />

Infatti, mentre nel giudizio ordinario di cognizione l’attore che non si sia<br />

costituito può comunque impedire l’estinzione costituendosi sino all’udienza<br />

di comparizione oppure riassumendo la causa a seconda che, rispettivamente,<br />

il convenuto si sia tempestivamente costituito o sia rimasto contumace (53),<br />

nel processo societario le cose funzionano in maniera assai differente: l’attore<br />

è comunque tenuto a costituirsi entro il temine assegnatogli ma, in caso di<br />

inosservanza di quel termine, il processo potrà proseguire soltanto quando il<br />

convenuto abbia omesso di costituirsi in termini ovvero quando, pur costituendosi,<br />

non abbia eccepito l’estinzione <strong>del</strong> giudizio. Dunque, rispetto a<br />

quanto previsto con riferimento al processo ordinario, in quello societario il<br />

meccanismo risulta completamente ed inopinatamente ribaltato: nel primo, la<br />

prosecuzione <strong>del</strong> giudizio viene fatta dipendere anche dalla volontà <strong>del</strong>l’attore,<br />

evidentemente sull’ineccepibile presupposto che, nonostante l’iniziale<br />

condotta omissiva, potrebbe conservare interesse ad una pronuncia di merito;<br />

nel secondo, al contrario, le sorti <strong>del</strong>la causa dipendono esclusivamente dal<br />

convenuto ossia da quella parte che (almeno di regola) non ha alcun interesse<br />

a mantenere vivo il processo e che, anzi, attende soltanto che si presenti<br />

l’occasione propizia per liberarsene.<br />

Così stando le cose, non sembra possa essere revocato in dubbio che, col<br />

nuovo rito, l’attore che per un qualsivoglia motivo non si sia costituito tempestivamente<br />

dovrà rassegnarsi a subire l’estinzione.<br />

Si dirà che il Governo è stato obbligato a compiere questa scelta per evitare<br />

di dilatare eccessivamente la durata <strong>del</strong>la fase introduttiva, anche in considerazione<br />

<strong>del</strong> fatto che la legge <strong>del</strong>ega lo vincolava a prevedere un mo<strong>del</strong>lo processuale<br />

che privilegiasse « la concentrazione <strong>del</strong> procedimento e la riduzione<br />

––––––––––––<br />

(52) Così il Comunicato <strong>del</strong> Consiglio dei Ministri n. 88 <strong>del</strong> 10 gennaio 2003, cit.<br />

(53) In caso di iscrizione a ruolo tardiva, invece, si avrà la cancellazione dal ruolo<br />

(Cass. S.U. 3 ottobre 1995, n. 10389, in Foro it. 1996, I, c. 1297 ss., con note di Balena,<br />

Nullità <strong>del</strong> procedimento di primo grado per vizi <strong>del</strong> contraddittorio e poteri <strong>del</strong> giudice<br />

d’appello, e di Toffoli, Sulla possibilità, e i limiti, <strong>del</strong>l’applicazione in via analogica<br />

<strong>del</strong>le disposizioni degli art. 353 e 354 c.p.c. in tema di rinvio <strong>del</strong>la causa al primo giudice<br />

da parte <strong>del</strong> giudice d’appello, nonché in Corr. giur. 1996, p. 425 ss., con nota di De<br />

Cristofaro, Costituzione tardiva <strong>del</strong>l’attore e omessa cancellazione <strong>del</strong>la causa dal ruolo;<br />

Cass. 14 aprile 1992, n. 4525, in Giur. it. 1994, I, 1, c. 330 ss., con nota di Cavallini, Note<br />

minime in tema di omessa cancellazione <strong>del</strong>la causa dal ruolo in primo grado (e di nullità<br />

<strong>del</strong> procedimento di primo grado per vizi inerenti alla vocatio in ius) e poteri <strong>del</strong><br />

giudice d’appello), a meno che entrambe le parti dimostrino comunque la volontà di dare<br />

impulso al processo che, in tal caso, non potrà che proseguire (Cass. 25 luglio 2000, n.<br />

9730, in Foro it., Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 305; Cass. 24 settembre 1994,<br />

n. 7855, id. 1994, voce cit., n. 139).


580<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

dei termini processuali » (art. 12, comma 2°, lett. a), legge 3 ottobre 2001, n.<br />

366). Tuttavia, altro è tentare di limitare al minimo gli sprechi e gli abusi dei<br />

tempi processuali, altro è condannare a morte un processo sol perché la parte<br />

che ha proposto la domanda ha lasciato decorrere invano il ristretto termine<br />

concesso per costituirsi.<br />

E ciò a tacere <strong>del</strong> fatto che questo sistema – che impone all’attore, a pena<br />

di estinzione <strong>del</strong> giudizio, di costituirsi entro l’angusto termine assegnatogli – è<br />

assai più rigoroso ed autoritario non soltanto rispetto alla omologa disciplina<br />

dettata per il giudizio ordinario di cognizione, ma anche in confronto a quanto<br />

previsto nel testo originario <strong>del</strong> c.p.c. <strong>del</strong> 1940, ove all’attore era comunque<br />

consentito di costituirsi utilmente entro l’ampio termine riservato alla costituzione<br />

<strong>del</strong> convenuto (54).<br />

10. – Lo scambio <strong>del</strong>le memorie scritte che caratterizza la fase introduttiva<br />

<strong>del</strong> nuovo rito societario può essere interrotto con la richiesta <strong>del</strong>la fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza avanzata da ciascuna parte nei tempi e con le modalità precisate<br />

dall’art. 8.<br />

In virtù di tale norma l’attore può notificare l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza entro venti giorni: a) dalla notifica <strong>del</strong>la comparsa di risposta<br />

<strong>del</strong> convenuto alla quale non voglia replicare ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> termine<br />

assegnato per notificare la comparsa medesima; b) in caso di chiamata<br />

di terzo, dalla data di notifica <strong>del</strong>la comparsa di risposta di quest’ultimo ovvero<br />

dalla scadenza <strong>del</strong> termine assegnatogli per notificare la comparsa medesima;<br />

c) dalla data di notifica <strong>del</strong>lo scritto difensivo <strong>del</strong>le altre parti al<br />

quale non intende replicare ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine (art.<br />

8, comma 1°).<br />

Anche il convenuto può notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza entro<br />

venti giorni che, però, dovranno essere computati: a) se abbia spiegato riconvenzionale<br />

o sollevato eccezioni non rilevabili d’ufficio, dalla data di notifica<br />

<strong>del</strong>la memoria di replica <strong>del</strong>l’attore oppure dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine;<br />

b) se sono stati chiamati terzi in causa, dalla data di notifica <strong>del</strong>la comparsa<br />

di risposta <strong>del</strong> terzo ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine; c) al di fuori dei<br />

––––––––––––<br />

(54) Si segnala che un meccanismo assai simile, se non sovrapponibile (almeno negli<br />

effetti), a quello adottato per il rito societario, lo troviamo previsto nei progetti Solmi<br />

che stabilivano l’assoluta separazione dei termini di costituzione <strong>del</strong>le parti, la condanna<br />

al pagamento di una penale per l’eventuale costituzione tardiva e la mors litis immediata<br />

in caso di mancata costituzione bilaterale (artt. 150, 152 e 273 <strong>del</strong> prog. prel. Solmi,<br />

pubbl. in Ministero di Grazia e Giustizia, Codice di procedura civile. Progetto preliminare<br />

e relazione, Roma 1937, e artt. 160, 162 e 281 <strong>del</strong> prog. def. Solmi, pubbl. in Ministero<br />

di Grazia e Giustizia, Codice di procedura civile. Progetto definitivo e relazione <strong>del</strong><br />

guardasigilli on. Solmi, Roma 1939).


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 581<br />

predetti casi, dalla data <strong>del</strong>la propria costituzione in giudizio oppure da quella di<br />

notifica <strong>del</strong>lo scritto difensivo <strong>del</strong>le altre parti al quale non intende replicare<br />

ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine (art. 8, comma 2°).<br />

È altresì previsto che il terzo, chiamato o intervenuto, possa notificare<br />

quell’istanza sempre nel termine di venti giorni che decorrono: a) se ha spiegato<br />

riconvenzionale o ha sollevato eccezioni non rilevabili d’ufficio, dalla notificazione<br />

<strong>del</strong>la memoria di replica di una <strong>del</strong>le parti ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> relativo<br />

termine; b) all’infuori di tale caso, dalla data <strong>del</strong>la propria costituzione in<br />

giudizio oppure da quella <strong>del</strong>la notifica <strong>del</strong>lo scritto difensivo <strong>del</strong>le altre parti al<br />

quale non intende replicare ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine (art. 8,<br />

comma 3°).<br />

La norma, per quanto apparentemente chiara e (fors’anche eccessivamente)<br />

analitica, presenta, com’è stato recentemente evidenziato, non pochi<br />

dubbi interpretativi (55). Va dato atto, però, al legislatore <strong>del</strong>egato di aver migliorato,<br />

in séguito alle modifiche operate con il d.lgs. n. 310 <strong>del</strong> 2004, il dettato<br />

<strong>del</strong>la disposizione in esame che, originariamente, lasciava privi di disciplina<br />

una serie di casi che avrebbero potuto facilmente verificarsi. Infatti,<br />

stando alla lettera <strong>del</strong> previgente art. 8, erano impossibilitati a notificare<br />

l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza: 1) l’attore, se nessuna parte avesse risposto<br />

alla sua memoria di replica ex art. 6 ovvero a una replica ulteriore; 2) il<br />

convenuto, se alla sua memoria difensiva ex art. 7, comma 1°, non fosse seguito<br />

alcuno scritto difensivo <strong>del</strong>l’attore e se il terzo non avesse replicato alla<br />

memoria notificatagli, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 6, dal convenuto medesimo; 3) il terzo,<br />

se nessun avversario avesse replicato alla sua memoria difensiva redatta a<br />

mente <strong>del</strong>l’art. 7, comma 1°.<br />

In tutte queste ipotesi, a meno che la parte avesse notificato, in alternativa<br />

alla memoria, l’istanza di cui all’art. 8, il processo entrava in una fase di stallo che<br />

teoricamente avrebbe potuto protrarsi sine die visto che da un lato vi era una parte<br />

che non voleva rispondere né chiedere la fissazione <strong>del</strong>l’udienza, dall’altro, una<br />

parte che, invece, voleva l’udienza, ma non poteva richiederla (56).<br />

Al fine di risolvere il grave inconveniente, fu suggerito di interpretare la<br />

norma nel senso che, trascorso il termine per rispondere, e quindi raggiunta la<br />

certezza « che l’ultima parola <strong>del</strong> dibattito scritto (fosse) stata proferita », da<br />

––––––––––––<br />

(55) A tal proposito, si rinvia alle osservazioni svolte da Ventura, in I procedimenti<br />

in materia commerciale, cit., p. 202 ss. V., altresì, De Santis di Nicola, L’art. 8, comma<br />

2. lett. c), d.lgs. n. 5/2003 e il principio <strong>del</strong> contraddittorio: cronaca di una « convivenza<br />

» difficile, in Corr. giur. 2006, p. 94 ss.; Corsini, La notifica immediata <strong>del</strong>l’istanza<br />

di fissazione di udienza da parte <strong>del</strong> convenuto nel nuovo processo societario, in<br />

Giur. it. 2005, p. 1894 ss.<br />

(56) In ordine a tali problemi, v. Balena, Prime impressioni, cit., p. 2206 s.; Trisorio<br />

Liuzzi, op. cit., § 9; Briguglio, op. cit., p. 91 ss.


582<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

quella medesima data decorressero « in modo identico per entrambe le parti » i<br />

quindici giorni (poi innalzati a venti) previsti dall’art. 8, comma 4°, entro i quali,<br />

a pena di estinzione <strong>del</strong> processo, avrebbe dovuto essere notificata l’istanza<br />

di fissazione <strong>del</strong>l’udienza (57).<br />

La proposta, poi confortata dall’intervento <strong>del</strong> legislatore <strong>del</strong>egato che<br />

modificò il testo originario <strong>del</strong>l’art. 8, comma 4°, inserendo, dopo le parole<br />

« successivi alla scadenza », le parole « dei termini di cui ai commi precedenti<br />

» (art. 4, comma 3°, lett. h), n. 6, d.lgs. n. 37 <strong>del</strong> 2004), si basava su una lettura<br />

integrativa e, in buona misura, creativa <strong>del</strong>l’art. 8. Proprio per questo essa<br />

non lasciava pienamente soddisfatti e prestava il fianco a qualche critica, pur<br />

dovendosi ammettere che rappresentava l’unica via possibile per venir fuori da<br />

una altrimenti inevitabile impasse capace di provocare una vera e propria paralisi<br />

<strong>del</strong> procedimento e, nel contempo, per conferire certezza in ordine ai poteri<br />

processuali <strong>del</strong>le parti e completezza alla norma.<br />

Come poc’anzi osservato, il legislatore, molto opportunamente, ha di recente<br />

posto rimedio alla evidenziata lacuna provvedendo ad aggiungere, in fine<br />

all’art. 8, comma 1°, lett. c), comma 2°, lett. c) e comma 3°, lett. b), d.lgs. n. 5<br />

<strong>del</strong> 2003, le parole « ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine » (art. 3, comma<br />

1°, d.lgs. n. 310 <strong>del</strong> 2004), col risultato di generalizzare il principio per cui<br />

alla notifica di qualsivoglia atto difensivo ovvero alla scadenza <strong>del</strong> termine concesso<br />

ad una parte per replicare può sempre seguire la richiesta di fissazione di<br />

udienza su istanza <strong>del</strong>le altre parti.<br />

La novella <strong>del</strong> dicembre 2004, però, non ha chiarito, forse anche perché il<br />

problema non è stato avvertito dalla dottrina, se la parte che non ha ricevuto la<br />

notificazione né <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza né di un atto difensivo<br />

sia tenuta necessariamente a notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza oppure<br />

possa anche proseguire la trattazione scritta <strong>del</strong>la causa.<br />

Nel silenzio <strong>del</strong> legislatore, direi che, in assenza di un espresso divieto,<br />

non sussiste alcun valido motivo per sottrarre alla parte il potere di decidere la<br />

strategia processuale più appropriata e dunque di scegliere, a fronte <strong>del</strong>l’inerzia<br />

<strong>del</strong>l’avversario, se chiedere immediatamente l’udienza ovvero notificargli<br />

una nuova memoria al fine, ad esempio, di meglio articolare le proprie<br />

difese oppure, laddove sia ancora in tempo, di dedurre ulteriori mezzi istruttori<br />

(58). Anzi, tale lettura mi sembra confortata proprio dal dettato <strong>del</strong>l’art. 8,<br />

––––––––––––<br />

(57) In tal senso, v. Briguglio, op. cit., p. 92. Con riferimento alla situazione<br />

creatasi dopo gli emendamenti apportati dal d.lgs. n. 37 <strong>del</strong> 2004, v. Sassani-Tiscini, in<br />

Sandulli- Santoro-Sassani (a cura di), La riforma <strong>del</strong>le società. Aggiornamento commentato,<br />

Torino 2004, p. 192 ss.; Arieta-De Santis, op. cit., p. 185 ss.; Carratta, op. cit.,<br />

p. 255 ss.<br />

(58) In senso favorevole rispetto a questa soluzione, v. anche Dalmotto, in Chiarloni,<br />

Il nuovo processo societario, (commentario diretto da). Aggiornamento, Bologna


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 583<br />

secondo il quale ciascuna parte « può » (e non già « deve ») domandare la fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza sia nel caso in cui abbia avuto la notifica di un atto difensivo,<br />

sia quando non l’abbia ricevuta. Inoltre, mi pare che l’accoglimento<br />

di tale proposta interpretativa sarebbe auspicabile non soltanto ad ulteriore<br />

garanzia <strong>del</strong> diritto di difesa <strong>del</strong>le parti, ma anche al fine di dare coerenza al<br />

complessivo impianto <strong>del</strong> rito societario. Infatti, dal momento che l’attore<br />

tempestivamente costituito può optare, qualora il convenuto non notifichi la<br />

comparsa di risposta, tra la notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza<br />

e di una nuova memoria (art. 13, comma 2°), sembrerebbe corretto (e,<br />

anzi, quasi inevitabile) dedurre che tale alternativa possa e debba essere estesa<br />

a tutte le parti in ogni caso in cui, nel corso <strong>del</strong>la fase preparatoria, una di loro<br />

si astenga dal notificare uno scritto difensivo e non provveda neanche a domandare<br />

la fissazione <strong>del</strong>l’udienza.<br />

In virtù di tali considerazioni, e dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n.<br />

310 <strong>del</strong> 2004, dal coordinamento dei primi tre commi <strong>del</strong>l’art. 8, sembrerebbe<br />

potersi ricavare il principio generale per cui una parte, scaduto il termine concesso<br />

all’avversario (che non abbia notificato l’istanza di fissazione di udienza)<br />

per rispondere e a prescindere dall’effettiva notificazione <strong>del</strong>la replica, può scegliere<br />

se notificargli una ulteriore memoria oppure l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza (entro venti giorni dalla data di notifica <strong>del</strong>la memoria avversa o,<br />

in mancanza, dalla scadenza <strong>del</strong> relativo termine).<br />

11. – A completamento <strong>del</strong> meccanismo appena descritto, il legislatore<br />

<strong>del</strong>egato ha stabilito che qualora l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza non sia notificata<br />

nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui all’art. 8,<br />

commi 1°, 2° e 3°, oppure entro venti giorni dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il<br />

deposito <strong>del</strong>la memoria di controreplica <strong>del</strong> convenuto prevista a norma <strong>del</strong>l’art.<br />

7, comma 2°, oppure ancora dalla scadenza <strong>del</strong> termine massimo di cui all’art.<br />

7, comma 3°, il processo viene dichiarato estinto anche d’ufficio (59). Il rilievo<br />

––––––––––––<br />

2005, p. 19, il quale rileva correttamente che tale attività incontra il solo limite <strong>del</strong> termine<br />

massimo di durata <strong>del</strong>la fase preparatoria stabilito dall’art. 7, comma 3°.<br />

(59) A differenza di quanto oggi stabilito per il rito societario, il c.p.c. <strong>del</strong> 1865,<br />

con riferimento al procedimento formale, non prevedeva alcun limite temporale entro il<br />

quale lo scambio <strong>del</strong>le memorie dovesse esaurirsi, tuttavia consentiva a ciascuna parte<br />

di interrompere il dialogo scritto (e quindi di portare la causa in udienza) in qualsiasi<br />

momento, semplicemente evitando di rispondere all’ultima comparsa, facendo iscrivere<br />

la causa sul ruolo di spedizione e notificando l’iscrizione all’avversario nei successivi<br />

due giorni (art. 173 c.p.c. <strong>del</strong> 1865 e art. 216 reg. gen. giud.). Tale termine, però, non<br />

era perentorio e il suo mancato rispetto veniva sanzionato, per vero in modo assai<br />

blando, con la cancellazione <strong>del</strong>la causa dal ruolo che il presidente poteva disporre<br />

soltanto su istanza di parte (art. 219 reg. gen. giud. <strong>del</strong> 1865). Nel caso in cui, poi, lo


584<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

officioso, però, è precluso se l’udienza si è comunque svolta con la partecipazione<br />

di almeno una parte la quale, in tal caso, se vorrà approfittare <strong>del</strong>l’estinzione,<br />

sarà tenuta a proporre la relativa eccezione nella stessa udienza e, naturalmente,<br />

prima di ogni altra difesa (art. 8, comma 4°) (60).<br />

Anche questa disposizione presenta gravi problemi interpretativi, atteso<br />

che rende assai incerto il termine finale per la notifica <strong>del</strong>l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza nei casi stabiliti dai primi tre commi <strong>del</strong>l’art. 8, termine il cui superamento<br />

è sanzionato con l’estinzione <strong>del</strong> processo.<br />

Invero, stando al tenore letterale <strong>del</strong>la norma, non dovrebbero esservi dubbi<br />

in ordine al fatto che essa prevede la mors litis quale conseguenza <strong>del</strong>la mancata<br />

notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza entro ulteriori venti<br />

giorni decorrenti dalla inutile scadenza dei termini già concessi dai primi tre<br />

commi <strong>del</strong>l’art. 8 per chiedere la fissazione <strong>del</strong>l’udienza (61). Per contro, pare<br />

si stia affermando l’orientamento secondo il quale l’art. 8, comma 4°, sanzionerebbe<br />

con l’estinzione la mancata notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza nei termini perentori stabiliti dai commi precedenti. Più precisamente,<br />

si sostiene che la norma in esame vada letta nel senso che la parte che<br />

non intenda replicare all’avversario ha l’onere di notificargli l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza nel termine perentorio di venti giorni dalla ricezione <strong>del</strong>l’ul-<br />

––––––––––––<br />

scambio di comparse fosse stato interrotto ma nessuna <strong>del</strong>le parti avesse iscritto la causa<br />

sul ruolo di spedizione, cominciava a decorrere un termine di tre anni entro il quale<br />

la parte che ne aveva interesse poteva riprendere il dialogo scritto ovvero decidere di<br />

portare la causa in udienza. Scaduto quel termine senza che fosse stata eseguita alcuna<br />

attività processuale, il processo, su istanza di parte, si perimeva (sull’argomento, v.<br />

Mortara, voce Appello civile, in Digesto it., III, 2, Torino 1890, p. 939 s.; Battista, voce<br />

Perenzione d’istanza, ivi, XVIII, 2, Torino 1906-1912, p. 248 s.)<br />

Nel c.p.c. <strong>del</strong> 1940, invece, per ottenere la fissazione <strong>del</strong>l’udienza era necessario rivolgere<br />

al presidente <strong>del</strong> tribunale l’istanza per la designazione <strong>del</strong> g.i. Tale istanza poteva<br />

essere inserita nell’atto introduttivo <strong>del</strong> giudizio o nella comparsa di risposta, ma poteva<br />

anche essere proposta con separato ricorso. In quest’ultimo caso doveva essere presentata<br />

entro trenta giorni dalla scadenza <strong>del</strong> termine di costituzione <strong>del</strong> convenuto, pena<br />

l’estinzione officiosa <strong>del</strong> processo (art. 172 c.p.c.).<br />

(60) Sembra opportuno ricordare che prima <strong>del</strong>le modifiche apportate dal d.lgs. n.<br />

37 <strong>del</strong> 2004, per la mancata notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza nei termini<br />

stabiliti dai primi tre commi <strong>del</strong>l’art. 8, non era prevista, almeno esplicitamente, alcuna<br />

sanzione. Di qui, un acceso dibattito dottrinale sulle conseguenze di tale condotta<br />

omissiva, sul quale v. Punzi, op. cit., p. 93 ss.; Costantino, Il nuovo processo commerciale,<br />

cit., pp. 412 s. e 422 ss.; Balena, Prime impressioni, cit., p. 2207; Trisorio Liuzzi,<br />

op. cit., §§ 9 e 13; Carratta, op. cit., p. 265 ss.; Arieta-De Santis, op. cit., p. 195 ss.; Briguglio,<br />

op. cit., p. 90 ss.; M. Fabiani, La partecipazione <strong>del</strong> giudice, cit., p. 163 ss.; Ziino,<br />

op. cit., § 10; Picaroni, op. cit., p. 99 ss.; Poliseno, op. cit., p. 260 ss.<br />

(61) In tal senso, v., infatti, Ventura, op. cit., p. 207.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 585<br />

timo scritto difensivo, decorso il quale il processo si estingue, a meno che l’altra<br />

parte non provveda essa stessa alla notificazione <strong>del</strong>l’istanza nei venti giorni<br />

successivi alla scadenza di tale termine (62).<br />

A ben vedere, però, la dinamica appena descritta corrisponde perfettamente<br />

a quella <strong>del</strong>ineata dai primi tre commi <strong>del</strong>l’art. 8 che, in séguito agli<br />

emendamenti apportati dal d.lgs. n. 310 <strong>del</strong> 2004, consentono a ciascuna parte<br />

di notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza entro venti giorni decorrenti,<br />

oltre che dalla notifica <strong>del</strong>l’avverso scritto difensivo, anche dalla scadenza <strong>del</strong><br />

termine assegnato all’altra per provvedervi. L’interpretazione offerta, quindi,<br />

non sembra affatto condivisibile dal momento che svaluta, sino a cancellare <strong>del</strong><br />

tutto, il contenuto <strong>del</strong>l’art. 8, comma 4°, che invece aggiunge un quid pluris al<br />

meccanismo previsto dai commi precedenti e che, lungi dallo stabilire che il<br />

dies ad quem per notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza coincida con i<br />

termini di cui all’art. 8, commi 1°, 2° e 3°, individua espressamente nella scadenza<br />

di tali termini il dies a quo dal quale si dipartono ulteriori venti giorni per<br />

provvedere a tale atto di impulso, decorsi i quali il processo si perime.<br />

Per altro verso, riterrei che la lettura in esame sconti l’ulteriore difetto di<br />

consentire, assai inopportunamente, alla sola parte legittimata a notificare<br />

l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, ma che si astenga dal farlo senza neanche<br />

proseguire la trattazione scritta, di provocare la mors litis. È stato osservato, infatti,<br />

che in questo modo la norma si presterebbe ad un uso distorto, offrendo<br />

alla parte disinteressata alla sentenza di merito un agevole strumento per liberarsi<br />

<strong>del</strong> processo (63). Ma soprattutto, mi pare vada evidenziato che l’estin-<br />

––––––––––––<br />

(62) In tal senso, v., in giurisprudenza, Trib. Bari 11 luglio 2005 in Foro it. 2006, I,<br />

c. 595; Trib. Brindisi 10 giugno 2005, ibid., c. 609 ss., con nota adesiva di Poliseno. In<br />

dottrina, nello stesso senso, v. Ronco, Nuovo rito societario, cessazione <strong>del</strong>la trattazione<br />

scritta, omissione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza ed estinzione <strong>del</strong> processo (dove<br />

lo spirito <strong>del</strong>l’interprete cede a quello <strong>del</strong>l’enigmista), in Giur. it. 2005, p.1243 ss.; Dalmotto,<br />

op. ult. cit., p. 19; Montenero, Sulla decorrenza <strong>del</strong> termine per la notifica<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza e sulle conseguenze <strong>del</strong>la sua inosservanza, in<br />

Giur. mer. 2005, p. 592 ss.<br />

Si segnala, altresì, che anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. 28 dicembre<br />

2004 n. 310, il medesimo principio era stato enunciato, in giurisprudenza, da Trib.<br />

Viterbo 6 aprile 2005, Trib. Terni 28 febbraio 2005 e Trib. Verona 14 gennaio 2005, in<br />

Foro it. 2006, I, c. 936 ss.; Trib. Milano 2 dicembre 2004, in Foro it. 2006, I, c. 610 ss.,<br />

in Giur. it. 2005, p. 1240 ss., e in Giur. mer. 2005, p. 591 ss.; Trib. Ivrea 11 novembre<br />

2004 e Trib. Milano 16 settembre 2004, in Foro it. 2006, I, c. 610 ss. In dottrina, sostanzialmente<br />

nello stesso senso, sempre anteriormente alla novella <strong>del</strong> dicembre 2004, v.<br />

Sassani-Tiscini, op. cit., p. 196; Carratta, op. cit., p. 268 ss.; Arieta-De Santis, op. cit.,<br />

pp. 187 e 195 ss.; Sotgiu, op. cit., p. 178 ss.; Fava, in Alpa-Galletto (a cura di), Processo,<br />

arbitrato e conciliazione, cit., p. 68 s.<br />

(63) V., in proposito, i rilievi di Carratta, op. cit., p. 269.


586<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

zione (almeno quando, come nel caso di specie, consegue ad « inattività pura o<br />

strumentale » (64)) è stata impostata dal legislatore <strong>del</strong> 1940 come una sanzione,<br />

in danno di entrambe le parti, irrogata in ragione <strong>del</strong>l’omesso compimento<br />

combinato e contestuale di taluni atti di impulso espressamente previsti a loro<br />

carico (65), sì che nel nostro ordinamento non esistono, né possono trovare ingresso,<br />

casi in cui essa, pur conseguendo all’inattività di una sola parte, colpisca<br />

anche l’altra.<br />

Così stando le cose, piuttosto che procedere ad una interpretatio abrogans<br />

(e comunque difettosa) <strong>del</strong>la norma in discorso, mi sembra che sia preferibile<br />

percorrere la strada <strong>del</strong>la sua interpretazione letterale, operazione che, per<br />

quanto <strong>del</strong>icata e complessa, non mi pare affatto impossibile. Come abbiamo<br />

accennato precedentemente, la prima parte <strong>del</strong>l’art. 8, comma 4°, stabilisce<br />

espressamente ed indubitabilmente che il processo si estingue se l’istanza di<br />

fissazione <strong>del</strong>l’udienza non viene notificata entro venti giorni decorrenti dalla<br />

scadenza dei termini di cui ai commi precedenti. Poiché, però, i primi tre commi<br />

<strong>del</strong>l’art. 8 individuano numerosi termini entro i quali ciascuna parte può<br />

provvedere alla notificazione di tale istanza, il vero problema <strong>del</strong>la disposizione<br />

in esame consiste nella difficoltà di individuare un unico termine iniziale, conoscibile<br />

con certezza da tutte le parti e valido per ciascuna di esse, dal quale<br />

computare gli ulteriori venti giorni entro i quali sarà possibile sopperire all’inattività<br />

<strong>del</strong>l’altra parte ed evitare l’estinzione.<br />

Orbene, dall’esame <strong>del</strong>la dinamica prevista dall’art. 8, commi 1°, 2° e 3°,<br />

abbiamo appurato che: ciascuna parte può notificare l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza entro venti giorni dalla ricezione di uno scritto difensivo al quale<br />

non intenda replicare; se poi una parte resta inattiva e lascia scadere sia il termine<br />

per replicare, sia il termine per domandare la fissazione <strong>del</strong>l’udienza, l’altra<br />

acquisisce comunque la facoltà di notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza<br />

entro venti giorni dallo spirare <strong>del</strong> termine assegnato all’avversario per la replica.<br />

Sembra ovvio, quindi, che i venti giorni di cui discorre l’art. 8, comma 4°,<br />

non si riferiscono alla scadenza <strong>del</strong> termine a favore <strong>del</strong>la parte che abbia ricevuto<br />

la notificazione di uno scritto difensivo, atteso che, qualora rimanesse<br />

inerte, l’altra avrebbe il diritto di notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza<br />

non già in virtù <strong>del</strong> comma 4°, bensì dei commi precedenti. I commi 1°, 2° e 3°<br />

––––––––––––<br />

(64) Sulla distinzione tra le fattispecie estintive che risultano coordinate « ad un fenomeno<br />

di nullità <strong>del</strong> procedimento » e quelle che, invece, conseguono ad « inattività<br />

pura o strumentale <strong>del</strong>le parti » e servono ad assicurare al processo un ritmo minimo, v.<br />

Vaccarella, op. cit., p. 65 ss.<br />

(65) Cfr., in particolare, Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, 4 a ed.,<br />

Milano 1984, p. 203 s.; Satta-Punzi, op. cit., p. 407; Mandrioli, op. cit., II, p. 361 ss.;<br />

Monteleone, voce Estinzione, cit., p. 133; Vaccarella, op. cit., p. 85 ss.; Saletti, voce<br />

Estinzione, cit., p. 2.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 587<br />

<strong>del</strong>l’art. 8, invece, nulla prevedono per l’ipotesi in cui anche detta parte si<br />

astenga da qualsiasi attività processuale. In tal caso, salvo ammettere che il processo<br />

possa entrare in una fase di stallo per un periodo indeterminato, si applicherà<br />

quanto stabilito dall’art. 8, comma 4°. Con la conseguenza che dalla scadenza<br />

<strong>del</strong> termine concesso a quest’ultima parte per rispondere (ovvero per notificare<br />

l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, se si ritiene che tale parte non abbia<br />

facoltà di replica) decorrerà, per tutte le parti indistintamente, e dunque anche<br />

per quella che da ultima aveva omesso di compiere attività processuali, un termine<br />

di venti giorni per notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, decorso il<br />

quale il processo si estinguerà (66).<br />

Quindi, ad esempio, se il convenuto si astiene dal notificare la propria replica<br />

ex art. 7, comma 1°, e non domanda neanche la fissazione <strong>del</strong>l’udienza,<br />

l’attore può, a sua scelta: a) notificare l’istanza de qua nel termine di venti giorni<br />

dalla scadenza <strong>del</strong> termine concesso all’avversario per replicare; b) notificare<br />

un ulteriore atto difensivo alla controparte (nel termine legale decorrente dalla<br />

scadenza <strong>del</strong> termine per rispondere a questa concesso), col risultato di rimetterla<br />

in termini; c) restare inattivo, nel qual caso per entrambe le parti decorre<br />

un termine di venti giorni per notificare l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza, spirato<br />

il quale, il processo si estingue.<br />

Mi pare che al risultato raggiunto possa riconoscersi un certo grado di apprezzabilità,<br />

sia perché conseguito nella stretta osservanza <strong>del</strong> dettato normativo,<br />

sia perché efficace e coerente con i principi generali e con i meccanismi coi<br />

quali la disposizione in esame interagisce. In questo modo, infatti, per un verso,<br />

si ottiene il bilanciamento <strong>del</strong>le posizioni di tutte le parti che avranno comunque<br />

a disposizione un totale di quaranta giorni per notificare l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza, per l’altro, si assicura che l’estinzione per mancata notificazione<br />

di detta istanza sia effettivamente il risultato di una inattività combinata e contestuale<br />

di tutte le parti costituite in giudizio.<br />

A conclusione <strong>del</strong> discorso relativo all’art. 8, comma 4°, non resta che<br />

procedere a qualche osservazione a proposito <strong>del</strong>la estinzione per mancata notificazione<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza nei venti giorni successivi alla<br />

scadenza « <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong>la memoria di controreplica <strong>del</strong> convenuto<br />

di cui all’articolo 7, comma 2, ovvero dalla scadenza <strong>del</strong> termine massimo<br />

di cui all’art. 7, comma 3 ».<br />

Quanto all’anomalia <strong>del</strong> termine iniziale per la notificazione <strong>del</strong>l’istanza<br />

decorrente dal « deposito <strong>del</strong>la memoria di controreplica <strong>del</strong> convenuto », è<br />

stato detto che, molto probabilmente, siamo in presenza di un errore terminolo-<br />

––––––––––––<br />

(66) La soluzione offerta, assolutamente rispettosa <strong>del</strong>la lettera <strong>del</strong>la norma, è<br />

molto simile a quella proposta, in via interpretativa, da Briguglio, op. cit., p. 91 ss., (nel<br />

vigore <strong>del</strong> testo originario <strong>del</strong>l’art. 8) e che il legislatore, con le modifiche <strong>del</strong> dicembre<br />

2004, sembrerebbe aver sostanzialmente fatta propria.


588<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

gico <strong>del</strong> legislatore che, in realtà, intendeva riferirsi alla notificazione di tale<br />

atto (67). A prescindere da questa notazione, va evidenziato che, dopo gli<br />

emendamenti apportati dal d.lgs. n. 310 <strong>del</strong> 2004 all’art. 8, comma 1°, lett. c),<br />

comma 2°, lett. c) e comma 3°, lett. b), fatto salvo il divieto per le parti di proseguire<br />

nello scambio di ulteriori memorie alla scadenza <strong>del</strong> termine massimo<br />

di cui all’art. 7, comma 3°, entrambe le fattispecie estintive sembrerebbero essere<br />

state implicitamente abrogate (68). Prima di queste modifiche, infatti, come<br />

abbiamo visto in precedenza, il processo poteva entrare in una fase di stallo se<br />

alla notifica <strong>del</strong>la memoria di replica <strong>del</strong>l’attore o di un qualsivoglia atto successivo<br />

<strong>del</strong>lo stesso o di un’altra parte non fosse seguita la replica ovvero la notificazione<br />

<strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza. Oggi, invece, tale inconveniente<br />

è venuto meno, e con esso la ratio giustificatrice <strong>del</strong>le norme in esame,<br />

sicché la sopravvivenza di tali eccezionali ipotesi di estinzione immediata <strong>del</strong><br />

processo risulterebbe inspiegabile.<br />

Ricostruito, o almeno così si spera, il complesso sistema sotteso all’art. 8<br />

<strong>del</strong> decreto <strong>del</strong>egato, ci si deve domandare che senso abbia, nell’ambito di un<br />

congegno processuale che, si ribadisce, dovrebbe essere teso alla valorizzazione<br />

<strong>del</strong> principio dispositivo, sanzionare con l’estinzione <strong>del</strong> processo la<br />

tardiva notificazione <strong>del</strong>l’istanza con la quale si chiede che venga fissata<br />

l’udienza, e soprattutto imporre alle parti un termine massimo di durata <strong>del</strong>la<br />

fase preparatoria (69).<br />

Certo, la scelta potrebbe giustificarsi con l’esigenza, che pure aveva il legislatore<br />

in ossequio alla <strong>del</strong>ega, di ridurre i tempi processuali. Sicché egli mai<br />

avrebbe potuto prevedere, come avveniva invece nel procedimento formale di<br />

cui al c.p.c. <strong>del</strong> 1865, che lo scambio di memorie non trovasse alcun limite. Co-<br />

––––––––––––<br />

(67) In tal senso, v. Carratta, op. cit., p. 266. Nel senso che il problema sia stato<br />

risolto dalla novella <strong>del</strong> dicembre 2004 che ha integrato l’art. 17 inserendo il comma<br />

2-bis, in virtù <strong>del</strong> quale « nel processo con pluralità di parti, le comparse e le memorie<br />

devono essere notificate a tutte le parti costituite e l’atto notificato deve essere<br />

depositato in cancelleria entro dieci giorni dall’ultima notificazione », v. Ventura, op.<br />

cit., p. 208.<br />

(68) Nello stesso senso, ancorché sulla base di differenti motivazioni, v. Ronco,<br />

Nuovo rito societario, cit., p. 1244 s.; Sotgiu, op. cit., p. 175 s., nt. 7.<br />

(69) Sull’argomento, v. gli ineccepibili rilievi mossi da Balena, Prime impressioni,<br />

cit., p. 2204, il quale, in senso fortemente critico rispetto alle opzioni <strong>del</strong> legislatore <strong>del</strong>egato,<br />

ha osservato che « sarebbe stato più coerente, nella prospettiva di una complessiva<br />

“liberalizzazione” di questa fase preparatoria, concedere un termine assai più ampio per il<br />

passaggio <strong>del</strong>la causa dinanzi al giudice, ossia per la proposizione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza (…): finché la causa non impegna direttamente l’ufficio, infatti, credo<br />

si possa (ed anzi convenga) essere molto “generosi”, se non proprio indifferenti, rispetto<br />

alle eventuali tattiche “attendiste” <strong>del</strong>le parti, quali che siano le ragioni alla base <strong>del</strong>la<br />

loro inerzia ».


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 589<br />

sì stando le cose, coerenza avrebbe voluto che la tardiva richiesta <strong>del</strong>l’udienza<br />

di discussione in tutti i casi stabiliti dall’art. 8 fosse sanzionata con l’estinzione<br />

rilevabile d’ufficio. Invece, si è optato per un meccanismo sanzionatorio assai<br />

singolare che prevede il rilievo officioso <strong>del</strong>l’estinzione, ma nel solo caso, assai<br />

difficile da realizzarsi (70), in cui l’udienza si sia svolta in assenza di tutte le<br />

parti.<br />

Ne è derivato, per quel che sembra, un sistema che non soltanto denota<br />

l’abbandono di ogni ideologia e che, proprio per questo, manifesta una evidente<br />

contraddittorietà, ma opera anche in pura perdita quando non a danno <strong>del</strong>la parte<br />

che aveva interesse ad ottenere rapidamente sentenza e che invece si vede costretta<br />

a subire l’estinzione <strong>del</strong> giudizio per una mera disavventura processuale.<br />

12. – La parte che ha notificato l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza è tenuta,<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 9, comma 3°, a depositarla in cancelleria « nel termine perentorio<br />

di dieci giorni dall’ultima notificazione ». Tale disposizione, invero,<br />

non stabilisce espressamente quali conseguenze derivino dal tardivo o mancato<br />

deposito <strong>del</strong>l’istanza, sicché, nel silenzio <strong>del</strong>la legge, alcuni autori hanno sostenuto<br />

trattarsi di inattività sanzionata con l’estinzione <strong>del</strong> processo (71).<br />

Siffatta lettura, per quanto perfettamente in linea con la disciplina degli<br />

atti di impulso processuale e dei termini per procedervi (72), se fosse accolta<br />

esporrebbe la norma a fondatissimi dubbi di legittimità costituzionale per<br />

violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., atteso che consentirebbe alla parte disinteressata<br />

alla prosecuzione <strong>del</strong> processo di paralizzare <strong>del</strong>iberatamente e<br />

liberamente l’iniziativa <strong>del</strong>l’altra. Per fare un esempio, il convenuto, ricevuta<br />

la citazione, dopo essersi costituito in giudizio potrebbe, a norma <strong>del</strong>l’art. 8,<br />

comma 2°, lett. c), notificare l’istanza e non depositarla in termini, in modo da<br />

determinare l’estinzione <strong>del</strong> processo, senza che l’attore possa far nulla per<br />

impedirlo.<br />

È <strong>del</strong> tutto evidente che questo risultato è inaccettabile e che quindi è necessario<br />

individuare un espediente per salvare il processo dall’estinzione (e la<br />

norma dalla incostituzionalità).<br />

Una soluzione ragionevole al problema potrebbe essere quella di ritenere<br />

––––––––––––<br />

(70) V., infatti, le osservazioni di Trisorio Liuzzi, op. cit., § 9.5.<br />

(71) In tal senso, v. Monteleone, Il processo nelle controversie societarie, cit., p. 20<br />

s.; Tiscini, op. cit., p. 103 s.; Picaroni, op. cit., p. 113 s.; Riva Crugnola, Le attività <strong>del</strong><br />

giudice nel nuovo « processo societario » di cognizione di primo grado: fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza, istruzione, fase decisoria, in Società 2003, p. 785. In giurisprudenza, v.,<br />

nello stesso senso, Trib. Lucca 18 ottobre 2004, in www.judicium.it.<br />

(72) In ordine alla quale si rinvia a Balbi, op. cit., pp. 12 ss., 31 ss., 253 ss.;<br />

Vaccarella, op. cit., p. 157 ss.; Saletti, La riassunzione nel processo civile, Milano<br />

1981, p. 349 ss.


590<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

che il mancato rispetto <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong>l’istanza di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza comporti, per la parte che ha notificato l’istanza, la decadenza<br />

dalla facoltà di domandare l’udienza (73) e, per quelle che hanno ricevuto la<br />

notificazione, la possibilità di surrogarsi alla parte inattiva e di chiedere, nel<br />

termine di deposito <strong>del</strong>le note di cui all’art. 10, la pronuncia <strong>del</strong> decreto di fissazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza (74).<br />

La proposta ha il pregio non soltanto di preservare i diritti di tutte le parti e<br />

di restituire coerenza all’impianto processuale, ma anche di essere in linea con i<br />

principi generali, vuoi perché la perentorietà di un termine implica la mera decadenza<br />

dall’esercizio <strong>del</strong> potere cui quel termine è collegato e non certo, di regola,<br />

la decadenza dall’esercizio di ogni potere processuale che deriverebbe<br />

dall’estinzione (75); vuoi perché tale sanzione, che non è neanche espressamente<br />

prevista per il caso di specie, si rivelerebbe obiettivamente eccessiva a<br />

fronte <strong>del</strong>la violazione <strong>del</strong>la legge processuale; vuoi, infine, perché, diversamente<br />

opinando, « si finirebbe per concedere ad una parte, non interessata alla<br />

definizione <strong>del</strong> giudizio, un’arma troppo forte » (76).<br />

––––––––––––<br />

(73) In tal senso, v. Trisorio Liuzzi, op. cit., § 9.8; Arieta-De Santis, op. cit., p. 220<br />

s.; Sotgiu, op. cit., p. 184. In giurisprudenza, v. Trib. Santa Maria Capua Vetere 29 novembre<br />

2005, in www.judicium.it.<br />

(74) In tal senso, v. Trisorio Liuzzi, op. cit., § 9.8; Arieta-De Santis, op. cit., p. 221;<br />

M. Fabiani, Le attività <strong>del</strong> giudice, cit., § 6.2; Id., La partecipazione <strong>del</strong> giudice, cit.,<br />

pp. 170 e 198; Poliseno, op. cit., p. 263. Se poi nessuna parte provveda al deposito, sembrerebbe<br />

doversi ritenere che, utilizzando la valvola di sicurezza <strong>del</strong> sistema offerta<br />

dall’art. 13, comma 5°, « le parti diverse dall’istante dovrebbero essere messe in condizione<br />

di esercitare gli stessi poteri processuali che avrebbero potuto esercitare nel momento<br />

in cui hanno ricevuto la notificazione <strong>del</strong>l’istanza di fissazione <strong>del</strong>l’udienza (poi<br />

non depositata), senza che nei loro confronti assuma rilevanza il maturare di eventuali,<br />

successive preclusioni » (così Carratta, op. cit., p. 280 s.). Per Ziino, op. cit., § 10.1, invece,<br />

« nel caso di mancato deposito <strong>del</strong>l’istanza deve inoltre ritenersi che il potere di<br />

chiedere la fissazione di udienza non si sia consumato: ne deriva che la parte conserva la<br />

facoltà di notificare una nuova istanza di fissazione di udienza ». Secondo Ventura, op.<br />

cit., p. 215, in caso di omesso deposito <strong>del</strong>l’istanza, la controparte potrebbe scegliere se<br />

proseguire la trattazione scritta oppure « porvi fine proponendo a sua volta l’istanza di<br />

fissazione <strong>del</strong>l’udienza ». Si segnala, altresì, la posizione di Sotgiu, op. cit., p. 184, il<br />

quale osserva che in mancanza di deposito, anche tardivo, <strong>del</strong>l’istanza, « il processo può<br />

essere in ogni tempo proseguito attraverso la notificazione ed il successivo deposito di<br />

una nuova istanza di fissazione di udienza ».<br />

(75) Nel senso che la « decadenza », che si riferisce alla perdita <strong>del</strong> potere di compiere<br />

una certa attività per non averla eseguita nel termine previsto, assomiglia alla perenzione<br />

ma non va confusa con essa perché la prima riguarda un atto ancora da compiere,<br />

la seconda un atto già compiuto, v. Carnelutti, Sistema <strong>del</strong> diritto processuale civile,<br />

II, Padova 1938, p. 491.<br />

(76) Così Trisorio Liuzzi, op. cit., § 9.8.


L’ESTINZIONE DEL PROCESSO SOCIETARIO 591<br />

E ciò a tacere <strong>del</strong> fatto che optare per l’estinzione <strong>del</strong> processo significherebbe<br />

accentuare l’autoritarismo di un rito che, invece, come si è già detto in<br />

precedenza, si propone « una complessiva “liberalizzazione” di questa fase preparatoria<br />

» (77).<br />

13. – Giunti alla fine <strong>del</strong>la nostra indagine con la quale si è tentato di gettare<br />

un po’ di luce sulla oscura, lacunosa e controversa disciplina <strong>del</strong>l’estinzione<br />

dettata per il processo societario, possiamo trarre alcune conclusioni.<br />

Ferma la bontà e apprezzabilità <strong>del</strong>l’impostazione <strong>del</strong>la fase introduttiva<br />

<strong>del</strong> nuovo rito, non può certamente dirsi che sia stata realizzata, neanche in<br />

parte, la valorizzazione <strong>del</strong> principio dispositivo, che pure rappresentava uno<br />

dei punti nodali <strong>del</strong>la riforma. Viceversa, è stato senza dubbio alcuno raggiunto<br />

il traguardo <strong>del</strong>la « riduzione dei termini (rectius: tempi) processuali » (78) che<br />

è stato attuato attraverso una sorta di « contingentamento <strong>del</strong>la durata <strong>del</strong>la fase<br />

preliminare » (79).<br />

La verità è che il legislatore <strong>del</strong>egato sembrerebbe essersi preoccupato più<br />

di arginare il principio dispositivo che di valorizzarlo. Egli, piuttosto che portare<br />

sino in fondo la scelta di adottare un mo<strong>del</strong>lo processuale fondato sulla autoresponsabilità<br />

<strong>del</strong>le parti e recidere coraggiosamente ogni legame con la recente<br />

tradizione, ha commesso l’errore di inserire in un mo<strong>del</strong>lo processuale liberale e<br />

garantista, quale quello <strong>del</strong> procedimento formale <strong>del</strong> 1865, istituti e metodi<br />

propri <strong>del</strong> processo autoritario <strong>del</strong> 1940. Ne è risultato un rito fondato sul compromesso<br />

tra due ideologie agli antipodi e che, quindi, anziché avere due anime<br />

non ne ha neanche una: si evita che si incorra nella mors litis se nessuna <strong>del</strong>le<br />

parti si costituisce, ma poi si fa estinguere il processo se l’attore si sia costituito<br />

tardivamente e il convenuto tempestivamente; si dà alle parti la facoltà di regolare<br />

al di fuori <strong>del</strong>l’udienza uno scambio di memorie da attuarsi entro termini<br />

minimi, ma poi si limita la durata di questo scambio sanzionando il superamento<br />

dei limiti temporali con l’estinzione che, però, non può essere rilevata<br />

d’ufficio se non in casi eccezionali.<br />

In conclusione, è forse stata persa una buona occasione per restituire, dopo<br />

sessant’anni, il processo civile nelle mani <strong>del</strong>le parti. L’auspicio è che il legislatore,<br />

in un prossimo futuro, avendo verificato, anche alla luce <strong>del</strong>l’esperienza<br />

applicativa <strong>del</strong> nuovo rito, che lasciare spazio alle parti (rectius: ai loro patroni)<br />

non significa affatto ridimensionare il ruolo dei giudici né abbandonare il processo<br />

a se stesso o peggio farlo diventare il « comodino degli avvocati », cor-<br />

––––––––––––<br />

(77) Così Balena, Prime impressioni, cit., p. 2204.<br />

(78) Così la Relazione al d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003, cit., parafrasando l’art. 12, comma 2°,<br />

lett. a), legge 3 ottobre 2001, n. 366, recante la « Delega al Governo per la riforma <strong>del</strong><br />

diritto societario ».<br />

(79) Così sempre la Relazione al d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003, cit.


592<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

regga il tiro e operi finalmente una scelta in senso liberale, valorizzando davvero<br />

il principio dispositivo nel processo societario e lasciando che siano le parti a<br />

preoccuparsi di regolare la velocità <strong>del</strong> procedimento. E questo, anche e soprattutto<br />

in vista <strong>del</strong>la prossima riforma <strong>del</strong> processo civile <strong>del</strong>la quale il rito<br />

societario rappresenta un’anticipazione settoriale (80).<br />

MARIO PIO FUIANO<br />

Ricercatore nell’Università<br />

degli Studi di Foggia<br />

––––––––––––<br />

(80) V., infatti, il Comunicato <strong>del</strong> Consiglio dei Ministri n. 88 <strong>del</strong> 10 gennaio 2003,<br />

cit. Sul punto, si rinvia soprattutto alle riflessioni di Balena, Prime impressioni, cit.,<br />

p. 2203; Trisorio Liuzzi, op. cit., § 1; Consolo, Le prefigurabili inanità, cit., passim; Id.,<br />

Esercizi imminenti, cit., p. 1541 ss.; Carratta, Rito speciale per le società, in arrivo<br />

l’inedito « processo senza giudice », in Dir. giust. 2003, p. 19. V., altresì, M. Fabiani, La<br />

partecipazione <strong>del</strong> giudice, cit., p. 153, il quale parla <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> rito societario come<br />

di « un antipasto (peraltro molto succulento – o molto indigesto a seconda <strong>del</strong>l’approccio<br />

– viste le dimensioni <strong>del</strong>l’intervento) <strong>del</strong>la riforma più generale <strong>del</strong> codice di<br />

procedura civile ».


LA NOMINA DEL DIFENSORE<br />

NEL PROCESSO CIVILE<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nomina <strong>del</strong> difensore nel c.p.c. <strong>del</strong> 1865: il<br />

mandato in forma autentica. – 3. La proposta di Mortara e la riforma <strong>del</strong><br />

1923: il mandato in calce certificato dal difensore. – 4. L’art. 83 c.p.c. e<br />

la riforma <strong>del</strong> 1997: la procura a margine, le procure speciali “generiche”<br />

e quelle su foglio autonomo. – 5. La certificazione <strong>del</strong> difensore. Prime<br />

conclusioni. – 6. Il « problema » <strong>del</strong>l’invalidità <strong>del</strong>la procura. Conclusioni.<br />

– 7. Obiezioni, conferme e prospettive.<br />

1. – Nel processo civile la parte, di regola, non può stare in giudizio di persona,<br />

ma deve avvalersi <strong>del</strong>l’intermediazione di un difensore, ch’essa deve designare<br />

con un atto che nel nostro ordinamento si chiama « procura alle liti »<br />

(art. 83 c.p.c.). Tuttavia, siffatta procura non può essere posta sullo stesso piano<br />

di quella disciplinata nel diritto sostanziale (art. 1392 c.c.), in quanto essa rappresenta<br />

in realtà una semplice nomina (1), atteso che, come emerge chiaramente<br />

dall’art. 84 c.p.c., il difensore, una volta designato, deriva i propri poteri<br />

dalla legge e non dalla volontà <strong>del</strong>la parte (2).<br />

La « procura alle liti », quindi, al pari <strong>del</strong>la « nomina » <strong>del</strong> difensore<br />

<strong>del</strong>l’imputato prevista nel processo penale (art. 96 c.p.p.), non dovrebbe creare<br />

––––––––––––<br />

(1) Così Cipriani, Procura su foglio separato o procura presunta?, in Foro it.<br />

1997, I, c. 3158, che ha dedicato al problema <strong>del</strong>la procura numerosi saggi poi raccolti<br />

in Avvocatura e diritto alla difesa, Napoli 1999, p. 125 e ss. Nello stesso senso<br />

v. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3 a ed., Napoli rist. 1965, p. 606;<br />

Carnelutti, Istituzioni <strong>del</strong> processo civile italiano, I, 5 a ed., Roma 1956, p. 110; Pavanini,<br />

Note sulla figura giuridica <strong>del</strong> difensore, in Riv. trim. dir e proc. civ. 1957, p.<br />

256; Punzi, Note sul ministero <strong>del</strong> difensore nel processo civile, in Studi in onore di<br />

Segni, IV, Milano 1967, p. 174; Mandrioli, Delle parti e dei difensori, in Commentario<br />

<strong>del</strong> codice di procedura civile, diretto da Allorio, I, 2, Torino 1973, p. 934; Consolo,<br />

Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Profili generali, Padova 2004,<br />

p. 281; Comoglio, Procura (dir. proc. civ.), voce <strong>del</strong>l’Enc. dir., Aggiornamento, IV,<br />

Milano 2000, p. 1056; Murra, Parti e difensori, voce <strong>del</strong> Digesto civ., XIII, Torino<br />

1995, p. 275.<br />

(2) In tal senso, per tutti, Monteleone, Diritto processuale civile, 3 a ed., Padova<br />

2002, p. 160.


594<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

particolari problemi interpretativi e/o applicativi (3). Viceversa, le questioni generate<br />

nel processo civile dalla procura sono tantissime (4) e danno spesso vita<br />

a decisioni in contrasto fra loro, giacché la giurisprudenza si dibatte da sempre<br />

tra interpretazioni assai fiscali e interpretazioni assai meno rigorose. Il che<br />

comporta l’effetto di alimentare, e non certo di scoraggiare, le eccezioni attinenti<br />

alla procura, visto che, alla luce <strong>del</strong>l’ambiguo atteggiamento <strong>del</strong>la giurisprudenza,<br />

si può sempre confidare ch’esse siano accolte: infatti, come tutti<br />

sanno e come è stato autorevolmente osservato, le contestazioni sulla procura<br />

non provengono mai dalla parte presunta falsamente rappresentata, bensì dalla<br />

controparte (5).<br />

In questa situazione, appare opportuno cercare di appurare le ragioni per le<br />

quali il regime <strong>del</strong> conferimento <strong>del</strong>l’incarico difensivo nel processo civile sia<br />

diuturna fonte di problemi, sì da capire quel che bisogna fare per uscire dall’impasse.<br />

2. – A tal fine, converrà ricordare che all’indomani <strong>del</strong>l’Unità, il<br />

Guardasigilli Pisanelli, nella Relazione sul progetto di codice di procedura<br />

civile, dopo essersi domandato se il procuratore che si presenta in giudizio<br />

a nome di una <strong>del</strong>le parti dovesse essere munito o no di mandato espresso,<br />

respinse « la teoria <strong>del</strong> semplice mandato presunto » di tradizione franconapoletana<br />

e, sia « a tutela <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>la parte contraria », sia per<br />

« escludere l’ibrido sistema <strong>del</strong>la disapprovazione », propose che fosse<br />

adottato il sistema <strong>del</strong> mandato scritto (6). Il legislatore, però, non si contentò<br />

<strong>del</strong> mandato meramente scritto, ma dispose che l’incarico difensivo<br />

dovesse essere conferito con atto in forma autentica oppure con scrittura<br />

privata autenticata (art. 48 c.p.c. 1865), cioè a dire con un documento assistito<br />

da pubblica fede (artt. 1315 ss. c.c. 1865) e impugnabile solo con querela<br />

di falso, pretendendo così una duplice garanzia, e cioè che fossero assicurati<br />

da un pubblico ufficiale tanto la provenienza, quanto l’oggetto<br />

<strong>del</strong>l’incarico difensivo.<br />

––––––––––––<br />

(3) Sulle poche questioni sollevate dalla disciplina <strong>del</strong>la nomina <strong>del</strong> difensore nel<br />

processo penale, v. Bronzo, in Lattanzi - Lupo, Rassegna di giurisprudenza e di dottrina<br />

sul c.p.p., a cura di Aprile, Bronzo, Cantone, Cesqui, Ciani, I, 2, Milano 2003,<br />

p. 1088 e ss.<br />

(4) Digitando la locuzione « procura alle liti » sulla banca dati di giurisprudenza de<br />

Il Foro Italiano, per gli anni 1981-2004 vengono selezionati più di 1600 documenti attinenti<br />

alle pronunce <strong>del</strong>la sola Corte di cassazione!<br />

(5) Così Balena, Sulle conseguenze <strong>del</strong> difetto di procura “ad litem”, in Foro it.<br />

1987, I, c. 562; Cipriani - Costantino - Proto Pisani - Verde, L’infinita historia <strong>del</strong>la procura<br />

speciale, ivi 1995, I, c. 3443.<br />

(6) Pisanelli, Relazione sul progetto <strong>del</strong> c.p.c., § 151, in Codice di procedura civile<br />

<strong>del</strong> Regno d’Italia, 1865, a cura di Picardi e Giuliani, Milano 2004, p. 74.


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 595<br />

Il rilascio <strong>del</strong> mandato al difensore impose così alle parti il rispetto di un<br />

« cumulo di formalità, non brevi e dispendiose » (7), costringendole, persino nei<br />

giudizi innanzi ai conciliatori, ad avvalersi di un notaio o di altro pubblico ufficiale<br />

per designare il proprio difensore. Il che, come la dottrina non mancò di<br />

rilevare, aggravava non solo gli esborsi, ma anche le difficoltà <strong>del</strong>le quali le<br />

parti dovevano farsi carico, in quanto un secolo e mezzo fa non erano pochi<br />

coloro che dimoravano in luoghi in cui non risiedeva alcun notaio (8).<br />

Peraltro, il sistema voluto dal legislatore <strong>del</strong> 1865, lungi dal rappresentare la<br />

panacea per parti e controparti, nella realtà applicativa diede luogo a non pochi e<br />

non semplici problemi: si discusse, per esempio, sulle formalità da rispettare per il<br />

rilascio <strong>del</strong> mandato, sulla necessità che fosse indicata la data <strong>del</strong> rilascio, sulla<br />

necessità <strong>del</strong>la legalizzazione, sulla possibilità che il mandato fosse conferito<br />

all’estero, sui modi di conferimento in caso di ammissione al gratuito patrocinio,<br />

sulla validità <strong>del</strong> mandato privo d’indicazione <strong>del</strong> nome <strong>del</strong>l’avvocato, sulla rilevabilità<br />

d’ufficio dei vizi attinenti al mandato, sulla sanabilità di detti vizi (9).<br />

È perciò evidente che l’art. 48 c.p.c., sebbene fosse stato ispirato all’esigenza<br />

di evitare ogni possibile arbitraria iniziativa degli avvocati, nella realtà<br />

applicativa si rivelò da subito un’arma nelle mani di ognuna <strong>del</strong>le parti per ostacolare<br />

il diritto di azione e di difesa <strong>del</strong>le controparti.<br />

3. – Così stando le cose, il sistema non poteva durare e difatti non durò.<br />

Lodovico Mortara, prendendo spunto dalla l. 17 agosto 1895, n. 193, che aveva<br />

consentito che per le cause di competenza <strong>del</strong> conciliatore il mandato potesse<br />

essere apposto in calce all’originale o alla copia <strong>del</strong>l’atto di citazione<br />

(senza autenticazione alcuna), propose che si adottasse la stessa soluzione per<br />

gli altri giudizi. In particolare, Mortara sostenne essere « equa e ragionevole<br />

l’abolizione <strong>del</strong>la severa regola <strong>del</strong>l’art. 48, consentendo in tutti i casi che la<br />

sottoscrizione <strong>del</strong> cliente nel mandato alle liti possa essere certificata dal procuratore<br />

medesimo costituito con quell’atto; e riservando tutt’al più al magistrato,<br />

nell’evento di dubbio od impugnazione, la facoltà <strong>del</strong>la verificazione<br />

come nel regolamento processuale austriaco »; verificazione consistente in<br />

una « dichiarazione di conferma fatta in giudizio dal mandatario (che sia avvocato<br />

o notaio conosciuto dal magistrato) sotto la fede <strong>del</strong> giuramento professionale<br />

» (10).<br />

––––––––––––<br />

(7) Così Mortara, Commentario <strong>del</strong> codice e <strong>del</strong>le leggi di procedura civile, II, 4 a<br />

ed., Milano 1923, p. 756.<br />

(8) In tal senso, v. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, II, 5 a ed.,<br />

Torino 1902, p. 527.<br />

(9) Sulle questioni sollevate dall’art. 48, v. Prima raccolta completa <strong>del</strong>la giurisprudenza<br />

sul codice di procedura civile, I, Milano 1914, pp. 610-630.<br />

(10) Così Mortara, sin dalla prima edizione <strong>del</strong> Commentario, II (Milano 1902),<br />

p. 754 e ss., spec. p. 756 e nota 1.


596<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

La proposta fu accolta con l’art. 41 <strong>del</strong> R.D. 26 ottobre 1923, n. 2275, che<br />

previde che il mandato potesse essere « scritto in fine <strong>del</strong>l’originale o <strong>del</strong>la copia<br />

<strong>del</strong>l’atto di citazione per tutte le cause e per tutte le sedi, ordinarie e straordinarie<br />

», disponendo che in tal caso la sottoscrizione fosse "certificata" autografa<br />

dal procuratore.<br />

Le riforme <strong>del</strong> 1895 e, soprattutto, <strong>del</strong> 1923 modificarono completamente<br />

il sistema voluto dal c.p.c. <strong>del</strong> 1865. Infatti, mentre quel sistema, nella misura in<br />

cui pretendeva il mandato in forma autentica, era ispirato ad una grande diffidenza<br />

nei confronti dei difensori, la riforma <strong>del</strong> 1923 stava a dimostrare che<br />

ormai il legislatore aveva capito che non vi era motivo di non avere fiducia nel<br />

difensore che agisce per la parte nel processo.<br />

Sta di fatto, però, che l’art. 41 <strong>del</strong> R.D. 2275/1923 non riuscì a sdrammatizzare<br />

definitivamente il problema, dal momento che non solo non risolse tutti i<br />

problemi che si agitavano in precedenza, ma ne creò di nuovi (11). Per di più, la<br />

giurisprudenza diede subito per scontato che la certificazione <strong>del</strong> difensore fosse<br />

solo un sostituto <strong>del</strong>l’autenticazione notarile, come tale idonea, al pari di<br />

quest’ultima, a conferire pubblica fede alla sottoscrizione, deducendone che,<br />

per contestare l’autografia <strong>del</strong>la sottoscrizione <strong>del</strong> mandato certificata dal difensore,<br />

fosse sempre necessaria la querela di falso (12).<br />

4. – Si arrivò così al c.p.c. <strong>del</strong> 1940, che, in relazione al conferimento<br />

<strong>del</strong>l’incarico difensivo all’avvocato, nell’art. 83, dopo aver stabilito che « quando<br />

la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere mu-<br />

––––––––––––<br />

(11) Per esempio, ci si chiese se la mancata certificazione <strong>del</strong> difensore determinasse<br />

la nullità <strong>del</strong> mandato (in senso affermativo, v. App. Bari, 29 marzo 1926, in Foro<br />

it. Rep. 1926, voce Procedimento in materia civile, n. 28; in senso negativo, v.<br />

Cass., 19 giugno 1928, n. 2810, ibid. 1928, voce cit., n. 56), se il procuratore potesse<br />

certificare i mandati rilasciati all’estero (in senso affermativo, v. Cass., 6 luglio 1931,<br />

ivi 1931, I, c. 1063; in senso negativo, v. App. Ancona, 20 aprile 1932, ivi Rep. 1932,<br />

voce Procedimento in materia civile, n. 68), se il mandato potesse essere steso su foglio<br />

autonomo rispetto all’atto de quo agitur (in senso affermativo, v. App. Milano, 31<br />

maggio 1940, ibid. 1940, voce cit., n. 117; in senso negativo, v. Cass., 27 aprile 1927,<br />

n. 1477, ibid. 1927, n. 27), se il mandato potesse essere rilasciato in calce ad atti diversi<br />

da quelli indicati dalla legge (in senso affermativo, v. App. Bologna, 25 settembre<br />

1927, ibid. 1928, voce cit., n. 48; in senso negativo, v. App. Torino, 16 gennaio 1932,<br />

ibid. 1932, voce cit., n. 67) e se la violazione <strong>del</strong>l’imposta di bollo determinasse la<br />

nullità <strong>del</strong> mandato (in senso negativo, v. Cass., 23 maggio 1935, in Giur. it. 1935, I, 1,<br />

c. 834; in senso positivo, v. App. Bari, 18 dicembre 1933, in Foro it. Rep. 1934, voce<br />

Procedimento in materia civile, n. 93).<br />

(12) In tal senso v. Cass., 25 luglio 1932, in Foro it. Rep. 1932, voce Cassazione<br />

civile, n. 184; Cass., 2 agosto 1935, n. 3173, ibid. 1935, voce cit., n. 238; Cass., 5 gennaio<br />

1938, ibid. 1938, voce cit., n. 179; Cass., 19 gennaio 1940, n. 242, ibid. 1940, voce<br />

cit., n. 145.


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 597<br />

nito di procura » e dopo aver precisato che « la procura può essere generale o<br />

speciale e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata<br />

», previde che « la procura speciale può essere anche apposta in calce o a<br />

margine <strong>del</strong>la citazione, <strong>del</strong> ricorso, <strong>del</strong> controricorso, <strong>del</strong>la comparsa di risposta<br />

o d’intervento, <strong>del</strong> precetto o <strong>del</strong>la domanda di intervento nell’esecuzione »,<br />

nel qual caso « l’autografia <strong>del</strong>la sottoscrizione <strong>del</strong>la parte deve essere certificata<br />

dal difensore ».<br />

Dunque, i conditores non fecero altro che trasfondere nel codice la disciplina<br />

contenuta nell’art. 48 <strong>del</strong> vecchio c.p.c. e nell’art. 41 <strong>del</strong> R.D.<br />

n. 2275/1923, ancorché con tre “piccole”, ma importanti innovazioni: innanzi<br />

tutto, il « mandato » non si chiamò più così, bensì « procura »; di poi il novero<br />

degli atti processuali sui quali la « procura » poteva essere rilasciata fu notevolmente<br />

ampliato; infine, si consentì che la « procura » fosse rilasciata anche a<br />

margine di tali atti.<br />

Quanto alla prima innovazione, è difficile dire perché il legislatore <strong>del</strong><br />

1940 denominò « procura » e non più « mandato » l’atto con il quale la parte<br />

conferisce l’incarico difensivo all’avvocato (13). Certo è pero che, mentre nel<br />

1865 discorrere di « mandato » poteva pure avere un senso, visto ch’esso, dovendo<br />

essere rilasciato davanti a un notaio, doveva pur indicare gli estremi <strong>del</strong>la<br />

causa per la quale veniva rilasciato, nel 1940 definire « procura » l’atto disciplinato<br />

nell’art. 83 c.p.c. non aveva alcuna ragion d’essere, atteso che il conferimento<br />

<strong>del</strong>l’incarico difensivo, potendo essere rilasciato in calce o in margine<br />

agli atti processuali, si risolveva ben più chiaramente di prima in una semplice<br />

nomina.<br />

Per quel che riguarda poi la seconda innovazione, occorre osservare che,<br />

mentre la dottrina è sempre stata <strong>del</strong>l’avviso che l’elencazione di cui all’art. 83<br />

c.p.c. abbia natura esemplificativa (14), la giurisprudenza, dopo aver a lungo<br />

escluso siffatta natura, è ormai da tempo pervenuta a ben diverse conclusioni,<br />

atteso che, pur talvolta affermando, almeno in linea di principio, il carattere tassativo<br />

<strong>del</strong>l’elencazione (15), in concreto finisce invariabilmente per ammettere<br />

la validità <strong>del</strong>le procure rilasciate su atti diversi da quelli indicati nell’art. 83,<br />

––––––––––––<br />

(13) In proposito, v. Carnelutti, Istituzioni, cit., I, p. 110 secondo cui il nome<br />

« deriva certamente dall’opinione che il difensore attivo sia un rappresentante » e che<br />

« con maggior precisione la legge abrogata usava la voce mandato ».<br />

(14) Per tutti v. Mandrioli, Delle parti e dei difensori, cit., p. 937; Satta-Punzi, Diritto<br />

processuale civile, 13 a ed., Padova 2000, p. 136, nota 38; Cipriani, La procura su<br />

foglio autonomo tra la certificazione e gli spilli <strong>del</strong> difensore, in Foro it. 1995, I, c. 545;<br />

Balena, Elementi di diritto processuale civile, I, 3 a ed., Bari 2006, p. 190.<br />

(15) V., in motivazione, Cass., sez. un., 22 novembre 1994, in Foro it. 1995, I, c.<br />

540; Cass., 25 marzo 1988, n. 2565, ivi Rep. 1988, voce Procedimento civile, n. 55.


598<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

quali, per esempio, la copia notificata <strong>del</strong>la sentenza (16), la comparsa conclusionale<br />

(17), la copia <strong>del</strong> ricorso <strong>del</strong> decreto ingiuntivo notificato (18) e persino<br />

un mero « foglio » allegato al verbale d’udienza (19) oppure depositato in cancelleria<br />

(20).<br />

Ma fra le novità introdotte dal legislatore 1940 quella che più di tutte modificò<br />

il sistema precedente fu sicuramente la possibilità di rilasciare la procura<br />

anche in margine agli atti <strong>del</strong> processo. Tale previsione intese « risolvere in senso<br />

affermativo, una volta per sempre, la disputa agitatasi in pratica, se, essendo<br />

esaurito il numero di righe orizzontali, sia lecito stilare la procura al di fuori<br />

<strong>del</strong>le righe verticali » (21), eventualità in linea di principio vietata, atteso che la<br />

legge sul bollo non permetteva di scrivere al di là dei margini <strong>del</strong> foglio. Tuttavia,<br />

il legislatore « nel porre la procura a margine sullo stesso identico piano di<br />

quella in calce, non ebbe cura di precisare che bisognava apporla accanto alla<br />

fine <strong>del</strong>l’atto » (22), con la conseguenza che, come si può ben capire dalla giurisprudenza<br />

edita, gli avvocati non tardarono ad avvertire che potevano farsi<br />

rilasciare la « procura » anche a margine <strong>del</strong>la prima pagina <strong>del</strong> foglio; che potevano<br />

stampigliarla con appositi timbri, formulandola in termini tali da poter<br />

essere utilizzata in ogni giudizio e dunque senza alcuno specifico riferimento al<br />

processo nel quale doveva essere utilizzata; che potevano addirittura farsela rilasciare<br />

non solo prima <strong>del</strong>la redazione <strong>del</strong>l’atto, ma persino prima <strong>del</strong>la stesura<br />

<strong>del</strong>la stessa « procura » (23).<br />

––––––––––––<br />

(16) Cass., 27 giugno 2003, n. 10251, in Foro it. Rep. 2003, voce Procedimento civile,<br />

n. 112; Cass., 9 novembre 2001, n. 13871, ibid. 2001, voce Cassazione civile,<br />

n. 197.<br />

(17) Cass., 8 marzo 1995, n. 2697, in Foro it. Rep. 1995, voce Procedimento civile,<br />

n. 122.<br />

(18) Cass., 15 febbraio 1985, n. 1309, in Foro it. Rep. 1985, voce Ingiunzione (procedimento),<br />

n. 36.<br />

(19) Cass., 25 marzo 1988, n. 2565, in Foro it. Rep. 1988, voce Procedimento civile,<br />

n. 55.<br />

(20) Cass., 20 marzo 1999, n. 2618, in Foro it. 2000, I, c. 1277.<br />

(21) Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, 3 a ed., Napoli 1954, p.<br />

238.<br />

(22) Così Cipriani, La procura su foglio autonomo, cit., c. 541.<br />

(23) V., per es., Cass., 9 ottobre 1959, n. 2744, in Giust. civ. 1959, I, p. 1857, che<br />

dichiarò la legittimità <strong>del</strong>la procura rilasciata sul margine superiore <strong>del</strong> foglio su cui era<br />

scritto l’atto; Cass., 7 marzo 1955, n. 664, ivi 1955, I, p. 1119, Cass., 29 luglio 1955,<br />

n. 2456, in Giur. it. 1956, I, 1, c. 220 e Cass., 13 luglio 1961, n. 1681, in Foro it. 1963, I,<br />

1, c. 683, che affermarono la validità <strong>del</strong>la procura apposta entro lo spazio riservato al<br />

contesto <strong>del</strong>l’atto e anche prima di esso; Cass., 10 maggio 1961, n. 1105, ivi Rep. 1961,<br />

voce Cassazione civile, n. 121, che escluse la nullità <strong>del</strong>la procura conferita mediante<br />

formula stampigliata; Cass., 17 maggio 1955, n. 1483, in Riv. dir. proc. 1956, II, p. 175,<br />

con nota di Carnelutti, Procura in bianco al difensore, e in Giur. it. 1956, I, 1, c. 433, con


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 599<br />

Questa realtà, come ormai da tempo tutti sanno, non incontrò ostacoli<br />

nella giurisprudenza, che infatti elaborò la teoria <strong>del</strong> c.d. corpo unico, secondo<br />

la quale la procura a margine, al pari di quella in calce (24), anche se è<br />

formulata in termini generici e se non contiene alcun espresso riferimento al<br />

giudizio di cui si tratta, costituisce un corpo unico e inscindibile con l’atto<br />

cui accede e perciò, riferendosi necessariamente a questo, soddisfa il requisito<br />

<strong>del</strong>la specialità (25). Non è perciò un caso se, come è stato rilevato in<br />

dottrina, gli avvocati hanno « gli archivi zeppi di fogli firmati a margine » e<br />

pronti per essere utilizzati, nonché che « è assolutamente normale che una<br />

firma o una procura (generica) a margine, rilasciata ma non utilizzata per un<br />

certo processo, sia utilizzata, col consenso <strong>del</strong> mandante, per tutt’altro processo<br />

» (26).<br />

Col c.p.c. <strong>del</strong> 1940, dunque, nacquero e si affermarono le procure speciali<br />

che un’autorevole studioso, alla luce <strong>del</strong>la piega che hanno preso le cose, ha<br />

assai efficacemente definito « speciali-generiche », che a tutta prima « sembrano<br />

una contraddizione in termini e invece sono l’ovvia e inevitabile conseguenza<br />

non solo <strong>del</strong>la possibilità di rilasciare la c.d. procura speciale in margine o in<br />

calce agli atti processuali, ma anche <strong>del</strong>la innegabile inutilità di ogni ulteriore<br />

precisazione » (27).<br />

Se ne può dedurre che il legislatore <strong>del</strong> 1940, attribuendo in buona sostanza<br />

al difensore il compito di assicurare l’esistenza <strong>del</strong>l’incarico difensivo<br />

per il processo de quo agitur, mostrò di fidarsi appieno degli avvocati, ma la<br />

giurisprudenza non ne trasse le debite conseguenze, meno che mai riconoscendo<br />

che, per nominare il difensore, non fosse essenziale la forma scritta,<br />

che pur non è richiesta a pena di nullità dall’art. 83 e non sembra affatto ne-<br />

––––––––––––<br />

nota di Lo Cigno, In tema di nullità <strong>del</strong>la procura ad litem: omesso completamento <strong>del</strong><br />

mandato in bianco, che ritenne non necessario che la volontà <strong>del</strong>la parte di conferire<br />

l’incarico difensivo fosse trasfusa in una rigorosa formula sacramentale; Cass., 27 giugno<br />

1956, n. 2312, in Foro it. Rep. 1956, voce Procedimento in materia civile, n. 192, e<br />

Cass., 15 giugno 1968, n. 1936, in Giust. civ. 1969, I, p. 486, che sostennero la validità<br />

quale procura <strong>del</strong>la sola firma <strong>del</strong>la parte.<br />

(24) In proposito, è appena il caso di dire che, prima <strong>del</strong>l’avvento dei computer,<br />

l’essere la procura stesa in calce alla citazione lasciava ragionevolmente presumere che<br />

essa fosse stata effettivamente conferita proprio per il processo nel quale veniva utilizzata.<br />

(25) Tale teoria, che fu espressa già da Cass., 10 maggio 1961, n. 1105, in Foro it.<br />

Rep. 1961, voce Cassazione civile, n. 121, è tutt’oggi assolutamente pacifica: ex plurimis,<br />

v. Cass., 7 settembre 2004, n. 18006, ibid. 2004, voce cit., n. 178; Cass., 2 aprile 2004,<br />

n. 6514, ibid., n. 180.<br />

(26) Così Cipriani, La procura su foglio autonomo, cit., c. 541; Id., Procura su foglio<br />

separato, cit., c. 3158. V., altresì, Balena, Elementi di diritto processuale, cit., I,<br />

p. 191.<br />

(27) Cipriani, Procura su foglio separato, cit., c. 3158.


600<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

cessaria per il raggiungimento <strong>del</strong>lo scopo. Giust’al contrario, la giurisprudenza<br />

continuò a sostenere quel che sosteneva prima <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> 1923,<br />

e cioè che la procura dovesse necessariamente essere rilasciata con atto fidefacente.<br />

Fu così che nel 1997, « per porre fine agli inconvenienti derivanti da un<br />

orientamento giurisprudenziale ultraformalistico » (28), secondo il quale le<br />

procure rilasciate sul foglio autonomo materialmente spillato all’atto processuale<br />

dovevano considerarsi affette da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio<br />

in quanto il difensore poteva certificare solo le procure veramente in margine<br />

o in calce (29), il legislatore, con legge n. 141/1997, alla fine <strong>del</strong> comma 3°<br />

<strong>del</strong>l’art. 83 c.p.c., precisò: « La procura si considera apposta in calce anche<br />

se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto<br />

cui si riferisce ». Cioè a dire, il legislatore non si contentò di affermare che<br />

la procura stesa sul c.d. foglio autonomo e spillato è valida, ma, dando per<br />

scontata la validità, stabilì che tale procura si considera addirittura in calce,<br />

che è « una innegabile finzione » (30). Sì che, dopo qualche iniziale incertezza<br />

<strong>del</strong>la giurisprudenza (31), si è ormai da tempo tutti d’accordo nel riconoscere<br />

che la procura su foglio separato congiunto all’atto, anche se non<br />

contiene alcun espresso riferimento al giudizio nel quale è utilizzata, deve<br />

considerarsi “speciale” esattamente come se stesse in calce (32).<br />

Si è così fatto un altro grande passo avanti sulla strada <strong>del</strong>la sdrammatizzazione<br />

<strong>del</strong>la forma <strong>del</strong>la nomina <strong>del</strong> difensore, in quanto, mentre la pro-<br />

––––––––––––<br />

(28) Così Balena, Elementi di diritto processuale, cit., I, p. 190.<br />

(29) Il principio fu pronunciato da Cass., sez. un., 22 novembre 1994, n. 9869, in<br />

Foro it. 1995, I, c. 537, che, nel comporre il contrasto sorto sul punto fra le sezioni semplici,<br />

optò per l’interpretazione più rigorosa.<br />

(30) In tal senso, v. Cipriani, Le finzioni nel processo civile, in Rass. dir. civ.<br />

2002, p. 52.<br />

(31) Cass., 27 novembre 1997, n. 12003, in Foro it. Rep. 1997, voce Cassazione civile,<br />

n. 108; Cass., 21 giugno 1997, n. 5569, ivi 1997, I, c. 3152, secondo le quali « ancor<br />

dopo la l. n. 141/1997, la procura su foglio separato congiunto all’atto, se non contiene<br />

alcun preciso riferimento all’atto, è nulla ».<br />

(32) In dottrina, v. Cipriani, La procura su foglio separato, cit., c. 3158; Acone,<br />

Realtà e trasfigurazione <strong>del</strong>la procura speciale alle liti, in Corriere giur. 1998, p. 1184;<br />

A. Finocchiaro, Un’interpretazione <strong>del</strong>la legge 141/1997 che contrasta con l’obbiettivo<br />

<strong>del</strong> parlamento, in Guida al diritto 1997, n. 26, p. 40; Evangelista, La procura su foglio<br />

separato: spunti per una rinnovata riflessione, in Gazzetta giuridica Italia-Oggi 1997,<br />

p. 32, 7; Deluca, Commento alla l. 27 maggio 1997, n. 141, in Nuove leggi civ. 1997,<br />

p. 1301. In giurisprudenza, cfr. Cass., 2 aprile 2004, n. 6521, in Foro it. Rep. 2004, voce<br />

Cassazione civile, n. 90; Cass., 24 settembre 2002, n. 13910, ibid. 2002, voce cit., n. 170;<br />

Cass., 28 giugno 2000, n. 8789 ibid. 2000, voce cit., n. 159; Cass., 13 gennaio 1999,<br />

n. 288, ibid. 1999, voce cit., n. 166; Cass., 16 dicembre 1998, n. 12610, ibid. 1998, voce<br />

cit., n. 167; Cass., 22 luglio 1998, n. 7182, ibid., n. 169.


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 601<br />

cura a margine, anche se rilasciata con un generico timbro, può di fatto essere<br />

utilizzata solo una volta, la procura su foglio separato, « specie se sprovvista<br />

di data, si presta a essere utilizzata in più processi » (33), perché nulla<br />

impedisce che, durante o al termine <strong>del</strong> processo, il difensore la stacchi e la<br />

congiunga materialmente a un atto di un diverso processo. Anzi, poiché di<br />

recente le Sezioni unite hanno precisato che non è affatto necessario che la<br />

procura sia materialmente congiunta all’atto, essendo sufficiente « la contestualità<br />

<strong>del</strong>la produzione in udienza dei due atti, ad opera <strong>del</strong>lo stesso difensore<br />

» (34), è evidente che oggi più di ieri è solo l’avvocato che assicura che<br />

la c.d. procura gli sia stata rilasciata dalla parte proprio per il processo nel<br />

quale la utilizza.<br />

Se ne è avuto che, di fronte alla riforma <strong>del</strong> 1997, lo studioso che più di<br />

tutti ha approfondito il problema, il Cipriani, ha con tutta coerenza sostenuto<br />

che « nei nostri giudizi di merito è oramai ammessa la procura presunta » (35).<br />

La giurisprudenza, invece, ha continuato tranquillamente ad esigere che la<br />

“procura” sia rilasciata per iscritto e con atto facente fede sino a querela di falso.<br />

E ciò anche perché la legge vuole che la sottoscrizione <strong>del</strong>la parte che designa<br />

il suo difensore, se rilasciata a margine o in calce, sia certificata dal medesimo<br />

difensore. Occorre pertanto di soffermarsi sulla certificazione.<br />

5. – Come sappiamo, benché Mortara, nel proporre di abrogare la necessità<br />

<strong>del</strong> mandato in forma autentica e nel suggerire di contentarsi di una certificazione<br />

<strong>del</strong> difensore, non avesse affatto precisato che tale certificazione avesse lo<br />

stesso rilievo <strong>del</strong>la autenticazione, la giurisprudenza ritenne che la certificazione<br />

conferisse la pubblica fede al mandato, insistendo così nell’affermare che la<br />

procura doveva essere rilasciata con atto facente fede sino a querela di falso<br />

(36).<br />

La tesi è tutt’oggi ribadita dalla giurisprudenza (37), che la utilizza in particolar<br />

modo per stroncare sul nascere i dubbi che vengono talvolta sollevati<br />

dalle controparti sulla effettiva provenienza <strong>del</strong>la sottoscrizione <strong>del</strong>la procura<br />

certificata dal difensore. È tuttavia significativo che sovente la Cassazione ha<br />

concesso che la mancanza <strong>del</strong>la certificazione fosse <strong>del</strong> tutto irrilevante (38).<br />

––––––––––––<br />

(33) Il rilievo è di Cipriani, Procura su foglio separato, cit., c. 3158.<br />

(34) Così Cass., sez. un., 18 settembre 2002, n. 13666, in Foro it. Rep. 2002, voce<br />

Cassazione civile, n. 168. Nello stesso senso v. già Deluca, Commento, cit., p. 1298.<br />

(35) Così Cipriani, Procura su foglio separato, cit., c. 3158.<br />

(36) V. supra il n. 3.<br />

(37) V. Cass., 2 novembre 2004, n. 21054, in Foro it. Rep. 2004, voce Procedimento<br />

civile, n. 102; Cass., 17 maggio 2004, n. 9323, ibid., n. 12; Cass., 16 aprile 2003,<br />

n. 6047, ibid. 2003, voce cit., n. 105.<br />

(38) V. Cass., 8 luglio 2003, n. 10732, in Foro it. Rep. 2003, voce Cassazione<br />

civile, n. 163; Cass., 11 ottobre 2001, n. 12411, ibid. 2001, voce cit., n. 173; Cass., 26


602<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Dal canto suo, la prevalente dottrina è <strong>del</strong>l’avviso che la certificazione,<br />

pur essendo « un atto diverso dall’autenticazione di cui all’art. 2703, comma<br />

2°, c.c. » (39), ne produce comunque tutti gli effetti, con la conseguenza<br />

che la procura certificata autografa dal difensore sarebbe assistita dalla pubblica<br />

fede e farebbe piena prova sino a querela di falso <strong>del</strong>la provenienza <strong>del</strong>la<br />

scrittura (40).<br />

––––––––––––<br />

maggio 2000, n. 6959, ibid. 2000, voce cit., n. 187; Cass., sez. un., 17 dicembre 1998,<br />

n. 12625, ibid. 1998, voce cit., n. 158; Cass., 22 ottobre 1998, n. 10494, ibid., voce<br />

Procedimento civile, n. 133; Cass., 6 maggio 1996, n. 4191, ibid. 1996, voce Cassazione<br />

civile, n. 150. Nello stesso senso, in dottrina, v. Satta, Commentario al codice<br />

di procedura civile, I, Milano 1959, p. 283; Mandrioli, Delle parti e dei difensori,<br />

cit., p. 940; Andrioli, Commento, cit., I, p. 239, il quale precisa che, in caso di mancata<br />

certificazione, « ove l’avversario <strong>del</strong> mandante contesti l’autenticità <strong>del</strong>la sottoscrizione,<br />

incombe al mandante medesimo fornirne la prova »; Cipriani, La procura<br />

su foglio autonomo, cit., c. 539; Acone, La procura speciale alle liti tra tiepidezza <strong>del</strong><br />

legislatore e i contrasti <strong>del</strong>la corte, in Corriere giur. 1997, p. 1165, nota 18, che ritiene<br />

che sussista una certa qual antinomia tra il sostenere che la certificazione non è<br />

necessaria per la validità <strong>del</strong>la procura e l’affermare che essa costituisce elemento<br />

necessario per il perfezionarsi <strong>del</strong>la fattispecie di cui all’art. 83, comma 3°, c.p.c., e<br />

aggiunge che per risolvere tale antinomia non è sufficiente spostare il discorso sul<br />

piano <strong>del</strong>la prova.<br />

Va poi segnalato che le Sezioni unite, nel comporre il contrasto sorto nella giurisprudenza<br />

di legittimità sugli effetti <strong>del</strong>la mancata certificazione, hanno recentemente<br />

affermato che il difensore può certificare l’autografia <strong>del</strong>la sottoscrizione <strong>del</strong>la<br />

parte non soltanto apponendo la propria firma di seguito a detta sottoscrizione, con o<br />

senza l’uso di apposite diciture, ma anche limitandosi a sottoscrivere l’atto, a margine<br />

o in calce al quale la procura è stata apposta. Quindi, secondo le Sezioni unite, la certificazione<br />

<strong>del</strong>l’autografia <strong>del</strong>la sottoscrizione <strong>del</strong>la procura ben può essere assicurata<br />

anche in modo implicito, ossia « dall’unica firma con la quale il difensore, avvalendosi<br />

<strong>del</strong>la procura, dà paternità all’atto processuale » al quale la procura si riferisce<br />

(Cass., sez. un., 28 novembre 2005, n. 25032, in Foro it. Mass. 2005, c. 1786). Occorre<br />

peraltro dire che, con questa sentenza, le Sezioni unite hanno in realtà eluso il<br />

vero problema, che consisteva e consiste nello stabilire se la mancata certificazione<br />

da parte <strong>del</strong> difensore determina la nullità <strong>del</strong>la procura oppure rappresenta, come<br />

unanimemente sostiene, e non da oggi, la dottrina e come hanno affermato numerose<br />

pronunce <strong>del</strong> giudice di legittimità, una mera irregolarità priva di conseguenze (in tal<br />

senso, v. le sentenze e gli aa. più su citati).<br />

(39) Così Mandrioli, Delle parti e dei difensori, cit., p. 939.<br />

(40) V. Andrioli, Commento, cit., I, p. 239; Satta, Avvocato (procuratore), voce<br />

<strong>del</strong>l’Enc. dir., IV, Milano 1959, p. 651; Mandrioli, Diritto processuale civile, II, 16 a ed.,<br />

Torino 2004, p. 221, nota 25; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale, cit., II, p. 282;<br />

Luiso, Diritto processuale civile, I, 3 a ed., Milano 2000, p. 210; Montesano–Arieta,<br />

Trattato di diritto processuale civile, I, Padova 2001, p. 531; Giorgetti, Sulla leggibilità


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 603<br />

La communis opinio è stata di recente contrastata da Cipriani, il quale, dopo<br />

avere rilevato che l’avvocato non è un pubblico ufficiale, che nessuna norma<br />

attribuisce alla certificazione un’efficacia fidefacente e, soprattutto, che il difensore<br />

può certificare soltanto le procure rilasciate a proprio favore (o anche a<br />

proprio favore) e per di più da chiunque siano state rilasciate (e quindi anche<br />

dal proprio coniuge o dai propri figli), ha affermato che la certificazione <strong>del</strong> difensore<br />

in realtà ha assai poco a che vedere con l’autenticazione e non conferisce<br />

il crisma <strong>del</strong>la pubblica fede all’atto, ma rappresenta solo una cautela sostanzialmente<br />

superflua (41).<br />

L’insegnamento, che sembra confermato da quella giurisprudenza che reputa<br />

<strong>del</strong> tutto irrilevante la mancanza <strong>del</strong>la certificazione (42), va senz’altro accolto,<br />

anche perché non sembra possa dubitarsi che, se si equiparasse la certificazione<br />

alla autenticazione, si dovrebbe riconoscere all’avvocato un potere che<br />

neppure il notaio ha, e cioè quello « tanto inverosimile quanto inammissibile di<br />

attribuire pubblica fede ad atti che lo riguardano in prima persona » (43). La<br />

qual cosa sarebbe piuttosto sorprendente (e costituzionalmente illegittima), perché<br />

non sembra possa consentirsi che la pubblica fede sia attribuita a un atto<br />

formato dal suo beneficiario (44). È infatti noto che gli atti rogati da un notaio o<br />

da un altro pubblico ufficiale, in tanto fanno fede sino a querela di falso, in<br />

quanto provengono da un soggetto che si trova in posizione di assoluta terzietà<br />

rispetto alle parti (45), tant’è vero che per il notaio sussiste il divieto di rogare<br />

atti se vi intervengono il coniuge, i suoi parenti od affini (art. 28, nn. 2 e 3, legge<br />

16 febbraio 1913 n. 89).<br />

Va peraltro aggiunto che si è talvolta affermato che la certificazione <strong>del</strong> difensore<br />

potrebbe essere considerata alla stessa stregua <strong>del</strong>la c.d. “autentica minore”,<br />

come tale sempre in possesso <strong>del</strong>la efficacia fidefacente (46). Ma neppu-<br />

––––––––––––<br />

<strong>del</strong>la firma in calce alla procura ad litem, in Riv. dir. proc. 1995, p. 299; Guarnieri, Ancora<br />

sulla procura in foglio più o meno separato o allungato, ivi 1989, p. 302.<br />

(41) Così Cipriani, La procura su foglio autonomo, cit., c. 539.<br />

(42) V. supra, nota 38.<br />

(43) Così ancora Cipriani, op. loc. ult. cit.<br />

(44) Sul punto, v. Balena, Elementi di diritto processuale, cit., I, p. 190, che definisce<br />

« singolare » il potere <strong>del</strong> difensore di certificare l’autografia <strong>del</strong>la sottoscrizione.<br />

(45) In tal senso, v. G. Ricci, Le prove atipiche, Milano 1999, p. 439; v., altresì,<br />

Montesano, Limiti <strong>del</strong>l’efficacia probatoria nel processo civile dei verbali ispettivi redatti<br />

da funzionari <strong>del</strong> ministero <strong>del</strong>l’industria nell’esercizio dei compiti di vigilanza<br />

sull’attività assicurativa, in Giur. it. 1986, IV, c. 387.<br />

(46) In dottrina, v. Comoglio, Procura, cit., p. 1056; Id., Le prove civili, 2 a ed., Torino<br />

2004, p. 327, nota 35; Casu, Scrittura privata autenticata, voce <strong>del</strong> Dizionario enciclopedico<br />

<strong>del</strong> notariato, IV, Roma 1988, p. 623; Tondo, Forma e sostanza <strong>del</strong>l’autentica, in Vita<br />

not. 1980, p. 280; Barone, La procura speciale alle liti tra disinformazione e falsi problemi,<br />

in Foro it. 1995, I, c. 3433, il quale però invita a riflettere « sull’esattezza <strong>del</strong> principio che


604<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

re questa tesi può essere condivisa, perché la c.d. autentica minore, come è pacifico<br />

in dottrina e in giurisprudenza, non conferisce affatto la pubblica fede alla<br />

sottoscrizione: in essa difetta infatti la formale attestazione, da parte <strong>del</strong> pubblico<br />

ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza e dopo<br />

l’accertamento <strong>del</strong>l’identità <strong>del</strong> sottoscrittore (47). Peraltro, in senso contrario<br />

non sembra decisivo richiamare un preteso « fondamento pubblicistico <strong>del</strong> potere<br />

conferito al difensore » (48).<br />

È perciò chiaro che la certificazione <strong>del</strong> difensore costituisce in buona<br />

sostanza un atto processuale privo di efficacia probatoria, sì che non resta che<br />

pensare che essa in realtà è soltanto « una sovrastruttura, ovvero, se si preferisce,<br />

un inutile orpello » (49). Va pertanto escluso definitivamente che nel nostro<br />

ordinamento la c.d. procura alle liti, ossia la nomina <strong>del</strong> difensore, debba<br />

necessariamente avere forma scritta facente fede sino a querela di falso.<br />

A voler trarre le conclusioni <strong>del</strong> discorso fatto sin qui, sembra doveroso<br />

affermare che le “procure” a margine o in calce che vengono tutti i giorni utilizzate<br />

nei nostri processi si basano essenzialmente sulla parola e sull’operato<br />

<strong>del</strong> difensore, che assicura e garantisce che la parte che l’ha nominato è proprio<br />

quella per la quale sta agendo: è vero che lo fa certificando l’autografia<br />

<strong>del</strong>la sottoscrizione <strong>del</strong>la parte (che potrebbe pure essere illeggibile (50)), ma,<br />

––––––––––––<br />

attribuisce efficacia probatoria fino a querela di falso ». In giurisprudenza, v. Cass., sez. un.,<br />

5 febbraio 1994, n. 1167, in Corriere giur. 1994, p. 311, con nota adesiva di Carbone, Procura<br />

alle liti: firma illeggibile senza altre indicazioni sul conferente.<br />

(47) In dottrina, v. Comoglio, Le prove, cit., p. 327; D’Orazi Flavoni, L’autentica<br />

minore, in Foro it. 1956, I, c. 1559 e in Riv. not. 1956, p. 829; Falzone Alibrandi, Autentica<br />

minore, voce <strong>del</strong> Dizionario enciclopedico <strong>del</strong> notariato, I, Roma 1988, p. 246;<br />

Chinni, Sul “visto per la verità <strong>del</strong>la firma”, in Riv. not. 1950, p. 162; Baratta, Autentica<br />

formale ed autentica minore, in Vita not. 1970, p. 275; Roli, Sulla “vera di firma”, in<br />

Giur. it. 1957, I, 2, c. 446; Voltolina, Delle autenticazioni e dei “visti per la verità” <strong>del</strong>le<br />

firme, in Riv. not. 1955, p. 102 e ss.; Delogu, Sul falso di autenticazione di firma, in Foro<br />

it. 1961, II, c. 118. In giurisprudenza, v. Cass., 30 gennaio 1979, Savio ed altri, in Giur.<br />

it. 1980, II, c. 506; Cass., 30 marzo 1967, n. 691, in Foro it. 1967, I, c. 935.<br />

(48) In tal senso, v. invece Comoglio, Procura, cit., p. 1056.<br />

(49) Cipriani, La procura su foglio autonomo, cit., c. 539.<br />

(50) V. Cass., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4810, in Riv. dir. proc. 2005, 1031, con<br />

nota di Monteleone. La S.C. elimina nocivi formalismi in materia di procura alle liti, e in<br />

Giur. it. 2005, p. 1210, con nota di Chiarloni, La giustizia vince sulla procedura, grazie<br />

ad un revìrement <strong>del</strong>la Corte suprema in materia di vizi <strong>del</strong>la procura alle liti, la quale,<br />

dopo aver escluso che la procura rilasciata con firma illeggibile da legale rappresentante<br />

di persona giuridica sia di per sé nulla, da un lato ha ricondotto l’incertezza sull’identità<br />

<strong>del</strong> sottoscrittore fra le nullità c.d. relative di cui all’art. 157 c.p.c.; dall’altro, ha ammesso<br />

che il difensore <strong>del</strong>la parte che ha sottoscritto la procura in modo illeggibile, possa indicare<br />

il nome <strong>del</strong> firmatario, purché con la prima risposta difensiva di replica alla deduzione<br />

<strong>del</strong>la nullità, nonché in modo chiaro e univoco e senza possibilità di successive


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 605<br />

come si è appena visto, la sua certificazione è priva di ogni efficacia probatoria.<br />

Se così è, si può ritenere che non sia affatto indispensabile che la nomina<br />

<strong>del</strong> difensore sia rilasciata per iscritto, apparendo evidente che non vi è alcun<br />

motivo per non dare rilevanza anche a comportamenti e/o fatti che non sono<br />

meno idonei <strong>del</strong>la c.d. procura certificata a dimostrare l’esistenza dei poteri<br />

rappresentativi in capo all’avvocato che dichiara di stare in giudizio per la<br />

parte: si pensi all’avvocato <strong>del</strong>l’attore che produce la corrispondenza scambiata<br />

prima <strong>del</strong> processo con la controparte o a quello <strong>del</strong>l’appellante che produce<br />

la sentenza impugnata e il <strong>fascicolo</strong> <strong>del</strong> grado precedente; al difensore<br />

<strong>del</strong> convenuto che produce l’originale <strong>del</strong>l’atto di citazione notificato; all’avvocato<br />

che compare con la parte alle operazioni peritali o in una udienza <strong>del</strong><br />

processo, quale, per esempio, quella contemplata dal novellato art. 707 c.p.c.,<br />

secondo il quale « i coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente<br />

con l’assistenza <strong>del</strong> difensore ». Richiedere anche in queste e consimili<br />

ipotesi che il difensore abbia anche la c.d. procura, sembra per lo meno<br />

eccessivo.<br />

6. – Di diverso avviso è, però, la giurisprudenza, che, nel riconoscere che<br />

nessuna <strong>del</strong>le prescrizioni <strong>del</strong>l’art. 83 c.p.c. è prevista a pena di nullità e che<br />

quindi la nullità <strong>del</strong>la procura può essere comminata solo per la mancanza dei<br />

requisiti formali indispensabili per il raggiungimento <strong>del</strong>lo scopo (art. 156,<br />

comma 2°, c.p.c.), suole affermare che la procura avrebbe lo scopo di « fornire<br />

alla controparte la giuridica certezza <strong>del</strong>la riferibilità <strong>del</strong>l’attività svolta dal difensore<br />

al titolare <strong>del</strong>la posizione sostanziale controversa, certezza che può essere<br />

fornita soltanto da documenti facenti piena prova fino a querela di falso,<br />

come appunto l’atto pubblico e la scrittura privata autenticata, ai quali deve aggiungersi<br />

anche la procura la cui sottoscrizione sia stata certificata autentica dal<br />

difensore » (51).<br />

––––––––––––<br />

variazioni o rettificazioni. In tal modo, le Sezioni unite hanno notevolmente ridimensionato,<br />

quasi annullandolo, il rigore <strong>del</strong> principio affermato, sempre a sezioni unite, da<br />

Cass., 5 febbraio 1994, in Foro it. 1994, I, c. 1415, con osservazioni di Zampetti, secondo<br />

cui la procura conferita con firma illeggibile da legale rappresentante di persona giuridica<br />

sarebbe affetta da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio.<br />

(51) Così, prima <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> 1997, Cass., sez. un., 22 novembre 1994,<br />

n. 9869, in Foro it. 1995, I, c. 538, spec. c. 546 e ss., di cui si è detto diffusamente nel<br />

n. 4. In seguito, il principio è stato ribadito in generale da Cass., 19 agosto 2004,<br />

n. 16264, ivi Rep. 2004, voce Procedimento civile, n. 163; Cass., 12 marzo 2002, n. 3570,<br />

ibid. 2002, voce cit., n. 100; Cass., 14 febbraio 2002, n. 2149, ivi 2002, I, c. 2084; Cass.,<br />

27 gennaio 2002, n. 878, ivi Rep. 2002, voce Cassazione civile, n. 139; Cass., 21 settembre<br />

2000, n. 12486, ivi 2001, I, c. 507; Cass., 17 dicembre 1998, n. 12653, ivi Rep. 1998,<br />

voce Cassazione civile, n. 190.


606<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Alla tesi si è obiettato, autorevolmente e con dovizia di argomenti, che non<br />

è affatto vero che la procura debba necessariamente risultare da un documento<br />

assistito dal crisma <strong>del</strong>la pubblica fede, in quanto l’art. 83, comma 3°, c.p.c. non<br />

richiede ch’essa sia rilasciata con un atto facente piena prova sino a querela di<br />

falso (52). Quanto poi alla tutela <strong>del</strong>la controparte, si è rilevato che l’argomento<br />

è privo di peso, perché la c.d. procura è necessaria non solo nei procedimenti a<br />

struttura contenziosa, ma anche in quelli nei quali non vi è alcuna controparte<br />

che possa o debba essere tutelata (si pensi al procedimento camerale di divorzio)<br />

(53).<br />

Forse perché consapevole <strong>del</strong>l’esattezza <strong>del</strong>le critiche rivoltele, di recente<br />

la S. Corte ha però lievemente modificato la propria tesi, evitando di<br />

riferirsi alla tutela <strong>del</strong>la controparte e alla necessità <strong>del</strong>l’atto fidefacente e<br />

limitandosi a sostenere che la procura servirebbe a « conferire la certezza<br />

<strong>del</strong>la provenienza dalla parte <strong>del</strong> potere di rappresentanza » (54). È però<br />

agevole osservare che la “procura”, quantunque rilasciata in perfetto ossequio<br />

all’art. 83 c.p.c., nella sostanza non è per nulla idonea ad assicurare alcunché,<br />

visto che, come crediamo di aver dimostrato nelle pagine che precedono,<br />

<strong>del</strong>la sua genuinità e <strong>del</strong> suo riferimento al processo de quo agitur,<br />

unico vero garante è l’avvocato che sta in giudizio per la parte. Senza dire<br />

che l’esigenza di esser certi <strong>del</strong>la rappresentanza è sicuramente soddisfatta<br />

anche quando la parte sia comparsa all’udienza con il proprio difensore o<br />

abbia partecipato personalmente a <strong>del</strong>le operazioni peritali, sì che non si vede<br />

perché anche in questi casi si pretenda la procura scritta più o meno fidefacente.<br />

Vero è, invece, che la “procura”, come ha posto in evidenza Cipriani,<br />

« serve per un verso alla parte, alla quale consente di agire nel processo a mezzo<br />

di un difensore, e per altro al difensore, al quale, come riconosce la stessa<br />

Cassazione (…), consente di esercitare lo ius postulandi in relazione alla specifica<br />

controversia », con la conseguenza che essa « raggiunge il suo scopo quando<br />

il difensore agisce per la parte nel processo » (55). Infatti, come si sta dicendo<br />

dall’inizio di questo saggio e come è pacifico, la c.d. procura non è che l’atto<br />

con il quale la parte nomina il proprio difensore in un determinato processo, sì<br />

che è <strong>del</strong> tutto ovvio ch’essa raggiunge il suo scopo nel momento stesso in cui<br />

––––––––––––<br />

(52) Così Cipriani, La procura su foglio autonomo, cit., c. 540.<br />

(53) Così ancora Cipriani, op. ult. cit., c. 543.<br />

(54) Cass., 8 aprile 2002, n. 4994, in Foro it. Rep. 2002, voce Cassazione civile,<br />

n. 146; Cass., 18 settembre 2002, n. 13666, ibid., n.168; Cass., 24 settembre 2002,<br />

n. 13910, ibid., n. 170; Cass., 18 agosto 2003, n. 12080, ibid. 2003, voce Procedimento<br />

civile, n. 110; Cass., 27 agosto 2003, n. 12558, ibid., voce Cassazione civile, n. 147;<br />

Cass., 23 aprile 2004, n. 7731, ibid. 2004, voce cit., n. 172; Cass., 25 gennaio 2005,<br />

n. 1428, in Foro it. Mass. 2005, c. 99.<br />

(55) Cipriani, La procura su foglio autonomo, cit., c. 543.


