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del fascicolo - Cedam

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436<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

materiale deposito degli stessi, ossia mediante il loro inserimento nel <strong>fascicolo</strong><br />

di parte o in quello d’ufficio (artt. 74 e 76 disp.att. c.p.c., art. 320 c.p.c., artt. 3 e<br />

5 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), tanto che al cancelliere è demandato il compito<br />

di rilasciarne copie ed estratti autentici (art. 58 c.p.c.), ma alla parte contro cui<br />

un documento è prodotto è altresì imposto l’onere di disconoscere la propria<br />

sottoscrizione o la propria scrittura alla prima udienza o nella prima difesa successiva<br />

alla produzione, il che davvero non si comprenderebbe se la produzione<br />

non fosse considerata dal legislatore quale attività materiale diretta a mettere il<br />

documento a disposizione <strong>del</strong>le altre parti e <strong>del</strong>l’ufficio, ai fini <strong>del</strong>la sua acquisizione<br />

al processo.<br />

Tutto ciò non significa, peraltro, che per i documenti prodotti in giudizio<br />

dalle parti non possa di regola parlarsi di proposizione e sia pertanto irrilevante,<br />

rispetto ad essi, la dichiarazione <strong>del</strong>l’esistenza degli stessi e <strong>del</strong> loro collegamento<br />

con il thema probandum (10): proposizione e produzione dei documenti<br />

sono infatti attività logicamente distinte, anche se per avventura cronologicamente<br />

coincidenti, e d’altra parte la produzione non è ammessa se i documenti<br />

non siano previamente o contestualmente indicati, e quindi proposti, quali mezzi<br />

di prova (11).<br />

Il fatto che i documenti, quali mezzi di prova, debbano entrare nel processo<br />

attraverso il loro materiale inserimento nel <strong>fascicolo</strong> di parte ovvero in quello<br />

d’ufficio, ossia con forme e modalità tali da consentire a tutte le parti di prenderne<br />

visione, estrarne copia e discuterne il contenuto, ed al giudice di trarne<br />

elementi di conoscenza utili ai fini <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong> proprio convincimento<br />

sui fatti di causa, e la circostanza che non sempre gli stessi documenti si trovano<br />

nel possesso <strong>del</strong>la parte che intende servirsene in giudizio, giustifica invece il<br />

diverso valore semantico assunto dal termine esibizione, che nel lessico <strong>del</strong> codice<br />

di rito perde innanzitutto il suo connotato di provvisorietà (12), per essere<br />

––––––––––––<br />

(10) Mi permetto in proposito di rinviare a G. Ruffini, La prova nel giudizio civile<br />

di appello, cit., p. 216 ss., non senza rilevare che la contraria opinione ora espressa da G.<br />

Balena, Le preclusioni istruttorie tra concentrazione <strong>del</strong> processo e ricerca <strong>del</strong>la verità,<br />

cit., n. 18, a parere <strong>del</strong> quale le prove documentali non sarebbero proposte, ma soltanto<br />

prodotte, si pone in contrasto con il disposto letterale <strong>del</strong>l’art. 115 c.p.c., che imponendo<br />

al giudice di fondare il proprio giudizio di fatto, in mancanza di diverse previsioni di legge,<br />

sulle prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, si riferisce evidentemente<br />

anche alle prove documentali.<br />

(11) Secondo Cass., sez. lav., 20 ottobre 2005, n. 20265, la parte che depositi documenti<br />

in giudizio ha l’onere di precisare lo scopo <strong>del</strong>la produzione in relazione alle<br />

proprie pretese, derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilità di controdedurre<br />

e risultando per il giudice preclusa la possibilità di tenere conto di detti documenti ai fini<br />

<strong>del</strong>la decisione.<br />

(12) Cfr. B. Cavallone, voce Esibizione <strong>del</strong>le prove nel diritto processuale civile, in<br />

Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino 1991, p. 664 ss., spec. p. 665; A. Graziosi, L’e-

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