Aneglo settembre 2001.vp - Parrocchia di Chiari
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Invito alla lettura<br />
La Cina,<br />
il me<strong>di</strong>oevo e altro ancora<br />
O<strong>di</strong>o tutti quelli<br />
che ci hanno proibito<br />
questi libri<br />
Può apparire remota, fortunatamente,<br />
dalla nostra esperienza la storia narrata<br />
da Dai Sijie nel bel romanzo Balzac<br />
e la Piccola Sarta cinese (Adelphi, L.<br />
26.000). E invece riguarda ciascuno <strong>di</strong><br />
noi, perché mette in luce il potere della<br />
parola scritta, quin<strong>di</strong> la forza vitale<br />
della lettura. I libri sono un universo<br />
affascinante, che attrae con prepotenza<br />
soprattutto quando, per i motivi più<br />
<strong>di</strong>versi, ci viene proibito il viaggio in<br />
questa landa irrinunciabile per l’uomo,<br />
dove fantasia e realtà, immaginazione<br />
e impegno si intrecciano con risultati<br />
che solo il singolo lettore può<br />
valutare esattamente, per il riflesso<br />
che riverberano sulla sua vita.<br />
La Cina degli anni della “rivoluzione<br />
culturale”; uno sperduto villaggio della<br />
montagna della enice del Cielo,<br />
poverissimo e tagliato fuori dalla civiltà;<br />
due giovani ex-studenti costretti a<br />
vivere in un mondo dominato dal lavoro<br />
fisico, dalla fatica e dalla fame, nel<br />
quale ogni istituzione culturale, scuola<br />
compresa, è ban<strong>di</strong>ta; una misteriosa,<br />
preziosissima valigia piena <strong>di</strong> libri occidentali<br />
assolutamente proibiti dal regime<br />
(accanto a Balzac, Dickens e<br />
Hugo, Dumas e laubert, Tolstoi e Kipling,<br />
Stendhal e Melville); e infine la<br />
Piccola Sarta cinese, giovane montanara,<br />
bella e incolta... Così l’autore ricostruisce<br />
le peripezie sue e dell’amico<br />
Luo, che dovettero subire la “rieducazione”<br />
imposta dalla Rivoluzione Culturale<br />
a chi era accusato <strong>di</strong> deviare dalla<br />
verità rivoluzionaria. I due ragazzi,<br />
figli <strong>di</strong> intellettuali puniti dal regime in<br />
quanto borghesi, trasferiti con violenza<br />
in un universo lontanissimo dalla<br />
loro realtà, riescono ad impadronirsi<br />
della valigia <strong>di</strong> libri gelosamente nascosta<br />
da un compagno che sta per tornare<br />
alla civiltà. E cominciano a leggere,<br />
clandestinamente, avidamente.<br />
Quegli autori, ufficialmente considerati<br />
reazionari e pericolosi, a loro svelano<br />
invece l’esistenza <strong>di</strong> un mondo<br />
nuovo e affascinante: “ummo da pri-<br />
ma attratti, poi conquistati, infine soggiogati<br />
dal mistero <strong>di</strong> quel mondo a noi<br />
estraneo”. La valigia dei libri <strong>di</strong>viene<br />
la “fonte della sapienza”; le parole dei<br />
capolavori letterari sprigionano una<br />
malia capace <strong>di</strong> aprire mon<strong>di</strong> contrapposti<br />
alle brutture <strong>di</strong> ogni giorno, ai<br />
parassiti che si attaccano alla pelle,<br />
all’incubo degli interventi repressivi,<br />
alla mancanza <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> cultura.<br />
E anche l’amore, la passione (sentimenti<br />
“borghesi” e quin<strong>di</strong> condannati)<br />
escono dalle pagine <strong>di</strong> Balzac, prendono<br />
forma nel bel visino della Piccola<br />
Sarta, <strong>di</strong>vengono reali. La scoperta del<br />
magico mondo della letteratura è la<br />
via <strong>di</strong> fuga dall’abbrutimento e dalla<br />
rassegnazione, è lo strumento per resistere<br />
all’oppressione, ma è anche il desiderio<br />
<strong>di</strong> “rieducare”, a rovescio s’intende,<br />
la Piccola Sarta cinese <strong>di</strong> un villaggio<br />
vicino: e i protagonisti lo fanno<br />
così bene che l’educazione letteraria e<br />
sentimentale della ragazza avrà un esito<br />
ad<strong>di</strong>rittura imprevisto...<br />
Con una rara capacità <strong>di</strong> scrittura, Dai<br />