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 607<br />

l’avvocato designato dalla parte agisce in nome e per conto <strong>del</strong>la stessa in quel<br />

processo.<br />

Se così è, però, sembra lecito sostenere che discorrere di “nullità” <strong>del</strong>la<br />

c.d. procura, finisce con l’essere una contraddizione in termini, che forse non si<br />

avverte immediatamente perché si parla pomposamente di « procura », ma che,<br />

se si considerasse che la c.d. procura alle liti non è, sia consentito ripeterlo, che<br />

una nomina, si toccherebbe con mano, in quanto si capirebbe subito che, allorquando<br />

il difensore, una volta designato dalla parte, sta in giudizio per essa, è in<br />

re ipsa che l’atto di nomina abbia raggiunto il proprio scopo. Quindi, parrebbe<br />

che, di fronte all’avvocato che dichiara di agire per una parte, non abbia alcun<br />

senso discorrere di nullità <strong>del</strong>la c.d. procura, in quanto qui al massimo il problema<br />

sta nella prova <strong>del</strong>la nomina.<br />

L’affermazione apparirà forse eccessiva, ma, se si esaminano i casi in<br />

cui la giurisprudenza ha dichiarato la nullità <strong>del</strong>la procura, si constata che<br />

tutte le volte che la “procura” è stata considerata nulla, la sanzione era<br />

quanto meno sproporzionata, se non <strong>del</strong> tutto ingiustificata. Infatti, dall’analisi<br />

<strong>del</strong>le singole fattispecie emerge che la nomina <strong>del</strong> difensore per il<br />

giudizio de quo agitur, a veder bene, ci sta, sì che è chiaro che, con la declaratoria<br />

di nullità, in buona sostanza non si colpiscono le iniziative arbitrarie<br />

degli avvocati, ma, a voler tutto concedere, mere e innocue inosservanze<br />

formali. A riprova, basti pensare che la Cassazione, per esempio, ha considerato<br />

invalida la procura alle liti « rilasciata con firma illeggibile dal legale<br />

rappresentante di società, le cui generalità non siano indicate né nella procura<br />

né nell’atto cui essa accede e siano rese note soltanto nella fase conclusiva<br />

<strong>del</strong> giudizio di primo grado, dopo aver originariamente offerto un’indicazione<br />

diversa » (56); ha affermato che la procura rilasciata per il procedimento<br />

cautelare promosso ante causam, che non si riferisca in modo certo<br />

e non equivoco anche al giudizio di merito, non abilita il procuratore ad introdurre<br />

il successivo giudizio a cognizione piena (ovvero a resistere in esso)<br />

(57); ha stabilito che « non è valida la procura a proporre appello rilasciata<br />

al difensore non in calce all’atto di impugnazione, bensì in calce al<br />

precetto pedissequo alla sentenza impugnata » (58); ha ritenuto invalida la<br />

procura rilasciata all’estero che sia stata autenticata da pubblico ufficiale<br />

straniero in modo diverso da quello previsto dall’art. 2703 c.c. (59) oppure<br />

––––––––––––<br />

(56) Cass., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4811, in Foro it. Mass. 2005, c. 288.<br />

(57) Cass., 17 aprile 1996, n. 3646, in Foro it. Rep. 1996, voce Procedimento civile,<br />

n. 111.<br />

(58) Cass., 14 novembre 2000, n. 14720, in Foro it. Rep. 2000, voce Procedimento<br />

civile, n. 102.<br />

(59) Cass., 12 luglio 2004, n. 12821, in Corriere giur. 2005, p. 233, con nota<br />

critica di Calò, Sulla procura alle liti rilasciata all’estero: un singolare arresto <strong>del</strong>la<br />

II sezione, che ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione perché la pro-


608<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

che sia stata soltanto certificata autografa dal difensore italiano (60); ha sostenuto<br />

che « la sottoscrizione <strong>del</strong>la parte e <strong>del</strong> difensore in calce all’atto introduttivo<br />

<strong>del</strong> giudizio non denota la volontà <strong>del</strong>la prima di conferire la procura<br />

alle liti al secondo, a nulla rilevando che l’avvocato sia stato indicato<br />

quale difensore <strong>del</strong>la parte nell’intestazione <strong>del</strong>l’atto » (61).<br />

Vorrà convenirsi che tali dichiarazioni d’invalidità <strong>del</strong>la procura, con<br />

tutta evidenza, appaiono fiscali e pretestuose, sì che non si può non dare ragione<br />

a chi ha autorevolmente osservato che qui vi è il ragionevole sospetto<br />

che esse siano « il frutto di un fine obliquo perseguito dalla Corte di cassazione<br />

in una sorta di riflesso di autodifesa contro la semiparalisi indotta<br />

dall’aumento incontrollato dei ricorsi » (62). Tale sospetto è d’altra parte<br />

alimentato dal rilievo che la stessa giurisprudenza considera valida la nomina<br />

in casi in cui la c.d. procura, a voler essere fiscali, non giustificherebbe la<br />

presenza in giudizio di quel difensore: si pensi per esempio alle pronunce<br />

<strong>del</strong>la Suprema corte secondo cui « la procura alle liti conferita per il giudizio<br />

di cognizione, nel quale si è formato il titolo esecutivo, e per il successivo<br />

processo di esecuzione vale anche per tutti i gradi <strong>del</strong> giudizio di opposizione<br />

all’esecuzione promossa in base a quel titolo » (63); oppure secondo cui<br />

––––––––––––<br />

cura speciale, rilasciata in Francia, era stata autenticata da notaio senza attestazione<br />

che la firma <strong>del</strong>la parte era stata apposta in sua presenza previo accertamento<br />

<strong>del</strong>l’identità <strong>del</strong> sottoscrittore.<br />

(60) Cass., 3 giugno 2003, n. 8867, in Foro it. Rep. 2003, voce Procedimento civile,<br />

n. 109 che ha affermato che « la sottoscrizione <strong>del</strong>la procura alle liti rilasciata<br />

all’estero (…) non può essere autenticata dal difensore italiano <strong>del</strong>la parte, giacché tale<br />

potere di autenticazione non si estende oltre i limiti <strong>del</strong> territorio nazionale ».<br />

(61) Cass., 9 agosto 2001, n. 10967, in Foro it. 2002, I, c. 101.<br />

(62) Così Chiarloni, Contrasti tra diritto alla difesa e obbligo di difesa: un paradosso<br />

<strong>del</strong> formalismo concettualista, in Riv. dir. proc. 1982, p. 662.<br />

(63) Così Cass., 19 marzo 2003, n. 7772, in Foro it. 2003, I, c. 2665. È appena il<br />

caso di osservare che è per lo meno dubbio che la procura rilasciata per il procedimento<br />

di esecuzione possa abilitare il difensore a stare in giudizio in sede di opposizione<br />

all’esecuzione, visto che la migliore dottrina ritiene che il giudizio di opposizione non<br />

rappresenti una mera fase incidentale <strong>del</strong> processo esecutivo, ma un giudizio <strong>del</strong> tutto<br />

autonomo (Andrioli, Commento, cit., III, p. 51, il quale afferma che la procura abiliti alla<br />

difesa nell’eventuale giudizio di opposizione agli atti esecutivi, ma esclude che essa valga<br />

anche per l’opposizione all’esecuzione che non rappresenta un incidente nel corso <strong>del</strong><br />

processo esecutivo, bensì un giudizio autonomo. V., altresì, Redenti-Vellani, Diritto processuale<br />

civile, III, 3 a ed., Milano 1999, p. 402 e ss.; Mandrioli, Diritto processuale, cit.,<br />

IV, p. 153 e ss.; Fazzalari, Istituzioni di diritto processuale, 8 a ed., Padova 1996, p. 210;<br />

Bonsignori, L’esecuzione forzata, 3 a ed., Torino 1996, p. 289 e ss.; Vaccarella, Opposizione<br />

all’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma 1990, p. 1). Si aggiunga che la<br />

pronuncia testé citata ha ritenuto anche che il conferimento <strong>del</strong>l’incarico per il solo procedimento<br />

esecutivo consentisse di superare persino la presunzione di cui all’art. 83,


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 609<br />

« la parte che riassume la causa davanti al giudice di rinvio non è tenuta a<br />

rilasciare una nuova procura al difensore che la ha assistita nel giudizio di<br />

merito » neppure quando tale parte nel giudizio di legittimità sia stata assistita<br />

da altro difensore o sia rimasta contumace (64); oppure ancora secondo<br />

cui la procura apposta a margine <strong>del</strong> ricorso per cassazione sia valida anche<br />

quando in essa vengono persino indicati sia un numero di sentenza diverso<br />

da quello <strong>del</strong>la sentenza impugnata, sia parti differenti rispetto a quelle tra le<br />

quali detta sentenza è stata resa (65). È dunque evidente che la giurisprudenza<br />

(quando vuole…) salva procure che, a stretto rigore, non sarebbero idonee<br />

a legittimare il difensore a rappresentare la parte in quel determinato giudizio<br />

e dà rilevanza a fatti o comportamenti che consentono di conseguire una<br />

ragionevole certezza in ordine alla riferibilità alla parte <strong>del</strong>l’attività posta in<br />

essere dall’avvocato nel processo de quo agitur.<br />

Così stando le cose, a nostro sommesso avviso non si può ragionevolmente<br />

dubitare che quello <strong>del</strong>la invalidità <strong>del</strong>la “procura” sia in realtà un falso problema<br />

e che, in tema di nomina <strong>del</strong> difensore, a voler tutto concedere, l’unica<br />

vera questione forse potrebbe stare, come già accennato, nella prova <strong>del</strong>la sua<br />

esistenza. Ma, dal momento che la prova che si suole dare e <strong>del</strong>la quale ci si<br />

suole contentare è quella che tutti conosciamo, e cioè un mero simulacro di atto<br />

scritto; e dal momento che la forma scritta non è richiesta a pena di nullità<br />

dall’art. 83 c.p.c. e non è indispensabile per il raggiungimento <strong>del</strong>lo scopo, si<br />

deve ribadire quel che si è detto più su, e cioè che è ben possibile desumere<br />

––––––––––––<br />

comma 4°, c.p.c., ossia quella per la quale la procura si intende rilasciata per un solo grado<br />

di giudizio. Quindi, ben si può sostenere che, nella specie, la S. Corte abbia interpretato<br />

la procura in senso tutt’altro che rigoroso.<br />

(64) Cass., 6 ottobre 2004, n. 19937, in Foro it. Rep. 2004, voce Rinvio civile, n. 6,<br />

che ha preso in esame un caso riguardante un giudizio di rinvio c.d. proprio e che ha motivato<br />

la propria decisione sul rilievo che « il giudizio di rinvio costituisce la prosecuzione<br />

<strong>del</strong> giudizio di primo o di secondo grado conclusosi con la sentenza cassata ». Occorre<br />

tener presente, però, che si ritiene comunemente che il giudizio di rinvio c.d. proprio o<br />

prosecutorio costituisca una fase nuova e autonoma <strong>del</strong> procedimento (in dottrina, v.<br />

Chiovenda, Principii, cit., p. 1064; E.F. Ricci, Il giudizio civile di rinvio, Milano 1967,<br />

p. 91; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 4 a ed., Milano rist. 1984, II, p. 354;<br />

Mandrioli, Diritto processuale, cit., IV, p. 517; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale<br />

civile, 4 a ed., Napoli 2002, p. 567; in giurisprudenza, v. Cass., 28 gennaio 2005, n.<br />

1824, ivi Mass. 2005, c. 129; Cass., 23 settembre 2002, n. 13833, ivi Rep. 2002, voce<br />

Rinvio civile, n. 7; Cass., 6 dicembre 2000, n. 15489, ibid. 2000, voce cit., n. 11; Cass.,<br />

17 novembre 2000, ibid., n. 25). Sì che, appare quanto meno discutibile che la procura<br />

conferita all’avvocato per il primo o per il secondo grado sia senz’altro valida per riassumere<br />

il giudizio innanzi al giudice di rinvio.<br />

(65) Cass., 24 gennaio 2002, n. 843, in Giur. it. 2003, p. 66, nota di Fratini, Natura<br />

ed impugnabilità <strong>del</strong>l’ordinanza con cui il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione approva o riduce il<br />

compenso all’Istituto Vendite Giudiziarie.


610<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

l’esistenza <strong>del</strong>la nomina <strong>del</strong> difensore anche da fatti o comportamenti che, a ben<br />

vedere, sono o possono essere ben più concludenti e significativi <strong>del</strong>la c.d. procura<br />

in calce o a margine che tutti conosciamo.<br />

Pertanto, alla luce di quanto si è rilevato sin qui, se non si può arrivare a<br />

sostenere che il difensore che agisce per la parte non può che essere stato<br />

designato dalla medesima parte, si può però ritenere che, se il difensore dichiara<br />

di agire per la parte, sia per lo meno implicito che egli sia stato da essa<br />

incaricato di assumere la sua difesa. Perciò, se si prescinde dal difensore<br />

che dichiara di agire in nome proprio nell’interesse altrui (il che, a quanto<br />

pare, è accaduto una sola volta… (66)), o dall’avvocato che, avendo agito<br />

all’insaputa o contro il volere <strong>del</strong>la parte, sia “smascherato” dalla parte stessa<br />

che si costituisce a mezzo <strong>del</strong> suo vero difensore (ma, ciò, a quanto risulta,<br />

non è mai accaduto…), appare evidente che un “problema” di verifica dei<br />

poteri rappresentativi <strong>del</strong>l’avvocato che sta in giudizio per la parte non abbia<br />

alcuna ragione di essere, dovendosi senz’altro riconoscere che la nostra legge,<br />

in tema di nomina <strong>del</strong> difensore, da tempo impone di fidarsi <strong>del</strong>la parola<br />

e <strong>del</strong>l’operato <strong>del</strong> difensore. Con questo non si vuole dire che non è pensabile<br />

o ipotizzabile che un avvocato agisca all’insaputa o addirittura contro la<br />

volontà <strong>del</strong>la parte, ma sta di fatto che, stando alla giurisprudenza edita, ciò<br />

non è sinora mai accaduto, forse perché gli avvocati sanno bene che, non essendo<br />

per loro prospettabile la negotiorum gestio, se agissero senza la nomina<br />

<strong>del</strong>la parte, avrebbero tutto da perdere e nulla da guadagnare.<br />

7. – È probabile che, di fronte alle conclusioni appena raggiunte, si obietti<br />

che, in difetto di una procura rilasciata per iscritto, « non esiste uno strumento<br />

di assunzione in capo alla parte <strong>del</strong>l’atto (…) e dei suoi effetti » (67), con la<br />

conseguenza che, in tal caso, non sarebbe possibile riferire l’attività <strong>del</strong>l’avvocato<br />

alla parte. All’obiezione, si può tuttavia replicare che la procura rilasciata<br />

con le modalità che ben conosciamo non assicura affatto l’imputazione<br />

alla parte <strong>del</strong>l’attività posta in essere dal difensore, giacché, come crediamo di<br />

avere dimostrato, essa non prova con assoluta certezza il conferimento<br />

<strong>del</strong>l’incarico difensivo. Sì che, sarebbe davvero ben strano che, ciò nonostante,<br />

la procura scritta di cui all’art. 83 c.p.c. rappresentasse l’unico e imprescindibile<br />

mezzo d’imputazione alla parte <strong>del</strong>l’attività <strong>del</strong> difensore. Senza considerare<br />

che occorrerebbe altresì spiegare per quale motivo non debba essere possibile<br />

ricondurre alla parte l’attività <strong>del</strong>l’avvocato nelle fattispecie, quale per es.<br />

quella in cui la parte sia comparsa all’udienza con il proprio difensore, in cui<br />

l’esistenza <strong>del</strong>la nomina è indubitabilmente fuori discussione.<br />

Neppure varrebbe obiettare che « o si dà certezza al conferimento<br />

––––––––––––<br />

(66) Cfr. Cass., 23 febbraio 1994, n. 1780, in Giust. civ. 1994, I, p. 1895, con nota<br />

di Caputo, Difensore sfornito di procura e pronuncia sulle spese.<br />

(67) Così Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Torino 1959, p. 408.


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 611<br />

<strong>del</strong>l’incarico o si lascia aperta la porta al disconoscimento <strong>del</strong>l’opera <strong>del</strong> difensore<br />

» (68). È agevole infatti replicare che, anche a non voler considerare<br />

che, come abbiamo appena ricordato, neanche la procura rilasciata nelle<br />

forme <strong>del</strong>l’art. 83 c.p.c. dà certezza <strong>del</strong> conferimento <strong>del</strong>l’incarico difensivo,<br />

il rischio di abusi da parte degli avvocati sembra meramente virtuale (69). A<br />

riprova, basti pensare che, come è stato di recente ricordato, nel Regno <strong>del</strong>le<br />

Due Sicilie, dove sulla scia <strong>del</strong> c.p.c. francese <strong>del</strong> 1806 era stato adottato il<br />

sistema <strong>del</strong> mandato presunto (peraltro tuttora vigente in Francia) e dove era<br />

stato previsto che l’operato <strong>del</strong> difensore potesse essere sconfessato dalla<br />

parte assistita mediante il c.d. giudizio di disapprovazione (l’equivalente <strong>del</strong><br />

désaveu francese), non risulta che tale giudizio sia mai stato proposto (70).<br />

D’altra parte, il désaveu non esiste più neppure in Francia, dove qualche<br />

tempo fa il legislatore, prendendo atto <strong>del</strong>la sua inutilità, lo ha soppresso<br />

(71). Pertanto, alla luce di questi significativi dati di fatto, non pare vi sia<br />

motivo di sopravvalutare il pericolo di disconoscimento <strong>del</strong>l’operato <strong>del</strong> difensore.<br />

Del resto, ove mai dovessero sorgere dubbi sull’esistenza dei poteri<br />

rappresentativi in capo al difensore non munito di procura scritta, il giudice<br />

potrebbe pur sempre far ricorso al potere riconosciutogli dall’art. 182, comma<br />

1°, c.p.c. e invitare l’avvocato « a completare o a mettere in regola gli<br />

atti che riconosce difettosi » (72), provando così, come propose Mortara<br />

all’inizio <strong>del</strong> secolo scorso (73), l’esistenza <strong>del</strong>l’incarico difensivo.<br />

Comunque, a riprova <strong>del</strong>la necessità di sdrammatizzare il problema <strong>del</strong>la<br />

c.d. procura e <strong>del</strong>l’opportunità di avere fiducia <strong>del</strong>l’avvocato che dichiara di<br />

agire per la parte, possono farsi anche altre considerazioni.<br />

Anzitutto, nel campo stragiudiziale nessuno osa porre in dubbio la pa-<br />

––––––––––––<br />

(68) Così Punzi, Note sul ministero <strong>del</strong> difensore, cit., p. 175.<br />

(69) In tal senso cfr. Balena, Sulle conseguenze, cit., c. 562.<br />

(70) Cipriani, Le leggi <strong>del</strong>la procedura nei giudizi civili <strong>del</strong> Regno <strong>del</strong>le Due Sicilie,<br />

in Codice per lo Regno <strong>del</strong>le Due Sicilie, 1819, a cura di Picardi e Giuliani, Milano<br />

2004, XXXIV.<br />

(71) In tal senso v. Cipriani, La procura presunta, cit., c. 3154.<br />

(72) Nel senso che l’art. 182 trovi applicazione anche in caso d’irregolarità <strong>del</strong>la<br />

costituzione <strong>del</strong> difensore, v. Satta, Commentario, cit., I, p. 80; Andrioli, Commento,<br />

cit., II, p. 72; Cass., 20 ottobre 1998, n. 10382, in Foro it. Rep. 1998, voce Procedimento<br />

civile, n. 220; Cass., 7 luglio 1995, n. 7490, ibid. 1995, voce cit., n. 129. Secondo<br />

Cipriani - Costantino - Proto Pisani - Verde, L’infinita historia, cit., c. 3442, la<br />

controparte, se dovesse avere dubbi sulla procura, « non ha che da esternarli, sì che<br />

glieli si possa fugare (art. 182, comma 1°, c.p.c.) ». Nel senso che è ben possibile applicare<br />

l’art. 182 per sanare irregolarità <strong>del</strong>la procura, in dottrina v. altresì Chiarloni,<br />

Contrasti tra diritto alla difesa, cit., p. 656; in giurisprudenza, v. Trib. Roma, 4 febbraio<br />

2000, in Rass. dir. civ. 2000, p. 941, e Trib. Milano, 22 marzo 1996, in Giur. it.<br />

1996, I, 2, c. 293.<br />

(73) V., supra, il n. 3.


612<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rola <strong>del</strong>l’avvocato che dichiara di agire per la parte, né tanto meno pretende<br />

che l’avvocato, prima di parlare, dimostri di essere stato autorizzato dal suo<br />

cliente (74).<br />

Nel processo penale, poi, come si è ricordato all’inizio, la nomina <strong>del</strong><br />

difensore <strong>del</strong>l’imputato e <strong>del</strong>la persona offesa « per l’esercizio dei diritti e<br />

<strong>del</strong>le facoltà ad essa attribuiti » non dà affatto luogo a problemi interpretativi<br />

e/o applicativi. Infatti, per rispetto <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> favor defensionis, che<br />

ispira tutta la normativa relativa alla difesa <strong>del</strong>la parte nel processo, da un<br />

lato l’art. 96, comma 2°, c.p.p. si limita a prevedere che la nomina <strong>del</strong> difensore<br />

vada fatta « con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata<br />

alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata »; dall’altro,<br />

dottrina e giurisprudenza, partendo dal presupposto che l’art. 96 c.p.p. « non<br />

è una norma inderogabile ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile,<br />

quindi, di una interpretazione ampia ed elastica in bonam partem<br />

» (75), ritengono comunemente che la nomina <strong>del</strong> difensore <strong>del</strong>l’imputato<br />

ben possa essere desunta da comportamenti e/o fatti concludenti<br />

(76).<br />

––––––––––––<br />

(74) Del resto, la stessa Cassazione, in relazione ad una vicenda in cui si discuteva<br />

<strong>del</strong>l’esistenza di un incarico professionale riguardante attività legale stragiudiziale, ha di<br />

recente affermato che « il mandato professionale può essere conferito anche in forma<br />

verbale, dovendo in tal caso la relativa prova risultare, quantomeno in via presuntiva, da<br />

idonei indizi plurimi, precisi e concordanti » (così Cass., 10 maggio 2004, n. 8850, in<br />

Contratti 2005, p. 155, con nota di Vaglio, La prova presuntiva <strong>del</strong>l’incarico professionale).<br />

(75) Così Cass., 27 marzo 2003, in Foro it. Rep. 2003, voce Difensore penale, n. 24.<br />

(76) In dottrina, v. Cordero, Procedura penale, 6 a ed., Milano 2001, p. 285;<br />

Randazzo, Difesa e difensore, in AA. VV., Protagonisti e comprimari <strong>del</strong> processo<br />

penale, a cura di Chiavario - Marzaduri, Torino 1996, p. 257; Plessi, Nomina <strong>del</strong> difensore<br />

mediante telegramma, in Cass. pen. 1998, p. 2638; Patanè, Forma <strong>del</strong><br />

« mandato specifico » <strong>del</strong> contumace al difensore per impugnare, in Giust. pen. 1992,<br />

III, p. 516. In giurisprudenza, v. Cass., 13 febbraio 2004, Castellana, in Foro it. Rep.<br />

2004, voce Difensore penale, n. 13, secondo la quale « la nomina <strong>del</strong> difensore può<br />

desumersi anche dal comportamento univocamente indicativo <strong>del</strong>la volontà di avvalersi<br />

<strong>del</strong> professionista, ravvisabile nell’autenticazione <strong>del</strong>la firma <strong>del</strong>l’interessato<br />

sull’istanza diretta all’applicazione di una misura alternativa »; Cass., 27 marzo 2003,<br />

Giambruno, ibid. 2003, voce cit., n. 24, che ha ritenuto sufficiente a dimostrare<br />

l’esistenza <strong>del</strong>l’atto di nomina « la circostanza che l’imputato, fisicamente non presente<br />

in giudizio, fosse stato assistito, nel corso di almeno due anni e durante più fasi<br />

procedimentali, da un professionista non ritualmente investito <strong>del</strong>la funzione difensiva<br />

la cui opera non era mai stata contestata ed era proseguita con la redazione e la<br />

presentazione <strong>del</strong>l’atto di appello in relazione al quale non era intervenuta alcuna<br />

rinunzia da parte <strong>del</strong>l’imputato »; Cass., 17 maggio 1996, Lo Piano, in Giust. pen.<br />

1998, III, p. 40. Nel vigore <strong>del</strong> c.p.p. <strong>del</strong> 1930, v. Cass., 9 gennaio 1987, Ursida, ivi<br />

1985, III, p. 673 secondo la quale « la nomina <strong>del</strong> difensore di fiducia ha natura di


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 613<br />

È infine utile ricordare che anche negli ordinamenti stranieri la nomina <strong>del</strong><br />

difensore non rappresenta un problema. In Francia, gli avvocati (peraltro da<br />

tempo immemorabile) non hanno alcun obbligo di provare il conferimento<br />

<strong>del</strong>l’incarico difensivo, che è presunto (art. 416, comma 2°, n.c.p.c.) (77);<br />

in Austria, il riferimento fatto da un avvocato al mandato rilasciatogli sostituisce<br />

la prova documentale <strong>del</strong>l’incarico davanti a tutti i tribunali e a tutte le autorità<br />

(78); in Svizzera, nel processo federale, non è prevista alcuna disciplina<br />

formale per il conferimento <strong>del</strong> potere rappresentativo (79); in Germania all’avvocato<br />

è persino consentito agire provvisoriamente senza incarico difensivo,<br />

salva ratifica <strong>del</strong> suo operato (80); in Spagna la nomina può avvenire non solo<br />

––––––––––––<br />

negozio a forma libera (…); pertanto, la mancanza di una espressa dichiarazione di<br />

nomina può non avere incidenza sulla sua validità allorché dagli atti risulti una situazione<br />

concreta ed obiettiva di patrocinio, indicativa <strong>del</strong> conferito incarico, desumibile<br />

da fatti e comportamenti concludenti ed univoci »; Cass., 1° marzo 1984, Orio, in Riv.<br />

pen. 1985, p. 404, che ha affermato che « la mancanza di una espressa dichiarazione<br />

di nomina <strong>del</strong> difensore (…) non ha rilevanza, qualora una obiettiva situazione di patrocinio,<br />

esercitata nell’interesse <strong>del</strong>l’imputato, offra indicazione sicura <strong>del</strong> conferito<br />

incarico ».<br />

Va peraltro ricordato che, per la nomina <strong>del</strong> difensore <strong>del</strong>la parte civile, <strong>del</strong> responsabile<br />

civile, <strong>del</strong>la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e degli enti<br />

e <strong>del</strong>le associazioni che intervengono ex art. 93 c.p.p., l’art. 100 c.p.p. ricalca, con<br />

qualche aggiustamento, l’art. 83 c.p.c. « trattandosi, in definitiva, di parti che agiscono<br />

nell’ambito di un rapporto civilistico, ancorché inserito nel processo penale » (così la<br />

Relazione al Progetto preliminare <strong>del</strong> c.p.p., in Lattanzi-Lupo, Il nuovo codice di procedura<br />

penale, Annotato con le relazioni e con i lavori preparatori, 2 a ed., Milano<br />

1991, p. 226).<br />

(77) Va precisato che siffatta presunzione è semplice, in quanto la parte, se falsamente<br />

rappresentata, ha sempre la possibilità di provarlo, in modo da non essere vincolata<br />

agli atti compiuti per suo conto dal falso rappresentante. In dottrina, v. Vincent-<br />

Guinchard, Procédure civile, 27 a ed., Paris 2003, p. 456 e ss., spec. 470; Cornu-Foyer,<br />

Procédure civile, Paris 1997, p. 292 e ss.<br />

(78) Ai sensi <strong>del</strong> § 30 <strong>del</strong>la ZPO austriaca e <strong>del</strong> § 8 <strong>del</strong> RAO (e cioè <strong>del</strong>la legge regolatrice<br />

<strong>del</strong>l’ordinamento degli avvocati), gli avvocati non hanno bisogno di produrre il<br />

documento da cui risulta il mandato, essendo sufficiente che essi facciano un mero riferimento<br />

alla procura già rilasciata dal cliente.<br />

(79) La legge di procedura civile federale dispone all’art. 18 che le parti possono<br />

farsi rappresentare da un procuratore, che le modalità <strong>del</strong> conferimento <strong>del</strong>la rappresentanza<br />

sono disciplinate dalle norme <strong>del</strong> codice <strong>del</strong>le obbligazioni, sì che non solo non è<br />

prevista alcuna disciplina formale, ma l’attività processuale svolta senza il relativo incarico<br />

è sempre ratificabile dal rappresentato.<br />

(80) Invero la legge processuale civile tedesca disciplina compiutamente il caso<br />

<strong>del</strong> rappresentante che sta in giudizio senza incarico difensivo ovvero che non è in<br />

grado di provarne l’esistenza. Ai sensi <strong>del</strong> § 89 ZPO, questi può comunque essere<br />

ammesso dal giudice a stare in giudizio provvisoriamente. Tuttavia la sentenza può


614<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

in forma autentica, ma anche con dichiarazione resa dalla parte innanzi<br />

all’autorità giudiziaria (81). Estremamente significativo è poi il Regolamento di<br />

procedura <strong>del</strong>la Corte di giustizia <strong>del</strong>le Comunità europee, per il quale il difensore<br />

(anche quello italiano…), per patrocinare innanzi ai giudici di Lussemburgo,<br />

non deve provare di essere stato officiato dalla parte che dichiara di difendere,<br />

bensì soltanto di essere avvocato, depositando in cancelleria « un certificato<br />

da cui risulti che egli è abilitato a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale<br />

di uno Stato membro » (art. 38, par. 3°) (82).<br />

––––––––––––<br />

essere emessa soltanto dopo che è trascorso il termine assegnato per l’esibizione <strong>del</strong>la<br />

procura. Qualora il rappresentante esibisca la procura, il giudice provvede. In caso<br />

contrario, il giudice non può provvedere e il rappresentante ammesso provvisoriamente<br />

alla trattazione è condannato al pagamento <strong>del</strong>le spese <strong>del</strong> procedimento, nei<br />

limiti in cui siano state da lui provocate. Per quanto attiene poi alla disciplina <strong>del</strong>la<br />

procura, va detto che il rilascio <strong>del</strong>l’incarico difensivo consiste in una dichiarazione<br />

unilaterale <strong>del</strong> rappresentato di conferire il potere rappresentativo, che, se riguarda<br />

soltanto il processo, non richiede alcuna forma particolare, ben potendo consistere in<br />

una dichiarazione diretta all’avversario, al rappresentante o anche all’organo giudiziario.<br />

Ricordato che in Germania si distingue un processo “di parti” e un processo<br />

“di avvocati”, per quanto attiene alla prova <strong>del</strong> conferimento <strong>del</strong>la procura, mentre<br />

l’indagine sull’esistenza dei poteri rappresentativi nel processo “di parti” dovrebbe<br />

essere svolta d’ufficio, nel processo “di avvocati”, l’indagine è subordinata alla richiesta<br />

<strong>del</strong>la controparte (§ 88). In caso di richiesta l’avvocato deve giustificare i<br />

propri poteri dando prova scritta <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong>l’incarico. Da notare che la parte<br />

può sempre ratificare l’operato processuale <strong>del</strong> rappresentante senza procura, a condizione<br />

che la ratifica sia senza limiti. In tal modo, il difetto di rappresentanza è sanato<br />

ex tunc, ossia a decorrere dall’inizio <strong>del</strong> processo. In dottrina, v. Putzo in Thomas –<br />

Putzo, Zivilprozeßordnung, Munchen 2001, p. 180.<br />

(81) Secondo il c.p.c. spagnolo, l’incarico difensivo al procuratore è conferito<br />

per il tramite <strong>del</strong> poder, parola con la quale si indica tanto la dichiarazione di volontà<br />

resa dal conferente, quanto il documento che formalizza tale conferimento. Tale documento<br />

può consistere in una scrittura pubblica (art. 24 l.e.c., nonché art. 1285, n. 5,<br />

c.c.) o nel c.d. apud acta, ossia la comparizione personale <strong>del</strong>la parte innanzi al segretario<br />

<strong>del</strong>l’autorità giudiziaria innanzi alla quale si procede (art. 24 l.e.c.). Il documento<br />

per atto pubblico deve essere esibito col primo scritto difensivo. Tuttavia, ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 27 l.e.c., eccezion fatta per le disposizioni espresse sul rapporto fra<br />

conferente e procuratore, alla rappresentanza processuale si applicano le norme (artt.<br />

1709 - 1739 c.c.) stabilite dal contratto di mandato nel codice civile. Ciò significa che<br />

l’eventuale inesistenza <strong>del</strong> poder può essere sanata con efficacia ex tunc, nel termine<br />

che il giudice assegna, nonché che eventuali vizi sono sempre emendabili con la produzione<br />

di un altro poder o per atto pubblico o per apud acta. In dottrina, v. Montero<br />

Aroca, Gomez Colomer, Monton Redondo, Barona Vilar, El nuevo proceso civil (Ley<br />

1/2000), Valencia 2000, p. 108.<br />

(82) V. Biavati, Diritto processuale <strong>del</strong>l’Unione Europea, 3 a ed., Milano 2005,<br />

p. 129.


LA NOMINA DEL DIFENSORE NEL PROCESSO CIVILE 615<br />

Quindi, è <strong>del</strong> tutto evidente che solamente nel processo civile italiano,<br />

benché la legge non obblighi affatto a considerare essenziale la “procura” rilasciata<br />

per iscritto, ci si ostina a ritenere che, in difetto di quella formalità, il difensore<br />

non possa neppure parlare.<br />

Pertanto, per evitare che la c.d. procura continui a far parlare di sé e a<br />

essere talvolta fonte di beffarde ingiustizie (83), è auspicabile una svolta<br />

<strong>del</strong>la giurisprudenza che affermi a chiare lettere che, sia pure con riferimento<br />

ai soli giudizi di merito (84), la nomina <strong>del</strong> difensore può essere desunta anche<br />

da fatti o comportamenti concludenti, come peraltro già avviene, senza<br />

––––––––––––<br />

(83) In proposito, va ricordato che la Commissione ministeriale di studio per la riforma<br />

<strong>del</strong> processo civile presieduta dal prof. Romano Vaccarella, movendo giust’appunto<br />

dalla considerazione che il regime <strong>del</strong>la procura rappresenta « lamentata fonte di<br />

formalismi e speculazioni », ha proposto di « disciplinare la procura alla lite consentendo,<br />

in ogni caso di contestazione, la ratifica <strong>del</strong>l’operato <strong>del</strong> difensore » (punto n. 9 <strong>del</strong>la<br />

Relazione conclusiva dei lavori presentata il 12 luglio 2002). La relazione è consultabile<br />

nel sito internet www.giustizia.it.<br />

(84) Invero, mentre per i giudizi di merito sembra consentito desumere<br />

l’esistenza <strong>del</strong>l’atto di nomina anche da facta concludentia, un discorso a parte va<br />

fatto per quello di legittimità. Infatti, l’art. 365 c.p.c. prevede espressamente che il<br />

difensore sia munito di procura speciale a pena d’inammissibilità <strong>del</strong> ricorso e l’art.<br />

369 c.p.c. impone a pena d’improcedibilità il deposito <strong>del</strong>la procura speciale conferita<br />

con atto separato nel termine ivi indicato e senza alcuna possibilità di deposito tardivo<br />

(in tal senso, v., per tutte, Cass., sez. un., 14 novembre 2003, n. 17304, in Foro it.<br />

Rep. 2003, voce Cassazione civile, n. 225). Se ne deve dedurre che la procura speciale<br />

per il giudizio di cassazione deve necessariamente risultare da atto scritto. Tuttavia,<br />

in proposito non si può non rilevare che la previsione di una procura “speciale”<br />

per il giudizio di legittimità appare ingiustificata. Infatti, se sotto l’impero <strong>del</strong> c.p.c.<br />

<strong>del</strong> 1865 tale previsione trovava la propria ragion d’essere nella natura straordinaria<br />

<strong>del</strong>l’impugnazione (cfr. Mortara, Manuale <strong>del</strong>la procedura civile, 9 a ed., Torino rist.<br />

1929, II, p. 133), oggi non è più così, essendo oramai da tempo il ricorso per cassazione<br />

un’impugnazione ordinaria. Si aggiunga che la sanzione di improcedibilità senza<br />

possibilità di sanatoria è foriera di gravissimi inconvenienti. A riprova, basti ricordare<br />

la nota vicenda <strong>del</strong>la controversia Imi-Eredi Rovelli, conclusasi con la dichiarazione<br />

di improcedibilità <strong>del</strong> ricorso per cassazione proposto dall’Imi, a causa <strong>del</strong><br />

mancato deposito, nei termini, <strong>del</strong>la procura speciale ex art. 365 c.p.c. rilasciata per<br />

atto separato e con autentica notarile. Per effetto di siffatta dichiarazione di improcedibilità,<br />

l’Imi, che era difesa nientemeno che da Natalino Irti, Pietro Guerra e Carmine<br />

Punzi, fu condannata a pagare agli Eredi Rovelli un importo vicino ai mille miliardi<br />

di lire (Cass., 14 luglio 1993, n. 7802, in Foro it. 1993, I, c. 3018 e ss., con nota di<br />

Tombari Fabbrini, Inammissibilità e improcedibilità <strong>del</strong> ricorso per cassazione e possibili<br />

sanatorie per raggiungimento <strong>del</strong>lo scopo). Pertanto, la dottrina più attenta ha<br />

auspicato l’abolizione <strong>del</strong>la procura “speciale” per il giudizio di cassazione. In tal<br />

senso, v. Cipriani - Costantino - Proto Pisani - Verde, L’infinita historia, cit., c. 3442;<br />

Acone, La procura speciale, cit., p. 1169.


616<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

alcun problema, nel processo penale per il difensore <strong>del</strong>l’imputato. E,<br />

in questa prospettiva, non si può non rilevare che recenti sentenze <strong>del</strong>la<br />

S. Corte lasciano ben sperare sia perché, come abbiamo già avuto modo<br />

di dire, in tema di procura rilasciata con firma illeggibile da legale rappresentante<br />

di persona giuridica, le Sezioni unite hanno modificato in senso<br />

realistico la propria posizione (85), tanto da indurre ad affermare che la<br />

pronuncia rappresenta « un altro importante tassello nell’opera di demolizione<br />

<strong>del</strong> rigore formalistico in tema di procura alle liti » (86); sia, soprattutto,<br />

perché la Cassazione ha avvertito che il principio <strong>del</strong> giusto processo<br />

ex art. 111, comma 1°, Cost., impone « di discostarsi da interpretazioni<br />

suscettibili di ledere il diritto di difesa di chi rilascia la procura » oppure<br />

ispirate a un formalismo che non tutela l’interesse <strong>del</strong>la controparte, ma frustra<br />

lo scopo stesso <strong>del</strong> processo, e cioè la pronuncia di una decisione di merito<br />

(87).<br />

GIOVANNI DELUCA<br />

Ricercatore<br />

nell’Università di Bari<br />

––––––––––––<br />

(85) Ci si riferisce a Cass., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4810, in Giur. it. 2005,<br />

p. 1210, di cui si è innanzi detto nella nota 50.<br />

(86) Chiarloni, La giustizia vince sulla procedura, cit., p. 1213.<br />

(87) V. Cass., 9 giugno 2004, n. 10963, in Foro it. Rep. 2004, voce Procedimento<br />

civile, n. 121; Cass., 29 gennaio 2003, ivi 2003, I, c. 2665.


ATTUALITÀ LEGISLATIVA<br />

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE<br />

(1° gennaio – 31 marzo 2006)<br />

SOMMARIO: 1. Disposizioni generali. – 2. La riforma <strong>del</strong> processo civile. – 3.<br />

Segue: la riforma <strong>del</strong>la Cassazione. – 4. Segue: la riforma <strong>del</strong>l’arbitrato. –<br />

5. Segue: altre disposizioni riguardanti il processo civile. – 6. Processo civile<br />

telematico e informatizzazione <strong>del</strong>la p.a. – 7. Ordinamento giudiziario.<br />

– 8. Professioni. – 9. Immigrazione. – 10. Riforma <strong>del</strong>le procedure<br />

concorsuali. – 11. Conflitti economici: diritto societario e bancario. – 12.<br />

Codici di settore. – 13. Università e ricerca. – 14. Ratifica di trattati e convenzioni<br />

internazionali.<br />

1. – I dd. P.R. 11 febbraio 2006, n. 32 e n. 33 (in Gazz. uff. 11 febbraio<br />

2006, n. 35) hanno sancito la fine <strong>del</strong>la XIV legislatura repubblicana: con il<br />

primo sono stati sciolti la Camera ed il Senato, con il secondo sono stati convocati<br />

i comizi per le elezioni.<br />

Nel Supplemento ordinario n. 34 <strong>del</strong>la Gazz. uff. <strong>del</strong>l’8 febbraio 2006,<br />

n. 32, è stata pubblicata la legge comunitaria <strong>del</strong> 2005 (l. 25 gennaio 2006.<br />

n. 29), per l’attuazione di numerose direttive, elencate negli allegati A, B, e C.<br />

Tra queste, appaiono meritevoli di essere segnalate quelle per la istituzione di<br />

una nuova struttura organizzativa per i comitati <strong>del</strong> settore dei servizi finanziari;<br />

quella relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato<br />

interno; quella concernente il regime fiscale comune applicabile alle società<br />

madri e figlie di Stati membri diversi; quella relativa all’indennizzo <strong>del</strong>le vittime di<br />

reato; quella recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o<br />

apolidi, <strong>del</strong>la qualifica di rifugiato; quella sull’armonizzazione degli obblighi di<br />

trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono<br />

ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato; quella sul principio di<br />

parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi;<br />

quella sull’assicurazione <strong>del</strong>la responsabilità civile risultante dalla circolazione<br />

di autoveicoli; quella relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni,<br />

alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società<br />

di Stati membri diversi; quella relativa al riconoscimento <strong>del</strong>le qualifiche professionali;<br />

quella relativa alla prevenzione <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong> sistema finanziario a scopo di<br />

riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento <strong>del</strong> terrorismo.<br />

Qualora non vi provveda direttamente il legislatore <strong>del</strong>egato, l’attuazione


618<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

di ciascuna <strong>del</strong>ega appare destinata a suscitare complessi problemi di coordinamento<br />

con la legislazione medio tempore sopravvenuta.<br />

2. – Nel periodo considerato è stata completata la riforma <strong>del</strong> processo civile<br />

avviata con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni con la<br />

legge 14 maggio 2005, n. 80.<br />

Il d.l. 30 dicembre 2005, n. 271, intitolato « Proroga di termini in materia<br />

di efficacia di nuove disposizioni che modificano il processo civile », non è stato<br />

convertito in legge, ma quanto da esso stabilito è stato inserito nell’art. 39quater<br />

l. 23 febbraio 2006, n. 51 (in Gazz. uff. 28 febbraio 2006, n. 49 - Suppl.<br />

ord., n. 47), che ha convertito il d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, sulla proroga di<br />

termini relativi all’esercizio di <strong>del</strong>eghe legislative: la data di entrata in vigore<br />

<strong>del</strong>la riforma è stata spostata dal 1° gennaio al 1° marzo 2006.<br />

A questa data, è entrata in vigore, per i processi di cognizione iniziati successivamente,<br />

la riforma <strong>del</strong> processo ordinario di cognizione, <strong>del</strong> processo cautelare,<br />

<strong>del</strong> procedimento possessorio, dei processi di separazione e di divorzio.<br />

Alla stessa data è entrata in vigore la riforma <strong>del</strong> processo esecutivo, ma<br />

questa è stata dichiarata applicabile anche ai processi pendenti nei quali non sia<br />

stata disposta la vendita, con la precisazione che, in ogni caso, « l’intervento dei<br />

creditori non muniti di titolo esecutivo conserva efficacia se avvenuto prima <strong>del</strong><br />

1° marzo 2006 ».<br />

Alla riforma <strong>del</strong> processo esecutivo di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35,<br />

convertito con modificazioni con l. 14 maggio 2005, n. 80, ed alla riforma <strong>del</strong>la<br />

riforma di cui alla l. 28 dicembre 2005, n. 263, ha fatto seguito la riforma <strong>del</strong>la<br />

riforma <strong>del</strong>la riforma di cui alla l. 24 febbraio 2006, n. 52 « Riforma <strong>del</strong>le esecuzioni<br />

mobiliari » (in Gazz. uff. 28 febbraio 2006, n. 49), vigente anch’essa dal<br />

1° marzo 2006.<br />

Questa legge, nonostante il titolo riduttivo, modifica significativamente<br />

anche le opposizioni e la sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Essa prevede un onere di collaborazione a carico <strong>del</strong> debitore per quanto riguarda<br />

la ricerca dei beni pignorabili; attribuisce, allo stesso fine, all’ufficiale<br />

giudiziario o ad un professionista da questo designato, poteri ispettivi; impone che<br />

il verbale di pignoramento mobiliare sia redatto anche « mediante rappresentazione<br />

fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva »; consente che il terzo<br />

debitor debitoris renda la dichiarazione « a mezzo raccomandata inviata al<br />

creditore procedente »; regola con il rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.<br />

l’udienza innanzi al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione; rende inappellabili le sentenze sulla<br />

opposizione alla esecuzione ai sensi <strong>del</strong>l’art. 615 c.p.c. e sulla opposizione di terzo<br />

ex art. 619 c.p.c. Il novellato art. 624, comma 3°, attribuisce al giudice « che<br />

ha disposto la sospensione » il potere di dichiarare « con ordinanza non impugnabile<br />

» « l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento (sic), previa eventuale imposizione di<br />

cauzione e con salvezza degli atti compiuti ». La disposizione chiarisce altresì che<br />

« l’autorità <strong>del</strong>l’ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi <strong>del</strong> presente comma<br />

non è invocabile in un diverso processo ».


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 619<br />

La disposizione novellata, prescindendo dagli immediati profili pratici ed<br />

applicativi, in considerazione dei riflessi teorici e sistematici, appare destinata a<br />

contribuire ad un rinascimento degli studi processualistici.<br />

Altre complesse questioni di coordinamento si pongono in relazione alla l.<br />

8 febbraio 2006, n. 54, « Disposizioni in materia di separazione dei genitori e<br />

affidamento condiviso dei figli » (in Gazz. uff. 1° marzo 2006, n. 50).<br />

Questa legge si compone di cinque articoli: l’art. 1 modifica l’art. 155 c.c. ed<br />

aggiunge gli artt. 155-bis, ter, quater, quinquies, e sexies c.c., che regolano le<br />

condizioni, i presupposti e le modalità <strong>del</strong>l’affidamento dei minori nei giudizi di<br />

separazione; l’art. 2 aggiunge un comma 4° all’art. 708 c.p.c., nonché l’art. 709ter<br />

c.p.c.: prevede il reclamo contro i provvedimenti presidenziali e detta norme<br />

processuali « per la soluzione <strong>del</strong>le controversie » sull’esercizio <strong>del</strong>la potestà genitoriale<br />

e sulle « modalità <strong>del</strong>l’affidamento »; l’art. 3 estende le sanzioni penali<br />

previste dall’art. 12-sexies, l. 1° dicembre 1970, n. 898 (quale modificata dalla l. 6<br />

marzo 1987, n. 74); l’art. 4, comma 1°, consente la modifica di quanto stabilito in<br />

relazione all’affidamento dei figli anche in riferimento ai processi di separazione,<br />

di divorzio e di annullamento <strong>del</strong> matrimonio già conclusi; il comma 2° trascura<br />

la circostanza che la qualità di genitori non implica necessariamente una precedente<br />

convivenza ed estende la disciplina « ai procedimenti relativi ai figli di genitori<br />

non coniugati »; l’art. 5 prescinde dagli effetti <strong>del</strong>la illimitata possibilità di<br />

chiedere la revisione <strong>del</strong>le statuizioni relative all’affidamento e stabilisce che<br />

«non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico <strong>del</strong>la finanza pubblica».<br />

Questa legge non contiene una disciplina transitoria specifica; le nuove disposizioni<br />

da essa previste sono, quindi, regolate dal principio generale tempus<br />

regit actum e sono applicabili anche ai processi pendenti. Poiché la menzionata<br />

legge n. 51 limita ai processi di cognizione iniziati dopo il 1° marzo 2006<br />

l’entrata in vigore <strong>del</strong>la riforma di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito<br />

con modificazioni con la legge 14 maggio 2005, n. 80, ed ancora modificato<br />

dalla l. 28 dicembre 2005, n. 263, e dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52, ne consegue<br />

che gli artt. 708, comma 3°, e 709-ter c.p.c., novellati dalla l. 54/2006 si applicano<br />

anche ai processi pendenti, mentre l’art. 709-bis, novellato dalla l. 80/2005<br />

si applica soltanto ai processi iniziati dopo il 1° marzo 2006.<br />

Analoghe questioni di diritto intertemporale si pongono in relazione alla<br />

l. 21 febbraio 2006, n. 102 (in Gazz. uff. 17 marzo 2006, n. 64), che ha esteso « le<br />

norme processuali di cui al libro II, titolo IV, capo I <strong>del</strong> codice di procedura civile<br />

», cioè il rito <strong>del</strong> lavoro di cui agli artt. 413 ss. c.p.c., « alle cause relative al<br />

risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali ».<br />

Anche questa ennesima ondata <strong>del</strong>lo tsunami di riforme, infatti, è priva di una<br />

disciplina transitoria specifica, cosicché le nuove previsioni si applicano anche ai<br />

processi pendenti: qualora sia stato chiesto il risarcimento dei danni alla persona e<br />

non sia stata avanzata alcuna pretesa per il risarcimento dei danni alle cose, anche<br />

i processi pendenti dovranno proseguire nelle forme <strong>del</strong> rito speciale. Se, invece,<br />

sia stato chiesto congiuntamente il risarcimento dei danni alle cose ed alla persona,<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 40, comma 3°, c.p.c., il rito ordinario dovrebbe prevalere su


620<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

quello speciale, perché l’estensione <strong>del</strong> rito <strong>del</strong> lavoro non implica inclusione<br />

<strong>del</strong>le controversie tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 c.p.c.<br />

L’art. 5 modifica l’art. 24 l. 24 dicembre 1969, n. 990, e detta nuove regole<br />

per l’ordinanza di condanna in favore dei danneggiati in stato di bisogno. Sennonché<br />

il Codice <strong>del</strong>le assicurazioni di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, in<br />

vigore dal 1° gennaio 2006, all’art. 354, ha abrogato l’intera legge n. 990 <strong>del</strong><br />

1969 e, all’art. 147, ha disciplinato l’ordinanza in parola.<br />

3. – Il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in Gazz. uff. 15 febbraio 2006, n. 38 -<br />

Suppl. ord., n. 40), ha attuato la <strong>del</strong>ega per la riforma <strong>del</strong>la Cassazione e<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato: gli artt. da 1 a 20, nonché l’art. 26, riguardano la Cassazione; da<br />

21 a 25 l’arbitrato.<br />

L’art. 27 contiene la disciplina transitoria: per quanto riguarda la riforma<br />

<strong>del</strong>la Cassazione, in deroga al principio generale tempus regit actum, è stabilito<br />

il principio tempus regit « gradum »; per quanto riguarda l’arbitrato, parzialmente,<br />

quello tempus regit processum.<br />

I principî e i criterî direttivi <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega corrispondono a quelli di cui al<br />

d.d.l. n. 4578/C/XIV, approvato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2003,<br />

presentato alla Camera il 19 dicembre successivo, ma giammai esaminato né<br />

assegnato ad alcuna commissione, e corrispondente, a sua volta, al progetto elaborato<br />

dalla Commissione presieduta dal professore Romano Vaccarella, che<br />

aveva concluso i lavori il 12 luglio 2002.<br />

Sulla prima parte, il 21 luglio 2005, si è pronunciata l’Assemblea <strong>del</strong>la<br />

Corte di cassazione.<br />

Per effetto di questo decreto legislativo, non sono più ricorribili per cassazione<br />

le sentenze non definitive su questioni, in sintonia con quanto previsto<br />

dall’art. 11, comma 2°, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (rettificato dall’Avviso pubblicato<br />

nella Gazz. uff. <strong>del</strong> 9 settembre 2003, corretto dal d.lgs. 6 febbraio 2004,<br />

n. 37, e dal d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310). Sono anche sottratti alla Cassazione<br />

civile, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 2, lett. l), l. 25 luglio 2005, l. 150, sulla riforma<br />

<strong>del</strong>l’ordinamento giudiziario, i ricorsi contro le decisioni <strong>del</strong>la sezione disciplinare<br />

<strong>del</strong> Consiglio Superiore <strong>del</strong>la Magistratura. Inoltre, non sono più direttamente<br />

ricorribili per cassazione le sentenze pronunciate secondo equità dal giudice<br />

di pace e quelle in tema di sanzioni amministrative: i novellati artt. 339<br />

c.p.c. e 23 l. 24 novembre 1981, n. 689, hanno reso tali sentenze appellabili.<br />

Sennonché, lo sgravio di lavoro per la Corte, conseguente alle disposizioni<br />

appena indicate, coincide con l’aggravio derivante dalla ricorribilità <strong>del</strong>le sentenze<br />

in grado di appello o in unico grado per violazione dei contratti collettivi<br />

e dalla possibilità di dedurre tutti i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., anche nei ricorsi<br />

straordinari per violazione di legge, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 111, comma 7° (già<br />

2°) Cost.; nonché, soprattutto, dalla immediata ricorribilità dei decreti camerali<br />

decisori <strong>del</strong>le controversie che nascono dal fallimento per le quali non sia prevista<br />

una disciplina specifica, dei decreti sull’accertamento <strong>del</strong> passivo e dei decreti<br />

sulla esdebitazione, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 24, 99 e 143 l.f.,


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 621<br />

quali novellati dal d.lgs. 5/2006, di cui più oltre; <strong>del</strong>le sentenze sulla opposizione<br />

alla esecuzione e sulla opposizione di terzo alla esecuzione, ai sensi <strong>del</strong>l’art.<br />

616 c.p.c., novellato dalla riforma <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> processo civile<br />

di cui alla l. 52/2006.<br />

Erano e sono ricorribili innanzi alla Cassazione civile non solo tutti i provvedimenti<br />

decisorî e definitivi, quale che sia la forma, ma anche le decisioni<br />

disciplinari <strong>del</strong> Consiglio Nazionale Forense, <strong>del</strong> Consiglio Nazionale <strong>del</strong> Notariato<br />

e dei corrispondenti organi previsti per le altre categorie professionali.<br />

Ai sensi <strong>del</strong> nuovo art. 366-bis c.p.c. « Nei casi previsti dall’articolo 360,<br />

primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve<br />

concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.<br />

Nel caso previsto dall’articolo 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di<br />

ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione<br />

<strong>del</strong> fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o<br />

contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza <strong>del</strong>la<br />

motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione ».<br />

I nuovi artt. 375, 380, 380-bis, e 391-bis c.p.c. estendono i casi nei quali la<br />

Corte provvede senza udienza pubblica. È attribuito al relatore il potere di chiedere<br />

la decisione in camera di consiglio, ma il collegio, anche in base alle deduzioni<br />

<strong>del</strong>le parti e <strong>del</strong> pubblico ministero, può comunque fissare l’udienza per la<br />

discussione. È ammessa la revocazione anche per gli altri motivi di cui all’art.<br />

395 c.p.c., nonché l’opposizione di terzo.<br />

Sono modificati, dall’art. 374 c.p.c., i rapporti tra le sezioni unite e le sezioni<br />

semplici. In particolare, sono attribuiti alle sezioni unite i ricorsi sulla giurisdizione<br />

solo nel caso di impugnazione di sentenze dei giudici speciali, cosicché<br />

i regolamenti preventivi di giurisdizione dovrebbero essere assegnati alle<br />

sezioni semplici, mentre restano comunque di competenza <strong>del</strong>le sezioni unite<br />

civili i ricorsi contro le decisioni in materia disciplinare <strong>del</strong> Consiglio Nazionale<br />

Forense, <strong>del</strong> Consiglio nazionale <strong>del</strong> Notariato e degli altri ordini professionali.<br />

Le sezioni unite civili sono anche chiamate a decidere le questioni nuove di giurisdizione,<br />

le « questioni di massima di particolare importanza » e a risolvere i<br />

contrasti tra le sezioni semplici; a queste ultime, il comma 3°, vieta di decidere<br />

in modo difforme dalle sezioni unite ed impone, qualora non ne condividano le<br />

indicazioni, di rimettere ad esse la decisione.<br />

Il novellato art. 384, comma 3°, c.p.c. pone limiti all’accoglimento <strong>del</strong>la<br />

terza via; stabilisce che la Corte, « se ritiene di porre a fondamento <strong>del</strong>la sua<br />

decisione una questione rilevata d’ufficio », debba assegnare termini alle parti e<br />

al pubblico ministero « per il deposito in cancelleria di osservazioni ».<br />

L’eventuale violazione appare, tuttavia, priva di conseguenze, anche prescindendo<br />

dal contrasto tra Cass., 31 dicembre 2005, n. 21108; 27 luglio 2005,<br />

n. 15705; 28 gennaio 2004, n. 1572; 5 giugno 2003, n. 8993; 21 novembre<br />

2001, n. 14637 (quest’ultima diversamente commentata da S. Chiarloni in Giur.<br />

it. 2002, 1363, e da F.P. Luiso, in Giust. civ. 2002, I, 1612).<br />

Il nuovo art. 420-bis c.p.c. estende ai rapporti di lavoro privato quanto previ-


622<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

sto dall’art. 64, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (corrispondente all’art. 68-bis d.lgs.<br />

3 febbraio 1993, n. 29, aggiunto dall’art. 30, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, modificato<br />

dall’art. 19, commi 1° e 2° d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 <strong>del</strong> 1998). Il mo<strong>del</strong>lo<br />

è la disciplina <strong>del</strong>le « Controversie regolate da norme corporative » di cui<br />

agli artt. 410, 444 e 467 ss. c.p.c. 1940: l’art. 410, comma 2°, infatti, attribuiva<br />

alla Magistratura <strong>del</strong> lavoro di Roma l’interpretazione dei contratti collettivi in<br />

vigore « in più circoscrizioni »; gli artt. 444 e 470 prevedevano la sospensione<br />

necessaria <strong>del</strong>le controversie individuali in pendenza di quelle collettive;<br />

l’art. 471, come ora il novellato art. 360, n. 3, ammetteva il ricorso per cassazione<br />

anche per violazione o falsa applicazione <strong>del</strong>le norme corporative o degli accordi<br />

economici. Anche nel nuovo contesto normativo, peraltro, la individuazione <strong>del</strong><br />

contratto o accordo collettivo applicabile resta una questione di fatto, in riferimento<br />

alla quale non sembra possa invocarsi il principio jura novit curia.<br />

4. – Il Capo II <strong>del</strong> d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha riformato l’arbitrato.<br />

L’art. 20 ha modificato il Capo I <strong>del</strong> Titolo VIII <strong>del</strong> Libro IV <strong>del</strong> codice, ora<br />

intitolato « Della convenzione d’arbitrato »; gli artt. 21, 22, 23 e 24, rispettivamente,<br />

i Capi II, III, IV e V, i quali conservano gli stessi titoli: « Degli arbitri »,<br />

« Del procedimento », « Del lodo » e « Delle impugnazioni »; l’art. 25 il Capo VI,<br />

che è ora intitolato « Dell’arbitrato secondo regolamenti precostituiti ».<br />

Il nuovo Capo I <strong>del</strong> Titolo VIII <strong>del</strong> Libro IV <strong>del</strong> codice comprende gli articoli<br />

da 806 a 808-quinquies c.p.c. Si specifica che non possono essere oggetto<br />

di arbitrato le controversie che « abbiano per oggetto diritti indisponibili », che<br />

la forma scritta per il compromesso è rispettata anche quando sia espressa « per<br />

telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto <strong>del</strong>la<br />

normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei<br />

documenti teletrasmessi »; l’art. 808-ter regola l’arbitrato « irrituale ».<br />

Il nuovo Capo II comprende gli artt. da 809 a 815 c.p.c.; sono stati aggiunti<br />

gli artt. 813-bis e ter, che corrispondono, rispettivamente, all’art. 813,<br />

comma 3° e comma 2°, nel testo prima vigente.<br />

Il nuovo Capo III comprende gli artt. da 816 a 819-ter c.p.c.; sono stati aggiunti<br />

gli artt. da 816-bis a septies; è attribuito al difensore, anche in mancanza<br />

di procura speciale, il potere di rinunciare agli atti e di concedere la proroga <strong>del</strong><br />

termine per la pronuncia <strong>del</strong> lodo; è regolata l’istruzione probatoria; sono affrontate<br />

le questioni relative alla pluralità di parti, all’intervento e alle conseguenze<br />

degli eventi interruttivi; gli artt. 819-bis e ter regolano rispettivamente<br />

la sospensione <strong>del</strong> processo e i rapporti con l’autorità giudiziaria ordinaria.<br />

Il nuovo Capo IV comprende gli artt. da 820 a 826 c.p.c.; è stato aggiunto<br />

l’art. 824-bis, che corrisponde all’art. 823, comma 4°, e stabilisce che « il lodo<br />

ha dalla data <strong>del</strong>la sua ultima sottoscrizione gli effetti <strong>del</strong>la sentenza pronunciata<br />

dall’autorità giudiziaria ».<br />

Il nuovo Capo V comprende gli artt. da 827 a 831 c.p.c.<br />

La disciplina <strong>del</strong>l’arbitrato « internazionale », già regolato dal Capo VI <strong>del</strong><br />

Titolo VIII <strong>del</strong> Libro IV <strong>del</strong> codice è sostituita da quella <strong>del</strong>l’arbitrato ammini-


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 623<br />

strato, nella quale si rinvia alla normativa di volta in volta per questo prevista e<br />

se ne regolano i rapporti con quella ordinaria.<br />

5. – Con tre distinti dd.m. <strong>del</strong> 23 novembre 2005 (in Gazz. uff. 27 gennaio<br />

2006, n. 22) sono stati prorogati i termini di decadenza per il compimento degli<br />

atti giudiziari nei circondari di Venezia e di Salerno e nel distretto di Milano, a<br />

causa <strong>del</strong>l’irregolare funzionamento di alcuni uffici.<br />

La l. 3 marzo 2006, n. 86 (in Gazz. uff. 13 marzo 2006, n. 60) ha convertito il<br />

d.l. 1° febbraio 2006, n. 23 « Misure urgenti per i conduttori di immobili in condizioni<br />

di particolare disagio abitativo, conseguente a provvedimenti esecutivi di rilascio<br />

in determinati comuni »: l’art. 1 prevede una sospensione legale <strong>del</strong>le esecuzioni<br />

per rilascio nei confronti dei conduttori che hanno nel loro nucleo familiare<br />

persone ultrasessantacinquenni o handicappati gravi, purché non dispongano di<br />

altra abitazione, né di redditi sufficienti ad accedere alla locazione di un nuovo<br />

immobile »; ai sensi <strong>del</strong> comma 4°, tuttavia, « la sospensione non opera in caso di<br />

mancato regolare pagamento <strong>del</strong> canone di locazione e dei relativi oneri accessori<br />

»; per la verifica giudiziale dei requisiti, il comma 3° rinvia all’art. 1, comma 2°,<br />

d.l. 20 giugno 2002, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla l. 1° agosto 2002,<br />

n. 185, il quale, a sua volta, rinvia all’art. 11, commi 5° e 6°, d.l. 23 gennaio 1982,<br />

n. 9, convertito, con modificazioni, dalla l. 25 marzo 1982, n. 94: sul ricorso <strong>del</strong><br />

locatore provvede, con decreto, il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione « sentite le parti, ove lo<br />

reputi indispensabile ». Le forme previste per la tutela <strong>del</strong> diritto all’abitazione meriterebbero<br />

di essere valutate non solo in riferimento ai principî <strong>del</strong> giusto processo<br />

di cui all’art. 111 Cost., ma anche con la rinnovata struttura <strong>del</strong> processo esecutivo<br />

e con la nuova disciplina prevista per gli incidenti cognitivi.<br />

Con d.m. 23 novembre 2005 (in Gazz. uff. 27 gennaio 2006, n. 22) è stato<br />

dettato il regolamento per la « destinazione di beni sequestrati o confiscati a<br />

seguito di operazioni anticontrabbando ».<br />

6. – Il d.lgs. 24 gennaio 2006, n. 36 (in Gazz. uff. 14 febbraio 2006, n. 37)<br />

ha dato attuazione alla direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti<br />

nel settore pubblico.<br />

Il d.m. 7 febbraio 2006 (in Gazz. uff. 14 febbraio 2006, n. 37) ha dettato le<br />

modalità di accesso al servizio di informatica giuridica <strong>del</strong> Centro elettronico di<br />

documentazione <strong>del</strong>la Corte di cassazione e per la fruizione <strong>del</strong> relativo servizio<br />

ed ha determinato le relative tariffe.<br />

Con d.m. 17 febbraio 2006 (in Gazz. uff. 14 marzo 2006, n. 61) sono state<br />

dettate disposizioni sul servizio di posta elettronica ibrida, ma, con la decisione<br />

<strong>del</strong> 29 marzo 2006, n. 15310 (in Bollettino 13/2006), l’Autorità Garante <strong>del</strong>la<br />

Concorrenza e <strong>del</strong> Mercato ha ritenuto sussistente l’abuso di posizione dominante<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 82 <strong>del</strong> Trattato CE.<br />

7. – Nel trimestre considerato è proseguita l’attuazione <strong>del</strong>le <strong>del</strong>eghe per la<br />

riforma <strong>del</strong>l’ordinamento giudiziario ai sensi <strong>del</strong>la l. 25 luglio 2005, n. 150.


624<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Sono stati emanati il d.lgs. 16 gennaio 2006, n. 20 (in Gazz. uff. 27 gennaio<br />

2006, n. 22), sul conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti;<br />

il d.lgs. 23 gennaio 2006, n. 24 (in Gazz. uff. 3 febbraio 2006, n. 28), che<br />

modifica l’organico dei magistrati addetti alla Corte di cassazione; il d.lgs. 27<br />

gennaio 2006, n. 24 (in Gazz. uff. 3 febbraio 2006, n. 28), sulla istituzione <strong>del</strong><br />

Consiglio direttivo <strong>del</strong>la Corte di cassazione e sulla nuova disciplina dei consigli<br />

giudiziari; il d.lgs. 27 gennaio 2006, n. 26 (in Gazz. uff. 3 febbraio 2006,<br />

n. 28), sulla istituzione <strong>del</strong>la Scuola superiore <strong>del</strong>la magistratura, sul tirocinio e<br />

sulla formazione degli uditori giudiziari, sull’aggiornamento professionale e<br />

sulla formazione dei magistrati; il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 35 (in Gazz. uff. 13<br />

febbraio 2006, n. 36), sulla pubblicità degli incarichi extragiudiziari; il d.lgs. 27<br />

febbraio 2006, n. 106 (in Gazz. uff. 20 marzo 2006, n. 66), sulla riorganizzazione<br />

<strong>del</strong>l’ufficio <strong>del</strong> pubblico ministero. Il d.lgs. 7 febbraio 2006, n. 62 (in Gazz.<br />

uff. 3 marzo 2006, n. 52), infine, ha modificato la disciplina concernente<br />

l’elezione <strong>del</strong> Consiglio di presidenza <strong>del</strong>la Corte dei conti e <strong>del</strong> Consiglio di<br />

presidenza <strong>del</strong>la Giustizia amministrativa.<br />

Con decreto <strong>del</strong> 20 febbraio 2006 (in Gazz. uff. 1° marzo 2006, n. 50), il<br />

Consiglio Superiore <strong>del</strong>la Magistratura ha modificato il proprio regolamento<br />

interno, al quale è stato aggiunto l’art. 29-bis, istitutivo <strong>del</strong> « Comitato per le<br />

pari opportunità in magistratura ».<br />

Il d.lgs. 15 febbraio 2006, n. 63 (in Gazz. uff. 3 marzo 2006, n. 52) ha dettato<br />

l’ordinamento <strong>del</strong>la carriera dirigenziale penitenziaria.<br />

8. – Con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 (in Gazz. uff. 8 febbraio 2006,<br />

n. 32), si è provveduto alla « ricognizione dei principi fondamentali in materia<br />

di professioni ».<br />

Il testo, suddiviso in tre Capi, si compone di sette articoli. L’art. 1 definisce<br />

l’ambito di applicazione <strong>del</strong>la disciplina. L’art. 2, comma 1°, stabilisce che<br />

« L’esercizio <strong>del</strong>la professione, quale espressione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la libertà di<br />

iniziativa economica, è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non<br />

contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume »; il successivo<br />

capoverso vieta ogni discriminazione per ragioni sessuali, razziali, religiose,<br />

politiche o da ogni altra condizione personale o sociale, « secondo<br />

quanto stabilito dalla disciplina statale e comunitaria in materia di occupazione<br />

e condizioni di lavoro ». L’art. 3, intitolato « Tutela <strong>del</strong>la concorrenza e <strong>del</strong><br />

mercato », al comma 1°, dispone che « l’esercizio <strong>del</strong>la professione si svolge<br />

nel rispetto <strong>del</strong>la disciplina statale <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong>la concorrenza, ivi compresa<br />

quella <strong>del</strong>le deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici<br />

costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale,<br />

<strong>del</strong>la riserva di attività professionale, <strong>del</strong>le tariffe e dei corrispettivi professionali,<br />

nonché <strong>del</strong>la pubblicità professionale »; al comma 2° equipara l’attività<br />

professionale a quella di impresa « salvo quanto previsto dalla normativa in<br />

materia di professioni intellettuali ». L’art. 5, comma 1°, infine prevede che<br />

« l’esercizio <strong>del</strong>le attività professionali si svolge nel rispetto dei principi di


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 625<br />

buona fede, <strong>del</strong>l’affidamento <strong>del</strong> pubblico e <strong>del</strong>la clientela, <strong>del</strong>la correttezza,<br />

<strong>del</strong>la tutela degli interessi pubblici, <strong>del</strong>l’ampliamento e <strong>del</strong>la specializzazione<br />

<strong>del</strong>l’offerta dei servizi, <strong>del</strong>l’autonomia e responsabilità <strong>del</strong> professionista ».<br />

Le riserve contenute in ciascuna <strong>del</strong>le disposizioni appena indicate inducono<br />

a dubitare <strong>del</strong>la effettiva portata precettiva <strong>del</strong> provvedimento, dal titolo<br />

altisonante.<br />

Il d.lgs. 23 gennaio 2006, n. 28 (in Gazz. uff. 6 febbraio 2006, n. 30) ha attribuito<br />

all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili le competenze<br />

sul registro dei revisori contabili.<br />

Con la l. 22 febbraio 2006, n. 84 (in Gazz. uff. 13 marzo 2006, n. 60) è stata<br />

disciplinata l’attivita professionale di tintolavanderia. Il provvedimento può essere<br />

collegato alla l. 17 agosto 2005, n. 174, istitutivo <strong>del</strong>la professione di acconciatore,<br />

<strong>del</strong> quale si è dato conto in un precedente numero di questa Rassegna.<br />

9. – Con d.p.c.m. <strong>del</strong> 15 febbraio 2006 (in Gazz. uff. 7 marzo 2006, n. 55)<br />

sono stati programmati i flussi di ingresso dei lavoratori comunitari. Si è ammesso<br />

l’ingresso « per motivi di lavoro subordinato, stagionale e non stagionale<br />

e di lavoro autonomo » di 170.000 unità di cittadini stranieri « residenti<br />

all’estero ». Il provvedimento specifica, poi, la suddivisione di tale quota massima<br />

per tipologia di lavoro e per provenienza.<br />

In aggiunta a tale previsione, l’art. 4 ammette l’ingresso in Italia dei<br />

« lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo<br />

grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Argentina, Uruguay e Venezuela,<br />

che chiedano di essere inseriti in un apposito elenco, costituito presso<br />

le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane ».<br />

Un ennesimo, distinto procedimento a cognizione sommaria è stato previsto<br />

dalla l. 1° marzo 2006, n. 67 « Misure per la tutela giudiziaria <strong>del</strong>le persone con<br />

disabilità vittime di discriminazioni » (in Gazz. uff. 6 marzo 2006, n. 54): l’art. 3<br />

rinvia all’art. 44, commi 1°, 6° e 8°, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; l’art. 4 regola la<br />

legittimazione <strong>del</strong>le associazioni. La tutela dei disabili è, dunque, regolata, quanto<br />

alle forme, da quelle previste per la tutela contro le discriminazioni razziali, ma<br />

differisce da quella prevista per le discriminazioni sessuali e sindacali.<br />

Il d.m. 16 dicembre 2005 (in Gazz. uff. 12 gennaio 2006, n. 9) ha istituito<br />

l’elenco <strong>del</strong>le associazioni ed enti legittimati ad agire in giudizio in nome, per<br />

conto o a sostegno <strong>del</strong> soggetto passivo di discriminazione basata su motivi razziali<br />

o etnici.<br />

10. – Con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (in Gazz. uff. 16 gennaio 2006,<br />

n. 12, Suppl. ord. n. 13), è stata completata la riforma <strong>del</strong>le procedure concorsuali,<br />

anticipata, in riferimento al concordato preventivo e alle revocatorie, dal<br />

d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni con la legge 14 maggio<br />

2005, n. 80.<br />

Il testo modifica, con la tecnica <strong>del</strong>la novellazione, la legge fallimentare di<br />

cui al r.d. 16 marzo 1942, n. 267; si compone di 153 articoli, suddivisi in 18 capi.


626<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Il novellato art. 9 ed i nuovi artt. 9-bis e ter, si occupano <strong>del</strong>la competenza<br />

e <strong>del</strong>la translatio judicii.<br />

La dichiarazione di fallimento è regolata dal procedimento di cui ai novellati<br />

artt. 15, 17 e 18: dal nuovo art. 6 è espunta la possibilità <strong>del</strong>la dichiarazione<br />

d’ufficio; è indicato il contenuto <strong>del</strong> ricorso proponibile dai creditori, dal<br />

pubblico ministero dallo stesso imprenditore e dai suoi eredi. In calce ad esso, il<br />

presidente <strong>del</strong> tribunale o il giudice <strong>del</strong>egato per la trattazione <strong>del</strong> procedimento<br />

fissa l’udienza; tra la data di notificazione <strong>del</strong> ricorso e <strong>del</strong> decreto è previsto un<br />

termine dilatorio non inferiore a quindici, ma non superiore a trenta giorni. È<br />

regolata l’istruttoria, con la previsione di poteri ufficiosi: è stabilito che il tribunale<br />

possa <strong>del</strong>egare al giudice relatore l’audizione <strong>del</strong>le parti e che « in tal caso<br />

» il giudice <strong>del</strong>egato possa provvedere non soltanto alla assunzione (« all’espletamento<br />

») dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, ma<br />

anche alla « ammissione » degli stessi. È prevista la pronuncia di « provvedimenti<br />

cautelari o conservativi a tutela <strong>del</strong> patrimonio o <strong>del</strong>l’impresa oggetto<br />

<strong>del</strong> provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata <strong>del</strong> procedimento<br />

e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento,<br />

ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza ».<br />

È soppressa l’opposizione allo stesso tribunale e l’art. 18 disciplina il procedimento<br />

in appello, nell’ambito <strong>del</strong> quale la corte può assumere, « anche<br />

d’ufficio, i mezzi di prova necessari ai fini <strong>del</strong>la decisione », può anche, ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 19, sospendere la liquidazione <strong>del</strong>l’attivo ed emette la sentenza ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 281-sexies c.p.c. Il provvedimento con il quale è rigettato il ricorso per<br />

fallimento è pronunciato con decreto reclamabile alla corte di appello « che, sentite<br />

le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato ». In tal caso,<br />

oggetto <strong>del</strong> reclamo possono anche essere i capi relativi alla condanna alle spese<br />

ed al risarcimento <strong>del</strong> danno, che non possono essere chiesti autonomamente.<br />

Soltanto per la dichiarazione di fallimento, dunque, sono previsti tre distinti<br />

procedimenti: a seconda <strong>del</strong>l’esito <strong>del</strong> giudizio di primo grado, sono proponibili<br />

alla corte territoriale l’appello contro la sentenza dichiarativa o il reclamo<br />

contro il decreto di rigetto e diverse forme sono previste per l’uno e per<br />

l’altro.<br />

Ai sensi <strong>del</strong> novellato art. 24, comma 2°, poi, alle controversie che derivano<br />

dal fallimento « si applicano le norme previste dagli articoli da 737 a 742<br />

<strong>del</strong> codice di procedura civile », « salvo che non sia diversamente previsto ». In<br />

presenza, pertanto, <strong>del</strong>le concorrenti condizioni che si tratti di cause che derivano<br />

dal fallimento e che non sia previsto alcuno specifico procedimento per la<br />

loro trattazione, le controversie de quibus saranno introdotte con ricorso, a seguito<br />

<strong>del</strong> quale il tribunale dovrà convocare le parti, potrà assumere informazioni<br />

e concluderà il procedimento con decreto reclamabile alla corte di appello<br />

nel termine di dieci giorni dalla notificazione. In considerazione <strong>del</strong>l’oggetto, il<br />

decreto <strong>del</strong>la corte sarà, quindi, ricorribile per cassazione ai sensi <strong>del</strong>l’art. 111,<br />

comma 7° (già 2°), Cost.<br />

I provvedimenti endofallimentari, vuoi quelli ordinatori, vuoi quelli deci-


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 627<br />

sori sono reclamabili, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 26, nelle forme dei procedimenti in camera<br />

di consiglio.<br />

Non si tratta, però, <strong>del</strong>le forme di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.: il sesto capoverso<br />

<strong>del</strong>la disposizione novellata indica il contenuto <strong>del</strong> ricorso alla proposizione<br />

<strong>del</strong> quale sono legittimati il curatore, il fallito, il comitato dei creditori e<br />

chiunque vi abbia interesse.<br />

In calce ad esso, il presidente « <strong>del</strong> collegio » designa il giudice relatore, il<br />

quale fissa « l’udienza di comparizione <strong>del</strong>le parti in camera di consiglio »; tra<br />

la data di notificazione <strong>del</strong> ricorso e <strong>del</strong> decreto è previsto un termine dilatorio<br />

non inferiore a dieci, ma non superiore a venti giorni. Al resistente ed agli altri<br />

eventuali controinteressati è imposto l’onere di costituirsi almeno cinque giorni<br />

prima <strong>del</strong>la comparizione in camera di consiglio. « Nel corso <strong>del</strong>l’udienza – in<br />

camera di consiglio – il collegio, sentiti il reclamante, il curatore e gli eventuali<br />

controinteressati, assume, anche d’ufficio, le informazioni ritenute necessarie,<br />

eventualmente <strong>del</strong>egando uno dei suoi componenti » e definisce il procedimento<br />

con decreto motivato nel termine di trenta giorni. A seconda <strong>del</strong>la natura, decisoria<br />

o meramente ordinatoria <strong>del</strong> provvedimento, questo sarà, quindi, impugnabile<br />

per cassazione ai sensi <strong>del</strong>l’art. 111, comma 7° (già 2°) Cost.<br />

A questa variante <strong>del</strong> procedimento camerale, l’art. 36 ne aggiunge<br />

un’altra. Un distinto procedimento in camera di consiglio è previsto « contro gli<br />

atti di amministrazione <strong>del</strong> curatore e contro le autorizzazioni o i dinieghi <strong>del</strong><br />

comitato dei creditori », sindacabili in sede giurisdizionale soltanto « per violazione<br />

di legge »; sono legittimati a dolersi degli atti commissivi <strong>del</strong> curatore e di<br />

quelli commissivi ed omissivi <strong>del</strong> comitato, « il fallito e ogni altro interessato »<br />

mediante reclamo al giudice <strong>del</strong>egato da proporsi entro il termine di « otto giorni<br />

dalla conoscenza <strong>del</strong>l’atto o, in caso di omissione, dalla diffida a provvedere<br />

». Sia il giudice <strong>del</strong>egato, sia il tribunale, in sede di reclamo contro il primo<br />

provvedimento, decidono con decreto « omessa ogni formalità non indispensabile,<br />

il primo, ovvero non essenziale al contraddittorio », il secondo. Sebbene il<br />

decreto <strong>del</strong> tribunale sia espressamente definito « non soggetto a gravame »,<br />

non può escludersi che, allorché abbia contenuto decisorio, sia impugnabile per<br />

cassazione ai sensi <strong>del</strong>l’art. 111, comma 7° (già 2°), Cost.<br />

Il procedimento per il reclamo endofallimentare di cui all’art. 26 è richiamato<br />

dall’art. 37 per la pronuncia dei provvedimenti di revoca <strong>del</strong> curatore, ma<br />

la sostituzione <strong>del</strong> medesimo è regolata dall’art. 37-bis, comma 1°.<br />

Un’ennesima variante <strong>del</strong> procedimento in camera di consiglio è prevista<br />

per la verifica dei crediti.<br />

I novellati artt. 98 e 99 regolano unitariamente i giudizi di opposizione,<br />

impugnazione e revocazione; l’art. 101 rinvia a tale disciplina per quanto riguarda<br />

le domande tardive. L’art. 93 indica il contenuto <strong>del</strong>le domande di<br />

ammissione. L’art. 95, comma 3°, regola lo svolgimento <strong>del</strong> procedimento<br />

innanzi al giudice <strong>del</strong>egato, determinandone anche i poteri istruttorî. L’introduzione<br />

<strong>del</strong>le domande di opposizione, impugnazione e revocazione, nonché<br />

la proposizione <strong>del</strong>le domande tardive appare regolata sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> proces-


628<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

so <strong>del</strong> lavoro, dal quale sono mutuati le decadenze e i termini di costituzione:<br />

è indicato il contenuto <strong>del</strong> ricorso, nel quale debbono essere specificamente<br />

indicati, « a pena di decadenza », i mezzi di prova e i « documenti »; l’udienza<br />

« in camera di consiglio » è fissata dal « tribunale », non dal presidente, né<br />

da un componente <strong>del</strong> collegio, <strong>del</strong> quale non può far parte il giudice <strong>del</strong>egato;<br />

tra la notificazione <strong>del</strong> ricorso e <strong>del</strong> decreto di fissazione d’udienza e<br />

quest’ultima è previsto un termine dilatorio di trenta giorni « liberi »; il resistente<br />

è tenuto a costituirsi almeno dieci giorni prima <strong>del</strong>la udienza « in camera<br />

di consiglio »; la memoria di costituzione deve contenere « a pena di decadenza<br />

», le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonché<br />

l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti; « nel corso<br />

<strong>del</strong>l’udienza, il tribunale assume, in contraddittorio tra le parti, i mezzi di<br />

prova ammessi, anche <strong>del</strong>egando uno dei suoi componenti »: mentre, quindi,<br />

nella istruttoria prefallimentare, il tribunale può <strong>del</strong>egare il giudice relatore<br />

anche alla ammissione e non soltanto alla assunzione dei mezzi di prova, in<br />

sede di verifica dei crediti, come nel reclamo endofallimentare, l’oggetto <strong>del</strong>la<br />

<strong>del</strong>ega appare limitato alla assunzione. Il procedimento si conclude in ogni<br />

caso con decreto, vuoi nell’ipotesi in cui i crediti non siano contestati, vuoi in<br />

quella in cui il tribunale decida sull’esistenza o sull’ammontare <strong>del</strong> credito,<br />

ovvero sulla esistenza o sul grado <strong>del</strong>le cause di prelazione. Il decreto, senza<br />

alcuna specificazione relativa al suo contenuto, è, ai sensi <strong>del</strong>l’ultimo capoverso<br />

<strong>del</strong> novellato art. 99, ricorribile per cassazione.<br />

La continuazione <strong>del</strong>l’esercizio provvisorio disposta con la sentenza dichiarativa<br />

di fallimento è autorizzata, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 104, dal giudice <strong>del</strong>egato<br />

« con decreto motivato ». La cessazione, invece, è disposta dal tribunale « con<br />

decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti il curatore ed il<br />

comitato dei creditori ».<br />

Nel silenzio <strong>del</strong> legislatore <strong>del</strong>egato, la mera previsione <strong>del</strong>la trattazione<br />

« in camera di consiglio » rende applicabili gli artt. 737 ss. c.p.c., espressamente<br />

richiamati, fino all’art. 742, per le controversie che derivano dal fallimento<br />

e che non sono altrimenti disciplinate. Allorché, invece, a tale previsione<br />

si accompagnino regole specifiche, occorre comunque coordinare queste ultime<br />

con il mo<strong>del</strong>lo codicistico.<br />

Il procedimento previsto per il reclamo endofallimentare, che è camerale<br />

ma che gode di una disciplina autonoma, è, richiamato, « in quanto compatibile<br />

», per l’omologazione <strong>del</strong> concordato fallimentare dall’art. 129. Ma distinte<br />

previsioni sono dettate dall’art. 131 per il procedimento innanzi alla corte di<br />

appello in sede di reclamo avverso il decreto di omologazione.<br />

Il procedimento di cui all’art. 26, infine, è anche richiamato dall’art. 143<br />

novellato per la esdebitazione <strong>del</strong> fallito persona fisica.<br />

Questa congerie di procedimenti camerali si aggiunge a quelli previsti per la<br />

omologazione <strong>del</strong> concordato preventivo ai sensi <strong>del</strong>l’art. 180 l.f., nel testo novellato<br />

dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni con la legge 14<br />

maggio 2005, n. 80, e degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui al succes-


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 629<br />

sivo art. 182-bis. Tra questi procedimenti, soltanto quelli previsti dagli artt. 26 e<br />

36 sono sottratti, ai sensi <strong>del</strong> nuovo art. 36-bis, alla sospensione feriale.<br />

Appare ragionevole dubitare che una tale varietà di procedimenti contribuisca<br />

alla « accelerazione <strong>del</strong>le procedure », come stabilito dalla legge <strong>del</strong>ega.<br />

Le questioni relative a ciascuno e, soprattutto, le questioni di coordinamento tra<br />

di essi, quelle con la disciplina comune e con le altre disposizioni processuali<br />

concentreranno l’attenzione degli interpreti e degli operatori sulle forme <strong>del</strong><br />

procedimento, piuttosto che sui conflitti sostanziali.<br />

All’innegabile contributo allo sviluppo degli studi processualistici probabilmente<br />

non corrisponde quello alla efficienza <strong>del</strong> sistema.<br />

Lo schema di decreto legislativo, peraltro, non si è limitato ad introdurre<br />

nuove species <strong>del</strong> genus procedimento camerale.<br />

Il novellato art. 43 prevede che « l’apertura <strong>del</strong> fallimento determina<br />

l’interruzione <strong>del</strong> processo »: è rimesso quindi all’interprete distinguere, superando<br />

la lettera <strong>del</strong>la legge, i casi nei quali il processo può proseguire perché la<br />

controversia non riguarda un rapporto compreso nel fallimento, quelli nei quali<br />

alla interruzione non possono far seguito la prosecuzione o la riassunzione, perché<br />

l’azione, appunto per effetto <strong>del</strong> fallimento, diviene improcedibile, da quelli,<br />

infine, nei quali può integralmente applicarsi la disciplina di cui agli artt. 299<br />

ss. c.p.c.<br />

Ancora in tema di procedure concorsuali, si segnala il d.m. 2 febbraio<br />

2006 (in Gazz. uff. 10 febbraio 2006, n. 34), con il quale è stato istituito il Fondo<br />

di solidarietà per gli acquirenti di beni immobili da costruire, ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 18, comma 6°, <strong>del</strong> d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, <strong>del</strong> quale si è dato<br />

conto in un precedente numero di questa Rassegna.<br />

11. – L’art. 34-quater d.l. 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni<br />

dalla l. 9 marzo 2006, n. 80 (in Gazz. uff. 11 marzo 2006, n. 59) « Misure<br />

urgenti in materia di organizzazione e funzionamento <strong>del</strong>la pubblica amministrazione<br />

» ha differito i termini per l’applicazione di disposizioni <strong>del</strong>la riforma<br />

<strong>del</strong> risparmio (l. 28 dicembre 2005, n. 262) e per l’emanazione <strong>del</strong>le relative<br />

norme regolamentari.<br />

Con provvedimento <strong>del</strong> 22 dicembre 2005 (in Gazz. uff. 14 gennaio 2006,<br />

n. 11, Suppl. ord. n. 12), la Banca d’Italia ha dettato istruzioni per la redazione<br />

<strong>del</strong> bilancio <strong>del</strong>l’impresa e <strong>del</strong> bilancio consolidato <strong>del</strong>le banche e <strong>del</strong>le società<br />

finanziarie capogruppo di gruppi bancari.<br />

Il d.m. 30 dicembre 2005 (in Gazz. uff. 25 gennaio 2006, n. 20) ha determinato<br />

i regimi di deroga ai criterî per la definizione <strong>del</strong>la prevalenza di cui<br />

all’art. 2513 c.c.<br />

La l. 14 febbraio 2006, n. 55 « Modifiche al codice civile in materia di<br />

patto di famiglia » (in Gazz. uff. 1° marzo 2006, n. 50) ha aggiunto gli artt. da<br />

768-bis a octies al c.c.<br />

Il « patto di famiglia », ai sensi <strong>del</strong>l’art. 768-bis c.c., è il « contratto con<br />

cui (…) l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di


630<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno<br />

o più discendenti »; l’art. 768-ter impone la forma <strong>del</strong>l’atto pubblico ad substantiam;<br />

l’art. 768-quater regola la partecipazione al patto ed esclude la riduzione<br />

e la collazione; l’art. 768-quinquies ne consente l’impugnazione per errore,<br />

violenza o dolo, ma stabilisce un termine di prescrizione di un anno; l’art.<br />

768-sexies, sotto la rubrica « Rapporti con i terzi », regola i rapporti tra i legittimari<br />

estranei al patto ed i contraenti all’apertura <strong>del</strong>la successione; l’art. 768septies<br />

prevede lo scioglimento per mutuo consenso ed il recesso; l’art. 768octies,<br />

infine, impone, in caso di controversia, l’esperimento <strong>del</strong> preventivo<br />

tentativo di conciliazione innanzi agli organismi di conciliazione previsti<br />

dall’art. 38, d.lgs. 17 gennaio 2003, n 5.<br />

Tale ultima previsione potrebbe indurre a ritenere che anche le controversie<br />

relative ai patti aventi ad oggetto il trasferimento di azienda siano regolate dal rito<br />

commerciale: questo, infatti, appare senz’altro applicabile al contenzioso riguardante<br />

il trasferimento di partecipazioni societarie, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1 d.lgs. 17<br />

gennaio 2003, n. 5 (rettificato dall’Avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale <strong>del</strong> 9<br />

settembre 2003, corretto dal d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, e dal d.lgs. 28 dicembre<br />

2004, n. 310). Per estenderlo alle liti sul trasferimento di azienda, occorrerebbe<br />

appunto far leva sulla fragile previsione di cui all’art. 768-octies.<br />

12. – Il d.p.c.m. 12 dicembre 2005 (in Gazz. uff. 31 gennaio 2006, n. 25) è<br />

intitolato Codice dei beni culturali e <strong>del</strong> paesaggio. In realtà, il provvedimento<br />

si limita a dettare i criterî per la redazione <strong>del</strong>la relazione paesaggistica. Il Codice<br />

è stato emanato con il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.<br />

13. – La l. 16 gennaio 2006, n. 18 (in Gazz. uff. 26 gennaio 2006, n. 21) ha<br />

riordinato il Consiglio universitario nazionale (CUN), « organo elettivo di rappresentanza<br />

<strong>del</strong> sistema universitario ».<br />

14. – Nell’ultimo intenso trimestre <strong>del</strong>la XIV Legislatura repubblicana,<br />

infine, meritano di essere segnalate, tra le altre, la l. 15 dicembre 2005, n. 280<br />

(in Gazz. uff. 26 gennaio 2006, n. 21), con la quale è stato ratificato il Protocollo<br />

n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>le<br />

libertà fondamentali; la l. 23 dicembre 2005, n. 291 (in Gazz. uff. 17 gennaio<br />

2006, n. 13), con la quale è stata ratificata la Convenzione in materia di assistenza<br />

giudiziaria civile e commerciale tra il Governo <strong>del</strong>la Repubblica italiana<br />

e il Governo <strong>del</strong>la Repubblica algerina; la l. 13 febbraio 2006, n. 83 dicembre<br />

2005, n. 280 (in Gazz. uff. 13 marzo 2006, n. 60), con la quale l’Italia<br />

ha aderito all’Accordo sui privilegi e le immunità <strong>del</strong> Tribunale internazionale<br />

<strong>del</strong> diritto <strong>del</strong> mare.<br />

GIORGIO COSTANTINO


L’ARBITRATO E IL TIPOGRAFO LEGISLATORE<br />

(ELOGIO DELLA « RIENTRANZA »)<br />

1. – Il nuovo art. 817 c.p.c. (come introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006,<br />

n. 40) dispone nel comma 1° che: « Se la validità, il contenuto o l’ampiezza<br />

<strong>del</strong>la convenzione d’arbitrato o la regolare costituzione degli arbitri sono contestate<br />

nel corso <strong>del</strong>l’arbitrato, gli arbitri decidono sulla propria competenza ».<br />

Segue il comma 2°, ove si legge che: « Questa disposizione si applica anche se<br />

i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta<br />

nel corso <strong>del</strong> procedimento. La parte che non eccepisce nella prima<br />

difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza,<br />

invalidità o inefficacia <strong>del</strong>la convenzione d’arbitrato, non può per<br />

questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile<br />

». Segue infine il comma 3°, nel quale si legge: « La parte, che non eccepisce<br />

nel corso <strong>del</strong>l’arbitrato che le conclusioni <strong>del</strong>le altre parti esorbitano dai limiti<br />

<strong>del</strong>la convenzione arbitrale, non può, per questo motivo, impugnare il lodo ».<br />

Ho letto questa norma, come tutte le altre dedicate all’arbitrato dal d.lgs. n.<br />

40/2006, con lo spirito di chi riconosce (o dovrebbe riconoscere) quanto già sapeva.<br />

Come coordinatore <strong>del</strong>la Sottocommissione incaricata di redigere il progetto<br />

di decreto nella parte concernente l’arbitrato, infatti, avevo avuto occasione<br />

di soffermarmi più volte sul tema nel corso dei lavori; ed il testo definitivo<br />

<strong>del</strong> progetto fissava, su questo argomento come in altri, il risultato di un lavoro<br />

al quale anche io avevo attivamente partecipato.<br />

Se non che, mentre il comma 1° e il comma 3° hanno immediatamente occupato<br />

il posto che loro spettava nella mia memoria, nel leggere il comma 2° ho avuto<br />

l’impressione di avere le traveggole. Non ricordavo, infatti, un comma così lungo,<br />

composto da due frasi separate da un punto. Tra l’altro, i commi troppo lunghi hanno<br />

sempre suscitato la mia antipatia, tutte le volte in cui ho avuto la ventura di prestare<br />

la mia opera in occasione di progetti normativi; ed ho avuto immediatamente<br />

l’impressione che la seconda frase <strong>del</strong> comma 2° fosse mal collocata. Il precetto in<br />

essa contenuto, infatti, non riguarda soltanto l’incompetenza degli arbitri in ipotesi<br />

riscontrabile ai sensi di quanto emerge dalla prima frase <strong>del</strong>lo stesso comma 2°, ma<br />

anche l’incompetenza arbitrale prevista dal precedente comma 1°. Meglio sarebbe<br />

stato, dunque, isolare la seconda frase <strong>del</strong> comma 2° in un comma separato (comma<br />

3°), in modo che l’attuale comma 3° divenisse comma 4°.<br />

Sono andato allora a rileggere il testo definitivo <strong>del</strong> progetto, come era<br />

uscito dai lavori <strong>del</strong>la Commissione, ed ho potuto constatare che nel progetto le<br />

cose stavano come pensavo. La seconda frase <strong>del</strong> comma 2° era in realtà il<br />

comma 3°, mentre il comma 3° era in realtà il comma 4°.<br />

2. – Può avere quanto sopra una qualche conseguenza a livello interpretativo?<br />

Se il problema fosse soltanto quello di leggere ed applicare il nuovo art. 817 c.p.c.,


632<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

la risposta potrebbe essere probabilmente negativa. Si può facilmente giungere anche<br />

in via di interpretazione alla conclusione, secondo la quale la seconda parte <strong>del</strong><br />

comma 2° va applicato sia quando la competenza degli arbitri è posta in discussione<br />

ai sensi <strong>del</strong>la prima parte <strong>del</strong>lo stesso comma, sia quando tale competenza è discussa<br />

ai sensi <strong>del</strong> comma 1°. In entrambi i casi vale il principio, secondo il quale<br />

le parti – se non sollevano la contestazione davanti agli arbitri – perdono il potere<br />

di impugnare il lodo a motivo <strong>del</strong>l’incompetenza arbitrale. Ma il problema può essere<br />

più <strong>del</strong>icato, qualora l’art. 817 c.p.c. sia richiamato da altre norme e il testo di<br />

queste ultime sia calibrato su quanto predisposto in sede di progetto.<br />

Il problema, purtroppo, non è puramente astratto. Il nuovo art. 829 c.p.c., infatti,<br />

prevede (comma 1°, sub 1) l’impugnazione <strong>del</strong> lodo arbitrale « Se la convenzione<br />

d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione <strong>del</strong>l’articolo 817, terzo comma »; e poco<br />

oltre consente il gravame (comma 1°, sub 4) « Se il lodo ha pronunciato fuori dei<br />

limiti <strong>del</strong>la convenzione d’arbitrato, ferma la disposizione <strong>del</strong>l’articolo 817, quarto<br />

comma… ». Se poniamo queste ultime disposizioni in relazione all’attuale versione<br />

<strong>del</strong>l’art. 817 c.p.c., si casca in un rebus, perché il comma 3° <strong>del</strong>l’art. 817 non ha in<br />

realtà niente a che vedere con la previsione contenuta nel n. 1 <strong>del</strong>l’art. 829, comma<br />

1°; mentre non esiste un comma 4° <strong>del</strong>l’art. 817 capace di dare oggetto al rinvio<br />

contenuto nel n. 4 <strong>del</strong>lo stesso art. 829, comma 1°.<br />

Come il rebus debba essere risolto, mi pare chiaro, perché l’errore tipografico<br />

è riconoscibile con un po’ di riflessione. Il comma 2° <strong>del</strong>l’art. 817, così com’è,<br />

è difficilmente spiegabile; e chi sia disposto a mettere la norma sul letto di Procuste<br />

<strong>del</strong>la miglior tecnica normativa è immediatamente tratto a separare in due<br />

comma diversi le due frasi che lo compongono (in modo che la seconda frase diventi<br />

il comma 3° e il successivo comma 3° diventi il comma 4°). In questo<br />

modo, anche l’art. 829, comma 1°, riacquista un senso nelle previsioni contenute<br />

nel n. 1 e nel n. 4. Ma è prevedibile (purtroppo) che su un problema così insensato<br />

l’inchiostro sia versato, se non proprio a fiumi, quanto meno a rigagnoli.<br />

Mi permetto dunque di rivolgere al legislatore un’urgente supplica: correggere<br />

l’errore <strong>del</strong> tipografo, con un provvedimento ad hoc.<br />

3. – Naturalmente, resta la domanda: come è potuto accadere? E forse il primo<br />

responsabile è il progresso tecnologico, perché tutto viene fatto tramite computer e il<br />

computer è collaboratore scherzoso, che talora unisce e separa come gli piace. Particolarmente<br />

a rischio sono i casi, nei quali un comma qualunque termina alla fine di<br />

una riga: giacché il computer e il tipografo possono non capire, in questi casi, se la<br />

riga successiva costituisca una continuazione <strong>del</strong>la precedente o esiga un « a capo ».<br />

Mi è venuto allora il desiderio di rivalutare la pignoleria, <strong>del</strong>la quale do prova<br />

con le mie dattilografe: la pretesa che, quando si va « a capo », la frase successiva<br />

inizi con una « rientranza », provocata da quattro o cinque battute vuote.<br />

Meravigliosa, santa « rientranza »! Dopo che i progetti vengono licenziati nel loro<br />

testo definitivo, inizia il loro cammino in meandri segreti, dove anonimi revisori<br />

intervengono per lasciare traccia <strong>del</strong>la loro esistenza; e non sempre la testa assiste<br />

la mano in questo cammino. Ma la « rientranza » costituisce, almeno, un caveat; e<br />

può salvarci, con un po’ di fortuna, dal tipografo legislatore.<br />

EDOARDO F. RICCI


LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA<br />

PENALE IN TEMA DI APPELLO<br />

E DI RICORSO PER CASSAZIONE INTRODOTTE<br />

DALLA C.D. « LEGGE PECORELLA »<br />

SOMMARIO: 1. Un percorso accidentato. – 2. Rilievi di metodo. – 3.<br />

L’inappellabilità <strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento. – 4. Eccezioni all’inappellabilità.<br />

– 5. I poteri di impugnazione <strong>del</strong>la parte civile. – 6.<br />

L’ampliamento dei casi di ricorso per cassazione. – 7. Automatismi in tema<br />

di archiviazione. – 8. Condanna al di là di ogni ragionevole dubbio.<br />

1. – La legge 20 febbraio 2006, n. 46 (in Gazz. Uff. n. 44 <strong>del</strong> 22 febbraio<br />

2006), più nota come « legge Pecorella », dal nome <strong>del</strong> suo promotore, è giunta<br />

al traguardo dopo un travagliato iter parlamentare (il Presidente <strong>del</strong>la Repubblica<br />

aveva addirittura disposto il rinvio alle Camere il 20 gennaio scorso <strong>del</strong> testo<br />

inizialmente approvato) e una forte opposizione da parte di larghe fasce <strong>del</strong>la<br />

magistratura. Per di più, a partire dal giorno stesso <strong>del</strong>la sua entrata in vigore,<br />

alcune Corti d’appello hanno rinviato alla Consulta come non manifestamente<br />

infondate alcune questioni di costituzionalità di questa legge, la cui prima applicazione<br />

è dunque ulteriormente segnata da questo esordio sub iudice.<br />

Essa ridisegna l’ambito <strong>del</strong>l’appello e <strong>del</strong> giudizio per cassazione nel processo<br />

penale, disciplinando al contempo alcuni aspetti più eccentrici rispetto a<br />

queste materie.<br />

2. – Una prima considerazione, evidenziata anche nelle motivazioni con<br />

cui il Capo <strong>del</strong>lo Stato ha rinviato la legge al Parlamento, riguarda il metodo. Il<br />

codice <strong>del</strong> 1988 aveva sostanzialmente recepito il complesso sistema di impugnazioni<br />

che caratterizzava le codificazioni precedenti di tipo « misto », dove<br />

l’ampiezza dei mezzi di doglianza aveva in qualche misura la funzione di<br />

« compensare » il deficit di garanzie presenti in primo grado. Con una scelta di<br />

pigro ossequio verso la tradizione, il nuovo codice aveva sommato queste garanzie<br />

di tipo « verticale » alle garanzie di tipo « orizzontale » predisposte per il<br />

giudizio di primo grado nel nuovo mo<strong>del</strong>lo processuale (separazione <strong>del</strong>le fasi,<br />

diritto alla prova <strong>del</strong>le parti, contraddittorio nella formazione <strong>del</strong>la prova).<br />

Un’impostazione incongrua, che, specie in presenza <strong>del</strong> canone costituzionale<br />

di « ragionevole durata » dei processi, richiedeva sicuramente di essere rimeditata.<br />

Rimeditata, però, in un’ottica complessiva di riforma, tenendo conto di


634<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

tutti gli interessi in gioco (in particolare, i diritti <strong>del</strong>l’imputato, gli interessi <strong>del</strong>la<br />

giustizia e, appunto, il principio di ragionevole durata); non attraverso innesti<br />

« disorganici e asistematici » (sono parole <strong>del</strong> messaggio presidenziale), come<br />

quelli operati dalla legge « Pecorella », suscettibili, in quanto tali (anche a prescindere<br />

da ogni valutazione sul loro contenuto) di creare comunque squilibri e<br />

contraccolpi pericolosi. È forse proprio questo innesto forzato e scompaginante<br />

a rappresentare il vizio più grave <strong>del</strong>la legge « Pecorella ». Varata – si badi – in<br />

tutta fretta a un mese e mezzo dalla fine <strong>del</strong>la Legislatura, nonostante il forte<br />

richiamo <strong>del</strong> Capo <strong>del</strong>lo Stato a interventi più ponderati.<br />

3. – Venendo al merito <strong>del</strong> provvedimento, sono due le direttrici di fondo<br />

in cui si muove.<br />

La prima – da cui trae intitolazione la stessa legge – è costituita (nuovo testo<br />

<strong>del</strong>l’art. 593 c.p.p.) dalla soppressione <strong>del</strong>l’appello contro le sentenze di<br />

proscioglimento. Sono previste, peraltro, due eccezioni: una è rappresentata<br />

dalla circostanza che imputato e pubblico ministero abbiano presentato il gravame<br />

chiedendo l’assunzione di nuove prove, sopravvenute o scoperte dopo il<br />

giudizio di primo grado, che siano « decisive »; ipotesi che poi dà luogo ad una<br />

peculiare declaratoria di inammissibilità <strong>del</strong>l’appello quando il giudice decida<br />

preliminarmente di non disporre l’istruttoria dibattimentale, contro la quale le<br />

parti possono ricorrere per cassazione, potendo proporre, altresì, ricorso per<br />

cassazione anche contro la sentenza di primo grado, entro quarantacinque giorni<br />

dalla notifica <strong>del</strong>l’ordinanza di inammissibilità. La seconda eccezione è costituita<br />

dalle ipotesi di conversione <strong>del</strong> ricorso per cassazione in appello nei casi di<br />

connessione, quando contro la sentenza vengano proposti mezzi di impugnazione<br />

diversi (art. 580 c.p.p.).<br />

In via di principio, dunque, diventano appellabili dall’imputato e dal pubblico<br />

ministero solo le sentenze di condanna (anche qui con alcune eccezioni,<br />

rappresentate dalle sentenze applicative <strong>del</strong>la sola pena <strong>del</strong>l’ammenda, totalmente<br />

inappellabili, ed alcune limitazioni: il pubblico ministero non può appellare<br />

la condanna emessa nel giudizio abbreviato, salvo che con questa sia stato<br />

modificato il titolo <strong>del</strong> reato contestato nell’accusa, e non può proporre appello<br />

contro la sentenza di patteggiamento, a meno che avesse espresso a suo tempo<br />

dissenso sul rito negoziale, mentre è fatto salvo il regime di impugnazione <strong>del</strong>le<br />

sentenze che dispongono misure di sicurezza).<br />

L’eliminazione <strong>del</strong>l’appello per le sentenze di proscioglimento – anche se<br />

forse non saranno <strong>del</strong> tutto marginali le eccezioni di cui si diceva – mira a porre<br />

rimedio ad un problema di fondo, emerso con particolare evidenza in un famoso<br />

caso giudiziario: quello di evitare che l’imputato, prosciolto in primo grado, ma<br />

condannato a seguito <strong>del</strong>l’appello promosso dal pubblico ministero, venga privato<br />

