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del fascicolo - Cedam

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FORME DEL PROCEDIMENTO E FUNZIONE DELLA PROVA ECC. 423<br />

nostro accertamento tecnico preventivo, recentissimamente novellato sulla scia<br />

di mo<strong>del</strong>li francesi e tedeschi, finisce per trasformarsi in una forma alternativa<br />

di risoluzione <strong>del</strong>le controversie. Più che di prova « prima <strong>del</strong> processo », qui si<br />

potrebbe parlare di prova « invece <strong>del</strong> processo ».<br />

6. – Ora, attenendoci all’ipotesi tuttora prevalente in cui la prova formata<br />

al di fuori <strong>del</strong> controllo <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> merito deve tuttavia essere da lui valutata:<br />

è possibile sostenere che i fenomeni ora ricordati abbiano favorito o favoriscano<br />

(come pensava Chiovenda) l’affermazione di criteri « aprioristici e formali<br />

» di valutazione <strong>del</strong>le prove orali, « tipiche » ovvero travestite? La risposta<br />

negativa mi pare obbligata, anche se accompagnata, come dirò tra breve, da una<br />

significativa precisazione.<br />

Per quanto riguarda le testimonianze dei terzi, naturalmente nessuna norma<br />

di legge istituisce una qualsivoglia « gerarchia » tra di esse in ragione <strong>del</strong>le<br />

qualità personali o sociali <strong>del</strong> testimone, o <strong>del</strong> numero dei testi o di altri criteri<br />

« aprioristici ». Ed anzi la Corte Costituzionale, come si sa, è giunta persino a<br />

ritenere incompatibili con il principio <strong>del</strong> libero convincimento (la colpa è di<br />

Voltaire, diceva giustamente Corrado Vocino) alcuni dei limiti soggettivi di<br />

ammissibilità previsti nel codice <strong>del</strong> 1940, che pure non erano regole direttamente<br />

incidenti sulla valutazione <strong>del</strong>la prova.<br />

Ma nemmeno le motivazioni <strong>del</strong>le nostre sentenze, di merito o di legittimità,<br />

nella misura (invero scarsa) in cui se ne possono conoscere le parti « in<br />

fatto », sembrano proporre criteri di valutazione, non diciamo vincolanti ma almeno<br />

costanti, se tali non si vogliano considerare le « presunzioni giurisprudenziali<br />

» studiate già molti anni fa da Giovanni Verde: che però incidono sulla ripartizione<br />

degli oneri probatori, non sulla valutazione <strong>del</strong>l’esito di specifici<br />

mezzi di prova.<br />

Per converso, le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio formale<br />

sono bensì oggetto di una disciplina apparentemente rigida e minuziosa,<br />

che comprende anche regole di valutazione; ma si sa che queste regole sono applicate<br />

molto elasticamente: tanto è vero che, anche quando sarebbe possibile<br />

ricavare, dai verbali, una vera dichiarazione confessoria, il giudice solitamente<br />

evita di qualificarla come tale, e dall’attribuirle l’efficacia di piena prova che le<br />

compete per legge, e preferisce ributtarla, con la meno impegnativa qualifica di<br />

« ammissione », nel calderone <strong>del</strong>le « risultanze istruttorie », amalgamandola<br />

con tutte le altre di convergente significato, quali che ne siano l’origine e il pregio.<br />

Le quali « risultanze », comprensive anche di quelle documentali (fatta salva<br />

la sola disciplina <strong>del</strong>l’atto pubblico), sono poi oggetto di una valutazione<br />

sommaria e globale (sarebbe forse più chic dire « olistica »), dalla quale è impossibile<br />

desumere quale sia stato il peso di ciascun ingrediente nella formazione<br />

<strong>del</strong> convincimento <strong>del</strong> giudice.<br />

Quanto alla valutazione <strong>del</strong>le prove « formate altrove », è da lungo tempo<br />

consolidata in giurisprudenza, come pure si sa, la convinzione che queste prove<br />

possano (« ben possono » è lo stilema ricorrente nelle massime) essere libera-

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