Storia di un ebreo errante - Provincia di Pesaro e Urbino
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<strong>un</strong>iversale, poi, si sovrappone quella privata, la morte della moglie Olga, perpetuando<br />
quel rilancio tra <strong>un</strong>iversale e particolare che compone la struttura profonda del<br />
resoconto della Paepcke. Nell’affetto profondo nutrito nei confronti della sua<br />
consorte, Max trovava ancora <strong>un</strong> ultimissimo residuo <strong>di</strong> senso, ma ora, nella profonda<br />
solitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong>viene, definitivamente e senza possibilità <strong>di</strong> riscatto, straniero al mondo.<br />
Sarà <strong>un</strong> vecchio spento e ripiegato su se stesso che la figlia, sopravvissuta a sua volta<br />
all’orrore, riporterà a Friburgo. Qui, Max passeggia stanco nei luoghi della sua<br />
infanzia, della sua giovinezza e della sua maturità; nei luoghi <strong>di</strong> <strong>un</strong>a vita <strong>di</strong>ssolta,<br />
reincontrando persone che lo salutano come se nulla fosse avvenuto. Ma, quando il<br />
“piccolo <strong>ebreo</strong>” incontra <strong>un</strong> suo vecchio amico violinista, il quale aveva cessato <strong>di</strong><br />
salutarlo all’indomani delle leggi razziali per evitare le ritorsioni naziste, in<br />
quell’anziano tedesco, vecchio quanto lui, ma desideroso <strong>di</strong> giustificarsi ai suoi occhi,<br />
Max comprende quella che la Arendt definirà la “banalità del male 7 ”. Capisce<br />
razionalmente quello che aveva già inteso emotivamente: non potrà più essere<br />
tedesco, non potrà più appartenere a <strong>un</strong> popolo, perché “chi è stato profugo <strong>un</strong>a volta,<br />
lo rimane per sempre” 8 e perché, per <strong>di</strong>rla con Friedmann sulla scia della Arendt,<br />
negli sguar<strong>di</strong> delle persone vede il male, inteso come negazione del reale 9 . Privato<br />
dell’identità, Max si sente cancellato dal mondo e, anche se continua a sorridere a<br />
tutti, dentro <strong>di</strong> sé avverte <strong>di</strong> essersi già decomposto. Così, lentamente e insieme<br />
velocemente, muore: <strong>un</strong>a morte lenta, che ha ra<strong>di</strong>ci lontane in <strong>un</strong> male sociale e<br />
culturale che ha scavato dentro <strong>di</strong> lui devastandolo; <strong>un</strong>a morte veloce, <strong>di</strong>screta nella<br />
sua evoluzione, capace <strong>di</strong> riflettere la <strong>di</strong>gnità estrema <strong>di</strong> <strong>un</strong> uomo qual<strong>un</strong>que che,<br />
morendo, non vuole <strong>di</strong>sturbare troppo il mondo.<br />
La Paepcke descrive <strong>un</strong>a vita, l’esistenza particolare e insieme <strong>un</strong>iversale del suo<br />
“piccolo padre <strong>ebreo</strong>”, con i tratti veloci dello schizzo, ma, nel contempo, con la<br />
concentrazione semantica assoluta che solo il graffio <strong>di</strong> <strong>un</strong>a parola sintetica possiede.<br />
Un libro da leggere per riflettere, senza precomprensioni ideologiche, con l’intento <strong>di</strong><br />
vedere, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutto, la sofferenza dell’uomo: <strong>di</strong> quell’uomo con <strong>un</strong> nome e <strong>un</strong><br />
cognome; <strong>di</strong> ogni uomo innocente.<br />
7<br />
H. ARENDT, la banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 142-157.<br />
8<br />
L. PAEPCKE, op. cit., p. 86<br />
9<br />
Cfr. F. G. FRIEDMANN, Hannah Arendt. Un’ebrea tedesca nell’era del totalitarismo, Gi<strong>un</strong>tina, Firenze 2001, p. 80.