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Come interrogare l'Islam - Provincia di Pesaro e Urbino

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<strong>Come</strong> <strong>interrogare</strong> l’Islam?<br />

Ipotesi <strong>di</strong> approccio al credo islamico<br />

E’ finanche banale affermare che il mondo contemporaneo e in particolare<br />

l’occidente europeo devono affrontare la questione del <strong>di</strong>alogo con l’universo<br />

musulmano in maniera decisa e lasciando da parte intenti apologetici. Benché, sin<br />

dalla sua nascita, l’islam abbia in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>alogato con la cristianità e con<br />

l’ebraismo, in realtà esso appare ancora come una galassia sconosciuta e, per molti,<br />

minacciosa. Questo atteggiamento <strong>di</strong> sospetto a priori permane ancor oggi, anzi, oggi<br />

più che mai appare rilanciato dallo scenario politico internazionale, interpretato da<br />

molti commentatori dell’informazione spesso “a <strong>di</strong>giuno” della complessità<br />

dell’Islam stesso e quin<strong>di</strong> imprecisi, frettolosi e superficiali. Chi lavora nelle scuole e<br />

tenta un lavoro a livello interculturale e/o interreligioso conosce <strong>di</strong> persona le<br />

resistenze pregiu<strong>di</strong>ziali che gli studenti hanno nei confronti dell’Islam, della sua<br />

densità concettuale, teologica, filosofica che, ancorché non vada necessariamente<br />

con<strong>di</strong>visa, dovrebbe essere per lo meno riconosciuta. L’intento della mia relazione,<br />

dunque, sarà quello <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare dei percorsi <strong>di</strong> approccio alla <strong>di</strong>versità religiosa,<br />

sociale, etica e politica dell’Islam, tenendo a mente che i destinatari ultimi <strong>di</strong> tali<br />

percorsi sono gli studenti stessi. L’interrogativo <strong>di</strong> fondo, dunque, è proprio: “come<br />

<strong>interrogare</strong> l’Islam?”, e, insieme, occorrerebbe aggiungere: “come lasciarsi<br />

<strong>interrogare</strong> dell’Islam?”. Si tratta dunque <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare dei sentieri che si inoltrino<br />

nella complessità del mondo islamico e che, da un lato, aiutino a fare chiarezza sul<br />

modo in cui tale mondo si rappresenta, si pensa, vive e sperimenta la sua esperienza<br />

religiosa, mentre, dall’altro, mantengano l’opacità della visuale, nella convinzione <strong>di</strong><br />

fondo che l’avventura della comprensione non è mai interamente data, non si pone<br />

mai totalmente alla luce. Bisogna necessariamente tenere a mente, come passe<br />

partout metodologico, la lezione dell’antropologo Geertz, il quale afferma che il<br />

mondo è troppo complesso perché si possa saltare imme<strong>di</strong>atamente alle conclusioni.<br />

Ritengo che questo sia il primo in<strong>di</strong>spensabile obiettivo da raggiungere, quando si<br />

voglia in generale, ma soprattutto nella scuola, avviare un confronto autentico con la<br />

<strong>di</strong>versità culturale. In aiuto, poi, dovrebbe venire anche il metodo fenomenologico,<br />

per lo meno in una prima fase, per riuscire a comprendere dall’interno e per mezzo<br />

dei suoi linguaggi e delle sue immagini, l’Islam stesso. Kristensen, il grande<br />

fenomenologo olandese delle religioni, affermava, infatti che “il credente ha sempre<br />

ragione”, nel senso che è sempre ravvisabile una inner logic, una logica interna ai<br />

mon<strong>di</strong> che si vanno a stu<strong>di</strong>are e ad incontrare. Il metodo fenomenologico ci aiuta a<br />

in<strong>di</strong>viduare, prima, e a tentare <strong>di</strong> neutralizzare, tutte quelle precomprensioni che ci<br />

impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> comprendere un mondo dal suo interno. Cercare <strong>di</strong> capire per mezzo<br />

dei linguaggi propri <strong>di</strong> ciascuna <strong>di</strong>versità è l’unico modo per non sovrapporsi sempre<br />

all’altro, per riuscire a dare ospitalità all’altro come sosteneva il grande Lévinas.<br />

