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del fascicolo - Cedam

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632<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

la risposta potrebbe essere probabilmente negativa. Si può facilmente giungere anche<br />

in via di interpretazione alla conclusione, secondo la quale la seconda parte <strong>del</strong><br />

comma 2° va applicato sia quando la competenza degli arbitri è posta in discussione<br />

ai sensi <strong>del</strong>la prima parte <strong>del</strong>lo stesso comma, sia quando tale competenza è discussa<br />

ai sensi <strong>del</strong> comma 1°. In entrambi i casi vale il principio, secondo il quale<br />

le parti – se non sollevano la contestazione davanti agli arbitri – perdono il potere<br />

di impugnare il lodo a motivo <strong>del</strong>l’incompetenza arbitrale. Ma il problema può essere<br />

più <strong>del</strong>icato, qualora l’art. 817 c.p.c. sia richiamato da altre norme e il testo di<br />

queste ultime sia calibrato su quanto predisposto in sede di progetto.<br />

Il problema, purtroppo, non è puramente astratto. Il nuovo art. 829 c.p.c., infatti,<br />

prevede (comma 1°, sub 1) l’impugnazione <strong>del</strong> lodo arbitrale « Se la convenzione<br />

d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione <strong>del</strong>l’articolo 817, terzo comma »; e poco<br />

oltre consente il gravame (comma 1°, sub 4) « Se il lodo ha pronunciato fuori dei<br />

limiti <strong>del</strong>la convenzione d’arbitrato, ferma la disposizione <strong>del</strong>l’articolo 817, quarto<br />

comma… ». Se poniamo queste ultime disposizioni in relazione all’attuale versione<br />

<strong>del</strong>l’art. 817 c.p.c., si casca in un rebus, perché il comma 3° <strong>del</strong>l’art. 817 non ha in<br />

realtà niente a che vedere con la previsione contenuta nel n. 1 <strong>del</strong>l’art. 829, comma<br />

1°; mentre non esiste un comma 4° <strong>del</strong>l’art. 817 capace di dare oggetto al rinvio<br />

contenuto nel n. 4 <strong>del</strong>lo stesso art. 829, comma 1°.<br />

Come il rebus debba essere risolto, mi pare chiaro, perché l’errore tipografico<br />

è riconoscibile con un po’ di riflessione. Il comma 2° <strong>del</strong>l’art. 817, così com’è,<br />

è difficilmente spiegabile; e chi sia disposto a mettere la norma sul letto di Procuste<br />

<strong>del</strong>la miglior tecnica normativa è immediatamente tratto a separare in due<br />

comma diversi le due frasi che lo compongono (in modo che la seconda frase diventi<br />

il comma 3° e il successivo comma 3° diventi il comma 4°). In questo<br />

modo, anche l’art. 829, comma 1°, riacquista un senso nelle previsioni contenute<br />

nel n. 1 e nel n. 4. Ma è prevedibile (purtroppo) che su un problema così insensato<br />

l’inchiostro sia versato, se non proprio a fiumi, quanto meno a rigagnoli.<br />

Mi permetto dunque di rivolgere al legislatore un’urgente supplica: correggere<br />

l’errore <strong>del</strong> tipografo, con un provvedimento ad hoc.<br />

3. – Naturalmente, resta la domanda: come è potuto accadere? E forse il primo<br />

responsabile è il progresso tecnologico, perché tutto viene fatto tramite computer e il<br />

computer è collaboratore scherzoso, che talora unisce e separa come gli piace. Particolarmente<br />

a rischio sono i casi, nei quali un comma qualunque termina alla fine di<br />

una riga: giacché il computer e il tipografo possono non capire, in questi casi, se la<br />

riga successiva costituisca una continuazione <strong>del</strong>la precedente o esiga un « a capo ».<br />

Mi è venuto allora il desiderio di rivalutare la pignoleria, <strong>del</strong>la quale do prova<br />

con le mie dattilografe: la pretesa che, quando si va « a capo », la frase successiva<br />

inizi con una « rientranza », provocata da quattro o cinque battute vuote.<br />

Meravigliosa, santa « rientranza »! Dopo che i progetti vengono licenziati nel loro<br />

testo definitivo, inizia il loro cammino in meandri segreti, dove anonimi revisori<br />

intervengono per lasciare traccia <strong>del</strong>la loro esistenza; e non sempre la testa assiste<br />

la mano in questo cammino. Ma la « rientranza » costituisce, almeno, un caveat; e<br />

può salvarci, con un po’ di fortuna, dal tipografo legislatore.<br />

EDOARDO F. RICCI

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