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del fascicolo - Cedam

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634<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

tutti gli interessi in gioco (in particolare, i diritti <strong>del</strong>l’imputato, gli interessi <strong>del</strong>la<br />

giustizia e, appunto, il principio di ragionevole durata); non attraverso innesti<br />

« disorganici e asistematici » (sono parole <strong>del</strong> messaggio presidenziale), come<br />

quelli operati dalla legge « Pecorella », suscettibili, in quanto tali (anche a prescindere<br />

da ogni valutazione sul loro contenuto) di creare comunque squilibri e<br />

contraccolpi pericolosi. È forse proprio questo innesto forzato e scompaginante<br />

a rappresentare il vizio più grave <strong>del</strong>la legge « Pecorella ». Varata – si badi – in<br />

tutta fretta a un mese e mezzo dalla fine <strong>del</strong>la Legislatura, nonostante il forte<br />

richiamo <strong>del</strong> Capo <strong>del</strong>lo Stato a interventi più ponderati.<br />

3. – Venendo al merito <strong>del</strong> provvedimento, sono due le direttrici di fondo<br />

in cui si muove.<br />

La prima – da cui trae intitolazione la stessa legge – è costituita (nuovo testo<br />

<strong>del</strong>l’art. 593 c.p.p.) dalla soppressione <strong>del</strong>l’appello contro le sentenze di<br />

proscioglimento. Sono previste, peraltro, due eccezioni: una è rappresentata<br />

dalla circostanza che imputato e pubblico ministero abbiano presentato il gravame<br />

chiedendo l’assunzione di nuove prove, sopravvenute o scoperte dopo il<br />

giudizio di primo grado, che siano « decisive »; ipotesi che poi dà luogo ad una<br />

peculiare declaratoria di inammissibilità <strong>del</strong>l’appello quando il giudice decida<br />

preliminarmente di non disporre l’istruttoria dibattimentale, contro la quale le<br />

parti possono ricorrere per cassazione, potendo proporre, altresì, ricorso per<br />

cassazione anche contro la sentenza di primo grado, entro quarantacinque giorni<br />

dalla notifica <strong>del</strong>l’ordinanza di inammissibilità. La seconda eccezione è costituita<br />

dalle ipotesi di conversione <strong>del</strong> ricorso per cassazione in appello nei casi di<br />

connessione, quando contro la sentenza vengano proposti mezzi di impugnazione<br />

diversi (art. 580 c.p.p.).<br />

In via di principio, dunque, diventano appellabili dall’imputato e dal pubblico<br />

ministero solo le sentenze di condanna (anche qui con alcune eccezioni,<br />

rappresentate dalle sentenze applicative <strong>del</strong>la sola pena <strong>del</strong>l’ammenda, totalmente<br />

inappellabili, ed alcune limitazioni: il pubblico ministero non può appellare<br />

la condanna emessa nel giudizio abbreviato, salvo che con questa sia stato<br />

modificato il titolo <strong>del</strong> reato contestato nell’accusa, e non può proporre appello<br />

contro la sentenza di patteggiamento, a meno che avesse espresso a suo tempo<br />

dissenso sul rito negoziale, mentre è fatto salvo il regime di impugnazione <strong>del</strong>le<br />

sentenze che dispongono misure di sicurezza).<br />

L’eliminazione <strong>del</strong>l’appello per le sentenze di proscioglimento – anche se<br />

forse non saranno <strong>del</strong> tutto marginali le eccezioni di cui si diceva – mira a porre<br />

rimedio ad un problema di fondo, emerso con particolare evidenza in un famoso<br />

caso giudiziario: quello di evitare che l’imputato, prosciolto in primo grado, ma<br />

condannato a seguito <strong>del</strong>l’appello promosso dal pubblico ministero, venga privato<br />

<strong>del</strong>la possibilità di una rivalutazione completa di questa seconda decisione,<br />

cioè di denunciare tutti i vizi dai quali essa risulti affetta, come è invece consentito<br />

al condannato in prima istanza. Una carenza ancor più vistosa ove si<br />

consideri che mentre l’assoluzione in primo grado avviene sulla base di prove

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