<strong>del</strong>la possibilità di una rivalutazione completa di questa seconda decisione,<br />

cioè di denunciare tutti i vizi dai quali essa risulti affetta, come è invece consentito<br />

al condannato in prima istanza. Una carenza ancor più vistosa ove si<br />

consideri che mentre l’assoluzione in primo grado avviene sulla base di prove


LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE ECC. 635<br />

formate in contraddittorio davanti al giudice, la condanna in appello può conseguire,<br />

in via di principio, ad un mero riesame <strong>del</strong>le carte (situazione ben diversa<br />

da quella speculare di una condanna in primo grado trasformata in assoluzione<br />

« cartolare » in seconde cure).<br />

Il problema non è, beninteso, di semplice opportunità ma riguarda il rispetto<br />

di precisi obblighi internazionali: l’art. 14 comma 5° <strong>del</strong> Patto internazionale<br />

sui diritti civili e politici prescrive, infatti, che « Ogni individuo condannato<br />

per un reato ha diritto a che l’accertamento <strong>del</strong>la sua colpevolezza e la<br />

condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità<br />

<strong>del</strong>la legge » (diversamente dall’art. 2 Protocollo 7 <strong>del</strong>la Convenzione europea<br />

dei diritti <strong>del</strong>l’uomo, dove un diritto similare può essere derogato proprio nel<br />

caso di una condanna a seguito di gravame contro una sentenza di proscioglimento).<br />

Probabilmente l’art. 14 comma 5° non giunge ad imporre la celebrazione<br />

di un secondo giudizio di merito, ma richiede almeno che sia consentito far<br />

valere di fronte ad un giudice superiore ogni doglianza in fatto e in diritto contro<br />

la propria sentenza di condanna.<br />

Da questo punto di vista, il divieto di impugnare le sentenze di proscioglimento<br />

elimina addirittura il problema alla radice. Non era l’unica soluzione<br />

ipotizzabile: ad esempio, sarebbe stato possibile (e forse preferibile) optare per<br />

un appello rescindente con rinvio degli atti al giudice di primo grado tutte le<br />

volte in cui il giudice di appello ritenesse di riformare la decisione di proscioglimento;<br />

e, comunque, non si tratta di una soluzione « neutra », soprattutto per<br />

i contraccolpi sistematici che produce (ne coglieremo tra poco una dimostrazione<br />

a proposito <strong>del</strong>le modifiche apportate in conseguenza di questa scelta alla<br />

disciplina <strong>del</strong> ricorso per cassazione).<br />

Secondo una certa impostazione, coltivata anche dalle prime doglianze di<br />

costituzionalità, una tale disciplina si porrebbe in contrasto con il principio di<br />

parità <strong>del</strong>le parti (artt. 3 e 111 comma 2° Cost.) e di obbligatorietà <strong>del</strong>l’azione<br />

penale (art. 112 Cost.).<br />

Sotto quest’ultimo profilo, per la verità, la Corte costituzionale (ad es.<br />

sent. n. 280 <strong>del</strong> 1995) ha già chiarito come l’appello <strong>del</strong> pubblico ministero,<br />

proprio perché è espressione di un potere non esercitabile in forma obbligatoria<br />

(l’accusa può fare acquiescenza rispetto alla sentenza di primo grado quali che<br />

siano state le sue conclusioni e quale che sia stato il contenuto <strong>del</strong>la stessa) e<br />

rinunciabile (art. 589 c.p.p.), non possa considerarsi un’estrinsecazione <strong>del</strong><br />

principio di obbligatorietà <strong>del</strong>l’azione (tra l’altro, se così fosse, si dovrebbe ritenere<br />

necessariamente costituzionalizzato in forza <strong>del</strong>l’art. 112 Cost. il doppio<br />

grado di giurisdizione per la parte pubblica).<br />

Più complesso, invece, il discorso sulla lesione <strong>del</strong> principio di parità <strong>del</strong>le<br />

parti, prospettato anche in un passaggio <strong>del</strong> messaggio presidenziale. Un dato<br />

acquisito, anche nella giurisprudenza costituzionale, appare costituito dal riconoscimento<br />

che le fisiologiche differenze che corrono tra la posizione <strong>del</strong> pubblico<br />

ministero e <strong>del</strong>l’imputato implicano che il principio di parità non si possa<br />

tradurre in un postulato di perfetta uguaglianza (che, proprio in virtù di quelle


636<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

differenze, finirebbe per generare disuguaglianze sostanziali), ma stia più semplicemente<br />

ad indicare l’esigenza che accusa e difesa si trovino in una posizione<br />

di equilibrio di poteri; tuttavia, è altrettanto vero che la legittimità di simili poteri<br />

differenziati non è mai stata fatta discendere automaticamente dal diverso<br />

ruolo ricoperto da questi soggetti, ma ha sempre richiesto di essere di volta in<br />

volta giustificata sulla base di specifici criteri di ragionevolezza, imperniati<br />

sulla peculiare posizione <strong>del</strong> pubblico ministero e sulla funzione da lui esercitata,<br />

o su esigenze di efficienza o di corretta amministrazione <strong>del</strong>la giustizia. Ed<br />

è sulla scorta di tale presupposto che anche asimmetrie in materia di impugnazioni<br />

già presenti nel sistema non sono state considerate lesive <strong>del</strong> principio di<br />

parità <strong>del</strong>le parti, come è avvenuto rispetto al divieto per il pubblico ministero<br />

di proporre appello contro le sentenze di condanna emesse a seguito di giudizio<br />

abbreviato (cfr. C. cost., sent. n. 421 <strong>del</strong> 2001). Così come, d’altro canto, è agevole<br />

rilevare che il pubblico ministero non è neppure legittimato a domandare la<br />

revisione contro le sentenze di proscioglimento (art. 629 c.p.p.); divieto rispetto<br />

al quale si potrebbero riproporre considerazioni analoghe (almeno in parte, perché<br />

qui si discorre di sentenze definitive) a quelle prospettabili in ordine alla<br />

mancata legittimazione <strong>del</strong>l’accusa a proporre appello contro le sentenze di proscioglimento,<br />

poiché in entrambi i casi l’interesse statuale ad ottenere sentenze<br />

« giuste », che orienterebbe a non precludere al pubblico ministero di attivarsi<br />

quando l’assoluzione si rivelasse a posteriori priva di fondamento, si trova a<br />

cedere di fronte ad una tutela di favor rei <strong>del</strong> prosciolto. Ma non sfugge neppure,<br />

sotto opposto profilo, che sarebbe eccessivo invocare una tutela di questo<br />

tipo in riferimento al divieto di appellare la sentenza di proscioglimento anche<br />

rispetto a situazioni in cui l’innocenza non sia stata pienamente provata, o, addirittura,<br />

non risulti affatto provata, come avviene nel caso di proscioglimento per<br />

estinzione <strong>del</strong> reato. È, insomma, in gioco, una questione di scelte sulle quali la<br />

Corte si potrà esprimere solo ove ritenga superata la soglia, sempre ambigua e<br />

sfuggente, <strong>del</strong>la « manifesta irragionevolezza », al di sotto <strong>del</strong>la quale si apre<br />

invece il campo <strong>del</strong>la discrezionalità legislativa, dove il discorso si può porre –<br />

come qui in effetti sembra porsi – solo in termini di opportunità/inopportunità.<br />

Peraltro, occorrerebbe non dimenticare che un’esperibilità, anche circoscritta,<br />

<strong>del</strong>l’appello ad opera <strong>del</strong>l’accusa riproporrebbe, in questi limiti, il problema di<br />

fondo <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong>l’imputato di fronte ad una possibile sentenza di condanna<br />

emessa per la prima volta in secondo grado.<br />

Al di là di ogni altra considerazione, va comunque rilevato che la soppressione<br />

<strong>del</strong>l’appello contro le sentenze di proscioglimento potrebbe portare a<br />

mutamenti non secondari nei comportamenti dei soggetti processuali e nella<br />

gestione <strong>del</strong> processo, coinvolgendo, quindi, più in generale, gli assetti complessivi<br />

<strong>del</strong> sistema. Si pensi all’atteggiarsi <strong>del</strong> pubblico ministero di fronte<br />

all’alternativa tra esercizio e non esercizio <strong>del</strong>l’azione penale: d’ora in poi egli<br />

potrà essere indotto a richiedere il rinvio a giudizio solo in presenza di una base<br />

probatoria particolarmente forte e soprattutto già acquisita, non facendo affidamento<br />

sulla possibilità – presupposta invece dall’art. 125 norme att. c.p.p. – di


LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE ECC. 637<br />

una sua integrazione anche in momenti successivi alla richiesta di rinvio a giudizio.<br />

Il timore di instaurare processi suscettibili di chiudersi con una sentenza<br />

di proscioglimento inappellabile potrebbe spingere l’organo <strong>del</strong>l’accusa ad aumentare<br />

sensibilmente le richieste di archiviazione, operando una gestione sempre<br />

più selettiva <strong>del</strong>l’iniziativa penale, con evidenti riflessi sul rispetto sostanziale<br />

<strong>del</strong> principio di obbligatorietà <strong>del</strong>l’azione penale. Dal canto suo, anche il<br />

giudice, specie se monocratico, potrà mostrare assai maggiori remore a pronunciare<br />

una sentenza di proscioglimento, e, per evitare di trovarsi di fronte ad un<br />

quadro probatorio insufficiente, sarà portato ad assumere atteggiamenti sempre<br />

più interventistici in materia probatoria.<br />

4. – Mentre il nuovo testo <strong>del</strong>l’art. 443 comma 1° c.p.p. prevede con la<br />

soppressione <strong>del</strong>le parole « quando l’appello tende ad ottenere una diversa formula<br />

» un’inappellabilità secca <strong>del</strong>la sentenza di proscioglimento emessa a seguito<br />

di giudizio abbreviato, il proscioglimento « ordinario » nella versione finale<br />

<strong>del</strong>la legge conosce, come si diceva, una limitata possibilità di appello<br />

quando pubblico ministero o imputato chiedano l’assunzione di nuove prove<br />

sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, e queste si dimostrino<br />

decisive, cioè, è da ritenere, idonee a determinare, anche in combinazione con<br />

quelle preesistenti, una riforma <strong>del</strong>la sentenza: entrambe sono considerate condizioni<br />

di ammissibilità <strong>del</strong>l’appello e <strong>del</strong>la rinnovazione <strong>del</strong>l’istruzione dibattimentale.<br />

Il legislatore ritiene che in presenza di un tale novum probatorio sia<br />

possibile sovvertire una decisione di proscioglimento in primo grado. Si tratta<br />

di un’ipotesi certamente residuale, ma rispetto alla quale, come è stato giustamente<br />

notato, si ripropone in termini inalterati il problema <strong>del</strong>la tutela<br />

<strong>del</strong>l’imputato condannato per la prima volta in appello che la regola <strong>del</strong>l’inappellabilità<br />

mirava a risolvere. E lo stesso potrebbe ripetersi a proposito <strong>del</strong>la<br />

conversione <strong>del</strong> ricorso in appello, che, secondo il novellato art. 580 c.p.p., si<br />

realizza nei casi di connessione quando contro la stessa sentenza siano proposti<br />

mezzi di impugnazione diversi. È, insomma, la stessa rigidità <strong>del</strong>la soluzione di<br />

fondo prescelta: l’inappellabilità <strong>del</strong> proscioglimento, a precludere la possibilità<br />

di tutelare in modo soddisfacente le situazioni in cui si ritenga opportuno poterne<br />

prescindere.<br />

5. – Assai confusamente disciplinati sono i poteri di impugnazione <strong>del</strong>la<br />

parte civile. L’art. 576 c.p.p. la autorizza a « proporre impugnazione contro i<br />

capi <strong>del</strong>la sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti<br />

<strong>del</strong>la responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata<br />

nel giudizio », ma l’ultima versione <strong>del</strong>la legge « Pecorella » – su suggerimento<br />

<strong>del</strong>l’Unione Camere penali – ha soppresso l’inciso « con lo stesso mezzo previsto<br />

per il pubblico ministero », per evitare che la parte civile subisse le limitazioni<br />

previste per l’organo <strong>del</strong>l’accusa in ordine all’inappellabilità <strong>del</strong>le sentenze<br />

di proscioglimento, aderendo in questo ad una precisa richiesta <strong>del</strong> Capo<br />

<strong>del</strong>le Stato. Sennonché, non essendosi aggiunta alcuna indicazione in positivo,


638<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rimangono indeterminati i mezzi di impugnazione a disposizione <strong>del</strong>la parte<br />

civile. Dimenticanza assai grave (anche se certamente non voluta) in un sistema<br />

governato dal principio di tassatività in materia di impugnazione (art. 568<br />

c.p.p.). Di fronte ad una simile lacuna, parrebbe una forzatura interpretativa ritenere<br />

che l’attribuzione alla parte civile <strong>del</strong> potere di impugnare previsto<br />

dall’art. 576 c.p.p. implichi che, in assenza di specifiche indicazioni, esso possa<br />

avvenire con qualunque mezzo, e, dunque, con l’appello (a cui fa peraltro riferimento<br />

tuttora l’art. 600 c.p.p. in ordine all’esecuzione <strong>del</strong>le condanne civili) e<br />

con il ricorso per cassazione (peraltro, con l’effetto di attribuirle così poteri superiori<br />

a quelli ormai spettanti alla parte pubblica). Sulla base <strong>del</strong> principio di<br />

tassatività, sembra di dover concludere che la mancata indicazione <strong>del</strong> mezzo<br />

restringa le possibilità di impugnazione <strong>del</strong>la parte civile al solo ricorso per cassazione;<br />

anzi, essendosi anche a questo proposito scollegata la sua posizione da<br />

quella <strong>del</strong> pubblico ministero, il rimedio parrebbe circoscritto al solo ricorso per<br />

violazione di legge, l’unico sicuramente garantito in virtù <strong>del</strong>l’art. 111 comma<br />

7° Cost. (eccezion fatta per il ricorso contro la sentenza di non luogo a procedere<br />

che, secondo il nuovo art. 428 comma 2° c.p.p., la parte civile può proporre<br />

« ai sensi <strong>del</strong>l’art. 606 »).<br />

Naturalmente, ove si aderisse ad una tale impostazione, ne seguirebbe un<br />

naturale interesse <strong>del</strong>la parte civile di adire il giudice civile. Una scelta, che,<br />

però, appare oggi fortemente penalizzata dai parametri ordinari che definiscono<br />

il passaggio <strong>del</strong>l’azione civile dalla sede penale a quella civile (sospensione <strong>del</strong><br />

processo civile fino al passaggio in giudicato <strong>del</strong>la sentenza che definisce il<br />

giudizio penale ed efficacia di giudicato di quest’ultima nel giudizio civile); si<br />

imporrebbe, invece, di applicare anche qui i criteri « derogatori » di completa<br />

separazione tra i due giudizi che il sistema prevede per le situazioni in cui il trasferimento<br />

alla sede civile divenga necessitato per impossibilità o eccessiva<br />

onerosità <strong>del</strong>la permanenza nel processo penale <strong>del</strong>la parte civile per cause a lei<br />

non imputabili. Altrimenti la disciplina si presta a non infondati dubbi di legittimità<br />

costituzionale ex art. 24 commi 1° e 2° Cost.<br />

6. – La seconda direttrice di fondo in cui si muove la legge « Pecorella » è<br />

rappresentata da un vistoso incremento <strong>del</strong> ricorso per cassazione. C’è uno<br />

stretto collegamento, che vorrebbe essere di tipo compensativo, tra questa scelta<br />

e l’inappellabilità <strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento.<br />

Per un verso, diventano ricorribili per cassazione le sentenze di non luogo<br />

a procedere, con l’eccezione di quelle pronunciate perché il fatto non sussiste o<br />

l’imputato non lo ha commesso (art. 428 c.p.p.), che precedentemente erano<br />

soggette ad appello; una modifica in qualche misura parametrata sull’inappellabilità<br />

<strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento, anche se qui la dinamica appare<br />

sensibilmente diversa, poiché l’alternativa decisoria che si pone al giudice superiore<br />

è solo tra conferma o riforma con formula meno favorevole e rinvio a giudizio.<br />

E, proprio per questo stretto collegamento con l’esercizio <strong>del</strong>l’azione penale,<br />

qui, l’inappellabilità da parte <strong>del</strong> pubblico ministero potrebbe ridondare in


LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE ECC. 639<br />

violazione <strong>del</strong>l’art. 112 Cost. Per contro, si viene a determinare in tal modo un<br />

notevole aggravio per la Corte, a cui si aggiunge una possibile regressione <strong>del</strong><br />

procedimento in caso di mancata conferma <strong>del</strong>la sentenza, che allungherà inevitabilmente<br />

i tempi processuali; una soluzione non molto compatibile con il<br />

principio di ragionevole durata dei processi, come non ha mancato di avvertire<br />

lo stesso Presidente <strong>del</strong>la Repubblica nel suo messaggio alle Camere.<br />

In secondo luogo, viene ridisegnata l’area dei due motivi di ricorso previsti<br />

rispettivamente dall’art. 606 lett. d) ed e) c.p.p. Nel primo figura ora la<br />

« mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta<br />

anche nel corso <strong>del</strong>l’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti<br />

dall’art. 495 comma 2 »; nel secondo la « mancanza, contraddittorietà o manifesta<br />

illogicità <strong>del</strong>la motivazione, quando il vizio risulta dal testo <strong>del</strong> provvedimento<br />

impugnato o da altri atti <strong>del</strong> processo specificamente indicati nei motivi<br />

di gravame ».<br />

Con la prima modifica, il ricorso per cassazione diventa proponibile anche<br />

quando la prova decisiva, anziché essere richiesta tempestivamente ex art. 468,<br />

493 e 495 c.p.p. è domandata in modo tardivo nel corso <strong>del</strong>l’istruzione dibattimentale.<br />

La formula originaria <strong>del</strong>la legge che faceva riferimento alla mancata<br />

assunzione di una prova decisiva richiesta dalla parte senza distinguere tra prova e<br />

controprova avrebbe certo comportato un incremento dei ricorsi, ma sicuramente<br />

era più coerente rispetto ad un sistema che tutela sotto entrambi i profili il diritto<br />

alla prova <strong>del</strong>le parti (art. 190 c.p.p. e 111 comma 3° Cost.); quella elaborata dopo<br />

il rinvio presidenziale appare invece <strong>del</strong> tutto incongrua, perché rispetto al vecchio<br />

testo <strong>del</strong>l’art. 606 lett. d) innova solo dando copertura a situazioni abusive (le<br />

richieste tardive, al di là di quelle previste dall’art. 493 comma 2° c.p.p.) e rischia<br />

anzi, di incentivarne il moltiplicarsi, favorendo prassi elusive <strong>del</strong>la discovery predibattimentale.<br />

Con la seconda, il vizio di motivazione si estende all’ipotesi di<br />

contraddittorietà e può risultare non più solo dal testo <strong>del</strong> provvedimento impugnato,<br />

ma anche da altri atti <strong>del</strong> processo specificamente indicati nei motivi di<br />

gravame (riferimento, per la verità, un po’ sibillino, che potrebbe indurre a neutralizzare<br />

la portata <strong>del</strong>l’innovazione, limitando il visus <strong>del</strong>la cassazione ai motivi<br />

d’appello). Per questa via l’orizzonte conoscitivo <strong>del</strong>la Corte si apre ai più vari<br />

atti probatori; ed è proprio in tale ottica che acquista rilevanza il vaglio di contraddittorietà<br />

<strong>del</strong>la motivazione, che sottolinea la presenza di un contrasto tra la<br />

logica <strong>del</strong>la motivazione e le prove <strong>del</strong> processo. Si è insomma superato lo steccato<br />

segnato dai vizi risultanti dal testo <strong>del</strong> provvedimento impugnato, per immergere<br />

la cassazione in una piena valutazione dei profili di merito <strong>del</strong>la vicenda<br />

processuale. Occorre, beninteso, intendersi: già prima la Corte poteva censurare<br />

(sia pure nei limiti <strong>del</strong> testo <strong>del</strong> provvedimento impugnato) le inferenze induttive<br />

e le massime d’esperienza, compiendo così giudizi di fatto. Ora dovrà verificare<br />

anche la corrispondenza tra quelle premesse probatorie e gli atti <strong>del</strong> procedimento<br />

indicati dal ricorrente. Ma, da questo punto di vista, è indiscutibile che la riforma<br />

è destinata ad avere un massiccio impatto sul piano « quantitativo » e, quindi, sul<br />

carico di lavoro <strong>del</strong>la Cassazione.


640<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Il disegno complessivo risulta peraltro disorganico: nei voti <strong>del</strong> legislatore<br />

le aumentate possibilità di ricorso avrebbero dovuto compensare il deficit di tutela<br />

determinato dall’inappellabilità <strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento; ma <strong>del</strong>l’ampliamento<br />

<strong>del</strong>le possibilità di ricorso finisce per beneficiare anche l’imputato<br />

condannato in secondo grado con « doppia conforme », che, dunque, fruisce<br />

di ben tre rivalutazioni nel merito <strong>del</strong>la sua posizione; un « lusso » eccessivo<br />

che appesantisce inutilmente il lavoro <strong>del</strong>la cassazione e che sembra difficilmente<br />

compatibile con il canone di ragionevole durata <strong>del</strong> processo.<br />

Sotto un diverso profilo, l’inappellabilità <strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento,<br />

da un lato, e l’ammissibilità <strong>del</strong> ricorso per i vizi di motivazione che risultino<br />

non solo dal testo <strong>del</strong> provvedimento impugnato, ma anche da altri atti <strong>del</strong> processo<br />

specificamente indicati nei motivi di gravame, dall’altro, appaiono sinergicamente<br />

destinati a propiziare tre fattori di sconvolgimento <strong>del</strong> sistema: anzitutto<br />

una moltiplicazione dei ricorsi, che determinerà un aggravio insostenibile<br />

per la Corte. Lo stesso meccanismo di filtro <strong>del</strong>la settima sezione, che finora<br />

aveva dato buona prova di sé, riuscendo mediamente a smaltire quasi il cinquanta<br />

per cento dei ricorsi, rischia di essere inceppato da valutazioni di manifesta<br />

inammissibilità ormai legate a profili di merito. In secondo luogo, questo<br />

grande carico finirà per determinare un allungamento dei tempi processuali: è<br />

significativo, da questo punto di vista, l’avvertimento contenuto nel messaggio<br />

<strong>del</strong> Presidente <strong>del</strong>la Repubblica, « la funzione compensativa attribuita all’ampliamento<br />

<strong>del</strong>le ipotesi <strong>del</strong> ricorso per cassazione hanno un effetto inflativo superiore<br />

di gran lunga a quello deflativo derivante dalla soppressione <strong>del</strong>l’appello<br />

<strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento »; se poi si aggiungono gli effetti <strong>del</strong>la<br />

c.d. legge ex Cirielli, che ha previsto un significativo raccorciamento dei termini<br />

prescrizionali, il timore che la dilatazione dei tempi processuali porti ad un<br />

generale rischio prescrizione diventa assai concreto. Infine, sommersa da una<br />

crescita esponenziale di lavoro, talora anche minuto, la Corte ben difficilmente<br />

sarà in grado di assolvere alla essenziale funzione di nomofilachia che le è attribuita<br />

dalla legge.<br />

Infine, una disposizione transitoria (art. 10 legge n. 46) sancisce l’immediata<br />

applicazione <strong>del</strong>la novella ai procedimenti in corso, attraverso una procedura<br />

che prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento<br />

prima <strong>del</strong>la data di entrata in vigore <strong>del</strong>la legge venga dichiarato inammissibile<br />

e che entro quarantacinque giorni dalla notifica <strong>del</strong> provvedimento di inammissibilità<br />

le parti possano proporre ricorso contro la sentenza, presentando anche<br />

motivi nuovi secondo le ampliate formule <strong>del</strong>l’art. 606 lett. d) ed e). Un regime<br />

che, oltre a riservare agli appelli pendenti un trattamento ingiustificatamente<br />

discriminatorio, prevedendone l’inammissibilità anche nel caso di prove decisive<br />

scoperte o sopravvenute, rischia di avere un impatto dirompente sul carico<br />

<strong>del</strong>la cassazione, e, non a caso, a tempo di record la Suprema corte (sez. VI, 22<br />

marzo 2006, n. 10104) si è affrettata a cercare almeno di limitare i danni, sostenendo<br />

che la possibilità di presentare quei motivi nuovi non si riferirebbe ai ricorsi<br />

già dichiarati inammissibili.


LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE ECC. 641<br />

7. – Si diceva che la legge contiene anche due previsioni eccentriche rispetto<br />

alla problematica <strong>del</strong>le impugnazioni. Con la prima viene ridisegnato<br />

l’ambito <strong>del</strong> potere di archiviazione.<br />

Il nuovo testo <strong>del</strong>l’art. 405 c.p.p. prevede che il pubblico ministero debba<br />

formulare richiesta di archiviazione « quando la Corte di cassazione si è pronunciata<br />

in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a<br />

carico <strong>del</strong>la persona sottoposta alle indagini ».<br />

L’obiettivo sembra trasparente: si vuole evitare che in presenza di una valutazione<br />

negativa sui gravi indizi di colpevolezza dalla parte <strong>del</strong>la cassazione ed in<br />

mancanza di ulteriori elementi a carico il pubblico ministero possa esercitare l’azione<br />

penale, che presupponendo un giudizio prognostico sulla probabilità <strong>del</strong>la<br />

condanna (art. 125 norme att. c.p.p.), contrasterebbe con la constatata insussistenza<br />

degli elementi indiziari. Si tratterebbe, insomma, di una sorta di rimedio preventivo,<br />

che avrebbe l’effetto di alleggerire il carico di lavoro dei giudici <strong>del</strong>l’udienza<br />

preliminare, salvaguardando allo stesso tempo il diritto <strong>del</strong>l’imputato a non essere<br />

inutilmente sottoposto a processo (almeno con riferimento alla celebrazione<br />

<strong>del</strong>l’udienza preliminare) e il principio di ragionevole durata <strong>del</strong> processo.<br />

Sennonché, oltre ad essere applicabile solo nel caso di conferma da parte<br />

<strong>del</strong>la Cassazione di una decisione di merito che esclude la presenza dei gravi<br />

indizi, non convince l’automatismo di questa norma, che configura un criterio<br />

vincolante per il pubblico ministero, e, di rimando, per il giudice in sede di<br />

controllo, in quanto essa presuppone la sovrapponibilità di valutazioni che presentano<br />

invece tra loro differenze sensibili. Infatti, mentre quella sull’esercizio<br />

<strong>del</strong>l’azione è di tipo prognostico, e non è effettuata solo sulla base degli elementi<br />

già in possesso <strong>del</strong> pubblico ministero, ma anche su quanto egli ritiene di<br />

poter acquisire successivamente, quella sui gravi indizi ai fini cautelari si circoscrive<br />

necessariamente al materiale in atti, esibito dal pubblico ministero. Inoltre,<br />

il pubblico ministero è dotato di un potere selettivo in rapporto agli elementi<br />

da sottoporre ai fini <strong>del</strong>la decisione in materia cautelare (art. 291 comma 1°<br />

c.p.p.), mentre le determinazioni inerenti all’esercizio <strong>del</strong>l’azione penale devono<br />

essere prese sulla base di tutto il materiale investigativo. Per contro, la nuova<br />

regola contenuta nell’art. 405 c.p.p. escludendo incongruamente che ai fini<br />

<strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong>l’azione penale si possa tenere conto degli elementi investigativi<br />

che non siano stati esibiti dall’accusa ai fini cautelari, e che, quindi, non risultino<br />

« sopravvenuti » rispetto alla decisione <strong>del</strong>la Cassazione, sembra prestarsi<br />

a non infondati dubbi di costituzionalità per violazione <strong>del</strong>l’art. 112 Cost.<br />

Più in generale, qui l’archiviazione sembra impropriamente impiegata, dato che<br />

non serve a controllare l’inazione, ma ad impedire l’esercizio <strong>del</strong>l’azione.<br />

8. – Infine, si è voluto specificare che la sentenza di condanna può essere<br />

pronunciata solo se l’imputato « risulta colpevole <strong>del</strong> reato contestatogli al di là<br />

di ogni ragionevole dubbio », riecheggiando l’aurea formula in uso nei paesi di<br />

common law.


642<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Riguardando l’attività decisoria <strong>del</strong> giudice, anche una previsione <strong>del</strong> genere<br />

sembrerebbe eccentrica rispetto alla materia <strong>del</strong>le impugnazioni; tuttavia, è<br />

agevole immaginarne una connessione con le tematiche affrontate, rappresentata<br />

dal rilievo che non potrebbe dirsi immune dal ragionevole dubbio una sentenza<br />

di condanna che seguisse ad un proscioglimento <strong>del</strong>l’imputato per lo stesso<br />

fatto e sulla base <strong>del</strong>le stesse prove, soprattutto se emessa a seguito di un mero<br />

riesame cartaceo <strong>del</strong>le medesime. Un assunto, per la verità, tutt’altro che irresistibile,<br />

dato che non toccherebbe i proscioglimenti per insufficienza probatoria<br />

(art. 530 comma 2° c.p.p.) o quelli per estinzione <strong>del</strong> reato, ma che, soprattutto,<br />

non terrebbe conto <strong>del</strong> fatto che il primo giudice potrebbe aver semplicemente<br />

formulato un giudizio erroneo.<br />

In sé la regola decisoria era già ricavabile dal sistema quale corollario<br />

<strong>del</strong>la presunzione di non colpevolezza (art. 27 comma 2° Cost.). Ora però si è<br />

calata in una formula normativa, che sembra impegnare il giudice ad esprimersi<br />

esplicitamente sul punto di motivazione, integrando una regola valutativa « di<br />

chiusura », suscettibile, come tale di un controllo in sede di impugnazione, anche<br />

da parte <strong>del</strong>la Corte di cassazione. Difficile, peraltro, fissarne il contenuto, a<br />

fronte <strong>del</strong>l’irriducibile margine di soggettivismo che, alla resa dei conti, caratterizza<br />

la decisione. Certo il giudice deve dimostrare di aver coltivato e verificato<br />

tutte le prospettive ricavabili dai dati probatori; operato la ricostruzione dei fatti<br />

più attendibile alla luce di quegli elementi, impiegando la logica induttiva, conformemente<br />

all’insegnamento di Hume, secondo il quale gli eventi non seguono<br />

necessariamente l’uno dall’altro, ma presentano solo connessioni più o meno<br />

plausibili, e ricordano che il concetto di certezza, legato alla logica deduttiva, è<br />

stato messo in crisi nell’ambito <strong>del</strong>le stesse scienze sperimentali nel cui ambito<br />

si era sviluppato. La formula, ponendo al centro il concetto di « ragionevolezza<br />

» <strong>del</strong> dubbio, indica comunque che, una volta superato quel limite (per<br />

quanto labile e sfuggente), il vaglio <strong>del</strong> giudice si deve arrestare, per concludersi<br />

con la decisione di condanna. Diversamente opinando, confondendo, cioè la<br />

ragionevolezza con la astratta razionalità <strong>del</strong> dubbio, quell’epilogo diventerebbe<br />

virtualmente irrealizzabile, svuotando la formula normativa di qualsiasi significato.<br />

ROBERTO E. KOSTORIS


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C.<br />

FRA STRUMENTALITÀ CAUTELARE<br />

« ATTENUATA » ED ESTINZIONE<br />

DEL « PIGNORAMENTO » (∗)<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il nuovo art. 616 e la coltivazione <strong>del</strong>l’opposizione.<br />

– 3. La « introduzione » <strong>del</strong>la causa di « merito » da parte <strong>del</strong>l’« interessato<br />

» nel nuovo art. 616. – 4. Segue: il possibile « promovimento », in<br />

via invertita, da parte <strong>del</strong> creditore opposto. – 5. La nuova udienza di<br />

« comparizione » <strong>del</strong> novellato art. 185 disp.att.c.p.c. e l’inimpugnabilità<br />

<strong>del</strong>la sentenza che decide l’opposizione. – 6. La nuova sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

fra strumentalità cautelare « attenuata » ed estinzione <strong>del</strong> pignoramento.<br />

– 7. La cauzione e la singolare autorità <strong>del</strong>l’ordinanza di estinzione<br />

<strong>del</strong> pignoramento.<br />

1. – Con la recentissima legge n. 52 <strong>del</strong> 24 febbraio 2006, il furore normativo<br />

<strong>del</strong>l’instancabile legislatore processuale ha colpito, come noto e preannunciato,<br />

anche la disciplina <strong>del</strong>le esecuzioni mobiliari.<br />

Come ormai siamo abituati a vedere nell’attuale modus operandi, però,<br />

nonostante il ben <strong>del</strong>ineato ambito oggettivo di intervento nel riformare le<br />

esecuzioni mobiliari, la legge citata approfitta per rimo<strong>del</strong>lare, con effetto di<br />

immediata applicazione anche ai processi in corso (1), pure gli artt. 616, 618,<br />

618-bis, 619, 624 e 624-bis c.p.c.; gli ultimi due, peraltro, già oggetto <strong>del</strong> copioso<br />

intervento <strong>del</strong> maggio 2005.<br />

Nella presente sede, intendo esporre alcune prime considerazioni, assolutamente<br />

non esaustive, <strong>del</strong>la nuova – irrazionale invero – disciplina derivante<br />

dal combinato disposto degli artt. 616 e 624 c.p.c. (2), il primo intera-<br />

––––––––––––<br />

(∗) Il presente saggio è dedicato con deferenza al Prof. Carmine Punzi, mio Maestro,<br />

e destinato alla raccolta di scritti in Suo onore.<br />

(1) Manca molto inopportunamente, infatti, nella legge 52/2006 – entrata in vigore<br />

il 1 marzo 2006, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 22 – una norma di diritto intertemporale che limiti<br />

l’applicazione <strong>del</strong>le nuove norme ai soli processi esecutivi ed incidenti oppositivi proposti<br />

dopo l’entrata in vigore <strong>del</strong>la legge stessa.<br />

(2) Giustamente e severamente critici, specie quanto all’art. 624 c.p.c., già Consolo,<br />

Il pignoramento preso sul serio, fra buone intenzioni ed insipienze redazionali, in Il sole


644<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

mente sostituito dalla legge n. 52, il secondo – già inciso dalla legge 80 <strong>del</strong><br />

2005 – interpolato nuovamente con l’aggiunta di un terzo e di un quarto<br />

comma.<br />

La nuova formulazione <strong>del</strong>l’art. 616 prevede ora che, a seguito <strong>del</strong>la<br />

proposizione <strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione <strong>del</strong> debitore di cui al comma 2°<br />

<strong>del</strong>l’art. 615 c.p.c. (3) – ossia <strong>del</strong>l’opposizione proposta dopo il pignoramento<br />

ovvero dopo l’avvio <strong>del</strong>l’esecuzione in forma specifica (4) – il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione,<br />

se è competente (per valore e materia) (5), fissa un termine pe-<br />

––––––––––––<br />

24 ore, 26 febbraio 2006; A.A. Romano, La nuova disciplina <strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione<br />

(rilevi critici a prima lettura dopo la legge 24 febbraio 2006, n.52), e R. Conte,<br />

La riforma <strong>del</strong>le opposizioni e <strong>del</strong>l’intervento nelle procedure esecutive con requiem per<br />

il sequestro conservativo, entrambi in www.judicium.it., passim.<br />

(3) È opportuno precisare che nella presente sede non esaminerò né la modificazione<br />

<strong>del</strong> primo comma <strong>del</strong>l’art. 615 c.p.c. relativa alla possibilità <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione<br />

a precetto di sospendere la vis executiva <strong>del</strong> titolo né l’ora previsto strumento<br />

di controllo, nella specie <strong>del</strong> reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c., dei provvedimenti<br />

adottati dall’art. 624 c.p.c. Per la relativa analisi mi permetto di rinviare al mio<br />

commento di questi due articoli di prossima pubblicazione nella nuova edizione <strong>del</strong><br />

Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, Milano 2006. Tuttavia,<br />

una considerazione preliminare si impone quanto al rapporto fra l’opposizione<br />

all’esecuzione <strong>del</strong> debitore in generale e l’ambito applicativo <strong>del</strong> nuovo art. 616. Infatti,<br />

da una rigorosa lettura in combinato disposto degli artt. 615 e 616 – che si riferisce<br />

espressamente al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione, che dunque deve essere già stata avviata –<br />

dovrebbe dedursi che la nuova disciplina <strong>del</strong>la seconda norma debba limitarsi alle sole<br />

opposizioni proposte dopo l’avvio <strong>del</strong>l’esecuzione forzata. Ma ciò creerebbe un grave<br />

ed incostituzionale sbilanciamento fra forme, termini <strong>del</strong>le due opposizioni e soprattutto<br />

di regime <strong>del</strong>la sentenza che decide sull’incidente, impugnabile quella pronunciata<br />

sull’opposizione a precetto, non impugnabile quella sull’opposizione ad esecuzione<br />

avviata: sulla questione infra § 5. Mi pare dunque debba preferirsi una lettura<br />

degli artt. 616 e 624, e più in particolare <strong>del</strong> termine « pignoramento » contenuto nella<br />

seconda norma, come dedicato ad entrambe le opposizioni (analogamente, A.A. Romano,<br />

La nuova disciplina, cit., § 2), alla stregua <strong>del</strong>l’opzione esegetica già compiuta in<br />

passato con riferimento all’analoga apparente <strong>del</strong>imitazione <strong>del</strong>l’art. 619 c.p.c.<br />

(4) L’incertezza <strong>del</strong> momento di inizio <strong>del</strong>l’esecuzione in forma specifica, come<br />

noto, è stata risolta proprio dalla legge n. 80 <strong>del</strong> 2005 che, a proposito, novellando l’art.<br />

608 c.p.c. ha previsto che nell’esecuzione per consegna o rilascio l’inizio <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

va ricondotto alla notifica <strong>del</strong>l’avviso con il quale l’ufficiale giudiziario comunica almeno<br />

dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l’immobile, il giorno e l’ora in<br />

cui procederà.<br />

(5) La competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione va notoriamente individuata<br />

sulla base <strong>del</strong>le regole ordinarie di competenza per materia e valore: per tutti,<br />

Recchioni Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, Milano<br />

2000, II, p. 2622.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 645<br />

rentorio per l’introduzione <strong>del</strong> giudizio di merito secondo le modalità previste<br />

in ragione <strong>del</strong>la materia e <strong>del</strong> rito, previa iscrizione a ruolo, a cura <strong>del</strong>la parte<br />

interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163-bis, o altri se<br />

previsti, ridotti <strong>del</strong>la metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all’ufficio giudiziario<br />

competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione<br />

<strong>del</strong>la causa.<br />

Il nuovo articolo conclude poi prevedendo che la sentenza pronunciata<br />

dal giudice <strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione non è impugnabile.<br />

Per quanto concerne l’art. 624 c.p.c., invece, ai sensi <strong>del</strong> comma 1° « se è<br />

proposta opposizione all’esecuzione a norma degli articoli 615 e 619, il giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il<br />

processo con cauzione o senza »; il nuovo comma 2°, invece, prevede lo<br />

strumento <strong>del</strong> reclamo cautelare contro i provvedimenti sull’istanza di sospensione.<br />

In sostanza, è stato introdotto uno specifico strumento di controllo dei<br />

provvedimenti (di sospensione come di rigetto <strong>del</strong>la relativa istanza) adottati<br />

ieri (cioè nella modifica <strong>del</strong>la legge 80) solo dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione, oggi<br />

in virtù appunto <strong>del</strong>la legge 52 <strong>del</strong> 2006 anche dal giudice <strong>del</strong>l’opposizione a<br />

precetto.<br />

2. – Limitandoci, per il momento, alle novità <strong>del</strong>l’art. 616 rispetto alla<br />

vecchia formulazione <strong>del</strong>la norma, la prima, all’evidenza, concerne il farraginoso<br />

meccanismo <strong>del</strong>la doppia e diversa modalità di trasmigrazione <strong>del</strong>la causa<br />

di opposizione dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione a quello <strong>del</strong>la cognizione, a seconda<br />

che il giudice <strong>del</strong>la cognizione <strong>del</strong>l’opposizione appartenga o meno allo<br />

stesso ufficio giudiziario <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’esecuzione; nel primo caso, infatti, è<br />

prevista una formale introduzione (6) <strong>del</strong>la causa di opposizione (7) entro il<br />

––––––––––––<br />

(6) Sul termine, v. infra § 3.<br />

(7) Per il vero, la lettera <strong>del</strong>la norma si riferisce al « giudizio di merito » e non anche<br />

alla causa, come più neutralmente e tecnicamente prevedeva il vecchio art. 616. Non<br />

venendo in rilievo in questo ambito, né questioni di rapporti fra rito e merito <strong>del</strong> processo<br />

né essendo ricostruibile dal punto di vista teorico il rapporto fra esecuzione e processo di<br />

opposizione alla medesima come di un rapporto fra un processo di un certo tipo ed uno di<br />

merito, con l’espressione la nuova legge ha inteso riferirsi alla diversa natura <strong>del</strong>l’incidente<br />

– cioè un vero processo a cognizione piena – rispetto alla possibilità che unitamente<br />

alla proposizione <strong>del</strong>l’incidente oppositivo sia proposta la domanda di sospensione<br />

<strong>del</strong>la procedura esecutiva ex art. 624 c.p.c. In questo caso, con « merito » si intenderebbe<br />

appunto il giudizio di opposizione rispetto al provvedimento, per molti di natura cautelare<br />

e posto in relazione di servenza (o, si vis, di strumentalità) appunto rispetto alla causa<br />

di opposizione: ricorda queste terminologia e ricostruzione <strong>del</strong> rapporto fra provvedimento<br />

di sospensione e giudizio di opposizione all’esecuzione, Montanaro, Opposizioni<br />

esecutive proposte nel corso <strong>del</strong>l’esecuzione e disciplina <strong>del</strong> processo ordinario di cognizione,<br />

in Riv. es. forzata 2004, p. 501 ss.


646<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

termine perentorio previsto dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione con iscrizione <strong>del</strong>la<br />

causa a ruolo, nel rispetto <strong>del</strong>le forme e dei termini dei vari, diversi riti cui<br />

possono essere assoggettate le materie <strong>del</strong>le obbligazioni, pecuniarie e non,<br />

contenute nei titoli esecutivi azionati.<br />

Nel secondo, invece, la mera rimessione <strong>del</strong>l’incidente oppositivo – si<br />

noti, già introdotto a mio avviso (8) – al giudice competente, che verrà formalmente<br />

investito <strong>del</strong>la trattazione <strong>del</strong>la causa.<br />

Il contorto restyling <strong>del</strong>l’art. 616, almeno per quanto concerne gli snodi<br />

prettamente procedimentali <strong>del</strong>la sua prima parte – ossia inciso finale escluso<br />

– è stato senz’altro stimolato dai molti dubbi ricostruttivi che la scarna disciplina<br />

<strong>del</strong> vecchio testo aveva suscitato nella pratica, specie a seguito <strong>del</strong>le riforme<br />

degli anni 90 (9).<br />

Senza pretesa di esaustività, limitandoci alle questioni più frequenti ed al<br />

solo scopo di <strong>del</strong>ineare il quadro <strong>del</strong>le problematiche in cui si deve collocare<br />

la nuova norma, infatti, complice soprattutto l’art. 185 disp.att.c.p.c. – in prima<br />

battuta non inciso dalla legge n. 80 <strong>del</strong> 2005 (10) – nel cui testo originario<br />

si prevedeva che « all’udienza di comparizione davanti al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

fissata a norma degli articoli 615, 618 e 619 <strong>del</strong> codice si applica la<br />

disposizione <strong>del</strong>l’articolo 183 <strong>del</strong> codice », era controverso se, ripristinata la<br />

scissione fra l’udienza di comparizione <strong>del</strong>le parti ex art. 180 c.p.c e l’udienza<br />

di trattazione ex art. 183 c.p.c. dalla contronovella <strong>del</strong> 1995 – l’udienza fissata<br />

dopo la presentazione <strong>del</strong> ricorso in opposizione dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

dovesse considerarsi udienza di comparizione ai sensi <strong>del</strong>l’art. 180 ovvero di<br />

trattazione ex art. 183 c.p.c.<br />

Per il vero, la tesi assolutamente prevalente preferiva il primo corno<br />

<strong>del</strong>l’alternativa (11), in relazione alla funzione di passaggio dal processo esecutivo<br />

a quello di cognizione <strong>del</strong>l’opposizione proprio attraverso detta udienza<br />

in cui il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione accoglieva o respingeva l’istanza di sospensione,<br />

fissando altresì il termine per la riassunzione <strong>del</strong>la causa di opposizione<br />

dinanzi al giudice competente per valore o materia (12).<br />

In dipendenza di questa ricostruzione, era poi sorto il problema in ordine<br />

––––––––––––<br />

(8) V. amplius infra, §§ 4 e 5.<br />

(9) Sulle varie quaestiones mi sia consentito rinviare al mio commento agli<br />

artt. 615 – 618-bis <strong>del</strong> Codice di procedura civile commentato, loc. ult. cit., nonché alla<br />

nuova edizione di prossima pubblicazione.<br />

(10) Va peraltro ricordato che secondo una idea molto diffusa, l’art. 185<br />

disp.att. sarebbe stato implicitamente abrogato a seguito appunto <strong>del</strong>la controriforma<br />

<strong>del</strong> 1995: v., anche per ulteriori riferimenti, Montanaro, Opposizioni esecutive, cit.,<br />

p. 504, nt. 27.<br />

(11) V. ancora Montanaro, op. cit., p. 505.<br />

(12) Per una diversa soluzione, Montanaro, op. loc. ult. cit.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 647<br />

alle decadenze <strong>del</strong> convenuto ai sensi <strong>del</strong> combinato disposto degli artt. 167 e<br />

180 c.p.c., nella loro versione ante riforma <strong>del</strong> 2005, ossia quanto alla proposizione<br />

di domande riconvenzionali da parte <strong>del</strong> creditore opposto (normalmente<br />

ammesse nel giudizio di opposizione all’esecuzione), chiamata di terzo<br />

e proposizione di eccezioni di rito e merito non rilevabili ex officio (13).<br />

In particolare, riconosciuta nell’udienza <strong>del</strong>l’art. 185 disp.att.c.p.c.<br />

quella di comparizione ex art. 180 c.p.c., la questione più <strong>del</strong>icata concerneva<br />

la possibilità per il convenuto opposto di proporre domande riconvenzionali<br />

(e chiamate di terzi) ove l’udienza de qua fosse stata fissata dal giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione senza rispettare i termini di cui all’art. 163-bis c.p.c. e, comunque,<br />

senza concedere al convenuto i venti giorni previsti dall’art. 167<br />

c.p.c. per la ammissibile – perché tempestiva – proposizione di domande riconvenzionali.<br />

Una terza questione riguardava la necessità o meno di celebrare questa<br />

udienza di comparizione dinanzi al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione a seguito <strong>del</strong>la<br />

proposizione <strong>del</strong> ricorso in opposizione nel caso in cui l’opponente non<br />

avesse chiesto sospendersi la procedura esecutiva: anche in questo caso due<br />

erano le soluzioni, quella prevalente, peraltro, nel senso di escludere la necessità<br />

di tale udienza potendosi limitare il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione ad adottare<br />

un provvedimento di mera rimessione <strong>del</strong>la causa al giudice competente<br />

(14).<br />

Altro dubbio sorgeva quanto all’osmosi <strong>del</strong>la documentazione <strong>del</strong> processo<br />

esecutivo ovvero degli atti <strong>del</strong>l’opposizione proposta dinanzi al giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione (ricorso, eventuali documenti ecc.) dal processo esecutivo, in<br />

cui risultavano acquisiti, a quello di opposizione all’esecuzione; questione<br />

solitamente risolta con una interpretazione – in effetti poco rigorosa – <strong>del</strong>l’art.<br />

186 disp.att.c.p.c. a mente <strong>del</strong> quale « il cancelliere (…) deve immediatamente<br />

richiedere al cancelliere <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’esecuzione la trasmissione <strong>del</strong> ricorso<br />

in opposizione, di copia <strong>del</strong> processo verbale <strong>del</strong>l’udienza di comparizione<br />

di cui agli artt. 615 e 617 <strong>del</strong> codice di rito e dei documenti allegati relativi<br />

alla causa di opposizione ».<br />

Secondo la tesi assolutamente prevalente, <strong>fascicolo</strong> di parte, documenti<br />

offerti in comunicazione e ricorso in opposizione, pertanto, dovevano essere<br />

acquisiti per iniziativa autonoma <strong>del</strong>la cancelleria, senza che l’opponente fosse<br />

dunque onerato <strong>del</strong> ritiro <strong>del</strong> <strong>fascicolo</strong> <strong>del</strong>la causa di opposizione depositata<br />

nella cancelleria <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Infine, v’era il problema <strong>del</strong>l’iscrizione <strong>del</strong>la causa di opposizione a<br />

ruolo.<br />

––––––––––––<br />

(13) Sulle questioni, rinvio al mio commento all’art. 616 c.p.c. nel Codice, cit., II,<br />

p. 2622 ss.<br />

(14) Riferimenti in Montanaro, op. cit., p. 512.


648<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

In assenza di chiare disposizioni sul punto, nonché <strong>del</strong>la frequente confusione<br />

fra l’iscrizione a ruolo e la nota di iscrizione a ruolo (15), la soluzione<br />

favorita dai giudici <strong>del</strong>l’esecuzione era quella di ordinare l’iscrizione a ruolo<br />

<strong>del</strong>la causa assegnando un termine all’opponente nel disporre la riassunzione<br />

<strong>del</strong> giudizio dinanzi al giudice competente (16).<br />

La prima parte <strong>del</strong> nuovo art. 619, unitamente alla novellazione <strong>del</strong>l’art. 185<br />

<strong>del</strong>le disposizioni di attuazione, mira, come accennato, appunto a risolvere queste<br />

e le connesse ulteriori problematiche, tuttavia non senza aprirne nuove.<br />

In primo luogo, senza insistere sull’ovvia problematicità <strong>del</strong>la mancata<br />

previsione almeno <strong>del</strong>l’entità minima <strong>del</strong> termine perentorio, imposto dal giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione per l’introduzione <strong>del</strong>la causa di opposizione, non potendosi<br />

escludere ipotesi di termini giugulatori, va richiamata l’attenzione sul<br />

che, nel caso di competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’esecuzione per l’incidente, nel<br />

termine perentorio, l’opponente (ovvero altro interessato, ossia, come vedremo<br />

meglio infra, anche il creditore opposto ai sensi <strong>del</strong> novellato art. 624<br />

c.p.c.) debba in sostanza cominciare tutto da capo, proponendo cioè ex novo<br />

l’opposizione già presentata con ricorso al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Ciò è reso palese appunto dal riferimento tecnico (17) alla « introduzione<br />

» <strong>del</strong> giudizio di merito e non anche alla mera riassunzione, prevista, invece,<br />

come già segnalato, per la seconda ipotesi e già esistente nella precedente<br />

versione <strong>del</strong>la norma in esame per il caso di incompetenza per materia o valore<br />

<strong>del</strong>l’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Evocando, in altri termini, quanto in generale prevede il codice di rito in<br />

ordine all’introduzione <strong>del</strong>la causa – così, notoriamente, la rubrica <strong>del</strong> capo I<br />

<strong>del</strong> titolo I <strong>del</strong> libro secondo <strong>del</strong> c.p.c., la cui prima norma è ovviamente<br />

quella in tema di contenuto <strong>del</strong>la citazione – mi pare si debba ritenere che, pur<br />

avendo già introdotto (18) la causa di opposizione con il deposito <strong>del</strong> ricorso<br />

al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione, secondo quanto ancora prevede il comma 2°<br />

<strong>del</strong>l’art. 615, il debitore opponente dovrà riproporre l’opposizione nel termine<br />

perentorio giudiziale, questa volta secondo la tipica forma <strong>del</strong>l’atto introdutti-<br />

––––––––––––<br />

(15) Fa bene il punto sulla questione Montanaro, op. cit. , p. 536 ss.<br />

(16) V. ancora in tema le considerazioni critiche di Montanaro, op. cit., p. 537 ss.<br />

(17) Ma solo nell’art. 616, perché, nonostante l’eventualità possa riguardare anche<br />

lo sviluppo <strong>del</strong>l’opposizione nel caso di sospensione ex art. 624 c.p.c., quest’ultimo – con<br />

un singolare, quanto inutile e atecnico, sfoggio di ricerca lessicale – parla di « instaurazione<br />

» <strong>del</strong>la causa da parte <strong>del</strong>l’opponente ovvero « promovimento » <strong>del</strong>la medesima da<br />

parte <strong>del</strong>l’opposto.<br />

(18) Analogamente, Bove, in Balena-Bove, Le riforme più recenti <strong>del</strong> processo civile,<br />

Napoli 2006, p. 289 s., che esattamente reputa comunque possibile ogni ulteriore<br />

integrazione relativa ai mezzi di attacco e di difesa nella fase immediatamente successiva<br />

all’udienza di cui all’art. 185 disp.att.c.p.c.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 649<br />

vo <strong>del</strong> giudizio in base al tipo di obbligazione pecuniaria o non rappresentata<br />

dal titolo esecutivo (19).<br />

Quanto agli altri interessati, secondo il nuovo art. 616 c.p.c., per costoro,<br />

che ben potranno essere i creditori procedenti o intervenuti nella complessa<br />

riformulazione <strong>del</strong>l’art. 624 c.p.c. è ovvio che si tratterà, invece, di un vero<br />

nuovo atto introduttivo <strong>del</strong>la causa di opposizione (ancorché non « primo »,<br />

perché anticipato dal ricorso), con l’evidente stranezza di un atto iniziale di<br />

una causa di opposizione in cui i proponenti non sono gli attori, ma i convenuti<br />

opposti: con ogni consequenziale difficoltà di individuare il contenuto<br />

<strong>del</strong>l’atto di citazione (o ricorso, a seconda <strong>del</strong>la materia e <strong>del</strong> rito) e, a monte,<br />

lo stesso oggetto tecnico di giudizio (nonché oneri probatori, ecc.): ma su ciò<br />

rinvio al successivo paragrafo per qualche ulteriore spunto.<br />

Di conseguenza, è chiaro che l’iscrizione a ruolo (20) <strong>del</strong>l’incidente oppositivo<br />

seguirà le regole poi volta per volta previste per il tipo di processo<br />

previsto per una data materia.<br />

A parte questa discutibile duplicazione <strong>del</strong>l’introduzione, nel caso<br />

<strong>del</strong>l’opponente, o <strong>del</strong>l’aggravio che essa comporta per il creditore opposto di<br />

dare avvio ad un giudizio in cui è sostanzialmente in posizione di convenuto,<br />

la nuova regola stimola alcuni quesiti.<br />

In primo luogo, quale sia la sanzione <strong>del</strong>la mancata o tardiva introduzione<br />

<strong>del</strong> giudizio di merito, rectius: <strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione.<br />

La risposta non è tuttavia scontata, come si potrebbe ipotizzare, perché<br />

essa va coordinata con i già ricordati nuovi commi 3° e 4° <strong>del</strong>l’art. 624 c.p.c.<br />

Occorre infatti distinguere fra l’ipotesi in cui, proposta l’opposizione il<br />

giudice <strong>del</strong>l’esecuzione sospenda l’esecuzione, o, analogamente, interposto<br />

reclamo contro il diniego <strong>del</strong>la sospensione questa venga concessa dal giudice<br />

<strong>del</strong> gravame, dal caso in cui, invece, l’istanza di sospensione non sia punto<br />

proposta o venga respinta sia dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione sia dal giudice <strong>del</strong><br />

reclamo eventualmente proposto contro tale diniego.<br />

Nella prima ipotesi, potrebbe darsi il caso che la mancata introduzione<br />

<strong>del</strong>la causa di opposizione da parte <strong>del</strong>l’opponente nel termine perentorio previsto<br />

dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione sia conseguenza <strong>del</strong>l’avere il debitore opponente<br />

presentato istanza di cui al comma 3° <strong>del</strong> nuovo art. 624. In questo<br />

comma, infatti, a prescindere per il momento da qualunque analisi critica <strong>del</strong><br />

––––––––––––<br />

(19) In ogni caso, con citazione « ordinaria » ex art. 163 c.p.c. ovvero con quella<br />

societaria ex art. 2 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con ricorso ex art. 414 nei settori laburistico,<br />

previdenziale, locatizio ecc.<br />

(20) Che peraltro non può essere « previa », come erroneamente la qualifica il<br />

nuovo art. 616, essendo pacifico che si tratti di adempimento successivo alla notificazione<br />

<strong>del</strong>la citazione: evidenzia il punto anche A.A. Romano, La nuova disciplina,<br />

cit., § 3.


650<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

meccanismo, è prevista per il debitore un’alternativa: coltivare l’opposizione<br />

già proposta – in questo caso definita, ancor peggio che nell’art. 616, come<br />

« instaurazione » – con ricorso al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione – in questo caso però<br />

facendo salva l’efficacia <strong>del</strong> pignoramento – ovvero, non essendo stata reclamata<br />

la disposta sospensione o essendo stata la stessa confermata in fase di<br />

reclamo oppure ivi concessa per la prima volta, appunto presentare istanza di<br />

cui al comma 3° e lucrare l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento, ove il creditore procedente<br />

opposto o gli altri creditori intervenuti a loro volta non intendano<br />

coltivare (promuovere) l’opposizione presentata dal debitore.<br />

Questo nuovo complesso regime dei rapporti fra provvedimento di sospensione<br />

e causa di merito – ossia di opposizione all’esecuzione – come meglio<br />

si vedrà più avanti, si fonda sull’idea, con decisione sostenuta dalla legge<br />

n. 52 <strong>del</strong> 2006, <strong>del</strong>la natura cautelare <strong>del</strong> provvedimento di sospensione, il cui<br />

regime processuale dovrebbe essere identico a quello, appunto, dei provvedimenti<br />

cautelari a strumentalità attenuata (21).<br />

In estrema sintesi, e rinviando comunque al seguente § 6 per l’approfondimento<br />

di questa seconda ipotesi, se la ricostruzione che precede è corretta,<br />

si <strong>del</strong>inea dunque uno sviluppo procedimentale « a doppio binario » a seconda<br />

che sia stato pronunciato o meno il provvedimento di sospensione: sicché,<br />

solo se non vi sia stata sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione, l’introduzione o riassunzione<br />

da parte <strong>del</strong> (solo) opponente <strong>del</strong>la causa di opposizione sarà assoggettata<br />

al termine perentorio, pena l’estinzione <strong>del</strong>l’opposizione.<br />

Ciò a motivo <strong>del</strong> fatto che, ove invece il giudice abbia sospeso il processo,<br />

l’instaurazione <strong>del</strong>la causa di merito è meramente eventuale e rimessa non<br />

solo all’opponente ma anche al creditore opposto: sicché, la previsione di un<br />

termine per introdurre la causa o riassumerla (a seconda <strong>del</strong>la competenza)<br />

non ha alcun senso (22).<br />

––––––––––––<br />

(21) Ciò essenzialmente sotto due profili: permanente efficacia <strong>del</strong>la misura cautelare<br />

– nella specie la disposta sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione – anche senza instaurazione o<br />

riassunzione <strong>del</strong>la causa di merito, possibilità di introduzione o riassunzione <strong>del</strong>la medesima<br />

anche da parte <strong>del</strong> creditore opposto, quindi a parti invertite. Conferma <strong>del</strong> singolare<br />

apparentamento fra sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione, causa di opposizione e nuova disciplina<br />

« attenuata » <strong>del</strong>la relazione di strumentalità cautelare si ha expressis verbis dalla proposta<br />

di legge n. 6232, p. 3, presentata il 15 dicembre 2005 alla Camera dei deputati dagli<br />

Onorevoli Kessler, Bonito e Finocchiaro, in www.camera.it. secondo cui « le modifiche<br />

<strong>del</strong>l’art. 624 <strong>del</strong> codice di procedura civile si propongono di assicurare una maggiore stabilità<br />

<strong>del</strong>l’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di efficacia estintiva <strong>del</strong> pignoramento,<br />

quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte opposta, eliminando la necessità<br />

di promuovere un giudizio di merito. La norma è esplicitamente analoga al nuovo<br />

regime introdotto anche per i procedimenti cautelari dalla legge n. 80 <strong>del</strong> 2005 e dunque<br />

è improntata ad un principio di evidente economicità ».<br />

(22) In questo caso, credo, quindi, che la fissazione <strong>del</strong> termine serva al solo scopo


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 651<br />

Tornando alla prima ipotesi, a parte la distinzione fra introduzione e riassunzione,<br />

comunque, può ricordarsi come la soluzione <strong>del</strong>l’estinzione <strong>del</strong>la<br />

causa di opposizione fosse già prevista in riferimento alla vecchia formulazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 616 per il caso di mancata riassunzione nel termine perentorio<br />

previsto dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione ove la competenza per l’incidente fosse<br />

appunto di un giudice diverso (23).<br />

3. – Quanto precede fa sorgere una seconda serie di dubbi in ordine al<br />

possibile contenuto <strong>del</strong> giudizio di opposizione ex art. 615, comma 2°,<br />

c.p.c.<br />

Una prima questione riguarda la possibilità che, vuoi nel ricorso ex<br />

art. 615, comma 2°, vuoi nell’atto introduttivo di giudizio di « merito » ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 616, l’opponente cumuli una domanda riconvenzionale contro<br />

il creditore procedente ovvero contro i creditori intervenuti. Come noto, è<br />

largamente ammessa dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti detta<br />

possibilità, specie quanto al creditore opposto che intenda munirsi di un<br />

nuovo titolo esecutivo per l’ipotesi di accoglimento <strong>del</strong>l’opposizione (24).<br />

Salvo quanto dirò più avanti sull’inaccettabile previsione oggi inserita<br />

a conclusione <strong>del</strong>l’art. 616, a mente <strong>del</strong> quale la sentenza emessa a conclusione<br />

<strong>del</strong> giudizio di opposizione all’esecuzione sarebbe inimpugnabile<br />

(25), per quanto concerne il problema <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong> termine perentorio<br />

previsto dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione per l’introduzione nella causa di opposizione,<br />

ben potrà darsi che il debitore, non avendo proposto un’istanza di<br />

sospensione ovvero ove la stessa sia stata respinta, intenda coltivare soltanto<br />

la domanda cumulata in via riconvenzionale e non anche quella di opposizione.<br />

Queste ipotesi, invero, già potevano formularsi con riferimento alla vecchia<br />

formulazione <strong>del</strong>l’art. 616. Semmai, occorre chiedersi se, con riferimento<br />

alla prima fattispecie prevista dal nuovo articolo, il debitore all’atto di introdurre<br />

nel termine perentorio la causa, possa in questo nuovo atto, qualunque siano<br />

la sua forma e il rito da seguire, inserire una domanda riconvenzionale non pre-<br />

––––––––––––<br />

di fissare il momento ultimo entro il quale il debitore opponente può esercitare il potere<br />

alternativo di chiedere l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento in luogo <strong>del</strong>l’introduzione o riassunzione<br />

<strong>del</strong>la causa di opposizione. V. anche infra nel testo, § 6.<br />

(23) Recchioni, Codice, cit., II, p. 2624.<br />

(24) Ex multis, Cass., 25 maggio 2003, n. 8399; Cass., 9 novembre 2000, n. 14554;<br />

Cass., 22 gennaio 1998, n. 603.<br />

(25) Ferma ovviamente l’esperibilità <strong>del</strong> ricorso straordinario ex art. 111, comma<br />

7°, Cost. e <strong>del</strong> regolamento di competenza: analogamente, già Bove, Le riforme più recenti,<br />

cit., p. 287. Dubita giustamente <strong>del</strong>la legittimità costituzionale <strong>del</strong>la sottrazione di<br />

questa sentenza alla revocazione straordinaria, A.A. Romano, op. cit., § 4.


652<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

sente nel ricorso in opposizione presentato al giudice. Opterei per una soluzione<br />

elastica, considerato che l’atto d’impulso previsto dal nuovo art. 616 è in effetti<br />

introduttivo di un nuovo segmento processuale, seppure per lo più reiterativo<br />

<strong>del</strong> ricorso presentato al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Comunque, se il cumulo fosse già presente nel ricorso iniziale, e il debitore<br />

nel termine previsto dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione, avesse coltivato soltanto la<br />

domanda riconvenzionale, il giudizio di opposizione dovrà ritenersi estinto.<br />

Un’ulteriore questione riguarda anche il momento di produzione degli<br />

effetti processuali e sostanziali <strong>del</strong>la domanda di opposizione all’esecuzione:<br />

a mio avviso, nonostante l’atto previsto dal nuovo art. 616 sia formalmente<br />

introduttivo, per ripetere la terminologia <strong>del</strong>la norma, <strong>del</strong> giudizio<br />

di merito, non può dubitarsi tuttavia che detti effetti possano considerarsi<br />

prodotti – quanto a quelli processuali – sin dal momento <strong>del</strong> deposito<br />

<strong>del</strong> ricorso in opposizione all’esecuzione dinanzi al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

stessa (26) ovvero, quanto a quelli sostanziali, dalla notificazione <strong>del</strong> ricorso<br />

e <strong>del</strong> decreto all’opposto. Per esemplificare, quindi, l’effetto <strong>del</strong>la litispendenza<br />

di cui all’art. 39, scaturirà dal deposito <strong>del</strong> ricorso e non anche<br />

dalla notificazione <strong>del</strong>l’atto di citazione nel termine perentorio previsto dal<br />

giudice <strong>del</strong>l’esecuzione dopo la sospensione; ancora, ove il debitore nel<br />

proporre opposizione abbia cumulato anche una domanda riconvenzionale,<br />

gli effetti sostanziali di questa domanda – ad esempio l’interruzione <strong>del</strong>la<br />

prescrizione – si produrranno dal momento <strong>del</strong>la notificazione <strong>del</strong> ricorso e<br />

<strong>del</strong> decreto di fissazione <strong>del</strong>l’udienza ex art. 185 disp. att. e non solo a seguito<br />

<strong>del</strong>l’ulteriore coltivazione <strong>del</strong>l’opposizione.<br />

4. – Qualche cenno va fatto, poi, con riferimento all’eventualità che a<br />

promuovere l’opposizione sia uno dei creditori (il procedente o l’intervenuto<br />

munito di titolo esecutivo) nel caso il debitore opponente si avvalga <strong>del</strong>la<br />

nuova facoltà di cui al comma 3° <strong>del</strong> rinovellato art. 624 c.p.c.<br />

Come già ricordato, infatti, questo nuovo comma – non a torto definito<br />

un puzzle (27) – offre al debitore opposto, che abbia ottenuto la sospensione<br />

<strong>del</strong> processo esecutivo, di optare fra coltivare l’opposizione preannunciata con<br />

il ricorso ovvero chiedere al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione di estinguere – stando<br />

alla lettera <strong>del</strong>la norma – il solo pignoramento.<br />

In questa seconda, ancora più confusa, ipotesi – ed ammesso che se ne<br />

abbia il tempo (v. infra § 5) – il creditore opposto che non voglia lasciare<br />

estinguere il pignoramento può introdurre il giudizio di opposizione all’esecuzione,<br />

impedendo così l’estinzione <strong>del</strong>l’atto esecutivo.<br />

––––––––––––<br />

(26) Analogamente A.A. Romano, La nuova disciplina, cit., § 3, anche per il quale<br />

l’opposizione è già proposta con il ricorso di cui al comma 2° <strong>del</strong>l’art. 615.<br />

(27) Consolo, Il pignoramento preso sul serio, loc. cit.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 653<br />

Oltre che dal raccordo con l’art. 624 c.p.c. questa eventualità emerge<br />

dallo stesso art. 616 novellato ove, come già ho avuto modo di rimarcare, si<br />

prevede appunto che l’introduzione <strong>del</strong> giudizio di opposizione, preannunciato<br />

dal ricorso ex art. 615, comma 2°, <strong>del</strong> debitore, possa avvenire da parte<br />

di ogni « interessato », e non <strong>del</strong> solo debitore.<br />

L’ipotesi lascia emergere una serie di problemi sistematici ed applicativi<br />

impressionanti, che qui possono solo essere tracciati in parte.<br />

Senza pretesa di esaustività allora, il primo dubbio riguarda il contenuto<br />

<strong>del</strong>l’atto introduttivo – citazione o ricorso che sia – <strong>del</strong>l’interessato diverso<br />

dal debitore, originario opponente. In realtà, il problema è ben più a monte<br />

perché la novellazione <strong>del</strong>l’art. 624 è il frutto <strong>del</strong>l’applicazione di una soluzione<br />

ormai (inopportunamente, a mio sommesso parere) estesa generaliter<br />

all’intero processo cautelare uniforme, ad esclusione <strong>del</strong>le misure a carattere<br />

conservativo (28).<br />

Infatti, come noto, seguendo la soluzione già varata per le misure cautelari<br />

a carattere non conservativo nella materia societaria commerciale (ossia<br />

degli artt. 23 e 24 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003), la legge n. 80 <strong>del</strong> 2005 ha « attenuato<br />

» il nesso di necessaria sequenzialità strutturale fra processo cautelare e<br />

processo di merito o, si vis, principale, rendendo meramente facoltativo l’avvio<br />

<strong>del</strong> secondo in tutti i casi di provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c., anticipatori<br />

e denunce (29).<br />

Sulla base, dunque, <strong>del</strong>la nuova regula, secondo la quale l’avvio <strong>del</strong>la<br />

causa di merito è solo eventuale e facoltativo per il beneficiario <strong>del</strong>la cautela,<br />

il nuovo sistema prevede che il processo di merito possa essere avviato dall’intimato;<br />

che ben può essere interessato ad ottenere, in via di accertamento<br />

negativo, una dichiarazione di inesistenza <strong>del</strong> diritto già protetto in via urgente<br />

e mediatamente la caducazione in questo contesto anche <strong>del</strong> provvedimento<br />

cautelare.<br />

Rinviando ad altra sede per l’approfondimento <strong>del</strong> tema, nonostante la<br />

soluzione lasci emergere non lievi e semplici problematiche dovute anche alla<br />

complessità <strong>del</strong> tema in generale (30), è vero che, sia pur con qualche adattamento,<br />

l’avvio <strong>del</strong> giudizio di merito da parte <strong>del</strong>l’intimato viene normalmente<br />

ricondotto in dottrina nell’alveo <strong>del</strong>l’azione di accertamento negativo<br />

(<strong>del</strong> diritto già protetto in via cautelare) (31): in sostanza, l’intimato introdurrebbe<br />

una causa avente ad oggetto (in senso tecnico) <strong>del</strong> giudizio l’opposto<br />

––––––––––––<br />

(28) Per riferimenti, v. Recchioni, Il processo cautelare uniforme, cit., 35 ss.<br />

(29) Sul tema, v. il mio Il processo cautelare uniforme, 35 ss., 531 ss.<br />

(30) Rinvio ancora, per riferimenti, al mio Il processo cautelare uniforme, loc. cit.,<br />

cui adde ora la pregevole analisi di A.A. Romano, L’azione di accertamento negativo,<br />

Napoli 2006, passim.<br />

(31) Recchioni, Il processo cautelare uniforme, loc. ult. cit.


654<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

logico o contrario di quello che avrebbe potuto introdurre il beneficiario <strong>del</strong>la<br />

cautela (32).<br />

Ebbene, evidentemente mosso dall’idea che il rapporto fra provvedimento<br />

di sospensione <strong>del</strong> processo esecutivo e giudizio di opposizione all’esecuzione<br />

sia equiparabile a quello fra provvedimento cautelare e processo di<br />

merito successivo, il legislatore processuale <strong>del</strong> 2006, estende, dunque, la soluzione<br />

<strong>del</strong>la misura cautelare a strumentalità attenuata ipotizzando che proposta<br />

l’opposizione ed ottenuta la sospensione (cioè la cautela), il beneficiario<br />

(i.e. il debitore opponente) non abbia interesse alla prosecuzione <strong>del</strong> giudizio<br />

di opposizione: il cui avvio, recte: il cui « promovimento » a questo punto<br />

però potrebbe avvenire da parte <strong>del</strong> creditore opposto, analogamente a quanto<br />

previsto dall’art. 669-octies, comma 6°, c.p.c.<br />

Fatto sta che se nel caso <strong>del</strong>l’azione di accertamento negativo promossa<br />

dall’intimato ai sensi di quest’ultimo articolo il contenuto <strong>del</strong>la citazione e<br />

l’oggetto <strong>del</strong> processo sia pure con qualche maggiore difficoltà rispetto al<br />

processo di accertamento « positivo », possono tutto sommato individuarsi<br />

(33) – nel nostro più stretto ed attuale campo d’indagine le questioni si<br />

complicano ulteriormente.<br />

Ciò dipende dal fatto che la stessa azione di opposizione all’esecuzione<br />

è, almeno stando alla tesi prevalente, un’azione di accertamento negativo, anche<br />

se non si è punto d’accordo sull’oggetto di tale processo, se cioè esso sia<br />

la sola azione esecutiva, ovvero anche il diritto di credito <strong>del</strong> creditore opposto<br />

(34): ed anzi, giova ricordare, che, secondo una partecipata opinione, in<br />

––––––––––––<br />

(32) Su tale fenomeno, Recchioni, Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale<br />

nella cognizione ordinaria, Padova 1999, p. 275 ss.; A.A. Romano, L’azione di<br />

accertamento negativo, cit., p. 95 ss.<br />

(33) La problematica è influenzata da quella, più generale, <strong>del</strong>l’oggetto <strong>del</strong> processo<br />

di accertamento negativo: se cioè alla base vi sia o meno un diritto soggettivo. Sul tema,<br />

oltre alle considerazioni già svolte in Recchioni, Pregiudizialità processuale, cit.,<br />

p. 80 s.; ora A.A. Romano, op .ult. cit., spec. p. 263 ss.<br />

In ordine al contenuto <strong>del</strong>la citazione, infatti, questo ruoterà sull’esistenza di<br />

uno o più fatti impeditivi, modificativi o estintivi ovvero l’inesistenza dei fatti costitutivi<br />

<strong>del</strong> diritto affermato dal ricorrente e protetto in via cautelare: sul contenuto<br />

<strong>del</strong>l’atto introduttivo <strong>del</strong> giudizio di mero accertamento v. A.A. Romano, op. ult. cit.,<br />

p. 393 ss.<br />

(34) Sulla questione, Recchioni, Note sull’oggetto <strong>del</strong> giudizio di opposizione<br />

all’esecuzione e sul problema <strong>del</strong>l’allegazione dei fatti sopravvenuti alla formazione<br />

<strong>del</strong> titolo esecutivo, in questa Rivista 1998, p. 301 ss.; nonché il lucido contributo di<br />

Merlin, Questioni in tema di oggetto <strong>del</strong> giudizio di opposizione all’esecuzione, di<br />

eccezione di compensazione in sede esecutiva e di interpretazione <strong>del</strong> titolo esecutivo<br />

giudiziale, in Riv. es. forzata 2005, spec. p. 166 ss., cui adde, A.A. Romano, op. ult.<br />

cit., p. 136 ss.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 655<br />

questo caso, si sarebbe in presenza di un processo vertente non già su un diritto<br />

(quello <strong>del</strong> creditore che subisce l’opposizione) ma su un’eccezione (35),<br />

posta dal debitore a fondamento <strong>del</strong> giudizio, in deroga alla regola per cui oggetto<br />

<strong>del</strong> processo dichiarativo è sempre un diritto soggettivo.<br />

La questione, come si intuisce, ha ricadute di peso sull’ambito e sull’efficacia<br />

oggettiva <strong>del</strong>la sentenza di opposizione (36).<br />

Se così è, ove in virtù <strong>del</strong> nuovo art. 624 sia il creditore che subisce la<br />

sospensione <strong>del</strong> processo esecutivo a doversi attivare per coltivare (promuovere)<br />

il giudizio ex art. 615 c.p.c., se nel caso <strong>del</strong>l’art. 669-octies l’oggetto <strong>del</strong><br />

giudizio promosso dall’intimato è l’accertamento negativo <strong>del</strong> diritto già<br />

cautelato, nel caso di specie il tutto si complica inammissibilmente dovendosi<br />

individuare quale possa essere l’opposto logico contrario <strong>del</strong>l’azione <strong>del</strong> debitore<br />

di opposizione <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Insomma, in più dirette parole, qual è l’inverso logico-giuridico di un’azione<br />

di opposizione all’esecuzione?<br />

Rispondere, come si sarebbe portati a fare, che sia l’accertamento <strong>del</strong><br />

diritto <strong>del</strong> creditore opposto – poi attore nel giudizio di opposizione per<br />

salvare il processo esecutivo (recte: il pignoramento) – non è a mio avviso<br />

tecnicamente possibile: perché, all’evidenza, questo diritto non è normalmente,<br />

se si segue l’idea prevalente, coinvolto nel giudizio di opposizione<br />

all’esecuzione (37).<br />

L’iniziativa <strong>del</strong> creditore opposto, dunque, si ricondurrà per lo più ad<br />

una contestazione <strong>del</strong>la fondatezza <strong>del</strong>l’opposizione <strong>del</strong> debitore, salvo che<br />

il creditore non intenda proporre una nuova domanda di accertamento <strong>del</strong><br />

proprio credito (38), per l’ipotesi – articolata in linea di mero subordine –<br />

<strong>del</strong>la fondatezza <strong>del</strong>la doglianza avanzata originariamente dal debitore opponente.<br />

Ma questa soluzione, peraltro, è oggi gravemente pregiudicata dalla<br />

nuova – ed a mio avviso incostituzionale (39) – previsione <strong>del</strong>la inimpugna-<br />

––––––––––––<br />

(35) Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, 3 a ed., Torino 1993, p. 76 ss.<br />

(36) Recchioni, Codice, cit., II, p. 2617 ss.<br />

(37) Due sono le tesi sul punto: v’è chi reputa che il diritto di credito sia coinvolto<br />

nel processo di opposizione in quanto applicazione <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>l’accertamento<br />

incidentale ex lege e chi invece reputa necessario – perché si manifesti il giudicato<br />

anche su questo thema decidendum – un’espressa domanda riconvenzionale <strong>del</strong><br />

creditore procedente: v. per ulteriori riferimenti, Recchioni, op. loc. ult. cit.; Merlin,<br />

op. loc. ult. cit.<br />

(38) Ove naturalmente non vi sia un problema di giudicato: penso ovviamente alle<br />

ipotesi di titoli esecutivi stragiudiziali.<br />

(39) Analoghe considerazioni in A.A. Romano, La nuova disciplina, cit., § 4, il<br />

quale peraltro limita il sospetto di incostituzionalità alla sola opposizione di merito<br />

all’esecuzione, con esclusione <strong>del</strong>l’opposizione per motivi di rito (es. impignorabilità dei


656<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

bilità <strong>del</strong>la sentenza che chiude il processo di opposizione: non credo, infatti,<br />

di essere lontano dal vero affermando che, rispetto al normale sviluppo <strong>del</strong><br />

processo ordinario nei consueti due, se non tre, gradi di giudizio di merito,<br />

questa soluzione di un solo grado risulterà meno appetibile <strong>del</strong>l’ipotesi di<br />

sentenza eventualmente favorevole al creditore (dunque inappellabile dal debitore).<br />

5. – La nuova norma – melius: il combinato disposto <strong>del</strong>la medesima col<br />

novellato art. 185 disp.att. – risolve invece la maggior parte <strong>del</strong>le questioni<br />

sorte nel vigore <strong>del</strong> vecchio testo <strong>del</strong>l’art. 616 c.p.c.<br />

Così, in primo luogo, per quanto concerne la querelle sulla funzione e<br />

natura <strong>del</strong>l’udienza dinanzi al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione a seguito <strong>del</strong>la presentazione<br />

<strong>del</strong> ricorso in opposizione.<br />

Ancorché il nuovo art. 185 disp.att. continui a definire l’udienza fissata<br />

sulle opposizioni esecutive (ex artt. 615, 617 e 619) come di « comparizione<br />

», tuttavia, non è più dubbio che questa udienza non possa più confondersi<br />

con quella, oggi, di comparizione e trattazione <strong>del</strong> novellato art. 183 c.p.c.,<br />

poiché dalla norma è stato eliminato, appunto, il riferimento a questa norma da<br />

cui tanti dubbi discendevano.<br />

Ma in ogni caso, come già visto nei paragrafi precedenti, una volta prevista<br />

la (re-)introduzione <strong>del</strong>la causa di opposizione ex art. 616, prima parte, è<br />

chiaro che l’udienza di comparizione dinanzi al giudice <strong>del</strong>l’esecuzione resterà<br />

riservata alla <strong>del</strong>ibazione <strong>del</strong>l’eventuale istanza di sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

e alla verifica di questo giudice <strong>del</strong>la propria competenza per l’opposizione,<br />

laddove la prima udienza di comparizione ex art. 183 c.p.c. non potrà<br />

che essere la prima dopo la (re-)introduzione <strong>del</strong> giudizio di opposizione<br />

<strong>del</strong>l’interessato.<br />

E così, nel caso di competenza <strong>del</strong> medesimo ufficio giudiziario presso il<br />

quale pende l’esecuzione, infatti, tutte le scadenze preclusive <strong>del</strong>le attività difensive<br />

gravanti sul creditore opposto, domande riconvenzionali, chiamate di<br />

terzi (se ipotizzabili), eccezioni di merito o rito non rilevabili ex officio andranno<br />

rapportate alla udienza contenuta nel nuovo atto introduttivo <strong>del</strong> giudizio<br />

de quo, ove si tratti di citazione « ordinaria », ovvero con riferimento al<br />

termine sempre indicato nella citazione in materia societaria di cui all’art. 2<br />

d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ovvero all’udienza di discussione – e quindi<br />

<strong>del</strong>l’art. 416 c.p.c. – nel caso di processi fondati sull’archetipo di quello laburistico.<br />

Viene risolto di conseguenza anche il dubbio in ordine all’iscrizione a<br />

ruolo <strong>del</strong> giudizio di opposizione, perché, all’evidenza, l’iscrizione seguirà<br />

––––––––––––<br />

beni), stante la natura permanente processuale e limitata al solo processo esecutivo <strong>del</strong>la<br />

quaestio oggetto <strong>del</strong>l’opposizione.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 657<br />

(ancorché, come accennato, erroneamente la norma la qualifichi come « previa<br />

») nei processi che iniziano con citazione – ordinaria come societaria –<br />

alla notificazione <strong>del</strong>l’atto ex art. 165 c.p.c.<br />

A tale proposito, peraltro, considerata la dimidiazione dei termini ex art.<br />

163-bis (o altri, se previsti) di cui al nuovo art. 616 c.p.c., analogamente a<br />

quanto previsto dall’art. 645, comma 2°, c.p.c. (40), potrà fondatamente sorgere<br />

il dubbio che ad essere ridotti alla metà saranno anche i termini per<br />

l’iscrizione <strong>del</strong>la causa a ruolo.<br />

Va segnalata, inoltre, sempre a proposito <strong>del</strong>l’art. 185 cit. la singolarità<br />

<strong>del</strong>la previsione <strong>del</strong>le forme camerali di sviluppo <strong>del</strong>l’udienza di comparizione<br />

quando per lo più essa sarà il luogo e momento deputato alla pronuncia<br />

di un provvedimento ritenuto ormai con decisione di natura cautelare;<br />

come fra l’altro attesta la sottoposizione <strong>del</strong> provvedimento sull’istanza<br />

di sospensione allo strumento <strong>del</strong> reclamo cautelare ex art. 669-terdecies<br />

c.p.c. (41).<br />

La questione <strong>del</strong> trasferimento degli atti <strong>del</strong>l’opposizione proposta (ricorso,<br />

<strong>fascicolo</strong> e documenti in esso contenuti) resta, invece, ancora affidata<br />

all’esegesi <strong>del</strong>l’art. 186 disp.att.<br />

Riguardo alla tesi elastica, su ricordata, mi sembra tuttavia che la netta<br />

cesura temporale e procedimentale oggi derivante dall’onere <strong>del</strong>la introduzione<br />

<strong>del</strong>la causa di opposizione dall’interessato, accentui l’autonomia <strong>del</strong>la sequela<br />

procedimentale <strong>del</strong> giudizio di « merito » rispetto a quello esecutivo,<br />

spingendo, dunque, verso un’interpretazione di maggior rigore <strong>del</strong>la norma di<br />

attuazione.<br />

Ciò implica, a mio parere, che gli atti e i documenti contenuti nel <strong>fascicolo</strong><br />

<strong>del</strong> ricorso in opposizione, depositato dinanzi al giudice <strong>del</strong> processo<br />

esecutivo, potranno entrare nel nuovo processo introdotto ai sensi <strong>del</strong> novellato<br />

art. 616 solo su iniziativa <strong>del</strong>l’interessato che coltivi il giudizio, non anche<br />

per iniziativa <strong>del</strong>l’ufficio o <strong>del</strong>la cancelleria.<br />

Questa soluzione mi sembra imposta, a fortiori, ove si voglia seguire<br />

l’idea <strong>del</strong> legislatore che trova il rapporto fra sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione e<br />

giudizio di opposizione alla stregua di quello fra cautela e successivo giudizio<br />

di merito: in cui, nonostante la relazione di strumentalità, ritengo esservi una<br />

netta cesura, oltre che temporale, procedimentale, che vieta qualunque potere<br />

––––––––––––<br />

(40) Sul punto, per tutti, Ronco, Procedimento per decreto ingiuntivo, in Trattato<br />

sui processi speciali, a cura di Chiarloni e Consolo, Torino 2005, I, tomo 1,<br />

p. 371 ss.<br />

(41) Il che implica, in tutta evidenza, una <strong>del</strong>icata opera di verifica di compatibilità<br />

e <strong>del</strong>le norme per i procedimenti in camera di consiglio e <strong>del</strong> rito cautelare uniforme:<br />

nonché, ove vi sia richiesta di cautela, fra le une e le altre: per un primo esame, A.A.<br />

Romano, La nuova disciplina, cit., § 3.


658<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ufficioso di disposizione <strong>del</strong>le prove acquisite in sede cautelare automaticamente<br />

(42).<br />

Resta da dire qualcosa ancora sull’inimpugnabilità <strong>del</strong>la sentenza che<br />

decide l’opposizione all’esecuzione.<br />

L’idea, mi sembra evidente, è stata suggerita a questo asistematico legislatore<br />

dal confronto con l’art. 618 c.p.c. (43), che però, come tutti sanno, ha<br />

un ambito oggettivo ben diverso da quello <strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione,<br />

concernendo un giudizio vertente, in sintesi e di regola, solo sulla validità, regolarità<br />

o opportunità di un atto <strong>del</strong> processo esecutivo (44), non anche su vere<br />

e piene situazioni giuridiche soggettive <strong>del</strong> creditore o <strong>del</strong> debitore.<br />

A parte, dunque, l’evidente erroneità <strong>del</strong> tentativo di omologare fattispecie<br />

ben distinte, che tali dovevano restare, l’inimpugnabilità <strong>del</strong>la sentenza<br />

che decide sull’opposizione stimola un grave sospetto di incostituzionalità<br />

<strong>del</strong>la previsione per evidente contrasto con gli artt. 3 e 24 <strong>del</strong>la Carta fondamentale,<br />

stante la palese diversità di trattamento processuale di fattispecie assolutamente<br />

identiche.<br />

Va ricordato nuovamente, infatti ed in primo luogo, che nel caso <strong>del</strong>le<br />

opposizioni c.d. di merito all’esecuzione, vuoi in virtù <strong>del</strong> cumulo di domande<br />

riconvenzionali o di accertamento incidentale ex artt. 36 e 34 c.p.c. relative al<br />

diritto di credito <strong>del</strong>l’opposto, vuoi, comunque, <strong>del</strong>la tesi – molto autorevole e<br />

partecipata – per la quale nel giudizio de quo l’esistenza <strong>del</strong> diritto di credito<br />

rientra nell’ambito oggettivo <strong>del</strong> giudizio, trattandosi di un accertamento inci-<br />

––––––––––––<br />

(42) Recchioni, Il processo cautelare uniforme, cit., p. 488; nello stesso senso in<br />

giurisprudenza, Trib. L’Aquila, 15 ottobre 2004, Meltec c. Enel, inedita.<br />

(43) Nota l’accostamento fra le due opposizioni anche Bove, Le riforme più recenti,<br />

cit., p. 288, il quale, non a torto, precisa anche che la scelta <strong>del</strong>l’inappellabilità <strong>del</strong>la sentenza<br />

ex art. 616 non rifluirebbe sull’oggetto <strong>del</strong>le opposizioni di merito: ma sul punto v.<br />

immediatamente nel testo. V’è da aggiungere che il colpo di coda <strong>del</strong>l’inimpugnabilità<br />

<strong>del</strong>la sentenza ex art. 616, per quanto duramente criticabile, tuttavia riequilibra il rapporto<br />

– sempre incerto (per riferimenti Pugliese, Codice di procedura civile commentato, a cura<br />

di Consolo e Luiso, cit., II, sub art. 512, p. 2320) – fra l’opposizione all’esecuzione <strong>del</strong><br />

debitore ed il giudizio nato dalle contestazioni ex art. 512 c.p.c., come modificato dalla<br />

legge n. 80 <strong>del</strong> 2005. Come noto, ora il giudizio a cognizione piena in tema di contestazioni<br />

insorte nella fase di distribuzione <strong>del</strong> ricavato nasce solo a seguito <strong>del</strong>la proposizione,<br />

a mo’ di impugnazione, <strong>del</strong>l’opposizione agli atti esecutivi contro l’ordinanza <strong>del</strong><br />

giudice <strong>del</strong>l’esecuzione che, in prima battuta, ha risolto la contestazione stessa. A prescindere<br />

da ogni (ovvia) critica <strong>del</strong>la scelta normativa, il principio <strong>del</strong>l’inimpugnabilità<br />

<strong>del</strong>la sentenza che decide sull’opposizione all’esecuzione ex art. 616 c.p.c. è ora, quindi,<br />

in linea con l’inimpugnabilità <strong>del</strong>la sentenza che ai sensi <strong>del</strong> combinato disposto degli<br />

artt. 512 e 617, appunto, decide la controversia in sede di distribuzione.<br />

(44) Mi sia consentito rinviare al commento <strong>del</strong>l’art. 617 nel Codice, cit., a cura di<br />

Consolo e Luiso, II, p. 2625 ss.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 659<br />

dentale ex lege (45), il diritto di credito portato nel titolo esecutivo può essere<br />

o è, a seconda <strong>del</strong>le opinioni, comunque oggetto di giudizio e dunque destinato<br />

ad essere coperto dal futuro giudicato.<br />

E se così è, allora, non si spiega perchè mai nel caso di opposizione<br />

all’esecuzione (e, peraltro, solo per quella preposta dopo l’avvio <strong>del</strong>l’esecuzione,<br />

non anche quanto all’opposizione a precetto ex art. 615, comma 1°) il<br />

giudicato materiale e formale sul diritto di credito segua ad un processo per il<br />

quale è previsto un solo grado di giudizio pieno, mentre nel caso di un<br />

processo autonomo – i.e. non stimolato dal processo esecutivo – invece, la<br />

medesima situazione sostantiva beneficerà <strong>del</strong> normale sviluppo processuale<br />

articolato nei consueti due gradi pieni di giudizio.<br />

Il dubbio di incostituzionalità <strong>del</strong>la previsione, in secondo luogo, diviene<br />

a mio parere ancora più consistente nei casi in cui il giudizio di opposizione<br />

riguardi crediti derivanti da titoli esecutivi stragiudiziali.<br />

Perché in questi casi, a differenza <strong>del</strong>l’ipotesi di titoli giudiziali – in cui<br />

un accertamento pieno o sommario comunque a monte v’è, con la possibilità<br />

normalmente garantita di sviluppo <strong>del</strong> giudizio secondo i vari gradi e fasi <strong>del</strong><br />

processo – come noto, il processo di opposizione all’esecuzione è normalmente<br />

il primo giudizio in cui si procede all’accertamento giudiziale <strong>del</strong> credito:<br />

si pensi all’opposizione contro precetto cambiario.<br />

Pur non potendosi dubitare <strong>del</strong>la assenza di copertura costituzionale <strong>del</strong><br />

principio <strong>del</strong> c.d. doppio grado di giurisdizione, è pur vero che resta assolutamente<br />

incomprensibile la diversità di trattamento processuale per situazioni<br />

assolutamente identiche.<br />

Vi sarebbe, in conclusione di discorso, un’opzione interpretativa alternativa<br />

alla questione di costituzionalità, che tuttavia mi sembra prima facie <strong>del</strong><br />

tutto inappagante.<br />

Ossia, o ritenere che, proprio per fugare il sospetto di incostituzionalità<br />

<strong>del</strong>la disciplina, l’ambiente processuale <strong>del</strong> giudizio di opposizione all’esecuzione<br />

<strong>del</strong> debitore non tolleri più la decisione <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong> diritto di credito<br />

portato in esecuzione (46) e che dunque mai esso potrà ritenersi coinvolto<br />

nell’efficacia di giudicato <strong>del</strong>la emananda sentenza. Ma ciò ha come ovvia conseguenza,<br />

ancorché non scritto in alcuna norma, l’inammissibilità nel giudizio<br />

ex art. 615 c.p.c. di domande riconvenzionali o comunque <strong>del</strong>l’ampliamento <strong>del</strong><br />

thema decidendum ai sensi <strong>del</strong>l’art. 34 c.p.c.<br />

––––––––––––<br />

(45) V. per riferimenti, Recchioni, Codice, cit., II, sub art. 615, p. 2617.<br />

(46) Il che è già stato ipotizzato in dottrina, com’è chiarissimo nella precisazione di<br />

Capponi, L’intervento dei creditori dopo le tre riforme <strong>del</strong>la XIV legislatura, in<br />

www.judicium.it., § 2, per il quale l’opposizione all’esecuzione sarebbe ormai un giudizio<br />

non più di cognizione ordinaria ma « speciale da Libro IV che si svolge nelle forme camerali<br />

».


660<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Oppure, ritenere che stante l’incapacità <strong>del</strong> rimo<strong>del</strong>lato « serbatoio »<br />

<strong>del</strong>l’opposizione esecutiva a contenere domande riconvenzionali, accessorie o<br />

di accertamento incidentale, ove proposte, il giudice <strong>del</strong>l’opposizione dovrà<br />

necessariamente procedere alla scissione <strong>del</strong> cumulo oggettivo sopravvenuto,<br />

mediante il provvedimento di separazione ex art. 274 c.p.c., onde consentire<br />

che su tali domande il processo possa svilupparsi secondo il suo ordinario e<br />

graduato percorso.<br />

Ma è chiaro che la soluzione <strong>del</strong>la separazione fa immediatamente apparire<br />

lo spettro <strong>del</strong>la sospensione necessaria <strong>del</strong> processo (art. 295 c.p.c.), poiché,<br />

come già accennato, le domande cumulabili dal creditore opposto nel<br />

giudizio di opposizione si porrebbero tutte in rapporto di tecnica pregiudizialità<br />

– dipendenza con l’oggetto <strong>del</strong> processo di opposizione all’esecuzione.<br />

Quale extrema ratio non resta che affidarsi ad una regola – ben nota – già applicata<br />

all’ipotesi <strong>del</strong> cumulo fra opposizione ex art. 615 e ex art. 617, cioè quella<br />

di ritenere i due capi relativi alle due domande – nella specie quella di opposizione<br />

e quella riconvenzionale – sottoposte a differente regime impugnatorio<br />

negando l’appello contro il primo capo, riconoscendolo, invece, nel secondo.<br />

6. – Solo qualche ulteriore breve chiosa sul rimaneggiato, contraddittorio<br />

e inutilmente complicato nuovo art. 624.<br />

Richiamando la già ricordata, problematica cornice concettuale in cui<br />

viene a collocarsi, la sua nuova formulazione darà origine, si crede, ad un ricco<br />

dibattito per risolvere i mille dubbi esegetici che essa crea.<br />

Mi limito a porne in evidenza alcuni.<br />

Innanzitutto, come già accennato, la norma prevede un nuovo meccanismo<br />

per cui è rimessa al debitore opponente – e giova ricordarlo nuovamente, testualmente<br />

nel solo caso di espropriazione forzata non anche di quella in forma specifica,<br />

ancorché sia indiscutibile che la sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione e dunque l’art.<br />

624 c.p.c. ben possano riguardare anche questa altra forma di esecuzione forzata –<br />

non solo l’opzione se coltivare o meno il giudizio di merito (cioè di opposizione),<br />

ma anche se lucrare l’effetto estintivo <strong>del</strong> solo (47) pignoramento.<br />

––––––––––––<br />

(47) Ancorché espressamente limitato al pignoramento, credo che l’effetto<br />

estintivo riguardi l’intero processo esecutivo: analogamente, già Capponi, L’intervento<br />

dei creditori, cit., § 2: v. anche nel testo. Il legislatore <strong>del</strong> 2006 ha, dunque,<br />

creato una quarta fattispecie di estinzione concernente il processo esecutivo, che si<br />

affianca alle tre originarie e codificate; ossia a) estinzione per rinuncia agli atti <strong>del</strong><br />

processo esecutivo; b) estinzione per inattività <strong>del</strong>le parti; c) estinzione per mancata<br />

comparizione alla udienza: v. sul tema U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile,<br />

IV, Torino 1959, p. 422. Nota l’atecnicismo sul punto anche A.A. Romano, La<br />

nuova disciplina, cit., § 5, che preferisce tradurre l’incauta formula normativa in<br />

quella di inefficacia <strong>del</strong> pignoramento.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 661<br />

Ove, infatti, questa sia la scelta <strong>del</strong> debitore – che, anche se apparentemente<br />

molto appetibile, credo invece resterà ipotesi eccezionale se persuade<br />

quanto dirò a breve – quando il creditore per disattenzione o scelta non si attivi<br />

nel termine perentorio posto per la instaurazione o per la riassunzione <strong>del</strong>la<br />

causa di merito il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione non avrà alternativa alla dichiarazione<br />

di estinzione <strong>del</strong> pignoramento.<br />

Questo anomalo effetto estintivo, dunque, potrà verificarsi solo al contestuale<br />

ricorrere di entrambe le condizioni: sospensione disposta dal giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione e istanza <strong>del</strong> debitore opponente.<br />

In secondo luogo, occorre individuare il termine entro il quale l’opponente<br />

potrà inoltrare l’istanza (48) di estinzione <strong>del</strong> pignoramento: e qui,<br />

nel silenzio <strong>del</strong>la norma, considerato che detta istanza è alternativa all’introduzione<br />

o riassunzione (49), a seconda <strong>del</strong>le ipotesi, <strong>del</strong>la causa di opposizione,<br />

il termine non può che coincidere con quello previsto dall’art. 616<br />

c.p.c. nuovo testo per l’instaurazione, riassunzione o promuovimento che sia,<br />

<strong>del</strong>la causa di « merito » (50).<br />

In realtà, ricordando la disciplina <strong>del</strong> « doppio binario », che ho posto in<br />

evidenza qualche pagina prima, pronunciato il provvedimento di sospensione,<br />

la coltivazione <strong>del</strong>l’opposizione diviene meramente facoltativa per le parti<br />

interessate, sicché non v’è ragione – né possibilità tecnica, invero – che il<br />

giudice <strong>del</strong>l’esecuzione sospendendo il processo fissi il termine perentorio per<br />

introdurre una causa che, invece, il comma 3° <strong>del</strong>l’art. 624 reputa come meramente<br />

eventuale.<br />

Insomma, il termine (perentorio) dovrà esser fissato dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione,<br />

ma al solo scopo di stabilire il dies ad quem entro il quale l’opponente<br />

potrà esercitare la nota alternativa, non anche per la necessaria instaurazione<br />

– pena l’estinzione <strong>del</strong>l’opposizione – di una causa ormai svincolata<br />

dalla cautela concessa e proponibile ad libitum.<br />

––––––––––––<br />

(48) Per le forme e sviluppi procedimentali secondo il rito camerale, v. le precisazioni<br />

di A.A. Romano, op. cit., § 3.<br />

(49) Il che implica, come ben evidenzia già Bove, op. cit., p. 291, che il nuovo sistema<br />

<strong>del</strong>l’art. 624 c.p.c. possa entrare in funzione solo quando la sospensione viene concessa<br />

prima <strong>del</strong>la introduzione–riassunzione <strong>del</strong>la causa: essa va dunque esclusa quando<br />

l’istanza di sospensione viene proposta – cosa certamente ammissibile – successivamente<br />

all’instaurazione <strong>del</strong>la opposizione stessa. All’evidenza, in questa ipotesi, manca la possibilità<br />

stessa <strong>del</strong>l’alternativa fra introduzione e estinzione <strong>del</strong> pignoramento visto che la<br />

causa è già stata introdotta; analogamente, A.A. Romano, La nuova disciplina, cit., § 5.<br />

(50) Analogamente, Bove, op. cit., p. 292, il quale nota anche, opportunamente,<br />

l’ulteriore imperfezione <strong>del</strong>la norma in riferimento alla possibilità che il termine fissato<br />

dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione per l’instaurazione <strong>del</strong>la causa di merito non consideri<br />

l’eventuale appendice impugnatoria ove contro l’ordinanza di sospensione sia interposto<br />

reclamo.


662<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Certo, questo termine scandirà non solo i poteri <strong>del</strong>l’opponente (51), ma<br />

anche <strong>del</strong>l’opposto, interessato a promuovere « in via invertita » l’opposizione,<br />

ove il debitore voglia far estinguere il pignoramento, e <strong>del</strong> giudice stesso<br />

(52): la convergenza <strong>del</strong> termine sia per la promozione invertitamente<br />

<strong>del</strong>la causa di opposizione che per il deposito <strong>del</strong>l’istanza di estinzione <strong>del</strong><br />

pignoramento e l’assenza di un meccanismo analogo a quello <strong>del</strong>l’art. 334<br />

c.p.c., o comunque di rimessione in termini <strong>del</strong>la parte per causa ad essa non<br />

imputabile, costringeranno verosimilmente il creditore opposto che non voglia<br />

rischiare tale esito (cioè l’estinzione) a non attendere l’ultimo giorno<br />

utile per promuovere la causa di opposizione. Ciò perché, all’evidenza, il<br />

debitore opponente, beneficiario <strong>del</strong>la sospensione, potrebbe appunto determinarsi<br />

a chiedere l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento l’ultimo giorno utile, impedendo<br />

in questo modo al creditore opposto di salvare il pignoramento mediante<br />

la instaurazione « invertita » <strong>del</strong>la causa di opposizione a termine ex<br />

art. 616 c.p.c. ormai scaduto.<br />

Come ognun vede, se lo scopo di questa discutibile riforma era quello di<br />

evitare quanto più possibile la coltivazione <strong>del</strong>l’opposizione proposta, in cambio<br />

<strong>del</strong>la « provvisoria stabilità » <strong>del</strong> provvedimento di sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione,<br />

l’obiettivo sarà inesorabilmente mancato.<br />

Ad ogni buon conto, proseguendo nell’analisi, non può escludersi che<br />

entrambi gli interessati, debitore e creditore, compiano gli atti di propria competenza<br />

entrambi all’ultimo giorno utile o comunque che l’istanza di estinzione<br />

venga depositata prima <strong>del</strong>l’instaurazione <strong>del</strong>l’opposizione da parte <strong>del</strong><br />

creditore opposto.<br />

V’è, in proposito, un’evidente ulteriore lacuna: fermo per me che in<br />

questi casi l’istanza di estinzione perderà rilievo (53), potrà accadere che,<br />

ove non formalmente messo a conoscenza il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione – adito<br />

per la dichiarazione di estinzione <strong>del</strong> pignoramento – questi, appunto, dichia-<br />

––––––––––––<br />

(51) Che dunque se esercitati oltre il termine non potranno condurre all’estinzione<br />

<strong>del</strong> pignoramento.<br />

(52) Infatti, se persuade la lettura <strong>del</strong>la norma proposta nel testo – ossia, in sintesi,<br />

che l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento è condizionata alla mancata instaurazione o riassunzione<br />

<strong>del</strong>la opposizione da parte <strong>del</strong> creditore opposto a mente <strong>del</strong> terzo comma <strong>del</strong>l’art.<br />

624 c.p.c. – il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione, prima di pronunciare obbligatoriamente l’estinzione<br />

<strong>del</strong> pignoramento, dovrà attendere l’intero decorso <strong>del</strong> termine da lui fissato,<br />

anche se il debitore opponente si sia affrettato a chiedere l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento,<br />

dopo la sospensione <strong>del</strong>la procedura.<br />

(53) Analogamente, Bove, op. cit., p. 292. Contra, A.A. Romano, La nuova disciplina,<br />

cit., § 5 per il quale, invece, l’istanza di estinzione <strong>del</strong> pignoramento non potrebbe<br />

essere condizionata dal creditore opposto, che quindi non potrebbe prevenire la caducazione<br />

<strong>del</strong> pignoramento instaurando l’opposizione nel termine fissato dal giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 663<br />

ri perento il pignoramento nell’assenza dei presupposti di cui al comma 3°<br />

<strong>del</strong>l’art. 616.<br />

Ma la disciplina <strong>del</strong>l’art. 624 si dimostra ancora più gravemente claudicante:<br />

infatti, come il paziente lettore noterà immediatamente, la norma, da un<br />

canto, esclude l’impugnabilità <strong>del</strong>l’ordinanza di estinzione, dall’altro, nulla<br />

prevede per l’esito opposto, ossia <strong>del</strong> rigetto <strong>del</strong>l’istanza <strong>del</strong> debitore, che pure<br />

potrebbe essere errata.<br />

Mi pare che il legislatore, un po’ troppo fiduciosamente, creda che il<br />

provvedimento di estinzione <strong>del</strong> pignoramento non sia contestabile: oltre<br />

all’ipotesi su formulata, si pensi – fra le molte – al caso che il provvedimento<br />

di estinzione riguardi erroneamente un pignoramento caduto su più beni,<br />

quando invece l’opposizione e la sospensione abbia colpito uno soltanto di<br />

essi.<br />

Ebbene, in primo luogo, a voler essere coerenti, parità di soluzioni<br />

avrebbe spinto a rendere inimpugnabile anche l’ipotesi <strong>del</strong> rigetto <strong>del</strong>l’istanza<br />

di estinzione <strong>del</strong> pignoramento; nel silenzio <strong>del</strong>la norma, invece, si apre contro<br />

questo esito la strada <strong>del</strong>l’opposizione agli atti esecutivi.<br />

Pari conclusione – esperibilità <strong>del</strong>l’opposizione ex art. 617 c.p.c. – deve<br />

ammettersi, in secondo luogo, per non lasciare sfornito di tutela il creditore<br />

contro provvedimenti errati o abnormi di estinzione totale di esecuzioni cumulative.<br />

Ancora, il legislatore <strong>del</strong> 2006 parrebbe aver limitato la perdita di efficacia<br />

al solo pignoramento, non all’intero processo esecutivo, così introducendo<br />

nel tessuto <strong>del</strong> codice un quid medium fra estinzione <strong>del</strong> processo ed estinzione<br />

di un singolo atto <strong>del</strong> medesimo.<br />

Ma ciò non ha senso, perché, a parte la questione <strong>del</strong>la sorte degli altri<br />

atti processuali già compiuti, è evidente che privato di efficacia il pignoramento<br />

a seguito <strong>del</strong>la sua dichiarata « estinzione », nessun ulteriore atto <strong>del</strong><br />

processo esecutivo possa essere ulteriormente compiuto.<br />

Se non si fraintende la non cristallina previsione, che fa salvi gli atti compiuti<br />

(54), la nuova regola serve allora, da un canto, ad avvertire che<br />

l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento non è capace di produrre l’inefficacia degli atti<br />

compiuti, quindi ponendo un’espressa deroga a quanto disposto appunto in tema<br />

di estinzione <strong>del</strong> processo esecutivo dall’art. 632, comma 2°, c.p.c., che invece<br />

––––––––––––<br />

(54) La interpreta con riferimento alla notificazione <strong>del</strong> titolo esecutivo e al<br />

precetto A.A. Romano, La nuova disciplina, cit., § 5; mi sembra, tuttavia, che più<br />

che agli atti prodromici al pignoramento, la norma abbia un qualche senso con riferimento<br />

agli atti successivi al medesimo – ovviamente posti in essere prima <strong>del</strong>la<br />

sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione – poiché l’opposizione può ben essere proposta durante<br />

l’intero corso <strong>del</strong>la fase espropriativa e non solo nell’immediatezza <strong>del</strong> pignoramento.


