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del fascicolo - Cedam

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GIURISPRUDENZA 729<br />

Con la seconda sentenza (la n. 18128/2005) la Corte afferma invece<br />

l’ammissibilità di una riduzione d’ufficio <strong>del</strong>la penale inserita in un contratto, ai<br />

sensi <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c. Dopo aver negato che la riduzione <strong>del</strong>la penale a favore<br />

<strong>del</strong> convenuto costituisca oggetto di un’autonoma domanda di quest’ultimo, ed<br />

aver ricondotto il tema nell’ambito <strong>del</strong>le eccezioni, le Sezioni Unite affermano<br />

il potere ufficioso <strong>del</strong> giudice in base ad un ragionamento assai complesso ma<br />

riconducibile nel suo nucleo a due punti fondamentali. In primo luogo, per<br />

quanto concerne il tenore <strong>del</strong>l’art. 1384 c.c., si nota che la norma non richiede<br />

in modo espresso l’istanza <strong>del</strong>l’interessato, convenuto. In secondo luogo, e per<br />

quanto riguarda la ratio <strong>del</strong>la disposizione, si ricollega la disposizione stessa<br />

non tanto all’esigenza di proteggere l’interesse <strong>del</strong> debitore come parte più debole,<br />

mediante una riconduzione <strong>del</strong> contratto ad equità, quanto su una più generale<br />

esigenza di solidarietà sorretta dall’interesse pubblico.<br />

2. – Per quanto concerne il merito <strong>del</strong>le affermazioni compiute dalla Corte,<br />

dico subito che la prima <strong>del</strong>le due sentenze (la n. 15661/2005) desta in me una<br />

reazione ammirata più che semplicemente positiva. Dico questo sia per il contributo,<br />

che la motivazione reca alla distinzione tra eccezioni in senso proprio<br />

ed eccezioni in senso improprio, sia per la soluzione affermata sullo specifico<br />

problema <strong>del</strong>la interruzione <strong>del</strong>la prescrizione.<br />

Quanto al primo tema (distinzione tra eccezioni in senso proprio ed eccezioni<br />

in senso improprio), in una breve nota di commento non è evidentemente<br />

possibile darvi fondo. Basta tuttavia uno sguardo alla dottrina, per percepirne<br />

la difficoltà: giacché, se la distinzione tra i due tipi di eccezione è in<br />

sé chiara per quanto concerne gli effetti (ammissibilità o inammissibilità di un<br />

esame d’ufficio da parte <strong>del</strong> giudice), non altrettanto può dirsi per quanto<br />

concerne il criterio distintivo da applicare. In dottrina molteplici sono i criteri<br />

suggeriti, quando si tratta di collocare nell’una o nell’altra categoria una qualsiasi<br />

eccezione, per la quale il problema <strong>del</strong>la rilevabilità o non rilevabilità<br />

d’ufficio non sia risolto espressamente dalla legge (2); ed in giurisprudenza si<br />

trova quasi sempre (come d’altronde è inevitabile che accada) una casistica<br />

piuttosto che un’elaborazione concettuale. Ma questa volta la Corte ha il coraggio<br />

di impegnarsi anche sul terreno <strong>del</strong>la teoria, con una scelta precisa. La<br />

tesi accolta (secondo la quale sono qualificabili come « in senso proprio »<br />

soltanto le eccezioni fondate su quei fatti, che potrebbero essere dedotti in via<br />

di azione con domanda costitutiva) può piacere o non piacere; ma anche chi in<br />

ipotesi non la condivida deve ammettere che si tratta di una tesi particolarmente<br />

chiara, applicabile nei singoli casi concreti molto più facilmente di altre;<br />

e la certezza ne guadagna non poco. Finalmente, accanto alle tesi a volta a<br />

––––––––––––<br />

(2) Rinvio qui, anche per riferimenti, a R. Oriani, Eccezione, in Digesto <strong>del</strong>le discipline<br />

privatistiche, VII, Torino 1991, p. 262 ss., spec. p. 266 ss.; idem, op. cit. nella nota<br />

1, p. 1011 ss.

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