Anche lo stesso Tommaso, che nella Summa contra gentiles, non risparmia dure<br />

critiche ai “maomettani”, afferma nello stesso scritto che è <strong>di</strong>fficile confutare “i<br />

singoli errori” <strong>di</strong> quelli che lui chiama i maomettani, per due motivi: in primo luogo<br />

perché non si conosce in maniera sufficientemente approfon<strong>di</strong>ta la teologia islamica e


poi perché i punti <strong>di</strong> riferimento non sono identici. In modo particolare, <strong>di</strong>ce<br />

Tommaso, non viene con<strong>di</strong>visa l’autorità della Scrittura. E, con una modernità<br />

sconcertante, Tommaso continua che la <strong>di</strong>sputa deve essere spostata sul terreno della<br />

<strong>di</strong>scussione razionale, quin<strong>di</strong> su un terreno neutro, lontano dalla genericità a volte<br />

greve dei polemisti cristiani me<strong>di</strong>evali, che liquidavano l’islam sulla base <strong>di</strong><br />

affermazioni apologetiche. In qualche modo Tommaso, sembra invitare alla<br />

conoscenza approfon<strong>di</strong>ta e al <strong>di</strong>battito serrato, razionale, metodologicamente corretto.<br />

Ma, per tornare al metodo fenomenologico, la pura sospensione del giu<strong>di</strong>zio,<br />

ovviamente, è praticamente inapplicabile a livello assoluto, soprattutto in un<br />

ambiente scolastico, che necessita anche <strong>di</strong> <strong>di</strong>batti critici. Ma potrebbe rappresentare<br />

un primo approccio, attraverso il quale lo studente dovrebbe riconoscere che, al <strong>di</strong> là<br />

dei luoghi comuni, poco o nulla sa del mondo islamico, a partire dal significato stesso<br />

<strong>di</strong> Islam e musulmano. A fianco del metodo fenomenologico, occorrerebbe utilizzare<br />

anche quello storico-comparativistico, che permette <strong>di</strong> scivolare nella <strong>di</strong>versità<br />

partendo dalla propria visione culturale e religiosa, e in<strong>di</strong>viduando nella similarità <strong>di</strong><br />

certi concetti il varco della <strong>di</strong>fferenza. Attraverso tale metodologia, infatti, si può<br />

accedere alle <strong>di</strong>versità tramite le analogie e le sfumature delle <strong>di</strong>fferenze irriducibili<br />

che separano l’Islam dal giudaismo e dal cristianesimo, cecando <strong>di</strong> capire sotto quali<br />

aspetti l’Islam è nuovo, e sotto quali altri si propone come giusto completamento <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zioni religiose precedenti. Seguendo tale percorso, dunque, si potranno<br />

comparare i testi sacri, i profeti, i fondatori, le modalità etiche cercando <strong>di</strong> verificarne<br />

la continuità col passato e, nel contempo, la <strong>di</strong>versità sostanziale che propongono.<br />

Mettere a confronto la Bibbia col Corano, infatti, ci aiuta a comprendere le vicinanze<br />

stilistiche, narrative e ideologiche dei due testi, ma anche il profondo <strong>di</strong>vario che li<br />

separa agli occhi dei fedeli delle due religioni, aprendo anche il problema della<br />

rivelazione, <strong>di</strong> cosa sia rivelazione nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islam.<br />

