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del fascicolo - Cedam

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638<br />

RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

rimangono indeterminati i mezzi di impugnazione a disposizione <strong>del</strong>la parte<br />

civile. Dimenticanza assai grave (anche se certamente non voluta) in un sistema<br />

governato dal principio di tassatività in materia di impugnazione (art. 568<br />

c.p.p.). Di fronte ad una simile lacuna, parrebbe una forzatura interpretativa ritenere<br />

che l’attribuzione alla parte civile <strong>del</strong> potere di impugnare previsto<br />

dall’art. 576 c.p.p. implichi che, in assenza di specifiche indicazioni, esso possa<br />

avvenire con qualunque mezzo, e, dunque, con l’appello (a cui fa peraltro riferimento<br />

tuttora l’art. 600 c.p.p. in ordine all’esecuzione <strong>del</strong>le condanne civili) e<br />

con il ricorso per cassazione (peraltro, con l’effetto di attribuirle così poteri superiori<br />

a quelli ormai spettanti alla parte pubblica). Sulla base <strong>del</strong> principio di<br />

tassatività, sembra di dover concludere che la mancata indicazione <strong>del</strong> mezzo<br />

restringa le possibilità di impugnazione <strong>del</strong>la parte civile al solo ricorso per cassazione;<br />

anzi, essendosi anche a questo proposito scollegata la sua posizione da<br />

quella <strong>del</strong> pubblico ministero, il rimedio parrebbe circoscritto al solo ricorso per<br />

violazione di legge, l’unico sicuramente garantito in virtù <strong>del</strong>l’art. 111 comma<br />

7° Cost. (eccezion fatta per il ricorso contro la sentenza di non luogo a procedere<br />

che, secondo il nuovo art. 428 comma 2° c.p.p., la parte civile può proporre<br />

« ai sensi <strong>del</strong>l’art. 606 »).<br />

Naturalmente, ove si aderisse ad una tale impostazione, ne seguirebbe un<br />

naturale interesse <strong>del</strong>la parte civile di adire il giudice civile. Una scelta, che,<br />

però, appare oggi fortemente penalizzata dai parametri ordinari che definiscono<br />

il passaggio <strong>del</strong>l’azione civile dalla sede penale a quella civile (sospensione <strong>del</strong><br />

processo civile fino al passaggio in giudicato <strong>del</strong>la sentenza che definisce il<br />

giudizio penale ed efficacia di giudicato di quest’ultima nel giudizio civile); si<br />

imporrebbe, invece, di applicare anche qui i criteri « derogatori » di completa<br />

separazione tra i due giudizi che il sistema prevede per le situazioni in cui il trasferimento<br />

alla sede civile divenga necessitato per impossibilità o eccessiva<br />

onerosità <strong>del</strong>la permanenza nel processo penale <strong>del</strong>la parte civile per cause a lei<br />

non imputabili. Altrimenti la disciplina si presta a non infondati dubbi di legittimità<br />

costituzionale ex art. 24 commi 1° e 2° Cost.<br />

6. – La seconda direttrice di fondo in cui si muove la legge « Pecorella » è<br />

rappresentata da un vistoso incremento <strong>del</strong> ricorso per cassazione. C’è uno<br />

stretto collegamento, che vorrebbe essere di tipo compensativo, tra questa scelta<br />

e l’inappellabilità <strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento.<br />

Per un verso, diventano ricorribili per cassazione le sentenze di non luogo<br />

a procedere, con l’eccezione di quelle pronunciate perché il fatto non sussiste o<br />

l’imputato non lo ha commesso (art. 428 c.p.p.), che precedentemente erano<br />

soggette ad appello; una modifica in qualche misura parametrata sull’inappellabilità<br />

<strong>del</strong>le sentenze di proscioglimento, anche se qui la dinamica appare<br />

sensibilmente diversa, poiché l’alternativa decisoria che si pone al giudice superiore<br />

è solo tra conferma o riforma con formula meno favorevole e rinvio a giudizio.<br />

E, proprio per questo stretto collegamento con l’esercizio <strong>del</strong>l’azione penale,<br />

qui, l’inappellabilità da parte <strong>del</strong> pubblico ministero potrebbe ridondare in

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