664<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

notoriamente distingue le conseguenze <strong>del</strong>l’estinzione <strong>del</strong>l’esecuzione a seconda<br />

che essa intervenga prima o dopo la aggiudicazione o l’assegnazione, salvando<br />

gli atti compiuti (ad esempio gli atti di amministrazione, quali la locazione<br />

degli immobili pignorati) legittimamente compiuti durante il processo solo<br />

se l’evento patologico si verifichi dopo di loro: non anche quando maturi prima<br />

<strong>del</strong>la aggiudicazione o <strong>del</strong>l’assegnazione.<br />

Dall’altro, a contrario, essa serve a chiarire che, disposta la sospensione,<br />

ancorché non sia estinto l’intero processo e siano salvi gli atti « compiuti »,<br />

nessun ulteriore atto esecutivo potrà compiersi.<br />

Essendo la sospensione equiparata oggi ad un provvedimento cautelare a<br />

natura anticipatoria – quindi a strumentalità attenuata – essa manterrà piena<br />

efficacia anche in caso di mancata introduzione o riassunzione <strong>del</strong> giudizio di<br />

opposizione.<br />

L’ipotesi non può trascurarsi obiettando che il comma 3° <strong>del</strong>l’art. 624<br />

c.p.c. prevede l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento in alternativa alla instaurazione o<br />

riassunzione <strong>del</strong>la causa di opposizione. Certamente, in questo caso estinto il<br />

pignoramento, rectius: la procedura esecutiva, non ha più ragione né fondamento<br />

la sospensione di un processo estinto.<br />

Tuttavia, ben potrebbe ipotizzarsi che il debitore esecutato, pur avendo<br />

ottenuto la sospensione, non solo non instauri o non riassuma l’opposizione o,<br />

pur avendolo fatto, la causa successivamente si estingua per rinunzia agli atti<br />

o inattività <strong>del</strong>le parti, ma neppure chieda egli l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento<br />

ex art. 624, comma 3°.<br />

All’evidenza, in questo caso, il processo esecutivo non si estinguerebbe,<br />

ma resterebbe pur sempre sospeso, stante la provvisoria stabilità <strong>del</strong>la cautela<br />

concessa dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Resta da dire <strong>del</strong>la sorte <strong>del</strong>la sospensione, per il caso di mancata instaurazione<br />

o anche estinzione <strong>del</strong>la causa di opposizione.<br />

Se la sospensione è provvedimento cautelare, la sua caducazione o assorbimento,<br />

alla stregua di quanto accade per i provvedimenti cautelari a strumentalità<br />

attenuata, potrà, allora, avvenire solo mediante l’impiego di due<br />

strumenti: l’instaurazione – in via « invertita » – <strong>del</strong>l’opposizione da parte <strong>del</strong><br />

creditore opposto che mirerà ad una pronuncia di rigetto <strong>del</strong>l’opposizione da<br />

cui, a cascata, promanerà l’inefficacia <strong>del</strong>la cautela (nella specie, la sospensione)<br />

prevista dall’art. 669-novies, comma 3°, c.p.c., in virtù <strong>del</strong>l’accertata<br />

infondatezza <strong>del</strong>l’opposizione <strong>del</strong> debitore; ovvero, naturalmente al ricorrere<br />

<strong>del</strong> mutamento nelle circostanze di fatto o diritto che legittimarono la cautela,<br />

la proposizione o in via incidentale nella causa di opposizione proposta dal<br />

creditore ovvero in via autonoma, <strong>del</strong>l’istanza di modifica o revoca <strong>del</strong> provvedimento<br />

cautelare ex art. 669-decies c.p.c.<br />

Il diverso assunto per cui in questi casi la misura cautelare sospensiva<br />

perderebbe, invece, efficacia, non può persuadere, in primo luogo, perché<br />

questa soluzione sarebbe platealmente in contrasto con lo spirito <strong>del</strong>la riforma<br />

<strong>del</strong>l’art. 624, che costruisce tutto il complesso marchingegno sin qui esami-


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 665<br />

nato sull’archetipo <strong>del</strong>la relazione di strumentalità cautelare attenuata fra sospensione<br />

e incidente oppositivo.<br />

In secondo luogo, perché la conseguenza <strong>del</strong>la perenzione <strong>del</strong> processo<br />

esecutivo deriva sempre dalla presenza <strong>del</strong> duplice presupposto <strong>del</strong>la mancata<br />

coltivazione <strong>del</strong>l’opposizione stessa, ma soprattutto <strong>del</strong>l’istanza di<br />

estinzione.<br />

Essendo l’estinzione posta in alternativa alla sospensione, a fortiori ove manchi<br />

l’istanza di estinzione il provvedimento cautelare non può che restare efficace;<br />

anche perché, a seguire la tesi qui contrastata, si avrebbe addirittura – a seconda dei<br />

casi – un quid medium fra strumentalità cautelare attenuata e vecchia strumentalità<br />

cautelare con riferimento allo stesso tipo di cautela, cosa – credo – di cui nessuno<br />

può sentire il bisogno nel mare magnum di queste alluvionali riforme processuali.<br />

7. – Restano due questioni da affrontare.<br />

La prima concerne la possibilità che nel dichiarare l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento,<br />

rectius: <strong>del</strong>l’intero processo espropriativo, il giudice <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

imponga una cauzione al debitore opponente.<br />

La previsione, pur non di agevolissima lettura, ha una sua spiegazione.<br />

In primo luogo, va ricordato che una cauzione può già essere imposta al<br />

debitore opponente con il provvedimento che dispone la sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

ai sensi <strong>del</strong> suo primo comma: notoriamente, essa ha la funzione di<br />

garantire il creditore opposto dai danni subiti dall’arresto <strong>del</strong> processo esecutivo<br />

e per il caso di rigetto <strong>del</strong>l’opposizione proposta (55).<br />

Ritengo che la cauzione <strong>del</strong> comma 3° <strong>del</strong>l’art. 624 c.p.c. abbia analogo<br />

scopo: cioè, risarcire i danni subiti dal creditore opposto per il caso che, pronunciata<br />

l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento, la causa di opposizione venga da lui<br />

vinta.<br />

In sostanza, se non fraintendo l’idea che sta a monte <strong>del</strong>la innovazione<br />

normativa, se il debitore opponente deve rispondere dei danni che seguono<br />

all’ingiusta sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione, analoga soluzione si avrà quando<br />

parimenti ingiusta risulterà l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento a seguito <strong>del</strong> rigetto<br />

<strong>del</strong>l’opposizione all’esecuzione.<br />

Il fatto che la cauzione sia coordinata teleologicamente ad un giudizio –<br />

quello di opposizione – solo eventualmente instaurabile ed in qualunque momento,<br />

va raccordato allora, ed ancora una volta, alla regola generale oggi<br />

prevista dal combinato disposto dei nuovi artt. 669-octies e 669-novies (56).<br />

––––––––––––<br />

(55) Sullo scopo <strong>del</strong> provvedimento e sviluppi procedimentali, anche per riferimenti,<br />

rinvio a Recchioni, Codice, cit., II, p. 2671.<br />

(56) Pur condividendo le critiche che R. Conte, La riforma <strong>del</strong>le opposizioni e<br />

<strong>del</strong>l’intervento nelle procedure esecutive con requiem per il sequestro conservativo, in<br />

www.judicium.it., 2006, § 2 muove alla previsione in esame, non mi sembra, quindi, fon-


666<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

In altri termini, la cauzione dovrà rispettivamente essere restituita al debitore<br />

vittorioso nell’opposizione ovvero corrisposta al creditore procedente,<br />

ove il debitore risulti soccombente nel giudizio di opposizione con condanna<br />

al risarcimento dei danni per l’ingiusta estinzione <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

La contraddittorietà di questo ulteriore possibile snodo procedimentale<br />

di un sistema già troppo confuso non sfuggirà: il debitore opponente, che pur<br />

avendo lucrato la sospensione, non ha in prima battuta optato per la prosecuzione<br />

<strong>del</strong>la causa di opposizione, preferendo chiedere l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento,<br />

ove disposta la cauzione sarà costretto, nel caso di inerzia <strong>del</strong> creditore<br />

opposto, ad instaurare l’opposizione allo scopo di ottenere una pronuncia<br />

favorevole sull’opposizione e lucrare la revoca <strong>del</strong>la cauzione stessa.<br />

L’inutile complessità <strong>del</strong>la previsione rende superfluo qualunque commento,<br />

ma è opportuna una facile previsione: cioè che il debitore beneficiario<br />

<strong>del</strong>la sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione (senza imposizione di cauzione ai sensi <strong>del</strong><br />

comma 1° <strong>del</strong>l’art. 624) preferirà rimanere completamente inerte, ben guardandosi<br />

dal coltivare il giudizio di opposizione o comunque dal chiedere, alternativamente,<br />

l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento.<br />

In questo modo, da un canto, eviterà, dunque, il rischio che il giudice<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione, nell’estinguere il pignoramento, possa al contempo imporre<br />

una cauzione al debitore svincolabile solo nei modi predetti; dall’altro, addosserà<br />

al creditore opposto l’onere di coltivare l’opposizione, certo di non perdere<br />

la sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione.<br />

Resta da dire <strong>del</strong> capoverso <strong>del</strong> comma 3° <strong>del</strong>l’art. 624 c.p.c., a mente<br />

<strong>del</strong> quale l’autorità <strong>del</strong>l’ordinanza di estinzione <strong>del</strong> pignoramento non è invocabile<br />

in un diverso processo.<br />

Anche in questo caso, il legislatore <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong>l’esecuzione mobiliare<br />

segue quello <strong>del</strong> processo societario e <strong>del</strong>la legge sulla competitività, innestando<br />

nell’ambito <strong>del</strong>la sospensione <strong>del</strong>l’esecuzione quanto oggi in generale<br />

prevede l’art. 669-octies, comma 7°, c.p.c. e prima di lui il comma 6°<br />

<strong>del</strong>l’art. 23 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003.<br />

Come ho altrove e più diffusamente esposto (57), queste norme oltre ad<br />

essere formulate male sotto il profilo tecnico – risolvendosi, di fatto, in<br />

un’imperfetta importazione e traduzione di previsioni processuali adottate in<br />

altri sistemi giudiziari (58) – trasfondono nell’ambito <strong>del</strong>la tutela cautelare un<br />

concetto, qual è quello di autorità <strong>del</strong> comando giurisdizionale, assolutamente<br />

––––––––––––<br />

dato il rilievo <strong>del</strong>l’incomprensibilità <strong>del</strong>la previsione di una cauzione correlata ad un processo<br />

estinto: essa si spiega, di certo con un grosso sforzo esegetico, come detto nel testo,<br />

perché correlata non al processo estinto ma all’esito <strong>del</strong> processo di opposizione<br />

all’esecuzione, ove sfavorevole al debitore.<br />

(57) Recchioni, Il processo cautelare uniforme, cit., p. 50 ss.<br />

(58) Recchioni, op. loc. ult. cit.


I NUOVI ARTT. 616 E 624 C.P.C. ECC. 667<br />

incompatibile con le caratteristiche strutturali e funzionali di tale forma di<br />

presidio giurisdizionale, indiscutibilmente caratterizzata dalla provvisorietà<br />

degli effetti <strong>del</strong> provvedimento (59).<br />

Laddove, invece, notoriamente, l’autorità va riferita alla stabilità e forza<br />

proprie <strong>del</strong>la regiudicata formale e materiale.<br />

Tuttavia, se nelle claudicanti formulazioni degli artt. 669-octies c.p.c. e<br />

23 d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003 può leggersi almeno il principio per cui il provvedimento<br />

cautelare non ha alcuna autorità, in generale, e quindi meno che mai in<br />

altri processi a cognizione piena o sommaria che siano relativi allo stesso diritto<br />

già cautelato o diritti connessi (60), il che ha senso quanto ai provvedimenti<br />

cautelari, assolutamente illogica è la formulazione di identica regola<br />

quanto al provvedimento di estinzione <strong>del</strong> pignoramento, che il giudice pronuncia<br />

ai sensi <strong>del</strong> comma 3° <strong>del</strong>l’art. 624 c.p.c.<br />

Come è evidente a tutti, e conclusivamente, infatti: a) questa ordinanza<br />

non può avere alcuna autorità, non solo nemmeno lontanamente accostabile a<br />

quella <strong>del</strong>la regiudicata, ma anche a quella – ammesso che si riesca ad individuarla<br />

in qualche modo (61) – che gli artt. 669-octies e 23 citt. comunque attribuiscono<br />

ai provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata: infatti, mentre<br />

questi ultimi pur sempre proteggono diritti soggettivi <strong>del</strong> beneficiario, il<br />

provvedimento di estinzione <strong>del</strong> processo ha rilievo e portata meramente endoprocessuale,<br />

senza coinvolgere posizioni sostantive materiali <strong>del</strong>le parti; b)<br />

non è possibile capire quali possano essere i diversi processi in cui potrebbe<br />

venire in rilievo questa chimerica autorità <strong>del</strong>l’ordinanza di estinzione <strong>del</strong> pignoramento:<br />

certo non in processi cognitivi – pieni o sommari che siano –<br />

pregiudicabili solo dall’efficacia di accertamento di cui all’art. 2909 c.c. – ma<br />

nemmeno in quelli esecutivi, non essendo sensatamente ipotizzabile che<br />

l’estinzione di un processo esecutivo, o addirittura <strong>del</strong> solo pignoramento,<br />

possa avere una qualche influenza su esecuzioni nuove e diverse, finanche<br />

riunite a quella estinta o aventi ad oggetto gli stessi beni aggrediti nella procedura<br />

estinta.<br />

Il vero è che la previsione è frutto di una clamorosa svista, anche a voler<br />

seguire questo asistematico legislatore nell’equazione per cui la sospensione<br />

<strong>del</strong>l’esecuzione sta alla causa di opposizione come il provvedimento cautelare<br />

anticipatorio sta alla causa di merito: a tutto voler concedere, infatti, la previsione<br />

avrebbe avuto un qualche senso se si fosse detto che a non avere autorità<br />

in diversi processi fosse stata l’ordinanza di sospensione, non anche<br />

quella di estinzione <strong>del</strong> pignoramento.<br />

Infatti, se può sostenersi che la prima ordinanza ha natura lato sensu<br />

––––––––––––<br />

(59) Sul tema, rinvio ancora al mio Il processo cautelare uniforme, cit., p. 47 ss.<br />

(60) Recchioni, op. ult. cit., p. 51.<br />

(61) V. ancora, Recchioni, op. loc. ult. cit.


668<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

cautelare, non è seriamente discutibile che ciò vada recisamente escluso<br />

quanto a quella di estinzione <strong>del</strong> pignoramento, anche se « alternativa » alla<br />

misura cautelare (62): col che si spegne inesorabilmente qualunque claudicante<br />

tentativo di estendere anche a codesta ordinanza la nuova discutibile<br />

disciplina <strong>del</strong>la strumentalità cautelare attenuata.<br />

STEFANO RECCHIONI<br />

Professore ordinario<br />

nell’Università di Cassino<br />

––––––––––––<br />

(62) Mi sembra, pertanto, impossibile, per dare un qualche senso all’autorità <strong>del</strong><br />

provvedimento di estinzione, vedere per forza una relazione di strumentalità fra<br />

l’estinzione <strong>del</strong> pignoramento e l’esito – auspicato dal debitore – <strong>del</strong>l’accoglimento<br />

<strong>del</strong>l’opposizione, quindi attribuendo alla prima natura totalmente anticipatoria degli effetti<br />

<strong>del</strong>la sentenza sull’opposizione: così, invece, A.A. Romano, op. ult. cit., § 5. La tesi<br />

non convince perché, in realtà, più che di estinzione <strong>del</strong> pignoramento, rectius: <strong>del</strong> processo<br />

esecutivo, bisogna parlare di invalidazione di tutti gli atti compiuti (contra, ma un<br />

po’ apoditticamente, ritenendo che l’accoglimento <strong>del</strong>l’opposizione configuri un’ipotesi<br />

di estinzione <strong>del</strong> processo esecutivo U. Rocco, Trattato, cit., IV, p. 423), a seguito <strong>del</strong>la<br />

sentenza che accoglie l’opposizione <strong>del</strong> debitore. Esso è certamente un effetto direttamente<br />

promanante dalla sentenza favorevole al debitore, ma tutto sommato collaterale e<br />

secondario rispetto alla preminenza <strong>del</strong>la dichiarazione di inesistenza <strong>del</strong>l’azione esecutiva<br />

e/o, a seconda <strong>del</strong>le opinioni, anche <strong>del</strong> diritto di credito portato nel titolo esecutivo:<br />

sugli esiti <strong>del</strong> giudizio di opposizione, v. ancora riassuntivamente, Recchioni, Codice,<br />

cit., II, p. 2618.


DIRITTO PROCESSUALE STRANIERO<br />

LA NOZIONE E GLI EFFETTI<br />

DELLA SENTENZA ARBITRALE<br />

NEL DIRITTO FRANCESE<br />

SOMMARIO: 1. La sentenza arbitrale nel Nouveau code de procédure civile. – 2.<br />

L’individuazione <strong>del</strong>la sentenza arbitrale. – 3. Gli effetti naturali <strong>del</strong>la<br />

sentenza arbitrale: il dessaisissement degli arbitri. – 4. L’autorité de la<br />

chose jugée e l’opposabilité. – 5. La force de chose jugée <strong>del</strong>la sentenza<br />

arbitrale. – 6. Gli effetti naturali non espressamente previsti dalla legge: la<br />

force probante e l’idoneità <strong>del</strong>la sentenza arbitrale ad essere considerata<br />

come décision de justice. – 7 . Conclusioni.<br />

1. – Nell’ordinamento francese, la sentence arbitrale è l’atto conclusivo<br />

<strong>del</strong> procedimento arbitrale, disciplinato dal quarto libro <strong>del</strong> Nouveau code de<br />

procédure civile, agli artt. 1442-1507. Più in particolare, le disposizioni relative<br />

alla sentence arbitrale nazionale sono dettate all’interno degli artt. 1469-1480,<br />

dei quali gli artt. 1469-1474, insieme all’art. 1480, riguardano la formazione<br />

<strong>del</strong>l’atto, mentre gli artt. 1475-1479 sono relativi ai suoi effetti. L’art. 1500 stabilisce<br />

che alla sentenza arbitrale internazionale sono applicabili gli artt. 1476-<br />

1479, ma non le disposizioni relative alla forma <strong>del</strong>la sentenza nazionale (1).<br />

Nel presente scritto ci limiteremo all’individuazione <strong>del</strong>la nozione e <strong>del</strong>le<br />

frontiere <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, sia rispetto alle figure affini all’arbitrato sia<br />

––––––––––––<br />

(1) Mentre il codice di rito <strong>del</strong> 1806 utilizzava il termine jugement arbitral, nel<br />

Nouveau code de procédure civile si trova solo il vocabolo sentence arbitrale. Sulla terminologia<br />

legislativa in materia di arbitrato si veda: T. Clay, L’arbitre, Paris 2001, p. 83<br />

ss.; M.-C. Rondeau-Rivier, Arbitrage. La sentence arbitrale, in Juris-Classeur proc. civ.,<br />

fasc. 1046, Paris 1996, p. 2, secondo cui la sostituzione terminologica « n’a d’autre portée<br />

que de mettre les textes en accord avec la pratique arbitrale »; J. Robert, L’arbitrage.<br />

Droit interne. Droit international privé, Paris 1993, p. 170; mentre R. Perrot, L’arbitrage,<br />

une autre justice, in Petites affiches 2 octobre 2003, n. 197, p. 32 ss., spec. p. 37,<br />

ritiene che la differenza terminologica tra sentence e jugement sia una « nuance sémantique<br />

» che ha « en tout cas le mérite de nous annoncer que la décision rendue par des<br />

arbitres se distingue du jugement à plusieurs points de vue ».


670<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rispetto alle ordinanze arbitrali. Tale indagine riveste un’importanza centrale,<br />

dal momento in cui solo ad un atto dotato <strong>del</strong> carattere di sentenza può essere<br />

applicata la disciplina prevista dal codice di rito, tra cui, in particolare, la concessione<br />

<strong>del</strong> provvedimento di exequatur e l’assoggettamento alle impugnazioni<br />

di cui agli artt. 1482 ss.<br />

Successivamente ci soffermeremo sull’analisi degli effetti che la decisione<br />

è, di per sé, idonea a produrre (2). La sentenza arbitrale « dessaisit l’arbitre de<br />

la contestation qu’elle tranche » (art. 1475) e « a, dès qu’elle est rendue,<br />

l’autorité de la chose jugée relativement à la contestation qu’elle tranche » (art.<br />

1476). Oltre agli effetti naturali espressamente previsti dalla legge, si ritiene che<br />

l’atto in esame ne produca ulteriori: l’opposabilité nei confronti dei terzi, la force<br />

probante e gli effetti ricollegati alle décisions de justice. Altri effetti derivano<br />

dalla concessione <strong>del</strong>l’ordinanza di exequatur: la possibilità di procedere a<br />

esecuzione forzata e di far decorrere il termine breve per l’esercizio <strong>del</strong>l’impugnazione<br />

ordinaria.<br />

2. – Né il codice di rito francese, né le convenzioni internazionali in materia<br />

danno una definizione di sentenza arbitrale, affidando all’interprete il relativo<br />

compito. A tali fini, in primo luogo, è necessario stabilire la linea di confine<br />

tra la sentenza arbitrale e gli atti emanati da un terzo a conclusione dei procedimenti<br />

affini all’arbitrato (arbitraggio, expertise e conciliazione).<br />

Preliminarmente, è necessario ribadire che per qualificare un determinato<br />

atto come sentenza arbitrale, è ininfluente il rispetto dei requisiti stabiliti dalla<br />

legge ai fini <strong>del</strong>la sua validità. Dunque, una sentenza arbitrale sarà tale, nonostante<br />

violi le prescrizioni indicate dalla legge, essendo questo un problema relativo<br />

all’annullamento e non alla qualificazione <strong>del</strong>l’atto (3). Né potrà avere<br />

––––––––––––<br />

(2) Sulla scia <strong>del</strong>la distinzione fatta in relazione al lodo rituale italiano da C. Punzi,<br />

Disegno sistematico <strong>del</strong>l’arbitrato, Padova 2000, vol. II, p. 76 ss., chiameremo gli effetti<br />

prodotti dalla sentenza arbitrale, indipendentemente dall’exequatur, come effetti naturali.<br />

(3) Questa precisazione si impone, in quanto alcune decisioni hanno negato il carattere<br />

di sentenza arbitrale ad alcuni atti per la mancanza dei requisiti imposti dalla legge.<br />

Così, infatti: App. Paris, 18 février 1986, in Revue de l’arbitrage 1990, p. 727, con<br />

nota critica di C. Jarrosson, secondo cui non può costituire una sentenza arbitrale un documento<br />

« ne comportant aucune signature ni aucune date »; App. Paris, 26 mai 1987,<br />

ivi 1987, p. 509, con nota di C. Jarrosson, secondo cui è un rapporto di expertise, e non<br />

può ricevere la qualificazione di sentenza arbitrale, la decisione di un terzo, che non contiene<br />

« un exposé succinct des prétentions respectives des parties et de leurs moyens »;<br />

App. Paris, 21 novembre 1991, ivi 1992, p. 494, con nota di M.-C. Rondeau-Rivier, che<br />

ha negato il carattere di sentenza arbitrale ad un atto che non presentava « les indications<br />

indispensables à son identification », e la cui traduzione era equivoca. Per la critica a tali<br />

decisioni si veda: C. Jarrosson, Les frontières de l’arbitrage, in Revue de l’arbitrage<br />

2001, p. 5 ss., spec. pp. 22-23; P. Fouchard, E. Gaillard, B. Goldman, Traité de<br />

l’arbitrage commercial international, Paris 1996, p. 750; A. Carlevaris, La qualificazione


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 671<br />

importanza la circostanza che la sentenza sia di condanna o di mero accertamento<br />

(4).<br />

Essendo la sentenza arbitrale, l’atto conclusivo <strong>del</strong> procedimento arbitrale<br />

è chiaro che la definizione <strong>del</strong>la prima discende dall’individuazione <strong>del</strong> concetto<br />

stesso di arbitrato (5). Per sapere se si è in presenza di un procedimento<br />

che può essere qualificato come arbitrato si fa ricorso ad una serie di indici rivelatori,<br />

quali: la presenza di una lite tra le parti, di un terzo imparziale dotato<br />

di potere giurisdizionale, il carattere obbligatorio <strong>del</strong>l’atto, la risoluzione di<br />

questioni di diritto e non di mero fatto (6). Sulla base di tali indici, possiamo<br />

eliminare dalla categoria di sentenza arbitrale alcuni atti a questa affini. Sarà<br />

una proposta di conciliazione quell’atto <strong>del</strong> terzo che, essendo privo di carattere<br />

vincolante e obbligatorio, può essere rifiutato dalle parti, potendo queste sottomettere<br />

integralmente le loro pretese dinanzi agli organi giurisdizionali (7).<br />

––––––––––––<br />

<strong>del</strong>le decisioni arbitrali, in Riv. arb. 2002, p. 469 ss., spec. p. 482. Più cauta, invece, la<br />

posizione di M.-C. Rondeau-Rivier, Arbitrage. La sentence arbitrale, cit., p. 3, secondo<br />

cui « il est certain que l’incompatibilité formelle de la décision avec les exigences attendues<br />

de la forme d’une sentence est un indice permettant de refuser à la décision la qualification<br />

de sentence ».<br />

(4) La precisazione è dovuta al fatto che nella motivazione di Cass., 7 octobre<br />

1981, in Revue de l’arbitrage 1984, si trova l’affermazione secondo cui un atto non può<br />

avere carattere giurisdizionale « en l’absence de condamnation ». Ma successivamente<br />

Cass., 19 avril 1985, ivi 1986, p. 57, con nota di C. Jarrosson, seppur indirettamente, stabilisce<br />

che il carattere di sentenza arbitrale non può essere negato per il solo fatto che non<br />

si tratti di una decisione di condanna. Per l’approfondimento <strong>del</strong>la questione si rinvia a C.<br />

Jarrosson, La notion d’arbitrage, Paris 1987, p. 206 ss.<br />

(5) In questo senso, tra i tanti: B. Moureau, Arbitrage en droit interne, in Encyclopédie<br />

Dalloz, Répertoire de procédure civile, vol. 1, Paris 2004, p. 39, secondo cui<br />

« la qualification de la sentence est indissociable de celle d’arbitrage ».<br />

(6) Per un’esposizione generale dei criteri di qualificazione <strong>del</strong>l’arbitrato si rinvia a<br />

C. Jarrosson, La notion d’arbitrage, cit., p. 251 ss.; Id., Les frontières de l’arbitrage, cit.,<br />

p. 19 ss.; Id., Variations autour de la notion d’arbitrage, in Revue de l’arbitrage 2005,<br />

p. 1049 ss.; E. Loquin, Arbitrage. Définition, in Juris-Classeur proc. civ., fasc. 1005, Paris<br />

1997, p. 13 ss. Ai fini <strong>del</strong>l’indagine circa la qualificazione di un atto come sentenza<br />

arbitrale, sia in riferimento alle figure affini che rispetto alle ordinanze arbitrali, la giurisprudenza<br />

ritiene che non ci si debba attenere alle espressioni utilizzate dalle parti, ma<br />

alla natura <strong>del</strong>la missione effettivamente demandata ai terzi. Il principio è fermissimo e si<br />

rinviene in tutte le decisioni che si occupano <strong>del</strong>la qualificazione <strong>del</strong>l’arbitrato, è sufficiente<br />

al riguardo citare Cass., req., 31 mars 1862, in Recueil Sirey 1862, p. 362, che per<br />

prima ha formulato tale principio.<br />

(7) Sulla distinzione in via generale tra arbitrato e conciliazione si veda B. Oppetit,<br />

Arbitrage, médiation et conciliation, in Revue de l’arbitrage 1984, p. 307 ss.; C. Jarrosson,<br />

La notion d’arbitrage, cit., p. 176 ss. Tale distinzione, agevole nella teoria, ha dato<br />

luogo a un vasto contenzioso, data la presenza di clausole ambigue. Nel senso <strong>del</strong>la conciliazione<br />

di quelle clausole nelle quali le parti, pur utilizzando termini invocanti una


672<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Sempre in relazione al carattere obbligatorio <strong>del</strong>l’atto, è legato il problema <strong>del</strong>la<br />

qualificazione <strong>del</strong> « progetto di sentenza arbitrale », ossia di quell’atto emanato<br />

in primo grado all’interno di un arbitrato organizzato da un’istituzione, il cui<br />

regolamento prevede un doppio grado di giudizio privato (8). Mentre non sorgono<br />

dubbi circa il carattere di sentenza <strong>del</strong>la decisione emanata nel secondo<br />

grado arbitrale, la qualificazione <strong>del</strong>l’atto emanato nel primo grado arbitrale è<br />

controversa, alcuni propendendo per la natura di sentenza ed altri per quella di<br />

proposta di conciliazione (9).<br />

Più controverso è il rapporto tra arbitrato (arbitrage juridictionnel) e arbitraggio<br />

(arbitrage contractuel), di cui all’art. 1592 Code civil (10). In linea ge-<br />

––––––––––––<br />

procedura arbitrale, si riservano la facoltà di adire il tribunale statale senza alcuna limitazione,<br />

si veda: Cass., 2° civ., 7 juillet 1971, in Juris-Classeur périodique 1971, éd. Générale,<br />

II, 16898, con nota di P. Level, relativamente a una procedura destinata a concludersi<br />

con un « avis arbitrale de conciliation »; TGI Paris, ord. référé, 25 janvier 1984, in<br />

Revue de l’arbitrage 1984, p. 376; App. Nancy, 12 décembre 1985, ivi 1986, p. 255;<br />

App. Paris, 23 mars 1989, ivi 1990, p. 731; Cass., com., 13 mars 1990, ivi 1990, p. 713<br />

ss.; App. Paris, 24 octobre 1991, ivi 1992, p. 494, con nota di M.-C. Rondeau-Rivier, ove<br />

si specifica che « les mentions qui soumettent la sentence arbitrale à l’accord des parties<br />

ôtent tout caractère juridictionnel à l’acte d’arbitrage »; App. Paris, 21 novembre 2001,<br />

in Revue trimestrielle de droit commercial 2002, p. 40 ss.; App. Paris., 20 novembre<br />

2003, in Revue de l’arbitrage 2005, p. 1053, con nota favorevole di C. Jarrosson, e in<br />

Recueil Dalloz 2004, sommaires, p. 3179, con nota contraria di T. Clay.<br />

(8) L’istituto <strong>del</strong> progetto di sentenza arbitrale è disciplinato, in modo non <strong>del</strong> tutto<br />

chiaro, dall’art. 1455, comma 4°, secondo cui « la personne chargée d’organiser<br />

l’arbitrage peut prévoir que le tribunal arbitral ne rendra qu’un projet de sentence, et si<br />

ce projet est contesté par l’une des parties, l’affaire sera soumise à un deuxième tribunal<br />

arbitral ».<br />

(9) A favore <strong>del</strong>la natura di sentenza <strong>del</strong>la decisione degli arbitri di primo grado e<br />

<strong>del</strong>la sua conseguente impugnabilità ex artt. 1482 ss., in assenza di contestazione attraverso<br />

il secondo grado arbitrale, si pone soprattutto la giurisprudenza: App. Douai, 27<br />

février 1964, in Revue de l’arbitrage 1964, p. 49; App. Paris, 5 juillet 1981, ivi 1983,<br />

p. 109; App. Rouen, 16 avril 1986, ivi 1988, p. 327; App. Paris, 6 mars 1997, ivi 1997,<br />

p. 605, con nota di Y. Reinhard; App. Paris, 8 octobre 1998, ivi 2000, p. 128, con nota di<br />

E. Loquin; J. Robert, L’arbitrage, cit., p. 172. Mentre E. Loquin, Arbitrage. Institutions<br />

d’arbitrage, fasc. 1002, in Juris-Classeur proc. civ., Paris 1997, p. 10; Id., Arbitrage. La<br />

décision arbitrale, fasc. 1046, ivi 2001, p. 6, ritiene che il « progetto di sentenza » sia una<br />

« solution non obligatoire proposée par un organe de conciliation », ossia di un atto di<br />

natura contrattuale che, se non contestato, conserverebbe comunque il suo valore originario<br />

e non si trasformerebbe in sentenza arbitrale.<br />

(10) L’art. 1592 Code Civil permette che il prezzo <strong>del</strong>la vendita, in caso di mancata<br />

determinazione <strong>del</strong>le parti, « peut cependant être laissé à l’arbitrage d’un tiers; si le tiers<br />

ne veut ou ne peut pas faire l’estimation, il n’y point de vente ». Pur parlando la legge di<br />

« arbitrage », la dottrina ha da tempo riconosciuto che non si tratti di un vero arbitrato, ma<br />

di un mandato di interesse comune. L’arbitraggio viene, comunemente, denominato come


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 673<br />

nerale, si può affermare che « s’il n’y a pas de litige, il n’y a pas d’arbitrage<br />

» (11), quindi qualora le parti decidano di affidare la determinazione <strong>del</strong> valore<br />

di un bene ad un terzo, in assenza di un qualsiasi tipo di contrasto, sulla<br />

qualificazione di arbitraggio non sorgeranno dubbi, al contrario qualora le parti<br />

siano tra loro in lite o in disaccordo la linea di confine tra i due istituti diviene<br />

controversa. La giurisprudenza, in casi assolutamente identici, ha optato in alcune<br />

ipotesi per la qualificazione di arbitraggio e in altre per quella di arbitrato,<br />

a seconda <strong>del</strong> fatto che il criterio <strong>del</strong>la presenza <strong>del</strong>la lite o <strong>del</strong> disaccordo tra le<br />

parti sia stato ritenuto prevalente su quello <strong>del</strong>la natura <strong>del</strong>la missione conferita<br />

al terzo (12). Analoghe dispute sono sorte anche in dottrina, divisa tra un con-<br />

––––––––––––<br />

arbitrage contractuel in contrapposizione all’arbitrage juridictionnel <strong>del</strong> codice di rito. Sul<br />

tema si veda: C. Jarrosson, La notion d’arbitrage, cit., p. 158; B. Oppetit, Arbitrage juridictionnel<br />

et arbitrage contractuel: à propos d’une jurisprudence récente, in Revue de<br />

l’arbitrage 1977, p. 315 ss.; Id., Sur le concept d’arbitrage, in Etudes offertes à B. Goldman<br />

1982, p. 229 ss.; E. Loquin, Arbitrage. Définition, fasc. 1005, cit., p. 4, secondo cui<br />

« l’arbitrage contractuel n’est pas une institution juridictionnelle », dal momento in cui<br />

l’arbitre, di cui all’art. 1592 c.c., « ne juge pas, mais définit une obligation contractuelle »;<br />

T. Clay, Une erreur de codification dans le Code civil: les dispositions sur l’arbitrage, in<br />

1804-2004, Le Code civil, Un passé, un présent, un avenir, Dalloz, 2004, p. 693 ss.<br />

Un’utilizzazione differente <strong>del</strong>la formula arbitrage contractuel è fatta A. Kassis, Problème<br />

de base de l’arbitrage, I, Paris 1987, p. 16, per il quale l’aggettivo contrattuale, riferito<br />

all’arbitrato, designerebbe l’ipotesi <strong>del</strong>l’intervento di un terzo ai fini <strong>del</strong>la risoluzione di una<br />

controversia giuridica, procedimento destinato a concludersi con una decisione di valore ed<br />

efficacia esclusivamente contrattuale (figura corrispondente, quindi, all’arbitrato libero italiano).<br />

All’opposto, la quasi totalità <strong>del</strong>la dottrina ritiene inammissibile l’arbitrato irrituale<br />

nell’ordinamento francese, si veda per tutti: C. Jarrosson, La notion d’arbitrage, cit., p. 345;<br />

Id., L’expertise juridique, in Mélanges C. Raymond, Paris 2004, p. 127 ss., fautore di una<br />

concezione rigorosamente unitaria <strong>del</strong>l’arbitrato; E. Loquin, op. ult. cit., p. 6, secondo cui la<br />

tesi di A. Kassis sull’arbitrato libero « n’emporte pas la conviction, et n’est pas consacrée<br />

par le droit positif » francese. Per più ampie informazioni si rinvia a M. Marinelli, La natura<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato irrituale, Torino 2002, p. 47 ss.<br />

(11) Tale affermazione è comune a tutta la dottrina, per tutti: E. Loquin, op. ult. cit.,<br />

p. 13, e le citazioni di consonante dottrina e giurisprudenza.<br />

(12) In relazione alla determinazione, affidata ad un terzo, <strong>del</strong> valore di alcuni beni<br />

provenienti da una successione, la giurisprudenza ha dato due qualificazioni opposte, si<br />

veda: Cass., 2° civ., 7 novembre 1974, in Revue de l’arbitrage 1974, p. 302 ss., con nota<br />

di E. Loquin, per la qualificazione di arbitrato; Cass., 1° civ., 26 octobre 1976, ivi 1977,<br />

p. 337, per quella di arbitraggio. Senza alcuna pretesa di completezza, analoghi contrasti<br />

giurisprudenziali si ritrovano nelle differenti ipotesi di stime e valutazioni <strong>del</strong> valore di<br />

beni. Nel senso <strong>del</strong>l’arbitrato: Cass., civ. 2°, 21 juin 1956, in Revue de l’arbitrage 1956,<br />

p.132 ss.; Cass., 15 novembre 1965, in Bull. civ., I, n. 606; App. Paris, 18 décembre<br />

1992, in Revue de l’arbitrage 2001, p. 147. Nel senso <strong>del</strong>l’arbitraggio: Tr. civ. Seine, 8<br />

février 1956, in Revue de l’arbitrage 1957, p. 85; Cass., com., 8 mai 1961, in Bull. civ.,<br />

III, n. 92, p. 169; Cass., 7 juin 1978, in Revue de l’arbitrage 1979, p. 343. Per l’attuale


674<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

cetto ristretto di arbitrato e di lite ed uno di tipo più ampio, comprendente anche<br />

la risoluzione di un semplice disaccordo tra le parti sulla determinazione di un<br />

prezzo o di un valore (13).<br />

I rapporti tra arbitrato e expertise irrévocable (la perizia contrattuale italiana)<br />

comportano minori difficoltà, essendo distinti in base all’oggetto <strong>del</strong>la<br />

missione conferita al terzo: all’arbitro si devolvono questioni di diritto relative<br />

ad una controversia su diritti soggettivi, mentre all’expert <strong>del</strong>le questioni di mero<br />

fatto. Dunque, quando la decisione <strong>del</strong> terzo riguarda anche le conseguenze<br />

giuridiche <strong>del</strong>l’analisi dei fatti sottoposti al suo esame, ci troveremo dinanzi ad<br />

una sentenza arbitrale (14).<br />

––––––––––––<br />

tendenza all’allargamento <strong>del</strong>la sfera di operatività <strong>del</strong>l’arbitraggio: App. Paris, 7 février<br />

2002, in Revue de l’arbitrage 2005, p. 1057, secondo cui il disaccordo relativo al prezzo<br />

constituisce una « question insuffisante pour caractériser un litige sans lequel il n’existe<br />

pas d’arbitrage juridictionnel »; App. Versailles, 1re ch., 4 mars 2004, in Juris-Classeur<br />

Périodique 2005, II, 10017, con nota di C. Noblot; App. Paris, 17 septembre 2004, in<br />

Revue trimestrielle droit commercial 2005, p. 260, con osservazioni critiche di E. Loquin,<br />

che conferisce all’arbitratore il potere di interpretare le clausole contrattuali <strong>del</strong> relativo<br />

contratto da perfezionare, pur in presenza di un contrasto tra le parti.<br />

(13) Senza poter dar conto <strong>del</strong>le posizioni di tutta la dottrina in materia, la concezione<br />

restrittiva <strong>del</strong>l’arbitrato è stata difesa principalmente da H. Motulsky, Ecrits. Etudes<br />

et notes sur l’arbitrage, Paris 1974, p. 21, secondo cui l’arbitro statuisce su « une<br />

prétention juridique » (definita come « la revendication d’un résultat économique ou<br />

social correspndant au bénéfice d’une règle de droit »), di conseguenza l’atto, con il<br />

quale un terzo procede alla determinazione <strong>del</strong> prezzo ai fini <strong>del</strong>la perfezione di un contratto,<br />

essendo « exclusivement créateur », non è una sentenza arbitrale. Nello stesso senso<br />

E. Loquin, Arbitrage. Définition, cit., p. 4; P. Mayer, Note sous Cass., 9 octobre 1984,<br />

in Revue de l’arbitrage 1986, p. 267 ss., spéc. p. 268, secondo cui il semplice disaccordo<br />

su un elemento <strong>del</strong> contratto non esclude la figura <strong>del</strong>l’arbitraggio, altrimenti « l’art.<br />

1592 c.c. serait vidé de tout contenu »; L. Cadiet, Arbiter, Arbitrator. Gloses et postgloses<br />

sous l’articole 1843-4 du code civil, in Mélanges Y. Guyon, Dalloz 2003, p. 153<br />

ss., spec. p. 158 ss., che distingue tra semplice disaccordo sul prezzo e lite giuridica. Si<br />

pongono a favore di una concezione più ampia <strong>del</strong>l’arbitrato, idonea a includere anche il<br />

caso in cui le parti siano in disaccordo sul prezzo: C. Jarrosson, La notion d’arbitrage,<br />

cit., p. 168 ss.; Id., Les frontières de l’arbitrage, cit., p. 20, nota 41, che propone anche il<br />

principio di un generale effetto di attrazione da parte <strong>del</strong>l’arbitrato, affermando che « il<br />

n’est pourtant pas impossible d’imaginer un litige ressortissant à une veritable mission<br />

d’arbitrage, et dont l’objet sera le prix »; D. Cohen, Arbitrage et société, Paris 1993,<br />

p. 152 ss.<br />

(14) Una serie di pronunce sono relative al cosiddetto « compromis médical », ossia<br />

a quella clausola che prevede l’intervento di un medico ai fini <strong>del</strong>la determinazione <strong>del</strong>la<br />

responsabilità <strong>del</strong>l’eventuale danneggiante. In alcune ipotesi, la giurisprudenza ha fatto<br />

leva sulla circostanza che al terzo-medico era stato affidato anche il compito di determinare<br />

le conseguenze giuridiche <strong>del</strong> fatto illecito, ed ha per tale motivo optato per la qualificazione<br />

di arbitrato, così: Cass., 25 mai 1962, in Revue de l’arbitrage 1962, p. 136;


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 675<br />

Delimitate le frontiere <strong>del</strong>l’arbitrato, è necessario occuparsi <strong>del</strong>la distinzione<br />

tra sentenze e ordinanze (revocabili e modificabili dagli stessi arbitri). Nel<br />

silenzio <strong>del</strong>la legge sul punto, sono stati elaborati due differenti criteri.<br />

Secondo un criterio di tipo oggettivo, si ritiene che siano ordinanze quegli<br />

atti con i quali gli arbitri si limitano a prendere <strong>del</strong>le mesures d’administration<br />

judiciaire (relative all’istruzione probatoria e all’organizzazione <strong>del</strong> procedimento)<br />

e, in via residuale, tutti quei provvedimenti che non appartengono alla<br />

categoria di sentenza arbitrale. La nozione di sentenza arbitrale viene, dunque,<br />

circoscritta ai soli atti con cui gli arbitri decidono tutta o una parte <strong>del</strong>la lite o<br />

statuiscono su una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito (accogliendola<br />

o rigettandola) (15).<br />

––––––––––––<br />

App. Paris, 20 octobre 1994, ivi 1996, p. 442, con nota favorevole di P. Fouchard. Correlativamente,<br />

si è optato per la qualificazione di expertise nelle ipotesi in cui al terzo era<br />

stato solamente domandato di valutare <strong>del</strong>le circostanze di fatto, senza trarre da queste<br />

<strong>del</strong>le conseguenze giuridiche: App. Paris, 21 décembre 2000, ivi 2001, p. 178; App. Paris,<br />

14 mars 2002 e App. Paris, 14 octobre 2002, ivi 2005, p. 1059, con nota favorevole di<br />

C. Jarrosson. Ma in senso contrario: TGI Paris, 9 mai 1990, ivi 1990, p. 717, con nota<br />

critica di C. Jarrosson, secondo cui la clausola, con la quale le parti affidano ad un medico<br />

l’incarico di fissare il tasso di incapacità, dà luogo ad un arbitrato, « nonobstant le caractère<br />

technique du différend ». Il criterio <strong>del</strong>la distinzione tra questioni di fatto e questioni<br />

di diritto è accolto anche dalla dottrina: E. Loquin, Arbitrage. Définition, cit., p. 19,<br />

secondo cui l’expert si limita a « fixer de manière définitive des faits » e non trae « des<br />

conséquences juridiques du constat opéré »; C. Jarrosson, La notion d’arbitrage, cit.,<br />

p. 112 ss.; Id., Les frontières de l’arbitrage, cit., p. 31 ss.; Id., Variations autour de la<br />

notion d’arbitrage, cit., p. 1060; C. Seraglini, Chronique, in Juris-Classeur périodique<br />

2003, I, p. 129.<br />

(15) In tal senso: App. Paris, 25 mars 1994, in Revue de l’arbitrage 1994, p. 391, con<br />

nota di C. Jarrosson, secondo cui rientrano nella categoria di « véritables sentences arbitrales<br />

... les actes des arbitres qui tranchent de manière définitive, en tout ou en partie le<br />

litige qui leur a été soumis, que ce soit sur le fond, sur la compétence ou sur un moyen de<br />

procédure qui les conduit à mettre fin à instance ». In senso più specifico e con maggiore<br />

chiarezza, poiché include tra le sentenze anche quelle che hanno la sola idoneità a mettere<br />

fine al procedimento si veda: App. Paris, 10 novembre 1995, ivi 1997, p. 596 ss., con nota<br />

di J. Pellerin, secondo cui sono sentenze arbitrali quelle che statuiscono « de manière définitive<br />

... sur un moyen de procédure tendant à mettre fin à l’instance ». In senso analogo:<br />

App. Paris, 1 juillet 1999, ivi 1999, p. 834, con nota di C. Jarrosson; App. Paris, 4 avril<br />

2002, (Nafimco), ivi 2003, p. 143, con nota di D. Bensuade. In dottrina, per l’accoglimento<br />

<strong>del</strong> criterio materiale: C. Jarrosson, Note sous App. Paris, 9 juill. 1992, in Revue de<br />

l’arbitrage 1993, p. 303; Id., Sentence arbitrale et « ordonnance de procédure », ivi 1994,<br />

p. 394 ss.; Id., Une décision arbitrale peut en cacher une autre: la requalification d’une<br />

« ordonnance » en sentence et ses conséquences au regard de l’art. 1502 NCPC et du règlement<br />

CCI, ivi 1999, p. 841 ss., secondo cui la sentenza arbitrale deve avere ad oggetto<br />

almeno « un point de droit préalable et nécessaire à la solution définitive »; J.-F. Poudret,<br />

S. Besson, Droit comparé de l’arbitrage international, Lousanne 2002, p. 676 ss., un atto è


676<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Secondo altro orientamento, dovrebbe seguirsi il criterio <strong>del</strong> carattere giurisdizionale<br />

<strong>del</strong>l’atto, determinato dalla presenza di un contrasto tra le parti circa<br />

la soluzione di una questione di procedura. In base a tale criterio più ampio,<br />

si ritiene che la qualificazione di sentenze arbitrali spetti anche a quei provvedimenti<br />

con i quali gli arbitri decidono <strong>del</strong>le « questions de procédure litigieuses<br />

entre les parties », sebbene siano atti relativi all’istruzione <strong>del</strong>la causa e allo<br />

svolgimento <strong>del</strong> procedimento (16).<br />

Infine, alcuni atti, per espressa disposizione legislativa, non possono essere<br />

qualificati come sentenza arbitrale. L’art. 1451 NCPC permette esclusivamente<br />

alle persone fisiche di ricoprire il ruolo di arbitri, mentre le camere arbitrali<br />

possono solamente assumere il ruolo di organizzare il procedimento arbitrale.<br />

Ne deriva la necessaria esclusione dalla categoria di sentenza arbitrale degli atti<br />

<strong>del</strong>le camere arbitrali (17).<br />

––––––––––––<br />

una sentenza arbitrale quando è potenzialmente idoneo a chiudere il procedimento; P. Fouchard,<br />

E. Gaillard, B. Goldman, Traité de l’arbitrage commercial international, cit., p. 750;<br />

D. Bensaude, Clarification de la définition française de la sentence arbitrale internationale,<br />

in Revue de l’arbitrage 2003, p. 160 ss., spec. 162. Per ulteriori approfondimenti sul tema si<br />

rinvia a S. Jarvin, Les décisions de procédure des arbitres peuvent-elles faire l’objet d’un<br />

recours juridictionnel?, ivi 1998, p. 609 ss.<br />

(16) In questo senso: App. Paris, 9 juillet 1992, in Revue arbitrage 1993, p. 303 ss., con<br />

nota critica di C. Jarrosson; App. Paris, 7 juillet 1987, ivi 1988, con nota di E. Mezger; App.<br />

Paris, 15 mars 2001, ivi 2001 p. 606 ss. In dottrina, tale impostazione più ampia è accolta da:<br />

E. Loquin, Arbitrage. La décision arbitrale, fasc. 1046, cit., p. 6, il quale ritiene che l’atto sia<br />

una sentenza arbitrale « dès l’instant que la mesure de procédure est litigieuse entre les<br />

parties et que ce désaccord est tranché par les arbitres »; J.-B. Dubarry, E. Loquin, Qu’estce<br />

qu’une sentence?, in Revue trimestrielle de droit commercial 1994, p. 483 ss. Senza poter<br />

entrare, in questa sede, nel problema <strong>del</strong>la qualificazione <strong>del</strong>le mesures provisoires o conservatoires<br />

ordinate dagli arbitri, è opportuno citare App. Paris, 7 octobre 2004, in Journal de<br />

droit international 2005, p. 341 ss., con nota di A. Mourre e P. Pedone, che ha allargato ulteriormente<br />

il campo <strong>del</strong>la nozione di sentenza arbitrale, qualificando come sentenza la decisione<br />

con la quale un tribunale arbitrale « s’est définitivement prononcé sur la demande de<br />

mesures conservatoires qui lui avait était présentée ». Sulla decisione si veda anche il commento<br />

favorevole di T. Clay, Arbitrage et modes alternatifs de règlement des litiges: panorama<br />

2005, in Recueil Dalloz 2005, p. 3050 ss., spec. p. 3062. In argomento si segnala, in<br />

senso contrario: App. Paris, 29 avril 2003, in Revue de l’arbitrage 2003, pp. 1296 ss., con<br />

nota di C. Jarrosson, la quale ha ritenuto che il provvedimento <strong>del</strong> terzo emanato a conclusione<br />

<strong>del</strong> procedimento di référé pré-arbitrale, di cui al relativo Regolamento <strong>del</strong>la CCI <strong>del</strong><br />

1990, esuli dalla nozione di sentenza arbitrale, essendo un atto di natura esclusivamente contrattuale.<br />

Su tale ultima decisione si veda la critica di A. Carlevaris, Tutela cautelare « prearbitrale<br />

»: natura <strong>del</strong> procedimento e <strong>del</strong>la decisione, in Riv. arb. 2003, p. 259 ss., spec.<br />

p. 277 ss., il quale è favorevole alla natura arbitrale <strong>del</strong> procedimento di référé pré-arbitrale,<br />

e alla qualificazione di lodo <strong>del</strong>la relativa decisione.<br />

(17) In tal senso per tutti E. Loquin, Arbitrage. Institutions d’arbitrage, cit., p. 6. In<br />

giurisprudenza: App. Paris, 22 janvier 1982, in Revue de l’arbitrage 1982, p. 91 ss.; TG1


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 677<br />

3. – Individuata la nozione di sentenza arbitrale, possiamo occuparci dei suoi<br />

effetti giuridici. Iniziando la nostra indagine dagli effetti nominati, l’art. 1475<br />

estende espressamente alla sentenza arbitrale il principio <strong>del</strong> dessaisissement in<br />

base al quale l’emanazione <strong>del</strong>la sentenza priva di ogni potere decisorio l’arbitro in<br />

relazione alla domanda o alla questione decisa, salve le eccezioni previste dalla<br />

legge. In virtù <strong>del</strong>la disposizione citata, l’arbitro all’interno <strong>del</strong>lo stesso procedimento<br />

arbitrale non può validamente pronunciare una seconda sentenza sulla stessa<br />

controversia o più generalmente sulla stessa questione già decisa, né può modificare<br />

o sanare la stessa sentenza pronunciata, pur se la ritiene viziata, dal momento in<br />

cui la decisione acquisisce un valore oggettivo e autonomo per colui che l’ha<br />

emessa (18). In sede arbitrale, la portata <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> dessaisissement viene,<br />

tuttavia, attenuata da alcuni autori dal momento in cui la regola « n’est pas d’ordre<br />

public et l’arbitrage conserve son caractère contractuel » (19).<br />

––––––––––––<br />

Paris, 28 mars 1984, e App. Paris, 15 mai 1985, ivi 1985, p. 141 ss.; App. Paris, 15 janvier<br />

1985, ivi 1986, p. 87 ss., con nota di E. Mezger; TGI Paris, 8 octobre 1986, ivi 1987,<br />

p. 367 ss.; TGI Paris, 28 janvier 1987, ivi 1987, p. 380 ss.; Cass., civ. 2°, 7 octobre 1987,<br />

ivi 1987, p. 479 ss., con nota di E. Mezger. Per una recente conferma <strong>del</strong>l’esclusione di<br />

ogni tipo di potere decisionale <strong>del</strong>le istituzioni arbitrali e <strong>del</strong> conseguente divieto di interferire<br />

nell’attività degli arbitri, si veda Cass, 1° civ., 20 février 2001, (Cubic), ivi 2001,<br />

p. 513 ss., con nota di T. Clay.<br />

(18) Il principio <strong>del</strong> dessaisissement viene enunciato per i giudici statali all’art. 481<br />

NCPC, secondo cui « le jugement, dès son pronuncé, dessaisit le juge de la contestation<br />

qu’il tranche ». Sull’istituto si veda: J. Vincent, S. Guinchard, Procédure civile, Paris 2003,<br />

p. 234 s., secondo cui il « dessaisissement est une conséquence directe de l’autorité attachée<br />

à la chose jugée »; L. Cadiet, Droit judiciaire privé, Paris 2001, p. 625, per il quale la<br />

regola <strong>del</strong> dessaisissement riguarda l’effetto estintivo e la forza obbligatoria <strong>del</strong>la decisione<br />

nei confronti <strong>del</strong> giudice stesso, mentre l’autorité de la chose jugée riguarda l’effetto <strong>del</strong>la<br />

sentenza nei confronti <strong>del</strong>le parti; R. Martin, Jugement sur le fond, in Juris-Classeur proc.<br />

civ., fasc. 550, Paris 2000, p. 2; C. Bléry, L’efficacité substantielle des jugements civils,<br />

Paris 2000, p. 147 ss. Il principio <strong>del</strong> dessaisissement è stato espressamente previsto in relazione<br />

all’istituto <strong>del</strong>l’arbitrato solo dalla riforma <strong>del</strong> 1980, tuttavia, sotto l’imperio <strong>del</strong> codice<br />

di rito <strong>del</strong> 1806, giurisprudenza e dottrina avevano già ritenuto il principio applicabile al<br />

giudizio arbitrale, in tal senso: App. Paris, 3 novembre 1926, in Recueil Dalloz 1926, p. 57.<br />

Per un applicazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> dessaisissement alla sentenza arbitrale si veda Cass., 5<br />

aprile 1994 (Basse), in Revue de l’arbitrage 1995, p. 68 ss. Sul tema in generale si veda lo<br />

studio di B. Moreau, Le prononcé de la sentence arbitrale entraîne-t-il le dessaisissement<br />

de l’arbitre?, in Mélanges J.-F. Poudret, Lausanne 1999, p. 453 ss.<br />

(19) In tal senso J. Robert, L’arbitrage, cit., p. 182, secondo cui, qualora la sentenza<br />

sia stata sottoscritta, ma non ancora portata alla conoscenza <strong>del</strong>le parti, gli arbitri possono<br />

emanare, all’unanimità, una seconda decisione, potendo, inoltre, sostituire una sentenza già<br />

comunicata, se tutte le parti consultate non si oppongono; nello stesso senso B. Moreau,<br />

Arbitrage en droit interne, cit., p. 42. In senso opposto, M.-C. Rondeau-Rivier, op. ult. cit.,<br />

p. 17, ritiene che per l’emanazione di una seconda sentenza sia necessario che le parti<br />

esprimano la loro concorde volontà, attraverso la conclusione di un nuovo compromesso.


678<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

In forza <strong>del</strong> richiamo effettuato dall’art. 1475 agli artt. 461-462-463, il principio<br />

<strong>del</strong> dessaisissement subisce <strong>del</strong>le eccezioni, alcune riferibili sia all’arbitro<br />

che al giudice, mentre altre relative solo al secondo (20). Il nuovo codice, a differenza<br />

<strong>del</strong> precedente (21), conferisce agli arbitri il potere di interpretare la sentenza<br />

da loro emanata su domanda congiunta <strong>del</strong>le parti (simple requête), o di una<br />

sola di queste, con procedimento in contraddittorio, salvo il caso in cui sia stato<br />

proposto appello. Agli arbitri spetta, inoltre, il potere di correggere gli errori e le<br />

omissioni materiali <strong>del</strong>la decisione, nel rispetto <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong>la sentenza (22).<br />

Gli arbitri, come i giudici statali, hanno il potere di completare la loro missione in<br />

caso di omissione di pronuncia (23). L’art. 1475 non richiama, tuttavia, l’art. 464,<br />

nel quale è disciplinato il ricorso en rectification contro la decisione che abbia<br />

pronunciato su choses non demandées oppure che abbia accordato più di quello<br />

che è stato richiesto dalle parti. In caso di extra petita e ultra petita, quindi, dovrà<br />

essere esercitato l’appello o il recours en annulation (24). Tutti i poteri, prece-<br />

––––––––––––<br />

(20) Non si estendono all’arbitro neanche quelle deroghe al principio <strong>del</strong> dessaisissement,<br />

enunciate dall’art. 481, comma 1°, in base al quale il giudice « peut rétracter sa<br />

décision en cas d’opposition, de tierce opposition ou de recours en révision ». In realtà,<br />

si ritiene che la possibilità <strong>del</strong> giudice di riformare la sentenza in caso di esercizio<br />

<strong>del</strong>l’impugnazione per opposizione, opposizione di terzo e revisione, non costituisca una<br />

deroga alla regola <strong>del</strong>l’esaurimento <strong>del</strong> potere decisorio, in quanto nei suddetti casi si<br />

apre un vero e proprio giudizio di impugnazione. Vedi in tal senso L. Cadiet, Droit judiciaire<br />

privé, cit., p. 575.<br />

(21) Non espressamente previsto dal codice di rito <strong>del</strong> 1806, il potere di interpretazione<br />

degli arbitri era ammesso in limiti molto stretti, essendo subordinato alla stipulazione<br />

di un nuovo compromesso oppure al fatto che il termine per l’emanazione <strong>del</strong>la<br />

sentenza non fosse ancora scaduto, e sempre a condizione che la sentenza arbitrale non<br />

fosse stata impugnata. Vedi, in tal senso, Cass., 2° civ., 22 novembre 1968, in Juris-<br />

Classeur périodique 1969, II, 15893, con nota di P. Level. Sul tema si rinvia a R. Perrot,<br />

L’interprétation des sentences arbitrales, in Revue de l’arbitrage 1969, p. 7 ss.<br />

(22) Nel silenzio <strong>del</strong> codice <strong>del</strong> 1806, la giurisprudenza conferiva agli arbitri il potere<br />

di riparare gli errori materiali. Sui limiti al potere di riparazione in sede arbitrale si<br />

veda: Cass., 1° civ., 16 juin 1976, in Revue de l’arbitrage 1977, p. 269 ss., con nota di E.<br />

Mezger; App. Paris, 29 janvier 2002, in Gaz. Pal. 2002, somm., p. 1815, ove si afferma<br />

che « si l’arbitre peut rectifier des erreurs matérielles, il ne peut modifier les droits et<br />

obligations des parties ».<br />

(23) Il codice abrogato prevedeva, al contrario, che l’omissione di pronuncia integrasse<br />

un caso di requête civile. Per l’obbligo di far valere tale vizio obbligatoriamente<br />

dinanzi agli arbitri, si veda: App. Angers, 28 septembre 1987, in Revue de l’arbitrage<br />

1988, p. 162 ss.; App. Paris, 4 juin 1992, ivi 1993 p. 449 ss.; App. Paris, 13 novembre<br />

1997, ivi 1998, p. 709; Cass., 2° civ., 7 janvier 1999, ivi 1999, p. 272 ss.; App. Paris, 20<br />

avril 2000, ivi 2001, p. 805.<br />

(24) Sui motivi di tale esclusione si veda J. Robert, La législation nouvelle sur<br />

l’arbitrage, in Recueil Dalloz 1980, chron., p. 189, n. 4; Id., L’arbitrage, cit., p. 186;<br />

Cass., civ. 2°, 14 juin 1984, in Revue de l’ arbitrage 1985, p. 427 ss.


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 679<br />

dentemente descritti, in caso di impossibilità di ricostituire il tribunale arbitrale,<br />

divengono di competenza <strong>del</strong>l’organo giurisdizionale che sarebbe stato competente<br />

a conoscere <strong>del</strong>la causa devoluta in arbitrato.<br />

4. – Altro effetto naturale <strong>del</strong>la sentenza arbitrale è costituito dall’idoneità<br />

a produrre l’autorité de la chose jugée, fin dalla sua emanazione, ma, come vedremo,<br />

il codice non prevede che la decisione arbitrale acquisisca anche la force<br />

de chose jugée (25). L’art. 1476 deve essere coordinato con l’art. 1486, comma<br />

––––––––––––<br />

(25) Nell’ordinamento processuale civile francese l’autorità <strong>del</strong>la cosa giudicata è un<br />

effetto immediato <strong>del</strong>la sentenza (statale e arbitrale), essendo inerente a quest’ultima fin<br />

dalla sua pronuncia. L’art. 480 stabilisce che « le jugement qui tranche dans son dispositif<br />

tout ou partie du principal, ou celui qui statue sur une exception de procédure, une fin de<br />

non-recevoir ou tout autre incident a, dès son prononce, l’autorité de la chose jugée relativement<br />

à la contestation qu’il tranche ». Dal momento in cui la sentenza (statale e arbitrale)<br />

è immediatamente dotata <strong>del</strong>l’autorità <strong>del</strong>la cosa giudicata, quest’ultima è indipendente<br />

dalla stabilità <strong>del</strong>l’atto all’interno <strong>del</strong> processo. Il fenomeno <strong>del</strong>l’esaurimento dei mezzi di<br />

impugnazione ordinari viene identificato con il concetto di forza di cosa giudicata (art. 500<br />

NCPC, secondo cui « a force de chose jugée le jugement qui n’est susceptible d’aucun recours<br />

suspensif d’exécution », ossia un mezzo ordinario di impugnazione). Mentre si considera<br />

irrevocabile, la sentenza che non è più soggetta ai mezzi di impugnazione straordinari<br />

(L. Cadiet, Droit judiciaire privé, cit., p. 614, secondo cui la qualificazione di jugement irrévocable<br />

è « réservée au jugement insusceptibles de recours »; R. Perrot, N. Fricerio, Autorité<br />

de la chose jugée, in Juris-Classeur. proc. civ., fasc. 554, Paris 1998, p. 13). La giurisprudenza<br />

(citata da D. Tomasin, Essai sur l’autorité de la chose jugée en matière civile,<br />

Paris 1975, p. 132) ha chiarito quale sia il significato e la portata <strong>del</strong>l’autorità immediata di<br />

cosa giudicata <strong>del</strong>la sentenza di primo grado, stabilendo che « tant qu’un jugement en premier<br />

ressort n’est point attaqué par la voie de l’appel, celui contre qui il a été rendu n’est<br />

pas recevable à élever en justice une prétention contraire à ce qui a été jugé ». L’autorità di<br />

cosa giudicata ha, quindi, un carattere provvisorio, potendo essere rimessa in discussione<br />

con l’esercizio dei mezzi di impugnazione, sia ordinari che straordinari. In tal senso, la stessa<br />

legge stabilisce che « l’appel remet la chose jugée en question devant la juridiction<br />

d’appel pour qu’il soit à nouveau statue en fait et en droit. » (art. 561). Si veda sul tema: R.<br />

Martin, D. Mas, Voies de recours - Dispositions communes, in Juris-Classeur proc. civ.,<br />

fasc. 705, Paris 1995, p. 2, i quali sostengono che la « chose jugée est attachée en puissance<br />

au jugement dès qu’il est prononcé, mais qu’elle ne peut être mise en acte que sous reserve<br />

des voies de recours »; R. Perrot, N. Fricerio, op. ult. cit., p. 13; J. Foyer, De l’autorité de la<br />

chose jugée en matière civile. Essai d’une définition, thèse, Paris 1954, p. 193, il quale specifica<br />

che « une fois rendu tout jugement est revêtu de l’autorité de la chose jugée qui, cependant,<br />

n’a qu’un caractère provisoire, étant l’acte qui la contient soumis aux voies de<br />

recours. L’autorité devient parfaite seulement après l’épuisement des voies de recours ordinaires<br />

»; D. Tomasin, op. ult. cit., p. 132; X. Lagarde, Réflexion critique sur le droit de la<br />

preuve, Paris 1994, p. 399, ove si specifica che l’autorità immediata <strong>del</strong> jugement « ne lie<br />

pas la jurisdiction saisie d’une voie de recours qui a toute liberté pour se prononcer sur le<br />

fond des prétentions dont elle est saisi »; G. Wiederkehr, Chose jugée, in Enc. giur. Dalloz<br />

proc. civ., Paris 2004, p. 32; Id., Autorité de la chose jugée, in Dictionnaire de la justice,<br />

diretto da L. Cadiet, Paris 2004, p. 85 ss.


680<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

2°, ove si prevede l’impugnabilità immediata <strong>del</strong>la sentenza, fin dalla sua emanazione,<br />

indipendentemente dall’exequatur (26). Il legislatore <strong>del</strong> 1980-1981, al<br />

fine di superare i contrasti sorti sotto l’imperio <strong>del</strong> codice abrogato, ha voluto<br />

consacrare l’opinione <strong>del</strong>la dottrina e <strong>del</strong>l’ultima giurisprudenza favorevole all’immediata<br />

efficacia <strong>del</strong>l’autorità di cosa giudicata, al fine di rendere impugnabile<br />

la sentenza arbitrale, a prescindere dall’exequatur (27). In applicazione<br />

<strong>del</strong> principio di cui all’art. 1476, la giurisprudenza ha sottratto la sentenza arbitrale<br />

alle normali impugnazioni negoziali (28). La cosa giudicata si produce,<br />

––––––––––––<br />

(26) Sul riconoscimento <strong>del</strong>l’attribuzione immediata alla sentenza arbitrale <strong>del</strong>l’autorità<br />

<strong>del</strong>la cosa giudicata, vedi dopo la riforma <strong>del</strong>l’arbitrato: App. Paris, 29 avril 1982,<br />

in Revue de l’arbitrage 1983, p. 342; Cass., 2° civ., 19 avril 1985, cit.<br />

(27) Le ragioni <strong>del</strong>l’introduzione <strong>del</strong>la disposizione, di cui all’art. 1476, derivano dal<br />

fatto che, sotto l’imperio <strong>del</strong> codice abrogato, la giurisprudenza dominante riteneva che<br />

l’autorità di cosa giudicata <strong>del</strong>la sentenza arbitrale fosse subordinata alla concessione<br />

<strong>del</strong>l’ordinanza di esecutorietà e che, di conseguenza, l’appello non potesse essere proposto<br />

nei confronti <strong>del</strong>la decisione arbitrale priva di exequatur, si veda: Cass., req., 6 mars 1865,<br />

in Recueil Dalloz 1865, I, p. 249; App. Lyon, 12 janvier 1901, ivi 1903, II, p. 137; Cass., 3<br />

novembre 1936, ivi 1936, p. 569; App. Bordeaux, 1 décembre 1948, ivi 1949, p. 240; App.<br />

Lyon, 2 mai 1955, in Juris-Classuer périodique 1955, IV, p. 171; Cass., sez. com., 22 décembre<br />

1959, in Bull. Civ., III, n. 438; App. Paris, 17 mars 1960, in Juris-Classeur périodique<br />

1961, II, 12329. Una parte <strong>del</strong>la giurisprudenza di merito e la dottrina dominante si erano,<br />

invece, espresse favorevolmente all’ammissibilità <strong>del</strong>l’appello contro la sentenza priva<br />

di exequatur, in tal senso: App. Paris, 18 novembre 1952, in Recueil Dalloz 1952, p. 804;<br />

App. Paris, 14 janvier 1955, ivi 1955, p. 137; App. Paris, 30 octobre 1958, ivi 1958, p. 771<br />

ss.; Hébraud, Chronique, in Revue trimestrielle de droit civil 1960, p. 346 e 712; Id., Chronique,<br />

ivi 1961, p. 535; Id., Chronique, ivi 1962, p. 162 e p. 697; H. Motulsky, Note sous<br />

App. Paris, 5 janvier 1961, in Juris-Classeur périodique 1961, II, 12204; P. Level, observations<br />

sous App. Paris 6 juillet 1971, ivi 1972, II, 16993; Ryziger, Existe-t-il un lien entre<br />

l’exequatur et l’appel des sentences arbitrales, in Revue de l’arbitrage 1961, p. 210 ss.; R.<br />

Boulbès, Sentence arbitrale, autorité de la chose jugée et ordonnance d’exequatur, in Juris-<br />

Classeur périodique 1961, I, 1660; Id., L’exequatur des sentences arbitrales. Suggestions<br />

pour une réforme, ivi 1964, I, 1822; J. Rubellin-Devichi, L’arbitrage. Nature juridique,<br />

Paris 1965, p. 326 ss. Successivamente, App. Paris, 6 juillet 1971, in Juris-Classeur périodique<br />

1972, II, 16993, con nota di P. Level, e in Revue de l’arbitrage 1971, p. 119 ss., affermò<br />

che « il n’est pas possible de priver les sentences arbitrales de l’autorité de la chose<br />

jugée, que l’article 2052 du Code civil accorde aux simples transactions, cette autorité<br />

permettant à une partie d’opposer à l’autre ce qui a été jugée par les arbitres ... qu’en conséquence,<br />

il n’est pas possible de subordonner l’appel des jugements arbitraux à<br />

l’ordonnance d’exequatur ». In seguito, anche la Suprema Corte (Cass., 2° civ., 7 juin 1972,<br />

in Revue de l’arbitrage 1974, p. 91, con nota di Loquin; e Cass. com., 3 février 1981, in<br />

Recueil Dalloz 1981, p. 377, con nota di Derrida) ammise l’impugnabilità <strong>del</strong>la sentenza arbitrale<br />

« avant l’ordonnance d’exequatur », senza tuttavia riconoscerle, in maniera esplicita,<br />

l’idoneità a produrre l’autorità <strong>del</strong>la cosa giudicata.<br />

(28) In tal senso: App. Paris, 3 décembre 1981, in Revue de l’arbitrage 1983


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 681<br />

naturalmente, solo in relazione a quella parte <strong>del</strong>la domanda decisa, e non riguarda<br />

la fissazione degli onorari degli arbitri (29). Inoltre, in relazione alla<br />

sentenza arbitrale la giurisprudenza ha stabilito che l’eccezione di autorità di<br />

cosa giudicata costituisca une fin de non-recevoir non avente carattere di ordine<br />

pubblico, dunque non rilevabile d’ufficio dal giudice (30).<br />

Il legislatore non pone, tuttavia, una netta identità di regime tra sentenza<br />

arbitrale e jugement étatique. Rispetto alle decisioni dei giudici statali l’art. 480<br />

dispone che solo ciò che viene deciso nel dispositivo venga coperto dal giudicato,<br />

mentre un’analoga prescrizione non si rinviene all’interno <strong>del</strong>l’art.<br />

1476 (31). Tale differente formulazione normativa non è sfuggita alla giuri-<br />

––––––––––––<br />

p. 210, che ha negato che la mancata esecuzione di una sentenza arbitrale potesse dar<br />

luogo ad un’azione di risoluzione contrattuale, nè che possano essere oggetto di una tale<br />

azione contrattuale i contratti oggetto <strong>del</strong>la sentenza arbitrale. Sotto il codice di rito abrogato:<br />

Cass., req., 31 mai 1902, in Recueil Dalloz 1902, I, p. 351, ha negato che la sentenza<br />

arbitrale potesse essere oggetto di un’azione di rescissione contrattuale per lesione.<br />

(29) Nel senso che l’autorità di cosa giudicata non riguarda la fissazione degli onorari<br />

degli arbitri, si veda: Cass., 2° civ., 28 octobre 1987, in Revue de l’arbitrage 1988,<br />

p. 149, con nota di Jarrosson; App. Paris, 18 décembre 1996, ivi 1998, p. 121, con nota di<br />

C. Jarrosson.<br />

(30) Così: Cass., soc., 19 mars 1981, in Revue de l’arbitrage 1982, p. 44 ss., ma<br />

relativa a una sentenza emanata dalla Commissione arbitrale dei giornalisti, che costituisce<br />

un’ipotesi di arbitrato obbligatorio; App. Paris, 21 mars 1991, ivi 1993, p. 94 ss.,<br />

sempre in relazione alla Commissione arbitrale dei giornalisti, che rigetta l’impugnazione<br />

proposta in ragione <strong>del</strong> fatto che la sentenza impugnata non era stata resa in « violation<br />

d’une règle d’ordre public, à savoir le respect de l’autorité de la chose jugée »; App.<br />

Paris, 9 juin 1983, ivi 1983, p. 497. Anche in relazione ai jugements étatiques, la giurisprudenza<br />

era ferma nel ritenere il carattere privato <strong>del</strong>l’eccezione di cosa giudicata, tra<br />

le tante pronunce: Cass., 3° civ., 20 mai 1992, in Bull. civ., III, n. 159; Cass., 2° civ., 4<br />

décembre 2003, in Bull. civ., II, n. 365. Mentre il giudicato interno e su diritti indisponibili<br />

è considerato rilevabile d’ufficio dal giudice, si rinvia: Cass., 2° civ., 28 mars 1979,<br />

in Bull. civ., II, n. 96; Cass., 19 mai 1976, in Juris-Classeur périodique 1976, IV, 227;<br />

Cass., 1° civ., 29 octobre 1990, ivi 1990, IV, 424. La soluzione adottata in materia dalla<br />

giurisprudenza è stata smentita dal legislatore con il decreto n. 2004-836, che ha inserito<br />

all’interno <strong>del</strong>la categoria <strong>del</strong>la fin de non-recevoir, che il giudice ha facoltà (ma non<br />

l’obbligo) di rilevare d’ufficio, anche la chose jugée, oltre al défaut de qualité. Sul decreto<br />

n. 2004-836 si vedano: R. Perrot, H. Croze, Fin de vacances pour la procédure: le<br />

décret du 20 août 2004 fait sa rentrée, in Juris-Classeur périodique-Procédure octobre<br />

2004, p. 3; G. Wiederkehr, Chose jugée, cit., p. 35; N. Fricerio, Le jugement, in AA.VV.,<br />

a cura di S. Guinchard, Droit et pratique de la procédure civile, Paris 2005-2006, p. 787<br />

ss. In conseguenza <strong>del</strong>la riforma <strong>del</strong> 2004, giurisprudenza e dottrina dovranno occuparsi<br />

<strong>del</strong> problema se anche la fin de non-recevoir relativa all’autorità di cosa giudicata <strong>del</strong>la<br />

sentenza arbitrale sia rilevabile d’ufficio dal giudice, al pari di quella relativa alla sentenza<br />

statale.<br />

(31) Analogamente, l’art. 455 stabilisce che il giudice statale debba enunciare la


682<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

sprudenza, la quale non ha mancato di sottolineare che la soluzione <strong>del</strong>la lite,<br />

oggetto <strong>del</strong>l’autorità <strong>del</strong>la cosa giudicata, non deve essere necessariamente<br />

contenuta nel dispositivo <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, purchè quest’ultima enunci<br />

chiaramente la soluzione adottata (32). Il legislatore ha adottato, quindi, <strong>del</strong>le<br />

prescrizioni meno rigorose per la forma <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, in ragione <strong>del</strong>la<br />

sua origine contrattuale (33).<br />

Per ciò che riguarda gli effetti <strong>del</strong>la sentenza arbitrale nei confronti dei terzi<br />

(l’opposabilité), in questa sede, possiamo solamente accennare ad alcuni problemi<br />

sorti in materia di garanzia (34). Secondo la teoria francese <strong>del</strong>la rappresentazione<br />

processuale, se viene ritenuto, per ovvie ragioni, che la sentenza arbitrale,<br />

contenente la condanna <strong>del</strong> debitore principale, non potrà essere direttamente<br />

utilizzata dal creditore contro il garante, terzo rispetto alla sentenza, si<br />

afferma che tale decisione potrà essere posta alla base di un nuovo giudizio nei<br />

confronti di quest’ultimo. In virtù <strong>del</strong>l’efficacia riflessa <strong>del</strong>la decisione, nell’ambito<br />

<strong>del</strong> secondo giudizio instaurato dal creditore, il garante potrà sollevare<br />

esclusivamente eccezioni personali, ma non potrà ridiscutere l’esistenza <strong>del</strong><br />

rapporto di debito principale, da cui dipende l’esistenza <strong>del</strong> rapporto dipendente<br />

di garanzia (35).<br />

––––––––––––<br />

propria decisione « sous forme de dispositif », mentre tale prescrizione non si rinviene<br />

nell’art. 1471.<br />

(32) In tal senso Cass., 2° civ., 25 mars 1999, in Rev. arb. 1999, p. 311, con nota di<br />

J.-B. Racine.<br />

(33) In tal senso J.-B. Racine, Note sous Cass., 25 mars 1999, in Rev. arb. 1999, p.<br />

312 ss., il quale fa notare che la forma <strong>del</strong>la sentenza è « légèrement assouplie ».<br />

(34) Nel diritto francese il fenomeno <strong>del</strong>l’efficacia ultra partes <strong>del</strong>la sentenza (giurisdizionale<br />

e arbitrale) viene denominato opposabilité. Sul tema, tra i tanti, si veda: E.<br />

Loquin, Arbitrage et cautionnemment, in Revue de l’arbitrage 1994, secondo cui<br />

« l’autorité de la chose jugée assure l’immutabilité du jugement entre les parties, alors<br />

que l’opposabilité étend le rayonnement de la décision dans le milieu juridique, en imposant<br />

la situation juridique née du jugement aux tiers »; C. Blery, L’efficacité substantielle<br />

des jugements civils, cit., p. 360, secondo cui il termine opposabilité è sinonimo di quello<br />

di effet indirect.<br />

(35) In questi termini, rispetto all’arbitrato, App. Paris, 4 janvier 1960, in Revue de<br />

l’arbitrage 1960, p. 122 ss., secondo cui la sentenza arbitrale costituisce « une donnée de<br />

fait » che, avuto riguardo alla qualità <strong>del</strong>l’arbitro e in mancanza di serie contestazioni sulle<br />

attestazioni contenute nella decisione, permette di condannare il garante al pagamento degli<br />

stessi danni e interessi cui è stato condannato il debitore principale con sentenza arbitrale;<br />

nello stesso senso App. Paris, 21 mai 1964, in Recueil Dalloz 1964, p. 602 ss. Per altre ipotesi:<br />

Cass., 1° civ., 10 mai 1988, in Revue de l’arbitrage 1989, p. 51 ss., sull’estensione<br />

<strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, in quanto emanata a favore di un terzo; App. Paris, 15<br />

décembre 2004, in Gaz. Pal. 22 octobre 2005, n. 295, sommaire, p. 40, secondo cui la sentenza<br />

arbitrale è opponibile al bailleur. Per alcuni casi di non estensione <strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>la sentenza<br />

arbitrale nei confronti dei terzi: Cass., 2° civ., 8 juillet 1975, in Revue de l’arbitrage


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 683<br />

Posto il principio <strong>del</strong>l’opponibilità <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, si nega, tuttavia,<br />

che il terzo abbia nei confronti di tale atto gli stessi strumenti di difesa che,<br />

invece, gli spettano rispetto alla sentenza statale. In primo luogo, è lo stesso legislatore<br />

francese a prevedere che solo la sentenza arbitrale interna sia impugnabile<br />

con l’opposizione di terzo, ma non anche quella internazionale (36).<br />

Inoltre, in conseguenza <strong>del</strong> carattere relativo <strong>del</strong>la convenzione arbitrale e <strong>del</strong>l’origine<br />

contrattuale <strong>del</strong>l’arbitrato, giurisprudenza e dottrina ritengono inammissibile<br />

l’intervento volontario dei terzi (non soggetti all’efficacia <strong>del</strong> patto<br />

compromissorio), salvo il consenso <strong>del</strong>le parti originarie. Naturalmente viene<br />

esclusa la configurabilità di qualsiasi tipo di intervento coatto (37). Se il negare<br />

la possibilità di intervenire in via innovativa (intervention principal, di cui<br />

all’art. 329), deve essere approvata, alcuni dubbi crea la netta esclusione <strong>del</strong>l’intervento<br />

adesivo dipendente (intervention accessoire, di cui all’art. 330) <strong>del</strong><br />

terzo destinato a risentire <strong>del</strong>l’efficacia ultra partes <strong>del</strong>la sentenza arbitrale,<br />

sempre che si voglia accettare l’idea che la sentence arbitrale abbia la stessa<br />

efficacia riflessa <strong>del</strong> jugement étatique. Lampante, in tale ipotesi, si dimostra<br />

essere il trattamento che la giurisprudenza francese riserva al garante, che deve<br />

risentire <strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>la sentenza emanata tra creditore e debitore principale,<br />

senza avere la facoltà di intervenire volontariamente nel corso <strong>del</strong> giudizio arbitrale,<br />

essendogli concesso esclusivamente il potere di proporre opposizione di<br />

terzo in caso di frode tra le parti a suo danno, a norma <strong>del</strong>l’art. 576.<br />

5. – Se il codice prevede che la sentenza arbitrale produca l’autorité de la<br />

––––––––––––<br />

1977, p. 123, secondo cui la sentenza emanata nei confronti di una società non può spiegare<br />

effetti nei confronti dei soci; Cass., com., 9 janvier 1979, ivi 1979, p. 478 ss. In dottrina si<br />

veda: E. Loquin, Arbitrage et cautionnement, cit., p. 247 ss.; Bigot, Arbitrage et assurance<br />

sous l’angle du droit français, in ICC. Pub., suppl. spec. 2000, p. 39 ss.<br />

(36) In tal senso depone l’art. 1507 NCPC, su cui si rinvia alle critiche espresse da<br />

E. Loquin, Les voies de recours, in Revue de l’arbitrage 1992, p. 321 ss.<br />

(37) Così: M. de Boisséson, Le droit français de l’arbitrage, Paris 1990, p. 246; H.<br />

Solus, R. Perrot, Droit judiciaire privè, Paris 1991, vol. III, p. 889; C. Jarrosson, La notion<br />

d’arbitrage, cit., p. 105; Id., Réflexions sur l’imperium, in Mélanges Bellet, Paris 1991,<br />

p. 245; Id., Note sous App. Paris, 27 février 1997, in Revue de l’arbitrage 1998, p. 159 s.; E.<br />

Loquin, Arbitrage et cautionnement, cit., p. 247 ss.; P. Level, La jonction de procédures, intervention<br />

de tiers et demandes additionnelles et reconventionnelles, in Bull. ICC 1996, vol.<br />

7, n. 2, p. 36, T. Clay, L’arbitre, cit., p. 179; J.F. Poudret, M. Besson, Droit comparé de<br />

l’arbitrage, cit., p. 210; App. Paris, 19 décembre 1986, in Revue de l’arbitrage 1987, p. 359<br />

ss.; App. Paris, 5 avril 1990, in Recueil Dalloz 1990, Inf. Rap., p. 116 ss.; App. Paris, 27<br />

février 1997, in Revue de l’arbitrage 1998, p. 159, con nota di C. Jarrosson, secondo cui « ni<br />

l’intervention volontaire ni l’intervention forcée sont compatibles avec la nature contractuelle<br />

de l’arbitrage »; App. Paris, 8 mars 2001, ivi 2001, p. 567, con nota di C. Legros.<br />

Mentre per l’ammissibilità <strong>del</strong> solo intervento adesivo dipendente (intervention accessoire) si<br />

pone A. Mourre, L’intervention de tiers à l’arbitrage, in Gaz. Pal. 2001, p. 640 ss.


684<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

chose jugée, tace circa la sua idoneità a produrre la force de chose jugée. L’art.<br />

1486 stabilisce solamente che l’appello o l’impugnazione per nullità possano<br />

essere esercitati fin dalla pronuncia <strong>del</strong>la sentenza e che non sono più proponibili<br />

trascorso un mese dalla notificazione <strong>del</strong>la sentenza munita di exequatur<br />

(art. 1486). Mentre all’interno <strong>del</strong>l’art. 528-1 NCPC (ove è previsto il termine<br />

lungo per l’esercizio dei gravami contro le sentenze statali) non viene fatto alcun<br />

riferimento alle sentenze arbitrali (38). Ne deriva che in mancanza<br />

<strong>del</strong>l’exequatur e <strong>del</strong>la successiva notificazione <strong>del</strong>la decisione arbitrale, quest’ultima<br />

potrà essere impugnata secondo i normali termini previsti per gli atti<br />

negoziali, ossia trenta anni (art. 2262 CC). Infatti, non sarebbe agevole supporre<br />

un’applicazione analogica <strong>del</strong>l’art. 528-1 alla sentenza arbitrale, poichè tale disposizione<br />

si riferisce esclusivamente ai jugements, termine che il legislatore<br />

francese riserva alle sole decisioni dei giudici appartenenti all’organizzazione<br />

giudiziaria statale. Inoltre, sebbene l’art. 1487 stabilisca che l’appello e il recours<br />

en annulation debbano essere proposti, istruiti e giudicati secondo le regole<br />

relative alla procedura contenziosa dinanzi alla corte d’appello (artt. 899-<br />

949), manca pur sempre il richiamo alle disposizioni sulle impugnazioni in generale<br />

(artt. 528-537), le quali, facendo parte <strong>del</strong> primo libro <strong>del</strong> codice sono<br />

applicabili esclusivamente alle giurisdizioni appartenti all’ordine giudiziario<br />

(art. 749), ma non al procedimento arbitrale.<br />

Di fronte al dato normativo degli artt. 1486 e 528-1 <strong>del</strong> NCPC, la Corte di<br />

Cassazione ha espressamente stabilito l’inapplicabilità <strong>del</strong> termine lungo alle<br />

sentenze arbitrali, annullando due pronunce <strong>del</strong>le corti di merito che avevano<br />

dato una soluzione opposta (39). Successivamente anche la giurisprudenza di<br />

merito si è allineata alla posizione <strong>del</strong>la Cassazione, come è accaduto a proposito<br />

di una recente decisione con la quale la Corte d’appello di Parigi ha rigettato<br />

un recours en révision, data la possibilità di proporre il ricorso in annullamento,<br />

essendosi proceduto alla notificazione <strong>del</strong>la sentenza arbitrale non rive-<br />

––––––––––––<br />

(38) Bisogna ricordare, a tali fini, che la previsione di un termine lungo per<br />

l’esercizio <strong>del</strong>le impugnazioni <strong>del</strong>le sentenze statali si deve alla riforma <strong>del</strong> 1989 (décret<br />

n. 89-511 du 20 juillet 1989), con la quale si è inserito nel codice di rito l’art. 528-1, secondo<br />

cui « si le jugement n’a pas été notifié dans le délai de deux ans de son prononcé,<br />

la partie qui a comparu n’est plus recevable à exercer un recours à titre principal après<br />

l’expiration dudit délai ». Sull’art. 528-1 si veda: L. Cadiet, Droit judiciaire privé, cit.,<br />

p. 579, nota 41; Cass. 2° civ., 30 janvier 2003, in Bull. civ., II, n. 23 e in Juris-Classeur<br />

périodique 2003, I, 128, n. 20, con osservazioni di L. Cadiet.<br />

(39) Si tratta di: Cass, civ. 2°, 18 octobre 2001, in Revue de l’arbitrage 2002,<br />

p. 157, con nota di P. Pinsolle, la quale molto chiaramente afferma che « les dispositions<br />

de l’article 528-1 NCPC ne s’appliquent pas aux sentences arbitrales »; Cass., civ. 2°, 15<br />

février 1995, ivi 1996, p. 223, con nota di B. Moreau, secondo cui « le délai pour former<br />

appel contre une sentence arbitrale ne cesse à l’expiration du mois suivant la signification<br />

de la sentence que si cette sentence est revêtue de l’exequatur ».


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 685<br />

stita <strong>del</strong>l’exequatur (40). Non avendo acquisito il carattere <strong>del</strong>l’irrevocabilità, è<br />

chiaro che la decisione arbitrale non possa essere impugnata con un mezzo (il<br />

recours en révision) che tende per la stessa definizione legislativa a « faire rétracter<br />

un jugement passé en force de chose jugée pour qu’il soit à nouveau<br />

statué en fait et en droit » (art. 593 NCPC).<br />

Di fronte alla chiarezza <strong>del</strong> dato normativo, a parte alcune eccezioni, nella<br />

dottrina non si ritrova un orientamento favorevole all’applicazione analogica<br />

<strong>del</strong>l’art. 528-1 alle sentenze arbitrali. Gli autori sono al riguardo divisi tra coloro<br />

che considerano tale deroga come ingiustificata, data la natura di atto giurisdizionale<br />

in senso lato <strong>del</strong>la decisione arbitrale, e altri che legano la possibilità<br />

<strong>del</strong>l’impugnabilità secondo il termine trentennale al carattere privato <strong>del</strong>l’atto in<br />

discorso. In quest’ultima direzione, si riconosce che esistono alcuni attributi, tra<br />

cui la capacità di acquisire il carattere di irrevocabilità, che appartengono alle<br />

sole decisioni statali e che, pertanto, non sono riconducibili alla sentenza arbitrale,<br />

se non in presenza di un’espressa disposizione in tal senso. Al contrario,<br />

coloro i quali sostengono che la decisione arbitrale abbia pienamente il carattere<br />

di atto giurisdizionale ritengono che sia più logico prevedere, anche per la sentenza<br />

arbitrale, il termine lungo per impugnare (41).<br />

Dall’analisi <strong>del</strong> diritto francese <strong>del</strong>l’arbitrato si deve, quindi, dedurre che<br />

––––––––––––<br />

(40) App. Paris, 25 octobre 2001, in Recuil Dalloz 2001, Inf. Rap., p. 3488, e in Revue<br />

trimestrielle de droit commercial 2002, p. 41, con osservazioni di J.B. Dubarry, E. Loquin.<br />

(41) In senso favorevole alla soluzione <strong>del</strong> codice vedi in particolare B. Moreau, La<br />

signification des sentences arbitrales, note sous Cass., civ. 2°, 15 février 1995, in Revue<br />

de l’arbitrage 1996, p. 46 ss., spec. p. 49, secondo cui gli « attributi <strong>del</strong> jugement », derivanti<br />

dal carattere di atto di un pubblico magistrato, non possono essere estesi alla sentenza<br />

arbitrale, come accade per la regola <strong>del</strong>la « péremption du recours à titre principal<br />

prévu par l’article 528-1 NCPC ... propre à l’organisation judiciaire ». Nello senso P.<br />

Pinsolle, L’inapplicabilité de l’article 528-1 NCPC aux sentences arbitrales: une nouvelle<br />

illustration de la conception française du rôle du siège de l’arbitrage, note sous<br />

Cass., civ. 2°, 18 octobre 2001, ivi 2002, p. 157. Mentre si pongono in senso critico J.B.<br />

Dubarry, E. Loquin, Le point de départ du délai de l’article 1486, al. 2 NCPC, in Revue<br />

trimestrielle de droit commercial 1995, p. 587, secondo cui, logicamente, niente dovrebbe<br />

vietare che la sola notificazione <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, pur non dotata di exequatur,<br />

possa far decorrere il termine breve per l’impugnazione. Solo J. Mestre, Observations, in<br />

Dr. et patrimoine juill.-août 2002, p. 111 s., ritiene che dall’analisi complessiva degli<br />

articoli relativi all’impugnazione <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, e in particolare dall’art. 1487, si<br />

potrebbe dedurre che anche alla decisione arbitrale vada applicato il termine lungo.<br />

Mentre dà per scontata l’interpretazione adottata dalla giurisprudenza L. Cadiet, Observations,<br />

in Juris-Classeur périodique 2002, I, p. 824, secondo cui « de lege data la solution<br />

s’impose », riconoscendo che « de lege referenda, c’est une affaire dont il est permis<br />

de discuter, tout comme il est permis de se demander s’il ne conviendrait pas, aujourd’hui,<br />

de supprimer la disposition de l’art. 749 », relativo alla limitazione <strong>del</strong>l’applicazione<br />

<strong>del</strong> primo libro <strong>del</strong> codice alle giurisdizioni <strong>del</strong>l’ordine giudiziario.


686<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

in tale ordinamento l’exequatur gioca un ruolo essenziale ai fini <strong>del</strong>l’inattaccabilità<br />

<strong>del</strong>la decisione arbitrale, visto che quest’ultima, se priva <strong>del</strong> provvedimento<br />

<strong>del</strong> tribunal de grande instance, non può acquisire una vera e propria<br />

stabilità (42). In altre parole, l’irrevocabilità <strong>del</strong>la sentenza arbitrale viene, da<br />

un lato, lasciata alla libera disponibilità <strong>del</strong>le parti, non essendo imposta direttamente<br />

dall’ordinamento come per i jugements, e, dall’altro lato, è comunque<br />

subordinata ad un controllo giurisdizionale.<br />

6. – Oltre agli effetti naturali espressamente previsti dalla legge, dottrina e<br />

giurisprudenza ritengono che la sentenza arbitrale sia idonea a produrne ulteriori.<br />

Tra gli effetti naturali innominati ritroviamo la force probante absolue <strong>del</strong>la<br />

sentenza, consistente nella sua idoneità a porsi come atto autentico (acte<br />

authentique), da cui la possibilità di contestare la veridicità <strong>del</strong>le affermazioni<br />

in essa contenute esclusivamente con la procedura di inscription de faux (artt.<br />

303-316 NCPC). Tale force probante absolue non è illimitata, riguardando le<br />

sole attestazioni relative ai fatti svoltisi nel corso <strong>del</strong> procedimento alla presenza<br />

degli arbitri (43). Infatti, in conseguenza <strong>del</strong> carattere contrattuale <strong>del</strong>l’ar-<br />

––––––––––––<br />

(42) Bisogna, pur sempre, notare che il controllo <strong>del</strong>la sentenza arbitrale in sede di<br />

exequatur è alquanto limitato. Sul punto: Cass., 2° civ., 17 juin 1971, ivi 1972, p. 10, secondo<br />

cui il ruolo <strong>del</strong> giudice, ai fini <strong>del</strong> conferimento <strong>del</strong>l’exequatur, « est strictement<br />

limité », poiché questi non può rifiutare l’emanazione <strong>del</strong> relativo provvedimento che nel<br />

caso in cui « l’acte qui lui est soumis n’a pas un caractère contentieux et ne constitue pas<br />

une sentence arbitrale, ou si ses disposition sont contraires à l’ordre public »; App. Paris,<br />

11 juillet 1978, ivi 1978, p. 538. Sulla questione si rinvia a J. Rubellin-Devichi,<br />

L’arbitrage, nature juridique, cit., p. 309 ss.; M.-C. Rondeau-Rivier, L’arbitrage. Sentence<br />

arbitrale, fasc. 1042, cit., p. 24 ss.; M. de Boisséson, Le droit français de<br />

l’arbitrage, cit., p. 333.<br />

(43) Sulla force probante absolue <strong>del</strong>la sentenza arbitrale si veda, in giurisprudenza:<br />

Cass., req., 7 janvier 1857, in Recueil Dalloz 1857, 1, p. 406; App. Poitiers, 15 juin<br />

1937, in D.H. 1937, p. 402 ss., circa la sede <strong>del</strong>l’arbitrato; App. Paris, 30 mars 1962, in<br />

Juris-Classeur périodique 1962, II, 12843, con nota di P. Level, sulla proposizione di una<br />

domanda riconvenzionale e sulla partecipazione al contraddittorio degli avvocati; App.<br />

Aix, 16 octobre 1962, ivi 1962, p. 144 ss., sulla data <strong>del</strong>la sentenza; TGI Lille, 21 octobre<br />

1966, ivi 1967, IV, p. 149, sull’accordo <strong>del</strong>le parti sulla sostituzione <strong>del</strong>l’arbitro; Cass.,<br />

2° civ., 16 février 1972, in Revue de l’arbitrage 1972, p. 123 ss., con nota di J. Rubellin-<br />

Devichi; Cass., 1° civ., 18 novembre 1983, ivi 1987, p. 77 ss.; Cass., 2° civ., 12 décembre<br />

1990, ivi 1991, p. 317 ss., con nota di P. Théry, sulle enunciazioni <strong>del</strong>la sentenza relative<br />

all’audizione <strong>del</strong>le parti; App. Paris, 25 février 1994, ivi 1995, p. 129 ss., con nota di P.<br />

Véron, in relazione al deposito di documenti nel corso <strong>del</strong> procedimento, ove si afferma<br />

chiaramente che « la sentence fait foi jusqu’à inscrition de faux de ses énunciation relatives<br />

au déroulement de la procédure »; App. Paris, 10 mars 1995, ivi 1996, p. 143 ss., con<br />

nota di Y. Derains; App. Paris, 30 mai 1996, ivi 1996, p. 533 ss., con nota di L. Kiffer;<br />

App. Paris, 26 octobre 2000, ivi 2001, p. 203, sull’accordo <strong>del</strong>le parti per la proroga <strong>del</strong><br />

termine per la pronuncia <strong>del</strong>la sentenza.


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 687<br />

bitrato, viene escluso che gli arbitri possano autoaccertare il fondamento <strong>del</strong><br />

loro potere, né la loro partecipazione alla <strong>del</strong>iberazione <strong>del</strong>la sentenza (44).<br />

La dottrina si affatica a trovare una giustificazione teorica al carattere di<br />

prova legale <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, vista la correlazione posta dall’art. 1317<br />

<strong>del</strong> Code civil tra l’autenticità <strong>del</strong>l’atto e la qualità di pubblico ufficiale (non<br />

posseduta dagli arbitri). La ragione <strong>del</strong>la pubblica fede viene, dunque, rinvenuta<br />

nell’idoneità all’autorità di cosa giudicata <strong>del</strong>la decisione arbitrale o, più semplicemente,<br />

in un’esigenza di carattere essenzialmente pratico (45).<br />

Altro effetto innominato è costituito dall’idoneità <strong>del</strong>l’atto arbitrale a porsi<br />

come décision de justice, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 68 <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> 1991 sulla<br />

procédure civile d’exécution, in base al quale il creditore può ottenere una<br />

mesure conservatoire sui beni <strong>del</strong> debitore senza l’autorizzazione preliminare<br />

<strong>del</strong> giudice, nel caso in cui sia fornito di « un titre exécutoire ou d’une décision<br />

de justice qui n’a pas encore force exécutoire ». La giurisprudenza di merito,<br />

––––––––––––<br />

(44) In tal senso: Tr. Seine, 24 avril 1952, in Gaz. Pal. 1952, I, p. 407 ss., ove si afferma<br />

che « les seules énonciations d’une sentence ne peuvent faire foi d’un compromis<br />

»; App. Paris, 20 juin 1957, in Recueil Dalloz 1958, p. 374; App. Paris, 18 novembre<br />

1952, in Juris-Classuer périodique 1953, II, 17470, secondo cui l’attestazione <strong>del</strong>la partecipazione<br />

di alcuni arbitri « aux débat de la cause » non è coperta da pubblica fede;<br />

App. Paris, 18 octobre 2001, in Revue trimestrielle de droit commercial 2002, p. 44.<br />

(45) Per questi motivi, la dottrina esprime dei dubbi sul fondamento e sull’ampiezza<br />

<strong>del</strong>la force probante absolue, si veda: P. Théry, Note sous Cass., 12 déc. 1990, in<br />

Revue de l’arbitrage 1991, p. 318 ss., spec. p. 324 s., secondo cui il fondamento <strong>del</strong>l’autenticità<br />

<strong>del</strong>l’atto va ricercata nell’esigenza pratica <strong>del</strong>la « confiance des parties, qui fait<br />

la base de l’arbitrage »; P. Véron, Note sous App. Paris 25 février 1994, ivi 1995, p. 129<br />

ss., il quale ammette che sia difficile trovare il fondamento teorico <strong>del</strong> carattere di atto<br />

autentico <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, e data la sua rilevanza pratica auspica che gli arbitri<br />

facciano un buon uso <strong>del</strong> loro potere di attestazioni dei fatti avvenuti nel corso <strong>del</strong> procedimento;<br />

L. Kiffer, Note sous App. Paris 30 mai 1995, ivi 1996, p. 534 s., che ritiene come<br />

sia poco giustificabile il carattere di autenticità <strong>del</strong>la sentenza arbitrale, visto che né la<br />

natura <strong>del</strong>l’arbitrato, né la qualità soggettiva <strong>del</strong>l’arbitro, porterebbero a conferire tale<br />

attributo all’atto; H.-J. Nougein, Y. Reinhard, P. Ancel, M.-C. Rivier, A. Boyer, P. Genin,<br />

Guide pratique de l’arbitrage et de la mediation commercial, Paris 2004, p. 65, secondo<br />

cui « il a toujours été assez difficile d’expliquer » la force probante absolue « dès<br />

lors que l’arbitre est un juge privé ». Non a caso una parte <strong>del</strong>la dottrina più risalente<br />

dubitava <strong>del</strong>la pubblica fede <strong>del</strong>la decisione arbitrale, si veda: Hébraud, Raynaud, Chronique<br />

de procédure civile, in Revue trimestrielle de droit civil 1962, p. 687 ss., spec. p.<br />

693, i quali affermano che, non essendo rinvenibile all’interno <strong>del</strong> sistema « une identification<br />

complète » <strong>del</strong>la sentenza arbitrale al jugement, la force probante absolue deve<br />

essere limitata al solo dispositivo <strong>del</strong>la sentenza dotata di exequatur. Tra le altre giustificazioni:<br />

R. Perrot, in H. Solus, R. Perrot, Droit judiciare privé, vol. III, Paris 1991,<br />

n. 690, secondo cui l’autenticità <strong>del</strong>la sentenza arbitrale deriva dalla produzione <strong>del</strong>l’autorità<br />

di cosa giudicata; M. de Boisséson, Le droit français de l’arbitrage, cit., p. 330, si<br />

richiama alla circostanza che gli arbitri esercitano una funzione giurisdizionale.