Partendo dalle contiguità, quin<strong>di</strong>, si arriva alle specificità, trovando insieme<br />

consonanze e <strong>di</strong>stonie.<br />

Va operato, inoltre, un ultimo chiarimento: anche l’islam, come molte altre gren<strong>di</strong><br />

religioni, si <strong>di</strong>vide in famiglie e in sette che, pur nell’unitarietà della credenza nei<br />

dogmi fondamentali, <strong>di</strong>fferiscono tra loro per interpretazione, applicazione della<br />

legge e rituale. In questa <strong>di</strong>ssertazione, dunque, si farà riferimento solo ad una <strong>di</strong><br />

queste famiglie, quella sunnita, che è maggioritaria e rappresenta circa il 90% dei<br />

musulmani.<br />

Dopo questa premessa, certamente <strong>di</strong>dascalica ma necessaria per orientarsi,<br />

occorre scendere in campo e proporre alcuni “approcci” al mondo musulamano, che<br />

poi potrebbero cristallizzarsi in moduli in grado <strong>di</strong> coinvolgere gli insegnanti <strong>di</strong><br />

storia, geografia, lettere, filosofia. I temi proponibili per avvicinare la galassia islam<br />

allo stato nascente, fra mille altri ovviamente, mi sembrano i seguenti:<br />

1. Tema storico-scritturale: Abramo come padre dei credenti.<br />

2. Tema teologico: la figura <strong>di</strong> Muhammad<br />

3. Tema teologico: il monoteismo puro proposto dal Profeta<br />

4. Tema teologico: la specificità della rivelazione coranica<br />

5. Temi etici: i doveri del musulmano, la shariah.


6. Prospettiva della mistica: il Sufismo, una pagina sconosciuta della religione<br />

islamica.<br />

Mentre dei primi quattro si cercherà <strong>di</strong> fornire una rapida presentazione,<br />

dell’ultimo si fornirà solo una rassegna bibliografica, data l’impossibilità <strong>di</strong><br />

affrontare con compiutezza nel breve tempo assegnatomi un settore del mondo<br />

religioso islamico tanto complesso, delicato e, per certi versi a sé, come quello<br />

della mistica sufi.<br />

Primo tema<br />

Abramo come padre dei credenti.<br />

Il grande patriarca e progenitore della stirpe <strong>di</strong> Maometto è in<strong>di</strong>viduato in<br />

Abramo. L’islam, infatti, si riconosce nel ramo ismaelitico della <strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong><br />

Abramo, <strong>di</strong>versamente dall’asse ebraico-cristiano che si riconnette al figlio<br />

legittimo Isacco e, conseguentemente, alla figura <strong>di</strong> Giacobbe. Quello che nella<br />

Genesi appare come un racconto marginale, dunque, <strong>di</strong>viene assolutamente<br />

centrale nel mondo islamico primitivo.<br />

L’episo<strong>di</strong>o a cui si fa riferimento è narrato in Genesi 21, 8-20: Sara, <strong>di</strong>ventata<br />

madre in tarda età, chiede ad Abramo <strong>di</strong> scacciare Agar col bambino, Ismaele, che<br />

il patriarca aveva avuto da lei, per timore che il figlio illegittimo del marito possa<br />

reclamare parte dell’ere<strong>di</strong>tà paterna a danno <strong>di</strong> Isacco. Nella mentalità<br />

musulmana, l’islam nasce da questo episo<strong>di</strong>o, che è una sorta <strong>di</strong> microesodo, una<br />

sorta <strong>di</strong> viaggio compiuto da madre e figlio verso un destino segnato e voluto da<br />

Dio, da Allah. Abramo così scaccia la schiava e il figlio, accettando <strong>di</strong> sottostare<br />

alla richiesta decisamente barbara e crudele della moglie, ma solo dopo aver<br />

ricevuto da Dio una promessa, che anche la Genesi riporta: “Ma Dio <strong>di</strong>sse ad<br />