Sijie costruisce una storia lieve e ironica,<br />
mai angosciante, pur ambientata<br />
com’è in un contesto storicamente<br />
drammatico. Perché il suo scopo, e in<br />
questo sta l’originalità del libro, non è la<br />
denuncia storico-politica, ma l’affascinante<br />
omaggio alla forza <strong>di</strong> evocazione<br />
della letteratura, alla sua potenziale capacità<br />
<strong>di</strong> trasformare l’uomo e le cose.<br />
Tenebra era il suo destriero...<br />
“Alle proprie spalle Kurt vedeva i terribili<br />
cacciatori, ne vedeva gli occhi<br />
pieni <strong>di</strong> bragia centenaria, le fiamme<br />
che lingueggiavano da barbe centenarie,<br />
li vedeva bran<strong>di</strong>re giavellotti, tendere<br />
archi, vedeva alle loro spalle,<br />
nero come la notte, il signore della caccia”.<br />
Nella febbre, il delirio <strong>di</strong> Kurt<br />
non può che evocare le potenze scatenate<br />
del male: altro la sua mente non<br />
saprebbe immaginare. Lui stesso è il<br />
“cavaliere delle tenebre”, quelle impenetrabili<br />
<strong>di</strong> un cupo me<strong>di</strong>oevo tra le<br />
brume delle montagne bernesi, quelle<br />
<strong>di</strong> una mente che non conosce sentimenti<br />
<strong>di</strong>versi dalla forza, dalla brutalità,<br />
dal bisogno <strong>di</strong> sopravvivere e <strong>di</strong> imporsi,<br />
quelle <strong>di</strong> una natura inconsapevole<br />
e violenta, che soffoca con spire<br />
selvagge il tetro castello del protagonista,<br />
freddo ed abbandonato, simbolo<br />
<strong>di</strong> una società <strong>di</strong>sgregata essa stessa.<br />
Jeremias Gotthelf nel romanzo Kurt<br />
<strong>di</strong> Koppigen (Adelphi, L. 25.000) sembra<br />
aver dato vita ad una creatura <strong>di</strong><br />
Dostoevskij ante litteram (il libro è infatti<br />
del 1844): un’anima “mal sbozzata<br />
e agitata da impulsi incontrollati”<br />
che spingono il protagonista dalla fatiscente<br />
rocca in cui è nato verso strade<br />
impervie, verso il delitto e il brigantaggio:<br />
ogni suo gesto, quasi per un malvagio<br />
incantesimo, sembra spingerlo<br />
comunque alla per<strong>di</strong>zione. Persino la<br />
sua trasformazione in cavaliere risulta<br />
inevitabilmente grottesca, guidata da<br />
una volontà ferrea a cui tuttavia non<br />
corrisponde un’adeguata capacità <strong>di</strong><br />
staccarsi dalla propria con<strong>di</strong>zione. Jeremias<br />
Gotthelf è lo pseudonimo che<br />
lo scrittore svizzero Albert Bitzius derivò<br />
dal titolo <strong>di</strong> un suo stesso romanzo<br />
del 1837. Autore sui generis, pastore<br />
evangelico nella comunità <strong>di</strong> Lutzelfluh<br />
nel Bernese, Gotthelf si de<strong>di</strong>cò<br />
tar<strong>di</strong> alla letteratura, ma il suo successo<br />
spinse un e<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> Berlino ad offrirgli<br />
ben <strong>di</strong>ecimila talleri per i <strong>di</strong>ritti<br />
dell’opera omnia. Nei racconti <strong>di</strong> Gotthelf<br />
si manifesta un grande talento<br />
epico, segnato sempre da un atteggiamento<br />
anti – mondano, da una scrittura<br />
povera e aspra, ma ben aderente ad<br />
una visione cruda del mondo: <strong>di</strong>etro<br />
l’ironia si svela infatti un manicheismo<br />
fortemente sentito e vissuto. E tuttavia<br />
ai suoi personaggi, anche a Kurt, uomo<br />
istintivo, animale libero, succube <strong>di</strong><br />
una volontà primitiva, non è mai preclusa<br />
la “pietas” cristiana e la possibilità<br />
<strong>di</strong> salvezza. Una lettura forse inusuale,<br />
questo romanzo, ma indubbiamente<br />
fascinosa per gli scenari selvaggi dell’anima<br />
e della natura, per le sfumature<br />
a volte i<strong>di</strong>lliache, per gli inquietanti interrogativi<br />
sulla predestinazione, sul<br />
bene e sul male, insomma sulla vita.<br />
a cura <strong>di</strong> Enrica Gobbi<br />
L’Angelo - Settembre a. D. 2001 23