688<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

dopo aver inizialmente negato alla sentenza arbitrale la natura di décision de<br />

justice, ha successivamente optato per la soluzione positiva (46). L’idoneità<br />

<strong>del</strong>la sentenza arbitrale a porsi come titolo per ottenere una mesure conservatoire<br />

è, ugualmente, controversa in dottrina, anche se prevale la soluzione positiva<br />

(47). Si è, invece, escluso che la sentenza arbitrale, anche se munita di<br />

exequatur, rientri nella categoria <strong>del</strong>la décision de justice, di cui all’art. 61,<br />

<strong>del</strong>la legge sulla procédure civile d’exécution, relativo ai titoli idonei a legittimare<br />

l’espulsione e l’evacuazione di un immobile (48).<br />

Infine, un ulteriore effetto dei jugements di condanna è costituito dalla<br />

produzione di interessi moratori, di cui all’art. 1153 Code civil. Se la giurisprudenza<br />

ha generalmente ritenuto applicabile alle sentenze arbitrali la citata disposizione,<br />

incontrando le critiche di una parte <strong>del</strong>la dottrina, una recente decisione<br />

<strong>del</strong>la Corte d’appello di Parigi ne ha escluso l’applicabilità (49).<br />

––––––––––––<br />

(46) Per la soluzione negativa: TGI Lyon, 25 janvier 1994, in Revue de l’arbitrage<br />

1994, p. 525 ss., con nota contraria di M.-C. Rondeau-Rivier, ove si afferma che, ai fini<br />

<strong>del</strong>l’art. 68 <strong>del</strong>la legge sull’esecuzione forzata « une décision de justice ... est celle qui<br />

émane d’une autorité judiciaire, ce qui n’est pas le cas d’une sentence arbitrale, même<br />

rendue exécutoire ». Per la soluzione affermativa TGI Chaumont, 31 janvier 2001, secondo<br />

cui nella formula décision de justice rientrano tutti gli actes juridictionnels, anche<br />

provenienti da un « juge prive », come la sentence arbitrale; confermata da App. Dijon,<br />

23 avril 2002, entrambe in Revue de l’arbitrage 2002, p. 743 ss., con nota favorevole di<br />

M.-C. Rivier. Ugualmente per la soluzione affermativa, ma anteriormente all’entrata in<br />

vigore <strong>del</strong>la legge sull’esecuzione <strong>del</strong> 1991, si veda: TGI Paris, 22 novembre 1989, ivi<br />

1990, p. 693 ss.; App. Paris, 9 juillet 1992, ivi 1994, p. 133 ss.<br />

(47) In senso favorevole: R. Perrot, P. Théry, Procédure civiles d’exécution, Paris<br />

2005, p. 790 ss.; R. Perrot, L’arbitrage, une autre justice?, cit., p. 38; P. Théry, Quelques<br />

observations à propos de la loi du 9 juillet 1991 portant réforme des procédures civiles<br />

d’exécution, in Revue de l’arbitrage 1991, p. 727 ss.; Id., Les procédures civiles d’exécution<br />

et le droit de l’arbitrage, ivi 1993, p. 157 ss.; H.-J. Nougein, Y. Reinhard, P. Ancel, M.-C.<br />

Rivier, A. Boyer, P. Genin, Guide pratique de l’arbitrage et de la médiation commercial, cit.,<br />

p. 64. In senso contrario: T. Fossier, Les mesures conservatoires, in AA.VV., a cura di S.<br />

Guinchard, T. Moussa, Droit et pratique des voies d’exécution, Paris 2004/2005, p. 376, il<br />

quale afferma che la sentenza arbitrale è « étrangère à la notion de décision de justice, puisque<br />

émanée de juges privés »; F. Ruellan, Les titres autorisant les mesures conservatoires,<br />

ivi, p. 56. Si ricorda che la possibilità di ottenere una mesure conservatoire è ugualmente<br />

concessa al creditore sulla base di titoli esecutivi stragiudiziali, quali una lettre de change<br />

acceptée, un billet à ordre, un chèque o « un loyer resté impayé dès lors qu’il résulte d’un<br />

contrat écrit de louage d’immeubles » (art. 68 legge 1991 sull’esecuzione civile).<br />

(48) Così TGI Paris, 30 janvier 1997, in Revue des huissiers 1997, p. 1002 ss.<br />

(49) Secondo l’art. 1153 CC « en toute matière, la condamnation à une indemnité<br />

emporte intérêts au taux légal même en l’absence de demande ou de disposition spéciale du<br />

jugement. Sauf disposition contraire de la loi, ces intérêts courent à compter du prononcé<br />

du jugement à moins que le juge n’en décide autrement ». Per l’applicabilità <strong>del</strong>la disposizione<br />

alla sentenza arbitrale: App. Paris, 19 avril 1991, Revue de l’arbitrage 1991, p. 673,


LA NOZIONE E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA ARBITRALE ECC. 689<br />

7. – Nel diritto francese, sentence arbitrale e jugement étatique sembrano<br />

avere, dunque, un regime e degli effetti analoghi (50). Infatti, la sentenza arbi-<br />

––––––––––––<br />

con nota di E. Loquin; App. Paris, 18 janvier 2001, ivi 2002, p. 935 ss., con nota di E. Jeuland,<br />

ove si motiva in base alla natura di décision juridictionnelle <strong>del</strong>la sentenza arbitrale;<br />

App. Paris, 6 novembre 2003, ivi 2004, p. 631, con nota di D. Bensaude; App. Paris, 25<br />

mars 2004, ivi 2004, p. 671, con nota critica di J. Ortscheidt; Cass., 30 juin 2004, 1° civ., ivi<br />

2005, p. 646, con nota di R. Libchaber. Al contrario, per la non applicabilità: App. Paris, 30<br />

juin 2005, in Gaz. Pal. 22 octobre 2005, n. 295, sommaires de jurisprudence, p. 45, nel presupposto<br />

che vi sia « une différence entre l’exercice de la fonction de juger par un juge étatique<br />

et par un arbitre dont la juridiction a une origine conventionnelle ». Nello stesso<br />

senso, in dottrina, T. Clay, France, terre d’asile de sentences non exècutèes, in Recueil<br />

Dalloz 2004, sommaires, p. 3185, il quale fa notare come sia più logico far decorrere gli<br />

interessi dal giorno <strong>del</strong>l’emanazione <strong>del</strong>l’exequatur o dal giorno <strong>del</strong>la relativa istanza.<br />

(50) In tal senso C. Punzi, Relazioni fra l’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali<br />

di soluzione <strong>del</strong>le liti, in Riv. arb. 2003, p. 385 ss., spec. p. 394. Nel senso che la sentenza<br />

arbitrale francese abbia effetti equivalenti a quelli <strong>del</strong> jugement étatique, si veda nella dottrina<br />

italiana: E.F. Ricci, La « natura » <strong>del</strong>l’arbitrato rituale e <strong>del</strong> relativo lodo: parlano le<br />

Sezioni Unite, in Riv. dir. proc. 2001, p. 254 ss., spec. p. 264; Id., « La funzione giudicante<br />

» degli arbitri e l’efficacia <strong>del</strong> lodo (Un grand arrêt <strong>del</strong>la Corte Costituzionale), in Riv.<br />

dir. proc. 2002, p. 351 ss., spec. p. 358; G. Tarzia, Conflitti tra lodi arbitrali e conflitti tra<br />

lodi e sentenze, in Riv. dir. proc. 1994, p. 631 ss., spec. p. 639; V. Vigoriti, Verso un diritto<br />

comune <strong>del</strong>l’arbitrato, in Foro it. 1994, V, c. 217 ss.; N. Rascio, « Immodificabilità » <strong>del</strong><br />

lodo rituale ed efficacia esecutiva, in Riv. arb. 1997, p. 275 ss., spec. p. 283; M. Marinelli,<br />

Le Sezioni Unite fanno davvero chiarezza sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione?, in<br />

Corr. giur. 2001, p. 64 ss. Non sempre nella dottrina straniera si afferma la completa identità<br />

di effetti tra sentence arbitrale e jugement étatique. Per un breve panorama <strong>del</strong>la dottrina<br />

si veda: R. Perrot, L’arbitrage, une autre justice, cit., p. 37, il quale, da un lato, afferma<br />

che la sentenza arbitrale « a une consistance juridictionnelle immédiate, comme un jugement<br />

ordinaire peut avoir », ma, dall’altro lato, ritiene che « que la décision rendue par des<br />

arbitres se distingue du jugement à plusieurs points de vue »; M.-C. Rondeau-Rivier, Arbitrage.<br />

La sentence arbitrale, cit, p. 1, secondo cui la sentenza arbitrale è « un acte de juridiction<br />

contentieuse », rispetto al quale l’exequatur non influisce sulla determinazione <strong>del</strong>la<br />

natura, ma prosegue dicendo che (p. 5) l’avvicinamento tra sentenza e jugement « trouve<br />

nécessairement sa limite dans la spécificité de la juridiction arbitrale, laquelle doit à son<br />

origine conventionnelle tout à la fois une plus grande souplesse en raison du champ laissé<br />

à la liberté contractuelle, et une efficacité réduite en raison de l’absence d’imperium de<br />

l’arbitre »; J.F. Poudret, M. Besson, Droit comparé de l’arbitrage international, cit., p. 9,<br />

affermano che gli arbitri hanno il potere di mettere « définitivement fin au litige par une<br />

sentence ayant des effets analogues à un jugement »; A. Kassis, Problème de base de<br />

l’arbitrage, cit., p. 13, il quale, inizialmente, afferma che « la sentence arbitrale que rend<br />

l’arbitre participe du caractère juridictionnel du jugement étatique », per poi proseguire<br />

ritenendo che « la sentence arbitrale est donc presque un jugement » e che (p. 27) la decisione<br />

arbitrale « n’est pas absolument identique au jugement du juge étatique », in ragione<br />

<strong>del</strong>la necessità <strong>del</strong>l’exequatur; M. de Boisséson, op. ult. cit., p. 282, per il quale la sentenza<br />

arbitrale è un acte juridictionnel, ma non un « acte judiciaire », proveniendo da soggetti


690<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

trale, dotata <strong>del</strong>l’autorità di cosa giudicata fin dalla sua pronuncia, diviene incontrovertibile<br />

solo se munita <strong>del</strong> provvedimento di exequatur e se, successivamente,<br />

notificata (51). La regola e le eccezioni al principio <strong>del</strong> dessaisissement<br />

hanno una portata parzialmente differente nel processo arbitrale rispetto a<br />

quello statale, non avendo gli arbitri alcun potere in caso di extrapetizione (52).<br />

La force probante absolue riguarda solamente alcune, ma non tutte le enunciazioni<br />

contenute nella sentenza arbitrale. Non è pacifico che la sentenza arbitrale<br />

rientri sempre nella categoria di décision de justice, di cui alla legge <strong>del</strong> 1991<br />

sull’esecuzione forzata. Ugualmente controversa è l’applicabilità alla sentenza<br />

arbitrale <strong>del</strong>la disposizione relativa agli interessi moratori, di cui all’art. 1153<br />

CC. Infine, si ritiene in dottrina che la disposizione, di cui all’art. 618 NCPC,<br />

relativa alla disciplina <strong>del</strong>la contrarietà dei jugements, non trovi applicazione<br />

rispetto alle sentenze arbitrali (53).<br />

GIOVANNI BONATO<br />

Dottorando di ricerca<br />

nell’Università « La Sapienza » di Roma<br />

––––––––––––<br />

privati; H.-J. Nougein, Y. Reinhard, P. Ancel, M.-C. Rivier, A. Boyer, P. Genin, Guide<br />

pratique de l’arbitrage et de la médiation commercial, cit., p. 64, secondo i quali « acte<br />

juridictionnel, la sentence se voit dotée de ce type d’acte, ce qui le rapproche considérablement<br />

du jugement étatique »; J. Robert, L’arbitrage, cit., p. 170, che afferma « le caractère<br />

juridictionnel de la sentence arbitrale »; L. Cadiet, Droit judiciaire privé, cit., p.<br />

874, secondo cui « parce qu’elle est un acte juridictionnel, la sentence arbitrale produit,<br />

intrinsèquement, tous les effets attachés aux jugement »; J. Vincent, S. Guinchard, Procédure<br />

civile, cit., p. 1183, secondo i quali la sentenza arbitrale « est un acte juridictionnel, émanant<br />

d’un juge privé ».<br />

(51) Senza contare che, secondo l’art. 2052 CC, « les transactions ont, entre les<br />

parties, l’autorité de la chose jugée en dernier ressort », come ricorda C. Punzi, Disegno<br />

sistematico <strong>del</strong>l’arbitrato, cit., vol. II, p. 83, nota 246; Id., Diritto comunitario e diritto<br />

nazionale <strong>del</strong>l’arbitrato, in Riv. arb. 2000, p. 235 ss., spec. p. 240; Id., Relazioni fra<br />

l’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione <strong>del</strong>le liti, cit., p. 397; Id., Natura<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato e regolamento di competenza, in Studi G. Tarzia, Milano 2005, p.<br />

2131 ss., spec. p. 2137, nota 23. Per un’analisi <strong>del</strong>la disposizione di cui all’art. 2052 si<br />

rinvia C. Boillot, La transaction et le juge, Paris 2003.<br />

(52) In senso opposto, sull’art. 1475, C. Jarrosson, Note sous Cour de Cassation 16<br />

mai 1988, in Revue de l’arbitrage 1989, p. 59 ss., secondo il potere di supplenza <strong>del</strong> giudice<br />

statale, nel caso in cui sia impossibile riunire il tribunale arbitrale, dimostrerebbe che<br />

il secondo ha gli stessi poteri giurisdizionali <strong>del</strong> primo.<br />

(53) In tal senso: C. Jarrosson, L’affaire Hilmarton: suite et à suivre ..., note sous<br />

Versailles, 29 juin 1995, in Revue de l’arbitrage 1995, p. 651 ss., spec. p. 655, il quale<br />

aggiunge che « poser un principe d’extension des règles de droit commun à l’arbitrage<br />

dénature cette justice originale et met les textes relatifs à l’arbitrage en position de porte-à-faux<br />

par rapport à ceux de droit commun. Cette idée se vérifie à propos de l’art. 618<br />

NCPC »; J. Vincent, S. Guinchard, Procédure civile, cit., p. 1082.


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

AA.VV., Crisi <strong>del</strong>l’impresa e insolvenza, Giuffrè, Milano 2005, pp. XII-359.<br />

Il volume raccoglie gli atti <strong>del</strong> Convegno su « Il diritto <strong>del</strong>le imprese in<br />

crisi (nella prospettiva di riforma) » tenutosi ad Isernia il 18 ottobre 2003 ed<br />

organizzato dalle Facoltà di Economia e Giurisprudenza <strong>del</strong>l’Università degli<br />

Studi <strong>del</strong> Molise.<br />

Come si sa, quelle che al tempo <strong>del</strong> Convegno erano solo prospettive si<br />

sono oggi trasformate nel decreto legislativo n. 5 <strong>del</strong> 9 gennaio 2006 che ha attuato<br />

la riforma organica <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong>le procedure concorsuali; ciò non<br />

ostante, il volume mantiene intatto il suo interesse.<br />

La riforma <strong>del</strong>le procedure concorsuali, nella cui prospettiva il Convegno<br />

si proponeva di esaminare il diritto <strong>del</strong>le imprese in crisi, era la così detta Riforma<br />

Trevisanato, che nelle relazioni pubblicate viene affrescata sia nelle sue<br />

linee generali, sia in molti aspetti per così dire di settore, ma sempre qualificanti.<br />

Anzitutto, <strong>del</strong>la riforma sono diffusamente illustrati i principi ispiratori ed<br />

è dettagliatamente narrata la storia, con un occhio anche alla prospettiva comparatistica;<br />

ed inoltre sono ampiamente trattati sia gli istituti di allerta e prevenzione,<br />

sia la procedura di composizione concordata <strong>del</strong>la crisi, sia la procedura<br />

di liquidazione concorsuale (vale a dire i tre pilastri, sui quali si reggeva l’impianto<br />

<strong>del</strong>la riforma).<br />

Alla trattazione in generale <strong>del</strong>le procedure si aggiungono poi relazioni più<br />

specifiche circa il procedimento prodromico alla apertura <strong>del</strong>la procedura di<br />

liquidazione e la sua chiusura, il presupposto oggettivo <strong>del</strong>le procedure, la revocatoria<br />

fallimentare, l’azione di responsabilità, i reati fallimentari.<br />

Non mancano infine relazioni che affrontano le prospettive di riforma<br />

<strong>del</strong>le procedure concorsuali sotto la visuale <strong>del</strong>l’analisi economica <strong>del</strong> diritto,<br />

ed in particolare dal punto di vista <strong>del</strong>l’informazione dei soggetti coinvolti circa<br />

fatti rilevanti quali l’insolvenza e <strong>del</strong>la riallocazione degli elementi aziendali<br />

potenzialmente creatori di ricchezza (Angelo Castagnola).


692<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Guido Alpa, Tommaso Galletto (a cura di), Processo, arbitrato e conciliazione<br />

nelle controversie societarie, bancarie e <strong>del</strong> mercato finanziario. Commento<br />

al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, Giuffrè, Milano 2004, pp. XVI-<br />

472.<br />

Il volume contiene, nella prima parte, il commento articolo per articolo, al<br />

decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. Si occupano <strong>del</strong> commento Carlo Lodovico<br />

Fava, Francesco Fazio, Luca Guerrini, Valentina Manica, Filippo Rossi<br />

Alessandro Saccomani e Antonio Bisignani.<br />

Seguono alcuni saggi nei quali sono approfonditi temi rilevanti come<br />

« L’arbitrato e la conciliazione stragiudiziale nel nuovo diritto societario » di T.<br />

Galletto, « Le controversie nelle c.d. società miste per la gestione dei servizi<br />

pubblici » di F. Montaldo, « La <strong>del</strong>ega legislativa per la riforma <strong>del</strong> diritto societario:<br />

i rapporti tra la legge di <strong>del</strong>ega ed il d.lgs. n. 5/2003. Profili di costituzionalità<br />

» di I. Cavanna e S. Guglielminetti, « L’istituzione <strong>del</strong> Registro degli<br />

organismi di conciliazione » di C.L. Fava .<br />

L’opera, che merita di essere segnalata all’attenzione degli studiosi e dei<br />

pratici, è corredata con un’appendice contenente i documenti più significativi<br />

per agevolarne la lettura (Rita Maruffi).<br />

Gaetano Annunziata, Il processo nel diritto di famiglia, <strong>Cedam</strong>, Padova 2005,<br />

pp. XIX -288.<br />

L’opera, composta da dieci capitoli e corredata da un’ampia ed aggiornata<br />

appendice, ha il merito di operare un ragionamento unitario <strong>del</strong>le tante norme,<br />

spesso contenute nelle fonti più disparate, che si dividono il campo <strong>del</strong> diritto di<br />

famiglia e <strong>del</strong>le norme processuali ad esso relative.<br />

Fe<strong>del</strong>e alla sua collocazione nell’ambito <strong>del</strong>la collana, relativa al diritto di<br />

famiglia, finalizzata all’osservazione degli orientamenti dei tribunali, la ricostruzione<br />

<strong>del</strong>l’autore, illuminata dalla analisi critica <strong>del</strong>la legge n. 80 <strong>del</strong> 2005,<br />

ha quale filo conduttore la riflessione sulle decisioni, di legittimità e di merito,<br />

rese dalla giurisprudenza.<br />

La finalità, dichiarata dall’autore, è stata quella di tentare di far luce su<br />

quegli aspetti <strong>del</strong>le vicende processuali, in materia di diritto di famiglia, che risultano<br />

ancora oscuri o non pienamente convincenti; in particolare la riflessione<br />

si è soffermata sull’analisi <strong>del</strong>le interferenze tra giudizio di separazione e di divorzio,<br />

nel tentativo di sciogliere i nodi <strong>del</strong>le possibili, reciproche, implicazioni<br />

di essi nell’ipotesi <strong>del</strong>la loro contestuale esistenza.<br />

Particolare attenzione è stata dedicata ai rapporti tra giurisdizione italia-


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

693<br />

na e giurisdizione ecclesiastica, anche alla luce <strong>del</strong>la normativa <strong>del</strong>l’Unione<br />

Europea.<br />

L’autore rende conto, tentandone una razionalizzazione, anche <strong>del</strong>le problematiche<br />

derivanti dalla competenza <strong>del</strong> tribunale dei minori e <strong>del</strong> giudice<br />

tutelare.<br />

Specifica analisi è dedicata alle questioni processuali in tema di disconoscimento<br />

di paternità (o di maternità), sia in relazione alle decisioni prese al riguardo<br />

dalla Corte Costituzionale, sia in merito all’utilizzazione dei mezzi di<br />

prova, che, in materia, oggi la tecnologia offre ed alla loro efficacia probatoria.<br />

Nell’ultimo capitolo, il decimo, <strong>del</strong> suo lavoro, l’autore affronta l’esame<br />

<strong>del</strong>la eccessiva cameralizzazione <strong>del</strong> rito di famiglia, alla luce <strong>del</strong> dettato degli<br />

artt. 330 e 336 c.c., riflettendo, al riguardo, sul portato <strong>del</strong>la modifica <strong>del</strong>l’art.<br />

111 Cost., in tema di « giusto processo », per ciò che concerne il contenzioso in<br />

materia di diritto di famiglia, nonché sulla decisione <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>la legittimità<br />

<strong>del</strong>le leggi n. 1, <strong>del</strong> 2002, <strong>del</strong>la quale detta una chiave di lettura finalizzata a<br />

portare l’analisi degli articoli <strong>del</strong> codice civile in un contesto più ampio nel<br />

quale, anche alla luce <strong>del</strong>la legge n. 143 <strong>del</strong> 2001, è possibile ravvisare un impianto<br />

di tutela conforme alla normativa costituzionale.<br />

L’autore cerca, con detta ricostruzione, di superare, anche se in modo non<br />

sempre convincente, le perplessità sollevate da una parte autorevole <strong>del</strong>la dottrina<br />

(Piero Sandulli).<br />

Giovanni Bonilini, Augusto Chizzini, L’amministrazione di sostegno, <strong>Cedam</strong>,<br />

Padova 2004, pp. XI-390.<br />

L’opera che si segnala contiene un approfondito studio <strong>del</strong>l’istituto <strong>del</strong>l’amministrazione<br />

di sostegno, introdotto con l. 9 gennaio 2004, n. 6, di novella<br />

<strong>del</strong> codice civile e <strong>del</strong> codice di procedura civile. Se ne apprezza particolarmente<br />

la struttura, trattandosi non già di un commento ai nuovi articoli, bensì di<br />

un’analisi <strong>del</strong>l’essenza <strong>del</strong>l’istituto stesso e <strong>del</strong> suo impianto all’interno dei codici,<br />

tanto più attenta in quanto svolta a partire da una duplice prospettiva:<br />

quella <strong>del</strong> sostanzialista e quella <strong>del</strong> processualista.<br />

La prima parte <strong>del</strong> lavoro, riservata, appunto, allo studio <strong>del</strong> diritto sostanziale,<br />

consta di sette capitoli, dedicati: a) all’analisi dei profili oggettivi – specialmente<br />

quello dei presupposti – e funzionali <strong>del</strong>l’istituto; b) all’analisi dei<br />

profili soggettivi: requisiti e compiti <strong>del</strong>l’amministratore di sostegno e <strong>del</strong> beneficiario;<br />

c) all’analisi <strong>del</strong> profilo normativo: norme applicabili all’istituto <strong>del</strong>l’amministrazione<br />

di sostegno e aspetti patologici che possano condurre all’invalidità<br />

degli atti compiuti; d) alla cessazione <strong>del</strong>l’istituto. La seconda parte,<br />

invece, riservata allo studio <strong>del</strong> diritto processuale, consta di due capitoli dedi-


694<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

cati, l’uno, al procedimento di istituzione e revoca <strong>del</strong>l’amministrazione di sostegno;<br />

l’altro, alla pubblicità degli atti, alla sua funzione e ai suoi effetti.<br />

Risulta immediatamente palese, al lettore, la funzione vera <strong>del</strong>l’istituto in<br />

esame, evidenziata attraverso l’individuazione, in più punti, <strong>del</strong>la linea di confine<br />

tra lo stesso e i tradizionali istituti <strong>del</strong>l’interdizione e <strong>del</strong>l’inabilitazione,<br />

affatto soppiantati dall’amministrazione di sostegno. Quest’ultima si dirige a<br />

quei soggetti che, innanzitutto, subiscono una limitata e, generalmente, temporanea<br />

incapacità di provvedere ai propri interessi e che, pertanto, abbisognano<br />

non già di qualcuno che si sostituisca a loro nella gestione di quelli, ma<br />

che li affianchi, appunto li sostenga. Ciò comporta il rispetto e la valorizzazione,<br />

comunque, <strong>del</strong>la sia pur dimidiata capacità <strong>del</strong> beneficiario, evitandosi<br />

l’isolamento sociale ed economico in cui vengono, invece, a trovarsi l’interdetto<br />

e l’inabilitato.<br />

Il secondo elemento adeguatamente posto in evidenza nel lavoro è quello,<br />

già accennato, <strong>del</strong>la temporaneità: quello <strong>del</strong>l’amministrazione di sostegno, proprio<br />

in quanto istituto di protezione, è dotato di grande elasticità, sempre modulabile<br />

in funzione <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong> beneficiato, destinato alla revoca, motivata<br />

da una serie di ragioni attentamente analizzate, non ultima l’esigenza di<br />

passare all’interdizione o all’inabilitazione <strong>del</strong> soggetto.<br />

La flessibilità <strong>del</strong>l’istituto si riscontra anche attraverso la forma <strong>del</strong> provvedimento:<br />

decreto motivato <strong>del</strong> giudice tutelare e non già sentenza, all’esito –<br />

come si sottolinea nella seconda parte <strong>del</strong> lavoro, dedicata ai profili processuali<br />

– di un procedimento definito di giurisdizione volontaria. Anche in questa seconda<br />

parte è molto attenta la disamina di tutti gli aspetti <strong>del</strong> procedimento, con<br />

particolare interesse per quelli relativi alla revocabilità e impugnabilità dei<br />

provvedimenti, nonché ai rapporti con il procedimento (eventuale) di interdizione<br />

o di inabilitazione.<br />

Egualmente rispondente alla finalità di tutelare le persone beneficiate,<br />

« con la minore limitazione possibile <strong>del</strong>la capacità di agire », è ritenuto pure il<br />

sistema di pubblicità degli atti voluto dal legislatore, destinato a realizzare, in<br />

capo ai terzi, la piena conoscenza <strong>del</strong>le situazioni protette (Giorgetta Basilico).<br />

Giovanni Campese, L’espropriazione forzata immobiliare, Giuffrè, Milano<br />

2005, pp. XVI-602.<br />

La rinnovata attenzione dottrinale tesa al superamento <strong>del</strong>la crisi di funzionalità<br />

<strong>del</strong> processo esecutivo ha ispirato il recente intervento riformatore<br />

che ha inciso notevolmente sull’impianto originario <strong>del</strong> codice di rito; ciò è<br />

avvenuto in particolare per l’espropriazione immobiliare ed invero più <strong>del</strong>la<br />

metà <strong>del</strong>le disposizioni <strong>del</strong> capo IV, <strong>del</strong> II titolo <strong>del</strong> libro terzo, sono state in-


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

695<br />

teressate dal complesso <strong>del</strong>le novelle. Un tale profondo « ammodernamento »<br />

di questa disciplina ha conseguenzialmente sollecitato approfondimenti monografici<br />

sulla citata materia, volti ad esporre una « prima lettura » <strong>del</strong>la riforma.<br />

Il volume recensito è inserito nella collana « fatto&diritto » diretta dal<br />

Cendon e – come dichiaratamente si legge nella prefazione e nella quarta di copertina<br />

– intende proporre una trattazione sistematica <strong>del</strong>l’istituto, aggiornata<br />

alla luce <strong>del</strong>le innovazioni introdotte dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e soprattutto<br />

volta a fornire un valido strumento per affrontare gli innumerevoli<br />

problemi pratici che quotidianamente interessano gli operatori <strong>del</strong> processo esecutivo<br />

immobiliare. L’opera si articola in undici capitoli, accortamente suddivisi<br />

in paragrafi (in premessa dei quali evidenziati gli articoli <strong>del</strong> codice di procedura<br />

civile e <strong>del</strong>le disposizioni di attuazione modificati dalla riforma), il tutto<br />

per circa 550 pagine di trattazione (oltre ad un ampio indice bibliografico e di<br />

pronunce, nonché attento indice analitico).<br />

Stante la convulsa attività riformatrice di fine legislatura, il libro in esame<br />

(stampato prima <strong>del</strong>la l. 28 dicembre 2005, n. 263 e <strong>del</strong>la l. 24 febbraio 2006<br />

n. 52, e che tiene soltanto rapido conto, in appendice, <strong>del</strong> d.d.l. 3439/2005) si<br />

trova a trattare non completamente il corpus novellato entrato in vigore il 1°<br />

marzo <strong>del</strong> 2006. Una tale circostanza, peraltro, non ne sacrifica eccessivamente<br />

l’attualità, poiché in tema di espropriazione immobiliare le modificazioni successive<br />

alla originaria formulazione <strong>del</strong>la l. n. 80/2005 hanno riguardato soprattutto<br />

un ridimensionamento <strong>del</strong>la irrevocabilità <strong>del</strong>la offerta nella vendita<br />

senza incanto ed un più attento coordinamento fra la disciplina <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega<br />

<strong>del</strong>le vendite immobiliari (o di mobili iscritti nei pubblici registri) ai professionisti<br />

con il nuovo procedimento di vendita.<br />

Nell’intento di offrire una trattazione esaustiva <strong>del</strong>la materia, l’autore dedica<br />

diffusa attenzione agli istituti <strong>del</strong>l’espropriazione forzata in generale, in<br />

particolare se interessati dalla riforma (capitoli 1, 3 e 10) e completa l’opera con<br />

una sintetica disamina di espropriazione di beni indivisi e contro il terzo proprietario<br />

(capitolo 9).<br />

Il momento centrale <strong>del</strong> volume è di certo costituito dall’esame degli<br />

istituti più profondamente modificati dai conditores, nonché <strong>del</strong>la disciplina<br />

relativa all’attività di controllo ed ai poteri esercitati dal giudice <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

(ove traspare la qualificazione professionale <strong>del</strong>l’autore); si tratta<br />

dei capitoli da 5 ad 8, e <strong>del</strong> capitolo 11 (istanza di vendita e documentazione<br />

che la correda; controlli <strong>del</strong> giudice e udienza per l’autorizzazione <strong>del</strong>la vendita;<br />

custodia e amministrazione giudiziaria dei beni; vendita e assegnazione;<br />

decreto di trasferimento e distribuzione <strong>del</strong>la somma ricavata; <strong>del</strong>ega <strong>del</strong>le<br />

operazioni di vendita). In tale indagine si fa apprezzare un’esposizione piana e<br />

completa <strong>del</strong>la materia, che guarda con equilibrio alle innovazioni introdotte e<br />

tiene adeguatamente conto <strong>del</strong>la ricostruzione offerta dalla giurisprudenza sul<br />

diritto previgente, nonché dei più significativi contributi dottrinali (Luigi Iannicelli).


696<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Bruno Capponi (coord.), Il procedimento d’ingiunzione, Zanichelli Editore, Torino<br />

2005, pp. XXI-578.<br />

Nel presentare l’opera qui segnalata, Capponi definisce il procedimento<br />

monitorio un istituto che, se collocato nel quadro di una giustizia civile in<br />

cronica crisi di efficienza, appare godere di buona salute. Ciò grazie anche<br />

alle più recenti modifiche apportate alla sua disciplina che ne avrebbero garantito<br />

la modernità con l’estensione <strong>del</strong> suo ambito di applicazione alle prestazioni<br />

di servizi, da un lato, e il suo candidarsi, dall’altro, a strumento di<br />

integrazione dei diritti <strong>del</strong>l’Unione, consentendo la rapida formazione di un<br />

titolo esecutivo.<br />

Non mancherebbero però aspetti <strong>del</strong>la stessa disciplina di indubbia<br />

opacità. Sarebbe il caso <strong>del</strong>l’art. 649 c.p.c., norma <strong>del</strong>la quale Capponi coglie<br />

l’occasione per insistere nel denunciarne il contrasto con gli artt. 3, 24<br />

e 111, comma 2°, Cost. D’altra parte il curatore <strong>del</strong>l’opera rileva l’eccessiva<br />

problematicità che la disciplina attuale, articolata in una fase monitoria e<br />

in una eventuale fase di opposizione presenterebbe rispetto alla stessa finalità<br />

pratica ed al contenuto obbiettivo <strong>del</strong>la tutela che attraverso queste<br />

forme processuali viene assicurata. Più precisamente viene giudicata inappagante,<br />

anche se inevitabile alla luce <strong>del</strong>la particolare costruzione <strong>del</strong> giudizio<br />

di opposizione e <strong>del</strong>la previsione stessa di impugnazioni straordinarie avverso<br />

il decreto divenuto esecutivo, l’opinione più consolidata in dottrina e in<br />

giurisprudenza che riconosce al decreto ingiuntivo non opposto la stessa autorità<br />

di giudicato sostanziale attribuita alla sentenza di merito, soluzione che<br />

sembrerebbe « in contrasto con l’assoluta irrilevanza <strong>del</strong>la decisione di rigetto<br />

in termini anche di semplice preclusione alla riproponibilità tout<br />

court ».<br />

Ma proprio la considerazione che la tutela assicurata dal procedimento di<br />

ingiunzione in termini di accertamento non differisce dall’ordinario processo<br />

dichiarativo, consente di affermare a Capponi che, malgrado le incertezze e la<br />

vischiosità <strong>del</strong>la disciplina, essa continuerà ad occupare un posto importante nel<br />

nostro sistema, senza che la stessa possa temere di venir rimpiazzata da quelle<br />

altre forme di tutela sommaria, quale quella introdotta nel c.d. rito societario<br />

all’art. 19 <strong>del</strong> d.lgs. n. 5 <strong>del</strong> 2003, che assicura un titolo esecutivo, senza<br />

null’altro aggiungere in termini di accertamento e stabilità. Si giustifica così<br />

l’attenzione dedicata ai molteplice aspetti <strong>del</strong> procedimento d’ingiunzione affidata<br />

alla penna di diversi autori.<br />

L’opera, inserita nella collana Dottrina Casi Sistemi, corredata da CD<br />

ROM, è di chiara lettura e si presenta ricca di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali,<br />

offerti in chiave di risoluzione dei diversi problemi che la disciplina<br />

presenta. Essa appare, quindi, particolarmente utile agli operatori <strong>del</strong> diritto<br />

(Maria Francesca Ghirga).


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

697<br />

Maria Grazia Coppetta (a cura di), Profili <strong>del</strong> processo penale nella Costituzione<br />

europea, Giappichelli, Torino 2005, pp. 259.<br />

Non sembri intempestivo segnalare un’opera dedicata alla Costituzione europea<br />

dopo le note vicende referendarie, intervenute proprio all’indomani <strong>del</strong>la<br />

pubblicazione di questo volume. Ove, infatti, si muova dall’idea che la Costituzione<br />

si situava comunque all’interno di un percorso da tempo intrapreso<br />

dall’Europa alla ricerca di principi comuni, anche nel campo <strong>del</strong>la giustizia penale,<br />

che difficilmente la contingente bocciatura potrà arrestare in modo definitivo,<br />

le riflessioni condotte in questo volume mantengono comunque interesse<br />

per lo studioso. Per di più, gli scritti che vi sono contenuti, dove si presentano i<br />

risultati <strong>del</strong> lavoro condotto da tre unità locali (Università di Urbino, Macerata e<br />

Bologna) nell’ambito di una ricerca nazionale MIUR su « Spazio giuridico europeo<br />

e processo penale », si innestano pure su questa più ampia ed attuale tematica.<br />

Dopo un’introduzione <strong>del</strong>la curatrice, la prima parte <strong>del</strong>l’opera, dedicata ai<br />

principi, contiene saggi sulla libertà personale nella Costituzione europea (O.<br />

Mazza), sulla disciplina <strong>del</strong>le comunicazioni, rapportata anche alle regole <strong>del</strong>la<br />

Convenzione europea dei diritti <strong>del</strong>l’uomo (C. Pansini) e sull’indipendenza,<br />

l’imparzialità e la naturalità <strong>del</strong> giudice, anche nell’ottica di uno spazio comune<br />

europeo (L. Caraceni e M. Panzavolta); nella seconda parte, imperniata sulle<br />

figure soggettive, si affrontano, invece (nei contributi di M. Panzavolta e S.<br />

Allegrezza), le problematiche legate all’Eurojust e alla vagheggiata figura di un<br />

pubblico ministero europeo (Roberto E. Kostoris).<br />

Marcello Daniele, Profili sistematici <strong>del</strong>la sentenza di non luogo a procedere,<br />

Giappichelli, Torino 2005, pp. VIII-260.<br />

Il volume, edito nella collana « Procedura penale. Studi », si propone di<br />

offrire una ricostruzione sistematica di quel peculiare esito proscioglitivo che é<br />

rappresentato dalla sentenza di non luogo a procedere.<br />

La linea di indagine si svolge in tre tappe successive. La prima consiste<br />

nell’individuazione, sulla base <strong>del</strong>le più rilevanti vicende storiche <strong>del</strong> sistema<br />

processuale italiano e francese a partire dalla Rivoluzione <strong>del</strong> 1789, di due<br />

grandi mo<strong>del</strong>li di organizzazione <strong>del</strong>la fase procedimentale che precede la celebrazione<br />

<strong>del</strong> giudizio, rispettivamente denominati mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>l’« istruzione preliminare<br />

» e mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>l’« investigazione preliminare ». Quest’ultimo, recepito<br />

dal vigente codice di procedura penale, diviene nell’ottica <strong>del</strong>la ricerca un prezioso<br />

parametro metodologico sulla base <strong>del</strong> quale poter impostare la soluzione


698<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong>le più importanti questioni interpretative poste dalla disciplina <strong>del</strong>la sentenza<br />

di non luogo a procedere.<br />

Conclusa questa indagine storico-dogmatica, l’attenzione <strong>del</strong>l’autore si focalizza<br />

su tre fondamentali nodi problematici: la regola di giudizio che presiede<br />

alla pronuncia <strong>del</strong>la decisione, che é stata oggetto di notevoli modifiche legislative<br />

dal 1993 al 2000, il quadro dei mezzi di critica esercitabili nei confronti <strong>del</strong><br />

provvedimento, rivisitato a fronte <strong>del</strong>l’esigenza, oggi imposta dalla Costituzione,<br />

che la legge assicuri la ragionevole durata dei processi, e la valenza operativa<br />

<strong>del</strong>l’efficacia preclusiva <strong>del</strong>la sentenza di non luogo a procedere.<br />

Il complesso di questa analisi consente infine di affrontare, nella parte<br />

conclusiva <strong>del</strong> volume, il problema <strong>del</strong>la natura giuridica <strong>del</strong>la sentenza di non<br />

luogo a procedere, la cui identità è da sempre contesa tra la categoria <strong>del</strong>le decisioni<br />

di rito e la categoria <strong>del</strong>le decisioni di merito. La via percorsa dall’autore è<br />

quella di <strong>del</strong>ineare un tertium genus di decisione, che appare meglio in grado di<br />

cogliere le singolarità di questa tipologia di proscioglimento (Hervè Belluta).<br />

Alessandro Jommi, Il référé provision. Ordinamento francese ed evoluzione<br />

<strong>del</strong>la tutela sommaria anticipatoria in Italia, Giappichelli, Torino 2005,<br />

pp. IX-245.<br />

Ormai da tempo molti sono convinti che la tutela anticipatoria dei diritti di<br />

obbligazione, volta alla creazione di un titolo esecutivo « senza giudicato », sia<br />

uno strumento indispensabile per un efficiente sistema di giustizia. Per tradizione<br />

culturale, siamo abituati a porre al centro <strong>del</strong>la nostra attenzione il processo<br />

idoneo a conseguire il « giudicato », con tutte le (inevitabili) complicazioni che<br />

un tale processo reca con sé. Dal punto di vista pratico, peraltro, l’esigenza di<br />

una celere soddisfazione dei diritti è molto più importante <strong>del</strong> conseguimento<br />

<strong>del</strong> « giudicato »: chi vede soddisfatto il proprio diritto, <strong>del</strong> « giudicato » fa a<br />

meno volentieri; e molto spesso chi ha soddisfatto il diritto altrui rinuncia al<br />

« giudicato » in ipotesi capace di consentirgli una restituzione di quanto prestato.<br />

Né sarebbe ragionevole chiudere gli occhi di fronte a questa realtà.<br />

L’efficienza <strong>del</strong>l’intero sistema di tutela dei diritti si gioca oggi, in larghissima<br />

misura, sul terreno <strong>del</strong>la tutela anticipatoria dei diritti di obbligazione.<br />

Vale dunque la pena di segnalare questo libro sul référé provision. Il référé<br />

francese costituisce il mo<strong>del</strong>lo principe, al quale fare riferimento quando si immagina<br />

una tutela anticipatoria antecedente al processo idoneo a conseguire il<br />

« giudicato » o comunque indipendente da quest’ultimo; e l’importanza assunta<br />

dall’istituto nel diritto francese (ove la juridiction de référé assorbe oltre il novanta<br />

per cento <strong>del</strong>le controversie civili) costituisce una ragione più che valida<br />

per un’analisi approfondita. A questa analisi è dedicato il libro di Jommi, che,


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

699<br />

focalizzando l’attenzione soprattutto su quel particolare référé, che è il così<br />

detto référé provision, consente al lettore italiano di fare il punto proprio<br />

sull’ipotesi più interessante per quanto concerne la tutela anticipatoria. Il libro<br />

merita di essere letto, poiché oggi – quando sempre più urgente è l’esigenza di<br />

un’armonizzazione tra i diritti dei vari paesi, soprattutto in ambito europeo –<br />

non avrebbe senso ignorare l’istituto, al quale oltre Alpe la tutela dei diritti è<br />

dovuta nella stragrande maggioranza dei casi.<br />

Nel capitolo finale, l’autore getta poi uno sguardo anche sul diritto italiano,<br />

considerando sia la tutela cognitoria senza « giudicato » (e preordinata<br />

all’esecuzione) prevista in via generale dal progetto elaborato dalla Commissione<br />

Vaccarella, sia la tutela anticipatoria propria <strong>del</strong> processo societario; e non<br />

manca, in quest’ultima parte <strong>del</strong> lavoro, un riferimento al fondamento costituzionale<br />

<strong>del</strong>la tutela anticipatoria, ancorato al problema dei tempi <strong>del</strong>la tutela<br />

giurisdizionale (Niccolò Nisivoccia).<br />

Crisanto Mandrioli, Diritto Processuale Civile, XVII ed., 4 vol., Giappichelli,<br />

Torino 2005, pp. 502 (vol. I), 570 (vol. II), 447 (vol. III), 412 (vol. IV).<br />

Che un corso di insegnamento <strong>del</strong>la nostra materia possa giungere alla diciassettesima<br />

edizione credo che sia una vera rarità, se non addirittura un unicum;<br />

e sfugge qui alla mia memoria a quando risalga la prima edizione, sì da<br />

poter quantificare in numero d’anni la eccezionale longevità <strong>del</strong>l’opera <strong>del</strong> nostro<br />

collega ed amico. Essa si articola ormai (crescit eundo) in quattro volumi:<br />

rispettivamente dedicati a « Nozioni introduttive e disposizioni generali », « Il<br />

processo di cognizione », « I procedimenti speciali di cognizione e i giudizi arbitrali<br />

», « L’esecuzione forzata. I Procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti<br />

cautelari - Giurisdizione volontaria »; ed ecco così dispiegata agli occhi<br />

<strong>del</strong>lo studente e <strong>del</strong>lo studioso l’intera area <strong>del</strong> nostro diritto, nelle sue partizioni<br />

tradizionali ma arricchite, come subito l’occhio <strong>del</strong>l’esperto può notare, di<br />

ampliamenti e risistemazioni organiche di settori o argomenti <strong>del</strong>la materia,<br />

conseguenti a rimeditazioni maturate nella dottrina e nella pratica nei tempi più<br />

recenti: v. il largo spazio dedicato ora ai procedimenti speciali di cognizione,<br />

cui è riservato quasi tutto il terzo volume, passando dai procedimenti sommari a<br />

quelli non sommari, e percorrendo tutta la gamma <strong>del</strong>le varietà vecchie e nuove<br />

– dai procedimenti in materia di stato e capacità <strong>del</strong>le persone ai giudizi divisori<br />

ai processi su controversie individuali di lavoro, in materia di previdenza e assistenza<br />

obbligatoria, di statuto dei lavoratori, locatizia, agraria, per finire con la<br />

ricca, e ancora non si sa bene quanto risolutiva, panoplia dei procedimenti societari,<br />

per finire con i procedimenti di <strong>del</strong>ibazione e arbitrali, accostati questi<br />

ultimi ed in certo qual modo se non proprio assimilati ai giudizi speciali coglito-


700<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ri quanto meno catalogati come una componente di tale categoria, partecipi<br />

<strong>del</strong>la stessa funzione e paralleli alle vie <strong>del</strong>la giurisdizione ordinaria, con somiglianze<br />

di struttura e perseguendo gli stessi effetti. Ed ancora va sottolineato che<br />

per dominare, classificando ed inquadrando, la congerie di discipline speciali<br />

trattate nel volume a ragione l’autore opportunamente distingue ed illustra in<br />

apertura <strong>del</strong> terzo volume i due differenti concetti di « riti speciali » e « procedimenti<br />

speciali », il cui attuale fiorire non so quanto giovi a lungo andare<br />

alla maneggevolezza e veloce praticabilità <strong>del</strong>la macchina procedurale.<br />

Della sua opera l’autore, in una Premessa riportata praticamente identica<br />

in tutti e quattro i volumi, illustra minuziosamente a qual grado di novità <strong>del</strong>le<br />

fonti, sempre in tumultuoso e caotico divenire, essa é aggiornata. Tale Premessa<br />

è datata dal settembre 2005; lo sguardo presago <strong>del</strong>l’autore si spinge fino al 1<br />

gennaio 2006, come discrimine temporale per le fonti e per gli effetti da lui ivi<br />

precisati, e si sofferma anche su fonti in fieri nel circuito parlamentare nel momento<br />

in cui chiude la sua trattazione; ma, come adesso sappiamo, l’insonne<br />

legislatore qualcosa ancora ha aggiunto alla sua fatica riformatrice, e dal 1 gennaio<br />

siamo passati al 1 marzo 2006. Per fortuna, o per merito, l’impianto concettuale<br />

<strong>del</strong>l’opera è, in specie nel volume dedicato ai concetti fondamentali ed<br />

alle disposizioni generali, così saldo e maturo da conservare integra la sua utilità<br />

formatrice e per gli studenti che al processo civile si accostano nelle aule<br />

universitarie e per quanti altri – studiosi, magistrati, avvocati – debbano servirsi<br />

di questo affaticato e affaticante strumento di giustizia, in ciò aiutati dal ricchissimo<br />

apparato di note di dottrina e giurisprudenza.<br />

In conclusione, sia lode all’amico ed alla sua opera, ed una sommessa preghiera<br />

al legislatore perché lasci per un po’ stagionare norme e libri di procedura<br />

civile (Sergio La China).<br />

Marino Marinelli, La clausola generale <strong>del</strong>l’articolo 100 c.p.c. Origini, metamorfosi<br />

e nuovi ruoli, Università degli studi di Trento, Dipartimento di<br />

scienze giuridiche, Quaderni <strong>del</strong> dipartimento, Trento 2005, pp. IX-261.<br />

Come reso evidente dal titolo <strong>del</strong> libro, l’autore torna sul classico e dibattuto<br />

tema <strong>del</strong>l’interesse ad agire, che, come tutti sanno, nell’arco di poco più<br />

mezzo secolo è stato oggetto specifico <strong>del</strong>le due ormai classiche monografie di<br />

Aldo Attardi e Bruno Sassani.<br />

Nel primo dei tre capitoli in cui si snoda questo nuovo informatissimo lavoro<br />

vengono, innanzitutto, ricostruite accuratamente l’evoluzione dogmatica<br />

<strong>del</strong> concetto e la sua applicazione pratica, ponendo a confronto il sistema processuale<br />

francese e quello tedesco.<br />

Si pone qui in adeguata evidenza il passaggio dal frastagliato concetto ti-


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

701<br />

pico <strong>del</strong>la giurisprudenza francese a quello, molto noto, di bisogno di tutela giuridica<br />

proprio <strong>del</strong> sistema tedesco: più in particolare, è analizzato il passaggio<br />

<strong>del</strong>lo strumento da criterio d’ordine pratico a quello d’ordine teorico-sistematico.<br />

Secondo Marinelli, questa metamorfosi sta alla base <strong>del</strong>la elaborazione<br />

<strong>del</strong>la dottrina italiana classica, per la quale, l’interesse ad agire disegna uno<br />

stato di lesione <strong>del</strong>la situazione sostanziale dedotta in giudizio, per poi passare<br />

successivamente, a seguito degli approfondimenti stimolati soprattutto dalla<br />

dottrina d’oltralpe, a costituire un filtro processuale diretto ad evitare il dispendio<br />

di un’attività giurisdizionale priva di utilità.<br />

Il secondo capitolo <strong>del</strong> libro è, invece, dedicato all’analisi critica <strong>del</strong>le varie<br />

tesi elaborate dalla dottrina italiana sulla figura <strong>del</strong>l’interesse ad agire: inteso,<br />

cioè, come stato di lesione <strong>del</strong> diritto tutelando o come utilità per l’attore <strong>del</strong><br />

processo come mezzo o come risultato o, infine, come strumento per individuare<br />

la « zona di tutela giuridica » offerta dall’azione di mero accertamento.<br />

Con particolare riferimento a quest’ultima problematica, s’indaga con attenzione<br />

il tema <strong>del</strong> rilievo <strong>del</strong>l’interesse ad agire come criterio, per ripetere la<br />

terminologia tedesca, d’accesso selettivo alla tutela dichiarativa sulle cosiddette<br />

Vorfragen, ossia degli elementi di carattere preliminare di una situazione giuridica<br />

soggettiva; quindi, oggetti di giudizio diversi e minori rispetto al diritto<br />

soggettivo vantato dall’attore.<br />

Compiuta questa scrupolosa ricognizione nelle varie tesi elaborate sulla figura<br />

<strong>del</strong>l’interesse ad agire e <strong>del</strong> relativo ambito di rilievo, nel terzo ed ultimo<br />

capitolo, l’autore si occupa di verificare la peculiare ricostruzione ed applicazione<br />

<strong>del</strong>lo strumento nell’ambito <strong>del</strong> diritto processuale civile internazionale e<br />

comunitario, in cui l’interesse ad agire concerne una situazione radicalmente<br />

diversa rispetto alla sua più comune ricostruzione come stato di lesione <strong>del</strong> diritto<br />

fatto valere o come filtro volto ad impedire l’esercizio di un’inutile attività<br />

processuale: in questo peculiare ambito, infatti, l’interesse ad agire pertiene alla<br />

scelta <strong>del</strong> luogo e <strong>del</strong> tempo di esercizio <strong>del</strong>l’azione giudiziale.<br />

In sostanza, secondo questa differente prospettiva, vi sarebbe carenza di<br />

interesse ad agire quando, dinanzi ad una pluralità di fori astrattamente competenti,<br />

quello scelto dall’attore possa rivelarsi in concreto, secondo il giudice<br />

adito, quello meno adatto a prestare la tutela giurisdizionale invocata.<br />

Come ben mette in luce l’autore, va peraltro notato come quest’ulteriore<br />

concezione <strong>del</strong>l’interesse ad agire è stata elaborata al prevalente scopo di risolvere<br />

la nota e controversa questione <strong>del</strong>la contemporanea ed inversa proposizione<br />

<strong>del</strong>l’azione di accertamento negativo <strong>del</strong> credito e di condanna al pagamento<br />

<strong>del</strong> medesimo.<br />

Ed in proposito mi sembra pienamente condivisibile la critica di questa<br />

nuova visione, troppo lontana dalla figura, ancorché ampiamente controversa,<br />

ma tecnicamente intesa, di interesse ad agire, svincolata dalla sua necessaria<br />

connessione con la domanda giudiziale e rapportata invece soltanto all’idoneità<br />

e razionalità <strong>del</strong>la scelta operata dall’attore <strong>del</strong> tempo e <strong>del</strong> luogo di sua proposizione<br />

(Stefano Recchioni).


702<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Mauro Rubino Sammartano, Il diritto <strong>del</strong>l’arbitrato, 4 a ed., <strong>Cedam</strong>, Padova<br />

2005, pp. XXX -1230.<br />

Questo libro giunge alla quarta edizione, rinnovato nella veste tipografica<br />

e arricchito con numerosi capitoli dedicati a nuove tematiche sull’arbitrato.<br />

L’a., raccogliendo i risultati di ricerche sviluppate nel corso degli anni, offre<br />

una trattazione completa <strong>del</strong>l’arbitrato, che si presenta di grande interesse per<br />

gli studiosi e di sicura utilità per tutti gli operatori <strong>del</strong> diritto.<br />

Dopo essersi occupato nella parte generale <strong>del</strong> problema <strong>del</strong>l’individuazione<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato nell’area degli strumenti alternativi per la soluzione <strong>del</strong>le<br />

controversie, prendendo posizione sulla natura <strong>del</strong>l’arbitrato, l’a. ha affrontato<br />

la distinzione tra arbitrato interno, estero e internazionale.<br />

Operata questa premessa generale, l’a. ha approfondito le problematiche<br />

poste dall’arbitrato interno, sviluppando, con dovizia di informazioni, l’analisi<br />

<strong>del</strong> procedimento arbitrale, nonché dei mezzi di tutela avverso la decisione degli<br />

arbitri.<br />

Altrettanto approfondita e completa appare la trattazione <strong>del</strong>l’arbitrato<br />

estero ed internazionale, opportunatamente completata con l’analisi dei problemi<br />

relativi al riconoscimento ed all’esecuzione <strong>del</strong>le decisioni arbitrali straniere<br />

ed internazionali.<br />

Degno di particolare segnalazione è anche il nuovo capitolo dedicato<br />

all’arbitrato e la pubblica amministrazione, ove l’a. individua le questioni poste<br />

dall’arbitrato in materia di appalti e opere pubbliche e ne <strong>del</strong>inea le possibilità<br />

di concreta e condivisibile soluzione (Carmine Punzi).<br />

Nicolò Trocker, Vincenzo Varano (a cura di), The Reforms of Civil Procedure<br />

in Comparative Perspective, Giappichelli, Torino 2005, pp. X-275.<br />

Mi preme qui, anzitutto, ricordare come i contributi scientifici, raccolti in<br />

questo volume, traggano origine da una conferenza internazionale sulle riforme<br />

dei processi civili nella prospettiva comparatistica, svoltasi a Firenze nei giorni<br />

12-13 dicembre 2003, ma siano poi stati dedicati – come opportunamente avvertono<br />

i curatori <strong>del</strong>l’opera negli opening Remarks, pervasi dal commosso ricordo<br />

<strong>del</strong> loro Maestro (pp. 1-5) – alla memoria di Mauro Cappelletti (deceduto<br />

il 1° novembre 2004). Ed è, lo dico subito con sincerità, senza alcuna enfasi di<br />

circostanza, una memoria a me pure assai cara, poiché a quel medesimo grande<br />

Maestro debbo anch’io un personale tributo di riconoscenza e di affetto, per i<br />

suggerimenti e gli stimoli da Lui sovente ricevuti nel corso <strong>del</strong>la mia carriera di<br />

studioso comparatista.


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

703<br />

Il quadro <strong>del</strong>le diverse riforme a raffronto, succedutesi in questi anni nei<br />

più significativi ordinamenti di civil e di common law, si rivela, alla luce dei<br />

cospicui contributi raccolti, di particolare significato, nell’ottica <strong>del</strong>la politica<br />

giudiziaria ed in quella storico-evolutiva. Il contrasto che ne risulta – rispetto ai<br />

ritmi quasi « sincopati » degli interventi legislativi ed alle linee di riforma, spesso<br />

incoerenti e caratterizzate da veri e propri « salti all’indietro », quali sono<br />

ricavabili dalla legislazione processuale italiana degli ultimi decenni – è posto<br />

impietosamente in luce dal commento, fortemente critico e talvolta « corrosivo<br />

», di M. Taruffo (Recent and Current Reforms of Civil Procedure in Italy,<br />

pp. 217-232).<br />

La comparazione si sviluppa secondo alcuni grandi temi – quali sono, ad<br />

es., la razionalizzazione <strong>del</strong>la fase preparatoria e <strong>del</strong>la fase di discovery,<br />

l’accrescimento <strong>del</strong> ruolo attivo <strong>del</strong> giudice nella direzione <strong>del</strong> procedimento, il<br />

potenziamento <strong>del</strong>le forme alternative di risoluzione <strong>del</strong>le liti – che gli stessi<br />

curatori <strong>del</strong> volume sintetizzano nei loro concluding Remarks (pp. 243-267). In<br />

tale prospettiva, per quanto concerne i sistemi continentali di civil law, F. Ferrand<br />

(The respective Role of the Judge and the Parties in the Preparation of the<br />

Case in France, pp. 7-32) <strong>del</strong>inea ed analizza le caratteristiche fondamentali<br />

<strong>del</strong>la giustizia civile in Francia dopo il c.p.c. <strong>del</strong> 1975; I. Díez-Picazo Giménez<br />

(The principal Innovations of Spain’s recent Civil Procedure Reform, pp. 33-<br />

66) si occupa <strong>del</strong>le importanti novità, introdotte nel processo civile spagnolo<br />

dalla LEC <strong>del</strong> 2000; G. Walter (The German Civil Procedure Reform Act 2002:<br />

Much Ado about Nothing?, pp. 67-89) sottopone ad indagine critica le innovazioni,<br />

talvolta più significative sul piano sistematico che non su quello<br />

<strong>del</strong>l’effettività (si pensi, ad es., al nuovo § 139 sulla materielle Prozessleitung),<br />

apportate alla ZPO tedesca <strong>del</strong> 1877 dalle riforme <strong>del</strong> 2002; E.M. Bajons (Civil<br />

Procedure for Austria revisited. An Outline of recent Austrian Civil Procedure<br />

Reforms, pp. 117-130) espone ed approfondisce gli interventi <strong>del</strong> legislatore <strong>del</strong><br />

2002 (ed, in particolare, quelli attinenti al contraddittorio: cfr., ad es., il nuovo §<br />

182a <strong>del</strong>la ZPO) nella disciplina <strong>del</strong> processo civile austriaco; ed, infine, G.R.<br />

Rutgers e J.W. Rutgers (Reform of the Code of Civil Procedure in Netherlands,<br />

pp. 131-142) offrono un quadro aggiornato <strong>del</strong>le ultime novità processuali in<br />

Olanda.<br />

Dal canto loro, i contributi degli Studiosi di common law (A.A.S. Zuckerman,<br />

Court Control and Party Compliance – The Quest for effective Litigation<br />

Management, pp. 143-161; O.G. Chase, Reflections on Civil Procedure Reform<br />

in the United States: What has been learned? What has been accomplished?,<br />

pp. 163-184; J.A. Epstein, The quiet Revolution in Australia – The changing<br />

Role of the Judge in Civil Proceedings, pp. 185-215; cui si aggiunge, per il<br />

Giappone, J. Taniguchi, Japan’s recent Civil Procedure Reform: its seeming<br />

Success and left Problems, pp. 92-113) concorrono, soprattutto, a porre in chiara<br />

luce i consolidati trends verso un effettivo potenziamento <strong>del</strong> ruolo attivo <strong>del</strong><br />

giudice nel c.d. caseflow management.<br />

Se a tutto ciò si accompagna, per l’Europa unita, una perspicua visione dei


704<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rapporti fra i sistemi di giustizia nazionale e la legislazione comunitaria (A.<br />

Biondi, Minimum, adequate or excessive Protection? The Impact of EC Law on<br />

national procedural Law, pp. 234-242), non credo ci voglia altro ancora, per<br />

sottolineare il grande interesse che il volume è destinato a suscitare, sia negli<br />

specialisti <strong>del</strong>la materia che negli operatori <strong>del</strong> diritto in genere (Luigi Paolo<br />

Comoglio).<br />

Giovanni Verde (a cura di), Diritto <strong>del</strong>l’arbitrato, 3 a ed., Giappichelli, Torino<br />

2005, pp. XII-599.<br />

Nel luglio 2005 è stata pubblicata, a cura di Giovanni Verde, la terza edizione<br />

<strong>del</strong> volume collettivo di Ferruccio Auletta, Gian Paolo Califano, Bruno<br />

Capponi, Giuseppe <strong>del</strong>la Pietra, Nicola Rascio e <strong>del</strong>lo stesso Giovanni Verde,<br />

dedicata ad una trattazione sistematica <strong>del</strong>l’arbitrato nel diritto italiano, e quindi<br />

non già soltanto alla disciplina <strong>del</strong>l’arbitrato c.d. rituale, contenuta negli<br />

artt. 806 ss. <strong>del</strong> codice di rito, e peraltro oggetto di una recente ulteriore riforma<br />

ad opera <strong>del</strong> decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ma anche alle normative<br />

speciali dettate dal legislatore per disciplinare, con riferimento a particolari<br />

settori <strong>del</strong>l’esperienza giuridica, l’istituto <strong>del</strong>l’arbitrato, tenuto peraltro rigorosamente<br />

distinto da altre forme di composizione dei conflitti aventi anche esse il<br />

loro fondamento nell’autonomia dei privati, ma che con l’arbitrato non hanno<br />

nulla a che spartire, quali l’arbitraggio e la transazione.<br />

L’opera, già arricchita nella seconda edizione da un capitolo dedicato da<br />

B. Capponi all’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme <strong>del</strong> 1998, viene<br />

così completata da numerosi e puntuali riferimenti, effettuati dai singoli autori<br />

nella trattazione degli argomenti di volta in volta trattati, alla disciplina<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), alla disciplina <strong>del</strong>l’arbitrato<br />

in materia di opere pubbliche (art. 32 legge 11 febbraio 1994, n. 109,<br />

come recentemente modificato dall’art. 5, comma 16-sexies <strong>del</strong>la legge 14<br />

maggio 2005, n. 80; d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 544; d.m. 2 dicembre 2000,<br />

n. 398; d.m. 19 aprile 2000, n. 145), alla disciplina <strong>del</strong>l’arbitrato in materia di<br />

controversie concernenti le subforniture nelle attività produttive (art. 10 legge<br />

18 giugno 1998, n. 192) e alla giustizia sportiva.<br />

Pregiudiziale alla suddetta trattazione è peraltro l’annosa questione relativa<br />

alla distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, <strong>del</strong>la quale pure i singoli autori<br />

danno compiutamente conto nell’affrontare gli istituti loro affidati, e che<br />

G. Verde affronta ex professo, oltre che in un paragrafo <strong>del</strong> primo capitolo, dedicato<br />

alle complicazioni nascenti dalla convivenza tra i due arbitrati, in un<br />

nuovo secondo capitolo dal titolo « L’arbitrato e gli arbitrati ».<br />

L’idea di fondo, espressa dall’a. in dichiarato e motivato dissenso rispetto


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

705<br />

all’attuale orientamento giurisprudenziale, è che il fondamento privatistico<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato non impedisca al legislatore di scegliere se attribuire rilevanza<br />

all’atto conclusivo <strong>del</strong>lo stesso come atto di autonomia negoziale, ovvero come<br />

atto eteronomo, rilevante per l’ordinamento non perché voluto dalle parti, ma<br />

perché « atto di giustizia » proveniente da un terzo al quale le parti abbiano preventivamente<br />

riconosciuto la funzione di giudicante; ed è proprio questa libertà<br />

di scelta <strong>del</strong> legislatore che consentirebbe di recuperare la tradizionale distinzione<br />

tra l’arbitrato rituale, destinato a concludersi con un lodo-sentenza, e<br />

l’arbitrato irrituale, destinato invece a concludersi con un lodo-negozio.<br />

Si tratta di un’idea che non può essere evidentemente sottoposta ad esame<br />

critico in questa sede, e rispetto alla quale è ovviamente possibile dissentire. Di<br />

essa peraltro, per l’equilibrio e la problematicità con la quale è espressa, non<br />

sarà possibile non tenere conto nel dibattito dottrinale destinato ad accendersi<br />

sulla riforma introdotta dal recente decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40,<br />

che ha riconosciuto al lodo rituale gli effetti <strong>del</strong>la sentenza pronunciata dall’autorità<br />

giudiziaria, qualificando invece « determinazione contrattuale » il lodo<br />

conclusivo <strong>del</strong>l’arbitrato irrituale (G. Ruffini).<br />

Teresa Arruda Alvim Wambier, Omissão judicial e embargos de declaração,<br />

Editora Revista dos Tribunais, São Paulo 2005, pp. 437.<br />

In diritto brasiliano, si chiama embargos de declaração un istituto collocato<br />

tra i mezzi di impugnazione (recursos) e disciplinato dagli artt. 535-538<br />

<strong>del</strong> Código de Processo Civil. Tale mezzo può essere proposto contro la decisione<br />

monocratica (sentença) o collegiale (acordão) in due casi: quando « vi è,<br />

nella decisione monocratica o collegiale, oscurità o contraddizione » e quando<br />

« è stato omesso un punto sopra il quale il giudice monocratico o collegiale doveva<br />

pronunciarsi »; e pone capo a nuova decisione <strong>del</strong> medesimo organo giurisdizionale.<br />

Proprio all’istituto chiamato embargos de declaração, con particolare riferimento<br />

all’omissione di pronuncia, è dedicata questa monografia di Teresa Arruda<br />

Alvim Wambier: opera nella quale la nota processualcivilista brasiliana<br />

(direttrice <strong>del</strong>la importante Revista de Processo) si occupa sia <strong>del</strong>la struttura e<br />

<strong>del</strong>la disciplina di questo mezzo di gravame, <strong>del</strong> quale sottolinea anche il fondamento<br />

costituzionale come garanzia connessa con il « dovuto processo legale<br />

» (prima parte <strong>del</strong>l’opera), sia <strong>del</strong>la omissione di pronuncia come vizio <strong>del</strong>la<br />

sentenza al quale porre rimedio (seconda e più ampia parte).<br />

La parte <strong>del</strong>la monografia dedicata all’omissione di pronuncia costituisce<br />

un contributo alla definizione teorica di questa figura, non soltanto nei termini<br />

entro i quali essa può assumere rilievo in diritto brasiliano, ma anche da un


706<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

punto di vista più generale. Mi riferisco, sotto quest’ultimo punto di vista, alla<br />

netta distinzione tra il caso di omessa statuizione imperativa (mancata decisione<br />

su una domanda o parte di essa) e il caso di omessa considerazione di una questione<br />

pregiudiziale: distinzione utile non soltanto per distinguere sotto il profilo<br />

logico e concettuale due ipotesi molto diverse l’una dall’altra, ma anche per<br />

mettere a fuoco la diversità dei problemi che dall’una e dall’altra possono scaturire<br />

in diritto positivo.<br />

Leggendo, non ci si limita a prendere atto dei particolari problemi posti dal<br />

diritto brasiliano, ma si ottiene anche un altro risultato: la possibilità di qualche<br />

riflessione più generale sull’influenza che, in ordine alla definizione, alla rilevanza<br />

ed al trattamento <strong>del</strong>la omissione di pronuncia, possono avere le caratteristiche<br />

dei mezzi di impugnazione (ed in particolare: l’attitudine di questi mezzi<br />

a consentire o non consentire la riproposizione di domande e questioni assorbite)<br />

(E.F. Ricci).


RECENSIONI E SEGNALAZIONI<br />

707


708<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE


GIURISPRUDENZA<br />

CORTE DI GIUSTIZIA CE, sez. IV, sentenza 27 gennaio 2005 (C-125/04)<br />

Pres. Lenaerts - Rel. Cunha Rodrigues<br />

Denuit c. Transorient - Mosaïque Voyages et Culture SA<br />

Nell’arbitrato volontario, gli arbitri non sono legittimati a proporre la<br />

questione pregiudiziale comunitaria (1).<br />

(Omissis). – 11. In via preliminare, occorre esaminare se il Collège<br />

d’arbitrage de la Commission de Litiges Voyages debba essere considerato una<br />

giurisdizione ai sensi <strong>del</strong>l’art. 234 CE.<br />

12. Per valutare se l’organo remittente possegga le caratteristiche di un<br />

giudice di uno Stato membro ai sensi <strong>del</strong>l’art. 234 CE, la Corte tiene conto di un<br />

insieme di elementi quale l’origine legale <strong>del</strong>l’organo, il suo carattere permanente,<br />

l’obbligatorietà <strong>del</strong>la sua giurisdizione, la natura contraddittoria <strong>del</strong> procedimento,<br />

il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente<br />

(v., in particolare, sentenze 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch<br />

Consult, Racc. p. I-4961, punto 23 e giurisprudenza ivi citata, nonché 30 maggio<br />

2002, causa C-516/99, Schmid, Racc. p. I-4573, punto 34).<br />

13. Secondo la giurisprudenza <strong>del</strong>la Corte, un collegio arbitrale convenzionale<br />

non costituisce una giurisdizione nazionale di uno Stato membro ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 234 CE perché per le parti contraenti non vi è alcun obbligo, né di<br />

diritto né di fatto, di affidare la soluzione <strong>del</strong>le proprie liti a un arbitrato e perché<br />

le autorità pubbliche <strong>del</strong>lo Stato membro interessato non sono implicate<br />

nella scelta <strong>del</strong>la via <strong>del</strong>l’arbitrato né sono chiamate a intervenire d’ufficio nello<br />

svolgimento <strong>del</strong> procedimento dinanzi all’arbitro (v. sentenze 23 marzo 1982,<br />

causa 102/81, « Nordsee » Deutsche Hochseefischerei, Racc. p. 1095, punti 10-<br />

12, e 1° giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss, Racc. p. I-3055, punto 34).<br />

14. Nella causa principale, si evince dalla decisione di rinvio che il deferimento<br />

al Collège d’arbitrage de la Commission de Litiges Voyages risulta da<br />

una convenzione arbitrale stipulata tra le parti.<br />

15. La normativa belga non impone il ricorso a tale collegio arbitrale come<br />

solo mezzo di composizione di una controversia tra un privato e un intermediario<br />

di viaggi. È vero che un giudice ordinario adito per una controversia oggetto<br />

di una convenzione arbitrale deve dichiararsi incompetente in applica-


710<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

zione <strong>del</strong>l’art. 1679, n. 1, <strong>del</strong> codice giudiziario belga. Nondimeno, la giurisdizione<br />

<strong>del</strong> Collège d’arbitrage de la Commission de Litiges Voyages non è<br />

obbligatoria nel senso che, in mancanza di una convenzione arbitrale stipulata<br />

tra le parti, un privato può rivolgersi ai giudici ordinari per risolvere la controversia.<br />

16. Poiché, nella causa principale, per le parti non vi è alcun obbligo, né di<br />

diritto né di fatto, di affidare la soluzione <strong>del</strong>le proprie liti a un arbitrato e poiché<br />

le autorità pubbliche <strong>del</strong>lo Stato membro interessato non sono implicate<br />

nella scelta <strong>del</strong>la via <strong>del</strong>l’arbitrato, il Collège d’arbitrage de la Commission de<br />

Litiges et Voyages non può essere considerato giurisdizione nazionale di uno<br />

Stato membro ai sensi <strong>del</strong>l’art. 234 CE.<br />

17. Se ne desume che la Corte non è competente a pronunciarsi sulle questioni<br />

sottopostele dal Collège d’arbitrage de la Commission de Litiges Voyages.<br />

(Omissis).<br />

(1) Arbitrato volontario e pregiudiziale comunitaria<br />

1. – Con la decisione qui pubblicata la Corte di Giustizia CE conferma<br />

l’orientamento già espresso in precedenti due decisioni: quella resa il 23 marzo<br />

1983 sulla causa Nordsee (1) e quella resa il 1° giugno 1999 sulla causa Eco<br />

Swiss (2). Secondo la Corte, nel caso di arbitrato volontario gli arbitri non hanno<br />

il potere di sollevare la questione pregiudiziale comunitaria, perché non possono<br />

essere qualificati come « una giurisdizione di uno degli Stati membri » e<br />

come una « giurisdizione nazionale » ai sensi dei commi 2° e 3° <strong>del</strong>l’art. 234<br />

(già art. 177) nel Trattato CE.<br />

Anche se l’affermazione compiuta dalla Corte non è nuova, qualche parola<br />

di commento è opportuna sotto due profili. In primo luogo, infatti, vale la pena<br />

di fare il punto sui criteri, con i quali la Corte – trovandosi di fronte ad un arbitrato<br />

– riconosce o nega la presenza <strong>del</strong>la « giurisdizione nazionale » menzionata<br />

dall’art. 234 <strong>del</strong> Trattato CE. In secondo luogo non ci si può esimere da<br />

una sia pur veloce presa di posizione sul merito <strong>del</strong>la tesi, che la Corte fa propria.<br />

2. – Per quanto concerne i criteri, con i quali la Corte – trovandosi di<br />

fronte ad arbitri – afferma o nega la presenza di una « giurisdizione nazionale »<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 234 <strong>del</strong> Trattato CE, di un punto si deve prendere atto in via<br />

preliminare: nella prospettiva <strong>del</strong>la Corte, nessun rilievo ha il problema, se gli<br />

effetti <strong>del</strong> lodo arbitrale siano assimilabili a quelli <strong>del</strong>la sentenza giudiziaria o a<br />

––––––––––––<br />

(1) Vedila in Foro it. 1982, IV, c. 357 ss.<br />

(2) Vedila in European Court reports 1999, p. I-03055 ss.


GIURISPRUDENZA 711<br />

quelli di un negozio (o se si preferisce, di un contratto, visto che la nozione di<br />

negozio giuridico – pur essendo saldissima nell’apparato concettuale dei giuristi<br />

tedeschi e italiani, nonché dei paesi che recepiscono la tradizione di pensiero<br />

tedesca e italiana – è totalmente estranea ai giuristi di altre aree, a loro volta inserite<br />

nell’ambito <strong>del</strong>la Comunità Europea).<br />

Commentando la decisione Eco Swiss, un autorevole studioso <strong>del</strong>l’arbitrato<br />

(e mio caro amico) ha ritenuto di ricavarne una conferma <strong>del</strong>la tesi, secondo<br />

la quale il lodo arbitrale avrebbe effetti di tipo negoziale, come se questa<br />

tesi costituisse il fondamento <strong>del</strong>l’opinione <strong>del</strong>la Corte (3). Ma nella decisione<br />

in questione la Corte, in un non equivoco passaggio <strong>del</strong>la motivazione, attribuisce<br />

in modo espresso al lodo arbitrale (nella specie, si trattava di un lodo olandese)<br />

gli effetti <strong>del</strong>la decisione giudiziaria, negando agli arbitri la qualifica di<br />

« giurisdizione nazionale » per altre ragioni (4). Inoltre, affermazioni analoghe<br />

sono contenute anche nella decisione Nordsee, a proposito di un lodo arbitrale<br />

tedesco (5); e a tali precedenti la decisione qui pubblicata non aggiunge niente<br />

di nuovo, perché il problema relativo all’identificazione e qualificazione degli<br />

effetti <strong>del</strong> lodo non è neppure menzionato. Nella prospettiva fatta propria dalla<br />

Corte, insomma, il problema concernente gli effetti <strong>del</strong> lodo arbitrale è collocato<br />

tra le questioni irrilevanti (6).<br />

Inoltre, la Corte si preoccupa molto poco sia <strong>del</strong> carattere contraddittorio<br />

<strong>del</strong> procedimento, sia <strong>del</strong>l’indipendenza degli arbitri; e svaluta in modo radicale<br />

anche il rilievo, secondo il quale gli arbitri – alla pari <strong>del</strong> giudice togato – devono<br />

risolvere la controversia applicando le norme di diritto. Nella motivazione, la<br />

Corte dichiara di tener conto, in via generale, anche di questi temi. Se si fosse<br />

interrogata circa la presenza dei requisiti in parola nell’arbitrato volontario, tuttavia,<br />

la Corte non avrebbe potuto fare a meno di riconoscerli presenti secondo<br />

tutte le legislazioni dei Paesi inclusi nella Comunità Europea; e ne sarebbe<br />

scaturito qualche elemento a favore <strong>del</strong>la qualificazione degli arbitri come<br />

« giurisdizione nazionale ». Naturalmente, l’eventuale mancanza di altri requisiti<br />

avrebbe poi dovuto avere il suo peso, nella valutazione complessiva; e sarebbe<br />

stato necessario procedere ad un’attenta valutazione dei pro e dei contra,<br />

in un discorso piuttosto impegnativo. Ma la Corte resta lontana da una simile<br />

prospettiva. In realtà, il problema di sapere, se l’arbitrato abbia o non abbia<br />

struttura contraddittoria, se l’arbitro sia o non sia indipendente, se l’arbitro applichi<br />

o non applichi norme giuridiche, non è neppure sfiorato.<br />

––––––––––––<br />

(3) C. Punzi, Diritto comunitario e diritto nazionale <strong>del</strong>l’arbitrato, in Riv. arb.<br />

2000, p. 235 ss., spec. p. 240.<br />

(4) Cfr. i parr. 5 e 6 <strong>del</strong>la decisione (loc. cit. nella nota 2).<br />

(5) Cfr. i parr. 10, 11, 12, 13 <strong>del</strong>la decisione (loc. cit. nella nota 1, c. 363).<br />

(6) Cfr. al riguardo, se vuoi, i rilievi da me compiuti in La « funzione giudicante »<br />

degli arbitri e l’efficacia <strong>del</strong> lodo (un grand arrêt <strong>del</strong>la Corte Costituzionale), in Riv. dir.<br />

proc. 2003, p. 351 ss., spec. p. 383 ss.


712<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

I criteri, in base ai quali la Corte riconosce o nega l’esistenza di una<br />

« giurisdizione nazionale », sono in realtà altri, a loro volta ricordati in motivazione:<br />

la così detta « origine legale <strong>del</strong>l’organo », il « carattere permanente »<br />

<strong>del</strong>l’organo stesso, l’« obbligatorietà <strong>del</strong>la sua giurisdizione »; e d’altronde sono<br />

proprio queste le ragioni, in virtù <strong>del</strong>le quali – prima <strong>del</strong>le decisioni Nordsee e<br />

Eco Swiss – la Corte aveva affermato la presenza di una « giurisdizione nazionale<br />

» di fronte a procedimenti arbitrali. Ci riferiamo alla decisione <strong>del</strong> 30 giugno<br />

1966 sulla causa Vaassen Goebbels ed alla decisione 6 ottobre 1981 sulla<br />

causa Broekmeulen (7). Su queste ultime decisioni non è il caso di tornare qui,<br />

dopo i numerosi commenti loro dedicati dalla dottrina (8). Ma le ragioni, in<br />

virtù <strong>del</strong>le quali la Corte ha qualificato come « giurisdizioni nazionali » gli organismi<br />

arbitrali che avevano sollevato la questione pregiudiziale comunitaria,<br />

sono con buona approssimazione quelle appena dette.<br />

Insomma: l’arbitrato può aspirare ad integrare gli estremi <strong>del</strong>la così detta<br />

« giurisdizione nazionale », secondo la Corte, soltanto se è qualche cosa di profondamente<br />

diverso da quell’arbitrato volontario, al quale normalmente si pensa<br />

quando si parla di « arbitrati » senza aggettivi qualificativi. Elementi identificanti<br />

come « l’origine legale <strong>del</strong>l’organo », il suo « carattere permanente »,<br />

« l’obbligatorietà <strong>del</strong>la sua giurisdizione » fanno pensare, più che all’arbitrato<br />

vero e proprio, a <strong>del</strong>le giurisdizioni speciali formate da laici secondo regole<br />

precostituite, capaci di imporsi alle parti a prescindere dalla loro volontà, destinate<br />

a limitare per regola cogente l’ambito di giurisdizione o competenza dei<br />

giudici togati.<br />

3. – Veniamo ora al più <strong>del</strong>icato tema <strong>del</strong>la discussione di merito sui criteri<br />

impiegati dalla Corte; e non desidero spendere nemmeno una parola contro la<br />

qualificazione quale « giurisdizione nazionale » degli organi arbitrali dotati di<br />

« origine legale », di « carattere permanente », di « giurisdizione obbligatoria ».<br />

Proprio perché si abbandona qui il terreno <strong>del</strong>l’arbitrato vero e proprio, per entrare<br />

in quello <strong>del</strong>le sostanziali « giurisdizioni speciali », il problema può essere<br />

risolto in senso positivo in modo piuttosto agevole; e sarei anche incline a non<br />

dare peso eccessivo, ai fini <strong>del</strong>la soluzione positiva <strong>del</strong>la questione, all’applicazione<br />

<strong>del</strong>le norme di diritto da parte <strong>del</strong>l’organo, o al carattere più o meno<br />

garantito (dal punto di vista <strong>del</strong> contraddittorio e <strong>del</strong>l’indipendenza <strong>del</strong> giudicante)<br />

<strong>del</strong> procedimento. Naturalmente, le « giurisdizioni » non garantite sono<br />

da combattere; ma la mancanza di garanzie è ugualmente grave nel processo<br />

davanti agli organi arbitrali (o sedicenti tali) e nel processo davanti al giudice<br />

togato; e la « giurisdizione » non assistita da garanzie resta pur sempre una<br />

––––––––––––<br />

(7) Sulle quali vedi ampiamente A. Briguglio, Pregiudiziale comunitaria e processo<br />

civile, Padova 1996, p. 781 ss.<br />

(8) A loro volta passati in rassegna da A. Briguglio, Pregiudiziale ecc., cit., loc. ult.<br />

cit.


GIURISPRUDENZA 713<br />

« giurisdizione » ai fini <strong>del</strong>l’art. 234 <strong>del</strong> Trattato CE, ancorché debba essere<br />

criticata (o addirittura combattuta) la sua disciplina positiva.<br />

A questo punto, tuttavia, due precisazioni mi paiono necessarie.<br />

In primo luogo, quanto appena detto suppone che la funzione svolta<br />

dall’organo arbitrale a volta a volta considerato sia equivalente – dal punto di<br />

vista funzionale – a quella che nel caso di specie potrebbe essere svolta in<br />

astratto da un giudice togato (o se si vuole, e per essere più precisi: a quella che<br />

sarebbe svolta dal giudice togato, se l’organo arbitrale in questione non esistesse).<br />

Senza una equivalenza funzionale tra il compito <strong>del</strong>l’organo arbitrale e il<br />

compito <strong>del</strong> giudice togato (da precisare in relazione al caso di specie), credo<br />

che la qualifica di « giurisdizione nazionale » dovrebbe essere negata agli arbitri<br />

nonostante la presenza dei requisiti valorizzati dalla Corte; e credo dunque<br />

che la Corte – quando fissa lo sguardo sulla « origine legale <strong>del</strong>l’organo », sul<br />

suo « carattere permanente », sul carattere « obbligatorio » <strong>del</strong>la sua « giurisdizione<br />

», a prescindere da qualsiasi raffronto tra il compito obiettivamente<br />

svolto dall’organo arbitrale e il compito obiettivamente svolto dal giudice togato<br />

– dimentichi l’essenziale a beneficio <strong>del</strong>l’accessorio. Vi è qui una sopravvalutazione<br />

<strong>del</strong> profilo organizzativo rispetto a quello funzionale, che mi riesce<br />

difficile accettare senza riserve. La mia convinzione (per quello che può valere)<br />

è diametralmente opposta, e si riassume in una decisa prevalenza <strong>del</strong> profilo<br />

funzionale su quello strettamente organizzativo.<br />

In secondo luogo, credo che – ovunque esista una identità funzionale tra<br />

l’attività degli arbitri e l’attività <strong>del</strong> giudice togato – la qualifica di « giurisdizione<br />

nazionale » ai sensi <strong>del</strong>l’art. 234 <strong>del</strong> Trattato CE non debba essere<br />

negata agli arbitri, quand’anche manchino i profili lato sensu organizzativi<br />

valorizzati dalla Corte: e qui, entrandosi finalmente nello specifico tema<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato volontario, il mio dissenso dall’orientamento <strong>del</strong>la Corte diventa<br />

radicale. Secondo me, infatti, l’equivalenza funzionale tra il compito degli arbitri<br />

volontari e il compito <strong>del</strong> giudice togato dovrebbe indurre (ovviamente, se<br />

riconosciuta) a non negare la qualifica di « giurisdizione nazionale » agli arbitri;<br />

e l’orientamento <strong>del</strong>la Corte mi sembra dunque criticabile anche sotto questo,<br />

ulteriore profilo. Di fronte a organismi arbitrali di « origine legale », forniti di<br />

« carattere permanente », caratterizzati dalla « obbligatorietà » <strong>del</strong>la loro<br />

« giurisdizione », la Corte rischia di riconoscere una « giurisdizione nazionale »<br />

anche ove (per decisive ragioni di carattere funzionale) essa dovrebbe essere<br />

negata; mentre di fronte agli arbitri volontari la presenza di una « giurisdizione<br />

nazionale » viene negata per ragioni, che con il centro <strong>del</strong> problema sembrano<br />

aver poco a che vedere.<br />

Naturalmente, l’identità funzionale tra il compito degli arbitri volontari e il<br />

compito <strong>del</strong> giudice togato va poi verificata in concreto; ed ove il discorso vada<br />

a cadere è intuitivo: in quel problema degli effetti <strong>del</strong> lodo, al quale la Corte<br />

non attribuisce alcuna rilevanza. In realtà, mi pare che proprio questo sia il<br />

punto decisivo: quello di sapere se il lodo arbitrale abbia o non abbia effetti assimilabili<br />

a quelli <strong>del</strong>la decisione giudiziaria. Negli altri Paesi <strong>del</strong>la Comunità


714<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Europea, l’assimilazione degli effetti <strong>del</strong> lodo arbitrale agli effetti <strong>del</strong>la sentenza<br />

giudiziaria è un punto pacifico, per virtù di espresse norme o <strong>del</strong>l’unanime opinione<br />

degli interpreti (9); mentre in diritto italiano si è continuato a discutere,<br />

perché ad una tesi analoga a quella sostenuta negli altri Stati membri <strong>del</strong>la Comunità<br />

si è contrapposta la diversa opinione, secondo la quale il lodo arbitrale<br />

ha gli effetti <strong>del</strong> negozio giuridico (10). Sulla base di questa premessa il carattere<br />

di « giurisdizione nazionale » non dovrebbe essere negata agli arbitri volontari<br />

degli altri Paesi membri <strong>del</strong>la Comunità (11); ed altrettanto dovrebbe dirsi<br />

per il diritto italiano sulla base <strong>del</strong> nuovo art. 824-bis c.p.c., come <strong>del</strong>ineato dal<br />

d.lgs. n. 40/2006 in attuazione <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega contenuta nella l. n. 80/2005. Ma su<br />

quest’ultimo tema già si <strong>del</strong>ineano interpretazioni dottrinali riduttive o abrogantes,<br />

in virtù <strong>del</strong>le quali una continuazione <strong>del</strong>la discussione è forse prevedibile.<br />

EDOARDO F. RICCI<br />

––––––––––––<br />

(9) Per una rassegna sul tema cfr. E.F. Ricci, La « funzione giudicante » ecc., cit., p.<br />

358 ss. Adde, se vuoi: E.F. Ricci, La crise de l’arbitrage juridictionnel en Italie (La Cour<br />

de Cassation italienne et l’apprenti sorcier), in Revue de l’arbitrage 2002, p. 857 ss.,<br />

spec. p. 863 ss.; Id., Die Krise der italienischen jurisdiktionellen Schiedsgerichtsbarkeit,<br />

in Zeitschrift für Zivilprozess International 2003, p. 261 ss., spec. p. 268 ss.<br />

(10) Cfr. per un panorama, con citazioni, ancora una volta E.F. Ricci, La « funzione<br />

giudicante » ecc., cit., p. 352 ss. Oggi, stante il tenore <strong>del</strong> nuovo art. 824-bis c.p.c. (come<br />

stabilito dal d.lgs. n. 40/2005), l’equivalenza tra lodo e sentenza dovrebbe essere, a mio<br />

parere, incontroversa. Ma vedi comunque in senso contrario, a commento <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ega<br />

contenuta nella legge n. 80/2005, C. Punzi, in Riv. dir. proc. 2005, p. 971 ss.<br />

(11) In questo senso, d’altronde, è ampia dottrina straniera (vedila richiamata da A.<br />

Briguglio, Pregiudiziale comunitaria ecc., cit., p. 786 ss., nota 38).


I<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un. civ., sentenza 27 luglio 2005, n. 15661<br />

Pres. Carbone – Rel. Roselli<br />

L.F. c. I.N.A.I.L.<br />

Il giudice non può rilevare d’ufficio i fatti impeditivi, estintivi e modificativi<br />

<strong>del</strong> diritto vantato dall’attore ogniqualvolta il convenuto, se li deducesse in<br />

via di azione, dovrebbe proporre una domanda costitutiva (1).<br />

Il giudice può rilevere d’ufficio i fatti impeditivi, estintivi e modificativi <strong>del</strong><br />

diritto vantato dall’attore ogniqualvolta il convenuto, che li deducesse in via di<br />

azione, proporrebbe domanda dichiarativa (2).<br />

Il giudice può rilevare d’ufficio l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione (3).<br />

II<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un. civ., sentenza 13 settembre 2005, n. 18128<br />

Pres. Carbone – Rel. Lo Piano<br />

S. c. Condominio di Via Ischia di Castro<br />

Il giudice può ridurre d’ufficio la penale (4).<br />

I<br />

(Omissis). – Il primo motivo è fondato.<br />

Con esso il ricorrente pone alla Corte la questione se l’eccezione di interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione debba considerarsi come eccezione in senso lato, ossia<br />

rilevabile anche dal giudice in ogni stato e grado <strong>del</strong> processo purché sulla<br />

base di elementi probatori ritualmente acquisiti, oppure come eccezione in senso<br />

stretto, ossia non rilevabile d’ufficio e perciò assoggettata, nel processo <strong>del</strong><br />

lavoro, alle preclusioni disposte nei capoversi degli artt. 416 e 437 c.p.c. (e nel<br />

processo ordinario nell’art. 345, secondo comma, <strong>del</strong>lo stesso codice).


716<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

È da osservare che il legislatore presuppone la distinzione tra i due tipi di<br />

eccezione ma non la definisce e l’affida così all’interprete; infatti l’art. 112 cod.<br />

cit., secondo cui il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono<br />

essere proposte soltanto dalle parti, suole essere considerato come norma<br />

in bianco, ossia da completare in sede di applicazione quanto alla nozione di<br />

eccezione officiosa oppure riservata all’iniziativa di parte.<br />

Talvolta è lo stesso legislatore ad esonerare l’interprete da questo compito,<br />

escludendo espressamente la rilevabilità d’ufficio: così, fra i numerosi possibili<br />

esempi, nell’art. 1242, primo comma, c.c. quanto all’eccezione di compensazione;<br />

nell’art. 1442, quarto comma, quanto all’eccezione di annullabilità <strong>del</strong><br />

contratto; nell’art. 1460, primo comma, quanto all’eccezione di inadempimento;<br />

e, per ciò che più da vicino attiene alla materia qui in questione, nell’art. 2938<br />

quanto all’eccezione di prescrizione.<br />

Al di fuori di questi casi, nei quali l’interprete deve semplicemente uniformarsi<br />

alla chiara lettera <strong>del</strong>la legge, la nozione di eccezione in senso stretto è<br />

rimasta a lungo controversa anche nella giurisprudenza di questa Corte, la quale<br />

tuttavia con la sentenza, pronunciata a Sezioni unite, 3 febbraio 1998 n. 1099,<br />

ha provveduto alla sistemazione <strong>del</strong>la materia.<br />

La semplice contestazione dei fatti posti dall’attore a base <strong>del</strong>la propria<br />

pretesa viene considerata come « mera difesa » (non è stato accolto il termine<br />

« obiezione », proposto dalla dottrina fra le due guerre) mentre l’ammissione di<br />

quei fatti, accompagnata dalla deduzione dei fatti modificativi, impeditivi o<br />

estintivi (ad es. il pagamento <strong>del</strong> debito) è definita come « eccezione in senso<br />

lato ».<br />

La suddetta sentenza considera come « eccezione in senso stretto » quella<br />

consistente nella contrapposizione, da parte <strong>del</strong> convenuto in giudizio, di fatti<br />

che, senza escludere il rapporto affermato dall’attore, attribuiscano per legge un<br />

potere ad impugnandum ius, ossia rivolto ad estinguere in tutto o in parte il diritto<br />

<strong>del</strong>l’avversario. In questi casi, aggiungono le Sezioni unite, il legislatore<br />

costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinati fatti non ha<br />

di per sé efficacia modificativa, impeditiva o estintiva, ma la consegue per il<br />

tramite di una manifestazione di volontà <strong>del</strong>l’interessato, da sola ovvero seguita<br />

da un accertamento giudiziale.<br />

Le Sezioni unite si riferiscono in tal modo all’esercizio di un diritto potestativo<br />

da parte <strong>del</strong> convenuto (diritto di annullamento, di rescissione, di risoluzione),<br />

il cui esercizio in giudizio da parte <strong>del</strong> titolare è necessario perché si verifichi<br />

il mutamento <strong>del</strong>la situazione giuridica. In questi casi la manifestazione<br />

<strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong>l’interessato come elemento integrativo <strong>del</strong>la fattispecie difensiva<br />

esclude che, pur acquisita al processo la conoscenza di fatti rilevanti, possa<br />

il giudice desumerne l’effetto senza l’apposita istanza di parte.<br />

Soltanto a questa è rimessa la scelta <strong>del</strong> mezzo difensivo, così che l’interesse<br />

a valersi <strong>del</strong>l’eccezione non è necessariamente legato all’interesse a<br />

resistere alla pretesa attrice e, ulteriore conseguenza, la volontà di non valersi<br />

di quel mezzo rende facilmente tollerabile – per usare espressioni di una


GIURISPRUDENZA 717<br />

ormai risalente dottrina – l’eventuale ingiustizia <strong>del</strong>la sentenza: la parte dovrà<br />

imputare la soccombenza solo a se stessa, ossia alla propria assenza di<br />

volontà.<br />

La nozione di eccezione in senso stretto accolta nella sentenza n. 1099 <strong>del</strong><br />

1998 viene riaffermata dalle stesse Sezioni unite con la sent. 25 maggio 2001<br />

n. 226, in tema di rilevabilità d’ufficio <strong>del</strong>l’eccezione di giudicato esterno, nonché<br />

dalle sentenze 1 aprile 2004 n. 6450, 8 aprile 2004 n. 6943 e 21 agosto 2004<br />

n. 16501.<br />

Malgrado la sistemazione <strong>del</strong>la materia nel senso testè illustrato, sulla questione,<br />

ora in esame, <strong>del</strong>la qualificazione <strong>del</strong>l’eccezione di interruzione <strong>del</strong>la<br />

prescrizione, permane un contrasto di giurisprudenza.<br />

Prima <strong>del</strong>la citata pronuncia di queste Sezioni unite n. 1099 <strong>del</strong> 1998 la<br />

giurisprudenza <strong>del</strong>la Corte la definiva costantemente come eccezione in senso<br />

stretto, non affrontando però la generale questione <strong>del</strong> concetto di eccezione<br />

processuale e le relative distinzioni, ma semplicemente parlando di « controeccezione<br />

», da opporre a quella, omogenea, di prescrizione (tra le numerose,<br />

Cass. 7 dicembre 1996 n. 10904, 1 ottobre 1997 n. 9583, 25 ottobre 1997<br />

n. 10526).<br />

Non mancava tuttavia una giurisprudenza secondo cui, estintosi il giudizio<br />

ed iniziato un nuovo processo, il giudice di questo poteva rilevare l’interruzione<br />

istantanea, prodotta dal primo atto introduttivo ex art. 2945, terzo comma, c.c.,<br />

in presenza <strong>del</strong>la sola eccezione di prescrizione (Cass. 6 agosto 1966 n. 2167,<br />

24 ottobre 1974 n. 3111, 24 ottobre 1978 n. 4810).<br />

L’affermazione <strong>del</strong>l’eccezione in senso stretto permaneva anche dopo la<br />

sent. n. 1099 <strong>del</strong> 1998, con numerose pronunce, che unificavano ancora il regime<br />

<strong>del</strong>l’eccezione ex art. 2938 e <strong>del</strong>la controeccezione,senza peraltro confutare,<br />

almeno espressamente, gli argomenti di detta sentenza (tra le più recenti,<br />

Cass. 20 giugno 2002 n. 9016, 27 giugno 2002 n. 9378, 12 luglio 2002<br />

n. 10137, 14 novembre 2002 n. 16032, 28 luglio 2003 n. 15188, 14 luglio<br />

2004 n. 14276).<br />

Cass. 25 marzo 2002 n. 4219 contrasta esplicitamente la sentenza <strong>del</strong>le<br />

Sezioni unite attraverso il richiamo al principio di speditezza <strong>del</strong> processo, che<br />

verrebbe ostacolato dalla rilevabilità officiosa <strong>del</strong>l’eccezione in questione in<br />

ogni stato e grado; di questa pronuncia si dirà oltre.<br />

L’opposta asserzione, ossia quella <strong>del</strong>la rilevabilità d’ufficio, si trova in<br />

Cass. 28 marzo 2000 n. 3276, la quale ritiene che l’eccezione di prescrizione<br />

devolva al giudice l’accertamento di ogni fatto relativo alla vicenda estintiva,<br />

compreso quello interruttivo, il cui rilievo è perciò sottratto all’iniziativa<br />

esclusiva <strong>del</strong>la parte interessata. L’argomentazione di questa soluzione è<br />

espressamente appoggiata sul qui più volte citato precedente <strong>del</strong> 1998.<br />

Non ritengono ora queste Sezioni unite che fra l’eccezione di prescrizione,<br />

ascritta dall’art. 2938 c.c. al novero <strong>del</strong>le eccezioni in senso stretto, e la<br />

controeccezione di interruzione ex artt. 2943-2945, di natura non definita dal<br />

legislatore, sussista una somiglianza tale da consentirne la stessa disciplina


718<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

processuale. Nè il principio di speditezza, ora espressamente canonizzato nel<br />

capoverso <strong>del</strong>l’art. 111 Cost. e da bilanciare sempre con le garanzie di difesa<br />

di cui al precedente art. 24 (Cass. 22 aprile 2005 n. 8540), permette di ravvisare<br />

preclusioni processuali prive di base normativa ed anzi contrarie ad un<br />

sistema legale che vede come eccezionale, per quanto detto sopra, la riserva<br />

alla parte <strong>del</strong> potere di eccepire fatti estintivi, impeditivi o modificativi <strong>del</strong><br />

diritto soggettivo dedotto in giudizio.<br />

Nessuno sostiene che l’eccezione di interruzione, vale a dire l’affermazione<br />

<strong>del</strong>l’avvenuto compimento di un atto d’esercizio <strong>del</strong> diritto, giudiziale o stragiudiziale<br />

(art. 2943 c.c.) oppure <strong>del</strong>l’altrui riconoscimento (art. 2944), corrisponde<br />

al contenuto di un diritto potestativo di realizzazione giudiziale ossia ad un’azione<br />

costitutiva e perciò stesso possa senz’altro ricondursi alla figura <strong>del</strong>le eccezioni in<br />

senso stretto non di espressa previsione legale.<br />

Ma deve altresì escludersi che a questo risultato possa condurre un’asserita<br />

identità di sostanza fra l’eccezione di prescrizione e quella di interruzione, tale<br />

da permettere la sussunzione di quest’ultima, pur sempre e per ragioni di sostanza,<br />

sotto la previsione <strong>del</strong>l’art. 2938.<br />

Il titolare passivo <strong>del</strong> diritto soggettivo dedotto in giudizio dall’attore, ossia<br />

il debitore oppure il proprietario quanto ai diritti reali limitati (l’istituto <strong>del</strong>la<br />

prescrizione estintiva è di portata generale, come risulta dall’art. 2934: « ogni<br />

diritto »), fu correttamente definito in dottrina come a sua volta titolare di un<br />

diritto potestativo di provocare l’estinzione <strong>del</strong> diritto trascurato, ottenendo la<br />

liberazione dal debito oppure dal peso gravante sul proprio fondo. Infatti<br />

l’effetto estintivo <strong>del</strong>la prescrizione non si produce automaticamente allo scadere<br />

<strong>del</strong> termine ma entra nella disponibilità <strong>del</strong> soggetto passivo <strong>del</strong> diritto, cosiddetto<br />

« prescrivente », il quale decide se sollevare o meno la relativa eccezione.<br />

Ciò spiega perché l’art. 2937, primo comma, parli di irrinunciabilità <strong>del</strong>la<br />

prescrizione da parte di « chi non può validamente disporre <strong>del</strong> diritto ». Questa<br />

espressione, introdotta col codice <strong>del</strong> 1942 e assente in quello <strong>del</strong> 1865, si riferisce<br />

verosimilmente alla non disponibilità <strong>del</strong>la materia controversa, anche se<br />

può rilevarsene l’improprietà giacché colui che rinunzia alla prescrizione non è<br />

il titolare <strong>del</strong> diritto prescritto bensì il soggetto passivo, che <strong>del</strong>la prescrizione<br />

potrebbe avvalersi.<br />

L’espressione impropria, che attribuisce un « diritto » al prescrivente,<br />

spiega in ogni caso perché la scadenza <strong>del</strong> termine di prescrizione sia stata definita<br />

come species adquirendi a favore <strong>del</strong> prescrivente (cfr. da ult. Cass. 24<br />

marzo 1994 n. 3445), in conformità all’antico carattere unitariamente acquisitivo<br />

<strong>del</strong>le prescrizioni, oggi distinte in usucapione e prescrizione estintiva: carattere<br />

unitario posto in evidenza dai romanisti e conservato nell’art. 2105 c.c.<br />

1865, secondo cui la prescrizione è « il mezzo con cui, col decorso <strong>del</strong> tempo e<br />

sotto condizioni determinate, taluno acquista un diritto o è liberato dall’obbligazione<br />

» (la liberazione comporta l’acquisto di una posizione di vantaggio).<br />

Esclusi i casi eccezionali di rilevabilità d’ufficio <strong>del</strong>la prescrizione (cfr.<br />

Cass. 16 agosto 2001 n. 11140), la scadenza <strong>del</strong> termine attribuisce al titolare


GIURISPRUDENZA 719<br />

passivo <strong>del</strong> diritto prescrivendo la potestà di farne valere l’effetto estintivo o, al<br />

contrario, di non giovarsene, preferendo di servirsi di altri mezzi di difesa in<br />

giudizio: per tali ragioni il legislatore include l’eccezione di prescrizione fra<br />

quelle in senso stretto.<br />

Diverso è il carattere <strong>del</strong>l’eccezione di interruzione. Qui l’attore, di fronte<br />

all’eccezione di prescrizione, non può considerarsi titolare di alcuna posizione<br />

soggettiva diversa da quella dedotta in giudizio ma semplicemente è in grado di<br />

contrapporre all’eccipiente un fatto dotato di efficacia interruttiva. L’interesse a<br />

giovarsi di questo atto è compreso nell’interesse sottostante il diritto azionato,<br />

né certo potrebbe sottostare ad una distinta azione costitutiva. Il legislatore collega<br />

immediatamente l’effetto interruttivo ai fatti previsti dagli artt. 2943 e<br />

2944 c.c. onde l’eccezione non amplia i termini <strong>del</strong>la controversia ma – come si<br />

è rilevato in dottrina – concorre a realizzare l’ordinamento giuridico nell’orbita<br />

<strong>del</strong>la domanda, su cui il giudice deve pronunciarsi tota re perspecta, ossia<br />

prendendo in considerazione d’ufficio gli atti interruttivi.<br />

Spetta dunque a lui di decidere la questione di prescrizione, ritualmente<br />

introdotta dal convenuto attraverso l’eccezione di cui all’art. 2938, tenendo<br />

conto <strong>del</strong> fatto, anche dedotto in giudizio prima <strong>del</strong>l’eccezione, idoneo a produrre<br />

l’interruzione, qualora l’attore abbia affermato il proprio diritto ritualmente<br />

e rettamente provandone sussistenza e persistenza.<br />

La situazione processuale non è diversa da quella che si verifica a proposito<br />

<strong>del</strong>l’eccezione di rinuncia alla prescrizione, che questa Corte quasi sempre<br />

ritiene rilevabile d’ufficio (Cass. 13 ottobre 1976 n. 3409, 7 febbraio 1996<br />

n. 963, 14 maggio 2003 n. 7411).<br />

Non vale affermare in contrario, come fa Cass. n. 9209 <strong>del</strong> 2002 cit., che eccezione<br />

di prescrizione ed eccezione di interruzione sono caratterizzate dalla medesima<br />

natura e debbono essere assoggettate allo stesso regime a fini di speditezza<br />

<strong>del</strong> procedimento e per « sgombrare il campo dalla questione »: il principio di<br />

speditezza, già implicito nell’art. 24 Cost. ed ora espresso, come s’è ricordato, nel<br />

capoverso <strong>del</strong>l’art. 111, si realizza nelle forme di legge (« ...La legge ne (<strong>del</strong> processo)<br />

assicura la ragionevole durata ») e non comporta l’obliterazione <strong>del</strong>la distinzione<br />

fra eccezioni rilevabili d’ufficio e non, voluta dal legislatore.<br />

In altre parole la sent. n. 9209 <strong>del</strong> 2002 opera una completa assimilazione<br />

fra eccezione in senso stretto e controeccezione, che è priva di fondamento positivo:<br />

si pensi all’eccezione di compensazione ed alla controeccezione di pagamento.<br />

In conclusione si deve affermare il principio di diritto secondo cui<br />

l’eccezione di interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, in quanto eccezione in senso lato,<br />

può essere rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado <strong>del</strong> processo<br />

sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti.<br />

Nel caso di specie la sentenza impugnata non nega la rituale produzione<br />

<strong>del</strong> documento epistolare di contenuto interruttivo, nè la produzione è negata<br />

dal controricorrente, il quale nell’ultima pagina <strong>del</strong> suo scritto difensivo vi fa<br />

esplicito riferimento (lettera 5 luglio 1996), limitandosi a negarne la provenien-


720<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

za dal creditore, ossia dal soggetto legittimato ad interrompere la prescrizione.<br />

È altresì pacifico il detto contenuto interruttivo, ossia la manifestazione <strong>del</strong>la<br />

pretesa creditoria, avente ad oggetto la prestazione previdenziale (cfr. Cass. 28<br />

giugno 1979 n. 3618, 27 giugno 1997 n. 5733). (Omissis).<br />

II<br />

(Omissis). – 6. La censura pone il problema se il potere di ridurre la penale,<br />

conferito al giudice dall’art. 1384 c.c., possa essere esercitato d’ufficio ovvero<br />

se sia necessaria la domanda o la eccezione <strong>del</strong>la parte tenuta al pagamento.<br />

6.1. Il dato normativo, come detto, è costituito dall’art. 1384 c.c. secondo<br />

cui « La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione<br />

principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare <strong>del</strong>la penale è manifestamente<br />

eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva<br />

all’adempimento ».<br />

6.2. Fin dall’entrata in vigore <strong>del</strong> codice civile <strong>del</strong> 1942, la giurisprudenza<br />

<strong>del</strong>la Corte di Cassazione è stata concorde nell’affermare che il potere <strong>del</strong> giudice<br />

di ridurre la penale non può essere esercitato d’ufficio, pur manifestando<br />

nell’ambito di questo orientamento, notevoli oscillazioni in ordine al modo ed<br />

ai tempi in cui le parti avrebbero dovuto esercitare il loro riconosciuto dovere di<br />

sollecitare la pronuncia <strong>del</strong> giudice, giungendo, in taluni casi, ma con affermazione<br />

poi superata dalla successiva prevalente giurisprudenza, a ritenere che la<br />

richiesta di riduzione <strong>del</strong>la penale dovesse ritenersi implicita nell’affermazione<br />

di nulla dovere a tale titolo.<br />

Tale orientamento è stato, tuttavia, posto in discussione dalla sentenza<br />

n. 10511/1999 di questa Corte, la quale ha, invece, ritenuto che la penale possa<br />

essere ridotta dal giudice anche d’ufficio.<br />

Questo nuovo orientamento non ha però trovato seguito nella successiva<br />

giurisprudenza <strong>del</strong>la Corte, che (fatta eccezione per la sentenza n. 8188/2003<br />

che ad esso si è adeguata) ha ribadito l’orientamento tradizionale, con le sentenze<br />

n. 5324/2003, n. 8813/2003, n. 5691/2002, n. 14172/2000.<br />

6.3. Queste sezioni unite, chiamate a risolvere il richiamato contrasto,<br />

ritengono di dover confermare il principio affermato dalla sentenza<br />

n. 10511/1999, cui si è adeguata la sentenza n. 8188/2003.<br />

6.4. Non vi è dubbio che la svolta operata dalla sentenza n. 10511/1999 è<br />

stata influenzata da due concorrenti elementi.<br />

Il primo relativo al riscontro nella giurisprudenza, che fino ad allora aveva<br />

negato il potere <strong>del</strong> giudice di ridurre d’ufficio la penale, di taluni cedimenti,<br />

individuati nel fatto che, in alcune <strong>del</strong>le pronunzie, l’ossequio al principio tradizionale<br />

appariva solo formale, poiché si giungeva talvolta a ritenere la domanda<br />

di riduzione implicita nell’assunto <strong>del</strong>la parte di nulla dovere a titolo di penale<br />

ovvero l’eccezione relativa proponibile in appello.<br />

Il secondo fondato sull’osservazione che l’esegesi tradizionale non appari-


GIURISPRUDENZA 721<br />

va più adeguata alla luce di una rilettura degli istituti codicistici in senso conformativo<br />

ai precetti superiori <strong>del</strong>la Costituzione, individuati nel dovere di solidarietà<br />

nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.), nell’esistenza di un principio di<br />

inesigibilità come limite alle pretese creditorie (Corte cost. n. 19/1994), da valutare<br />

insieme ai canoni generali di buona fede oggettiva e di correttezza<br />

(artt. 1175, 1337, 1359, 1366, 1375 c.c.).<br />

6.5. Quanto al primo elemento sopra ricordato, non v’è dubbio che le variegate<br />

posizioni assunte dalla giurisprudenza, in ordine ai tempi ed ai modi in<br />

cui la richiesta di riduzione <strong>del</strong>la penale debba avvenire ed alle ragioni per le<br />

quali la stessa possa essere richiesta, denotano quanto meno una debolezza dei<br />

fondamenti giuridici sui quali si basa la tesi <strong>del</strong>la non riducibilità d’ufficio <strong>del</strong>la<br />

penale, nonché una implicita contraddittorietà, individuabile specie in quelle<br />

pronunce le quali affermano che la norma <strong>del</strong>l’art 1384 c.c. – che attribuisce al<br />

giudice il potere di diminuire equamente la penale – non ha la funzione di proteggere<br />

il contraente economicamente più debole dallo strapotere <strong>del</strong> più forte,<br />

bensì mira alla tutela e ricostituzione <strong>del</strong>l’equilibrio contrattuale, evitando che<br />

da un inadempimento parziale o, comunque, di importanza non enorme, possano<br />

derivare conseguenze troppo gravi per l’inadempiente (v. Cass. 6 aprile<br />

1978, n. 1574), ovvero ritengono che la riduzione <strong>del</strong>la penale, per effetto di<br />

parziale adempimento <strong>del</strong>l’obbligazione, a norma <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c., non integra<br />

un diritto <strong>del</strong> debitore, ma è rimessa all’equa valutazione <strong>del</strong> giudice, in relazione<br />

all’interesse <strong>del</strong> creditore al tempestivo ed integrale adempimento (v.<br />

Cass. 7 luglio 1981, n. 4425).<br />

6.6. Quanto al secondo elemento non può che condividersi la necessità di<br />

una lettura <strong>del</strong>la norma di cui all’art. 1384 c.c. che meglio rispecchi l’esigenza<br />

di tutela di un interesse oggettivo <strong>del</strong>l’ordinamento alla luce dei principi costituzionali<br />

richiamati.<br />

6.7. Naturalmente una lettura di questo tipo, consentita dal fatto che<br />

l’art. 1384 c.c. non contiene alcun riferimento ad un’iniziativa <strong>del</strong>la parte rivolta<br />

a sollecitare l’esercizio <strong>del</strong> potere di riduzione da parte <strong>del</strong> giudice, non<br />

può prescindere dalla necessità di sottoporre a vaglio le argomentazioni addotte<br />

dalla giurisprudenza che ritiene necessaria quella iniziativa e di verificare<br />

nel contempo se sussistano altre ragioni, che consentano quella lettura <strong>del</strong>la<br />

norma adeguata ai principi costituzionali posti bene in luce dalla sentenza<br />

n. 10511/1999.<br />

6.8. Gli argomenti addotti dalla giurisprudenza che nega il potere <strong>del</strong> giudice<br />

di ridurre d’ufficio la penale sono principalmente tre.<br />

6.8.1. Il primo argomento si fonda sul principio generale, al quale<br />

l’art. 1384 c.c. non derogherebbe, secondo cui il giudice non può pronunciare se<br />

non nei limiti <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>le eccezioni proposte dalle parti.<br />

Sennonché questo argomento non appare decisivo e sembra fondarsi<br />

sull’assunto <strong>del</strong>la esistenza di un fatto che è, invece, da dimostrare.<br />

Occorre partire dal testo <strong>del</strong>l’art. 112 c.p.c., secondo cui «Il giudice deve<br />

pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può


722<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle<br />

parti ».<br />

Ora, il giudice che riduca l’ammontare <strong>del</strong>la penale, al cui pagamento il<br />

creditore ha chiesto che il debitore sia condannato, non viola in alcun modo la<br />

prima proposizione <strong>del</strong> richiamato art. 112 c.p.c., atteso che il limite postogli<br />

dalla norma è, in linea generale, che egli non può condannare il debitore ad una<br />

somma superiore a quella richiesta, mentre può condannarlo al pagamento di<br />

una somma inferiore.<br />

Ma l’art. 112 c.p.c. dispone anche che il giudice non può pronunciare<br />

d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti.<br />

La norma lascia intendere che vi sono, oltre alle eccezioni proponibili soltanto<br />

dalle parti, anche eccezioni che non lo sono e, in quanto tali, rilevabili<br />

d’ufficio.<br />

Se così è, allora, il problema <strong>del</strong>la riducibilità <strong>del</strong>la penale non è risolto<br />

dall’art. 112 c.p.c., ma dalla risposta al quesito se la riduzione <strong>del</strong>la penale sia<br />

oggetto di una eccezione che può essere proposta soltanto dalla parte.<br />

Nel codice civile sono espressamente individuate varie ipotesi di eccezioni<br />

proponibili soltanto dalla parte; in via esemplificativa: art. 1242, primo comma.<br />

c.c. – eccezione di compensazione; art. 1442, comma quarto, c.c. – eccezione di<br />

annullabilità <strong>del</strong> contratto, quando è prescritta l’azione; art. 1449, secondo<br />

comma, c.c. – eccezione di rescindibilità <strong>del</strong> contratto, quando l’azione è prescritta;<br />

art. 1460, primo comma, c.c. – eccezione di inadempimento; art. 1495,<br />

terzo comma, c.c. – eccezione di garanzia, nella vendita, anche se è prescritta<br />

l’azione; art. 1667, terzo comma, c.c. – eccezione di garanzia, nell’appalto –<br />

anche se l’azione è prescritta; art. 1944, secondo comma, c.c. – eccezione di<br />

escussione da parte <strong>del</strong> fideiussore; art. 1947, primo comma, c.c. – beneficio<br />

<strong>del</strong>la divisione nella fideiussione; art. 2938 c.c. – eccezione di prescrizione; art.<br />

2969 c.c. – eccezione di decadenza, « salvo che, trattandosi di materia sottratta<br />

alla disponibilità <strong>del</strong>le parti, il giudice debba rilevare le cause d’improponibilità<br />

<strong>del</strong>l’azione ».<br />

L’art. 1384 c.c., al contrario <strong>del</strong>le ipotesi sopra indicate, non fa alcuna<br />

menzione <strong>del</strong>la necessità <strong>del</strong>la eccezione <strong>del</strong>la parte o, quantomeno, <strong>del</strong>la necessità<br />

che il giudice debba essere sollecitato ad esercitare il potere di riduzione<br />

<strong>del</strong>la penale conferitogli dalla legge.<br />

Il silenzio <strong>del</strong>la norma sul punto non depone certamente a favore <strong>del</strong>la tesi<br />

secondo cui la riduzione <strong>del</strong>la penale debba essere chiesta dalla parte, ma fa<br />

propendere, se mai, a favore <strong>del</strong>la tesi contraria, specie se si guardi ad altre previsioni<br />

<strong>del</strong> codice civile nelle quali l’intervento <strong>del</strong> giudice è visto in funzione<br />

correttiva <strong>del</strong>la volontà manifestata dalle parti (v. Cass. sez. un. 17 maggio<br />

1996, n. 4570, che espressamente parla di « funzione correttiva » <strong>del</strong> giudice,<br />

non solo nell’ipotesi <strong>del</strong>la riduzione <strong>del</strong>la penale manifestamente eccessiva (art.<br />

1384 c.c.), ma anche nei casi di riduzione <strong>del</strong>l’indennità dovuta per la risoluzione<br />

<strong>del</strong>la vendita con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.) e di riduzione <strong>del</strong>la posta<br />

di giuoco eccessiva (art. 1934 c.c.).