Abramo: “Non ti <strong>di</strong>spiaccia per questo, per il fanciullo e per la tua schiava: ascolta<br />

la parola <strong>di</strong> Sara, ascolta la sua voce, perché attraverso Isacco da te prenderà nome<br />

una stirpe. Ma io farò <strong>di</strong>ventare una grande nazione anche il figlio della tua<br />

schiava, perché è tua prole”. Due stirpi, due nazioni, entrambe <strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong><br />

Abramo e che la Genesi non descrive in contrapposizione apparente. E alla<br />

schiava Agar, <strong>di</strong>sperata nel deserto perché priva <strong>di</strong> acqua, Dio in<strong>di</strong>cherà una fonte<br />

e confermerà la promessa: “Che hai Agar? Non temere, perché Dio ha u<strong>di</strong>to la<br />

voce del fanciullo là dove si trova. Alzati, pren<strong>di</strong> il fanciullo e tienilo per mano,<br />

perché io ne farò una grande nazione”.<br />

“La storia <strong>di</strong> Agar e Ismaele – come afferma Carlo Saccone - viene ripresa e<br />

rielaborata dalla tra<strong>di</strong>zione musulmana che ci narra del vagabondaggio dei due<br />

alla ricerca <strong>di</strong> acqua e conforto nei pressi delle colline <strong>di</strong> Marwa e Safà, vicino alla<br />

Mecca”.<br />

La migrazione nel deserto culmina nella fondazione della Ka’ba, ove, accanto a<br />

Ismaele ricompare inaspettatamente Abramo. L’episo<strong>di</strong>o è narrato nella seconda<br />

Sura del Corano, ai versetti 125-128: la Ka’ba è un luogo <strong>di</strong> “rifugio e <strong>di</strong> riunione<br />

per gli uomini”, e<strong>di</strong>ficata dal padre abramo e da suo figlio Ismaele su preciso<br />

decreto <strong>di</strong>vino. Il luogo <strong>di</strong>viene per l’Islam il centro del mondo e la pietra nera che<br />

nella Ka’ba è conservata il segno visibile dell’onnipotenza <strong>di</strong>vina e, insieme, della


misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Allah che non <strong>di</strong>mentica gli uomini. E proprio nella Sura in<br />

questione viene fondato il quinto pilastro dell’e<strong>di</strong>ficio cultuale dell’islam, quello<br />

del Pellegrinaggio alla Mecca. Il Signore, infatti, si rivolge con queste parole ad<br />

Abramo e Ad Isacco nel Corano II, 125: “Purificate la mia Casa per coloro che<br />

attorno vi correranno venerabon<strong>di</strong>, vi pregheranno devoti, vi s’inchineranno e si<br />

prostreranno reverenti”. Abramo, quin<strong>di</strong>, è il primo muslim, il modello <strong>di</strong> ogni<br />

sottomissione a Dio, il perfetto credente, che fonda un assoluto culto monoteistico,<br />

colui che risponde all’invito <strong>di</strong> Allah del v. 131: “Datti a me”, con un’espressione<br />

<strong>di</strong> totale adesione: “Ecco tutto a te mi son dato, al Signore del creato”, con parole<br />

che ricordano molto da vicino le parole del re <strong>di</strong> Salem, Melchisedek nel capitolo<br />

14 della Genesi, come ricorda Cherubino Maria Guzzetti.<br />

La nazione <strong>di</strong> Ismaele è dunque anche la nazione <strong>di</strong> Abramo esattamente come<br />

quella <strong>di</strong> Isacco, e Dio, nella sua infinita potenza, si è compiaciuto nel creare un<br />

grande popolo da un fanciullo <strong>di</strong>seredato, scacciato ingiustamente, scegliendo un<br />

ultimo, un perdente, un reietto. Questa è la comprensione dell’episo<strong>di</strong>o che ha il<br />

credente musulmano, su cui si può anche pensare una convergenza a grande<br />

livello delle tre religioni abramitiche, secondo Louis Massignon, che per primo a<br />

coniato la formula : “<strong>di</strong>alogo tra le religioni d’Abramo” che tanta fortuna ha avuto<br />

negli stu<strong>di</strong> teologici e religionistici. Non bisogna tacere, tuttavia, che sull’Islam<br />

nascente ha gravato subito come un macigno l’interpretazione del passo paolino <strong>di</strong><br />

