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del fascicolo - Cedam

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FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 427<br />

Di fatto, non risulta che stia succedendo nulla di questo genere, nonostante<br />

che i predetti ammonimenti dottrinali si ripetano da almeno trent’anni.<br />

Dall’altro lato, quando si dice, in termini apparentemente più pragmatici,<br />

che i giudici dovrebbero valutare le prove secondo i parametri di razionalità invalsi<br />

nella cultura comune <strong>del</strong> contesto sociale di appartenenza (le care vecchie<br />

« regole di esperienza »), e non mediante metodi irrazionali; tenere conto di<br />

tutti i dati empirici acquisiti al processo e non di alcuni soltanto; prestare fede<br />

alle nozioni scientifiche accreditate nella comunità degli specialisti e non alle<br />

trovate <strong>del</strong>la junk science; privilegiare la coerenza interna ed esterna <strong>del</strong>le dichiarazioni<br />

dei testi e <strong>del</strong>le parti, e così via: si formulano raccomandazioni ovviamente<br />

ragionevoli e condivisibili, ma probabilmente poco incisive, sia appunto<br />

per la loro ovvietà, sia perché non si riferiscono – a differenza di quelle<br />

<strong>del</strong>lo Speculum judiciale o di Bartolo – ad una casistica specifica e concreta,<br />

bensì rimangono nella stessa dimensione generale ed astratta in cui si collocano<br />

gli enunciati <strong>del</strong>la logica formale e le formule dei calcoli probabilistici.<br />

Forse sarebbe più utile, anche se più faticoso (e infatti non lo si fa mai),<br />

pubblicare le parti « in fatto » di una serie di sentenze di merito su un tema determinato<br />

e ricorrente (per esempio: la conoscenza <strong>del</strong>lo stato di insolvenza<br />

nella revocatoria fallimentare) e poi confrontarle e commentarle con medioevale<br />

pazienza e umiltà. Così potrebbe essere la stessa giurisprudenza, in definitiva,<br />

ad educare sé stessa. I giudici, si sa, sono presuntuosi, e forse non hanno<br />

neanche tutti i torti, se è vero che proprio i logici e gli epistemologi – come ci<br />

ricordava Alessandro Giuliani – hanno per secoli eretto a mo<strong>del</strong>lo proprio la<br />

logica giudiziaria.<br />

9. – Riconosco che su argomenti come questi è molto più facile (forse<br />

troppo) criticare le teorie altrui che svolgerne di proprie, diverse e più soddisfacenti,<br />

proprio perché (per citare questa volta adesivamente l’amico Michele Taruffo)<br />

« l’intera storia <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>le prove, nel nostro come negli altri ordinamenti,<br />

potrebbe essere letta come la storia dei tentativi compiuti dai legislatori<br />

e dalla dottrina per prevenire o almeno limitare l’arbitrio <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong><br />

fatto », e nessuno può illudersi di dare individualmente un contributo rilevante a<br />

questi sforzi millenari.<br />

Possiamo tuttavia almeno cercare di intenderci sui termini <strong>del</strong> problema,<br />

magari ripartendo proprio dall’intuizione chiovendiana <strong>del</strong>la esistenza di un rapporto<br />

significativo tra « forme <strong>del</strong> procedimento » e « funzione <strong>del</strong>la prova ».<br />

Il fatto è – come tutti dovremmo riconoscere senza con ciò rinunciare<br />

all’« ottimismo razionalista » che secondo Twining ha sostanzialmente sempre<br />

accomunato tutti gli studiosi <strong>del</strong>le prove – che cercare di imporre un ordine e<br />

una disciplina alla valutazione <strong>del</strong>le prove, cioè di regolare la formazione <strong>del</strong><br />

giudizio di fatto nel segreto <strong>del</strong>la « camera di consiglio », e tanto più nella impenetrabile<br />

« camera di consiglio interiore » <strong>del</strong> giudice monocratico, non è<br />

soltanto difficile, ma probabilmente impossibile, se si pensa ad una disciplina<br />

fatta di precetti espliciti e diretti, quale che ne sia la fonte.

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