GIURISPRUDENZA 723<br />

6.8.2. Il secondo argomento addotto è che la riduzione <strong>del</strong>la penale fissata<br />

dalle parti è prevista dalla legge come istituto a tutela degli specifici interessi<br />

<strong>del</strong> debitore, al quale quindi deve essere rimessa, nell’esercizio <strong>del</strong>la difesa dei<br />

propri diritti, ogni iniziativa al riguardo ed ogni consequenziale valutazione<br />

<strong>del</strong>la eccessività <strong>del</strong>la penale ovvero <strong>del</strong>la sua sopravvenuta onerosità, in relazione<br />

alla parte di esecuzione che il contratto ha avuto.<br />

Anche questo argomento si fonda su un dato non dimostrato e cioè che<br />

l’istituto <strong>del</strong>la riduzione <strong>del</strong>la penale sia predisposto nell’interesse <strong>del</strong>la parte<br />

debitrice.<br />

Intanto una affermazione di questo tipo appare contraddetta dall’osservazione<br />

che la penale « può » ma non « deve » essere ridotta dal giudice,<br />

avuto riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento; dal che<br />

si desume che non esiste un diritto <strong>del</strong> debitore alla riduzione <strong>del</strong>la penale e<br />

che il criterio che il giudice deve utilizzare per valutare se una penale sia eccessiva<br />

ha natura oggettiva, atteso che non è previsto che il giudice debba<br />

tenere conto <strong>del</strong>la posizione soggettiva <strong>del</strong> debitore e <strong>del</strong> riflesso che sul suo<br />

patrimonio la penale può avere, ma solo <strong>del</strong>lo squilibrio tra le posizioni <strong>del</strong>le<br />

parti, mentre il riferimento all’interesse <strong>del</strong> creditore ha la sola funzione di<br />

indicare lo strumento per mezzo <strong>del</strong> quale valutare se la penale sia manifestamente<br />

eccessiva o meno.<br />

Ne discende che, pur sostanziandosi la riduzione <strong>del</strong>la penale in un provvedimento<br />

che rende in concreto meno onerosa la posizione <strong>del</strong> debitore e che<br />

deve essere adottato tenuto conto <strong>del</strong>l’interesse che il creditore aveva all’adempimento,<br />

il potere di riduzione appare attribuito al giudice non per la tutela<br />

<strong>del</strong>l’interesse <strong>del</strong>la parte tenuta al pagamento <strong>del</strong>la penale, ma, piuttosto, a tutela<br />

di un interesse che lo trascende.<br />

Del resto il nostro ordinamento conosce altri casi in cui l’intervento equitativo<br />

<strong>del</strong> giudice pur risolvendosi in favore di una <strong>del</strong>le parti in contesa non è<br />

tuttavia predisposto specificamente per la tutela di un suo interesse.<br />

Si pensi all’ipotesi in cui una <strong>del</strong>le parti abbia chiesto il risarcimento <strong>del</strong><br />

danno in forma specifica; il giudice, in questo caso, anche se l’esecuzione specifica<br />

sia possibile, ha tuttavia il potere di disporre che il risarcimento avvenga<br />

per equivalente « se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente<br />

onerosa per il debitore » (art. 2058 c.c.).<br />

È un potere che il giudice può esercitare pacificamente d’ufficio avuta presente<br />

l’obiettiva difficoltà che il debitore può incontrare nell’eseguire la prestazione<br />

risarcitoria; la difficoltà, appunto perché obiettiva, non riguarda però la<br />

situazione economica <strong>del</strong> debitore, ma piuttosto l’esecuzione stessa <strong>del</strong>la prestazione,<br />

ad esempio quando venga a mancare una proporzione tra danno, costo<br />

ed utilità. L’onerosità per il debitore viene cioè in rilievo come metro di giudizio<br />

perché il giudice possa effettuare la sua valutazione e non come interesse<br />

tutelato dalla norma.<br />

Si pensi ancora al potere attribuito al giudice di liquidare il danno con valutazione<br />

equitativa se lo stesso non può essere provato nel suo preciso am-


724<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

montare (art. 1226 c.c.), pacificamente esercitabile indipendentemente dalla richiesta<br />

<strong>del</strong>le parti.<br />

Già, quindi, dall’esame critico <strong>del</strong>la giurisprudenza maggioritaria, emergono<br />

elementi per affermare che il potere di riduzione <strong>del</strong>la penale è concesso<br />

dalla legge al giudice per fini che prescindono dalla tutela <strong>del</strong>l’interesse <strong>del</strong>la<br />

parte, che al pagamento <strong>del</strong>la penale sia tenuta per effetto <strong>del</strong> suo inadempimento<br />

o ritardato adempimento.<br />

6.8.3. Il terzo argomento addotto dalla giurisprudenza prevalente è che il<br />

giudice, nell’esercizio dei poteri equitativi diretti alla determinazione <strong>del</strong>l’oggetto<br />

<strong>del</strong>l’obbligazione <strong>del</strong>la clausola, non dispone di altri parametri di giudizio<br />

che di quelli dati dai contrapposti interessi <strong>del</strong>le parti al fine esclusivo di verificare<br />

se l’equilibrio raggiunto dalle parti stesse, nella preventiva determinazione<br />

<strong>del</strong>le conseguenze <strong>del</strong>l’inadempimento, sia equo o sia rimasto tale.<br />

Ma anche questo argomento non appare decisivo ove si consideri che la<br />

mancata allegazione (o la impossibilità di riscontri negli atti acquisiti) <strong>del</strong>la eccessività<br />

<strong>del</strong>la penale incide sul piano fattuale <strong>del</strong>l’accertamento <strong>del</strong>la sussistenza<br />

<strong>del</strong>le condizioni per la riduzione <strong>del</strong>la penale medesima, ma non<br />

sull’esercizio officioso <strong>del</strong> potere <strong>del</strong> giudice.<br />

In proposito è sufficiente ricordare ciò che accade in tema di nullità <strong>del</strong><br />

contratto, che il giudice può dichiarare d’ufficio purché risultino dagli atti i presupposti<br />

<strong>del</strong>la nullità medesima (Cass. n. 4062/1987), senza che per l’accertamento<br />

<strong>del</strong>la nullità occorrano indagini di fatto per le quali manchino gli elementi<br />

necessari (Cass. n. 1768/1986, 4955/1985, 985/1981), e più di recente<br />

Cass. n. 1552/2004, secondo cui « La rilevabilità d’ufficio <strong>del</strong>la nullità di un<br />

contratto prevista dall’art. 1421 c.c. non comporta che il giudice sia obbligato<br />

ad un accertamento d’ufficio in tal senso, dovendo invece detta nullità risultare<br />

ex actis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo<br />

i poteri officiosi <strong>del</strong> giudice limitati al rilievo <strong>del</strong>la nullità e non intesi<br />

perciò ad esonerare la parte dall’onere probatorio gravante su di essa », nonché<br />

da ultimo Cass., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095.<br />

6.8.4. Sembra, quindi, che nessuno dei tre argomenti prospettati dalla giurisprudenza<br />

maggioritaria sia decisivo per la soluzione <strong>del</strong> quesito oggetto <strong>del</strong><br />

contrasto, mentre, come in parte anticipato, vi sono argomenti che appaiono<br />

sufficientemente probanti a sostegno <strong>del</strong>la tesi fin qui minoritaria, i quali assumono<br />

una valenza decisiva alla luce dei principi costituzionali posti in luce<br />

dalla sentenza n. 10511/1999.<br />

6.9. Poiché nella discussione sull’esistenza <strong>del</strong> potere <strong>del</strong> giudice di ridurre<br />

d’ufficio la penale è stato spesso introdotto il tema <strong>del</strong>l’autonomia contrattuale<br />

è bene prendere le mosse proprio da tale punto.<br />

L’art. 1322 c.c. – la cui rubrica è appunto intitolata all’autonomia contrattuale<br />

– attribuisce alle parti:<br />

a) il potere di determinare il contenuto <strong>del</strong> contratto;<br />

b) il potere di concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi<br />

una disciplina particolare.


GIURISPRUDENZA 725<br />

Nel primo caso l’autonomia <strong>del</strong>le parti deve svolgersi « nei limiti imposti<br />

dalla legge », nel secondo caso la libertà è limitata per il fatto che il contratto<br />

deve essere diretto « a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento<br />

giuridico ».<br />

La legge, quindi, nel riconoscere l’autonomia contrattuale <strong>del</strong>le parti, afferma<br />

che essa ha comunque dei limiti.<br />

L’osservanza <strong>del</strong> rispetto di tali limiti è demandato al giudice, che non può<br />

riconoscere il diritto fatto valere, se esso si fonda su un contratto il cui contenuto<br />

non sia conforme alla legge ovvero sia diretto a realizzare interessi che non<br />

appaiono meritevoli secondo l’ordinamento giuridico.<br />

L’intervento <strong>del</strong> giudice in tali casi è indubbiamente esercizio di un potere<br />

officioso attribuito dalla legge.<br />

Se nel nostro ordinamento non fosse stato previsto e disciplinato l’istituto<br />

<strong>del</strong>la clausola penale e, tuttavia, le parti avessero introdotto in un contratto una<br />

clausola con tale funzione, il giudice, chiamato a pronunciarsi in ordine ad una<br />

domanda di condanna <strong>del</strong> debitore al pagamento <strong>del</strong>la penale pattuita per effetto<br />

<strong>del</strong>l’inadempimento, avrebbe dovuto formulare, d’ufficio, un giudizio sulla validità<br />

<strong>del</strong>la clausola; giudizio che avrebbe potuto avere esito negativo, ove fosse<br />

stato ravvisato un contrasto <strong>del</strong>l’accordo con principi fondamentali <strong>del</strong>l’ordinamento,<br />

ad esempio per il fatto che la penale doveva essere pagata anche se<br />

il danno non sussisteva.<br />

In questo caso vi sarebbe stato un controllo d’ufficio sulla tutelabilità<br />

<strong>del</strong>l’accordo <strong>del</strong>le parti e, ove il controllo si fosse concluso negativamente, la<br />

tutela non sarebbe stata accordata.<br />

Nel nostro diritto positivo questo controllo non è necessario perché<br />

l’istituto è riconosciuto e disciplinato dalla legge (artt. 1382 e ss. c.c.).<br />

Nel disciplinare l’istituto la legge ha ampliato il campo normalmente riservato<br />

all’autonomia <strong>del</strong>le parti, prevedendo per esse la possibilità di predeterminare,<br />

in tutto o in parte, l’ammontare <strong>del</strong> risarcimento <strong>del</strong> danno dovuto<br />

dal debitore inadempiente (se si vuole privilegiare l’aspetto risarcitorio<br />

<strong>del</strong>la clausola), ovvero di esonerare il creditore di fornire la prova <strong>del</strong> danno<br />

subito, di costituire un vincolo sollecitatorio a carico <strong>del</strong> debitore, di porre a<br />

carico di quest’ultimo una sanzione per l’inadempimento (se se ne vuole privilegiare<br />

l’aspetto sanzionatorio), e ciò in deroga alla disciplina positiva in<br />

materia, ad esempio, di onere <strong>del</strong>la prova, di determinazione <strong>del</strong> risarcimento<br />

<strong>del</strong> danno, <strong>del</strong>la possibilità di istituire sanzioni private.<br />

Tuttavia, la legge, nel momento in cui ha ampliato l’autonomia <strong>del</strong>le parti,<br />

in un campo normalmente riservato alla disciplina positiva, ha riservato al giudice<br />

un potere di controllo sul modo in cui le parti hanno fatto uso di questa<br />

autonomia.<br />

Così operando, la legge ha in sostanza spostato l’intervento giudiziale, diretto<br />

al controllo <strong>del</strong>la conformità <strong>del</strong> manifestarsi <strong>del</strong>l’autonomia contrattuale<br />

nei limiti in cui essa è consentita, dalla fase formativa <strong>del</strong>l’accordo – che ha ritenuto<br />

comunque valido, quale che fosse l’ammontare <strong>del</strong>la penale – alla sua


726<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

fase attuativa, mediante l’attribuzione al giudice <strong>del</strong> potere di controllare che la<br />

penale non fosse originariamente manifestamente eccessiva e non lo fosse successivamente<br />

divenuta per effetto <strong>del</strong> parziale adempimento.<br />

Un potere di tal fatta appare concesso in funzione correttiva <strong>del</strong>la volontà<br />

<strong>del</strong>le parti per ricondurre l’accordo ad equità.<br />

Vi sono casi in cui la correzione <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong>le parti avviene automaticamente,<br />

per effetto di una disposizione di legge che ne limita l’autonomia<br />

e che sostituisce alla volontà <strong>del</strong>le parti quella <strong>del</strong>la legge (in tali<br />

casi l’accordo <strong>del</strong>le parti, che non rispecchia il contenuto tipico previsto<br />

dalla legge, non viene dichiarato nullo ma viene modificato mediante la sostituzione<br />

<strong>del</strong>la parte non conforme); ve ne sono altri, in cui una inserzione<br />

automatica <strong>del</strong>la disciplina legislativa, in sostituzione di quella pattizia, non<br />

è possibile perché non può essere determinata in anticipo la prestazione dovuta<br />

da una <strong>del</strong>le parti, che quindi non può essere automaticamente inserita<br />

nel contratto; in tali casi la misura <strong>del</strong>la prestazione è rimessa al giudice, per<br />

evitare che le parti utilizzino uno strumento legale per ottenere uno scopo<br />

che l’ordinamento non consente ovvero non ritiene meritevole di tutela, come<br />

è reso evidente, proprio in tema di clausola penale, dal fatto che il potere<br />

di riduzione è concesso al giudice solo con riferimento ad una penale che<br />

non solo sia eccessiva, ma che lo sia « manifestamente », ovvero ad una penale<br />

non più giustificabile nella sua originaria determinazione, per effetto <strong>del</strong><br />

parziale adempimento <strong>del</strong>l’obbligazione.<br />

In tale senso inteso, il potere di controllo appare attribuito al giudice non<br />

nell’interesse <strong>del</strong>la parte ma nell’interesse <strong>del</strong>l’ordinamento, per evitare che<br />

l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela <strong>del</strong>le posizioni<br />

soggettive <strong>del</strong>le parti appare meritevole di tutela, anche se ciò non toglie che<br />

l’interesse <strong>del</strong>la parte venga alla fine tutelato, ma solo come aspetto riflesso<br />

<strong>del</strong>la funzione primaria cui assolve la norma.<br />

Può essere affermato allora che il potere concesso al giudice di ridurre la<br />

penale si pone come un limite all’autonomia <strong>del</strong>le parti, posto dalla legge a tutela<br />

di un interesse generale, limite non prefissato ma individuato dal giudice di<br />

volta in volta, e ricorrendo le condizioni previste dalla norma, con riferimento<br />

al principio di equità.<br />

Se così non fosse, apparirebbe quanto meno singolare ritenere, sicuramente<br />

con riferimento all’ipotesi di penale manifestamente eccessiva, in<br />

presenza di una clausola valida (si ricordi che è valida la clausola ancorché<br />

manifestamente eccessiva), che l’esercizio <strong>del</strong> potere <strong>del</strong> giudice di riduzione<br />

<strong>del</strong>la penale debba essere condizionato alla richiesta <strong>del</strong>la parte, quasi<br />

che, a questa, fosse riconosciuto uno jus poenitendi, e, quindi la facoltà di<br />

sottrarsi all’adempimento di un’obbligazione liberamente assunta (quella<br />

appunto <strong>del</strong> pagamento di una penale che fin dall’origine si manifestava<br />

come eccessiva).<br />

Se si considera che il potere di riduzione <strong>del</strong>la penale può essere esercitato<br />

solo in presenza di una clausola che sia valida (e quindi esente da vizi


GIURISPRUDENZA 727<br />

che ne determino la nullità o l’annullabilità) più coerente appare allora qualificare<br />

detto potere come officioso nel senso sopra specificato, di riconduzione<br />

<strong>del</strong>l’accordo, frutto <strong>del</strong>la volontà liberamente manifestata dalle parti, nei<br />

limiti in cui esso appare meritevole di ricevere tutela dall’ordinamento.<br />

Non è privo di significato il fatto che la giurisprudenza, pur affermando<br />

la tesi <strong>del</strong>la necessità <strong>del</strong>la domanda o eccezione <strong>del</strong>la parte al fine di sollecitare<br />

il potere di riduzione affidato al giudice, non ha potuto tuttavia non<br />

riconoscere (come <strong>del</strong> resto la quasi unanime dottrina) la natura inderogabile<br />

<strong>del</strong>la disposizione di cui all’art. 1384 c.c., attributiva al giudice <strong>del</strong> potere di<br />

ridurre la penale, riconoscendo che essa è posta principalmente a salvaguardia<br />

<strong>del</strong>l’interesse generale, per impedire sconfinamenti oltre determinati limiti<br />

di equilibrio contrattuale (v. in tal senso Cass. 4 febbraio 1960, n. 163 e<br />

successivamente, in modo conforme circa la natura inderogabile <strong>del</strong>la norma,<br />

Cass., sez. un., 5 dicembre 1977, n. 5261; Cass. 7 agosto 1992, n. 9366;<br />

Cass. 29 marzo 1996, n. 2909; Cass. 5 novembre 2002, n. 15497 – queste<br />

ultime tre in motivazione), in tale modo riconoscendo l’esistenza dei presupposti<br />

per un intervento officioso <strong>del</strong> giudice, non tanto per la tutela di interessi<br />

individuali, ma piuttosto per una funzione correttiva di riequilibrio<br />

contrattuale (se si vuole privilegiare la tesi <strong>del</strong>la natura risarcitoria <strong>del</strong>la penale)<br />

ovvero di adeguatezza <strong>del</strong>la sanzione (se si vuole privilegiare la tesi<br />

<strong>del</strong>la funzione sanzionatoria).<br />

Aspetto quest’ultimo particolarmente sottolineato da Cass. 24 aprile<br />

1980, n. 2749, secondo cui il potere conferito al giudice dall’art. 1384 c.c. di<br />

ridurre la penale manifestamente eccessiva è fondato sulla necessità di correggere<br />

il potere di autonomia privata riducendolo nei limiti in cui opera il<br />

riconoscimento di essa, mediante l’esercizio di un potere equitativo che ristabilisca<br />

un congruo contemperamento degli interessi contrapposti, valutando<br />

l’interesse <strong>del</strong> creditore all’adempimento, cui ha diritto, tenendosi conto<br />

<strong>del</strong>l’effettiva incidenza di esso sull’equilibrio <strong>del</strong>le prestazioni e sulla concreta<br />

situazione contrattuale.<br />

Pare, quindi, a queste sezioni unite, che la lettura <strong>del</strong>la norma interessata,<br />

svolta nel quadro dei principi generali <strong>del</strong>l’ordinamento e dei principi<br />

costituzionali posti in luce dalla sentenza n. 10511/1999, consenta di giungere<br />

alla conclusione che il potere <strong>del</strong> giudice di ridurre la penale possa essere<br />

esercitato d’ufficio, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva,<br />

sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché<br />

l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo<br />

caso, la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione <strong>del</strong>la penale<br />

in caso di adempimento di parte <strong>del</strong>l’obbligazione, si traduce comunque<br />

in una eccessività <strong>del</strong>la penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.<br />

7. È questa lettura <strong>del</strong>la norma che porta ad affermare il principio che « il<br />

potere di diminuire equamente la penale, attribuito dall’art. 1384 c.c. al giudice,<br />

può essere esercitato anche d’ufficio ». (Omissis).


728<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

(1-4) Sui poteri ufficiosi <strong>del</strong> giudice in tema di interruzione <strong>del</strong>la<br />

prescrizione e di riduzione <strong>del</strong>la penale<br />

1. – Le due decisioni qui pubblicate sono importantissime, perché le Sezioni<br />

Unite intervengono su uno dei profili centrali <strong>del</strong> processo: quello <strong>del</strong>la distinzione<br />

tra ciò che il giudice può rilevare e disporre d’ufficio e ciò che il giudice può<br />

rilevare e disporre soltanto su istanza <strong>del</strong>la parte interessata. Il quesito è sempre di<br />

grande rilievo, quale che sia la struttura <strong>del</strong> procedimento. Ma in un processo come<br />

il nostro, nel quale le istanze di parte sono sottoposte a rigide preclusioni cui<br />

sfugge l’esercizio dei poteri attribuiti al giudice, l’importanza <strong>del</strong>la questione è<br />

ulteriormente sottolineata: se l’istanza di parte è necessaria, preclusioni e decadenze<br />

particolarmente rigide sono in agguato. Per tale motivo, le due decisioni<br />

non soltanto costituiscono un contributo alla costruzione dei principi che presiedono<br />

al rapporto dialettico parti-giudice, ma anche recano un colpo all’ambito di<br />

applicazione <strong>del</strong>le preclusioni: esse fanno capire che, in certa misura, il nostro<br />

processo è meno « precluso » di quanto potrebbe sembrare a prima vista.<br />

Con la prima <strong>del</strong>le due sentenze (la n. 15661/2005), le Sezioni Unite affrontano<br />

il problema di fronte alla controeccezione con la quale l’attore, essendosi<br />

sentito eccepire la prescrizione dal convenuto, si avvale di un fatto interruttivo di<br />

tale prescrizione: secondo la Corte, <strong>del</strong> fatto interruttivo il giudice deve tener<br />

conto (si capisce, se esso emerge in qualsiasi modo dagli atti <strong>del</strong> processo), anche<br />

se l’attore non lo chiede. La Corte applica alla controeccezione <strong>del</strong>l’attore la stessa<br />

distinzione tra eccezioni in senso proprio (ancorate alla necessaria istanza <strong>del</strong>la<br />

parte) ed eccezioni in senso improprio (rilevabili d’ufficio), che la dottrina classica<br />

ha elaborato a proposito <strong>del</strong>le eccezioni <strong>del</strong> convenuto; afferma che – salva<br />

diversa disposizione di legge – l’eccezione può essere definita come « in senso<br />

proprio » soltanto nelle ipotesi nelle quali il fatto favorevole al convenuto, se dedotto<br />

in via di azione, darebbe vita ad una domanda costitutiva (come sostenuto<br />

da autorevole dottrina) (1); e conclude che la controeccezione di interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione è controeccezione « in senso improprio », perché la domanda<br />

<strong>del</strong>l’attore fondata su quel fatto non sarebbe, per l’appunto, costitutiva.<br />

L’affermazione di carattere generale, secondo la quale le eccezioni in senso proprio<br />

sono speculari a possibili domande costitutive <strong>del</strong> convenuto (che costituisce<br />

il nucleo <strong>del</strong> ragionamento <strong>del</strong>la Corte dal punto di vista concettuale), è ricavato<br />

dalla definizione chiovendiana <strong>del</strong>la eccezione in senso proprio come « controdiritto<br />

» <strong>del</strong> convenuto: « controdiritto » da identificarsi soprattutto con un diritto<br />

potestativo, avente ad oggetto la modificazione <strong>del</strong> rapporto sostanziale con<br />

l’attore.<br />

––––––––––––<br />

(1) In questo senso, prima <strong>del</strong>la sentenza commentata, cfr. R. Oriani, Eccezioni rilevabili<br />

(e non rilevabili) d’ufficio. A proposito <strong>del</strong>l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione e di<br />

non condivisibili interpretazioni <strong>del</strong>l’art. 345, comma 2, c.p.c. (I), in Corr. giur. 2005,<br />

p. 1011 ss., spec. 1014.


GIURISPRUDENZA 729<br />

Con la seconda sentenza (la n. 18128/2005) la Corte afferma invece<br />

l’ammissibilità di una riduzione d’ufficio <strong>del</strong>la penale inserita in un contratto, ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c. Dopo aver negato che la riduzione <strong>del</strong>la penale a favore<br />

<strong>del</strong> convenuto costituisca oggetto di un’autonoma domanda di quest’ultimo, ed<br />

aver ricondotto il tema nell’ambito <strong>del</strong>le eccezioni, le Sezioni Unite affermano<br />

il potere ufficioso <strong>del</strong> giudice in base ad un ragionamento assai complesso ma<br />

riconducibile nel suo nucleo a due punti fondamentali. In primo luogo, per<br />

quanto concerne il tenore <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c., si nota che la norma non richiede<br />

in modo espresso l’istanza <strong>del</strong>l’interessato, convenuto. In secondo luogo, e per<br />

quanto riguarda la ratio <strong>del</strong>la disposizione, si ricollega la disposizione stessa<br />

non tanto all’esigenza di proteggere l’interesse <strong>del</strong> debitore come parte più debole,<br />

mediante una riconduzione <strong>del</strong> contratto ad equità, quanto su una più generale<br />

esigenza di solidarietà sorretta dall’interesse pubblico.<br />

2. – Per quanto concerne il merito <strong>del</strong>le affermazioni compiute dalla Corte,<br />

dico subito che la prima <strong>del</strong>le due sentenze (la n. 15661/2005) desta in me una<br />

reazione ammirata più che semplicemente positiva. Dico questo sia per il contributo,<br />

che la motivazione reca alla distinzione tra eccezioni in senso proprio<br />

ed eccezioni in senso improprio, sia per la soluzione affermata sullo specifico<br />

problema <strong>del</strong>la interruzione <strong>del</strong>la prescrizione.<br />

Quanto al primo tema (distinzione tra eccezioni in senso proprio ed eccezioni<br />

in senso improprio), in una breve nota di commento non è evidentemente<br />

possibile darvi fondo. Basta tuttavia uno sguardo alla dottrina, per percepirne<br />

la difficoltà: giacché, se la distinzione tra i due tipi di eccezione è in<br />

sé chiara per quanto concerne gli effetti (ammissibilità o inammissibilità di un<br />

esame d’ufficio da parte <strong>del</strong> giudice), non altrettanto può dirsi per quanto<br />

concerne il criterio distintivo da applicare. In dottrina molteplici sono i criteri<br />

suggeriti, quando si tratta di collocare nell’una o nell’altra categoria una qualsiasi<br />

eccezione, per la quale il problema <strong>del</strong>la rilevabilità o non rilevabilità<br />

d’ufficio non sia risolto espressamente dalla legge (2); ed in giurisprudenza si<br />

trova quasi sempre (come d’altronde è inevitabile che accada) una casistica<br />

piuttosto che un’elaborazione concettuale. Ma questa volta la Corte ha il coraggio<br />

di impegnarsi anche sul terreno <strong>del</strong>la teoria, con una scelta precisa. La<br />

tesi accolta (secondo la quale sono qualificabili come « in senso proprio »<br />

soltanto le eccezioni fondate su quei fatti, che potrebbero essere dedotti in via<br />

di azione con domanda costitutiva) può piacere o non piacere; ma anche chi in<br />

ipotesi non la condivida deve ammettere che si tratta di una tesi particolarmente<br />

chiara, applicabile nei singoli casi concreti molto più facilmente di altre;<br />

e la certezza ne guadagna non poco. Finalmente, accanto alle tesi a volta a<br />

––––––––––––<br />

(2) Rinvio qui, anche per riferimenti, a R. Oriani, Eccezione, in Digesto <strong>del</strong>le discipline<br />

privatistiche, VII, Torino 1991, p. 262 ss., spec. p. 266 ss.; idem, op. cit. nella nota<br />

1, p. 1011 ss.


730<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

volta sostenute in dottrina si può da ora in poi ricordare anche una tesi accolta<br />

dalla giurisprudenza.<br />

Chiara è poi la necessità di applicare lo stesso criterio anche alle controeccezioni;<br />

e la Corte ha qui il merito di restare fe<strong>del</strong>e alle premesse fissate come<br />

criterio generale, resistendo alla tentazione cui avevano ceduto altri precedenti<br />

giurisprudenziali (diligentemente passati in rassegna nella motivazione <strong>del</strong>la<br />

sentenza): quella di pensare alla disciplina <strong>del</strong>l’intero tema <strong>del</strong>la prescrizione<br />

come a qualche cosa di rigorosamente unitario, tanto da sottoporre l’interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione al divieto di esame d’ufficio fissato dall’art. 2938 c.c.<br />

Vero è che, nel resistere a tale tentazione, la Corte è stata ancora una volta aiutata<br />

da autorevole dottrina (3); ma la giurisprudenza, che nel risolvere i problemi<br />

tiene conto <strong>del</strong>la dottrina, proprio per questo merita di essere apprezzata.<br />

3. – Alla luce dei principi affermati dalla sentenza di cui sopra, l’altra decisione<br />

(la n. 18128/2005) sulla riduzione <strong>del</strong>la penale è tuttavia incomprensibile.<br />

La riduzione <strong>del</strong>la penale è infatti, all’evidenza, un provvedimento costitutivo;<br />

e se supponiamo che il convenuto possa avvalersi <strong>del</strong>l’iniquità <strong>del</strong>la penale<br />

in via di eccezione, per ottenere un rigetto totale o parziale <strong>del</strong>la domanda<br />

avente ad oggetto il pagamento, tale eccezione dovrebbe essere considerata per<br />

ciò stesso non rilevabile d’ufficio. Nell’affermare l’ammissibilità di una riduzione<br />

d’ufficio <strong>del</strong>la penale, dunque, la sentenza n. 18128/2005 va ben oltre gli<br />

esiti ricavabili dalla sentenza n. 15661/2005, aprendo uno scenario diverso: la<br />

rilevabilità d’ufficio anche di fatti estintivi, modificativi o impeditivi <strong>del</strong> diritto<br />

vantato dall’attore, che proposti in via di azione provocherebbero domande costitutive<br />

anziché di mero accertamento o condanna.<br />

Le perplessità, allora, sono inevitabili; ed in primo luogo mi pare sorprendente<br />

che le Sezioni Unite, dopo aver pronunciato una decisione concettualmente<br />

impegnata come la n. 15661/2005, subito se ne dimentichino, affrontando<br />

ex novo lo stesso problema (quello <strong>del</strong>la distinzione tra eccezioni in senso<br />

proprio ed eccezioni in senso improprio) con soluzioni diverse da quelle precedentemente<br />

affermate. Vero è che già in precedenti decisioni la Cassazione<br />

aveva affermato l’ammissibilità di una riduzione d’ufficio <strong>del</strong>la penale (4). Ma<br />

penso che lo sforzo costruttivo compiuto con la sentenza n. 15661/2005 avrebbe<br />

dovuto, per coerenza, indurre a riconsiderare la precedente giurisprudenza sulla<br />

riduzione <strong>del</strong>la penale con atteggiamento critico.<br />

Né mi convincono gli argomenti addotti dalla Corte in motivazione, che<br />

riecheggiano quelli esposti nelle altre sentenze orientate nello stesso senso.<br />

––––––––––––<br />

(3) Cfr., infatti, anche per riferimenti, R. Oriani, Processo di cognizione e interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione, Napoli 1977, p. 232; idem, Eccezioni rilevabili ecc., cit. (II), in<br />

Corr. giur. 2005, p. 1156 ss.<br />

(4) Cass., 23 maggio 2003, n. 8188, in Nuova giur. civ. comm. 2004, I, p. 553 ss.;<br />

Cass., 4 giugno 2004, n. 3490, in Rep. Foro it. 2004, voce Contratto in genere, n. 486.


GIURISPRUDENZA 731<br />

Quanto al tenore letterale <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c., la Corte ha evidentemente ragione<br />

nel notare che la norma non richiede in modo espresso l’istanza <strong>del</strong> convenuto;<br />

ma non per questo il potere ufficioso <strong>del</strong> giudice può essere affermato a contrario:<br />

vero è invece che proprio per il silenzio <strong>del</strong>la legge il problema resta aperto,<br />

per richiedere una soluzione fondata su argomenti sistematici (come quelli<br />

esposti nella sentenza n. 15661/2005). Né più convincenti sono le osservazioni<br />

relative alla ratio <strong>del</strong>la norma.<br />

Nessuno nega i valori di solidarietà (e di tutela <strong>del</strong>la parte contrattuale più<br />

debole), che sorreggono l’art. 1334 c.c.; e nessuno nega che tali valori meritino<br />

di essere considerati come appartenenti all’intera collettività. Ma altrettanta solidarietà<br />

sorregge ad esempio gli artt. 1447 e 1448 in tema di rescissione; sono<br />

ancora dei valori di solidarietà quelli che presiedono all’annullamento <strong>del</strong> contratto<br />

per vizi <strong>del</strong> consenso ai sensi degli artt. 1427 ss. c.c.; tornano ancora una<br />

volta in primo piano valori di equità e solidarietà, quando ci si interroga sulla<br />

ratio <strong>del</strong>la risoluzione per eccessiva onerosità prevista dall’art. 1467 c.c.: e tutti<br />

questi sono casi, nei quali nessuno dubita <strong>del</strong>la necessaria istanza <strong>del</strong>la parte<br />

convenuta, che desideri far respingere la domanda di adempimento proposta<br />

dall’attore. A me pare che i valori di solidarietà ed equità niente altro siano, se<br />

non la ragion d’essere di una certa protezione accordata a certi soggetti in certe<br />

occasioni; e che spetti in ultima analisi alla parte interessata la decisione, se avvalersi<br />

o non avvalersi <strong>del</strong>la protezione concessale.<br />

4. – Sulla sentenza n. 18128/2005, tuttavia, vorrei aggiungere ancora qualcosa.<br />

In realtà dubito che il potere di chiedere la riduzione <strong>del</strong>la penale possa<br />

dar vita, da parte <strong>del</strong> convenuto, ad una vera e propria eccezione. Secondo me,<br />

l’istanza <strong>del</strong> convenuto può essere soltanto una domanda riconvenzionale; e le<br />

Sezioni Unite creano in realtà un caso di decisione privo di domanda.<br />

Consideriamo, come punto di riferimento orientativo, quanto accade in<br />

tema di annullamento, risoluzione o rescissione <strong>del</strong> contratto. Alla possibilità di<br />

una domanda costitutiva si affianca l’ammissibilità di un’eccezione, per una<br />

ragione molto precisa: la legge consente al convenuto, in modo espresso, di<br />

evitare l’adempimento pur senza chiedere la caducazione <strong>del</strong> contratto. Quei<br />

medesimi fatti, in virtù dei quali il contratto potrebbe essere eliminato, attribuiscono<br />

al convenuto anche il potere di sottrarsi a quanto preteso nei suoi confronti;<br />

ed in tal modo la domanda di manutenzione contrattuale è respinta senza<br />

che la fonte <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>l’attore (il contratto) venga caducata una volta per<br />

tutte. È qui la ragione, per la quale sarebbe scorretto parlare di « eccezione di<br />

annullamento », o di « rescissione » o di « risoluzione »: si deve parlare invece<br />

di « eccezione di (mera) annullabilità », o « (mera) rescindibilità, o « (mera)<br />

risolubilità, ecc.<br />

Ma si può dire lo stesso, quando la legge non consente in modo espresso al<br />

convenuto di ottenere il rigetto <strong>del</strong>la domanda sulla base <strong>del</strong>la mera possibilità<br />

che la fonte <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>l’attore sia caducata? In astratto si può anche pensare<br />

che il convenuto, se ha il potere di far caducare la fonte <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>l’attore,


732<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

per ciò stesso (e per principio generale) abbia anche il potere di fare respingere<br />

la domanda senza il bisogno di provocare tale caducazione (5). Non da oggi,<br />

tuttavia, nutro riserve contro questa tesi. Credo che in linea di massima chi ha il<br />

potere di eliminare un atto (con i suoi effetti) ne abbia anche l’onere; e che la<br />

eliminazione <strong>del</strong>l’atto sia necessaria, per chi pretenda di non tenerne conto.<br />

Solo per ragioni specifiche e di settore la legge prevede talora che la mera caducabilità<br />

di un atto qualsiasi consenta di considerarlo tamquam non esset, senza<br />

che l’iniziativa necessaria alla sua eliminazione sia effettivamente presa e<br />

coltivata sino all’esito positivo (6); né tale soluzione può essere generalizzata.<br />

L’art. 1384 c.c., nel prevedere la riduzione <strong>del</strong>la penale, ci dice che cosa il<br />

convenuto può chiedere con domanda modificativa <strong>del</strong> contratto; ed è ovvio<br />

che, ove tale domanda sia proposta e accolta, il contratto va poi applicato come<br />

modificato anche ai fini <strong>del</strong>l’accoglimento o rigetto <strong>del</strong>la domanda <strong>del</strong>l’attore.<br />

Ma niente dice la norma circa la possibilità di evitare in tutto o in parte il pagamento<br />

mediante la semplice allegazione dei fatti, in virtù dei quali la penale<br />

potrebbe essere ridotta. Due sono dunque i casi: o la domanda (costitutiva) di<br />

riduzione è proposta, o la domanda avente ad oggetto il credito di cui alla penale<br />

va accolta, quale che sia la situazione di fatto dedotta dal convenuto in ordine<br />

ai presupposti <strong>del</strong>la riduzione stessa. Non vi è dibattito sulle mere eccezioni<br />

(in senso proprio o improprio), che possa condurre a soluzione diversa; ed a<br />

me pare che le Sezioni Unite non abbiano non dico mal risolto, ma nemmeno<br />

percepito il cuore <strong>del</strong> problema.<br />

EDOARDO F. RICCI<br />

––––––––––––<br />

(5) È questa, in sostanza, la posizione assunta da E.T. Liebman, L’eccezione revocatoria<br />

e il suo significato processuale, ora in Idem, Problemi <strong>del</strong> processo civile, Napoli<br />

1962, p. 76 ss.<br />

(6) Rinvio sul punto, anche per riferimenti, a E.F. Ricci, Sulla natura dichiarativa<br />

<strong>del</strong>la revocatoria fallimentare, in Riv. dir. proc. 2000, p. 19 ss., spec. p. 33 ss.


CORTE DI CASSAZIONE, sez. II civ., sentenza 24 maggio 2005, n. 10918<br />

Pres. Pontorieri – Rel. Napoletano<br />

Piacentini ed altra c. Capri ed altri<br />

Proposta dal convenuto eccezione di prescrizione <strong>del</strong> diritto di accettare<br />

l’eredità, l’attore può, per la prima volta in appello, allegare che vi sono stati<br />

atti tempestivi di accettazione <strong>del</strong>l’eredità (1).<br />

(Omissis). – Col primo motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza<br />

impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., 2697<br />

c.c., adducendo che erroneamente la Corte d’Appello ha qualificato come nuova<br />

eccezione, ritenendola conseguentemente inammissibile in appello, quella che<br />

era soltanto una richiesta di prova, avanzata al fine di adempiere all’onere, ritenuto<br />

non adempiuto dal primo giudice, di provare che i loro danti causa avevano<br />

acquistata la proprietà <strong>del</strong>l’immobile, avendo tempestivamente accettata<br />

l’eredità. Si trattava, dunque, di prova diretta a dimostrare l’esistenza di un fatto<br />

costitutivo <strong>del</strong> diritto dedotto in giudizio, prova <strong>del</strong>la quale il giudice d’appello,<br />

tenendo conto anche che la prova era precostituita, essendo contenuta in un documento<br />

non contestato, avrebbe dovuto valutare l’ammissibilità e rilevanza.<br />

Col secondo motivo i ricorrenti principali denunciano che l’erronea qualificazione<br />

evidenziata col precedente motivo è stata attribuita apoditticamente,<br />

non essendo sorretta da sufficiente motivazione.<br />

Col terzo motivo i ricorrenti principali si dolgono di violazione e falsa applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., osservando che l’opinione <strong>del</strong>la Corte di merito,<br />

secondo cui il divieto di nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio<br />

posto dal 2° comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c. precluderebbe anche la deduzione<br />

in appello di fatti che non siano stati oggetto di tempestiva e rituale allegazione<br />

negli atti introduttivi <strong>del</strong> giudizio di primo grado, sembra far proprio un concetto<br />

di eccezione talmente ampio da ravvisarlo anche in qualsiasi nuova deduzione,<br />

anche se posta a base <strong>del</strong>la prova.<br />

In tal modo – sostengono i ricorrenti – verrebbe snaturato il concetto di<br />

eccezione e <strong>del</strong>la stessa prova, che, invece, consiste proprio nell’allegazione di<br />

fatti e circostanze a sostegno <strong>del</strong>la domanda, e verrebbe ristretta, fino ad annullarla,<br />

la facoltà concessa alle parti dall’art. 345, comma 3°, c.p.c.<br />

In ogni caso, concludono i ricorrenti, il suddetto divieto concerne solo le<br />

eccezioni in senso proprio, non anche le eccezioni in senso improprio, che<br />

concernono questioni inerenti ai fatti costitutivi posti a fondamento <strong>del</strong>la domanda.<br />

Il ricorso è fondato.


734<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

L’errore di diritto che vizia la sentenza impugnata sta nel ritenere che il<br />

divieto di nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio, posto dal 2°<br />

comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., comprenda comunque l’allegazione di fatti non ritualmente<br />

dedotti in primo grado, poiché esso, in tal modo, come correttamente<br />

rilevato dai ricorrenti, finisce col dilatare a dismisura il divieto, estendendolo<br />

dalle eccezioni vere e proprie o riconvenzionali, che sono riservate alla disponibilità<br />

<strong>del</strong>la parte nei casi espressamente previsti dalla legge o che abbiano ad<br />

oggetto fatti estintivi, impeditivi o modificativi <strong>del</strong> diritto fatto valere ex adverso,<br />

alle eccezioni in senso lato od improprio, che hanno, invece, ad oggetto fatti<br />

costitutivi <strong>del</strong>la domanda e che operano ipso iure.<br />

La deducibilità in appello di eccezioni in senso lato non può essere condizionata<br />

dal fatto che le circostanze ad esse sottostanti siano già state introdotte<br />

nel giudizio di primo grado, poiché i fatti operanti ipso iure possono essere assunti<br />

a tema <strong>del</strong> giudizio d’appello non solo se già acquisiti al contraddittorio<br />

<strong>del</strong>le parti nel precedente grado <strong>del</strong> giudizio ma anche se per la prima volta allegati<br />

in appello ed accertati con i mezzi di prova che il giudice d’appello ritenga<br />

ammissibili e rilevanti.<br />

La diversa conclusione cui perviene la sentenza impugnata, oltre a snaturare<br />

la nozione di eccezione in senso stretto, finisce col restringere notevolmente le<br />

stesse possibilità di deroga al divieto di nuovi mezzi di prova in appello previste<br />

dal terzo comma <strong>del</strong>lo stesso art. 345 c.p.c., tali possibilità essendo quasi sempre<br />

collegate a nuove allegazioni di fatto operate dalle parti. Nel caso in esame le<br />

nuove allegazioni degli attori in appello e la correlata richiesta di nuovi mezzi<br />

istruttori erano dirette a dimostrare, in contrasto con l’eccezione di prescrizione<br />

<strong>del</strong> diritto di accettare l’eredità sollevata dai convenuti e ritenuta fondata dal primo<br />

giudice, che i danti causa degli attori avevano accettata tempestivamente<br />

l’eredità degli originari proprietari Arcangelo Capri ed Angela Pellegrini e che,<br />

pertanto, l’acquisto degli attori, in quanto proveniente a domino, era efficace.<br />

Si trattava, dunque, di allegazioni volte a dimostrare un elemento costitutivo<br />

<strong>del</strong> diritto posto a fondamento <strong>del</strong>la domanda, come tali escluse dal divieto<br />

di nuove eccezioni posto dal secondo comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., con la conseguenza<br />

che il giudice d’appello avrebbe dovuto valutare la rilevanza <strong>del</strong>la relativa<br />

richiesta di prova nonché la sua ammissibilità ai sensi <strong>del</strong> terzo comma<br />

<strong>del</strong>lo stesso articolo.<br />

Il ricorso principale va, pertanto, accolto (Omissis).<br />

(1) Sulle eccezioni proponibili in appello<br />

1. – Gli attori deducono di aver acquistato la quota di comproprietà di un<br />

fondo e chiedono la divisione giudiziale nei confronti degli altri comproprietari,<br />

alcuni dei quali sostengono l’inefficacia <strong>del</strong>l’atto di acquisto <strong>del</strong>la quota da<br />

parte degli attori; gli alienanti e i loro danti causa, infatti, non avevano tempestivamente<br />

esercitato il diritto di accettare l’eredità, nella quale era compresa la<br />

quota di comproprietà. Il giudice di primo grado ritiene fondata l’eccezione di<br />

prescrizione <strong>del</strong> diritto dei danti causa degli attori di accettare l’eredità e conseguentemente<br />

nega che gli attori abbiano acquistato la quota di comproprietà <strong>del</strong>


GIURISPRUDENZA 735<br />

bene in forza di un valido atto traslativo; rigetta pertanto la domanda di divisione.<br />

In grado di appello, gli attori appellanti deducono e provano attraverso prove<br />

documentali la presenza di atti di tempestiva accettazione <strong>del</strong>l’eredità da<br />

parte dei loro danti causa. La Corte di appello ritiene inammissibili in secondo<br />

grado, perché non prospettate nel giudizio di primo grado, le nuove circostanze<br />

addotte dagli appellanti al fine di paralizzare l’eccezione di prescrizione <strong>del</strong> diritto<br />

di accettare l’eredità. Ad avviso dei giudici di secondo grado, « la trasformazione<br />

<strong>del</strong> giudizio di appello da novum iudicium in revisio prioris instantiae,<br />

determinata dalla nuova formulazione <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., nel precludere la proponibilità<br />

di “nuove eccezioni, che non siano rilevabili di ufficio” restringe la<br />

valutazione <strong>del</strong> giudice d’appello al solo riesame <strong>del</strong>le questioni che siano state<br />

ritualmente introdotte nel giudizio di primo grado, con la conseguenza che in<br />

grado di appello non potrebbero essere dedotti fatti che non siano stato oggetto<br />

di rituale e tempestiva allegazione in primo grado ».<br />

Il ricorso per cassazione proposto dall’appellante è accolto. Secondo la<br />

sentenza annotata, « l’errore di diritto che vizia la sentenza impugnata sta nel<br />

ritenere che il divieto di nuove eccezioni che non siano rilevabili anche di ufficio,<br />

posto dal secondo comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., comprenda comunque l’allegazione<br />

di fatti non ritualmente dedotti in primo grado, perché esso in tal modo<br />

(…) finisce col dilatare a dismisura il divieto, estendendolo dalle eccezioni vere<br />

e proprie o riconvenzionali, che sono riservate alle disponibilità <strong>del</strong>la parte nei<br />

casi espressamente previsti dalla legge o che abbiano ad oggetto fatti estintivi,<br />

modificativi o impeditivi <strong>del</strong> diritto fatto valere ex adverso alle eccezioni in<br />

senso lato od improprio, che hanno, invece, ad oggetto fatti costitutivi <strong>del</strong>la<br />

domanda o che operano ipso iure. La deducibilità in appello di eccezioni in senso<br />

lato non può essere condizionata dal fatto che le circostanze ad esse sottostanti<br />

siano già state introdotte nel giudizio di primo grado, poiché i fatti operanti<br />

ipso iure possono essere assunti a tema <strong>del</strong> giudizio d’appello non solo se<br />

già acquisiti al contraddittorio <strong>del</strong>le parti nel precedente grado <strong>del</strong> giudizio ma<br />

anche se per la prima volta allegati in appello ed accertati con i mezzi di prova<br />

che il giudice d’appello ritenga ammissibili e rilevanti ». D’altra parte, le possibilità<br />

di nuovi mezzi di prova ex terzo comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., sono « quasi<br />

sempre collegate a nuove allegazioni di fatto operate dalle parti ».<br />

Nella specie, mirando l’appellante a provare l’avvenuta accettazione tempestiva<br />

<strong>del</strong>l’eredità, così che il diritto di accettarla non si era prescritto, « si trattava<br />

(…) di allegazioni volte a dimostrare un elemento costitutivo <strong>del</strong> diritto posto a<br />

fondamento <strong>del</strong>la domanda, come tali escluse dal divieto di nuove eccezioni posto<br />

dal secondo comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c., con la conseguenza che il giudice d’appello<br />

avrebbe dovuto valutare la rilevanza <strong>del</strong>la relativa richiesta di prova nonché<br />

la sua ammissibilità ai sensi <strong>del</strong> terzo comma <strong>del</strong>lo stesso articolo ».<br />

2. – La sentenza, che perviene ad una giusta conclusione sia pure sulla<br />

scorta di una motivazione non integralmente condivisibile, si rivela di notevole<br />

interesse.


736<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

In altra sede (1), ho segnalato recenti orientamenti giurisprudenziali a proposito<br />

<strong>del</strong>l’art. 345, comma 2° c.p.c. (« non possono proporsi nuove eccezioni, che<br />

non siano rilevabili anche d’ufficio »), secondo i quali nel giudizio di appello <strong>del</strong><br />

processo ordinario di cognizione non è possibile l’introduzione di fatti nuovi rispetto<br />

a quelli allegati in primo grado: sono considerate nuove, e perciò inammissibili,<br />

le eccezioni fondate su elementi di fatto e circostanze non prospettate in<br />

precedenza, che introducano nel processo un nuovo tema di indagine (2).<br />

Un tale orientamento è <strong>del</strong> tutto infondato, addirittura arbitrario. Ed invero<br />

l’art. 345, comma 2°, consente espressamente la proposizione in appello di eccezioni<br />

rilevabili di ufficio (c.d. eccezioni in senso lato), vietando unicamente la<br />

proposizione di eccezioni non rilevabili di ufficio (c.d. eccezioni in senso stretto).<br />

Viene cioè riaffermata la distinzione tra eccezioni in senso ampio ed eccezioni<br />

in senso stretto, prima rilevante ai soli fini <strong>del</strong>l’art. 112 c.p.c. (corrispondenza<br />

tra chiesto e pronunciato) e poi esplicitamente enunciata in molte disposizioni<br />

legislative, concernenti il sistema di preclusioni dei vari tipi di processo:<br />

in primis, processo <strong>del</strong> lavoro (art. 416 c.p.c.); poi, rito ordinario di cognizione<br />

(artt. 180 e 345; da ultimo, con la legge 80/2005, art. 167); ancora, contenzioso<br />

tributario (artt. 23 e 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); infine, processo societario<br />

(artt. 4, 7, 8 e 13 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5). Si ritiene che anche nel<br />

processo di appello dinanzi al giudice amministrativo, privo di una specifica<br />

disciplina <strong>del</strong>lo ius novorum in appello e regolato, pertanto, dall’art. 345 c.p.c.,<br />

valga la distinzione tra eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto (3).<br />

Orbene, sui criteri distintivi tra questi due tipi di eccezione, controversi in<br />

dottrina (4), le Sezioni unite <strong>del</strong>la Corte di Cassazione sono intervenute, in controversie<br />

sottoposte al rito <strong>del</strong> lavoro ma con argomentazioni di carattere generale<br />

estensibili anche al rito ordinario, per ben tre volte, pervenendo a risultati<br />

univoci. Dopo la fondamentale Cass., 3 febbraio 1998, n. 1099 (5), che ha rite-<br />

––––––––––––<br />

(1) Oriani, Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. A proposito <strong>del</strong>l’interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione e di non condivisibili interpretazioni <strong>del</strong>l’art. 345, comma 2,<br />

c.p.c. (II), in Corr. giur. 2005, p. 1162 ss., ove sono riportate diffusamente le vicende<br />

decise da Cass., 10 ottobre 2003, n. 15142, in Foro it. 2004, I, c. 3163; da Cass., 26 luglio<br />

2004, n. 13253; da Cass., 7 luglio 2004, n. 12147.<br />

(2) Per qualche riferimento vedasi anche la vicenda alquanto macabra e grottesca<br />

esaminata da Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, che però applica l’art. 437 c.p.c. (infra, n. 4).<br />

(3) Cfr. C. Stato, ad. plen., 29 dicembre 2004, n. 14, in Cons. Stato 2004, I, p. 3471,<br />

che ha ritenuto non proponibile per la prima volta in appello da parte <strong>del</strong>la pubblica amministrazione<br />

l’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto (nella specie,<br />

si trattava di controversia concernenti crediti di lavoro <strong>del</strong> pubblico dipendente). La<br />

questione era stata rimessa all’Adunanza plenaria dalla quarta sezione con ordinanza 17<br />

febbraio 2004, n. 596, ivi, p. 313.<br />

(4) Per riferimenti, Oriani, Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. Profili<br />

generali (I), in Corr. giur. 2005, p. 1012 ss.<br />

(5) In Giust. civ. 1998, I, p. 645, con nota di Giacalone; in Corr. giur. 1999, p.


GIURISPRUDENZA 737<br />

nuto rilevabile di ufficio, in una controversia ex art. 18 st. lav., l’aliunde perceptum<br />

o percipiendum, vanno segnalate Cass., 25 maggio 2001, n. 226 (6), e<br />

Cass., 27 luglio 2005, n. 15661 (7), che hanno, rispettivamente, ritenuto rilevabile<br />

di ufficio il giudicato esterno e l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione. In tutte e<br />

tre le sentenze (8) viene ribadito il seguente principio: la regola è il rilievo di<br />

ufficio dei fatti estintivi, modificativi ed impeditivi; eccezioni in senso stretto<br />

sono soltanto quelle espressamente previste dalla legge (ad es. prescrizione, decadenza<br />

nei rapporti disponibili etc.), e quelle che si coordinano con un’azione<br />

costitutiva (9), nella misura in cui si ritiene ammissibile un accertamento costitutivo<br />

incidenter tantum (10).<br />

Ne deriva che nel processo di appello ben possono essere dedotti fatti<br />

––––––––––––<br />

1007, con nota di Negri; in Mass. giur. lav. 1998, p. 297, con nota di Centofanti; in Dir.<br />

lav. 1999, II, p. 12 e I, p. 577, con nota di Vallebona. Cass. 1099/98, su cui ampiamente<br />

Oriani, Eccezioni rilevabili, cit., p. 1014 ss., ha ritenuto che la rilevazione <strong>del</strong> cd. aliunde<br />

perceptum o percipiendum (cioè la rioccupazione <strong>del</strong> lavoratore licenziato al fine di limitare<br />

il danno da risarcire a seguito di un licenziamento illegittimo soggetto a tutela<br />

reale ex art. 18 st. lav.) forma oggetto di eccezione in senso lato; nello stesso senso, da<br />

ultimo, Cass., 16 maggio 2005, n. 10155.<br />

(6) In Foro it. 2001, I, c. 2810, con nota di Iozzo; in Corr. giur. 2001, p. 1462, con<br />

nota di Fittipaldi. Per una prospettiva diversa in tema di giudicato, Ziino, Disorientamenti<br />

<strong>del</strong>la Cassazione in materia di giudicato « implicito » e di rilevabilità <strong>del</strong> giudicato<br />

esterno, in questa Rivista 2005, p. 1397 ss.<br />

(7) In Foro it. 2005, I, c. 2660, con nota di Oriani, L’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione<br />

è rilevabile d’ufficio: le sezioni unite <strong>del</strong>la Corte di cassazione abbandonano un indirizzo<br />

risalente al 1923.<br />

(8) E nelle molte altre in cui il principio è stato applicato, capovolgendosi anche indirizzi<br />

consolidati: per riferimenti, Oriani, Eccezioni rilevabili cit., p. 1019 ss.<br />

(9) Sulla conclusione sono perfettamente d’accordo: per più ampi sviluppi, Oriani,<br />

voce Eccezione, in Digesto civile, VII, Torino 1991, p. 266 ss.<br />

(10) Cass., 30 marzo 2005, n. 6733, in Riv. esec. forzata 2005, p. 422 ha ritenuto<br />

che gli art. 1442, 4° comma e 1449, 2° comma c.c. sono suscettibili di applicazione analogica,<br />

non potendo qualificarsi come norme eccezionali, onde l’effetto giuridico <strong>del</strong>la<br />

risolubilità <strong>del</strong> contratto per inadempimento può essere invocato anche in via di eccezione<br />

dalla parte non inadempiente che sia stata convenuta in giudizio dall’altra per la tutela<br />

di un qualche effetto giuridico che debba ricollegarsi alla vigenza attuale o pregressa <strong>del</strong><br />

contratto, realizzandosi in tal modo un fenomeno per cui l’accertamento incidentale <strong>del</strong>la<br />

risolubilità per via di eccezione è funzionale alla elisione <strong>del</strong>l’effetto giuridico <strong>del</strong> negozio<br />

(nella specie, in sede di opposizione a precetto l’opponente aveva invocato una intervenuta<br />

transazione ed il creditore dedotto in appello in via riconvenzionale la risolubilità<br />

<strong>del</strong>la transazione – non avente carattere novativo –; il giudice di appello aveva dichiarato<br />

inammissibile, perché nuova, la riconvenzionale e non aveva esaminato la risolubilità sub<br />

specie di eccezione, come tale ammissibile, trattandosi di processo pendente al 30 aprile<br />

1995 e, quindi, soggetto all’art. 345 c.p.c. nel testo previgente alla riforma di cui alla legge<br />

n. 353 <strong>del</strong> 1990).


738<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

estintivi, modificativi ed impeditivi, tranne le ipotesi in cui sia configurabile<br />

un’eccezione in senso stretto. Non è affatto vero che non si possono introdurre<br />

fatti nuovi nel giudizio di appello: non si possono dedurre fatti che danno<br />

luogo ad un’eccezione in senso stretto, laddove per le eccezioni in senso lato<br />

un tale limite non sussiste affatto. Tutto il contrario di quello che dicono, senza<br />

la benché minima motivazione, gli indirizzi giurisprudenziali innanzi ricordati.<br />

3. – Per la verità, al principio <strong>del</strong>la normale rilevabilità di ufficio dei fatti<br />

estintivi, modificativi ed impeditivi, Cass., 3 febbraio 1998, n. 1099, sulla scorta<br />

di un suggerimento avanzato in dottrina da Fabbrini (11), poneva un gravissimo<br />

limite: occorreva cioè che il convenuto allegasse il fatto estintivo, modificato,<br />

impeditivo in limine litis nella memoria difensiva (o, al più tardi, nell’udienza<br />

di discussione ex art. 420 c.p.c.).<br />

Era un limite non condivisibile, contrastante con gli orientamenti prevalenti<br />

nella dottrina (12), secondo la quale la logica <strong>del</strong>l’eccezione in senso ampio<br />

è nella rilevabilità di ufficio ad opera <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> fatto estintivo, modificativo,<br />

impeditivo, risultante dagli atti <strong>del</strong> processo, indipendentemente dalla<br />

deduzione, indicazione, allegazione <strong>del</strong>la parte interessata.<br />

Del resto, il limite espresso da Cass. 1099/1998 è stato ripudiato dalle<br />

successive, citate sentenze <strong>del</strong>le sezioni unite <strong>del</strong>la Corte di Cassazione,<br />

226/2001 (13) e 15561/2005. Sulla fattispecie esaminata in quest’ultima sentenza<br />

è il caso di soffermarsi, atteso il collegamento con il nostro caso. L’attore<br />

aveva chiesto dinanzi al Pretore il riconoscimento di un suo diritto, limi-<br />

––––––––––––<br />

(11) Voce Eccezione, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma 1989, p. 4; Id., voce Potere<br />

<strong>del</strong> giudice, in Enc. dir., XXIV, Milano 1985, pp. 728-729. Nello stesso senso, Scarselli,<br />

Note in tema di eccezione di cosa giudicata, in questa Rivista 1996, p. 829 ss. Vedasi anche<br />

Cavallini, Eccezione rilevabile di ufficio e struttura <strong>del</strong> processo, Napoli 2003, p. 81 ss.<br />

(12) Pugliatti, voce Eccezione (teoria generale), in Enc. dir., XV, Milano 1965, p.<br />

156; Verde, voce Domanda (principio <strong>del</strong>la), in Enc. giur. Treccani, XII, Roma 1989, p.<br />

8; Proto Pisani, La nuova disciplina <strong>del</strong> processo civile, Napoli 1991, p. 226; Merlin,<br />

Compensazione e processo, I, Milano 1991, p. 348, nota n. 62; Ciaccia Cavallari, La<br />

contestazione nel processo civile, I, La contestazione tra norme e sistema, Milano 1992,<br />

p. 97; Cavallone, Il giudice e la prova civile nel processo, Padova 1991, p. 160; Menchini,<br />

Osservazioni critiche sul cd. onere di allegazione dei fatti giuridici nel processo civile,<br />

in Studi in onore di Fazzalari, III, Milano 1993, p. 42; Balena, La riforma <strong>del</strong> processo<br />

di cognizione, Napoli 1994, p. 186 ss.; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale<br />

civile. Le tutele, I, Padova 2003, p. 234. Nel senso che il rilievo di ufficio possa aver luogo<br />

solo se la struttura e le regole <strong>del</strong> procedimento consentano alla parte di liberamente<br />

controdedurre in tempo utile, Buoncristiani, L’allegazione dei fatti nel processo civile.<br />

Profili sistematici, Torino 2001, p. 212 ss., in particolare p. 238, all’esito di un’indagine<br />

comparatistica.<br />

(13) Sulla sentenza, diffusamente, Oriani, Eccezioni rilevabili cit., p. 1016 ss.


GIURISPRUDENZA 739<br />

tandosi ad inserire nel proprio <strong>fascicolo</strong> l’atto interruttivo <strong>del</strong>la prescrizione<br />

<strong>del</strong> diritto stesso; di fronte all’eccezione di prescrizione proposta dal convenuto<br />

nella memoria difensiva, l’attore nulla aveva dedotto nel giudizio di primo<br />

grado; solo nell’atto di appello avverso la sentenza, che aveva rigettato la<br />

domanda per intervenuta prescrizione, era stata allegata l’interruzione <strong>del</strong>la<br />

prescrizione. Il Tribunale rigetta l’appello, sul riflesso che l’interruzione <strong>del</strong>la<br />

prescrizione si sarebbe dovuta dedurre dall’attore entro l’udienza di discussione<br />

<strong>del</strong> giudizio dinanzi al Pretore, onde l’eccezione, proposta per la prima<br />

volta in appello, era tardiva. Cass. 15661/2005 accoglie il ricorso, sul riflesso<br />

che siamo di fronte ad un’eccezione in senso lato. Ebbene, se Cass.<br />

15661/2005 avesse voluto ribadire la necessità <strong>del</strong>l’allegazione tempestiva dei<br />

fatti posti a fondamento <strong>del</strong>l’eccezione in senso lato, secondo l’idea di Cass.<br />

1099/1998, avrebbe dovuto confermare la sentenza e rigettare il ricorso; era<br />

<strong>del</strong> tutto pacifico, infatti, che l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione era stata dedotta<br />

(non all’udienza di discussione nel giudizio di primo grado), ma solo nell’atto<br />

di appello, di guisa che, anche ad ammettere la presenza di un’eccezione in<br />

senso lato, l’allegazione sarebbe stata tardiva. Ed invece Cass. 15661/2005,<br />

nell’accogliere il ricorso, statuisce che l’unico limite al rilievo di ufficio<br />

<strong>del</strong>l’eccezione in senso lato sta nel fatto che essa risulti, comunque, dagli atti<br />

<strong>del</strong> processo: « l’eccezione di interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, in quanto eccezione<br />

in senso lato, può essere rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque stato<br />

e grado <strong>del</strong> processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti » (14).<br />

––––––––––––<br />

(14) Una tale situazione avevo appunto posto in rilievo nella nota L’interruzione <strong>del</strong>la<br />

prescrizione cit., c. 2664, sostenendo che in modo implicito, ma inequivoco, era stato superato,<br />

ancora una volta (dopo Cass. 226/2001) il limite posto da Cass. 1099/1998, <strong>del</strong>la necessità<br />

di allegazione dei fatti entro l’udienza di discussione di primo grado (in ordine, poi,<br />

ai rapporti tra la proponibilità di nuove eccezioni in appello e principio di non contestazione,<br />

Oriani, Eccezioni rilevabili cit., p. 1170 ss.; Id., L’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, cit., c.<br />

2665). Non penso quindi di meritare le dure critiche di Cass., 30 gennaio 2006, n. 2035,<br />

secondo la quale « non può farsi dire » alla recente decisione dei giudici di legittimità<br />

sull’eccezione di interruzione <strong>del</strong>la prescrizione quello che « non dice », non essendo condivisibile<br />

l’assunto, pure avanzato in dottrina, che detta decisione comporta il seppur parziale<br />

disconoscimento di principi e regole giuridiche fissati in precedenti pronunziati, dovendo<br />

in contrario obiettarsi che dei pronunziati – in assenza di posizioni contrarie, espresse,<br />

certe e adeguatamente motivate – non possono essere disattesi in ragione dei compiti di<br />

nomofilachia assegnati ai giudici di legittimità ». È lecito replicare a Cass. 2035/2006, in<br />

primo luogo, che già Cass., s.u., 226/2001, con una posizione contraria, espressa, certa e<br />

adeguatamente motivata aveva contraddetto ed abbandonato Cass. 1099/1998, escludendo a<br />

chiare lettere la necessità <strong>del</strong>l’allegazione immediata dei fatti a base <strong>del</strong>l’eccezione in senso<br />

lato. Quindi Cass. 15661/05 non ha fatto altro che ribadire, tra due orientamenti opposti<br />

nell’ambito <strong>del</strong>la stesse Sezioni Unite, l’indirizzo più recente. In secondo luogo, è proprio<br />

Cass. 2035/2006 a far dire a Cass. 15661/2005 quello che non c’è scritto. Cass. 2035/2006,<br />

operando una sorta di interpretazione autentica, virgoletta il principio di diritto enucleabile


740<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

4. – Prescindiamo, pure, dalle sentenze <strong>del</strong>le Sezioni Unite. Non è, di certo,<br />

corretto affermare che in tanto si possono proporre eccezioni in senso lato in<br />

fase di appello, in quanto già risultino allegati in primo grado i fatti posti a fondamento.<br />

È utile ricordare come si è pervenuti all’attuale, univoca formulazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 345, comma 2° c.p.c.<br />

Va premesso che, normalmente, si contrappone l’appello come novum iudicium<br />

o come revisio prioris instantiae. In realtà, non ci si può accontentare di<br />

mere etichette fuorvianti, in quanto occorre partire dal regime positivo: non ex<br />

regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Orbene, fermo rimanendo<br />

la previsione sull’impossibilità di proporre nuove domande per la prima volta in<br />

appello, si assiste ad un moto pendolare per quanto riguarda le nuove eccezioni<br />

e le nuove prove in appello.<br />

Nel codice <strong>del</strong> 1940, « salvo che esistano gravi motivi accertati dal giudice,<br />

le parti non possono proporre nuove eccezioni ». Nella novella <strong>del</strong> 1950, si<br />

sancisce la libera proponibilità di nuove eccezioni, salvo incidenza sulle spese.<br />

Nel processo <strong>del</strong> lavoro <strong>del</strong> 1973, l’art. 437 prevede che « non sono ammesse<br />

nuove (…) eccezioni ». L’espressione utilizzata ben avrebbe potuto indurre a<br />

negare, nel rito <strong>del</strong> lavoro, la proposizione di una qualunque eccezione, in senso<br />

lato e in senso stretto, per la prima volta in appello.<br />

Sennonché, la giurisprudenza riferisce l’art. 437 soltanto alle eccezioni in<br />

senso stretto, così che è consentita la proposizione di eccezioni in senso lato per<br />

la prima volta in appello: sono deducibili in appello fatti estintivi, modificativi,<br />

impeditivi, non allegati nel corso <strong>del</strong> giudizio di primo grado (15).<br />

Ebbene, nell’intento di modificare l’art. 345 c.p.c., si propone di restringere<br />

i nova in appello, consentendo nuove eccezioni solo se relative a fatti sopravvenuti<br />

dopo la precisazione <strong>del</strong>le conclusioni e la rimessione <strong>del</strong>la causa al<br />

collegio ai sensi <strong>del</strong>l’art. 189. In particolare, si cerca di trasformare in legge la<br />

idea di Fabbrini, che i fatti posti a fondamento <strong>del</strong>l’eccezione in senso lato devono<br />

essere introdotti in limine litis nel giudizio di primo grado. Si propone la<br />

seguente formulazione: « in appello non possono allegarsi fatti nuovi: non possono<br />

formularsi nuove eccezioni, anche se fondate su fatti già allegati, tranne<br />

––––––––––––<br />

da Cass. 15661/2005; ebbene, se si sovrappongono i due principii, quello realmente enunciato<br />

e quello ipotetico, si vede chiaramente che Cass. 15661/2005 non si è mai sognata di<br />

dire che per il rilievo di ufficio <strong>del</strong>l’eccezione in senso lato occorre che la stessa sia stata<br />

allegata in limine litis, entro l’udienza di discussione nel processo di primo grado (se<br />

l’avesse detto, avrebbe dovuto rigettare il ricorso e non accoglierlo – come ha fatto – rinviando<br />

la causa ad altro collegio di appello « che si pronuncerà sul merito <strong>del</strong>la pretesa<br />

<strong>del</strong>l’attore »): occorre unicamente che risulti ritualmente provata. E, a meno di non creare<br />

nuovi principii, la Suprema Corte ha sempre distinto tra allegazione e prova.<br />

(15) Per riferimenti, Oriani, voce Eccezione, in Digesto, cit., pp. 302-303.


GIURISPRUDENZA 741<br />

che si tratti di eccezioni rilevabili di ufficio » (16). Un pagamento, che integra<br />

eccezione in senso lato, non sarebbe stato deducibile per la prima volta in appello:<br />

ciò in collegamento con l’idea che nuovi fatti dopo l’udienza di trattazione<br />

in primo grado non sono più allegabili.<br />

Questa camicia di gesso, che comporta una definitiva cristallizzazione,<br />

all’inizio <strong>del</strong> processo, <strong>del</strong>la res controversa, non è, però, accolta. Il legislatore<br />

<strong>del</strong> 1990 adotta una soluzione di compromesso tra due soluzioni: ammettere in<br />

un sistema di rigide preclusioni in primo grado, l’inserimento senza alcuna restrizione<br />

di nuovi fatti (e nuove prove) – il che è ben possibile, senza che si possa<br />

pretendere una correlazione logica e necessaria tra preclusioni eventualmente<br />

operanti in primo grado e le limitazione dei nova in appello (17) –; dall’altro<br />

lato, immaginare l’appello come un giudizio chiuso, svolgentesi solo sul materiale<br />

già acquisito in primo grado. Tra i due estremi ipotizzabili, la legge<br />

353/1990 si ispira non all’art. 437 c.p.c., ma alla prassi giurisprudenziale che si<br />

era formata riguardo a tale disposizione. Il compromesso viene raggiunto<br />

aprendo l’appello non a tutti i nuovi fatti ma solo a quelli che integrano<br />

un’eccezione in senso lato. Ne deriva una disposizione che in modo inequivoco,<br />

almeno a me pare, fissa i nova ammissibili, in quei fatti che integrano<br />

un’eccezione in senso lato e che possono essere dedotti anche se erano deducibili<br />

in primo grado (18).<br />

––––––––––––<br />

(16) Si tratta <strong>del</strong> testo finale <strong>del</strong>le Proposte di riforme urgenti <strong>del</strong> processo civile,<br />

predisposto su incarico <strong>del</strong>l’Associazione fra gli studiosi <strong>del</strong> processo civile da Giovanni<br />

Fabbrini, Andrea Proto Pisani, Giovanni Verde; il testo è riportato in Atti <strong>del</strong>l’Incontro di<br />

studio su Riforme urgenti <strong>del</strong> processo civile, Modena 14 giugno 1986, Milano 1987, p.<br />

163. Una successiva versione <strong>del</strong>l’art. 345, dovuta a Fabbrini e Proto Pisani (« nel giudizio<br />

di appello non possono allegarsi nuovi fatti, a meno che essi siano sopravvenuti successivamente<br />

alla precisazione <strong>del</strong>le conclusioni e alla rimessione <strong>del</strong>la causa al collegio<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 189. Non possono formularsi nuove eccezioni, anche se fondate su fatti<br />

già allegati, tranne che si tratti di eccezioni rilevabili di ufficio ») si legge in Foro it.<br />

1986, V, c. 74 (il parere favorevole <strong>del</strong> Consiglio Superiore <strong>del</strong>la Magistratura 18 maggio<br />

1988 si trova in Foro it. 1988, V, c. 249 ss.).<br />

Per i lavori preparatori <strong>del</strong> nuovo testo <strong>del</strong>l’art. 345, comma 2° c.p.c., introdotto<br />

dalla legge 16 novembre 1990, n. 353, cfr. Oriani, Eccezioni rilevabili, cit., p. 1166 ss.<br />

(17) Sul punto sono sempre attuali le lucide osservazioni di Cerino Canova, Relazioni<br />

sulle proposte di riforma <strong>del</strong> processo civile di cognizione, IV, Le impugnazioni, in<br />

questa Rivista 1977, p. 533 ss.<br />

(18) Non dovrebbe esserci alcun limite alla introduzione in appello di fatti nuovi,<br />

non deducibili nel corso <strong>del</strong> giudizio di primo grado, posto che riguardo alla allegazione<br />

degli stessi (non ancora verificatisi) non era concepibile alcuna preclusione. Di un tema<br />

<strong>del</strong> genere si è occupata Cass., 18 aprile 2005, n. 8086. Accolta la domanda ex art. 2932<br />

c.c. dal giudice di primo grado, l’appellante deduce che si è verificata la cessazione <strong>del</strong>la<br />

materia <strong>del</strong> contendere a seguito di intervenuta transazione nel corso <strong>del</strong> giudizio di primo<br />

grado; ma il giudice di appello dichiara inammissibile la deduzione in ordine alla


742<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Ormai sta scritto, nell’art. 345, comma 2°, che « non possono proporsi<br />

nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio »: non si pretende<br />

certo che i fatti posti a fondamento <strong>del</strong>l’eccezione in senso lato siano stati dedotti<br />

entro l’udienza di trattazione di primo grado. Il limite dei fatti allegati in<br />

primo grado, proposto nel corso dei lavori preparatori <strong>del</strong>la legge 353/1990, è<br />

definitivamente scomparso e non può essere reintrodotto surrettiziamente in via<br />

giurisprudenziale.<br />

Si può, eventualmente, discutere sull’art. 437 c.p.c., relativamente ai processi<br />

che seguono il rito <strong>del</strong> lavoro. Ma la univoca formulazione <strong>del</strong>l’art. 345,<br />

comma 2°, resa ancora più significativa ed evidente dalle modalità attraverso le<br />

quali si è arrivati alla sua definitiva stesura, esclude recisamente e rende improponibile<br />

ogni diversa lettura <strong>del</strong>la disposizione.<br />

5. – Ritorniamo al caso da cui abbiamo preso le mosse. In primo grado, di<br />

fronte all’eccezione di prescrizione <strong>del</strong> diritto di accettare l’eredità l’attore non<br />

formula alcuna allegazione diretta a contrastare l’eccezione in senso stretto; in<br />

grado di appello l’attore deduce per la prima volta che la prescrizione non si è<br />

verificata perché in realtà si è avuta tempestiva e rituale accettazione tacita<br />

<strong>del</strong>l’eredità. Il giudice di appello, nella decisione cassata, ritiene che si tratta di<br />

eccezione nuova non ammissibile. Cass. 10918/2005 afferma che si tratta di eccezione<br />

in senso improprio, concernente i fatti costitutivi <strong>del</strong> diritto dedotto in<br />

giudizio, come tale ammissibile. L’accettazione <strong>del</strong>l’eredità da parte dei danti<br />

causa <strong>del</strong>l’attore, in quanto integrante fatto costitutivo <strong>del</strong> diritto dedotto in giudizio,<br />

poteva essere dedotta in appello.<br />

La novità di Cass. 10918/2005 è, appunto, nel senso di aver fatto rientrare<br />

l’accettazione tempestiva <strong>del</strong>l’eredità nello schema dei fatti costitutivi <strong>del</strong> di-<br />

––––––––––––<br />

transazione novativa intervenuta tra le parti in quanto integrante eccezione in senso<br />

stretto. Cass. 8086/2005 osserva che è certamente vero che invocare una transazione novativa<br />

significa proporre un’eccezione in senso stretto (il che non è affatto condivisibile),<br />

« ma solo se e in quanto la si valuti come intesa a paralizzare la pretesa di controparte ed<br />

ottenere quindi una pronuncia di merito favorevole alla parte che la propone, ma tale impostazione<br />

non opera nei casi, quali quello di specie, in cui, a detta <strong>del</strong>la stessa Corte distrettuale,<br />

se ne debba in ipotesi trarre l’effetto <strong>del</strong>la cessazione <strong>del</strong>la materia <strong>del</strong> contendere.<br />

In tale prospettiva, la questione concerne invece profili pregiudiziali circa il permanere<br />

<strong>del</strong>l’ammissibilità <strong>del</strong>la domanda siccome connessi alla sopravvenienza di un difetto<br />

di interesse ad agire, per i quali non può negarsi la sussistenza di un controllo officioso<br />

da parte <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> merito, ai sensi <strong>del</strong>la seconda parte <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art.<br />

345 c.p.c. In base a tale argomentazione, perde rilievo qualsiasi questione relativa alla<br />

proponibilità o meno in primo grado <strong>del</strong>la questione in esame, dato che le eccezioni rilevabili<br />

d’ufficio in primo grado possono essere proposte per la prima volta in appello ».<br />

Per i rapporti tra eccezione di merito e cessazione <strong>del</strong>la materia <strong>del</strong> contendere, Scala, La<br />

cessazione <strong>del</strong>la materia <strong>del</strong> contendere nel processo civile, Torino 2001, p. 361 ss.


GIURISPRUDENZA 743<br />

ritto dedotto in giudizio (19). Non pare, peraltro, che questa impostazione possa<br />

essere condivisa.<br />

In realtà, la dottrina ha fatto presente che si può parlare di eccezioni da<br />

parte <strong>del</strong>l’attore sia in fase difensiva rispetto ad una domanda riconvenzionale<br />

<strong>del</strong> convenuto sia in funzione di replica ad un’eccezione <strong>del</strong> convenuto (c.d.<br />

eccezione replica), quale ad es. l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione (20). L’interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione integra, appunto, (non un fatto costitutivo <strong>del</strong> diritto<br />

dedotto in giudizio, ma) un fatto impeditivo di un fatto estintivo. Nello sviluppo<br />

dialettico <strong>del</strong> processo, di fronte alla deduzione di un fatto estintivo (che integra<br />

eccezione in senso stretto o in senso ampio), ben risulta concepibile che l’attore<br />

deduca a sua volta fatti estintivi o impeditivi, cui consegue la declaratoria di<br />

infondatezza <strong>del</strong>l’eccezione. Si pensi ai seguenti casi. Di fronte ad un’eccezione<br />

di compensazione <strong>del</strong> convenuto l’attore controeccepisce l’annullamento <strong>del</strong><br />

contratto da cui sorge il credito ovvero la prescrizione <strong>del</strong>lo stesso credito prima<br />

<strong>del</strong> verificarsi <strong>del</strong>le condizioni di cui all’art. 1242 c.c.; in presenza <strong>del</strong>l’eccezione<br />

di usucapione <strong>del</strong> convenuto, l’attore deduce l’interruzione <strong>del</strong> possesso;<br />

di fronte alla deduzione <strong>del</strong>l’esistenza di una transazione l’attore replica che<br />

la transazione si è risolta per grave inadempimento <strong>del</strong>la parte. Nel primo e<br />

nell’ultimo esempio, l’attore ha proposto eccezioni in senso stretto (21), da dedurre<br />

immediatamente, e non certo per la prima volta in appello. Ma non è affatto<br />

sicuro che ogni controeccezione costituisca eccezione in senso stretto. Già<br />

notava Bolaffi: « può darsi (…) che, di fronte ad un’eccezione in senso sostanziale,<br />

esista un fatto impeditivo o estintivo rilevabile di ufficio: così ad es. il pagamento<br />

di fronte all’eccezione di compensazione » (22).<br />

L’interprete dovrà stabilire se la controeccezione proposta dall’attore e che<br />

mira a far rigettare l’eccezione <strong>del</strong> convenuto, sia riservata esclusivamente alla<br />

parte (così che non è proponibile in appello) o sia rilevabile di ufficio (nel qual<br />

caso, è proponibile per la prima volta in appello).<br />

––––––––––––<br />

(19) Tavormina, Il processo come esecuzione forzata, Napoli 2001, p. 14 ss., sostiene,<br />

sulla base di una impostazione che dichiaratamente si allontana dal « modo corrente<br />

di esprimersi e di vedere le cose » e sulla quale non si può indugiare nella presente<br />

nota, che non esistono « giuridicamente fattispecie impeditive, modificative estintive<br />

contrapposte a fattispecie costitutive, né effetti i.m.e. contrapposti a effetti costitutivi, né<br />

“sottofattispecie” i.m.e. suscettibili di eliminare effetti i.m.e. e con ciò di far rivivere<br />

l’effetto costitutivo »; l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, in particolare, non è un fatto impeditivo<br />

di un fatto estintivo, ma è un fatto costitutivo <strong>del</strong>l’unica situazione giuridica<br />

soggettiva in senso proprio, che è il dovere, essendo i diritti, facoltà, interessi legittimi<br />

etc. pseudosituazioni.<br />

(20) Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele, cit., I, p. 235. Parla<br />

di controeccezioni, Mandrioli, Diritto processuale civile, 16 a ed., I, Torino 2004, p. 135.<br />

(21) Per altri esempi, Oriani, Eccezioni rilevabili, cit., p. 1158.<br />

(22) Bolaffi, Sull’efficacia <strong>del</strong>le cause di interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, in Foro it.<br />

1934, I, c. 688.


744<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Si tratta <strong>del</strong> tipo di indagine che ha compiuto Cass. 15661/2005 a proposito<br />

<strong>del</strong>l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione (23). Abbandonando un indirizzo risalente<br />

al 1923, la sentenza da ultimo citata ha ritenuto che l’interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione non integri un’eccezione in senso stretto: da un lato non vi<br />

è a differenza <strong>del</strong>l’art. 2938 c.c. per la eccezione di prescrizione, una disposizione<br />

che subordini l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione alla deduzione di parte e,<br />

dall’altro lato, essa non si coordina ad un’azione costitutiva; la ratio, poi,<br />

<strong>del</strong>l’eccezione di prescrizione non è assolutamente estensibile all’interruzione<br />

<strong>del</strong>la prescrizione.<br />

Si pone, a questo punto, l’interrogativo: identiche considerazioni sono utilizzabili<br />

anche a proposito <strong>del</strong>l’accettazione tempestiva <strong>del</strong>la eredità, ove sia<br />

stata eccepita la prescrizione <strong>del</strong> diritto di accettare l’eredità?<br />

6. – L’art. 480 sottopone a prescrizione il diritto di accettare l’eredità. Sicuramente<br />

però si tratta di una prescrizione sui generis, tanto che una parte<br />

<strong>del</strong>la dottrina ha parlato, al riguardo, di un vero e proprio termine di decadenza<br />

(24). Ed in realtà non pare proprio possibile, trattandosi di un diritto potestativo<br />

(25), applicare la normativa in tema di interruzione <strong>del</strong>la prescrizione (26).<br />

Infatti, l’interruzione <strong>del</strong>la prescrizione presuppone che il termine ricominci a<br />

decorrere o, nel caso di atti processuali, che si faccia luogo ad un protrarsi<br />

<strong>del</strong>l’interruzione: il diritto di accettare l’eredità, invece, o viene esercitato uno<br />

actu entro un certo periodo di tempo ed allora di interruzione non è da parlarsi,<br />

in quanto piuttosto una volta realizzato si consuma, o non viene esercitato e si<br />

perde. E la stessa situazione che si realizza ogni qualvolta nella sua discrezionalità<br />

il legislatore sottopone a prescrizione un diritto potestativo (27). L’interprete<br />

non può riqualificare quel termine come di decadenza; ma vi sono ine-<br />

––––––––––––<br />

(23) A proposito <strong>del</strong>l’impedimento <strong>del</strong>la decadenza, rilevabile di ufficio dal giudice,<br />

Cass., 29 aprile 2004, n. 8229.<br />

(24) Per riferimenti, Saporito, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, I, Padova<br />

1994, p. 246 ss.<br />

(25) Cfr., Santucci, Delazione ereditaria e chiamati successivi, in Riv. trim. dir.<br />

proc. civ. 1995, p. 371, ove citazioni.<br />

(26) Cfr. Oriani, Processo di cognizione e interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, Napoli<br />

1997, p. 38, nota n. 59. Da ultimo, Cass., 5 febbraio 2004, n. 2202, in Giur. it. 2004, p.<br />

2281, con nota di Bergamo, Termine per accettare l’eredità: « decadenza-prescrittiva »,<br />

secondo cui la prescrizione <strong>del</strong> diritto di accettazione <strong>del</strong>l’eredità non è soggetta ad interruzione<br />

in seguito al riconoscimento <strong>del</strong> diritto stesso da parte di chi beneficerebbe <strong>del</strong><br />

suo mancato esercizio entro il termine stabilito dall’art. 480 c.c. Già Cass., 1° giugno<br />

1993, n. 6099 aveva escluso che la prescrizione <strong>del</strong> diritto di accettare l’eredità fosse<br />

soggetto a cause di interruzione, con specifico riferimento agli atti provenienti dal titolare<br />

<strong>del</strong> diritto indicati nell’art. 2943 c.c.<br />

(27) Per più estese considerazioni, Oriani, Diritti potestativi, contestazione stragiudiziale<br />

e decadenza, Padova 2003, p. 130 ss.


GIURISPRUDENZA 745<br />

vitabilmente problemi, nascenti dal modo in cui si configura la situazione soggettiva<br />

sostanziale.<br />

Se la prescrizione si atteggia come un fatto estintivo <strong>del</strong> diritto di accettare<br />

l’eredità, l’accettazione si pone come un fatto impeditivo <strong>del</strong>l’estinzione <strong>del</strong><br />

diritto. A seguito <strong>del</strong> compimento <strong>del</strong> negozio unilaterale di accettazione, il<br />

soggetto acquista la qualità di erede.<br />

Non pare che ci siano controindicazioni particolari al ricorrere nella specie<br />

di un’eccezione in senso lato; non c’è una espressa disposizione di legge, né ci<br />

troviamo di fronte ad una sentenza costitutiva. L’effetto è prodotto dal mero<br />

esercizio <strong>del</strong> diritto sul piano sostanziale, senza bisogno <strong>del</strong>l’intermediazione di<br />

un provvedimento <strong>del</strong> giudice.<br />

La conclusione è che ci troviamo di fronte ad un effetto giuridico prodotto<br />

dall’esercizio di un diritto potestativo, che, ove serva a far respingere la domanda<br />

attrice o l’eccezione <strong>del</strong>la controparte, dà luogo ad un’eccezione in senso<br />

lato.<br />

7. – Per la verità, si potrebbe arrivare ad una conclusione diversa, ove si<br />

condivida l’orientamento, che traspare da alcune sentenze <strong>del</strong>la Corte di cassazione<br />

(28), che sembrano ravvisare la presenza di un’eccezione in senso stretto<br />

ogni qualvolta siamo di fronte ad un’eccezione riconvenzionale. Ricorrerebbe<br />

eccezione riconvenzionale (29) allorquando entra in gioco (non un fatto giuridico,<br />

ma) un rapporto giuridico, la cui sussistenza porterebbe al rigetto <strong>del</strong>la domanda<br />

attrice: tale rapporto, suscettibile di autonomo accertamento, costituirebbe<br />

appunto sempre materia di eccezione in senso stretto. Ne discenderebbe che<br />

ove l’effetto giuridico, prodotto dall’esercizio <strong>del</strong> diritto potestativo, viene a<br />

configurare un fatto estintivo, modificativo, impeditivo <strong>del</strong> diritto dedotto in<br />

giudizio (dando luogo ad un’eccezione o ad una controeccezione), ci troveremmo<br />

di fronte ad una eccezione in senso stretto. La qualità di erede, pertanto,<br />

conseguente all’accettazione di eredità, potendo costituire oggetto di autonomo<br />

accertamento, darebbe luogo ad un’eccezione riconvenzionale, la quale a sua<br />

volta integra un’eccezione in senso stretto.<br />

L’orientamento giurisprudenziale non è condivisibile. Anche con riguardo<br />

all’eccezione riconvenzionale, vale la regola che, di norma, c’è il rilievo di ufficio,<br />

salvo che la legge non preveda diversamente o l’eccezione non si coordini<br />

ad un’azione costitutiva. Ad es., non pare contestabile che l’usucapione (tipica<br />

eccezione riconvenzionale) dia luogo ad un’eccezione in senso stretto, atteso il<br />

––––––––––––<br />

(28) Cfr. ad es. Cass., 20 agosto 1998, n. 8255; Cass., 26 aprile 2004, n. 7917. Del<br />

resto di tale orientamento è traccia anche nella sentenza annotata, in cui l’eccezione in<br />

senso stretto viene identificata con l’eccezione riconvenzionale. Per una critica di tali<br />

indirizzi, Oriani, Eccezioni rilevabili cit., p. 1022 ss.<br />

(29) Sul tema <strong>del</strong>l’eccezione riconvenzionale, anche per riferimenti, Oriani, voce<br />

Eccezione, in Digesto, cit., p. 283 ss.


746<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

combinato disposto degli artt. 1165 e 2938 c.c. Ma, in mancanza di una norma<br />

ad hoc, effetti giuridici suscettibili di autonomo accertamento e che risultino<br />

dagli atti <strong>del</strong> processo, sono rilevabili di ufficio, non dovendo essere introdotti<br />

da un’iniziativa riservata esclusivamente alla parte interessata. Per l’acquisto<br />

<strong>del</strong>la qualità di erede a seguito di accettazione tempestiva, non pare che la legge<br />

preveda un regime particolare né risulta configurabile un’azione costitutiva. Ne<br />

deriva che, ove serva a far rigettare la domanda o l’eccezione di prescrizione,<br />

essa, in quanto a fondamento di un’eccezione in senso lato, è proponibile per la<br />

prima volta in appello.<br />

8. – In conclusione, Cass. 10918/2005, ove si considerino i risultati cui in<br />

concreto perviene (indipendentemente dalla motivazione), si rivela importante<br />

sotto più profili. Essa, in primo luogo, ribadisce che in fase di appello si possono<br />

proporre eccezioni in senso ampio, deducendosi fatti estintivi, modificativi<br />

ed impeditivi, che pure non sono stati allegati in primo grado; in secondo luogo,<br />

esclude che le eccezioni riconvenzionali danno necessariamente luogo ad<br />

un’eccezione in senso stretto.<br />

Un ultimo rilievo. La sentenza annotata ha precisato che il giudice di rinvio<br />

« giudicherà, adeguandosi al principio di diritto qui affermato e valutando la<br />

rilevanza dei mezzi di prova richiesti dagli appellanti principali nonché la loro<br />

ammissibilità ai sensi <strong>del</strong> terzo comma <strong>del</strong>l’art. 345 c.p.c. ». La sentenza è stata<br />

<strong>del</strong>iberata prima, ma pubblicata dopo le note decisioni <strong>del</strong>le Sezioni Unite <strong>del</strong>la<br />

S.C. 20 aprile 2005 nn. 8202 e 8203 (30), che abbandonando un condivisibile<br />

orientamento assolutamente prevalente, hanno subordinato alla presenza <strong>del</strong> requisito<br />

<strong>del</strong>la indispensabilità la produzione dei documenti nuovi in appello.<br />

Nella specie, erano stati appunto prodotti nuovi documenti per la prima volta in<br />

appello. Ed allora, fermo rimanendo che in sede di rinvio non potrà più discutersi<br />

sull’ammissibilità <strong>del</strong>la nuova allegazione, può anche darsi che la pronuncia<br />

rescindente <strong>del</strong>la S.C. si riveli <strong>del</strong> tutto inutile, ove il giudice di rinvio ritenga<br />

la « non indispensabilità » dei documenti prodotti.<br />

RENATO ORIANI<br />

––––––––––––<br />

(30) In Foro it. 2005, I, c. 1693 con note di Dalfino, Barone e Proto Pisani; in Corriere<br />

giur. 2005, p. 929, con note di Ruffini e Cavallini; in questa Rivista 2005, p. 1051,<br />

con nota di Cavallone; in Giur. it. 2005, p. 1457, con nota di Socci; in Giust. civ. 2005, I,<br />

p. 2033, con nota di Giacalone-Caccaviello.


I<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. II civ., 27 luglio 2005, n. 15705<br />

Pres. Pontorieri – Rel. Mazziotti Di Celso<br />

Maurino e Ferrero c. Maurino<br />

Non è nulla la sentenza che decide il merito <strong>del</strong>la controversia in base ad<br />

una questione rilevabile d’ufficio e non prospettata dal giudice alle parti nel<br />

corso <strong>del</strong> processo (1).<br />

II<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. III civ., 5 agosto 2005, n. 16577<br />

Pres. Vittoria – Rel. Preden<br />

Banca Napoli S.p.A. c. C.D.<br />

La mancata segnalazione, da parte <strong>del</strong> giudice, di questione sollevata<br />

d’ufficio, che comporti nuovi sviluppi <strong>del</strong>la lite non presi in considerazione<br />

dalle parti, determina nullità <strong>del</strong>la sentenza per violazione <strong>del</strong> diritto di difesa<br />

<strong>del</strong>le parti, private <strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong> contraddittorio, con le connesse facoltà di<br />

modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste<br />

istruttorie, sulla questione che ha condotto alla decisione (2).<br />

I<br />

(Omissis). – Con il primo motivo di ricorso Maurino Matteo e Ferrero<br />

Caterina denunciano violazione degli articoli 183, terzo comma, c.p.c., 111 e 24<br />

Costituzione lamentando l’errore commesso dalla corte di appello nell’aver<br />

omesso di segnalare alle parti le questioni rilevabili di ufficio come era invece<br />

suo dovere e come imposto dalle citate norme per attuare il principio <strong>del</strong> contraddittorio<br />

e per evitare la c.d. decisione « a sorpresa » o « <strong>del</strong>la terza via ».


748<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Il motivo è infondato, posto che il Collegio condivide il prevalente orientamento<br />

giurisprudenziale di questa Corte secondo cui non è affetta da nullità e non<br />

è oggetto di alcuna censura la sentenza che si fonda su una questione rilevata<br />

d’ufficio al momento <strong>del</strong>l’assunzione <strong>del</strong>la decisione e non sottoposta dal giudice<br />

al preventivo contraddittorio <strong>del</strong>le parti con l’indicazione alle stesse parti di detta<br />

questione. Non può infatti essere pronunciata la nullità per inosservanza [<strong>del</strong>la<br />

disciplina] (*) di atti <strong>del</strong> processo se la nullità non è comminata dalla legge: una<br />

disposizione in tal senso manca nell’articolo 183 c.p.c. come sanzione<br />

<strong>del</strong>l’omessa indicazione alle parti <strong>del</strong>le questioni rilevabili di ufficio (nei sensi<br />

suddetti: sentenze 29/4/1982 n. 2712; 18/4/1998 n. 3940; 28/1/2004 n. 1573 ove<br />

in particolare: si esclude che l’articolo 183 c.p.c. come sopra interpretato, si ponga<br />

in contrasto con i principi di cui all’articolo 24 Costituzione). (Omissis).<br />

II<br />

(Omissis). – 3.1.1. Questa Corte ha avuto modo di statuire che è nulla la<br />

sentenza che si fonda su una questione rilevata d’ufficio e non sottoposta dal<br />

giudice al contraddittorio <strong>del</strong>le parti (sent. n. 14637/01). A tale principio il<br />

Collegio ritiene di uniformarsi, per le seguenti ragioni.<br />

3.1.2. Il comma 3 <strong>del</strong>l’art. 183 c.p.c., il quale dispone che « Il giudice richiede<br />

alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le<br />

questioni rilevabili d’ufficio <strong>del</strong>le quali ritiene opportuna la trattazione », richiama<br />

il giudice al dovere di collaborazione con le parti nella formazione <strong>del</strong>la<br />

materia <strong>del</strong> giudizio, ed è volto a garantire il principio <strong>del</strong> contraddittorio che<br />

governa il processo.<br />

Principio che il giudice deve far osservare e deve osservare egli per primo,<br />

segnalando alle parti le questioni suscettive di rilievo officioso, onde consentire<br />

che su di esse si apra la discussione e sia consentito alle parti di precisare domande<br />

ed eccezioni, allegare altri elementi di fatto e richiedere nuove prove,<br />

così evitando di esporre i contendenti a decisioni « a sorpresa » o « <strong>del</strong>la terza<br />

via » solitamente adottate.<br />

E ciò in piena coerenza con il regime <strong>del</strong>le preclusioni e <strong>del</strong>lo ius poenitendi<br />

(di cui al comma 4 <strong>del</strong> citato art. 183), in virtù <strong>del</strong> quale è consentito alle<br />

parti di aggiustare le proprie posizioni in conseguenza <strong>del</strong>lo sviluppo dialettico<br />

<strong>del</strong> processo, sia esso dovuto all’attività <strong>del</strong>le parti ovvero all’esercizio <strong>del</strong> potere<br />

di segnalazione <strong>del</strong> giudice, ove questo abbia determinato un ampliamento<br />

<strong>del</strong>la materia <strong>del</strong> giudizio.<br />

I richiamati principi, sia pur espressi da norma dettata per disciplinare la<br />

––––––––––––<br />

(*) Le parole tra parentesi quadra sono aggiunte da E.F. Ricci.


GIURISPRUDENZA 749<br />

prima udienza di trattazione, valgono per l’intero corso <strong>del</strong> processo, dovendosi<br />

osservare per tutto il suo sviluppo dal giudice, in posizione di terzietà, il dovere<br />

di collaborazione con le parti ed essendo intrinseco al corretto svolgimento di<br />

un giusto processo il principio <strong>del</strong> contraddittorio (art. 111 Cost.).<br />

Consegue che, in primo grado, anche successivamente alla prima udienza<br />

e fino al momento in cui deve adottare la sua decisione, il giudice che ritenga<br />

di decidere la lite in base ad una questione rilevata d’ufficio, senza<br />

averla previamente sottoposta alle parti al fine di provocare su di essa il<br />

contraddittorio e consentire lo svolgimento <strong>del</strong>le opportune difese in relazione<br />

al mutato quadro <strong>del</strong>la materia <strong>del</strong> giudizio, deve astenersi dal decidere<br />

solitariamente e procedere alla segnalazione <strong>del</strong>la questione che intende rilevare<br />

d’ufficio, riaprendo su di essa il dibattito e dando spazio alle consequenziali<br />

attività.<br />

Conferma di tale conclusione si desume dalla norma dettata dall’art. 184<br />

bis c.p.c. (« La parte che dimostra di essere incorsa in dacadenze per causa ad<br />

essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini<br />

»), che esprime anch’essa il principio <strong>del</strong> contraddittorio, perché la rimessione<br />

in termini <strong>del</strong>la parte che incolpevolmente non ha potuto avvalersi <strong>del</strong>le<br />

facoltà che la legge le attribuisce nella fase <strong>del</strong>la trattazione ed in quella dedicata<br />

alle deduzioni istruttorie, consente di strutturare un contraddittorio altrimenti<br />

carente.<br />

La violazione <strong>del</strong> dovere di collaborazione, integrata dalla mancata segnalazione<br />

<strong>del</strong>le questioni che il giudice ritiene di sollevare d’ufficio, determina,<br />

nel caso in cui si tratti di questioni che aprono nuovi sviluppi <strong>del</strong>la lite non<br />

presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale, nullità <strong>del</strong>la<br />

sentenza per aver violato il diritto di difesa <strong>del</strong>le parti (art. 24 Cost.), privandole<br />

<strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong> contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande<br />

ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie, sulla questione<br />

che ha condotto alla decisione solitaria.<br />

Qualora la violazione <strong>del</strong>la norma procedimentale che impone al giudice<br />

di segnalare la questione rilevabile d’ufficio avvenga in primo grado, la<br />

sua denuncia in appello, accompagnata dalla indicazione <strong>del</strong>le attività processuali<br />

che la parte avrebbe potuto porre in essere se fosse stata provocata a<br />

discutere sulla questione, determina, se fondata, non già la regressione al<br />

primo giudice non vertendosi in una <strong>del</strong>le ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c.,<br />

bensì la rimessione in termini per lo svolgimento, nel processo di appello,<br />

<strong>del</strong>le attività il cui esercizio non è stato possibile, come è dato desumere dal<br />

comma 4 <strong>del</strong> citato art. 354.<br />

Qualora la violazione, nei termini suindicati, si sia verificata nel giudizio<br />

di appello, la sua deduzione in cassazione determina, se fondata, la cassazione<br />

<strong>del</strong>la sentenza con rinvio, affinché in tale sede, in applicazione <strong>del</strong>l’art. 394,<br />

comma 3 c.p.c. sia dato spazio alle attività processuali che la parte abbia lamentato<br />

di non aver potuto svolgere a causa <strong>del</strong>la decisione solitariamente<br />

adottata dal giudice. (Omissis).