Galati 4, 24-26, in cui san Paolo, certamente in chiave allegorica, sconfessa la<br />

<strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong> Agar, simbolo dell’antica alleanza che genera solo schiavi, ed<br />

esalta quella <strong>di</strong> Sara, madre <strong>di</strong> libertà e figura della Gerusalemme celeste, quin<strong>di</strong><br />

della nuova alleanza.<br />

Negli atteggiamenti dei dotti, filosofi e teologici cristiani dei primi secoli dell’era<br />

islamica, tuttavia, vi sono degli elementi sorprendenti, benché la condanna <strong>di</strong><br />

apostasia nei confronti <strong>di</strong> Maometto sia univoca; si tratta <strong>di</strong> sfumature <strong>di</strong> pensiero<br />

che possono aiutare a comprendere meglio il mondo islamico.<br />

Uno dei primi testi che confutano le dottrine <strong>di</strong> Muhammad è quello <strong>di</strong> Giovanni<br />

Damasceno. Nel suo Liber de haeresibus (tradotto in italiano a cura <strong>di</strong> G. Rizzi,<br />

col titolo La centesima eresia) il Damasceno rivela una profonda conoscenza del<br />

mondo islamico<br />

Secondo tema storico-teologico<br />

La figura <strong>di</strong> Muhammad<br />

Tutto ciò che sappiamo su Muhammad è legato alle fonti craniche, agli ha<strong>di</strong>t, cioè<br />

alla tra<strong>di</strong>zione (il complesso dei detti e dei fatti attribuiti a Maometto da una<br />

esplicitata catena <strong>di</strong> trasmissione), e, in particolare alla Sira rasul Allah (vita<br />

dell’inviato <strong>di</strong> Dio). E’ molto, ma anche poco, perché ci appare interamente<br />

materiale viziato da una certa apologetica. Paradossalmente, il testo più integro,<br />

sotto il profilo della comprensione de personaggio storico Muhammad, appare il<br />

Corano, in cui Maometto appare come un uomo normale con tutto il suo corredo<br />

<strong>di</strong> virtù e debolezze, peccatore e persino errante. La Tra<strong>di</strong>zione, invece, ha<br />

completamente rivisitato il personaggio del Profeta, rendendolo quasi leggendario,


e presentandolo come uomo impeccabile, senza macchia. La pietà popolare e gli<br />

esegeti hanno visto in Maometto il <strong>di</strong>spensatore <strong>di</strong> miracoli, l’intercessore<br />

universale, logos esistente ab aeterno, sostanza luminosa preesistente e<br />

sopravvivente al Maometto storico.<br />

Ma al fenomenologo della religione, <strong>di</strong>versamente dallo storico, interessa più il<br />

Maometto della Tra<strong>di</strong>zione e dell’esperienza religiosa dei musulmani, che quello<br />

della storia. Da questo punto <strong>di</strong> vista, il Profeta è percepito dal credente dei primi<br />

secoli della storia islamica, ma, in qualche modo, anche da quello o<strong>di</strong>erno, come<br />

colui che fonda una nuova religione e insieme un nuovo stato. Questo è un dato<br />

fondamentale, per <strong>di</strong>rla ancora con Saccone, Perché “l’aspirazione a vivere col<br />

cuore la propria fede non è mai <strong>di</strong>sgiunta nel pio musulmano dall’aspirazione più<br />

o meno palese a costruire qui ed ora la “città <strong>di</strong> Dio”.<br />

Un secondo aspetto da sottolineare è il carattere “interme<strong>di</strong>o” della riforma<br />