750<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

(1-2) La sentenza « <strong>del</strong>la terza via » e il contraddittorio<br />

1. – Ampio settore <strong>del</strong>la dottrina è convinto che il giudice, qualora si<br />

astenga dal segnalare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio (contravvenendo<br />

a quanto previsto dall’art. 183 c.p.c.), violi il principio <strong>del</strong> contraddittorio<br />

con la conseguente nullità <strong>del</strong>la sentenza (1). Non tutti sono d’accordo, peraltro,<br />

con l’opinione appena riferita (2); e le sentenze qui pubblicate alimentano<br />

il dibattito. Con la sentenza n. 15705/2005 la Cassazione nega che la sentenza<br />

così detta « <strong>del</strong>la terza via » sia nulla, ripetendo quanto già deciso con altre<br />

pronunce (citate in motivazione). Con la sentenza n. 16577 (a distanza di meno<br />

di un mese) essa fa sua la tesi contraria, già condivisa con la sentenza n.<br />

14637/2001 (3).<br />

È da attendere, credo, che il contrasto tra le due ultime e ravvicinate decisioni<br />

sia la premessa per una prossima presa di posizione <strong>del</strong>le Sezioni Unite;<br />

ed è anzi da augurarsi che ciò accada, perché sul problema va eliminata qualsiasi<br />

incertezza. Ma nell’attesa è opportuno continuare la discussione, sia pure nei<br />

limiti consentiti da una breve nota di commento.<br />

2. – L’argomento principale, sul quale si fonda la sentenza n.<br />

15705/2005 non mi persuade. Si invoca il principio <strong>del</strong>la tassatività <strong>del</strong>le nullità,<br />

e si osserva che la nullità <strong>del</strong>la sentenza non è espressamente prevista<br />

dalla legge nel caso in cui il giudice, contravvenendo a quanto previsto<br />

dall’art. 183 c.p.c., si astenga dal segnalare alle parti le questioni rilevabili<br />

d’ufficio. Ma il principio <strong>del</strong>la tassatività <strong>del</strong>le nullità riguarda le nullità così<br />

dette « formali », non anche le nullità così dette « extraformali »; e la nullità<br />

discendente dall’avvenuta violazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> contraddittorio come<br />

––––––––––––<br />

(1) Cfr. per tale orientamento: V. Denti, Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio,<br />

in Riv. dir. proc. 1968, p. 217 ss.; C. Ferri, Contraddittorio e poteri decisori<br />

<strong>del</strong> giudice, in Studi Urbinati 1980-1982 (ma 1984), p. 3 ss.; L.P. Comoglio, Le garanzie<br />

costituzionali in: L.P. Comoglio, C. Ferri, M. Taruffo, Lezioni sul processo civile,<br />

2 a ed., Bologna 2005, p. 73 ss.; idem, Le garanzie fondamentali <strong>del</strong> « giusto processo<br />

», in: idem, Etica e tecnica <strong>del</strong> « giusto processo », Torino 2005, p. 39 ss., spec. 71<br />

ss.; F.P. Luiso, Questione rilevata d’ufficio e contraddittorio, in Giust. civ. 2002, I,<br />

p. 1612 ss., spec. 1613 ss.; M.G. Civinini, Poteri <strong>del</strong> giudice e poteri <strong>del</strong>le parti nel<br />

processo ordinario di cognizione. Rilievo officioso <strong>del</strong>le questioni e contraddittorio, in<br />

Foro it. 1999, V, p. 2 ss., spec. 8. Altri riferimenti in S. Chiarloni, La sentenza « <strong>del</strong>la<br />

terza via » in cassazione: un altro caso di formalismo <strong>del</strong>le garanzie?, in Giur. it.<br />

2002, p. 1363 (nota 2).<br />

(2) Cfr. infatti S. Chiarloni, Op. cit., p. 1363 ss.; idem, Questioni rilevabili d’ufficio,<br />

diritto di difesa e « formalismo <strong>del</strong>le garanzie », in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1987,<br />

p. 569 ss., spec. 573 ss.<br />

(3) Vedila in Giur. it. 2002, p. 1363 ss.


GIURISPRUDENZA 751<br />

garanzia fondamentale è (almeno in linea di massima) « extraformale ». Il carattere<br />

di garanzia fondamentale, che è propria <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> contraddittorio,<br />

per l’appunto a questo deve condurre: alla nullità <strong>del</strong>la sentenza in caso di<br />

violazione, anche quando non siano ravvisabili vizi formali nella decisione<br />

stessa o nel corso <strong>del</strong> procedimento.<br />

Il problema, se la mancata segnalazione di questioni rilevabili d’ufficio<br />

da parte <strong>del</strong> giudice violi o non violi il principio <strong>del</strong> contraddittorio, va peraltro<br />

affrontata liberamente; e la risposta negativa mi convince più di quella positiva.<br />

Il principio <strong>del</strong> contraddittorio richiede infatti che ogni parte abbia la<br />

possibilità di difendersi in modo adeguato, con accesso alle fonti di informazione<br />

sulle quali sarà fondata la futura decisione; ma non richiede anche che<br />

le parti approfittino di quanto vedono o sono in grado di vedere nell’ambito<br />

<strong>del</strong> processo, perché anche il silenzio è il frutto di una scelta legittima (di carattere<br />

lato sensu defensionale); e, quando si impone alle parti una difesa tecnica,<br />

mediante avvocati in grado di vedere e comprendere quanto emerge dal<br />

<strong>fascicolo</strong> <strong>del</strong> processo, la garanzia <strong>del</strong> contraddittorio è in ogni caso salva.<br />

Dirò di più: se si vuole che il contraddittorio sia libero, anche il silenzio <strong>del</strong><br />

difensore su questioni rilevabili d’ufficio deve essere protetto come scelta<br />

possibile; e questa libertà verrebbe meno, se il difensore non potesse scegliere<br />

il silenzio come atteggiamento difensivo, senza correre il rischio <strong>del</strong>la nullità<br />

<strong>del</strong>la futura sentenza.<br />

Considero dunque con favore la sentenza n. 15705/2005, nonostante<br />

l’errore che ritengo di individuare nel ragionamento compiuto dalla Corte; e mi<br />

auguro che le Sezioni Unite, quando saranno chiamate a risolvere il contrasto<br />

giurisprudenziale creatosi, ne confermino l’orientamento contro la tesi affermata<br />

dalla sentenza n. 16577/2005.<br />

3. – Naturalmente, in questo modo si diminuisce l’importanza di quanto<br />

previsto dall’art. 183 c.p.c. in ordine alla segnalazione, da parte <strong>del</strong> giudice,<br />

<strong>del</strong>le questioni rilevabili d’ufficio; ed una volta escluso che tale norma abbia la<br />

funzione di assicurare l’attuazione <strong>del</strong> contraddittorio come garanzia, sorge il<br />

problema di darle una giustificazione diversa. Ma il problema può forse essere<br />

risolto agevolmente.<br />

Di ciò si è accorto Sergio Chiarloni, secondo il quale la norma impone al<br />

giudice un dovere di collaborazione con le parti, concretizzandosi in una attività<br />

di stimolo affinché i difensori facciano effettivamente quanto potrebbero<br />

(4); e si tratta di una diagnosi molto suggestiva, capace di mettere a frutto<br />

anche i contributi che sulla « collaborazione » nel processo sono dovuti al<br />

––––––––––––<br />

(4) Op. cit., p. 1363.


752<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

compianto amico Eduardo Grasso (5). Si tratta inoltre di una spiegazione (per<br />

chi la condivida nel merito) in grado di risolvere veramente il problema in<br />

termini diversi da quelli offerti dal contraddittorio come garanzia <strong>del</strong> processo.<br />

Anche se la sentenza n. 16577/2005 sembra unificare il principio <strong>del</strong> contraddittorio<br />

come garanzia e il principio di collaborazione, come se l’uno e<br />

l’altro fossero espressione di una medesima regola di fondo, è infatti chiaro<br />

che si tratta di regole differenti, non confondibili l’una con l’altra; e Sergio<br />

Chiarloni ha perfettamente ragione, quando colloca la violazione <strong>del</strong> principio<br />

di collaborazione e la violazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> contraddittorio come garanzia<br />

su piani diversi.<br />

Ho tuttavia una diffidenza di fondo verso tutte le descrizioni <strong>del</strong> processo,<br />

che si fondano su visioni di tipo « collaborativo » piuttosto che sul necessario<br />

equilibrio di forze contrapposte; ed in virtù di questa scelta di campo preferisco<br />

un’altra spiegazione.<br />

Secondo me, l’art. 183 c.p.c. ha a che vedere con il principio <strong>del</strong> contraddittorio,<br />

ma sotto un profilo diverso da quello <strong>del</strong> suo significato di garanzia<br />

di difesa. Il contraddittorio è anche lo strumento, mediante il quale – attraverso<br />

la contrapposizione dialettica tra tesi diverse – si persegue il fine di una<br />

decisione fondata sulla più plausibile ricostruzione dei fatti e su una corretta<br />

diagnosi in iure; ed in tanto il contraddittorio adempie a tale sua funzione, in<br />

quanto le parti esercitino effettivamente la loro facoltà di interloquire. Avendosi<br />

di mira la giustizia <strong>del</strong>la futura decisione, il contraddittorio come garanzia<br />

di difesa non basta più: occorre che le parti si avvalgano <strong>del</strong>le loro facoltà;<br />

e proprio per questo la legge prevede che il giudice, prima di rassegnarsi ad<br />

affrontare e risolvere da solo la questione rilevabile d’ufficio, faccia il possibile<br />

per stimolare il dibattito.<br />

Se tuttavia il giudice si astiene dal compiere quanto la legge prevede,<br />

non per questo la futura sentenza può considerarsi nulla. Può darsi che, essendo<br />

mancato il dibattito tra le parti, proprio perché non aiutato il giudice<br />

risolva in modo erroneo la questione rilevabile d’ufficio; ma, se ciò accade,<br />

il rimedio va trovato unicamente nei mezzi, con i quali si fa valere<br />

l’ingiustizia <strong>del</strong>la sentenza. Se invece il giudice, nella sua solitudine, ha comunque<br />

risolto correttamente la questione rilevabile d’ufficio, ciò vuol dire<br />

che la mancanza <strong>del</strong> dibattito tra le parti non ha provocato alcuna conseguenza<br />

negativa e la sentenza merita di essere tenuta ferma. Tutto si gioca<br />

insomma sul versante <strong>del</strong>la giustizia o ingiustizia <strong>del</strong>la decisione, non su<br />

quello <strong>del</strong>la sua validità o nullità.<br />

In concreto, l’incidenza <strong>del</strong>la questione rilevata dal giudice d’ufficio<br />

senza previo dibattito tra le parti può variare da caso a caso. Talora le parti,<br />

––––––––––––<br />

(5) Mi riferisco, ovviamente, al saggio La collaborazione nel processo civile, in<br />

Riv. trim. dir. e proc. civ. 1966, p. 580 ss.


GIURISPRUDENZA 753<br />

pur non avendo discusso <strong>del</strong>la questione rilevata d’ufficio (e magari non<br />

avendola nemmeno percepita), hanno comunque introdotto nel processo tutti<br />

gli elementi di cognizione necessari (sotto forma di allegazioni, prove precostituite,<br />

istanze istruttorie ecc.): ed allora la « terza via » si riduce ad una nuova<br />

diagnosi giuridica su una valutazione dei fatti non lacunosa e non pregiudicata<br />

da omissioni (almeno dal punto di vista <strong>del</strong>le fonti di informazione disponibili).<br />

Altre volte, invece, la mancata prospettazione <strong>del</strong>la questione come<br />

oggetto di dibattito ha conseguenze più gravi. La questione rilevabile d’ufficio<br />

può infatti imprimere alla controversia un andamento totalmente diverso<br />

da quello sul quale le parti si sono avviate, tanto da aprire la strada alla possibilità<br />

(o necessità), di nuove allegazioni, nuove prove, nuove istanze istruttorie;<br />

ed in questo caso la decisione sul caso concreto nasce male, perché fondata<br />

su un panorama informativo lacunoso. Si può dire che, in una simile<br />

ipotesi, la sentenza rischia seriamente di essere ingiusta proprio perché il<br />

contraddittorio non ha funzionato.<br />

Comprensibile è allora anche la tentazione di correre ai ripari; ed affermare<br />

la nullità <strong>del</strong>la sentenza significa consentire un rimedio, facendo ritornare il<br />

processo ad un momento, nel quale il panorama <strong>del</strong>le fonti informative può ancora<br />

essere completato. La sentenza n. 16577/2005 interviene proprio in un’ipotesi<br />

di questo tipo.<br />

Credo tuttavia che a simile tentazione si debba resistere, perché non si<br />

può (e secondo me nemmeno si deve) attribuire al giudice il compito di correggere<br />

gli errori dei difensori, come funzione istituzionale. Concedo che,<br />

quando ci si trova di fronte alla controversia tra una parte normalmente forte<br />

e una parte normalmente debole, l’intervento <strong>del</strong> giudice può essere impiegato<br />

dalla legge per riequilibrare la situazione; e può anche darsi che, in simili<br />

specifici casi, l’iniziativa <strong>del</strong> giudice si configuri come dovere di particolare<br />

intensità, sino al punto di provocare la nullità <strong>del</strong>la sentenza nel caso<br />

di mancato esercizio. Ma si tratta allora di casi di settore, dai quali non va<br />

ricavata una regola generalmente applicabile; e soprattutto mi pare che, se<br />

vogliamo spiegare questi profili <strong>del</strong> diritto positivo in modo convincente, il<br />

puro e semplice principio <strong>del</strong> contraddittorio come garanzia fondamentale<br />

<strong>del</strong> processo non serva più. Meglio è invocare altri « valori », come quello di<br />

solidarietà.<br />

4. – I rilievi appena compiuti possono offrire il destro per compiere, sul<br />

principio <strong>del</strong> contraddittorio, una riflessione di carattere metodologico e concettuale;<br />

ed anche se una breve nota di commento mal si presta alle teorizzazioni,<br />

vorrei prendermi la libertà di compiere un breve accenno anche a questo tema.<br />

Si tratta soltanto, d’altronde, di esprimere in termini più generali quanto i<br />

rilievi compiuti lasciano intravedere da soli.<br />

Anche se il principio <strong>del</strong> contraddittorio costituisce una fondamentale<br />

garanzia <strong>del</strong> processo, non si deve per ciò stesso pensare che riguardino tale


754<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

fondamentale garanzia tutte le norme, che mirano a sfruttare il contraddittorio<br />

per altri fini: i quali possono essere giustificati e nobilissimi, ma con le vere e<br />

proprie garanzie (intese quali regole strutturali che devono essere proprie di<br />

qualsiasi processo) non hanno niente a che vedere. Né manca una precisa linea<br />

di demarcazione tra le ipotesi, nelle quali il contraddittorio funziona come<br />

garanzia fondamentale, e quelle, nelle quali esso è impiegato ad altri scopi.<br />

Nel primo caso (contraddittorio come garanzia) ci si preoccupa di ciò che le<br />

parti possono o non possono fare, <strong>del</strong> loro possibile accesso alle fonti di informazione<br />

rilevanti per la decisione, <strong>del</strong>la loro parità di trattamento e <strong>del</strong>la<br />

libertà <strong>del</strong>la loro autodeterminazione. Negli altri casi è necessario procedere<br />

oltre, perché il contraddittorio diventa strumento per il perseguimento di fini<br />

ulteriori soltanto nei limiti, in cui le facoltà concesse alle parti vengano effettivamente<br />

esercitate.<br />

Nasce da questa distinzione di fondo anche la diversità <strong>del</strong>l’atteggiamento,<br />

che si deve avere quando si nota che in una qualsiasi ipotesi concreta il contraddittorio<br />

non ha avuto effettivamente luogo o non ha avuto luogo in modo<br />

completo ovvero equilibrato.<br />

Se il difetto di contraddittorio discende da un impedimento che è stato<br />

opposto all’attività difensiva <strong>del</strong>le parti, si è di fronte ad un vizio <strong>del</strong> processo<br />

(quale che sia la fonte <strong>del</strong>l’impedimento di cui si parla); ed il problema di sapere,<br />

se la sentenza sia o non sia nulla, è inevitabile. Ma se l’effettivo contraddittorio<br />

è mancato, perché le parti non hanno sfruttato le possibilità difensive<br />

loro concesse dalla legge, il discorso cambia; e il difetto di contraddittorio<br />

viene in giuoco non come violazione di una garanzia fondamentale, ma<br />

come ostacolo alla realizzazione degli altri fini, che tramite l’effettivo dibattito<br />

tra le parti si volevano perseguire. Il problema di sapere, se la sentenza sia<br />

o non sia valida, deve allora essere affrontato con estrema prudenza; e la risposta<br />

può essere nel senso <strong>del</strong>la invalidità <strong>del</strong>la decisione, soltanto se la finalità<br />

perseguita tramite l’effettivo dibattito tra le parti è tanto importante, da<br />

giustificare una così grave sanzione. La conseguenza <strong>del</strong>la nullità non può essere<br />

naturalmente esclusa a priori e senza verifica; ma la si può affermare<br />

soltanto se il « valore » perseguito tramite l’effettivo dibattito tra le parti ha in<br />

comune con il contraddittorio come garanzia il predicato <strong>del</strong>l’assoluta imprescindibilità;<br />

e il discorso deve avviarsi per una strada nuova, nella quale<br />

l’onere di dimostrare la nullità <strong>del</strong>la decisione incombe per intero su chi vuole<br />

sostenerla.<br />

EDOARDO F. RICCI


(1-2) « Terza via » e processo « giusto »<br />

GIURISPRUDENZA 755<br />

1. – Devo alla cortesia di Edoardo Ricci il privilegio (e l’innegabile<br />

vantaggio) di esprimere qualche mia considerazione sulle pronunce in esame,<br />

dopo di aver attentamente letto ed apprezzato in anteprima il suo fine<br />

commento, riportato supra. Ma non intendo certo approfittare di quel vantaggio,<br />

dilungandomi in una superflua (e presuntuosa) riproposizione degli<br />

argomenti che, da tempo, dividono gli studiosi sul tema di fondo, la cui <strong>del</strong>icatezza<br />

ormai non sfugge ad alcuno. Mi limito, quindi, come si conviene<br />

all’economia di queste brevi annotazioni, a rinverdire il dibattito con talune<br />

aggiornate informazioni e digressioni, che spero non appaiano <strong>del</strong> tutto inutili.<br />

Gli interrogativi di fondo sono alquanto chiari. Ci si chiede:<br />

1) se, nell’accertata emersione di una questione rilevabile d’ufficio, di<br />

cui nel corso <strong>del</strong> giudizio le parti non si siano avvedute (o comunque non si siano<br />

avvalse, astenendosi dal dedurla mediante un’eccezione in senso lato), il<br />

giudice che l’abbia rilevata ed intenda porne la soluzione a fondamento <strong>del</strong>la<br />

propria decisione, abbia (non già il mero potere discrezionale, bensì) il poteredovere<br />

di indicarla previamente alle parti, provocando in tal modo il loro contraddittorio<br />

nella trattazione <strong>del</strong>la medesima;<br />

2) se, inoltre, nel caso in cui, rilevata la questione, egli la affronti e la risolva<br />

in sede decisoria, senza aver previamente provocato quel contraddittorio<br />

tra le parti nel corso <strong>del</strong> giudizio, la sentenza da lui pronunciata sia affetta da<br />

radicale nullità.<br />

Con Ricci – lo dico subito – sono pienamente d’accordo nel censurare<br />

l’iter motivazionale seguito dalla prima <strong>del</strong>le due sentenze.<br />

Le ragioni <strong>del</strong> dissenso sono essenzialmente due.<br />

Da un lato, la Corte nega che possa dirsi nulla la sentenza, quando essa si<br />

fondi sulla risoluzione di una questione rilevabile (ed, in concreto, rilevata)<br />

d’ufficio per la prima volta dal giudice nel momento <strong>del</strong>la decisione, ma da lui<br />

previamente non prospettata alle parti nel corso <strong>del</strong> giudizio, invocando sic et<br />

simpliciter il principio generale di tassatività, enunciato per le nullità c.d.<br />

« formali » dall’art. 156, 1° comma, c.p.c. Essa, quindi, trova un agevole rifugio<br />

nel constatare come la violazione di quanto stabilisce il 3° comma <strong>del</strong>l’art.<br />

183 (6) non sia assistita da alcuna espressa sanzione di « nullità ».<br />

Ma, con ciò, essa dimentica – come giustamente sottolinea Ricci – un dato<br />

sistematico elementare (quasi scolastico, oserei dire), e cioé che la violazione<br />

<strong>del</strong> principio <strong>del</strong> contraddittorio si inquadra fra le nullità c.d. « extraformali »,<br />

nei cui confronti i principi consacrati nel cit. art. 156 (eccezion fatta, forse, per<br />

––––––––––––<br />

(6) Come si sa, nella norma, novellata dalla l. n. 80 <strong>del</strong> 2005 con effetto dal 1°<br />

gennaio 2006, il 3° comma è rimasto invariato, diventando però numericamente<br />

il 4°.


756<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

quello « di chiusura », sancito nel comma 2°) non sono direttamente invocabili.<br />

Possono, dunque, ben configurarsi – come si sostiene, pacificamente, anche in<br />

altri ordinamenti (tanto di civil, quanto di common law) (7) – nullità non testuali<br />

(o, se si preferisce, virtuali) (8), geneticamente derivanti da garanzie costituzionali<br />

(quali sono, appunto, quelle a presidio <strong>del</strong>la difesa e <strong>del</strong> contraddittorio), i<br />

cui effetti, a prescindere da qualsiasi sanzione testuale prevista da norme ordinarie<br />

(9), sono di per sé cogenti e inderogabili per tutti (ed, in particolare, per i<br />

giudici, funzionalmente sottoposti al principio di legalità) (10).<br />

Dall’altro lato, la Corte – spiace rimarcarlo – invoca con una certa superficialità<br />

l’autorità dei « precedenti » citati, utilizzando talvolta a supporto<br />

<strong>del</strong>la tesi preferita, nell’ambito <strong>del</strong>l’orientamento giurisprudenziale definito<br />

« prevalente », meri obiter dicta in luogo di vere e proprie rationes decidendi,<br />

sì da alimentare il rischio di una confusione fra piani d’indagine <strong>del</strong> tutto diversi.<br />

Di quei « precedenti », riesaminati in ordine cronologico, il meno recente<br />

riguarda la ritenuta discrezionalità (e la conseguente insindacabilità impugnatoria)<br />

<strong>del</strong> potere <strong>del</strong> giudice di richiedere alle parti i « chiarimenti » (o<br />

gli « schiarimenti ») « necessari », ai sensi <strong>del</strong>l’art. 183, comma 2° (11);<br />

quello intermedio, avendo di mira tutt’altro obiettivo, afferma incidenter la<br />

––––––––––––<br />

(7) Si pensi, tanto per citare esempi emblematici, alle nullità di ordine costituzionale<br />

da cui sarebbero inficiate – diventando, quindi, inutilizzabili nel processo – le<br />

prove formate, acquisite od assunte in violazione di un divieto costituzionale (vale a<br />

dire, nell’ordinamento processuale tedesco, di un grundgesetzliche Beweisverbot, od,<br />

in quello nordamericano, di una exclusionary rule). Per riferimenti ulteriori, mi permetto<br />

di rinviare alla mia opera Le prove civili, 2 a ed., Torino 2004, pp. 51-70, testo e<br />

note.<br />

(8) Sulla falsariga di quelle che si ammettono, da sempre, nel diritto privato (cfr., in<br />

coordinamento fra di loro, i principi desumibili dall’art. 1418, 1°-2°-3° comma, c.c.).<br />

(9) Sanzioni di tale natura – pur non essendo affatto indispensabili – possono testualmente<br />

trovarsi a corredo di garanzie costituzionali particolarmente <strong>del</strong>icate, ove<br />

occorra imprimere una peculiare enfasi alle esigenze di difesa di taluni diritti fondamentali<br />

<strong>del</strong>l’individuo (si pensi all’art. 13, comma 2°, Cost., ove i provvedimenti restrittivi<br />

<strong>del</strong>la libertà personale, adottati dall’autorità di pubblica sicurezza « in casi eccezionali<br />

di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge », se non vengano<br />

« convalidati » dall’autorità giudiziaria nei termini prestabiliti, « …si intendono revocati<br />

e restano privi di ogni effetto … »; si parla qui, tradizionalmente, di una sanzione<br />

di « caducazione » direttamente enunciata dalla norma stessa ed operante ex se, a prescindere<br />

dalla presenza di altre disposizioni sanzionatorie, contenute in norme processuali<br />

ordinarie).<br />

(10) Mi riferisco, naturalmente, all’art. 101, comma 2°, Cost., in relazione agli artt.<br />

113 e 822 c.p.c., nonché a tutte le implicazioni ritraibili dal brocardo jura novit curia.<br />

(11) Nel testo antecedente alla riforma <strong>del</strong> 1990. Cfr. Cass., 29 aprile 1982, n. 2712,<br />

in Rep. Foro it. 1982, voce Procedimento civile, n. 136, e, con riferimento alla riaffermata<br />

insindacabilità <strong>del</strong> potere <strong>del</strong> giudice di ammettere, o meno, una consulenza tecnica,<br />

ivi, voce Consulente tecnico, n. 17.


GIURISPRUDENZA 757<br />

ritenuta insindacabilità <strong>del</strong> potere <strong>del</strong> giudice di disporre d’ufficio mezzi di<br />

prova (12); mentre il più recente, pur affrontando in termini argomentativi il<br />

nostro stesso problema, dichiara inapplicabile « in blocco » nei giudizi in<br />

materia di contratti agrari dinanzi alle sezioni specializzate, ove opera (come è<br />

noto) il rito <strong>del</strong> lavoro, la disciplina <strong>del</strong>la prima udienza di trattazione nel rito<br />

ordinario ex art. 183, e quindi, assai discutibilmente (13), anche la regola sancita<br />

dal comma 3° (14).<br />

2. – Non è, certo, in ragione di una preconcetta coerenza con un’opinione<br />

già espressa in tempi (per così dire) non sospetti (15), ma è per un mio perdurante<br />

convincimento che ritengo preferibile – a differenza di quanto opina Ricci<br />

– la tesi garantistica, ribadita, con argomenti sistematici in parte apprezzabili,<br />

dalla seconda <strong>del</strong>le due sentenze in commento (vale a dire, da Cass., n. 16577<br />

<strong>del</strong> 2005). Mi auguro, quindi, che quella tesi possa essere, eventualmente, confermata<br />

da un successivo intervento <strong>del</strong>la Corte a sezioni unite.<br />

Qui, il solo « precedente » disponibile, cui si richiama il Supremo Collegio,<br />

è inequivoco (ed è stato, a suo tempo, salutato con difformi rilievi dai suoi<br />

autorevoli annotatori) (16). Ma va ricordato come alla consacrazione <strong>del</strong> mede-<br />

––––––––––––<br />

(12) Cass., 18 aprile 1998, n. 3940, ivi 1998, voce Procedimento civile, n. 196, si<br />

occupava, in termini decisori, <strong>del</strong> problema attinente alla certificazione ufficiale (ad opera<br />

<strong>del</strong> cancelliere) <strong>del</strong>l’avvenuto inserimento di un documento prodotto nel <strong>fascicolo</strong> di<br />

parte, in relazione agli artt. 74 e 87 disp.att. c.p.c.; ma, in motivazione, pur riferendosi<br />

anche all’art. 183, comma 2°, c.p.c., nel respingere uno dei motivi secondari di gravame<br />

ribadiva l’insindacabilità impugnatoria <strong>del</strong>l’esercizio (o <strong>del</strong> mancato esercizio) <strong>del</strong> potere<br />

<strong>del</strong> giudice di disporre d’ufficio mezzi di prova (con riguardo all’art. 23, comma 6°, <strong>del</strong>la<br />

l. 24 novembre 1981, n. 689, e con richiamo esemplificativo di Cass., 11 aprile 1994, n.<br />

3367, ivi 1996, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, n. 165).<br />

Sull’esigenza di rivedere la tesi <strong>del</strong>l’insindacabilità impugnatoria dei poteri ufficiosi<br />

<strong>del</strong> giudice, soprattutto laddove essi si configurino come poteri-doveri, alla luce<br />

<strong>del</strong>l’obbligo di motivazione e <strong>del</strong>le garanzie strutturali <strong>del</strong> « giusto processo » (ex art.<br />

111, commi 1°-2° e 6°, Cost.), mi permetto di rinviare alla mia opera Etica e tecnica <strong>del</strong><br />

« giusto processo », Torino 2004, pp. 327-377.<br />

(13) Tale argomentazione rivela, in tutto il suo equivoco significato, una rimarchevole<br />

espressione (sia pure « a rovescio ») di quello che Sergio Chiarloni ebbe ad etichettare,<br />

a suo tempo, come il « formalismo <strong>del</strong>le garanzie ».<br />

(14) Nella versione posteriore al 1990. Cfr. Cass., 28 gennaio 2004, n. 1572, in<br />

Rep. Foro it. 2004, voce Contratti agrari, n. 88.<br />

(15) Mi permetto di rinviare ancora ai miei scritti: Le garanzie costituzionali, in<br />

Comoglio, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile, 2 a ed., Bologna 1998, pp. 73-75<br />

(ma cfr. ora, per altri cenni, la stessa op. cit., 3 a ed., vol. I, Bologna 2005, pp. 77-78); Etica<br />

e tecnica, cit., pp. 71-74.<br />

(16) Si tratta di Cass., 21 novembre 2001, n. 14637, in Rep. Foro it. 2001, voce<br />

Procedimento civile, n. 215, e 2002, voce cit., n. 249, nonché, per esteso, in Giur. it.<br />

2002, 1363, con nota di Chiarloni, La sentenza <strong>del</strong>la « terza via » in cassazione: un altro


758<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

simo principio, con un deciso revirement rispetto all’indirizzo anteriore, sia<br />

pervenuta ancor prima, in termini non meno univoci, la giurisprudenza amministrativa<br />

(17), ben consapevole <strong>del</strong> fatto che – come mi capitò pure di sostenere<br />

in altra sede (18) – l’atto <strong>del</strong> « rilevare » d’ufficio una questione si estrinseca<br />

necessariamente nell’atto di « indicare » alle parti quanto si sia rilevato, onde<br />

consentire loro di interloquire in merito, prima che il giudice possa su di essa<br />

comunque pronunziarsi.<br />

Ora, laddove lo si legga « in positivo », il divieto di pronunzia <strong>del</strong>le c.d.<br />

« sentenze a sorpresa », basate come si diceva sull’opzione <strong>del</strong> giudice per una<br />

« terza via » (comunque diversa da quella che ciascuna <strong>del</strong>le parti ebbe a tracciare<br />

in contraddittorio con l’altra), si traduce – in alcuni sistemi di civil law a<br />

noi particolarmente vicini (19) – in un preciso dovere <strong>del</strong> giudice (la cui inosservanza<br />

è deducibile, in quanto tale, come vizio in procedendo <strong>del</strong>la sentenza,<br />

nei giudizi di gravame) di provocare preventivamente il contraddittorio pieno<br />

<strong>del</strong>le parti su ogni questione, di fatto o di diritto, avente incidenza decisoria, che<br />

egli ritenga di rilevare d’ufficio, riservandosi poi di porla a fondamento <strong>del</strong>la<br />

successiva sua pronunzia. Ne è un ovvio corollario – quando il rilievo d’ufficio<br />

avvenga per la prima volta nel momento in cui viene <strong>del</strong>iberata la sentenza (20)<br />

––––––––––––<br />

caso di formalismo <strong>del</strong>le garanzie?, e in Giust. civ. 2002, I, 1611-1612, con nota di F.P.<br />

Luiso, Questione rilevata di ufficio e contraddittoria: una sentenza « rivoluzionaria<br />

»?, 1612.<br />

(17) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 24 gennaio 2000, n. 1, in Foro it. 2000, III, 305-<br />

308, sp. 307, con nota di A. Travi. Se ne riveda anche la massima: « Il giudice amministrativo,<br />

prima di decidere una questione rilevata d’ufficio, deve indicarla alle parti, per<br />

consentirne la trattazione, in attuazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> contraddittorio (nella specie, il<br />

Consiglio di Stato, prima di rilevare d’ufficio l’irricevibilità <strong>del</strong>l’appello, aveva indicato<br />

in udienza la relativa questione ed aveva assegnato alle parti un termine per presentare<br />

memorie in proposito) ».<br />

(18) In Le garanzie costituzionali, cit., p. 74.<br />

(19) Nel sistema processuale francese <strong>del</strong> 1975, cfr. l’art. 16 (« Le juge doit, en<br />

toutes circonstances, faire observer et observer lui-même le principe de la<br />

contradiction. – Il ne peut retenir, dans sa décision, les moyens, les explications et les<br />

documents invoqués ou produits par les parties que si celles-ci ont été à même d’en<br />

débattre contradictoirement. – Il ne peut fonder sa décision sur les moyens de droit<br />

qu’il a relevés d’office sans avoir au préalable invité les parties à présenter leurs<br />

observations. »).<br />

Previsioni analoghe, che qui per brevità si omettono, si trovano altresì: da un lato,<br />

nel § 139, commi 2°-3°-4°, <strong>del</strong>la ZPO tedesca, dopo le riforme <strong>del</strong> 2001-2002; dall’altro,<br />

nel nuovo § 182a <strong>del</strong>la ZPO austriaca, dopo le Riforme <strong>del</strong> 2002 (sul punto, A. Henke,<br />

Prime osservazioni sulla riforma <strong>del</strong> diritto processuale civile austriaco, in Riv. dir.<br />

proc. 2003, pp. 815-836, sp. pp. 818-819).<br />

(20) Come parrebbe lasciare trasparire, nella versione d’origine, tuttora invariata,<br />

l’art. 276, comma 2°, c.p.c., ove si afferma che « il collegio, sotto la direzione <strong>del</strong> presi-


GIURISPRUDENZA 759<br />

– la necessità di ammettere e di disporre una « regressione » <strong>del</strong>la causa alla<br />

precedente fase di trattazione (21), onde ripristinare in tale sede il pieno contraddittorio<br />

fra le parti sulla questione rilevata d’ufficio.<br />

Mi rendo perfettamente conto <strong>del</strong> fatto che l’invocare (o, come faccio qui,<br />

l’indicare ad esempio) esperienze comparatistiche di un certo tipo, formatesi per<br />

di più in contesti sociali ed ideologici non sempre affini, per i nostri quesiti (cfr.<br />

supra, § 1) non est solvere argumentum. Né, a supporto <strong>del</strong>la tesi garantistica, è<br />

risolutivo – lo riconosco – il fatto che, nel trend riformistico di questi ultimi e<br />

convulsi mesi, contrassegnati da incoerenze e da forzature di tempi o di accenti,<br />

si sia pensato di rimodulare le regole sul principio di diritto ed, in risposta ad un<br />

risalente interrogativo (22), si sia ritenuto di sancire che la Corte di cassazione,<br />

ove, nel decidere anche il merito, ritenga di « porre a fondamento <strong>del</strong>la sua decisione<br />

una questione rilevata d’ufficio », debba assegnare alle parti ed al pubblico<br />

ministero un termine, non inferiore a 20 e non superiore a 60 giorni dalla<br />

comunicazione <strong>del</strong>l’ordinanza, « per il deposito di osservazioni sulla medesima<br />

questione », così salvaguardando « dall’interno » (e senza rinvio ad altro giudice)<br />

la garanzia <strong>del</strong> previo contraddittorio (23).<br />

Ma non è risolutivo, mi pare, nemmeno nell’opposta direzione il riferirsi<br />

ad altri principi (qual è quello <strong>del</strong>la collaborazione fra le parti ed il giudice)<br />

(24), che, pur trovando una loro precisa collocazione nel contesto <strong>del</strong><br />

« giusto processo », nulla hanno tecnicamente a che vedere con il principio<br />

<strong>del</strong> contraddittorio, poichè si fondano sulla salvaguardia e sull’attuazione di<br />

valori diversi (25). Né mi sembra risolutivo – aggiungerei – il rifarsi ad una<br />

indubbia (e non contestabile) duplicità di fini istituzionali <strong>del</strong> contraddittorio,<br />

il quale non è soltanto, per un verso, il punto d’equilibrio <strong>del</strong>le garanzie of-<br />

––––––––––––<br />

dente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili<br />

d’ufficio e quindi il merito <strong>del</strong>la causa ».<br />

(21) Sui diversi modi di ripristino <strong>del</strong> previo contraddittorio, a seconda dei gradi di<br />

giudizio, cfr. il § 3.1.2. di Cass., n. 16577 <strong>del</strong> 2005, qui commentata.<br />

(22) Per ulteriori richiami, si consulti, volendo, ancora la mia opera Etica e tecnica<br />

cit., pp. 73-74.<br />

(23) Si veda l’art. 12 (recante modifiche all’art. 384 c.p.c.) <strong>del</strong> disegno di decreto<br />

legislativo <strong>del</strong>egato in base alle direttive impartite dalla legge di <strong>del</strong>ega [art. 1, comma<br />

3°, lett. a), <strong>del</strong>la l. 14 maggio 2005, n. 80]. Tale norma è, ad es., riprodotta in Foro it.<br />

2005, I, 2735, ad integrazione dei riferimenti per Cass., 25 marzo 2005, n. 6462, sui<br />

criteri di interpretazione <strong>del</strong> c.d. principio di diritto (ivi, 2734-2738). La norma è, poi,<br />

stata definitivamente varata con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nel quadro di un’ampia<br />

riforma <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong> processo di cassazione.<br />

(24) Si riveda la motivazione di Cass., n. 16577 <strong>del</strong> 2005, supra.<br />

(25) Si pensi – nel contesto dei valori etici e deontologici (di buona fede, di correttezza,<br />

di lealtà e di probità) compendiati dall’aggettivo « giusto », quale predicato necessario<br />

<strong>del</strong> « processo », in base all’art. 111, comma 1°, Cost. – al coordinamento sistematico<br />

fra l’art. 175, comma 1°, e gli artt. 88-89 c.p.c.


760<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

fensive e difensive <strong>del</strong>le parti, ma è anche, per altro verso, sul piano tecnicopolitico,<br />

in ogni sistema processuale ispirato alla prevalenza <strong>del</strong> principio dispositivo,<br />

lo strumento d’elezione per l’accertamento dialettico <strong>del</strong>la verità<br />

dei fatti controversi e, quindi, per il conseguimento di un « giusto » provvedimento<br />

di tutela.<br />

3. – Continuo, però, ad essere convinto <strong>del</strong> fatto che una persuasiva risposta<br />

ai due interrogativi formulati supra (nel § 1) sia possibile ex ante ed in<br />

astratto (o, per così dire, a monte), senza dover sindacare in concreto se le<br />

parti, poste in condizione di interloquire sulla questione rilevata d’ufficio, si<br />

avvalgano effettivamente dei mezzi di difesa a loro disposizione e, soprattutto,<br />

a prescindere dai modi in cui tale questione appaia, ex post, risolta (in un<br />

senso o nell’altro, correttamente oppure no) dallo stesso giudice che ebbe a<br />

rilevarla.<br />

Credo che l’ottica nella quale occorre porsi sia sempre quella, costituzionale,<br />

<strong>del</strong> dovere di « imparzialità », la cui costante osservanza assicura al giudice,<br />

in ogni « giusto processo », una istituzionale posizione di « terzietà »<br />

super partes. Egli, certamente, nell’esercizio dei suoi poteri di direzione <strong>del</strong><br />

procedimento non può dirsi destinatario di alcun dovere istituzionale che – al<br />

di fuori dei mo<strong>del</strong>li processuali in cui la legge gli riconosce uno specifico<br />

ruolo « assistenziale » nei confronti <strong>del</strong>la parte più debole (26) – gli imponga<br />

interventi « correttivi », ogni qual volta egli si avveda degli eventuali errori<br />

difensivi di taluna <strong>del</strong>le parti, posto che siffatti interventi opererebbero inevitabilmente<br />

a (sicuro) vantaggio <strong>del</strong>l’una e a (non meno sicuro) detrimento<br />

<strong>del</strong>l’altra.<br />

Ma, proprio in forza di quel medesimo dovere di « imparzialità », non sarebbe<br />

concepibile che egli, pur avvedendosi tempestivamente di una questione<br />

rilevabile d’ufficio, <strong>del</strong>la quale nessuna <strong>del</strong>le parti si sia data carico (vuoi, da un<br />

lato, per mera inavvertenza; vuoi, dall’altro, per un presumibile « calcolo » difensivo,<br />

che induca al silenzio la parte cui la sua prospettazione potrebbe non<br />

giovare o, viceversa, la parte cui converrebbe serbare per il prosieguo la relativa<br />

eccezione), si astenesse dal rilevarla e dall’indicarla come oggetto di un preventivo<br />

contraddittorio, al solo fine di non interferire nelle libere scelte strategiche<br />

<strong>del</strong>le contrapposte difese. Verrebbe certamente meno a quel suo dovere il<br />

giudice che, in siffatta situazione, omettesse <strong>del</strong>iberatamente di « rilevare » e di<br />

––––––––––––<br />

(26) È, tradizionalmente, quanto avviene nel processo <strong>del</strong> lavoro e nei riti assimilati,<br />

ove, attraverso il ruolo « forte » <strong>del</strong> giudice, si tende a conseguire il duplice obiettivo<br />

<strong>del</strong>la « moralizzazione » e <strong>del</strong>la « socializzazione » <strong>del</strong> processo (si rileggano, in proposito,<br />

alcuni passi significativi <strong>del</strong>la Relazione dei Senatori Martinazzoli e Torelli sulla l.<br />

11 agosto 1973, n. 533, riportata in Denti, Simoneschi, Il nuovo processo <strong>del</strong> lavoro,<br />

Milano 1974, p. 349).


GIURISPRUDENZA 761<br />

« indicare » d’ufficio la questione alle parti, anche quando si rendesse conto <strong>del</strong><br />

fatto che il silenzio di una di esse altro non sia, se non il possibile strumento di<br />

una manovra « sleale » posta in essere dal litigante più avveduto in danno<br />

<strong>del</strong>l’altro.<br />

Il problema, forse, si chiarisce e si risolve da sé, quando si faccia derivare<br />

dal principio costituzionale di legalità, di cui è compiuta espressione il brocardo<br />

jura novit curia, la genesi di un vero e proprio potere-dovere <strong>del</strong> giudice di rilevare<br />

immediatamente, quando se ne avveda, e di sottoporre al previo vaglio<br />

dialettico <strong>del</strong>le parti una questione rilevabile d’ufficio (27), che perlopiù coinvolge<br />

materie attinenti all’ordine pubblico, sostanziale o processuale, all’osservanza<br />

di norme inderogabili o comunque all’attuazione di valori costituzionali<br />

(28).<br />

Siffatto potere-dovere, dunque, scaturisce direttamente dalle norme costituzionali<br />

(29), imponendo in ogni caso al giudice – anche in assenza <strong>del</strong><br />

tramite (o <strong>del</strong> filtro) rappresentato da una corrispondente norma processuale<br />

ordinaria (30) – sia di rilevare una questione di tale natura, non appena egli<br />

se ne accorga, sia di indicarla tempestivamente alle parti, per farne oggetto<br />

<strong>del</strong> loro pieno « contraddittorio », prima di deciderla (non importa, poi, se in<br />

termini positivi oppure in termini negativi). Posto che dalla violazione dei<br />

menzionati precetti costituzionali può derivare (non meno direttamente) la<br />

sanzione di nullità, da cui sarebbe affetta la sentenza che pronunziasse sulla<br />

questione rilevata d’ufficio, senza il previo contraddittorio <strong>del</strong>le parti, la<br />

stessa norma processuale di riferimento (vale a dire, il cit. art. 183, com-<br />

––––––––––––<br />

(27) Come è noto, nel nostro ordinamento, si ritiene che normalmente (cioè, di<br />

regola) – al di fuori dei casi in cui, espressamente, la legge subordini il rilievo di una<br />

questione ad una corrispondente eccezione in senso proprio, proponibile dal solo soggetto<br />

legittimato (ex art. 112 c.p.c.) – la deduzione di questioni sia oggetto di eccezioni<br />

in senso lato, come tali sempre rilevabili anche d’ufficio dal giudice. Per ulteriori<br />

riferimenti, si riveda, volendo, la mia opera Le prove civili cit., pp. 196-197, testo<br />

e note.<br />

(28) Ad es., a valori di tale natura (relativi, nel caso, all’autonomia negoziale privata)<br />

si richiama l’indirizzo giurisprudenziale, che configura come un potere-dovere<br />

esercitabile d’ufficio dal giudice, e non già come una potestà subordinata all’istanza di<br />

parte, la reductio ad aequitatem <strong>del</strong>la penale, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c. (sul punto, cfr.<br />

Cass., 23 maggio 2003, n. 8188, in Rep. Foro it. 2004, voce Contratto in genere, n. 484,<br />

e, per esteso, in Nuova giur. civ. comm. 2004, I, 553-555, con nota di R. Palasciano, La<br />

riducibilità ex officio <strong>del</strong>la clausola penale tra equità <strong>del</strong>le sanzioni e principio <strong>del</strong>la<br />

domanda, 555-566; Cass., 4 giugno 2004, n. 3490, in Rep. Foro it. 2004, voce cit.,<br />

n. 486).<br />

(29) Segnatamente, dall’art. 101, comma 1°, e dall’art. 111, commi 1°-2°.<br />

(30) Mi riferisco, ancora, al cit. art. 183, comma 3° (4°, dopo la l. n. 80 <strong>del</strong> 2005),<br />

c.p.c., la cui potenziale portata viene abitualmente estesa dallo stretto ambito <strong>del</strong>la prima<br />

udienza di trattazione all’intero corso <strong>del</strong> processo.


762<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

ma 4°, c.p.c.) (31) non va più interpretata come genesi di un potere meramente<br />

discrezionale <strong>del</strong> giudice, ma va riqualificata come fonte di un suo<br />

potere-dovere di rilevare e di indicare tempestivamente alle parti ogni questione<br />

rilevabile d’ufficio, la cui trattazione, lungi dal potersi ritenere caso<br />

per caso come semplicemente « opportuna », dovrà sempre essere intesa come<br />

costituzionalmente « necessaria ».<br />

––––––––––––<br />

(31) Nella versione corretta dalla l. n. 80 <strong>del</strong> 2005.<br />

LUIGI PAOLO COMOGLIO


CORTE DI CASSAZIONE, sez. I civ., sentenza 27 maggio 2005, n. 11322<br />

Pres. Plenteda – Rel. Benini<br />

S.r.l. Cometa e altri c. Comune di Roma e altri<br />

Il ricorso incidentale per Cassazione, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 371, comma 2˚,<br />

c.p.c., deve essere proposto nel termine di quaranta giorni dalla notifica <strong>del</strong><br />

ricorso principale, e non dalla notifica <strong>del</strong> primo ricorso incidentale, perchè<br />

avverso quest’ultimo il comma 4˚ <strong>del</strong>l’art. 371 c.p.c. prevede solo la proponibilità<br />

<strong>del</strong> controricorso, ma non anche di un ulteriore ricorso incidentale,<br />

derivandone diversamente una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi,<br />

in contrasto con il principio per il quale l’impugnazione incidentale è<br />

proponibile solo dalle parti contro cui è stata proposta l’impugnazione principale<br />

(1).<br />

(Omissis). – Ancora in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità <strong>del</strong><br />

ricorso incidentale <strong>del</strong>la Agricola Lieta s.r.l., in quanto proposto fuori dai termini:<br />

il ricorso incidentale per Cassazione, ai sensi <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art.<br />

371 c.p.c., deve essere proposto nel termine di quaranta giorni dalla notifica<br />

<strong>del</strong> ricorso principale, e non dalla notifica <strong>del</strong> primo ricorso incidentale, perchè<br />

avverso quest’ultimo il quarto comma <strong>del</strong>l’art. 371 cit. prevede solo la proponibilità<br />

<strong>del</strong> controricorso, ma non anche di un ulteriore ricorso incidentale,<br />

derivandone diversamente una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi,<br />

in contrasto con il principio per il quale l’impugnazione incidentale è proponibile<br />

solo dalle parti contro cui è stata proposta l’impugnazione principale (da<br />

ultimo: Cass. 30.3.2004, n. 6282). Vale però il controricorso da essa contestualmente<br />

sviluppato, per contraddire il ricorso incidentale <strong>del</strong> Comune (e<br />

<strong>del</strong>l’Atac). (Omissis).<br />

(1) Il termine per la proposizione <strong>del</strong> ricorso incidentale in cassazione<br />

<strong>del</strong>la parte impugnata in via incidentale<br />

1. – La sentenza che si annota ha affrontato il problema <strong>del</strong>la individuazione<br />

<strong>del</strong> termine per la proposizione <strong>del</strong> ricorso incidentale in cassazione<br />

da parte di colui contro il quale sia stato già proposto altro ricorso incidentale.


764<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Secondo la Corte di Cassazione « il ricorso incidentale per cassazione, ai<br />

sensi <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art. 371 c.p.c., deve essere proposto nel termine<br />

di quaranta giorni dalla notifica <strong>del</strong> ricorso principale, e non dalla notifica <strong>del</strong><br />

primo ricorso incidentale, perchè avverso quest’ultimo il quarto comma <strong>del</strong>l’art.<br />

371 cit. prevede solo la proponibilità <strong>del</strong> controricorso, ma non anche di<br />

un ulteriore ricorso incidentale, derivandone diversamente una serie indeterminata<br />

di ricorsi incidentali tardivi, in contrasto con il principio per il quale<br />

l’impugnazione incidentale è proponibile solo dalle parti contro cui è stata proposta<br />

l’impugnazione principale » (1).<br />

––––––––––––<br />

(1) Affermazioni di analogo tenore si riscontrano in diverse pronunce: Cass.,<br />

17 luglio 1992, n. 8724: « né potrebbe ipotizzarsi una decorrenza dei termini per il<br />

secondo ricorso incidentale dalla notifica <strong>del</strong> precedente ricorso incidentale, perchè<br />

avverso il ricorso incidentale l’art. 371 c.p.c., quarto comma, prevede solo la proponibilità<br />

di controricorso, non anche di un ulteriore ricorso incidentale in questo<br />

contenuto; eventualità, quest’ultima, che, se consentita, potrebbe aprire una catena<br />

indeterminata di ricorsi incidentali tardivi, contro il principio che consente la proposizione<br />

di tal tipo di impugnazione solo alle parti contro le quali è stata proposta<br />

l’impugnazione principale (art. 334 c.p.c.) »; Cass., 14 gennaio 1994, n. 325, in<br />

Giust. civ. 1994, I, p. 1550 ss.: « il ricorso incidentale per cassazione nei confronti<br />

<strong>del</strong> controricorrente, che abbia proposto anche ricorso incidentale, deve essere proposto,<br />

ai sensi <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art. 371 c.p.c. nel termine di quaranta giorni<br />

dalla notifica <strong>del</strong> ricorso principale e non <strong>del</strong> primo ricorso incidentale, atteso che<br />

avverso il ricorso incidentale il quarto comma <strong>del</strong> detto art. 371 prevede solo la proponibilità<br />

<strong>del</strong> controricorso non anche di un ulteriore ricorso incidentale in questo<br />

contenuto, potendo da ciò derivare una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi<br />

in contrasto con il principio <strong>del</strong>la proponibilità <strong>del</strong>l’impugnazione incidentale<br />

solo dalle parti contro cui è stata proposta l’impugnazione principale »; Cass., 12<br />

gennaio 1996, n. 188: « il ricorso incidentale per Cassazione nei confronti <strong>del</strong> controricorrente<br />

che abbia proposto anche ricorso incidentale deve essere proposto, ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 371, secondo comma, c.p.c., nel termine di quaranta giorni dalla notifica<br />

<strong>del</strong> ricorso principale, invece che <strong>del</strong> successivo ricorso incidentale, atteso che<br />

avverso tale ricorso il quarto comma <strong>del</strong>l’articolo citato prevede solo la proponibilità<br />

<strong>del</strong> controricorso, non anche di un ulteriore ricorso incidentale in questo contenuto,<br />

potendo da ciò derivare una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi, in<br />

contrasto con il principio <strong>del</strong>la proponibilità <strong>del</strong>l’impugnazione incidentale solo<br />

dalle parti contro cui è stata proposta l’impugnazione principale e in contrasto con<br />

la regola fondamentale <strong>del</strong>la concentrazione <strong>del</strong>le impugnazioni contro la stessa<br />

sentenza »; Cass., 19 luglio 2001, n. 9812: « il ricorso incidentale per Cassazione<br />

deve essere proposto, ai sensi <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art. 371 c.p.c., nel termine di<br />

quaranta giorni dalla notifica <strong>del</strong> ricorso principale e non dalla notifica di un primo<br />

ricorso incidentale, atteso che avverso il ricorso incidentale il quarto comma <strong>del</strong><br />

detto art. 371 prevede solo la proponibilità <strong>del</strong> controricorso non anche di un ulteriore<br />

ricorso incidentale in questo contenuto, potendo da ciò derivare una serie indeterminata<br />

di ricorsi incidentali tardivi in contrasto con il principio <strong>del</strong>la proponi-


GIURISPRUDENZA 765<br />

Per poter valutare la correttezza <strong>del</strong>la regola enunciata dalla Corte (2) è<br />

utile preliminarmente riassumere la vicenda che ha occasionato l’intervento <strong>del</strong><br />

giudice di legittimità.<br />

––––––––––––<br />

bilità <strong>del</strong>l’impugnazione incidentale solo dalle parti contro cui è stata proposta<br />

l’impugnazione principale »; Cass., 15 luglio 2003, n. 11031: « il ricorso incidentale<br />

per Cassazione deve essere proposto, ai sensi <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art. 371<br />

c.p.c., nel termine di quaranta giorni dalla notifica <strong>del</strong> ricorso principale e non dalla<br />

notifica di un primo ricorso incidentale, atteso che avverso il ricorso incidentale il<br />

quarto comma <strong>del</strong>la richiamata norma prevede solo la proponibilità <strong>del</strong> controricorso<br />

non anche d’un ulteriore ricorso incidentale in questo contenuto, potendo da ciò<br />

derivare una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi in contrasto con i principi<br />

<strong>del</strong>la proponibilità <strong>del</strong>l’impugnazione incidentale solo dalle parti nei confronti<br />

<strong>del</strong>le quali sia stata proposta l’impugnazione principale e <strong>del</strong>la concentrazione <strong>del</strong>le<br />

impugnazioni contro la stessa sentenza »; Cass., 30 marzo 2004, n. 6282, in Giur. it.<br />

2004, I, p. 1881 ss.: « il ricorso incidentale per Cassazione, ai sensi <strong>del</strong> 2˚ comma<br />

<strong>del</strong>l’art. 371 c.p.c., deve essere proposto nel termine di quaranta giorni dalla notifica<br />

<strong>del</strong> ricorso principale e non dalla notifica di un primo ricorso incidentale, perchè<br />

avverso quest’ultimo il 4˚ comma <strong>del</strong> detto art. 371 prevede solo la proponibilità <strong>del</strong><br />

controricorso, ma non anche di un ulteriore ricorso incidentale. Diversamente ne<br />

deriverebbe una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi, in contrasto con il<br />

principio per il quale l’impugnazione incidentale è proponibile solo dalle parti contro<br />

cui è stata proposta l’impugnazione principale »; Cass., 30 marzo 2005, n. 6651:<br />

« il ricorso incidentale per cassazione nei confronti <strong>del</strong> controricorrente, che abbia<br />

proposto anche ricorso incidentale, deve essere proposto, ai sensi <strong>del</strong> secondo comma<br />

<strong>del</strong>l’art. 371 c.p.c. nel termine di quaranta giorni dalla notifica <strong>del</strong> ricorso principale<br />

e non <strong>del</strong> primo ricorso incidentale, atteso il principio <strong>del</strong>l’unità<br />

<strong>del</strong>l’impugnazione, secondo il quale quella proposta per prima determina la pendenza<br />

<strong>del</strong>l’unico processo nel quale sono destinate a confluire tutte le eventuali impugnazioni<br />

successive, di tal che, una volta avvenuta la notifica <strong>del</strong>la prima impugnazione<br />

(principale) tutte le altre debbono essere proposte nella forma e nei termini <strong>del</strong><br />

controricorso e non nel termine decorrente dal primo (eventuale) ricorso incidentale<br />

avverso il quale, per contro, è proponibile soltanto un controricorso e non anche un<br />

ricorso incidentale tardivo, che sarebbe in contrasto col principio <strong>del</strong>la proponibilità<br />

<strong>del</strong>l’impugnazione incidentale solo dalla parte contro cui è stata proposta<br />

l’impugnazione principale e nel termine decorrente dalla (ultima) notificazione di<br />

questa ex art. 371, comma 2, c.p.c. ».<br />

(2) Si dà conto <strong>del</strong>le altre occasioni nelle quali la Corte si è espressa in termini<br />

analoghi in: C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, 17 a ed., Torino 2005, p. 508, nota<br />

106; R. Murra, sub art. 371, in Codice di procedura civile, a cura di Picardi, 3 a ed., Milano<br />

2004, p. 1435 ss., spec. p. 1437 s.; M. De Cristofaro, sub art. 371, in Codice di procedura<br />

civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, 2 a ed., Milano 2000, p. 1890 ss., spec.<br />

p. 1895; E. Silvestri, D. Volpino, sub art. 371, in Commentario breve al codice di procedura<br />

civile, 4 a ed., Padova 2002, p. 1124 ss., spec. p. 1125.


766<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

2. – La curatela fallimentare <strong>del</strong>la società Cometa (3), a seguito di una<br />

procedura espropriativa relativa a terreni di sua proprietà, citava dinnanzi al<br />

Tribunale di Roma, il Comune di Roma, l’Atac ed una società cooperativa,<br />

chiedendo la condanna in solido <strong>del</strong>le parti convenute al pagamento <strong>del</strong>la indennità<br />

per il periodo di occupazione legittima e <strong>del</strong> risarcimento dei danni per<br />

l’occupazione appropriativa dei fondi.<br />

Successivamente altra società, l’Agricola Lieta (4), proprietaria di terreni<br />

attigui a quelli oggetto <strong>del</strong> precedente giudizio, proponeva una analoga domanda<br />

nei confronti <strong>del</strong> Comune di Roma, <strong>del</strong>l’Atac e <strong>del</strong>la società cooperativa,<br />

chiedendo al Tribunale la condanna dei convenuti al pagamento <strong>del</strong>la indennità<br />

di occupazione legittima e <strong>del</strong> risarcimento dei danni per l’occupazione appropriativa<br />

dei fondi.<br />

Riunite le cause il Tribunale rigettava le domande proposte nei confronti<br />

<strong>del</strong>l’Atac; accoglieva le domande di risarcimento dei danni proposte nei confronti<br />

<strong>del</strong> Comune, condannando quest’ultimo al pagamento dei danni a favore<br />

<strong>del</strong>le due società attrici; dichiarava inammissibili le domande relative alla indennità<br />

per l’occupazione legittima.<br />

La sentenza veniva appellata in via principale dal Comune ed in via incidentale<br />

dalle società. La Corte di appello di Roma con sentenza non definitiva<br />

rigettava gli appelli incidentali, ed in parziale accoglimento di quello principale<br />

disponeva una nuova consulenza tecnica per la determinazione <strong>del</strong>la misura <strong>del</strong><br />

risarcimento dei danni riconosciuto alle società. La Corte di appello, inoltre,<br />

rigettando uno dei motivi <strong>del</strong>l’appello <strong>del</strong> Comune, escludeva ogni responsabilità<br />

<strong>del</strong>l’Atac. Nella sentenza definitiva, nonostante all’esito <strong>del</strong>la consulenza<br />

risultassero degli importi per il risarcimento maggiori di quelli liquidati in primo<br />

grado, la Corte di appello confermava la condanna <strong>del</strong> Comune al pagamento<br />

di questi ultimi, in ossequio al principio <strong>del</strong> divieto di reformatio in peius.<br />

Veniva, peraltro, accolta la domanda di indennità per l’occupazione proposta<br />

dalla società Cometa.<br />

Entrambe le sentenze, definitiva e non definitiva, venivano impugnate in<br />

cassazione.<br />

Il ricorso principale veniva promosso dalla società Cometa la quale con<br />

due motivi di ricorso censurava rispettivamente, la mancata liquidazione <strong>del</strong><br />

maggior danno e l’esclusione <strong>del</strong>la responsabilità <strong>del</strong>l’Atac.<br />

Un primo ricorso incidentale veniva promosso dal Comune e si articolava<br />

in otto motivi, nei quali sotto diversi profili si contestava la sentenza di appello<br />

nelle parti in cui aveva accolto le domande <strong>del</strong>le due società nei confronti <strong>del</strong><br />

Comune per il risarcimento dei danni per l’occupazione appropriativa e la domanda<br />

<strong>del</strong>la società Cometa per l’indennità.<br />

––––––––––––<br />

(3) Da ora in poi, per semplicità, solamente società Cometa.<br />

(4) Da ora in poi, per semplicità, solamente società Lieta.


GIURISPRUDENZA 767<br />

Il ricorso incidentale <strong>del</strong> Comune non era tuttavia l’unico ricorso incidentale<br />

proposto. Ad esso infatti seguiva un ricorso incidentale <strong>del</strong>l’Atac (in via<br />

condizionata) e, per quanto più ci interessa in questa sede, un ricorso incidentale<br />

<strong>del</strong>l’altra società, la Lieta, la quale in un unico motivo censurava la sentenza<br />

<strong>del</strong>la Corte di appello nella parte in cui aveva rigettato la domanda di risarcimento<br />

dei danni formulata contro l’Atac, escludendo la responsabilità di<br />

quest’ultima quale autrice <strong>del</strong>l’illecito.<br />

Proprio in relazione a quest’ultimo ricorso incidentale la Corte di Cassazione<br />

ha affermato la regola poc’anzi ricordata relativa al termine per la proposizione<br />

<strong>del</strong> ricorso incidentale, dichiarandone l’inammissibilità in quanto proposto<br />

oltre il termine di 20 gg. dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong> ricorso<br />

principale.<br />

3. – Ad avviso <strong>del</strong>la Corte di Cassazione la regola secondo la quale « il ricorso<br />

incidentale per cassazione, ai sensi <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l’art. 371<br />

c.p.c., deve essere proposto nel termine di quaranta giorni dalla notifica <strong>del</strong> ricorso<br />

principale, e non dalla notifica <strong>del</strong> primo ricorso incidentale » avrebbe un<br />

ben preciso fondamento positivo: « perchè avverso quest’ultimo [il primo ricorso<br />

incidentale] il quarto comma <strong>del</strong>l’art. 371 cit. prevede solo la proponibilità<br />

<strong>del</strong> controricorso, ma non anche di un ulteriore ricorso incidentale ». La Suprema<br />

Corte, ovviamente, non intende in tal modo sostenere che colui contro il<br />

quale sia stato proposto il ricorso incidentale non possa proporre a sua volta un<br />

ricorso incidentale. In tal senso è infatti sufficiente rilevare che la stessa Corte<br />

ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale in quanto proposto fuori termine<br />

e non in quanto proposto da chi non fosse legittimato. Il problema è quindi<br />

solo quello <strong>del</strong> termine. Secondo la Corte l’art. 371, comma 4˚, c.p.c. autorizza<br />

la parte contro la quale sia stato proposto il ricorso incidentale a notificare un<br />

controricorso nel termine di 20 giorni dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito<br />

<strong>del</strong> ricorso incidentale, ma di questo termine la parte non può avvalersi per proporre<br />

anche un ricorso incidentale. Quest’ultimo è pertanto proponibile dalla<br />

parte ma pur sempre nel termine di 20 giorni dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il<br />

deposito <strong>del</strong> ricorso principale.<br />

La Corte non si è tuttavia limitata ad indicare il fondamento positivo <strong>del</strong>la<br />

regola che ha applicato nel caso di specie. Ed infatti i giudici di legittimità si<br />

sono anche fatti carico di spiegare la ratio di tale regola: « derivandone diversamente<br />

una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi, in contrasto con il<br />

principio per il quale l’impugnazione incidentale è proponibile solo dalle parti<br />

contro cui è stata proposta l’impugnazione principale ».<br />

Non v’è dubbio che se la parte contro la quale è proposto un ricorso incidentale<br />

potesse avvalersi di un termine per impugnare a sua volta in via incidentale<br />

decorrente non dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong> ricorso<br />

principale ma dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong> primo ricorso incidentale,<br />

essa usufruirebbe di un termine più ampio e quindi aumenterebbe la


768<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

possibilità che il suo ricorso incidentale sia tardivo. Inoltre poiché tale regola<br />

dovrebbe valere anche per colui contro il quale venga proposto il secondo ricorso<br />

incidentale, e per tutti gli altri contro i quali dovessero essere proposti i successivi<br />

ricorsi incidentali, sarebbe sicuramente possibile che in tal modo si inneschi<br />

una serie di ricorsi incidentali tardivi. Se questo è ciò che la Corte ha voluto<br />

dire quando ha evocato « una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi<br />

» quale conseguenza <strong>del</strong>la applicazione di una regola diversa da quella a<br />

sua avviso vigente, la prima parte <strong>del</strong> ragionamento <strong>del</strong>la Corte può quindi essere<br />

condivisa.<br />

Non condivisibile è invece il successivo passaggio <strong>del</strong> ragionamento <strong>del</strong>la<br />

Corte secondo la quale tale eventualità sarebbe « in contrasto con il principio<br />

per il quale l’impugnazione incidentale è proponibile solo dalle parti contro cui<br />

è stata proposta l’impugnazione principale ».<br />

Innanzitutto non può sfuggire che, se si vuole restare fe<strong>del</strong>i alla lettera<br />

<strong>del</strong>le parole utilizzate dalla Corte, è stato richiamato un principio di cui non v’è<br />

traccia nel nostro ordinamento, il quale non prevede in alcun modo che l’impugnazione<br />

incidentale sia « proponibile solo dalle parti contro cui è stata proposta<br />

l’impugnazione principale ».<br />

Com’è noto, anzi, l’art. 333 c.p.c. non solo consente ma addirittura impone<br />

« a pena di decadenza » la forma <strong>del</strong>la impugnazione incidentale a tutte « le<br />

parti alle quali sono state fatte le notificazioni previste negli articoli precedenti<br />

», e quindi non solo a coloro contro i quali sia stata proposta l’impugnazione<br />

principale (art. 330 c.p.c.), ma anche a coloro che siano stati chiamati ad integrare<br />

il contraddittorio (art. 331 c.p.c.) ed a coloro ai quali sia stata notificata<br />

l’impugnazione (art. 332 c.p.c.) (5).<br />

Alla stessa conclusione si perviene anche qualora si sia disposti ad ammettere<br />

che, nonostante le parole usate, la Corte abbia voluto in realtà richiamare<br />

un altro principio affermato in altre occasioni per giungere alle medesime<br />

conclusioni accolte dalla sentenza in esame e cioè il principio secondo il quale<br />

l’impugnazione incidentale « tardiva » – e quindi non semplicemente l’impugnazione<br />

incidentale come invece dichiarato nel caso di specie – è proponibile<br />

solo dalle « parti contro le quali è stata proposta l’impugnazione principale<br />

» (6).<br />

Ed infatti anche in tal modo la Corte avrebbe richiamato un principio non<br />

contemplato nel nostro ordinamento: a parte il rilievo che l’art. 334 c.p.c. con-<br />

––––––––––––<br />

(5) Non può peraltro neanche dubitarsi <strong>del</strong> fatto che anche coloro che non siano<br />

onerati <strong>del</strong>l’impugnazione incidentale, in quanto non hanno ricevuto « le notificazioni<br />

previste negli articoli precedenti », venuti a conoscenza in qualsiasi altro modo <strong>del</strong>la<br />

pendenza <strong>del</strong>la impugnazione principale possano proporre la loro impugnazione in via<br />

incidentale.<br />

(6) Cfr. ad esempio Cass., 17 luglio 1992, n. 8724, cit.


GIURISPRUDENZA 769<br />

sente anche a coloro che sono stati chiamati ad integrare il contraddittorio ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 331 c.p.c. di proporre l’impugnazione incidentale tardiva, tale disposizione<br />

innanzitutto ammette l’impugnazione incidentale tardiva di coloro<br />

contro i quali sia proposta l’impugnazione senza distinguere tra impugnazione<br />

principale ed impugnazione incidentale. È quindi pacifico che anche colui contro<br />

il quale sia proposta l’impugnazione incidentale possa a sua volta proporre<br />

impugnazione in via incidentale tardiva (7).<br />

L’unica strada per leggere nella sentenza in esame l’affermazione di un<br />

principio effettivamente sussistente nel nostro sistema è quella di ritenere -<br />

discostandosi tuttavia non poco dalle parole in concreto utilizzate - che la<br />

Corte si sia voluta richiamare al principio secondo il quale l’impugnazione<br />

incidentale tardiva è consentita alle sole parti contro le quali è stata proposta<br />

l’impugnazione. Ed infatti, fermo restando la precisazione che tale potere è<br />

concesso anche a coloro che sono stati chiamati ad integrare il contraddittorio<br />

ex art. 331 c.p.c., non v’è dubbio che l’art. 334 c.p.c. sancisca tale regola,<br />

escludendo le parti alle quali sia stata notificata l’impugnazione ex art. 332<br />

c.p.c.<br />

Si tratta tuttavia in ogni caso di una strada che, per quanto ci interessa<br />

in questa sede, non porta da nessuna parte visto che ne discenderebbe un ragionamento<br />

complessivo <strong>del</strong>la Corte che non potrebbe essere condiviso. Non<br />

si vede in particolare quale sia il « contrasto » paventato nella sentenza in<br />

commento tra la regola, diversa da quella enunciata dalla Corte, secondo la<br />

quale il termine per la proposizione <strong>del</strong> ricorso incidentale da parte di colui<br />

contro il quale sia stato già proposto altro ricorso incidentale è di 20 giorni e<br />

decorre dalla scadenza <strong>del</strong> deposito di quest’ultimo ricorso e non di quello<br />

principale, ed il principio di cui all’art. 334 c.p.c. relativamente ai soggetti<br />

legittimati a proporre l’impugnazione incidentale in via tardiva. La prima<br />

regola infatti non modifica di certo la cerchia dei soggetti legittimati ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 334 c.p.c.<br />

––––––––––––<br />

(7) V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, 3 a ed., Napoli 1960,<br />

p. 408; A. Attardi, Limiti di applicazione <strong>del</strong> gravame incidentale tardivo, in Riv. dir.<br />

proc. 1965, p. 173 ss., spec. p. 177; Id., Sul gravame incidentale tardivo <strong>del</strong>l’impugnante<br />

principale, in Giur. it. 1965, I, 1, c. 775 ss., spec. c. 776; F. Carpi, Note sui limiti<br />

di applicazione <strong>del</strong>l’impugnazione incidentale tardiva, in Riv. trim. dir. e proc.<br />

civ. 1966, p. 708 ss., spec. p. 715 s.; M. De Cristofaro, sub art. 334, in Codice di procedura<br />

civile commentato, cit., p. 1640 ss., spec. p. 1641; N. Giudiceandrea, Le impugnazioni<br />

civili, I, Milano 1952, p. 239; E. Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano<br />

1973, p. 106 s.; G. Guarnieri, Le Sezioni Unite non rinunciano ai limiti oggettivi e soggettivi<br />

per l’impugnazione incidentale tardiva, in Corr. giur. 1992, p. 998 ss., spec.<br />

p. 1001.


770<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

4. – La dimostrazione <strong>del</strong>la inconsistenza <strong>del</strong>la ratio posta dalla Corte a<br />

fondamento <strong>del</strong>la regola enunciata nella sentenza che si annota costituisce<br />

una prima valida ragione per interrogarsi sulla effettiva sussistenza di tale<br />

regola.<br />

Una ulteriore sollecitazione ad una riflessione in questa direzione viene dal<br />

rilievo che se le cose stessero nei termini nei quali si è espressa la Corte, il nostro<br />

ordinamento avrebbe disciplinato in modo diverso l’appello incidentale dal<br />

ricorso incidentale in cassazione. Per il primo, infatti, l’art. 343, comma 2˚,<br />

c.p.c. prevede espressamente che « se l’interesse a proporre l’appello incidentale<br />

sorge dalla impugnazione proposta da altra parte che non sia l’appellante<br />

principale, tale appello si propone nella prima udienza successiva alla proposizione<br />

<strong>del</strong>l’impugnazione stessa » (8).<br />

Un decisivo stimolo, infine, a rimeditare la questione viene dalla constatazione<br />

che se fosse vera la regola enunciata dalla Corte la disciplina dei termini<br />

<strong>del</strong> ricorso incidentale in cassazione, per tale profilo, sarebbe in conflitto con<br />

una tra le esigenze che ispira la disciplina <strong>del</strong>le impugnazioni e che è all’origine<br />

<strong>del</strong>l’istituto <strong>del</strong>le impugnazioni incidentali tardive. L’esigenza in questione è<br />

quella di favorire l’accettazione <strong>del</strong>la sentenza, scoraggiando la proposizione<br />

<strong>del</strong>le impugnazioni di quelle parti che, seppure parzialmente soccombenti, sono<br />

disposte ad accettare l’esito complessivo <strong>del</strong>la controversia risultante dalla sentenza.<br />

Com’è noto l’art. 334 c.p.c. assolve proprio a questa funzione impedendo<br />

che la parte, disposta ad accettare la sentenza, si veda costretta ad impugnare il<br />

capo che l’ha vista soccombere per non correre il rischio di ricevere l’impugnazione<br />

<strong>del</strong>la controparte sul capo che l’ha vista vincere nell’imminenza <strong>del</strong>la<br />

scadenza <strong>del</strong> termine per impugnare (9). L’istituto inoltre assolve ad una fun-<br />

––––––––––––<br />

(8) Su tale disposizione cfr. V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile,<br />

II, cit., p. 446 ss.; M. De Cristofaro, sub art. 334, in Codice di procedura civile commentato,<br />

cit., p. 1689 ss., spec. p. 1694; R. Murra, sub art. 334, in Codice di procedura civile,<br />

cit., p. 1389 s.; B. Sassani, sub art. 334, in C. Consolo, F.P. Luiso, B. Sassani, Commentario<br />

alla riforma <strong>del</strong> processo civile, Milano 1996, p. 377 ss., spec. p. 379 ss.; E. Silvestri,<br />

sub art. 334, in Commentario breve al codice di procedura civile, cit., p. 1030 ss.,<br />

spec. p. 1033; G. Tarzia, Lineamenti <strong>del</strong> processo civile di cognizione, 2 a ed., Milano<br />

2002, p. 305 ss.<br />

(9) Cfr. A. Cerino Canova, Fermenti di novità riguardo all’impugnazione incidentale<br />

tardiva, in Giur. it. 1983, I, c. 295 ss., spec. c. 305; A. Cerino Canova, C. Consolo,<br />

Impugnazioni: I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., XVI, Roma 1993, n. 5.5; S.<br />

Chiarloni, L’impugnazione incidentale nel processo civile, Milano 1969, p. 18 s.; A.<br />

Chizzini, « Revirement » <strong>del</strong>la giurisprudenza in tema di impugnazioni incidentali tardive,<br />

in Giur. it. 1989, I, 1, c. 1135 ss.; Id., Ancora sui limiti di applicazione incidentale<br />

tardiva: la decisione <strong>del</strong>le Sezioni Unite, in Giur. it. 1990, I, 1, c. 391 ss., spec. c. 395 s.;<br />

C. Consolo, Le impugnazioni <strong>del</strong>le sentenze, Padova 2004, p. 34; B. Gambineri, Orientamenti<br />

e disorientamenti giurisprudenziali in tema di limitazioni soggettive alla impu-


GIURISPRUDENZA 771<br />

zione deterrente anche nei confronti <strong>del</strong>la parte che voglia proporre l’impugnazione<br />

principale la quale, infatti, sa che se impugna la sentenza, anche nell’imminenza<br />

<strong>del</strong>la scadenza dei termini, corre comunque il rischio di subire<br />

l’impugnazione in via incidentale altrui (10).<br />

La disciplina <strong>del</strong> termine per il ricorso incidentale derivante dalla tesi sostenuta<br />

dalla Suprema Corte è in contrasto con tali principi in quanto la conseguenza<br />

<strong>del</strong>la regola enunciata nella sentenza in commento è che coloro i<br />

quali, pur parzialmente soccombenti in appello, sarebbero disposti ad accettare<br />

l’esito complessivo <strong>del</strong>la controversia, indipendentemente dalla sorte <strong>del</strong><br />

ricorso principale, comunque inidoneo a travolgere il capo di sentenza che li<br />

ha visti vincitori, si vedrebbero comunque costretti a proporre immediatamente<br />

il loro ricorso incidentale, per non correre il rischio di ricevere, nell’imminenza<br />

<strong>del</strong>la scadenza <strong>del</strong> termine per la proposizione <strong>del</strong> ricorso incidentale,<br />

il ricorso incidentale <strong>del</strong>l’impugnato principale, idoneo invece a travolgere<br />

detto capo.<br />

Proprio il caso esaminato dalla sentenza che si annota costituisce un valido<br />

banco di prova <strong>del</strong> ragionamento adesso svolto.<br />

La società Lieta, sin dalla pronuncia <strong>del</strong>la sentenza di appello aveva interesse<br />

ad impugnarla (11) visto che la Corte di appello aveva accolto solo parzialmente<br />

le sue domande. Essa pertanto sin dalla proposizione <strong>del</strong> ricorso principale<br />

<strong>del</strong>l’altra società avrebbe potuto proporre il ricorso incidentale. Non si<br />

può tuttavia escludere che l’esito complessivo <strong>del</strong>la vicenda l’avesse comunque<br />

soddisfatta e che quindi la società fosse disposta ad accettare la sentenza stessa<br />

e a non proporre ricorso incidentale. Certo la situazione è cambiata allorquando<br />

il Comune ha promosso ricorso incidentale impugnando anche i capi <strong>del</strong>la sentenza<br />

di appello che avevano visto la società Lieta vittoriosa. È a questo punto<br />

infatti che la società, visto il rischio di un mutamento <strong>del</strong>l’assetto degli interessi<br />

––––––––––––<br />

gnazione incidentale tardiva, in Foro it. 1996, I, c. 918 ss., spec. c. 945; Id., Garanzia e<br />

processo, II, Milano 2002, p. 591 ss.; E. Grasso, Le impugnazioni incidentali, cit., p. 104<br />

ss.; G. Guarnieri, Le Sezioni Unite non rinunciano ai limiti oggettivi e soggettivi per<br />

l’impugnazione incidentale tardiva, cit., p. 1001; M.T. Latella, L’impugnazione incidentale<br />

tardiva, in Riv. dir. proc. 1994, p. 833 ss.; E.T. Liebman, Arbitrarie limitazioni<br />

all’impugnazione incidentale tardiva, in Riv. dir. proc. 1969, p. 573 ss., spec. p. 575;<br />

F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, 3 a ed., Milano, 2000, p. 329 ss.; C. Mandrioli,<br />

Diritto processuale civile, II, cit., p. 428; M. Orsenigo, Impugnazioni incidentali tardive<br />

e limitazioni oggettive: trent’anni di disorientamenti giurisprudenziali, in Foro it. 1985,<br />

I, c. 1445 ss., spec. c. 1472; S. Satta, C. Punzi, Diritto processuale civile, 13 a ed., Padova<br />

2000, p. 447 nota 67.<br />

(10) A. Chizzini, « Revirement » <strong>del</strong>la giurisprudenza in tema di impugnazioni incidentali<br />

tardive, cit., c. 1141.<br />

(11) Sull’interesse ad impugnare cfr. L. Salvaneschi, L’interesse ad impugnare,<br />

Milano 1990.


772<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

realizzato dalla sentenza di appello, ha deciso di proporre a sua volta ricorso<br />

incidentale chiedendo di estendere la condanna ai danni anche all’Atac. Ricorso<br />

che tuttavia, come si è visto, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile<br />

in quanto proposto fuori dal termine di 20 giorni decorrente dalla scadenza <strong>del</strong><br />

termine per il deposito <strong>del</strong> ricorso principale.<br />

5. – Se quanto sin qui esposto è vero, e cioè che non può dirsi, come invece<br />

ha sostenuto la Corte, che una regola diversa da quella enunciata dalla sentenza<br />

in esame sarebbe in contrasto con il principio secondo il quale « l’impugnazione<br />

incidentale è proponibile solo dalle parti contro cui è stata proposta<br />

l’impugnazione principale » ed anzi se è vero che proprio la regola enunciata<br />

dalla Corte è in contrasto con alcuni dei principi ispiratori <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong>le<br />

impugnazioni, conviene allora fare un passo indietro e domandarsi se effettivamente<br />

vi sia un fondamento positivo a tale regola.<br />

Si è detto che la Corte lo ravvisa nell’art. 371, comma 4˚, c.p.c. a norma<br />

<strong>del</strong> quale, sempre secondo la Corte di cassazione, la parte contro la quale sia<br />

proposto il ricorso incidentale sarebbe autorizzata a notificare, nel termine di 20<br />

giorni dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong> ricorso incidentale, solo un<br />

controricorso e non anche un ulteriore ricorso incidentale, sicché la parte potrebbe<br />

certamente proporre insieme al controricorso un ricorso incidentale, ma<br />

quest’ultimo resterebbe sempre soggetto al termine di 20 giorni dalla scadenza<br />

<strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong> ricorso principale.<br />

A mio avviso, tuttavia, la lettura offerta dalla Corte <strong>del</strong> dato positivo non<br />

può essere condivisa.<br />

È vero che l’art. 371, comma 4˚, c.p.c. stabilisce che « per resistere al ricorso<br />

incidentale può essere notificato un controricorso a norma <strong>del</strong>l’articolo<br />

precedente » (12), ma da tale previsione non può farsi discendere l’impossibilità<br />

per la parte di unire al controricorso, da notificarsi nel termine di 20 giorni decorrente<br />

dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong> ricorso incidentale, un<br />

ulteriore ricorso incidentale (13). Nell’art. 371, comma 4˚, c.p.c. manca questo<br />

––––––––––––<br />

(12) Riguardo all’art. 371, comma 4˚, c.p.c. autorevole dottrina ha affermato trattarsi<br />

di « disposto piuttosto ellittico » (E. Redenti, Diritto processuale civile, II, 4 a ed., a<br />

cura di Vellani, Milano 1997, p. 511). I seguenti autori si limitano a richiamare quanto<br />

previsto da tale disposizione senza affrontare la questione oggetto <strong>del</strong>la presente nota:<br />

P. Calamandrei, C. Furno, Cassazione civile, in Noviss. dig. it., II, Torino 1974, p. 1053<br />

ss., spec. p. 1085; G.P. Califano, L’impugnazione incidentale tempestiva, in G.P. Califano,<br />

C. Perago, Le impugnazioni civili, Torino 1999, p. 287 ss., spec. p. 299; N. Giudiceandrea,<br />

Le impugnazioni civili, II, Milano 1952, p. 296; S. Satta, Commentario al codice<br />

di procedura civile, II, 2, Milano 1966, p. 248 s.<br />

(13) Per uno spunto in tale direzione cfr. A. Attardi, Sul gravame incidentale tardi-


GIURISPRUDENZA 773<br />

contenuto precettivo ed anzi, al contrario, è proprio lo stesso art. 371, comma<br />

4˚, c.p.c. che, se rettamente inteso, congiuntamente all’art. 371, comma 1˚,<br />

c.p.c. prevede espressamente questa facoltà. Ed infatti « la parte di cui all’articolo<br />

precedente » alla quale l’art. 371, comma 1˚, c.p.c. attribuisce il potere di<br />

proporre « con l’atto contenente il controricorso, l’eventuale ricorso incidentale<br />

», è sia la parte contro la quale è diretto il ricorso principale, sia la parte contro<br />

la quale è diretto il ricorso incidentale dal momento che l’art. 371, comma<br />

4˚, c.p.c. autorizza questa parte a notificare un controricorso « a norma<br />

<strong>del</strong>l’articolo precedente ».<br />

In conclusione, pertanto, sono convinto che, diversamente da quanto sostenuto<br />

dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, colui contro il<br />

quale sia stato proposto ricorso incidentale può proporre a sua volta ricorso incidentale<br />

nel termine di 20 giorni dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito <strong>del</strong><br />

precedente ricorso incidentale e non dalla scadenza <strong>del</strong> termine per il deposito<br />

<strong>del</strong> ricorso principale.<br />

Alla stessa conclusione, peraltro, era già pervenuta in passato autorevole<br />

dottrina la quale, dopo aver rilevato l’assenza per il ricorso incidentale di<br />

« una norma che, come quella dettata dal capoverso <strong>del</strong>l’art. 343 c.p.c. per<br />

l’appello, regoli l’ipotesi in cui l’interesse a proporre il ricorso sorga dalla<br />

impugnazione proposta da altra parte che non sia il ricorrente principale », ha<br />

infatti sostenuto che « dalla notificazione <strong>del</strong> ricorso incidentale decorrerà il<br />

termine di quaranta giorni stabilito dall’articolo 371 per la proposizione di un<br />

ricorso che si trovi col primo nel rapporto causale indicato dall’art. 343,<br />

comma 2˚, c.p.c. » (14).<br />

6. – Vi è infine una precisazione da farsi.<br />

Il discorso sin qui svolto riguarda esclusivamente il problema <strong>del</strong>la determinazione<br />

<strong>del</strong> termine per la proposizione <strong>del</strong> ricorso incidentale in cassazione<br />

da parte di colui che ha visto nascere il proprio interesse ad impugnare dalla<br />

proposizione nei suoi confronti di un precedente ricorso incidentale.<br />

Completamente diverso è invece il caso in cui la parte non abbia visto sorgere<br />

il proprio interesse ad impugnare dalla impugnazione incidentale altrui. In<br />

tale ipotesi è chiaro infatti che non trova applicazione l’art. 371, comma 4˚,<br />

c.p.c. e la parte che voglia proporre un ulteriore ricorso incidentale non può<br />

certo usufruire, grazie all’impugnazione incidentale altrui, di un termine diverso<br />

da quello di cui all’art. 371, commi 1˚ e 2˚, c.p.c.<br />

––––––––––––<br />

vo <strong>del</strong>l’impugnante principale, cit., c. 775 s., il quale osservava che l’art. 371, comma 4˚,<br />

c.p.c. « non dispone affatto che solo a ciò [presentazione controricorso] debba limitarsi il<br />

ricorrente principale ».<br />

(14) E. Grasso, Le impugnazioni incidentali, cit., p. 190.


774<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Tornando al caso oggetto <strong>del</strong>la sentenza in esame, se ad esempio l’impugnazione<br />

incidentale <strong>del</strong> Comune di Roma avesse riguardato esclusivamente i<br />

capi di sentenza relativi alla società Cometa, ricorrente principale, il ricorso incidentale<br />

<strong>del</strong>la società Lieta avrebbe dovuto rispettare il termine di cui all’art.<br />

371, commi 1˚ e 2˚, c.p.c.<br />

EMANUELE ODORISIO<br />

Professore associato<br />

nell’Università di Macerata


CORTE DI GIUSTIZIA CE, sez. I, sentenza 28 aprile 2005 (C-104/03)<br />

Pres. e Rel. P. Jann<br />

St. Paul Dairy Industries NV - Unibel Exser BVBA<br />

L’art. 24 <strong>del</strong>la Convenzione di Bruxelles <strong>del</strong> 27 settembre 1968 concernente<br />

la competenza giurisdizionale e l’esecuzione <strong>del</strong>le decisioni in materia<br />

civile e commerciale deve essere interpretato nel senso che non rientra nella<br />

nozione di « provvedimenti provvisori o cautelari » un provvedimento che ordina<br />

l’audizione di un teste allo scopo di permettere all’attore di valutare<br />

l’opportunità di un’eventuale azione, di determinare il fondamento di tale<br />

azione e di calcolare la pertinenza dei motivi che potrebbero essere fatti valere<br />

in tale ambito (1).<br />

(Omissis). – La competenza derogatoria prevista nell’art. 24 <strong>del</strong>la Convenzione<br />

mira ad evitare alle parti un pregiudizio derivante dalle lungaggini inerenti<br />

a tutti i procedimenti internazionali. – In conformità a queste finalità, per<br />

« provvedimenti provvisori o cautelari » ai sensi <strong>del</strong>l’art. 24 <strong>del</strong>la Convenzione<br />

devono intendersi i provvedimenti volti, nelle materie oggetto <strong>del</strong>la Convenzione,<br />

alla conservazione di una situazione di fatto o di diritto onde preservare diritti<br />

dei quali spetterà poi al giudice <strong>del</strong> merito accertare l’esistenza. – Nella<br />

causa principale, il provvedimento richiesto, vale a dire l’audizione, dinanzi ad<br />

un organo giurisdizionale di uno Stato contraente, di un teste residente sul territorio<br />

di tale Stato, ha lo scopo di accertare fatti dai quali potrebbe dipendere la<br />

soluzione di una controversia futura per la quale un organo giurisdizionale di un<br />

altro stato contraente sarebbe competente. – Risulta dall’ordinanza di rinvio che<br />

questo provvedimento, la cui concessione non è subordinata, secondo la legge<br />

<strong>del</strong>lo stato contraente interessato, ad alcuna condizione particolare, ha lo scopo<br />

di permettere all’attore di valutare l’opportunità di un’eventuale azione, di determinare<br />

il fondamento di una tale azione e di calcolare la pertinenza dei motivi<br />

che possono essere invocati in tale ambito. – In assenza di ogni giustificazione<br />

diversa dall’interesse <strong>del</strong>l’attore a valutare l’opportunità di un procedimento<br />

nel merito è giocoforza constatare che il provvedimento richiesto in via principale<br />

non risponde alla finalità perseguita dall’art. 24 <strong>del</strong>la Convenzione. – Occorre<br />

rilevare a questo proposito che la concessione di un tale provvedimento<br />

potrebbe facilmente essere utilizzata per aggirare, nella fase istruttoria, le regole<br />

di competenza enunciate agli artt. 2 e 5-18 <strong>del</strong>la Convenzione. – Se conseguenze<br />

come quelle descritte … sono inerenti all’applicazione <strong>del</strong>l’art. 24 <strong>del</strong>la Con-


776<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

venzione, esse possono giustificarsi soltanto in quanto il provvedimento risponda<br />

alla finalità <strong>del</strong> predetto articolo. – Per giunta, una domanda di audizione di<br />

un teste in circostanze come quelle <strong>del</strong>la causa principale potrebbe essere utilizzata<br />

come un mezzo per sfuggire alle norme che disciplinano, con le stesse garanzie<br />

e con gli stessi effetti per tutti i singoli, la trasmissione e la trattazione<br />

<strong>del</strong>le domande formulate da un organo giurisdizionale di uno Stato membro e<br />

dirette ad ottenere il compimento di un atto istruttorio in un altro Stato membro<br />

(vedi il regolamento (CE) <strong>del</strong> Consiglio 28 maggio 2001, n. 1206, relativo alla<br />

cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore <strong>del</strong>l’assunzione<br />

<strong>del</strong>le prove in materia civile o commerciale). – Queste considerazioni<br />

sono sufficienti per escludere che un provvedimento il cui scopo è quello di<br />

permettere all’attore di valutare le possibilità o i rischi di un eventuale processo<br />

possa essere qualificato come un provvedimento provvisorio o cautelare ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 24 <strong>del</strong>la Convenzione. (Omissis).<br />

(1) Istanza di istruzione preventiva (« esplorativa ») olandese e<br />

foro competente europeo<br />

1. – Con la pronuncia in commento la Corte di Giustizia <strong>del</strong>le Comunità<br />

europee ritorna sulla controversa interpretazione <strong>del</strong> disposto <strong>del</strong>l’art. 24 <strong>del</strong>la<br />

Convenzione di Bruxelles (1), in base al quale « i provvedimenti provvisori o<br />

cautelari, previsti dalla legge di uno stato contraente possono essere richiesti<br />

all’autorità di detto stato anche se, in forza <strong>del</strong>la presente convenzione, la competenza<br />

a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro stato contraente<br />

» (2). In particolare la decisione in esame offre lo spunto per soffermarsi<br />

––––––––––––<br />

(1) La letteratura sulla Convenzione è molto vasta. Senza pretesa di completezza, si<br />

rimanda, pertanto, ad alcune opere di carattere generale: Pocar, La Convenzione di<br />

Bruxelles sulla giurisdizione e l’esecuzione <strong>del</strong>le sentenze, Milano 1995, passim; Carbone,<br />

Lo spazio giudiziario europeo. Le convenzioni di Bruxelles e di Lugano, Torino 1995,<br />

passim; Carpi-Lupoi, voce Provvedimenti giurisdizionali civili in Europa (convenzione di<br />

Bruxelles), in Enc. dir., II agg., Milano 1998, p. 824 ss.; Mari, Il diritto processuale civile<br />

<strong>del</strong>la convenzione di Bruxelles, Padova 1999, passim. Sugli obiettivi e sulla ratio <strong>del</strong>la<br />

convenzione in generale cfr. anche Jenard, Relazione sulla convenzione concernente la<br />

competenza giurisdizionale e l’esecuzione <strong>del</strong>le decisioni in materia civile e commerciale,<br />

in GUCE, serie C-59 <strong>del</strong> 5 marzo 1979.<br />

(2) Sull’art. 24 cfr. Salerno, La giurisdizione italiana in materia cautelare, Padova<br />

1993, spec. p. 206 ss.; Id., La Convenzione di Bruxelles <strong>del</strong> 1968 e la sua revisione, Padova<br />

2000, p. 11 ss.; Id., Giurisdizione ed efficacia <strong>del</strong>le decisioni straniere nel regolamento<br />

(CE) n. 44/2001, Padova 2003, p. 202 ss.; Carbone, Il nuovo spazio giudiziario<br />

europeo. Dalla Convenzione di Bruxelles al regolamento CE 44/2001, Torino 2002,<br />

p. 163 ss.; Mari, Autorizzazione e riconoscimento di provvedimenti cautelari in base alla<br />

Convenzione di Bruxelles <strong>del</strong> 1968, in Dir. com. scamb. int. 1981, p. 237 ss.; Id., Il diritto


GIURISPRUDENZA 777<br />

sul rilevante profilo <strong>del</strong>la individuazione <strong>del</strong> tipo di provvedimenti rientranti nel<br />

campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 24. La Corte di Giustizia, infatti, si pronuncia<br />

per la prima volta, in sede di rinvio pregiudiziale, sulla questione <strong>del</strong>la includibilità<br />

dei provvedimenti di istruzione preventiva nella nozione di provvedimento<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 24. Questa circostanza, come vedremo, oltre a rilevare in<br />

ordine all’applicazione <strong>del</strong>la normativa comunitaria in questione, costituisce<br />

un’occasione per soffermarsi, pur brevemente, sulla natura e sulla funzione <strong>del</strong>l’assunzione<br />

anticipata <strong>del</strong>la prova nel nostro processo, anche alla luce di recenti<br />

interventi legislativi che ne hanno, in parte, mutato la configurazione.<br />

Il quesito sottoposto alla Corte riguarda la possibilità di ritenere incluso<br />

nel campo di applicazione <strong>del</strong>la Convenzione di Bruxelles e nella nozione di<br />

« provvedimento » ai sensi <strong>del</strong>l’art. 24 <strong>del</strong>la stessa, l’istituto <strong>del</strong>l’« audizione<br />

preventiva di testimoni antecedente alla pendenza <strong>del</strong> giudizio » disciplinato<br />

dagli artt. 186 e ss. <strong>del</strong> Wetboek van Bürgherlijke Rechtsvordering (codice di<br />

procedura olandese, d’ora in poi WBR). Tale audizione veniva disposta con<br />

ordinanza dal giudice di primo grado olandese, nei confronti di un testimone<br />

residente in Olanda e in relazione ad una causa istaurata fra due società aventi<br />

sede in Belgio e la cui competenza per il merito spettava, altresì, al giudice<br />

belga.<br />

Già la formulazione <strong>del</strong>la domanda di rinvio pone in luce l’importanza che<br />

il profilo funzionale <strong>del</strong> provvedimento di istruzione preventiva ha svolto in ordine<br />

alla risoluzione <strong>del</strong>la questione da parte <strong>del</strong>la Corte. Il giudice <strong>del</strong> rinvio,<br />

infatti, si sofferma sulla funzione degli artt. 186 e ss., WBR, individuandola non<br />

solo nel « consentire che subito dopo lo svolgimento dei fatti controversi possa-<br />

––––––––––––<br />

processuale civile <strong>del</strong>la Convenzione di Bruxelles, cit., p. 713 ss.; Di Blase, Provvedimenti<br />

provvisori e Convenzione di Bruxelles, in Riv. dir. int. 1987, p. 5 ss.; Consolo,<br />

Nuovi problemi di diritto processuale internazionale, Milano 2002, p. 357 ss.; Id., Van<br />

Uden e Mietz: un’evitabile Babele, in Int’l Lis 2002, p. 30 ss.; Merlin, Le misure provvisorie<br />

e cautelari nello spazio giudiziario europeo, in Riv. dir. proc. 2002, p. 759 ss.;<br />

Querzola, Tutela cautelare e Convenzione di Bruxelles nell’esperienza <strong>del</strong>la Corte di<br />

Giustizia <strong>del</strong>le Comunità europee, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, p. 805 ss. Nella<br />

letteratura straniera cfr., ad es., Merkt, Les mesures provisoires en droit international<br />

privè, Zurigo 1994, spec. p. 60 ss.; Gaudemet-Tallon, Les Convention de Bruxelles et de<br />

Lugano, Parigi 1996, p. 193 ss.; Collins, Provisional Mesures, the conflict of Laws and<br />

the Brussels Conventiion, in Yerbook eur. Law 1981, p. 261 ss.; Kropholler,<br />

Europäisches Zivilprozessrecht-Kommentar zu EuGVÜ und Lugano Übereinkommen,<br />

Hei<strong>del</strong>berg 1993, p. 253 ss. In giurisprudenza, v. Corte giust., 27 marzo 1979, c. 143/78,<br />

De Cavel c. De Cavel, in Racc. 1979, p. 1055 ss.; Corte giust., 6 marzo 1980, c. 120/79,<br />

De Cavel c. De Cavel, in Racc. 1980, p. 731 ss.; Corte giust., 21 maggio 1980, c. 125/79,<br />

Denilauler c. Couchet frères, in Racc. 1980, p. 1553 ss.; Corte giust., 26 marzo 1992, c.<br />

261/90, Reichert c. Dresdner Bank, in Racc. 1992, 1, p. 2149 ss.; Corte giust., 10<br />

novembre 1998, c. 391/95, Van Uden c. Deco-Line, in Racc. 1998, I, p. 7091 ss.; Corte<br />

giust., 27 aprile 1999, c. 99/96, Mietz c. Intership Yachting, in Racc. 1999, I, p. 2277 ss.


778<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

no essere rese dichiarazioni testimoniali al riguardo, e ad evitare che una prova<br />

vada perduta, ma anche e soprattutto nell’offrire alle persone interessate all’introduzione<br />

di un’eventuale successiva causa dinanzi al giudice civile … la possibilità<br />

di ottenere in anticipo chiarimenti sui fatti, e ciò affinché esse siano poste<br />

in condizione di valutare meglio la loro posizione, in particolare anche relativamente<br />

al problema <strong>del</strong>la persona contro la quale la causa debba essere promossa<br />

» (3). In altre parole, la possibilità di ricorrere all’audizione preventiva<br />

<strong>del</strong> testimone, nel processo civile olandese, non sarebbe esclusivamente vincolata<br />

al rischio di perdita <strong>del</strong>la prova, e quindi al periculum in mora, ma potrebbe<br />

trovare fondamento anche nell’esigenza di valutare la « convenienza » <strong>del</strong>l’instaurazione<br />

<strong>del</strong>la causa.<br />

Orbene, proprio quest’ultima funzione <strong>del</strong>l’assunzione anticipata <strong>del</strong>la<br />

prova viene, nella decisione in esame, giudicata incompatibile con la ratio<br />

<strong>del</strong>l’art. 24 e con l’interpretazione a tale norma precedentemente accordata dalla<br />

Corte. Nel dispositivo <strong>del</strong>la sentenza si legge, infatti, come l’art. 24 debba essere<br />

interpretato nel senso che « non rientra nella nozione di “provvedimenti<br />

provvisori o cautelari” un provvedimento che ordina l’audizione di un teste allo<br />

scopo di permettere all’attore di valutare l’opportunità di un’eventuale azione,<br />

di determinare il fondamento di tale azione e di calcolare la pertinenza dei motivi<br />

che potrebbero essere fatti valere in tale ambito ».<br />

2. – Le argomentazioni con cui la Corte giunge alla decisione in oggetto<br />

possono essere meglio comprese e valutate se precedute da una breve descrizione<br />

<strong>del</strong>le problematiche connesse alla formulazione <strong>del</strong>l’art. 24 e dei precedenti<br />

in materia; problematiche e decisioni, oggi, integralmente riferibili all’art. 31<br />

<strong>del</strong> reg. (CE) n. 44/2001 nel quale è stato, senza modificazioni, trasposto il<br />

contenuto <strong>del</strong>la norma (4).<br />

La presenza nel sistema convenzionale <strong>del</strong> foro speciale <strong>del</strong>l’art. 24 si<br />

giustifica per la possibilità che emergano esigenze di tutela provvisoria e<br />

cautelare che, normalmente correlate alla presenza di una urgenza, non siano<br />

compatibili con le lungaggini <strong>del</strong> procedimento di merito. A ciò si aggiunga<br />

come non sempre il giudice competente per il merito sia in grado di soddisfare<br />

il bisogno di cautela, allorché questo riguardi situazioni giuridiche e materiali<br />

collocate in un ordinamento giuridico diverso. La previsione <strong>del</strong> foro <strong>del</strong>l’art.<br />

24, se appare giustificata per le ragioni descritte, si scontra però con la ratio<br />

sottesa alle regole <strong>del</strong>la Convenzione dirette ad individuare il giudice competente<br />

per il merito. Obiettivo di tali regole è, infatti, quello di garantire la cer-<br />

––––––––––––<br />

(3) V. GUCE, c. 171, <strong>del</strong> 9 luglio 2005.<br />

(4) Sulla disposizione regolamentare cfr., ad es., Salerno, Giurisdizione ed efficacia,<br />

loc. ult. cit.; Carbone, Il nuovo spazio, cit., p. 16 ss.; Siani, Il regolamento (CE) n.<br />

44/2001 sulla competenza giurisdizionale e sull’esecuzione <strong>del</strong>le sentenze, in Dir. com.<br />

scamb. int. 2003, p. 508 ss.