religiosa <strong>di</strong> Maometto: pur pervenendo ad una concezione monoteistica pura e<br />

universalistica, il Profeta non <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> conciliarlo con il particolarsi tribale e<br />

l’orgoglio nazionale, eleggendo la Ka’ba come centro <strong>di</strong> culto assoluto. Pur<br />

essendo uomo <strong>di</strong> fede, inoltre, il Profeta non rinuncia mai alla sua realizzazione<br />

terrena. Egli, infatti fu uomo <strong>di</strong> preghiera, ma non propriamente un asceta, fu<br />

profeta e insieme “uomo <strong>di</strong> mondo”, anche se la mondanità viene sempre posta in<br />

secondo piano rispetto alla scelta religiosa come afferma lui stesso <strong>di</strong> sé in un<br />

celebre ha<strong>di</strong>t: “Nella mia vita ho amato le donne e i profumi, ma sopra ogni altra<br />

cosa ho amato la preghiera”. La sua, dunque, è una via <strong>di</strong> mezzo tra il rigore della<br />

legge mosaica e l’amore illimitato pre<strong>di</strong>cato da Gesù, una via che si ritiene il<br />

giusto equilibrio tra la legge e la misericor<strong>di</strong>a, tra l’ira e l’amore <strong>di</strong>vini.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista storico, invece, possiamo affermare ben poco con certezza. Le<br />

uniche date certe sono quelle dell’egira, della migrazione volontaria verso<br />

Me<strong>di</strong>na, avvenuta nel 622 e che dà inizio al calendario islamico, e quella della<br />

morte, avvenuta l’8 giugno del 632 (il 13 del mese <strong>di</strong> rabi’), ventidue anni dopo la<br />

prima rivelazione, avvenuta, secondo la tra<strong>di</strong>zione, nel 610.. Tramite calcoli<br />

deduttivi alquanto complessi, poi, i dottori dell’islam hanno stabilito che la nascita<br />

del Profeta vada collocata tra il 570 e il 572 dell’era volgare. Maxime Ro<strong>di</strong>nson ha<br />

tentato <strong>di</strong> approntare un ritratto psicologico dell’uomo Muhammad, mettendone in<br />

evidenza la fine intelligenza, la notevole abilità politica e la raffinata capacità <strong>di</strong><br />

comprendere uomini e situazioni, elaborando strategie <strong>di</strong> intervento anche a lungo<br />

periodo. La sua pre<strong>di</strong>cazione rivela una personalità che, all’inizio, risulta pervasa<br />

da un ardente fuoco sacro, composto da un misto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>gnazione ed entusiasmo<br />

che si riversa nella prima poesia cranica piena <strong>di</strong> veemenza; mentre, in un secondo<br />

tempo, attiva un progetto politico legislativo molto complesso, per il quale<br />

vengono abbandonati i trasporti e gli slanci poetici, in favore <strong>di</strong> una prosa asciutta,<br />

organizzata, quasi arida per eccesso <strong>di</strong> normatività. Muhammad, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

molti fondatori <strong>di</strong> religioni, viene a contatto ben presto con le seduzioni del potere,<br />

ma, per giu<strong>di</strong>care certi suoi atti che possono apparire ai nostri occhi efferati, è<br />

necessario tenere presente le usanze del suo popolo, che lui tenta <strong>di</strong> trasformare e<br />

<strong>di</strong> emancipare dalla brutalità pura. Ciononostante, nella maggior parte dei casi egli


si <strong>di</strong>mostrò clemente, indulgente e <strong>di</strong> larghe vedute, come al suo ingresso nella<br />

Mecca, dopo l’esilio me<strong>di</strong>nese, quando in nome <strong>di</strong> Allah obbliga al perdono e<br />

intima ai suoi <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare le offese per costituire la nazione <strong>di</strong> Allah.<br />