GIURISPRUDENZA 779<br />

tezza <strong>del</strong> diritto e l’armonizzazione <strong>del</strong>le decisioni, assicurando la prevedibilità<br />

<strong>del</strong> titolo giurisdizionale e canalizzando l’accertamento <strong>del</strong> diritto entro<br />

un determinato foro.<br />

Il rapporto fra l’art. 24 e i principi ispiratori <strong>del</strong>la Convenzione ha giustificato<br />

un’interpretazione restrittiva <strong>del</strong>la norma. Tale approccio ha guidato anche<br />

la soluzione di una <strong>del</strong>le principali questioni ermeneutiche cui ha dato luogo la<br />

formulazione <strong>del</strong>l’art. 24, consistente nell’individuazione <strong>del</strong> tipo di provvedimenti<br />

rientranti nel campo di applicazione <strong>del</strong>la norma (5) e sulla quale, come<br />

si è visto, si sofferma oggi la Corte.<br />

La difficoltà di identificare i provvedimenti di cui all’art. 24 dipende da<br />

una molteplicità di fattori. Anzitutto, la norma non contempla una nozione<br />

comunitaria di provvedimenti « provvisori o cautelari » ma si limita a rinviare<br />

al diritto interno degli stati in cui i provvedimenti vengono richiesti. In questo<br />

modo, l’art. 24 si presta a ricomprendere nel suo campo di applicazione tutta<br />

la varietà (anche terminologica) dei provvedimenti di carattere provvisorio o<br />

cautelare accessibili in Europa (6). Un ulteriore elemento di complessità è poi<br />

rappresentato dalla presenza, nel testo <strong>del</strong>l’art. 24, <strong>del</strong>la disgiunzione « o » fra<br />

i due aggettivi « provvisori » e « cautelari ». Questa presenza, infatti, amplia<br />

lo spettro <strong>del</strong>le misure astrattamente riconducibili all’art. 24; in base alla norma<br />

potrebbero, infatti, essere richiesti provvedimenti provvisori privi di carattere<br />

cautelare e, almeno astrattamente, provvedimenti cautelari non provvisori<br />

(7).<br />

––––––––––––<br />

(5) Altrettanto centrale nell’applicazione <strong>del</strong>l’art. 24 è, infatti, il problema <strong>del</strong>la individuazione<br />

<strong>del</strong> giudice competente a concedere i provvedimenti previsti nella norma. Sul<br />

punto, v. Corte giust., c. 143/78, cit., punti 8, 9, 10 <strong>del</strong>la motivazione; Corte giust., c.<br />

120/79, cit., spec. il punto 9 <strong>del</strong>la motivazione; Corte giust., c. 125/79, cit., spec. il punto 16<br />

<strong>del</strong>la motivazione; Corte giust., c. 391/95, cit., spec. il punto 40 <strong>del</strong>la motivazione; Corte<br />

giust., c. 99/96, cit., punti 46-50 <strong>del</strong>la motivazione. La stessa sentenza qui in commento<br />

affronta il problema <strong>del</strong>la competenza a concedere i provvedimenti ex art. 24 (punto 10<br />

<strong>del</strong>la motivazione). Sulla questione, v. anche i punti da 17 a 34 <strong>del</strong>le conclusioni. Infine, sul<br />

tema, anche per una ricostruzione sistematica <strong>del</strong>le pronunce citate, cfr., ad es., Consolo,<br />

Nuovi problemi, loc. ult. cit.; Querzola, Tutela cautelare, loc. ult. cit., Di Blase, Provvedimenti<br />

cautelari, loc.ult.cit.; Mari, Il diritto processuale civile, cit., spec. p. 723 ss.<br />

(6) Il panorama <strong>del</strong>le variazioni linguistiche si osserva confrontando i testi autentici<br />

<strong>del</strong>la Convenzione: nella versione francese, ad esempio, viene utilizzata l’espressione<br />

« mesures conservatoires » che, se tradotta e utilizzata con riferimento al processo civile<br />

italiano, esclude tutta una serie di misure aventi carattere cautelare (e quindi astrattamente<br />

ricomprese nella versione italiana <strong>del</strong>l’art. 24) e tuttavia prive di una finalità strettamente<br />

conservativa; il dettato <strong>del</strong> testo inglese recita « provisional, including protective,<br />

mesures »; la più articolata locuzione <strong>del</strong> testo tedesco è « Einstweilige Maßnahmen<br />

einschließlich solcher, die auf eine Sicherung gerichtet sind »; la versione spagnola, infine,<br />

ricalca quella italiana dicendo « medidas provisionales y cautelares ».<br />

(7) L’utilizzo <strong>del</strong>la disgiunzione « o » nel testo <strong>del</strong>l’art. 24 contrasta con la rubrica


780<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Se, in base a quanto osservato, non è possibile individuare a livello normativo<br />

una nozione comunitaria dei provvedimenti ex art. 24, occorre, tuttavia,<br />

sottolineare come l’applicazione <strong>del</strong>la norma convenzionale non possa essere<br />

affidata al semplice rinvio alle norme di diritto interno. Come si è detto, infatti,<br />

l’art. 24 risponde ad una ratio che ne impone una interpretazione restrittiva e<br />

deve tener conto <strong>del</strong>le finalità complessive <strong>del</strong>la Convenzione. Proprio queste<br />

ragioni hanno indotto la Corte di Giustizia a <strong>del</strong>imitare il campo di applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 24, attraverso l’individuazione degli elementi strutturali e funzionali<br />

che, al di là dei nomi e <strong>del</strong>le definizioni, devono contraddistinguere i provvedimenti<br />

concedibili in base alla norma. Questa operazione è stata (ed è tuttora)<br />

condotta dalla Corte selezionando e combinando, compatibilmente con la ratio<br />

e le finalità <strong>del</strong>l’art. 24, i vari elementi che contraddistinguono i provvedimenti<br />

« provvisori o cautelari » nei diversi ordinamenti comunitari. Altra, seppur connessa,<br />

questione riguarda la possibilità di individuare, principalmente attraverso<br />

l’attività interpretativa <strong>del</strong>la Corte, una nozione uniforme comunitaria di provvedimento<br />

ex art. 24, analogamente a quanto avvenuto, ad esempio, rispetto alla<br />

nozione di litispendenza di cui all’art. 21 <strong>del</strong>la Convenzione (8).<br />

Quanto detto può forse meglio comprendersi analizzando alcune pronunce<br />

<strong>del</strong>la Corte. La prima decisione con cui la Corte di Giustizia definisce la<br />

categoria dei provvedimenti di cui all’art. 24 è costituita dalla sentenza Rei-<br />

––––––––––––<br />

<strong>del</strong>la norma che fa riferimento ai « provvedimenti provvisori e cautelari ». Quest’ultima<br />

espressione compare, peraltro, anche nella relazione Jenard a commento <strong>del</strong>la stessa disposizione.<br />

Altri dati normativi sembrano però confermare il carattere non casuale <strong>del</strong>l’impiego<br />

<strong>del</strong>l’espressione « provvedimenti provvisori o cautelari ». La disgiunzione<br />

« o », innanzitutto, ricompare nella formulazione <strong>del</strong>l’art. 31, reg. 44/2001 e nell’art. 12,<br />

reg. 1347/2000. Oltretutto, anche la formulazione di alcune versioni <strong>del</strong>l’art. 24 prevede<br />

la possibilità di concedere, in base alla norma, provvedimenti provvisori privi di carattere<br />

cautelare; si pensi ad esempio alla versione inglese su cui v. la nota precedente. In ogni<br />

caso, a prescindere dal dato letterale, la stessa possibilità viene riconosciuta in dottrina.<br />

Cfr., ad es., Merkt, Les mesures provisoires, loc. ult. cit.; Salerno, La giurisdizione cautelare,<br />

cit., p. 209; Mari, Il diritto processuale civile, cit., p. 715.<br />

(8) Esclude tale possibilità Consolo, Nuovi problemi, cit., p. 398. Contra Mari, Il<br />

diritto processuale civile, cit., p. 716 e, in senso ancora più netto, Salerno, La Convenzione<br />

di Bruxelles <strong>del</strong> 1968, cit., p. 112 e Merlin, Le misure provvisorie e cautelari, cit., p.<br />

776, ove si fa esplicito riferimento alla possibilità di individuare una « nozione uniforme<br />

» dei provvedimenti di cui all’art. 24. Il dibattito sulla nozione comunitaria di litispendenza<br />

è molto ampio. Cfr., ex multis, Di Blase, Connessione e litispendenza nella<br />

Convenzione di Bruxelles, Padova 1993, spec. p. 103 e ss.; Attardi, Litispendenza e oggetto<br />

<strong>del</strong> processo nella Conv. Bruxelles, in Giur. it. 1995, p. 249 ss.; Marengo, La litispendenza<br />

internazionale, Torino 2000, spec. p. 39 ss., ivi anche per riferimenti. Sul<br />

punto, recentemente, Merlin, Art. 21 Conv. Bruxelles e compensazione: una battuta<br />

d’arresto nella nozione comunitaria di litispendenza, in Int’lis 2004, p. 16 ss.


GIURISPRUDENZA 781<br />

chert (9). In tale occasione, la Corte esclude dal campo di applicazione <strong>del</strong>la<br />

norma la c.d. azione pauliana francese, sostenendo che « per provvedimenti<br />

provvisori o cautelari ai sensi <strong>del</strong>l’art. 24 devono intendersi i provvedimenti<br />

volti, nelle materie oggetto <strong>del</strong>la convenzione, alla conservazione di una situazione<br />

di fatto o di diritto onde preservare diritti dei quali spetterà poi al<br />

giudice <strong>del</strong> merito accertare l’esistenza » (10). In questa definizione <strong>del</strong>la<br />

Corte la nozione di provvedimento ex art. 24 viene, quindi, fondata su due<br />

elementi: il carattere conservativo <strong>del</strong> provvedimento e la sua strumentalità al<br />

giudizio di merito. La nozione di strumentalità che emerge in tale pronuncia è<br />

però piuttosto ampia: essa, infatti, sembra richiedere che il provvedimento<br />

svolga sin dall’inizio una funzione servente <strong>del</strong> giudizio di merito, ma non<br />

anche che quest’ultimo debba essere promosso entro un termine perentorio<br />

dalla sua concessione.<br />

A conclusioni diverse, in parte contraddittorie, perviene la Corte nella<br />

successiva decisione Van Uden, avente ad oggetto l’includibilità nell’art. 24<br />

<strong>del</strong> provvedimento olandese <strong>del</strong> Kort geding (11). In tale decisione, il giudice<br />

comunitario estende l’applicabilità <strong>del</strong>la norma convenzionale ai provvedimenti<br />

anticipatori e si spinge sino ad identificare la nozione di strumentalità<br />

con la « reversibilità » <strong>del</strong> provvedimento. La Corte, infatti, non richiede, ai<br />

fini <strong>del</strong>l’applicazione <strong>del</strong>l’art. 24, né la necessità che al provvedimento segua<br />

il giudizio di merito, né che il provvedimento stesso svolga una funzione ab<br />

origine « servente » di tale giudizio, assicurando gli effetti <strong>del</strong>la decisione di<br />

merito. La Corte si limita semplicemente a stabilire che gli effetti <strong>del</strong>la misura<br />

debbano poter venir meno (seppur in via di fatto) a seguito <strong>del</strong>l’accertamento<br />

di merito (12). In realtà, quindi, più che richiamare il requisito <strong>del</strong>la strumentalità<br />

in senso stretto, la Corte sembra esigere la « provvisorietà » <strong>del</strong> provvedimento.<br />

La diversità di conclusioni cui perviene la Corte nelle pronunce Reichert e<br />

––––––––––––<br />

(9) V. Corte giust., c. 261/90, loc. ult. cit.<br />

(10) V. Corte giust., c. 261/90, cit., punto 34 <strong>del</strong>la motivazione.<br />

(11) V. Corte giust., c. 391/95, loc. ult. cit. Su tale pronuncia cfr., ad es., Gar<strong>del</strong>la,<br />

Sviluppi in tema di misure cautelari nella Convenzione di Bruxelles <strong>del</strong> 1968, in Dir.<br />

mar. 2000, p. 1303 ss.; Mari, Il diritto processuale civile, cit., p. 723 ss.; Consolo, Nuovi<br />

problemi, cit., p. 392 ss.; Querzola, Tutela cautelare, cit., spec. pp. 826-830; Merlin, Le<br />

misure provvisorie e cautelari, cit., p. 781 ss.; Consolo, Van Uden e Mietz, loc. ult. cit. Il<br />

kort geding è disciplinato dagli artt. 289-297 <strong>del</strong> c.p.c. olandese. Tale provvedimento, pur<br />

non potendo pregiudicare lo svolgimento <strong>del</strong>la causa in via principale, può non essere<br />

seguito dalla instaurazione <strong>del</strong> giudizio di merito e ha una funzione anticipatoria e non<br />

conservativa.<br />

(12) Nella decisione, infatti, l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 al Kort geding, pur essendo<br />

in linea di principio negata, viene ammessa solo nell’ipotesi in cui « il rimborso al convenuto<br />

sia garantito nell’ipotesi in cui il ricorrente non vinca la causa nel merito ». V.<br />

Corte giust., c. 391/95, cit., punto 47 <strong>del</strong>la motivazione.


782<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Van Uden ha certamente ostacolato il tentativo di enucleare una nozione comunitaria<br />

di provvedimento ex art. 24. Tuttavia, sempre in ambito comunitario,<br />

sussistono ulteriori elementi che possono indurre, pur cautamente, a ritenere<br />

esistente tale nozione.<br />

Uno di essi è costituito da un’altra pronuncia <strong>del</strong>la Corte che, però, a differenza<br />

di quelle analizzate, prende in considerazione la nozione di « misure<br />

provvisorie » contenuta nell’art. 50 <strong>del</strong>l’accordo Trip’s sugli aspetti dei diritti di<br />

proprietà intellettuale attinenti al commercio (13). Nel caso di specie, la Corte<br />

sancisce l’applicazione <strong>del</strong>la norma comunitaria rispetto ad un provvedimento<br />

caratterizzato da una serie di elementi, analiticamente descritti, fra i quali spicca<br />

il requisito <strong>del</strong>l’urgenza (14). Questa circostanza rileva particolarmente perché,<br />

a giudizio di chi scrive, la condizione <strong>del</strong>l’urgenza non solo può accomunare<br />

misure provvisorie e cautelari ma, soprattutto, è perfettamente in linea con la<br />

ratio <strong>del</strong>l’art. 24: tale requisito può senz’altro costituire un elemento per giustificare<br />

il ricorso al foro esorbitante e l’eventuale rischio di distorsione dei criteri<br />

di competenza stabiliti dalla Convenzione. In tal senso colpisce che né nella<br />

sentenza Reichert né in quella Van Uden la Corte di Giustizia si sia riferita<br />

all’urgenza, anche solo accennandovi (15).<br />

La centralità <strong>del</strong>l’urgenza, in relazione all’interpretazione <strong>del</strong>l’art. 24, è,<br />

peraltro, confermata dal fatto che, in sede di modifica <strong>del</strong>la norma, la Commissione<br />

proponeva una definizione comunitaria di provvedimento « provvisorio e<br />

––––––––––––<br />

(13) V. Corte giust., 16 giugno 1998, c. 53/96, Hermés International c. FHT<br />

Marketing, in Racc. 1998, p. 3651. L’art. 50 <strong>del</strong>l’accordo Trip’s fa riferimento alla<br />

possibilità per l’autorità giudiziaria di ordinare « misure provvisorie immediate ed<br />

efficaci » subordinatamente all’esistenza di alcune condizioni e per il perseguimento<br />

di specifiche finalità. In relazione al nostro tema di indagine, è interessante notare<br />

come fra queste finalità vi sia quella di « preservare elementi di prova pertinenti riguardo<br />

alla presunta violazione »: la richiesta di un provvedimento di istruzione preventiva<br />

potrebbe pertanto legittimamente fondarsi sul disposto di tale norma. Questa<br />

regola, prima valevole solo in ambito europeo rispetto alle materie comunitarizzate,<br />

costituisce oggi diritto interno in materia di diritti di proprietà industriale. Ciò per<br />

effetto <strong>del</strong> recepimento (tramite il d.lgs. n. 30 <strong>del</strong> 2005) <strong>del</strong>la Direttiva CE n. 48 <strong>del</strong><br />

2004 (c.d. « direttiva enforcement »), il cui art. 9 riproduce il disposto <strong>del</strong>l’art. 50,<br />

accordo Trip’s.<br />

(14) Cfr. Corte giust., c. 53/96, loc. ult. cit., nel dispositivo. La domanda di rinvio<br />

pregiudiziale riguardava l’inclusione nell’ambito <strong>del</strong>l’art. 50 <strong>del</strong>l’accordo Trip’s di un<br />

provvedimento di Kort geding olandese, volto, nel caso di specie, a porre fine a comportamenti<br />

di violazione <strong>del</strong> diritto d’autore.<br />

(15) Nella sentenza Reichert l’occasione avrebbe potuto essere costituita dalla specificazione<br />

<strong>del</strong> concetto di misura conservativa, inteso come intrinsecamente connesso ad<br />

una situazione di pericolo. Nella Van Uden, dal fatto che il Kort geding è una misura<br />

provvisoria che richiede l’urgenza come condizione normativa (condizione messa in luce,<br />

come si è visto, dalla Corte nel caso Hermés).


GIURISPRUDENZA 783<br />

cautelare » (successivamente non riprodotta nel testo <strong>del</strong>l’art. 31 <strong>del</strong> reg.<br />

44/2001) che esplicitamente menzionava tale condizione (16).<br />

Quanto considerato induce ad avanzare l’ipotesi per cui l’urgenza possa<br />

costituire il requisito identificativo e fondante <strong>del</strong>la costituenda nozione comunitaria<br />

di provvedimenti ex art. 24, anche alla luce di una più dettagliata analisi<br />

<strong>del</strong>la sentenza in commento.<br />

3. – Come si è accennato, la Corte sancisce l’esclusione dal campo di applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 24 di un provvedimento che ordina l’audizione di un teste<br />

allo scopo di valutare la convenienza <strong>del</strong>la causa. La formulazione <strong>del</strong> dictum<br />

<strong>del</strong>la Corte non consente però di trarre direttamente da esso alcuna indicazione<br />

in ordine alle caratteristiche che il provvedimento di istruzione preventiva deve<br />

presentare per rientrare nel campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 24. Questa modalità<br />

decisoria è certamente legittima e, molte volte, costituisce diretta conseguenza<br />

<strong>del</strong>la tecnica <strong>del</strong> rinvio pregiudiziale. Tuttavia nel caso di specie essa desta<br />

qualche perplessità per il suo rapporto con la domanda di rinvio. In tale domanda,<br />

infatti, come si è visto, viene data una duplice qualificazione funzionale<br />

all’audizione preventiva di testimoni disciplinata dall’art. 186 WBR: accanto<br />

alla prevalente funzione di consentire la valutazione in ordine alla convenienza<br />

<strong>del</strong>la causa, l’istituto olandese assolverebbe a quella differente di evitare che<br />

una prova vada perduta (17).<br />

La Corte di Giustizia trascura <strong>del</strong> tutto questa seconda funzione <strong>del</strong>l’art.<br />

186 WBR, perdendo l’occasione di stabilire esplicitamente che un provvedimento<br />

di istruzione preventiva, se finalizzato alla conservazione di una prova,<br />

può rientrare nel campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 24. Questa conclusione, che a<br />

giudizio di chi scrive sarebbe stata preferibile (18), è peraltro ricavabile dalla<br />

pronuncia in via di interpretazione a contrario. Il provvedimento di istruzione<br />

preventiva non finalizzato alla conservazione di una prova, infatti, viene escluso<br />

dal campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 24 per una serie di ragioni che non riguardano<br />

quello che invece lo sia.<br />

––––––––––––<br />

(16) V. art. 18-bis, comma 2° <strong>del</strong>la proposta di revisione, pubblicata in Gazz. uff.<br />

Com. Eur. <strong>del</strong> 31 gennaio 1998 C 33/20 ss. Il requisito <strong>del</strong>l’urgenza, peraltro, compare<br />

anche nella formulazione <strong>del</strong>l’art. 12 <strong>del</strong> regolamento 1347/00, in materia matrimoniale e<br />

familiare. Sulla nozione di « provvedimenti provvisori e cautelari » nel regolamento cfr.<br />

Baruffi, I provvedimenti provvisori e cautelari nel Reg. 1347/2000, c.d. « Bruxelles II »,<br />

in Corr. giur. 2003, p. 128 ss.<br />

(17) L’Avvocato generale critica la formulazione <strong>del</strong>la domanda di rinvio, sottolineando<br />

come compito <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> rinvio sarebbe stato quello di descrivere le caratteristiche<br />

<strong>del</strong>l’audizione preventiva <strong>del</strong> teste nella fattispecie concreta, in modo da individuarne<br />

con esattezza un’unica funzione. V. il punto 52 <strong>del</strong>le conclusioni.<br />

(18) La stessa conclusione è accolta dall’Avvocato generale, v. punto 55 <strong>del</strong>le conclusioni.


784<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Nella motivazione, il giudice comunitario aderisce all’interpretazione<br />

restrittiva <strong>del</strong>l’art. 24 notando che anche la concessione di un provvedimento<br />

di istruzione preventiva può comportare una molteplicità di criteri di competenza<br />

giurisdizionale relativamente al medesimo rapporto giuridico, con<br />

evidente contrasto con i principi <strong>del</strong>la convenzione di certezza <strong>del</strong> diritto e di<br />

prevedibilità <strong>del</strong> foro (19). Secondo la Corte, quindi, l’applicazione <strong>del</strong>l’art.<br />

24 appare giustificata solo rispetto a provvedimenti rispondenti alle finalità<br />

<strong>del</strong>la norma, fra le quali vi è anzitutto quella di « evitare un pregiudizio derivante<br />

dalle lungaggini inerenti a tutti i procedimenti internazionali » (20).<br />

Ebbene, il riferimento ai tempi <strong>del</strong> processo internazionale e alla nozione di<br />

pregiudizio implica la necessità che il singolo provvedimento venga richiesto<br />

per ragioni di urgenza e in presenza di un periculum che, appunto, potrebbe<br />

pregiudicare il soddisfacimento <strong>del</strong>la pretesa <strong>del</strong>la parte, mentre un provvedimento<br />

di istruzione preventiva finalizzato a fornire alla parte elementi in<br />

ordine alla opportunità di introdurre una causa non risponde alla finalità sopra<br />

descritta in quanto, strutturalmente, prescinde da una situazione di periculum<br />

o urgenza.<br />

La Corte richiama, inoltre, in motivazione la definizione di provvedimento<br />

ex art. 24 contenuta nella sentenza Reichert, riferendosi alla necessaria ricorrenza<br />

<strong>del</strong> carattere conservativo <strong>del</strong> provvedimento e <strong>del</strong> nesso strumentale con il<br />

giudizio di merito. Orbene, un provvedimento di istruzione preventiva con funzione<br />

di valutare la convenienza di una causa appare privo di entrambi i suddetti<br />

requisiti. Rispetto alla strumentalità, infatti, se è vero che può verificarsi che le<br />

prove raccolte anticipatamente confluiscano nel giudizio di merito (se le risultanze<br />

probatorie hanno indotto ad instaurare la causa), è anche vero che, il più<br />

<strong>del</strong>le volte, il particolare tipo di istruzione preventiva di cui si discute serve ad<br />

evitare l’instaurazione <strong>del</strong> giudizio di merito; in questo modo il rapporto fra tale<br />

giudizio e l’istruzione preventiva si presenta particolarmente « debole e accessorio<br />

» (21) ed eventuale.<br />

Il riferimento alla sentenza Reichert conferma poi la centralità <strong>del</strong> requisito<br />

<strong>del</strong>l’urgenza nell’interpretazione <strong>del</strong>l’art. 24, attraverso il richiamo al carattere<br />

conservativo <strong>del</strong> provvedimento concedibile in base alla norma (d’altronde<br />

l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 dovrebbe essere valutata tenendo presenti la<br />

sua ratio e gli obiettivi <strong>del</strong>la convenzione e non soltanto riferendosi a singoli<br />

precedenti <strong>del</strong>la Corte (22)). Inoltre, l’adesione <strong>del</strong>la Corte a tale interpretazio-<br />

––––––––––––<br />

(19) V. i punti 19 e 20 <strong>del</strong>la motivazione.<br />

(20) V. il punto 12 <strong>del</strong>la motivazione.<br />

(21) V. il punto 47 <strong>del</strong>le conclusioni.<br />

(22) Diversamente, ad esempio, facendo isolato riferimento al dictum <strong>del</strong>la sentenza<br />

Van Uden, anche i provvedimenti di istruzione preventiva finalizzati a valutare la<br />

convenienza <strong>del</strong>la causa potrebbero rientrare nella nozione di provvedimento ex art. 24.<br />

In tale pronuncia, infatti, come si è accennato, la strumentalità viene a coincidere con


GIURISPRUDENZA 785<br />

ne emerge, oltre che dal passaggio <strong>del</strong>la motivazione che fa riferimento ai tempi<br />

<strong>del</strong> processo internazionale e dal richiamo alla sentenza Reichert, anche da un<br />

ulteriore argomento: secondo la Corte, l’interpretazione restrittiva <strong>del</strong>l’art. 24<br />

sarebbe ancor più giustificata rispetto ai provvedimenti di istruzione preventiva,<br />

in considerazione <strong>del</strong>la vigenza <strong>del</strong> regolamento comunitario n. 1206/2001, relativo<br />

alla cooperazione tra le autorità giudiziarie degli stati membri nel settore<br />

<strong>del</strong>l’assunzione <strong>del</strong>le prove in materia civile e commerciale. A giudizio <strong>del</strong>la<br />

Corte, infatti, permettere l’assunzione anticipata di una prova ex art. 24 potrebbe<br />

costituire un mezzo per eludere le norme <strong>del</strong> regolamento n. 1206, sicché gli<br />

spazi di operatività <strong>del</strong>l’art. 24 sono limitati alle ipotesi in cui particolari esigenze<br />

di speditezza non consentano di subordinare l’assunzione <strong>del</strong>la prova alle<br />

procedure previste in tale regolamento (23). Tali esigenze di speditezza senz’altro<br />

non ricorrono nell’ipotesi in cui la finalità <strong>del</strong> provvedimento di istruzione<br />

preventiva sia quella di valutare la convenienza <strong>del</strong>la causa.<br />

Le considerazioni sin qui svolte e gli argomenti rinvenibili nella motivazione<br />

<strong>del</strong>la sentenza, consentono, a questo punto, di integrare il dictum <strong>del</strong>la<br />

sentenza, concludendo nel senso <strong>del</strong>l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 ai provvedimenti<br />

di istruzione preventiva finalizzati ad evitare la perdita di una prova.<br />

L’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 ai provvedimenti di istruzione preventiva « conservativi<br />

» deriva infatti dalla loro stretta correlazione con i concetti di periculum<br />

e urgenza individuati come essenziali componenti <strong>del</strong>la nozione di<br />

provvedimento ex art. 24. Proprio in base ai principi enunciati dalla Corte,<br />

quindi, i presupposti <strong>del</strong>l’urgenza e <strong>del</strong> periculum giustificano l’impiego <strong>del</strong><br />

foro esorbitante ex art. 24 per l’attuazione dei provvedimenti volti alla conservazione<br />

<strong>del</strong>la prova, prescindendo dall’impiego <strong>del</strong>le procedure di cui al<br />

reg. n. 1206.<br />

4. – Quanto considerato induce, a questo punto, a formulare una prognosi<br />

intorno alla applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 ai provvedimenti di istruzione preventiva<br />

italiani (24). A tal fine, si prescinderà dalla, pur battuta, questione<br />

––––––––––––<br />

la reversibilità. La prova assunta prima <strong>del</strong> processo, a prescindere dalla sua finalità,<br />

soddisfa tale requisito poiché, nel caso in cui non venga utilizzata in un successivo<br />

giudizio di merito, essa non produce alcun effetto giuridico; nel caso in cui, invece,<br />

tale giudizio venga instaurato essa può essere in ogni momento rinnovata e, soprattutto,<br />

confluisce nell’accertamento di merito che quindi da essa non può in alcun modo essere<br />

pregiudicato.<br />

(23) V. il punto 23 <strong>del</strong>la motivazione.<br />

(24) Nel senso <strong>del</strong>la applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 ai provvedimenti di istruzione preventiva<br />

in generale, cfr. Mari, Il diritto processuale civile, cit., p. 722. Più incerta<br />

l’opinione di Salerno, La giurisdizione italiana in materia cautelare, cit., p. 242, che<br />

sottolinea il carattere tenue <strong>del</strong>la strumentalità che lega i provvedimenti di istruzione preventiva<br />

al giudizio di merito. Lo stesso autore, successivamente, sembra radicalizzare la


786<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong>l’appartenenza o meno dei provvedimenti di istruzione preventiva alla categoria<br />

dei « provvedimenti cautelari », nell’ambito <strong>del</strong> nostro processo (25).<br />

––––––––––––<br />

propria posizione, negando l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 31 <strong>del</strong> reg. 44/2001 rispetto ai provvedimenti<br />

di istruzione preventiva. Ciò anche a seguito, come l’autore stesso sottolinea,<br />

<strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong> reg. 1206/2001, cfr. Salerno, Giurisdizione ed efficacia, loc. ult.<br />

cit. In giurisprudenza, contro l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 alle misure di istruzione preventiva,<br />

cfr. Trib. Venezia, 27 maggio 1964, in Riv. dir. int. 1966, p. 189 ss.; Cass., 15 ottobre<br />

1985, n. 5049, in Riv. dir. int. priv. proc. 1987, p. 84 ss. Contra, v. l’ordinanza <strong>del</strong> Tribunale<br />

di Venezia <strong>del</strong> 28 febbraio 2003, in Riv. dir. int. priv. proc. 2004, p. 272 ss., ove si<br />

riconosce l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 ai provvedimenti di istruzione preventiva, facendo<br />

leva sulla loro « provvisorietà ». Nella dottrina straniera, in senso favorevole all’inclusione<br />

<strong>del</strong>le misure di istruzione preventiva nella nozione di provvedimento ex art. 24,<br />

cfr. Gaudemet-Tallon, Les Convention de Bruxelles, cit., p. 195; Merkt, Les mesures provisoires,<br />

cit., p. 601.<br />

In generale, sui provvedimenti di istruzione preventiva nel processo civile italiano,<br />

cfr., Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari (1936),<br />

ora in Opere giuridiche, a cura di Cappelletti, IX, Napoli 1983, p. 180 ss.; Micheli, La prova<br />

a futura memoria (1937), ora in Opere minori di diritto processuale civile, a cura di Colesanti,<br />

Picardi e Tarzia, Milano 1982, spec. pp. 409 e 431 s.; Denti, Sui procedimenti di<br />

istruzione preventiva, in Giur. it. 1949, I, 2, p. 47 ss.; Brunetti, Sui procedimenti di istruzione<br />

preventiva, Milano 1960, passim; Calvosa, Istruzione preventiva, in Nov. dig. it., IX,<br />

Torino 1963, p. 309 ss.; Nicotina, L’istruzione preventiva nel codice di procedura civile,<br />

Milano 1979, passim; Consolo, Periculum in mora ed inammissibilità <strong>del</strong>la domanda principale<br />

nella istruzione preventiva, in Giur. it. 1979, I, 2, p. 535 ss.; Balena, Istruzione (procedimento<br />

di istruzione preventiva), in Enc. giur., XVIII, Roma 1990; Magi-Carletti, I<br />

provvedimenti di istruzione preventiva, in I procedimenti cautelari, a cura di Tarzia, Padova<br />

1990, p. 113 ss.; Trisorio-Liuzzi, Istruzione preventiva, in Dig. disc. priv., sez. civ., X, Torino<br />

1993, p. 242 ss.; Salvaneschi, I provvedimenti di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc.<br />

1998, p. 809 ss.; Romano, La tutela cautelare <strong>del</strong>la prova nel processo civile, Napoli 2004,<br />

passim; Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, Torino 2004, passim; Nardo, Contributo allo<br />

studio <strong>del</strong>l’istruzione preventiva, Napoli 2005, passim.<br />

(25) La natura cautelare dei provvedimenti di istruzione preventiva si desume, innanzitutto,<br />

dall’inserimento <strong>del</strong>la loro disciplina nell’ambito <strong>del</strong> capo III (libro IV <strong>del</strong><br />

codice), rubricato « dei procedimenti cautelari ». Tale natura è stata, inoltre, ampiamente<br />

affermata in dottrina, cfr., ex multis, Micheli, La prova a futura memoria, cit., p. 472 ss.;<br />

Denti, Sui procedimenti di istruzione preventiva, loc. ult. cit.; Montesano, I provvedimenti<br />

d’urgenza nel processo civile, Napoli 1955, p. 36 ss.; Trisorio-Liuzzi, Istruzione,<br />

cit., p. 244; Balena, Istruzione, cit., p. 5; Nicotina, L’istruzione preventiva, cit., p. 193 ss.;<br />

Brunetti, Sui provvedimenti di istruzione preventiva, cit., p. 35 ss.; Salvaneschi, I provvedimenti<br />

di istruzione preventiva, cit., p. 35 ss.; Romano, La tutela cautelare, cit., spec.<br />

pp. 149 ss. e 215 ss. e Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, cit., spec. pp. 210-21. Alcuni<br />

autori, in parziale difformità con l’orientamento descritto e con la sistematica <strong>del</strong> codice,<br />

enfatizzano i tratti distintivi <strong>del</strong>l’istruzione preventiva nell’ambito <strong>del</strong>la cautela. Cfr.<br />

Consolo, Periculum in mora, cit., p. 537; Calvosa, La tutela cautelare (profilo sistematico),<br />

Torino 1963, spec. pp. 157 e 236; Nardo, Contributo, cit., p. 39.


GIURISPRUDENZA 787<br />

Ciò che, infatti, si è cercato di porre in luce è che ciò che conta ai fini <strong>del</strong>l’applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 24 è la ricorrenza nel singolo provvedimento di alcuni requisiti<br />

strutturali e funzionali e non, invece, la qualificazione formale di tale<br />

provvedimento. Proprio per tali ragioni conviene analizzare le caratteristiche<br />

dei provvedimenti di istruzione preventiva italiani partendo dalla descrizione<br />

<strong>del</strong>la disciplina positiva.<br />

Come è noto, i principali provvedimenti di istruzione preventiva conosciuti<br />

nel nostro ordinamento sono disciplinati dal codice di procedura civile,<br />

agli artt. 692 e ss. Essi sono costituiti dall’assunzione preventiva <strong>del</strong>la testimonianza,<br />

dall’accertamento tecnico e dall’ispezione giudiziale preventivi di<br />

luoghi o cose. Dalla lettura <strong>del</strong>le norme emerge chiaramente il carattere in<br />

senso lato « conservativo » di tali provvedimenti, derivante dalla necessaria<br />

ricorrenza <strong>del</strong> rischio di perdita <strong>del</strong>la prova ai fini <strong>del</strong>la loro concessione. Più<br />

in particolare, l’art. 692, attribuisce il diritto di chiedere l’audizione preventiva<br />

<strong>del</strong> teste a chi abbia « fondato motivo di temere che stiano per mancare uno<br />

o più testimoni le cui deposizioni possono essere necessarie in una causa da<br />

proporre »; in senso analogo l’art. 694 subordina la possibilità di ottenere un<br />

accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale preventivi al verificarsi di una<br />

situazione di « urgenza ».<br />

Questi presupposti normativi sottraggono i provvedimenti italiani di istruzione<br />

preventiva alla diretta applicazione <strong>del</strong>la decisione in commento e, contemporaneamente,<br />

consentono di ricomprenderli nel campo di applicazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 24, sulla base <strong>del</strong>l’interpretazione che individua, quale discrimen fondamentale<br />

per l’applicazione <strong>del</strong>la norma, la presenza di una finalità conservativa<br />

<strong>del</strong> provvedimento, ancorata ai presupposti <strong>del</strong>l’urgenza e <strong>del</strong> periculum.<br />

L’accoglimento di tale interpretazione consente infatti di prescindere, ai fini<br />

<strong>del</strong>l’applicabilità <strong>del</strong>la norma convenzionale ai provvedimenti di istruzione preventiva<br />

italiani, non solo dalla loro riconducibilità ai provvedimenti cautelari<br />

ma anche da ogni discussione circa la particolare natura <strong>del</strong>la strumentalità che<br />

li contraddistingue (posto che, nell’ambito <strong>del</strong> dibattito interno sul rapporto fra<br />

l’istruzione preventiva e la nozione generale di cautela, il profilo <strong>del</strong>la strumentalità<br />

è quello che maggiormente ha fatto emergere il carattere di specialità<br />

<strong>del</strong>la prima: le misure di istruzione preventiva con finalità di conservazione<br />

<strong>del</strong>la prova, infatti, pur svolgendo una funzione « servente » <strong>del</strong> successivo giudizio<br />

di merito – c.d. « strumentalità funzionale » – si differenziano dalle altre<br />

forme di cautela per il fatto di tutelare direttamente la prova, e solo in via mediata<br />

il diritto oggetto di futuro accertamento (26)): il nesso che lega i provve-<br />

––––––––––––<br />

(26) I provvedimenti di istruzione preventiva, inoltre, a differenza <strong>del</strong>le altre forme di<br />

cautela, sarebbero privi <strong>del</strong> nesso di « strumentalità strutturale » con il giudizio di merito,<br />

dal momento che ad essi non si applica la regola di cui all’art. 669-octies c.p.c. che, fino ad<br />

oggi, prevedeva, per gli altri provvedimenti cautelari, l’obbligo di avviare il giudizio di merito<br />

entro un termine perentorio dalla concessione <strong>del</strong> provvedimento. In realtà, questo ele-


788<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

dimenti di istruzione preventiva « conservativi » al giudizio di merito può essere<br />

ricompreso sia in quello cui fa riferimento la sentenza Reichert sia, a fortiori,<br />

in quello, ben più ampio, esplicitato nella Van Uden.<br />

Questa conclusione non è di poco conto sol che si consideri come in altri<br />

ordinamenti comunitari tali provvedimenti presentano caratteri e funzione<br />

fortemente diversi da quelli evidenziati con riferimento alla nostra disciplina.<br />

Senza poter in questa sede addentrarsi in un’analisi comparatistica, peraltro di<br />

recente accuratamente svolta (27), basti osservare come in molti ordinamenti<br />

la concessione dei provvedimenti di istruzione preventiva prescinda dal requisito<br />

<strong>del</strong> periculum in mora e, talvolta, sia direttamente finalizzata a consentire<br />

una valutazione circa la convenienza di una causa e ad evitare il ricorso al<br />

processo giurisdizionale ordinario (28). Alla luce <strong>del</strong>la pronuncia in commento<br />

e <strong>del</strong>le osservazioni svolte, è facile presagire quale potrebbe essere la<br />

sorte di tal genere di provvedimenti, rispetto alla questione <strong>del</strong>la loro includibilità<br />

nel campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 24.<br />

––––––––––––<br />

mento non sembra essere determinante nel differenziare l’istruzione preventiva dalle altre<br />

forme di cautela. Ciò, sia perché, secondo alcuni autori, la « strumentalità strutturale » svolge<br />

un ruolo esiguo nella individuazione <strong>del</strong> carattere cautelare di un provvedimento (in tal<br />

senso v., ad es., Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti, cit., p. 428), ma, soprattutto,<br />

perché tale tipo di strumentalità è stato fortemente attenuato rispetto alla generalità dei<br />

provvedimenti cautelari. Ciò, a seguito <strong>del</strong>la previsione <strong>del</strong>la « ultrattività » di tali provvedimenti,<br />

dapprima con riferimento alle controversie di diritto societario (in base al d.lgs. n.<br />

5/2003) ed oggi anche per il processo ordinario di cognizione, con l’entrata in vigore <strong>del</strong>la l.<br />

80/2005. Sulla strumentalità dei provvedimenti di istruzione preventiva, cfr., Calamandrei,<br />

Introduzione allo studio sistematico, cit., p. 59; Micheli, La prova a futura memoria, cit.,<br />

p. 474; Magi-Carletti, I provvedimenti di istruzione preventiva, loc. ult. cit.; Balena, Istruzione<br />

(Procedimento di istruzione preventiva), loc. ult. cit.; Trisorio-Liuzzi, Istruzione preventiva,<br />

cit., p. 243; Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti, loc. ult. cit.; Salvaneschi, I<br />

provvedimenti di istruzione preventiva, loc. ult. cit.; Romano, La tutela cautelare, cit.,<br />

p. 164 ss.; Nardo, Contributo, cit., p. 37 ss.<br />

(27) V. Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, cit., pp. 43-139 e Romano, La tutela<br />

cautelare, cit., p. 26 ss., anche per ulteriori riferimenti.<br />

(28) L’istituto <strong>del</strong> selbständiges Beweisverfahren tedesco (§§ 485 e ss. ZPO), ad<br />

esempio, può essere utilizzato, oltre che nel caso di pericolo di perdita <strong>del</strong>la prova, in<br />

caso di accordo con la parte nei cui confronti la prova deve essere assunta e, soprattutto,<br />

nel caso in cui sussista un « rechtliches Interesse » ad evitare l’instaurazione <strong>del</strong>la causa.<br />

Nell’ordinamento francese, invece, l’assunzione anticipata <strong>del</strong>la prova ha luogo attraverso<br />

l’istituto <strong>del</strong> référé probatoire (art. 145, n.c.p.c.) che può essere concesso in presenza<br />

di un « motif légitimè ». La giurisprudenza francese ha ritenuto che la nozione generica di<br />

« motivo legittimo » possa essere integrata anche dalla semplice utilità <strong>del</strong>la misura richiesta<br />

in relazione alla futura domanda di merito e possa giustificare l’impiego <strong>del</strong> rèfèrè<br />

probatoire anche soltanto al fine di sondare le possibilità di successo di un’azione futura.<br />

V. Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, cit., p. 85 ss. e Romano, La tutela cautelare,<br />

loc. ult. cit.


GIURISPRUDENZA 789<br />

La conclusione generale nel senso <strong>del</strong>la applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24 alle misure<br />

di istruzione preventiva italiane deve però essere ridimensionata a seguito<br />

<strong>del</strong>la recentissima entrata in vigore di modifiche legislative che hanno, in parte,<br />

mutato la configurazione <strong>del</strong>l’istruzione preventiva nel nostro processo. Si allude<br />

con ciò alla legge 80 <strong>del</strong> 2005 (29) che, oltre a estendere l’oggetto <strong>del</strong>l’accertamento<br />

tecnico e <strong>del</strong>l’ispezione giudiziale preventivi ad indagini sulla persona<br />

(30), ha introdotto l’istituto <strong>del</strong>la « consulenza tecnica ai fini <strong>del</strong>la composizione<br />

<strong>del</strong>la lite », attraverso l’inserimento <strong>del</strong> nuovo art. 696-bis c.p.c. La consulenza<br />

tecnica di cui al nuovo art. 696-bis, infatti, non solo può essere concessa<br />

a prescindere dalla ricorrenza <strong>del</strong> periculum in mora, ma è esplicitamente<br />

finalizzata a favorire la conciliazione fra le parti. In questa sede non è possibile<br />

approfondire il dibattito dottrinale sotteso a tale modifica legislativa (31), ma si<br />

può notare che il ripensamento <strong>del</strong>la funzione <strong>del</strong>l’istruzione preventiva si collega<br />

ad esigenze di carattere più generale, quali quelle <strong>del</strong>la riduzione <strong>del</strong> contenzioso<br />

e dei tempi <strong>del</strong> processo, ispiratrici di gran parte <strong>del</strong>le recenti riforme<br />

processuali (32), e che il riconoscimento di una funzione anche conciliativa alle<br />

misure di assunzione anticipata <strong>del</strong>la prova avvicina la disciplina italiana a<br />

quella di altri ordinamenti.<br />

In ogni caso, il mutamento, pur parziale, <strong>del</strong>la funzione dei provvedimenti<br />

di istruzione preventiva si ripercuote sulla applicabilità <strong>del</strong>l’art. 24. La nuova<br />

consulenza ex art. 696-bis non può, infatti, ritenersi inclusa nella nozione di<br />

provvedimento contemplata nella norma. Ciò, in primo luogo, in base al dictum<br />

<strong>del</strong>la sentenza in commento, che esclude dal campo di applicazione <strong>del</strong>l’art. 24<br />

le misure di anticipazione <strong>del</strong>la prova aventi la funzione di valutare la convenienza<br />

<strong>del</strong>la causa. In secondo luogo, e più in generale, perché l’istituto è <strong>del</strong><br />

tutto svincolato dai presupposti <strong>del</strong> periculum e <strong>del</strong>l’urgenza.<br />

L’art. 24 potrebbe quindi ancora trovare applicazione rispetto alle misure<br />

previste dagli artt. 692 e 694 c.p.c., la cui disciplina è rimasta invariata quanto<br />

ai presupposti per la concessione <strong>del</strong> provvedimento. Rispetto a tali provvedi-<br />

––––––––––––<br />

(29) V. Gazz. uff., n. 111 <strong>del</strong> 14 maggio 2005.<br />

(30) Cfr. il nuovo testo <strong>del</strong>l’art. 696, comma 1°. Su questa modifica e sul dibattito<br />

che ne ha preceduto l’entrata in vigore, v. Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, cit.,<br />

p. 149 ss.<br />

(31) Sui valori processuali coinvolti dalla modifica alla disciplina <strong>del</strong>l’istruzione<br />

preventiva, cfr. Besso, La prova prima <strong>del</strong> processo, cit., spec. pp. 17 ss. e 208 ss. L’autrice,<br />

in generale, ritiene che l’abbandono <strong>del</strong> requisito <strong>del</strong> periculum per la concessione<br />

dei provvedimenti di istruzione preventiva, non contraddica la natura cautelare di tali<br />

provvedimenti né contrasti con il principio di oralità <strong>del</strong> processo. Negano, invece, il carattere<br />

cautelare <strong>del</strong>la consulenza resa in base al nuovo art. 696-bis, Nardo, Contributo<br />

allo studio, cit., p. 401 ss. e Romano, La tutela cautelare, cit., p. 28, nota, 61.<br />

(32) Solo a titolo d’esempio, risponde alle predette finalità, la previsione <strong>del</strong>l’ultrattività<br />

dei provvedimenti cautelari (su cui v. supra, nota 26).


790<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

menti, anzi, il foro speciale <strong>del</strong>l’art. 24 potrebbe essere impiegato con preferenza<br />

rispetto alle procedure previste dal reg. n. 1206/2001; queste ultime, al contrario,<br />

costituiranno l’unico mezzo per dare attuazione, nello spazio giuridico<br />

europeo, ad una richiesta di consulenza tecnica fondata sul nuovo art. 696-bis.<br />

GIULIA DI FAZZIO<br />

Dottoranda di ricerca<br />

nell’Università di Catania


TRIBUNALE DI LAMEZIA TERME, ordinanza 28 gennaio 2005<br />

Est. Trapuzzano<br />

Gruppo Parlamentare Lega Padana <strong>del</strong> Senato <strong>del</strong>la XXIV legislatura<br />

c. Paola Francesco M. ed altri<br />

La competenza per le cause di opposizione a decreto ingiuntivo è funzionale<br />

e inderogabile (1).<br />

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale<br />

<strong>del</strong>l’art. 38, secondo comma, ultima parte c.p.c. nella parte in cui non prevede<br />

un termine entro il quale l’attore debba aderire all’indicazione <strong>del</strong> giudice ritenuto<br />

competente dal convenuto che abbia sollevato l’eccezione di incompetenza<br />

territoriale semplice (2).<br />

(Omissis). – Considerato che occorre, in via preliminare, inquadrare, sul<br />

piano sistematico, la portata <strong>del</strong> precetto di cui all’art. 38, secondo comma, ultima<br />

parte, c.p.c., il quale stabilisce che – qualora l’eccezione di incompetenza<br />

territoriale sia stata sollevata tempestivamente (nel caso di specie, con l’atto di<br />

opposizione – cfr. Cass. 5 giugno 1991, n. 6380) ed utilmente (con indicazione<br />

<strong>del</strong> giudice che la parte ritiene competente e purché si tratti di competenza territoriale<br />

derogabile) – alle altre parti costituite (nel caso di specie, parte opposta,<br />

che ha radicato, con il ricorso per ingiunzione, la competenza <strong>del</strong> tribunale di<br />

Lamezia Terme) è consentito di aderire a tale indicazione, con l’effetto che –<br />

senza alcun vaglio sull’effettiva competenza <strong>del</strong> giudice indicato (cfr. Cass. 9<br />

giugno 1978, n. 2915) – deve essere disposta la cancellazione <strong>del</strong>la causa dal<br />

ruolo e la causa deve essere riassunta, entro tre mesi dalla pronuncia <strong>del</strong>l’ordinanza<br />

di cancellazione, davanti al giudice indicato;<br />

(Omissis). – Considerato che, così identificato il tema, è necessario procedere<br />

essenzialmente a due verifiche, allo scopo di ponderare l’effettiva possibilità<br />

di disporre, nel caso di specie, la cancellazione <strong>del</strong>la causa dal ruolo: la prima<br />

verte sulla compatibilità <strong>del</strong> meccanismo ora indicato con la particolare natura<br />

<strong>del</strong> procedimento in cui l’adesione è stata avanzata, vale a dire il giudizio<br />

di opposizione a decreto ingiuntivo in cui, come è noto – opera il principio di<br />

competenza funzionale ed inderogabile <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione, che necessariamente<br />

si identifica nel tribunale <strong>del</strong> luogo in cui è stato emesso il decreto<br />

ingiuntivo opposto; la seconda verifica, la quale presuppone risolta in senso positivo<br />

la prima questione, relativa alla compatibilità, inerisce, per converso, alla<br />

concreta possibilità di aderire (« accettare ») alla « proposta » di competenza


792<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

territoriale in ogni tempo, fino all’udienza di precisazione <strong>del</strong>le conclusioni,<br />

ovvero solo entro limiti (barriere) ben individuati, in conformità al principio di<br />

eventualità o preclusione che governa il nuovo rito civile e, in ogni caso, compatibilmente<br />

con la posizione processuale complessiva assunta dalla parte che<br />

vi aderisce, che non può venire contra factum proprium;<br />

Ritenuto, innanzitutto, che – con riguardo alla natura <strong>del</strong> giudizio di opposizione<br />

al provvedimento monitorio – è opportuno sgomberare il campo da un<br />

equivoco che potrebbe condizionare l’esauriente e chiara trattazione <strong>del</strong>le tematiche<br />

emarginate: in realtà, nell’ambito di tale giudizio, bisogna distinguere<br />

due profili attinenti alla competenza territoriale, l’uno relativo all’individuazione<br />

<strong>del</strong> giudice competente a decidere il procedimento monitorio, presso cui<br />

deve essere proposto il ricorso per ingiunzione, che segue le regole ordinarie in<br />

materia di demarcazione <strong>del</strong> giudice competente (si passi il termine, competenza<br />

a monte); l’altro relativo alla prospettazione <strong>del</strong> giudice competente a decidere<br />

l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso; solo in quest’ultimo caso,<br />

si parla correttamente di competenza funzionale ed inderogabile (cfr. Cass. 8<br />

febbraio 1972, n. 323), nel senso che l’opposizione necessariamente deve essere<br />

proposta davanti al giudice che ha adottato il decreto oggetto di opposizione,<br />

anche per far valere l’incompetenza territoriale <strong>del</strong> giudice che ha emesso tale<br />

decreto (per usare, ancora una volta, un termine improprio, ma che rende bene<br />

l’idea, competenza a valle);<br />

(Omissis). – Tanto premesso, in ordine alla prima verifica che ci si era<br />

proposti di sondare, è pacifico tra le parti che l’incompetenza di cui si discute è<br />

quella che attiene all’individuazione <strong>del</strong> giudice adito con il ricorso per ingiunzione<br />

(competenza a monte);<br />

Sennonché, nonostante qualche parere contrario espresso dalla giurisprudenza<br />

di merito (cfr. Trib. Monza 11 ottobre 1984; Pret. Padova 9 ottobre 1989),<br />

si reputa che il meccanismo disciplinato dall’art. 38, secondo comma, ultima<br />

parte, c.p.c. sia ontologicamente compatibile con la natura <strong>del</strong> giudizio di opposizione<br />

a decreto ingiuntivo; e ciò con la forma <strong>del</strong>l’ordinanza, che contiene (e non<br />

può essere diversamente), anche se implicitamente, la declaratoria di nullità <strong>del</strong><br />

decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 26 luglio 2001, n. 10206), sicché la tempestiva riassunzione<br />

<strong>del</strong> giudizio davanti al giudice considerato competente non può essere<br />

riferita alla causa di opposizione al decreto, che oramai non esiste più, ma costituisce<br />

un nuovo atto di impulso di un ordinario giudizio di cognizione, avente ad<br />

oggetto la medesima domanda, proposta con il ricorso in sede monitoria (cfr.<br />

Cass. 9 novembre 2004, n. 21297; Cass. 15 dicembre 1999, n. 14075; Cass. 23<br />

gennaio 1999, n. 630; quest’ultima pronuncia configura la natura abnorme <strong>del</strong><br />

provvedimento per il solo fatto che la decisione <strong>del</strong> giudizio di opposizione spettava<br />

al collegio, prima <strong>del</strong>l’entrata in vigore <strong>del</strong>la legge 26 novembre 1990, n.<br />

353);<br />

Sciolto in senso positivo il primo nodo, occorre passare alla seconda verifica<br />

programmata, quella concernente la possibilità di aderire, in ogni tempo<br />

alla proposta formulata <strong>del</strong> foro convenzionale;


GIURISPRUDENZA 793<br />

Sull’argomento, si discrimina l’aspetto letterale da quello ermeneutico;<br />

sotto il primo aspetto, il legislatore, benché ponga una precisa limitazione alla<br />

facoltà di eccepire l’incompetenza territoriale, sanzionata a pena di decadenza,<br />

rectius nella comparsa di risposta (nella fattispecie, nell’atto di opposizione),<br />

nulla dice sui tempi entro cui deve essere formulata l’adesione ma si ferma a<br />

disciplinare gli effetti che tale adesione implica; sotto l’aspetto interpretativo,<br />

due sono le opzioni astratte alle quali si può aderire, entrambe motivate e degne<br />

di considerazione:<br />

a) alla stregua di una prima interpretazione, che prende le mosse dal dato<br />

letterale <strong>del</strong>la norma, l’adesione può essere formalizzata in ogni tempo, fino<br />

all’udienza di precisazione <strong>del</strong>le conclusioni, e benché inizialmente la controparte<br />

abbia dissentito <strong>del</strong>la sua fondatezza; e ciò perché la doppia valenza <strong>del</strong>l’eccezione,<br />

quale questione di rito e quale proposta di adesione al foro convenzionale<br />

indicato, sarebbe un tutt’uno inscindibile, che rimane fermo fino alla<br />

decisione, con la conseguenza che, così come il giudice, in forza <strong>del</strong>la permanenza<br />

di tale eccezione, è tenuta a deciderla nel momento in cui la causa passa<br />

alla fase decisoria, allo stesso modo, fino a tale momento, la controparte può<br />

aderirvi (vedi, sul punto <strong>del</strong>la proposta ferma e, in ogni caso, non revocata, art.<br />

1328 c.c.);<br />

b) secondo l’altra interpretazione, anche l’adesione deve avvenire prontamente<br />

e, ad ogni modo, non può essere formalizzata dopo che la controparte<br />

ne ha espressamente dissentito, in ragione <strong>del</strong> principio di eventualità che regola<br />

il nuovo rito civile, come desumibile dai precetti contenuti negli artt. 180,<br />

183 e 184 c.p.c., nonché dai principi costituzionali di economia processuale ex<br />

art. 111 Cost. e di difesa ex art. 24 Cost., i quali implicano, quale corollario, che<br />

il comportamento <strong>del</strong>le parti sia improntato a coerenza logica <strong>del</strong>le posizioni<br />

espresse, oltre che basato sulla parità <strong>del</strong>le armi, la quale verrebbe palesemente<br />

meno ove si consenta alla parte che ha radicato la competenza territoriale <strong>del</strong><br />

tribunale adito di dissentire e poi aderire alla proposta <strong>del</strong> foro convenzionale e<br />

di calibrare la decisione di aderire in ragione <strong>del</strong>l’andamento <strong>del</strong> giudizio;<br />

In ordine al primo punto, la forza di tale tesi interpretativa, se con il vecchio<br />

rito era plausibile che tale adesione potesse essere espressa sino all’udienza<br />

di precisazione <strong>del</strong>le conclusioni (cfr. Cass. 20 marzo 1986, n. 1954), non altrettanto<br />

potrebbe dirsi con riferimento al nuovo rito, che impone alle parti di<br />

prendere immediata posizione sulle eccezioni sollevate dalle rispettive controparti,<br />

benché l’art. 38 citato nulla preveda in proposito; per l’effetto, si reputa<br />

che termine ultimo per la manifestazione di adesione all’eccezione di incompetenza<br />

sollevata da parte opponente sarebbe l’udienza di trattazione ex art. 183<br />

c.p.c., deputata alla definitiva demarcazione <strong>del</strong> thema decidendum e alla conseguente<br />

maturazione <strong>del</strong>le preclusioni assertorie; sempre secondo tale tesi, se<br />

anche il motivo processuale che precede non fosse accolto o condiviso, un’ulteriore<br />

ragione, questa volta di natura sostanziale, impedirebbe all’adesione palesata<br />

da parte opposta di produrre gli effetti <strong>del</strong>la cancellazione <strong>del</strong>la causa dal<br />

ruolo; ed infatti, la fattispecie regolata dall’art. 38, secondo comma, ultima


794<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

parte c.p.c. integra un’ipotesi di negozio processuale, che – come tale – soggiace<br />

alle regole in materia di contratto, in quanto compatibili, con la conseguenza<br />

che – equiparando l’eccezione di incompetenza territoriale, con contestuale indicazione<br />

<strong>del</strong> giudice ritenuto competente, sollevata da parte opponente, ad una<br />

proposta di instaurazione <strong>del</strong>la vertenza dinanzi al giudice indicato ex art. 1326<br />

c.c. – gli effetti di tale proposta verrebbero caducati nel momento in cui parte<br />

opposta, anziché accettarla, la ha espressamente avversata (ma tale diniego potrebbe<br />

avvenire anche per contegni concludenti, cfr. Trib. Macerata 31 agosto<br />

1988, n. 351), facendo venire meno la possibilità di perfezionamento <strong>del</strong>l’accordo;<br />

si tratterebbe, dunque, di una sola eccezione, con duplice effetto, con la<br />

conseguenza che, a seguito <strong>del</strong> rifiuto <strong>del</strong>la proposta, l’eccezione permarrebbe<br />

ai soli fini <strong>del</strong>la decisione sulla competenza ma verrebbe meno l’efficacia<br />

<strong>del</strong>l’eccezione quale proposta contrattuale; né, nel caso di specie, si può funditus<br />

ritenere che si tratti di proposta irrevocabile o ferma ex art. 1329 c.c. poiché<br />

non vi è alcun elemento da cui desumere che parte opponente abbia assunto tale<br />

obbligo, come arguibile – peraltro – dal comportamento da essa assunto a seguito<br />

<strong>del</strong>la tardiva e contraddittoria adesione, formulata da parte opposta;<br />

Nondimeno, pur apparendo la seconda soluzione più coerente e plausibile,<br />

il dato letterale non può essere superato, neanche attraverso il ricorso ad un’interpretazione<br />

sistematica o adeguatrice o costituzionalmente orientata (peraltro,<br />

il principio di eventualità o di preclusione non è di per sé di derivazione costituzionale)<br />

poiché l’attività ermeneutica non permette di porre una barriera perentoria<br />

alla possibilità di adesione, ove il legislatore espressamente non la preveda,<br />

in guisa <strong>del</strong>la tassatività <strong>del</strong>le ipotesi preclusive; non resta, dunque, che sollevare<br />

questione di legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°, ultima<br />

parte, c.p.c., limitatamente al punto in cui consente di aderire in ogni tempo,<br />

fino alla precisazione <strong>del</strong>le conclusioni, all’eccezione di incompetenza territoriale<br />

derogabile tempestivamente sollevata da controparte, anche dopo l’udienza<br />

di trattazione, senza alcuna preclusione rispetto alla posizione originaria di dissenso,<br />

espressa al riguardo;<br />

Atteso che la questione è rilevante poiché, in applicazione di tale norma,<br />

dovrebbe essere dichiarata la cancellazione <strong>del</strong>la causa dal ruolo mentre – qualora<br />

la questione di legittimità fosse fondata – si dovrebbe procedere oltre poiché<br />

parte opposta ha contrastato l’eccezione di incompetenza nell’atto di costituzione<br />

e ha formalizzato l’atto di adesione durante la pendenza dei termini<br />

concessi ex art. 184 c.p.c., dopo aver depositato rituale memoria, contenente le<br />

richieste istruttorie;<br />

Divisato, inoltre, che tale questione di legittimità non è manifestamente infondata<br />

poiché, così interpretata (ed il dato letterale perentoriamente inibisce<br />

una diversa interpretazione), la norma permette di subordinare la decisione di<br />

aderire all’eccezione all’esito <strong>del</strong>l’andamento <strong>del</strong> processo, anche a seguito<br />

<strong>del</strong>l’espletamento <strong>del</strong>la fase istruttoria, senza alcun vincolo rispetto all’originaria<br />

obiezione sollevata, con chiara elusione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> giusto processo,<br />

anche inteso come sua durata ragionevole, e parità <strong>del</strong>le armi fra le parti, posto


GIURISPRUDENZA 795<br />

che la parte che ha sollevato l’eccezione si troverebbe vincolata a subire<br />

l’adesione <strong>del</strong>la controparte fino all’udienza di precisazione <strong>del</strong>le conclusioni,<br />

in violazione degli artt. 24 e 111 Cost.; reputato, altresì, che la questione di legittimità<br />

costituzionale appare non manifestamente infondata anche rispetto<br />

all’art. 3 Cost. poiché, a fronte di un limite preclusivo assai ristretto per chi<br />

solleva l’eccezione di incompetenza territoriale, sanzionato a pena di decadenza<br />

(cfr. Corte Cost. 16 aprile 1999, n. 128), consente alla controparte di aderire in<br />

ogni tempo alla predetta eccezione, lasciando, nelle more, la parte che ha eccepito<br />

la questione in una posizione di passiva soggezione, con chiara violazione<br />

<strong>del</strong> principio di ragionevolezza; (Omissis).<br />

(1-2) In tema di legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°,<br />

c.p.c. e di competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto<br />

ingiuntivo<br />

1. – Il Tribunale di Lamezia Terme ha sollevato, con l’ordinanza in commento,<br />

questione di legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°, c.p.c., per<br />

contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., laddove non prevede un termine entro il<br />

quale aderire all’indicazione <strong>del</strong> giudice competente che accompagna l’eccezione<br />

di incompetenza territoriale semplice, consentendo implicitamente alla<br />

parte attrice di farlo in ogni tempo, ed anche eventualmente a seguito <strong>del</strong>l’iniziale<br />

contestazione <strong>del</strong>la fondatezza <strong>del</strong>l’eccezione medesima.<br />

A seguito di procedimento monitorio svoltosi dinanzi al giudice a quo, infatti,<br />

il debitore ingiunto proponeva opposizione formulando eccezione di incompetenza<br />

territoriale semplice ed indicando quale giudice competente il Tribunale<br />

di Roma, per sollecitare l’adesione <strong>del</strong> creditore opposto all’accordo endoprocessuale<br />

di deroga alla competenza per territorio.<br />

Il creditore convenuto, che costituendosi non aveva raccolto la proposta di<br />

deroga avanzata dalla controparte, motivando anzi espressamente la scelta di<br />

rivolgersi al Tribunale di Lamezia Terme, in pendenza dei termini di cui all’art.<br />

184 c.p.c. mutava improvvisamente opinione, dichiarando di concordare con lo<br />

spostamento di competenza suggerito dall’opponente.<br />

Il giudice rimettente, dubitando <strong>del</strong>la legittimità costituzionale <strong>del</strong>l’art. 38,<br />

comma 2°, nei termini sopra indicati, ha tuttavia ritenuto pregiudiziale (rispetto<br />

alla eventuale decisione di sollevare questione dinanzi alla Corte Costituzionale)<br />

la verifica <strong>del</strong>la compatibilità <strong>del</strong> meccanismo di deroga alla competenza per<br />

territorio semplice con la natura <strong>del</strong> giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo<br />

« in cui come è noto – opera il principio di competenza funzionale ed inderogabile<br />

<strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione, che necessariamente si identifica nel tribunale<br />

<strong>del</strong> luogo in cui è stato emesso il decreto ingiuntivo opposto ».<br />

2. – La fattispecie giuridica in esame, così come impostata dal Tribunale di<br />

Lamezia Terme, permette di inserire sommessamente alcune riflessioni nel di-


796<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

battito oltremodo attuale in tema di competenza nel giudizio di opposizione a<br />

decreto ingiuntivo, che si sviluppa, con diverse sfumature e variazioni, sulla<br />

scorta di molteplici interventi dottrinali e giurisprudenziali, intorno al dilemma<br />

<strong>del</strong>la più o meno assoluta inderogabilità <strong>del</strong>la stessa (1).<br />

Il dato normativo di riferimento per una corretta disamina <strong>del</strong> problema è<br />

evidentemente il comma 1° <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c., che l’ordinanza in commento<br />

interpreta senza apparenti esitazioni come norma attributiva di competenza<br />

funzionale e inderogabile, il quale impone che l’opposizione a decreto ingiuntivo<br />

si proponga allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento monitorio.<br />

Orbene, come osservato da alcuni autori (2), in una direzione opposta rispetto<br />

all’orientamento tradizionale pur avallato dalle Sezioni Unite (3), l’elemento<br />

positivo assolutamente imprescindibile ed inviolabile, che l’art. 645,<br />

comma 1°, c.p.c. profila, consiste nella necessità che l’opposizione sia proposta,<br />

ossia che il giudizio di opposizione sia introdotto, dinanzi allo stesso giudice<br />

che ha emesso il decreto.<br />

Nulla la norma necessariamente implica, si potrebbe osservare, relativamente<br />

alla competenza a decidere sull’opposizione e quindi, in prospettiva diversa<br />

ma in termini analoghi, alla declinabilità <strong>del</strong>la competenza medesima da<br />

parte <strong>del</strong> giudice individuato in base all’art. 645 c.p.c.<br />

Non esistendo pertanto alcun invalicabile ostacolo di natura positiva ad<br />

un’interpretazione diversa <strong>del</strong>la disposizione richiamata, rispetto alla tradizionale<br />

ricostruzione <strong>del</strong>l’istituto nel senso che la competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’op-<br />

––––––––––––<br />

(1) Non è possibile dare integralmente conto in questa sede degli innumerevoli<br />

contributi destinati all’argomento, né offrire un dettagliato riepilogo degli orientamenti<br />

giurisprudenziali sul tema, per i quali si rinvia alle analitiche ricostruzioni compiute da<br />

Tedoldi-Merlo, in Capponi (opera diretta da), Il procedimento d’ingiunzione, Bologna<br />

2005, p. 357 ss., spec. p. 369 ss.; Colla, Il decreto ingiuntivo. Il procedimento d’ingiunzione<br />

e il giudizio di opposizione, 2 a ed., Padova 2003, p. 281 ss.; Valitutti-De Stefano, Il<br />

decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova 2000, p. 230 ss.; nonché, più succintamente<br />

ma in modo esaustivo, Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Torino<br />

2005, 17 a ed., vol. III, p. 30, nota 46.<br />

(2) Si vedano in tal senso Franco, Guida al procedimento di ingiunzione, Milano<br />

2001, I, p. 378; Vullo, Novità in tema di domanda ricovenzionale e competenza nel procedimento<br />

di opposizione a decreto ingiuntivo, in questa Rivista 1991, p. 1182 ss., spec.<br />

pp. 1201-1203; Sbaraglio, « Revirement » <strong>del</strong>la Corte di Cassazione in tema di inderogabilità<br />

<strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo, in Foro it.<br />

1991, c. 2979 ss.; Dalmotto, La competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo<br />

cede alle ragioni <strong>del</strong>la connessione, in Giur. it. 1992, c. 856 ss., spec. c. 859.<br />

(3) Da ultimo, Cass., Sez. Un., 18 luglio 2001, nn. 9768, 9769, 9770; si veda inoltre<br />

Cass., Sez. Un., 8 marzo 1996, n. 1835, in Foro it. 1996, c. 2086 ss., con nota critica di<br />

Sbaraglio, Le competenze assolutamente inderogabili di fronte alla riforma <strong>del</strong> codice di<br />

procedura civile.


GIURISPRUDENZA 797<br />

posizione a decreto ingiuntivo sia funzionale e mai derogabile, appare corretto<br />

chiedersi quale possa essere, in definitiva, la soluzione esegetica preferibile.<br />

Cercando di ordinare in un sensato e coerente mosaico le innumerevoli<br />

tessere <strong>del</strong>la dialettica instauratasi tra gli studiosi <strong>del</strong>la materia (4), sembra al<br />

riguardo possibile svolgere alcune considerazioni.<br />

Si ritiene in primo luogo opportuno uscire dall’equivoco per cui necessaria<br />

premessa per la conduzione di un discorso lineare sul punto consista nella<br />

corretta definizione <strong>del</strong>la natura <strong>del</strong> giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo;<br />

l’enfasi sovente riposta in tale prodromico sforzo di inquadramento concettuale<br />

<strong>del</strong>l’istituto rischia infatti, come talora è accaduto, di impigrire<br />

l’interprete in una serie di deduzioni “a catena” che risultino in linea con le<br />

basi tracciate, privilegiandosi così la logicità <strong>del</strong>le proprie argomentazioni rispetto<br />

alle premesse, piuttosto che la cura nell’indagine circa la fondatezza<br />

<strong>del</strong>le tesi esposte (5).<br />

Osservazioni analoghe, sempre in via preliminare, possono essere altresì<br />

spese per sdrammatizzare la portata <strong>del</strong>l’ulteriore quesito, spesso dettato da esigenze<br />

di stampo classificatorio ancor prima che pratico, <strong>del</strong>la sussumibilità <strong>del</strong><br />

––––––––––––<br />

(4) Almeno fino a pochi anni or sono, peraltro, come sottolineato da Dalmotto, Ritorno<br />

al passato: le Sezioni unite sulla competenza funzionale e quindi inderogabile <strong>del</strong><br />

giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo, in Giur. it. 1993, c. 788, il contrasto di<br />

orientamenti, soprattutto in giurisprudenza, meritava di essere definito « diacronico », nel<br />

senso che le diverse concezioni e ricostruzioni non coesistevano tra loro, ma si alternavano<br />

in distinti momenti storici, sicché le Sezioni Unite si trovavano di fronte alla seguente<br />

alternativa: « o coltivare il nuovo o tornare al vecchio », avendo optato poi per la seconda<br />

soluzione.<br />

(5) Volendo distinguere le principali tesi sulla natura <strong>del</strong> giudizio di opposizione a<br />

decreto ingiuntivo, si deve menzionare innanzitutto la teoria, che va per la maggiore,<br />

<strong>del</strong>la natura impugnatoria di tale procedimento: in tal senso, si vedano Garbagnati, Il<br />

procedimento di ingiunzione, Milano 1991, p. 136 ss.; Tarzia, Opposizione a decreto ingiuntivo<br />

davanti a giudice incompetente, in Giur. it. 1963, c. 120 ss.; Lorenzetti Peserico,<br />

Opposizione a decreto ingiuntivo e competenza, in Riv. dir. civ. 1993, p. 782 ss.; Minotto,<br />

Sugli effetti <strong>del</strong>l’incompetenza <strong>del</strong> giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, in Riv.<br />

dir. proc. 1997, pp. 620-621; Valitutti-De Stefano, op. loc. cit., in posizione opposta, sia<br />

pure con diverse argomentazioni, si riscontra l’orientamento che vede nel detto giudizio<br />

una fase eventuale di cognizione ordinaria che si svolge nelle forme di un qualunque processo<br />

civile di primo grado: così Sciacchitano, voce Ingiunzione (dir. proc. civ.), in Enc.<br />

dir., XXI, Milano 1971, p. 521 ss., ove si dubita però che possa negarsi carattere impugnatorio<br />

all’opposizione tardiva; Franco, op. cit., pp. 378-379; infine vi è chi si colloca in<br />

una posizione intermedia tra le due tesi, riconoscendo nell’opposizione a decreto ingiuntivo<br />

l’esistenza di alcuni profili propri <strong>del</strong>l’impugnazione ed una struttura invece riconducibile<br />

alle forme <strong>del</strong> giudizio di primo grado: cfr., ad esempio, Vullo, op. cit., p. 1199;<br />

Corrado, L’efficacia <strong>del</strong>la sentenza di accoglimento <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo,<br />

in Giur. mer. 2003, p. 1681 ss.


798<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

regime di competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo (6) nel<br />

concetto di competenza funzionale (7), i cui confini non sono <strong>del</strong> tutto sicuri,<br />

anche in considerazione <strong>del</strong> fatto che tale concetto è stato elaborato e sviluppato<br />

in un contesto normativo ben diverso da quello attuale (8) e tuttora non ha riscontri<br />

sul piano positivo.<br />

Tanto premesso, ritenendo indispensabile divincolarsi da possibili pregiudizi<br />

legati all’incondizionato accoglimento di punti di vista e di categorie<br />

concettuali generalmente adottati e richiamati per spiegare la effettiva portata<br />

<strong>del</strong> tema che qui interessa, si vuol cercare di assumere in questa sede una<br />

prospettiva quanto più possibile aderente alla disciplina <strong>del</strong> codice e sensibile<br />

alla coerenza ed al buon funzionamento <strong>del</strong> sistema. In tale ottica, non<br />

sembra esagerato affermare che il dogma <strong>del</strong>l’inderogabilità <strong>del</strong>la competenza<br />

<strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo, pur pedissequamente<br />

accettato dal giudice a quo nella fattispecie in esame, sia ormai destinato a<br />

recedere.<br />

Spunti significativi in tal senso emergono proprio dall’analisi dei meccanismi<br />

operanti in tema di competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione individuato ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 645, comma 1°, c.p.c., competenza che appare a ben vedere declinabile<br />

in più di una circostanza.<br />

Si vuole in altre parole far riferimento alle ipotesi, invero plausibili, nelle<br />

quali il giudice investito <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo debba esser ritenuto<br />

incompetente, qualunque ne sia il motivo, per chiedersi quali riflessi subisca<br />

in tali evenienze lo sviluppo <strong>del</strong>la causa.<br />

3. – In primo luogo, può darsi la circostanza che fosse incompetente già il<br />

giudice investito <strong>del</strong>la fase monitoria. In tal caso, l’opposizione avverso il decreto<br />

emesso da giudice incompetente andrebbe comunque promossa davanti<br />

allo stesso giudice, nel rispetto <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c., il quale sarebbe costretto a<br />

dichiararsi incompetente e, implicitamente o espressamente, a revocare il provvedimento<br />

ingiuntivo.<br />

Ci si chiede se a questo punto nella pronuncia di incompetenza vada indi-<br />

––––––––––––<br />

(6) Nel presupposto peraltro non pacifico, come si vedrà, <strong>del</strong>la qualificazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 645, comma 1°, c.p.c. quale norma attributiva di competenza.<br />

(7) Per una puntuale indagine sul significato e sui limiti <strong>del</strong>l’espressione e <strong>del</strong>la<br />

categoria create da Chiovenda, si veda il contributo di Rascio, In tema di competenza<br />

funzionale, in questa Rivista 1993, p. 136 ss.<br />

(8) Come osservato, infatti, all’epoca in cui Chiovenda elaborava la nozione di<br />

competenza funzionale, non solo non esisteva il procedimento monitorio, ma neanche le<br />

competenze inderogabili ex art. 28 c.p.c.; si veda, con considerazioni di segno critico rispetto<br />

all’impostazione costantemente seguita dalla giurisprudenza in argomento, Proto<br />

Pisani, Opposizione a decreto ingiuntivo, continenza e connessione: una grave occasione<br />

mancata dalle Sezioni Unite, in Foro it. 1992, c. 3286 ss.


GIURISPRUDENZA 799<br />

cato il giudice viceversa ritenuto competente, al fine di consentire alle parti interessate<br />

la riassunzione <strong>del</strong> processo dinanzi a questi, e quindi la translatio judicii.<br />

Prevedibilmente, ove si impostasse l’analisi muovendo dal presupposto<br />

che l’art. 645 c.p.c. integra un’ipotesi di competenza funzionale inderogabile, si<br />

dovrebbe coerentemente desumere che il meccanismo <strong>del</strong>la translatio judicii<br />

non possa in tali ipotesi operare e che la sentenza dichiarativa <strong>del</strong>l’incompetenza<br />

<strong>del</strong> giudice adito con riferimento già alla fase monitoria, oltre a determinare<br />

la nullità <strong>del</strong> decreto, non sarebbe idonea ad altro se non alla definitiva<br />

chiusura <strong>del</strong> procedimento (9).<br />

In realtà, non si intravedono argomenti ostativi alla diversa soluzione <strong>del</strong>la<br />

translatio, che potrebbe risultare più conveniente, o quanto meno più flessibile<br />

per le parti: è vero infatti che anche per effetto <strong>del</strong>l’adesione alla tesi legata al<br />

concetto di competenza funzionale e inderogabile, al preteso creditore rimarrebbe<br />

comunque l’illimitata facoltà di riproporre la propria azione, in sede monitoria<br />

come ordinaria; ma è altrettanto vero che l’opzione nel senso <strong>del</strong>la translatio<br />

sortisce l’unica conseguenza, certo non svantaggiosa, di ampliare le facoltà<br />

a disposizione <strong>del</strong>le parti, le quali potrebbero riassumere e proseguire il<br />

giudizio già intrapreso, oppure lasciarlo estinguere senza che ciò impedisca,<br />

eventualmente ed in seguito, di incardinarlo ex novo (10).<br />

È utile d’altro canto avvertire che, portando alle naturali conseguenze la<br />

teoria <strong>del</strong>la natura funzionale e inderogabile <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong> giudice<br />

<strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo, si dovrebbe senz’altro negare in tale sede<br />

l’operatività <strong>del</strong> sistema di deroga previsto dall’art. 38, comma 2°, c.p.c.<br />

Si deve infatti ritenere che l’adesione <strong>del</strong>l’opposto (attore in senso sostanziale)<br />

all’indicazione <strong>del</strong> giudice competente per territorio formulata dall’opponente<br />

(convenuto in senso sostanziale) non possa avere alcun rilievo al di fuori<br />

dei casi in cui la competenza è derogabile (11).<br />

Il giudice investito di competenza funzionale, pertanto, a fronte di rituale<br />

eccezione di parte tesa al rilievo <strong>del</strong>l’incompetenza territoriale, e indipendentemente<br />

da qualunque eventuale manifestazione di segno concorde ad opera <strong>del</strong>la<br />

controparte, non potrebbe mai cancellare automaticamente la causa dal ruolo<br />

con ordinanza, ma dovrebbe, al contrario, pronunciarsi con sentenza sull’eccezione<br />

medesima, statuendo altresì sulle spese processuali (12), non essendo<br />

affatto concepibile l’emanazione di un provvedimento che si limiti asetticamente<br />

a ratificare un accordo di deroga rispetto a competenze inderogabili.<br />

Alla stregua di quanto sinora esposto, ad ogni modo, spicca la scissione tra<br />

competenza a ricevere l’opposizione, comunque attribuita al giudice che ha<br />

––––––––––––<br />

(9) È, questa, l’opinione di Minotto, op. cit., p. 619.<br />

(10) Di questo avviso Garbagnati, op. cit., p. 214 ss.<br />

(11) In tal senso, Cass., 10 giugno 1997, n. 5174.<br />

(12) Così, Cass., 8 febbraio 1986, n. 811; Cass., 7 giugno 1985, n. 3415.


800<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

emesso il decreto, e competenza a decidere nel merito, la quale spetta al giudice<br />

che sarebbe stato competente per la fase monitoria.<br />

Si potrebbe peraltro aggiungere che tale ricostruzione è perfino suscettibile<br />

di rafforzare la tesi in virtù <strong>del</strong>la quale l’art. 645 c.p.c. configura un’ipotesi di<br />

competenza funzionale in capo al giudice che ha emesso il decreto, poiché se non<br />

esistesse detto nesso di funzionalità ad operare un indefettibile collegamento tra la<br />

fase monitoria e quella <strong>del</strong>l’opposizione, avuto riguardo alla competenza, si dovrebbe<br />

allora ammettere che l’opposizione stessa possa esser proposta, in simili<br />

circostanze, direttamente al giudice che avrebbe dovuto essere investito <strong>del</strong> procedimento<br />

per ingiunzione, in luogo di quello (incompetente) adito.<br />

Ed in effetti non si giustificherebbero remore a definire la competenza a<br />

ricevere l’opposizione a decreto ingiuntivo, attribuita dall’art. 645 c.p.c. al medesimo<br />

giudice che lo ha reso, come funzionale, purché non si faccia discendere<br />

da tale qualificazione una pretesa assoluta inderogabilità <strong>del</strong>la competenza a<br />

decidere sull’opposizione, che invero non pare ravvisabile nell’assetto normativo<br />

vigente in materia.<br />

4. – Potrebbe, ancora, verificarsi l’eventualità che sussistano ragioni di<br />

connessione tra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ed altra causa, idonee,<br />

a norma degli artt. 31 ss. c.p.c., a determinare modificazioni di competenza<br />

proprio in favore <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’« altra » causa, diversa da quella di opposizione<br />

a decreto monitorio (ad esempio, allorché la proposizione di una riconvenzionale<br />

ecceda, per valore, la competenza <strong>del</strong> giudice di pace, competente<br />

per l’opposizione a decreto ingiuntivo).<br />

Tale eventualità si è bensì riscontrata in concreto, suscitando una serie di<br />

interventi giurisprudenziali che hanno sollevato vivaci dibattiti nella dottrina, la<br />

quale si è così interrogata una volta di più sul senso di una interpretazione rigorosa<br />

<strong>del</strong> primo comma <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c. (13).<br />

Il nodo <strong>del</strong>la questione verte anche in detta ipotesi sulla possibilità che il<br />

giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo, correttamente investito a norma<br />

<strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c. e competente sin dalla fase sommaria, declini la propria potestà<br />

decisoria nella fattispecie concreta, in favore di altro giudice; alternativamente,<br />

si potrebbe viceversa ritenere che lo stesso conservi invece la propria<br />

competenza per il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, salva la<br />

––––––––––––<br />

(13) La prevalente giurisprudenza di legittimità propende per l’insensibilità <strong>del</strong><br />

giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo alle deroghe di competenza per ragioni di<br />

connessione, o anche di continenza: cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., 23 luglio 2001, n.<br />

10011, in Foro it. 2001, I, c. 3613, con riferimento alla continenza; e la già indicata<br />

Cass., Sez. Un., 8 marzo 1996, n. 1835, cit., con riguardo alla connessione. La dottrina<br />

pare invece schierata in buona parte nel senso contrario: si veda, per tutti, la ricostruzione<br />

effettuata da Tedoldi-Merlo, in Capponi (opera diretta da), op. cit., p. 369 ss., ove gli opportuni<br />

richiami.


GIURISPRUDENZA 801<br />

facoltà di ordinarne la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., ricorrendone i<br />

presupposti, in attesa <strong>del</strong>la definizione <strong>del</strong>la causa connessa, che rimarrebbe pur<br />

sempre separata.<br />

Non parrà sorprendente constatare che la giurisprudenza di legittimità,<br />

ogni volta che abbia preso le mosse dall’affermazione <strong>del</strong> carattere assolutamente<br />

funzionale ed inderogabile <strong>del</strong>la competenza assegnata dal primo comma<br />

<strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c. sia poi approdata alla seconda <strong>del</strong>le due conclusioni sopra<br />

prospettate, nel senso <strong>del</strong>l’indeclinabilità <strong>del</strong>la competenza medesima e <strong>del</strong>l’impossibilità,<br />

anche in tali occasioni, di provocare una translatio judicii utile a<br />

consentire la trattazione congiunta <strong>del</strong>le cause connesse (14).<br />

Non si intende tuttavia per quale verso debba esser preferita siffatta intransigente<br />

posizione che, per non disattendere un’impostazione ormai acquisita,<br />

nega l’accesso alla strada <strong>del</strong> simultaneus processus, generalmente incoraggiato<br />

invece nel nostro ordinamento processuale, a detrimento <strong>del</strong>le esigenze ad esso<br />

legate di economia dei giudizi e di armonia <strong>del</strong>le decisioni (15).<br />

Si tenga oltretutto presente che, in forza <strong>del</strong> comma 2° <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c.,<br />

« in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme <strong>del</strong> procedimento<br />

ordinario davanti al giudice adito ».<br />

Non vi è chi non veda che, tra le norme che regolano il giudizio di cognizione<br />

ordinaria, sono indubbiamente comprese le disposizioni che regolano le<br />

modificazioni <strong>del</strong>la competenza per motivi di connessione tra le cause.<br />

Né potrebbe farsi leva proprio sul tenore letterale <strong>del</strong> sopra richiamato<br />

comma 2° <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c., leggendolo come se volesse imporre che il giudizio<br />

di opposizione si svolga (secondo le norme <strong>del</strong> procedimento ordinario, da<br />

intendersi come inciso) davanti al giudice adito in base al primo comma; ossia,<br />

come se la tendenziale osservanza <strong>del</strong>la disciplina applicabile al procedimento<br />

dovesse regredire, ove in contrasto con l’inderogabile affermazione <strong>del</strong> giudice<br />

competente contenuta nella norma.<br />

Ben più plausibile sembra, piuttosto, l’interpretazione <strong>del</strong>la norma, pur<br />

sempre, beninteso, saldamente ancorata alle espressioni testuali, secondo cui<br />

l’opposizione si svolge secondo le norme che disciplinano il procedimento dinanzi<br />

al giudice adito, per significare che, venendo adito il giudice di primo<br />

grado, al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo si applicano appunto<br />

le norme che regolano il giudizio di cognizione ordinaria di primo grado, incluse<br />

naturalmente le disposizioni in tema di connessione.<br />

Non può essere <strong>del</strong> resto sottovalutato che le Sezioni Unite <strong>del</strong>la Cassazione,<br />

quando nel 1996 hanno ribadito la propria adesione all’orientamento tradizionale<br />

––––––––––––<br />

(14) Così, ex multis, Cass., 28 giugno 1993, n. 7124; Cass., 22 dicembre 1987,<br />

n. 9582.<br />

(15) Si veda al riguardo Canavese, La derogabilità per ragioni di connessione <strong>del</strong>la<br />

competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo: una questione senza fine?,<br />

in Giur. it. 2001, p. 521 ss.


802<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

<strong>del</strong>la competenza funzionale e tout court inderogabile, hanno nel contempo rappresentato<br />

l’opportunità di una prossima revisione <strong>del</strong>l’inquadramento<br />

<strong>del</strong>l’istituto alla luce <strong>del</strong>la riforma introdotta con la l. 26 novembre 1990, n. 353,<br />

mostrando in tal modo un’apertura, invero non recepita dalla giurisprudenza successiva<br />

(16), motivata dall’intuizione che effettivamente il sistema positivo <strong>del</strong>ineato<br />

dal codice sembra sempre più ricco di argomenti persuasivi <strong>del</strong>l’impellenza<br />

di un generale ripensamento <strong>del</strong>la questione in termini diversi (17).<br />

La riforma <strong>del</strong> 1990 ha infatti, come noto, sensibilmente inciso, tra l’altro,<br />

sul regime di rilevazione <strong>del</strong>l’incompetenza, tanto da indurre autorevole dottrina<br />

a ritenere scarsamente significativa la distinzione tra competenze « forti » e<br />

competenze « deboli », in un contesto in cui il vizio di incompetenza, qualunque<br />

sia il criterio violato, viene sanato per mancato rilievo entro la prima udienza<br />

di trattazione, ad onta <strong>del</strong>la pretesa inderogabilità dei criteri « forti » (18).<br />

Né d’altro canto si comprenderebbe, in una visione più ampia <strong>del</strong> problema,<br />

per quale motivo con riferimento all’opposizione a decreto ingiuntivo si<br />

debba insistere strenuamente per l’assoluta inderogabilità <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong><br />

giudice <strong>del</strong>la fase sommaria, quando nel procedimento di convalida di sfratto,<br />

avente struttura analoga, non si ragiona in questi termini, potendosi ritenere<br />

ammissibile che il tribunale individuato a norma <strong>del</strong>l’art. 661 c.p.c. declini la<br />

propria competenza, ad esempio, per connessione con altra causa, in seguito<br />

all’opposizione <strong>del</strong>l’intimato.<br />

5. – Ad ulteriore e significativa conferma <strong>del</strong> fatto che la competenza per<br />

l’opposizione a decreto ingiuntivo non è affatto inderogabile, anche in considerazione<br />

di quanto sopra esposto in ordine alla concreta operatività dei meccanismi<br />

di rilievo <strong>del</strong>l’incompetenza nel giudizio di cognizione, si pensi infine all’ipotesi<br />

in cui l’opposizione stessa venga proposta dinanzi a giudice diverso da<br />

quello che ha emesso il decreto, contravvenendosi in tal modo al chiaro dettato<br />

<strong>del</strong>l’art. 645, comma 1°, c.p.c.<br />

Ebbene, in tal caso è assai probabile che l’errore venga prontamente segnalato<br />

dal convenuto o rilevato dal giudice impropriamente adito; ma ove per assurdo<br />

ciò non accadesse neanche nell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., la competenza<br />

si radicherebbe in capo al giudice di fronte al quale la causa sia stata promossa, in<br />

netto contrasto con il principio <strong>del</strong>la competenza assolutamente funzionale ed inderogabile<br />

<strong>del</strong>lo stesso giudice che ha reso il provvedimento di ingiunzione.<br />

Ad un’attenta analisi, sembra peraltro che l’eventualità appena prospettata,<br />

benché di fatto raramente riscontrabile, sia comunque astrattamente idonea ad<br />

––––––––––––<br />

(16) Tra le tante, si veda, di recente, Cass., 1° settembre 2000, n. 11499, in Giur. it.<br />

2000, p. 178 ss.<br />

(17) In questo senso, Cass., Sez. Un., 8 marzo 1996, n. 1835, cit.<br />

(18) Si veda, al riguardo, Proto Pisani, La nuova disciplina <strong>del</strong> processo civile, Napoli<br />

1991, p. 20 ss.


GIURISPRUDENZA 803<br />

attenuare alcune certezze anche in punto di inderogabilità <strong>del</strong>la competenza a<br />

ricevere l’opposizione, come sancita dal comma 1° <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c.<br />

Tale considerazione sembrerebbe render merito a coloro i quali più drasticamente<br />

ritengono che la norma appena richiamata non operi affatto un’attribuzione<br />

di competenza, bensì un mero raccordo tra due fasi di un unico procedimento,<br />

ispirato da ragioni di velocità e completezza <strong>del</strong>la cognizione giudiziale<br />

(19).<br />

La questione non è di poco momento, se si provano ad immaginare le possibili<br />

ricadute pratiche <strong>del</strong>l’adesione all’una anziché all’altra tesi, nel caso in cui<br />

venga rilevata la violazione <strong>del</strong>l’art. 645 c.p.c. per esser stata proposta l’opposizione<br />

dinanzi a giudice diverso da quello che ha emesso il decreto.<br />

Ove si creda che il comma 1° <strong>del</strong>l’art. 645 sia norma attributiva di competenza<br />

al giudice <strong>del</strong>la fase monitoria, dovrebbe sostenersi che il giudice irritualmente<br />

adito debba spogliarsi <strong>del</strong>la causa e indicare il primo, quale giudice<br />

competente per l’eventuale riassunzione <strong>del</strong>la stessa entro sei mesi dalla comunicazione<br />

<strong>del</strong>la sentenza di incompetenza, quando questa non preveda termini<br />

diversi.<br />

Reputando, al contrario, che la norma in esame operi un semplice raccordo<br />

tra la fase inaudita altera parte e quella a contraddittorio pieno, la proposizione<br />

<strong>del</strong>l’opposizione dinanzi a giudice diverso da quello che ha emanato l’ingiunzione<br />

andrebbe sanzionata con una declaratoria di inammissibilità, suscettibile<br />

di precludere ogni ulteriore iniziativa dinanzi al giudice « competente » (20).<br />

L’opzione, come detto, è assai <strong>del</strong>icata, soprattutto per gli effetti in punto<br />

di esecutività e stabilità <strong>del</strong> decreto ingiuntivo emesso, che in quest’ultimo caso,<br />

a differenza <strong>del</strong> primo, diverrebbero definitive.<br />

Sembra tutto sommato che, in una prospettiva d’insieme che tenga conto dei<br />

meccanismi propri <strong>del</strong> procedimento per ingiunzione, proprio tale ultima soluzione<br />

sia tecnicamente più corretta, dovendosi equiparare quoad effectum<br />

l’opposizione dinanzi a giudice diverso da quello individuato dalla legge alla<br />

mancata opposizione nei termini e alla mancata costituzione <strong>del</strong>l’opponente (art.<br />

647 c.p.c.), non venendo ovviamente in alcun rilievo i presupposti astrattamente<br />

previsti per l’opposizione tardiva dall’art. 650 c.p.c., poiché la previa proposizione<br />

<strong>del</strong>la stessa dinanzi a giudice diverso da quello monitorio rende inconfigurabile<br />

il caso <strong>del</strong>la mancata rituale conoscenza <strong>del</strong>la relativa ingiunzione.<br />

Appare ad ogni buon conto palese che la regola che impone la proposizione<br />

<strong>del</strong>l’opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice che lo ha emesso<br />

––––––––––––<br />

(19) Così Ronco, in Chiarloni-Consolo (a cura di), I procedimenti sommari e speciali,<br />

Torino 2005, vol. I, p. 387 ss. Argomenta invece in senso espressamente contrario a tale tesi<br />

Montanari, Opposizione a decreto ingiuntivo e competenza inderogabile <strong>del</strong> relativo giudice:<br />

un ripensamento davvero corretto?, in Giur. it. 1993, c. 227 ss., spec. c. 234 ss.<br />

(20) In questi termini, Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli<br />

1964, p. 69.


804<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

non postula l’inderogabilità <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong>lo stesso, che rimane declinabile,<br />

potendosi probabilmente giungere perfino a dubitare che, in fondo,<br />

l’art. 645, comma 1°, c.p.c. sia norma tecnicamente attributiva di competenza.<br />

6. – Condotta nei termini di cui sopra la digressione in tema di competenza<br />

per l’opposizione a decreto ingiuntivo, nella disamina <strong>del</strong>l’ordinanza in commento<br />

si può notare che il Tribunale di Lamezia Terme, smarrendosi in<br />

un’aporia metodologica invero frequente in argomento, ha acriticamente assunto<br />

il « principio di competenza funzionale ed inderogabile <strong>del</strong> giudice<br />

<strong>del</strong>l’opposizione » quale base <strong>del</strong> proprio iter argomentativo.<br />

Nella specie, comunque, il Tribunale, muovendo dall’ulteriore presupposto<br />

che « l’incompetenza di cui si discute è quella che attiene all’individuazione <strong>del</strong><br />

giudice adito con il ricorso per ingiunzione (competenza a monte) », è poi pervenuto<br />

alla conclusione che il meccanismo disciplinato dall’art. 38, comma 2°, c.p.c.<br />

è applicabile nell’ambito <strong>del</strong> procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.<br />

Il giudice a quo ha quindi sollevato questione di costituzionalità <strong>del</strong>la predetta<br />

norma, nella parte in cui non prevede un termine per aderire all’indicazione<br />

<strong>del</strong> giudice competente formulata da controparte (21).<br />

Giova immediatamente chiarire che la questione, così come impostata<br />

dal giudice a quo, rimane incagliata nelle secche di un’insolubile contraddizione<br />

sul piano ricognitivo che la rende insuscettibile di accoglimento, qualunque<br />

prospettiva si intenda recepire al fine di inquadrarla e risolverla sul<br />

piano giuridico.<br />

Seguendo infatti il giudice rimettente nel percorso ricostruttivo da questi<br />

tracciato e assumendo che sia corretto prendere le mosse dall’affermazione<br />

<strong>del</strong>la natura funzionale e inderogabile <strong>del</strong>la competenza <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>l’opposizione<br />

a decreto ingiuntivo, si dovrebbe allora escludere in detto contesto<br />

l’operatività <strong>del</strong> meccanismo di deroga alla competenza territoriale <strong>del</strong>ineato<br />

dal secondo comma <strong>del</strong>l’art. 38 c.p.c., dovendosi pertanto concludere per<br />

l’irrilevanza <strong>del</strong>la questione di legittimità costituzionale <strong>del</strong>la citata norma,<br />

giacché inapplicabile alla fattispecie.<br />

Considerando viceversa applicabile la disciplina <strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°,<br />

c.p.c. in sede di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (si ritenga o meno<br />

che l’art. 645 c.p.c. sia norma attributiva di competenza funzionale), sembrerebbe<br />

doversi respingere ugualmente la prospettata questione di costituzionalità,<br />

––––––––––––<br />

(21) Non può essere assunto a significativo parametro ai fini <strong>del</strong>la presente indagine<br />

il precedente giurisprudenziale che aveva individuato, quale termine entro cui perfezionare<br />

l’accordo endoprocessuale di deroga alla competenza per territorio semplice,<br />

l’udienza di precisazione <strong>del</strong>le conclusioni, giacché la relativa sentenza è intervenuta anteriormente<br />

alla riforma <strong>del</strong> 1990, nel vigore di una disciplina che permetteva di rilevare<br />

l’incompetenza regolarmente anche oltre l’udienza di trattazione: v. Cass., 20 marzo<br />

1986, n. 1954.


GIURISPRUDENZA 805<br />

sotto il diverso profilo <strong>del</strong>la fondatezza <strong>del</strong>la stessa, poiché le norme che <strong>del</strong>ineano<br />

la struttura <strong>del</strong> processo di cognizione, complessivamente intese, offrono<br />

a ben vedere gli strumenti idonei a sciogliere la questione in via interpretativa,<br />

senza bisogno alcuno di adire la Corte Costituzionale.<br />

In proposito, <strong>del</strong> resto, già l’ordinanza in esame segue, nel corso <strong>del</strong>la motivazione,<br />

un cammino espositivo condivisibile, il quale si esprime infine nella<br />

convinzione che il termine ultimo per manifestare il proprio accordo alla proposta<br />

di deroga alla competenza territoriale contenuta nell’eccezione di cui al<br />

comma 2° <strong>del</strong>l’art. 38 c.p.c. sia « l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., deputata<br />

alla definitiva demarcazione <strong>del</strong> thema decidendum e alla conseguente<br />

maturazione <strong>del</strong>le preclusioni assertorie ».<br />

Ed è infatti proprio l’udienza di trattazione, con la relativa eventuale propaggine,<br />

normativamente prevista, dei termini concessi ai sensi <strong>del</strong>l’art. 183<br />

c.p.c. (anche nella sua diversa, « nuova » formulazione introdotta con la riforma<br />

<strong>del</strong> 2005), la sede in cui, come specificato dal giudice a quo, possono da ultimo<br />

essere precisate e modificate le proprie domande, eccezioni e conclusioni, ivi<br />

determinandosi una reale preclusione in capo alle parti, relativamente alla definizione<br />

<strong>del</strong>le rispettive posizioni processuali.<br />

Non esulano evidentemente da tale contesto le eccezioni di incompetenza<br />

(22), il cui regime è <strong>del</strong>ineato nell’art. 38 c.p.c., che significativamente anticipa<br />

alla comparsa di costituzione e risposta l’eventuale rilievo <strong>del</strong>l’incompetenza<br />

territoriale semplice, verosimilmente (anche) al fine di consentire che entro<br />

l’udienza di trattazione il quadro <strong>del</strong>le opzioni processuali <strong>del</strong>le parti abbia<br />

contorni già definiti.<br />

A differenza infatti <strong>del</strong> rilievo <strong>del</strong>l’incompetenza per materia, per valore e<br />

per territorio nei casi di cui all’art. 28 c.p.c., i cui effetti si percepiscono in tutta<br />

la loro estensione nel momento esatto in cui viene compiuto dalle parti o dal<br />

giudice, l’eccezione di incompetenza per territorio derogabile contiene in sé una<br />

proposta alla controparte, dalla quale ci si attende una replica.<br />

Non si vede, in un’ottica sistematica, alcuna valida ragione per cui l’attore<br />

possa aderire a detta proposta quando ormai l’ambito <strong>del</strong> giudizio e <strong>del</strong>le rispettive<br />

asserzioni di parte ad esso inerenti sono in tutto e per tutto <strong>del</strong>ineati,<br />

quasi che l’eccezione di incompetenza territoriale semplice possa integrare<br />

l’unico istituto idoneo a sfuggire al meccanismo <strong>del</strong>le preclusioni come configurato<br />

dal legislatore (23).<br />

––––––––––––<br />

(22) Perentoriamente Monteleone, Il nuovo art. 38 c.p.c. Norma ambigua di difficile<br />

applicazione, in questa Rivista 1993, p. 720, afferma che « superata la fase <strong>del</strong>la prima<br />

udienza di trattazione, i profili di competenza <strong>del</strong> giudice adito sono definitivamente e<br />

per sempre chiusi ».<br />

(23) Tali argomenti traggono conforto ulteriore dallo spirito <strong>del</strong>la recentissima riforma<br />

<strong>del</strong> 2005, la quale impone al convenuto di anticipare la proposizione di ogni eccezione<br />

non rilevabile d’ufficio nella comparsa di risposta, fugando in tal modo tutti i dubbi


806<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Si può in conclusione affermare che, se da un lato le ragioni esposte dal<br />

Tribunale di Lamezia Terme nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale<br />

appaiono da sottoscrivere, relativamente alla ricostruzione ivi operata <strong>del</strong><br />

sistema di rilevazione <strong>del</strong>l’eccezione di incompetenza per territorio semplice,<br />

dall’altro sarebbe stato più corretto, oltre che più agevole, per lo stesso giudice<br />

decidere direttamente in coerenza con quanto prospettato, senza necessità di<br />

sospendere il giudizio e di sollecitare la Corte Costituzionale affinché decida la<br />

questione di legittimità <strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°, ultima parte, c.p.c., nei limiti<br />

sopra indicati; questione che, in definitiva, non sembra meritevole di accoglimento.<br />

LEO PICCININNI<br />

Dottorando di ricerca<br />

nell’Università di Roma « La Sapienza »<br />

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insorti relativamente al tempo di proposizione <strong>del</strong>l’eccezione di incompetenza territoriale<br />

semplice a causa <strong>del</strong> difetto di coordinamento tra l’art. 38, comma 2°, e l’art. 180 c.p.c.<br />

Si veda, per una comprensione dei problemi di natura sistematica emersi in sede di interpretazione<br />

<strong>del</strong>l’art. 38, comma 2°, c.p.c., Panzarola, Il rilievo <strong>del</strong>la eccezione di incompetenza<br />

territoriale derogabile ex art. 38, comma 2, c.p.c. da parte <strong>del</strong> convenuto tra la l.<br />

26 novembre 1990 n. 353 e il d.l. 21 giugno 1995 n. 238 (reiterato e conv. in l. 20 dicembre<br />

1995 n. 534), in Giust. civ. 1998, p. 2513 ss.


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– III: Il ricorso per cassazione. – Bibliografia. – Lo<br />

stato <strong>del</strong>la giurisprudenza – IV: Il giudizio di rinvio dopo la<br />

cassazione. – Bibliografia. – Lo stato <strong>del</strong>la giurisprudenza – V:<br />

La revocazione. – Bibliografia. – Lo stato <strong>del</strong>la giurisprudenza<br />

– VI: Le opposizioni di terzo alle sentenze. – Bibliografia. –<br />

Lo stato <strong>del</strong>la giurisprudenza – VII: Le impugnazioni avverso<br />

i lodi arbitrali rituali. – Bibliografia. – Lo stato <strong>del</strong>la giurisprudenza.<br />

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sistema dei rapporti preesistenti nel fallimento (L. Guglielmucci). –<br />

II: Com-pravendita e somministrazione. (A. Mirone). – III:<br />

Contratti di borsa a termine (L. Vattovani). – IV: Associazione in<br />

partecipazione (L. Gu-glielmucci). – V: Mandato, commissione e<br />

spedizione. (E. Bran). – VI: Agenzia e mediazione. (E.<br />

Guglielmucci). – VII: Il conto corrente ordi-nario e il conto corrente<br />

bancario. (P. Polacco). – VIII: Gli altri con-tratti bancari. ( P.<br />

Polacco). – IX: La <strong>del</strong>egazione. (P. Polacco). – X: La cessione dei<br />

beni ai creditori. (P. Polacco). – XI: Compromesso e clau-sola compromissoria.<br />

(S. Vincre).- XII: Locazione e affitto (C. Marto-ne). –<br />

XIII: Appalto privato. (D. Maltese). – XIV: Appalto di opere pubbliche<br />

(D. Maltese e M. Simeon) – XV: Il contatto di assicurazione.<br />

– XVI: Contratto di edizione e altri contratti di sfruttamento dei<br />

diritti patrimoniali <strong>del</strong>l’ingegno. (D. Maltese). – XVII: I contratti di<br />

lavoro. (L. Meneghin). – XVIII: Leasing. (D. Manente). – XIX:<br />

Factoring (R. Vigo). – XX: Contratti di distribuzione. (R. Vigo). –<br />

XXI: Patrimoni e finanziamenti destinati ad uno specifico affare.<br />

(D. Manente). – Parte seconda: I contratti in corso di esecuzione nelle<br />

procedure concorsuali minori. – XXII: Gli effetti <strong>del</strong> concordato<br />

prevantivo sui rapporti giuri-dici pendenti. (M. Simeon). – Parte terza:<br />

I contratti in corso di esecu-zione nelle procedure concorsuali<br />

amministrative. – XXIII: Effetti <strong>del</strong>l’apertura <strong>del</strong>le procedure concorsuali<br />

amministrative sui rapporti pendenti. (E. Bran). – Indice<br />

bibliografico. – Indice analitico.<br />

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IV: Il sistema <strong>del</strong>le esenzioni. – V: A) I pagamenti nei termini<br />

d’uso. – VI: B) Le rimesse su conti diretti bancari. – VII:<br />

C) Le vendite d’immobili al "giusto" prezzo. – VIII: D) Il piano<br />

di riequilibrio finanziario <strong>del</strong>l’impresa. – IX: E) Gli accordi<br />

di ristrutturazione dei debiti. – X: F) I pagamenti di prestazione<br />

lavorative. – XI: G) Le prestazioni per l’accesso alle<br />

procedure concorsuali. – XII: L’esenzione per le "somme già<br />

riscosse" nel leasing. – XIII: Le altre esenzioni. – XIV: Il<br />

regime dei patrimoni destinati di tipo a). – XV: L’onerosità<br />

<strong>del</strong>le garanzie contestuali. – XVI: L’esercizio <strong>del</strong>la revocatoria<br />

ordinaria nel fallimento. – XVII: Gli effetti <strong>del</strong>la revocazione:<br />

a) nelle attribuzioni indirette. – XVIII: …b) nei rapporti<br />

continuativi o reiterati. – XIX: Prescrizione e decadenza.<br />

– XX: Il regime transitorio. – XXI: Azioni revocatorie e<br />

categorie di creditori. – XXII: Il ruolo <strong>del</strong> danno nel nuovo<br />

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Arbitrato ed istituti confinanti. – II: Natura <strong>del</strong>l’arbitrato. – III: Le<br />

fonti <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>l’arbitrato. – IV: Mandato congiunto a transigere<br />

( c.d. arbitrato im-proprio). – V: Le categorie <strong>del</strong>l’arbitrato<br />

interno, estero ed internazio-nale. – VI: L’arbitrato e la Pubblica<br />

Amministrazione. – VII: Arbitrato, normativa comunitaria e<br />

Convenzione di Bruxelles. – VIII: Arbitrato solo su documenti. –<br />

Parte seconda: Arbitrato interno. – IX: Controver-sie compromettibili<br />

e ambito dei rimedi arbitrali. – X: La convenzione arbitrale. –<br />

XI: Le parti <strong>del</strong>l’arbitrato. – XII: Gli arbitri. – XIII: Ruolo <strong>del</strong>le<br />

istituzioni arbitrali. – XIV: Il ruolo <strong>del</strong>l’autorità giudiziaria di sostegno<br />

<strong>del</strong>l’arbitrato e non di interferenza. – XV: Legge sostanziale<br />

ap-plicabile. – XVI: L’arbitrato in equità. – XVII: La sede <strong>del</strong>la<br />

procedura arbitrale. – XVIII: L’arbitrato e l’ordine pubblico. –<br />

XIX: La fase intro-duttiva. – XX: La fase intermedia <strong>del</strong>la trattazione.<br />

– XXI: I provvedi-menti cautelari. – XXII: La prova. –<br />

XXIII: Il fattore temporale. – XXIV: Violazione <strong>del</strong> contraddittorio.<br />

– XXV: Costi, interessi e mag-gior danno. – XXVI: La decisione<br />

arbitrale. – XXVII: Conseguenze <strong>del</strong>la distinzione tra arbitrati<br />

interni, esteri e internazionali. – XXVIII: Deposito ed esecuzione<br />

<strong>del</strong>la decisione arbitrale. – XXIX: Le impugna-zioni. – XXX:<br />

Confidenzialità. – XXXI: L’ex-arbitrato interno, sottotipo internazionale.<br />

(Rectius transnazionale) – XXXII: La scelta <strong>del</strong>la legge<br />

procedurale. – XXXIII: Riconoscimento all’estero di decisioni<br />

interne. – Parte terza: Arbitrati esteri e internazionali – esecuzione<br />

e riconosci-mento di decisioni straniere. -XXXIV: Procedimenti non<br />

qualificabili come interni e tendenza a uniformarli (Convenzione<br />

di Ginevra e Mo<strong>del</strong> Law). – XXXV: Riconoscimento ed esecuzione<br />

<strong>del</strong>le decisioni arbitrali straniere ed internazionali. – Parte quarta:<br />

Il futuro <strong>del</strong>l’arbitrato <strong>del</strong>l’arbitrato. – XXXVI: Il futuro <strong>del</strong>l’arbitrato:prospettive.<br />

– Materiali. – Bibliografia. – Indice analitico.<br />

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