Mentre nel primo periodo il suo e<strong>di</strong>ficio religioso appare fortemente influenzato<br />

dall’ebraismo e, per certi versi, dal cristianesimo, conosciuti nei suoi viaggi<br />

commerciali in Siria, nel secondo periodo Muhammad si autopercepisce come un<br />

riformatore profondo <strong>di</strong> tali tra<strong>di</strong>zioni, ree <strong>di</strong> aver travisato l’insegnamento<br />

monoteistico puro del padre Abramo e, simbolicamente rifiutate con la<br />

mo<strong>di</strong>ficazione della <strong>di</strong>rezione dell’orante, che non si rivolge più verso<br />

Gerusalemme, ma verso La Mecca. Gli ebrei vennero accusati <strong>di</strong> aver ucciso il<br />

grande profeta Gesù (anche se, secondo la Tra<strong>di</strong>zione, Dio avrebbe sostituito il<br />

corpo <strong>di</strong> Gesù sulla croce con un simulacro per non farlo soffrire) e <strong>di</strong> aver<br />

calunniato Maria, <strong>di</strong> cui si riconosce la verginità, simbolo dell’eccezionalità della<br />

figura del profeta Gesù, come l’analfabetismo lo è dell’eccezionalità <strong>di</strong><br />

Muhhamad (Nasr). I cristiani, invece, vengono accusati <strong>di</strong> idolatria per il loro<br />

dogma trinitario, inconcepibile secondo una logica umana e frutto <strong>di</strong> un sofisma<br />

idolatrino e politeistico. Nel periodo me<strong>di</strong>nese, dunque, il Profeta realizza l’idea<br />

<strong>di</strong> costituire una comunità ideologica nuova, legata al passato solo attraverso il<br />

monoteismo puro <strong>di</strong> Abramo; una comunità <strong>di</strong> verità, universalistica, aperta a<br />

chiunque voglia aderirvi, senza <strong>di</strong>scriminazioni etniche o <strong>di</strong> altro tipo, egualitaria<br />

nel senso che non impone uno statuto <strong>di</strong>verso ai suoi membri, a seconda della<br />

funzione religiosa assegnata. Chiunque può entrare nella grande comunità dei<br />

servi <strong>di</strong> Allah e <strong>di</strong>ventarne membro effettivo, se si converte con intenzione pura,<br />

niyya. Bisogna però rilevare che tale <strong>di</strong>sposizione generale all’accoglienza ha per<br />

contropartita una netta chiusura nei confronti dell’esterno. Nulla impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong><br />

entrare nella ummah, nella famiglia dei credenti, ma tutto converge per<br />

scoraggiarne l’uscita: la comunità è idealmente blindata, come afferma sempre<br />

Ro<strong>di</strong>nson.<br />

Terzo tema teologico<br />

Il Dio unico e misericor<strong>di</strong>oso<br />

L’islam si considera rivelazione piena e ultima nella storia dell’umanità attuale e<br />

crede che dopo <strong>di</strong> sé non seguiranno altre rivelazioni sino alla fine della storia<br />

umana e al verificarsi degli eventi escatologici descritti nei capitolo finali del<br />

Corano , che nell’islam è testuale parola <strong>di</strong> Dio. L’islam si considera anche<br />

l’ultimo anello <strong>di</strong> una lunga catena <strong>di</strong> profezie risalenti ad Adamo, il quale non<br />

fu soltanto il primo degli uomini, ma anche il primo dei profeti. Non c’è che<br />

un’unica religione, quella dell’unità <strong>di</strong>vina che l’islam è giunto a <strong>di</strong>chiarare nella<br />

sua forma definitiva.<br />

Il messaggio islamico è essenzialmente l’accettazione <strong>di</strong> Dio come Uno e la<br />

sottomissione, l’abbandono a lui, da cui deriva la pace.<br />

ISLAM significa abbandono alla volontà dell’unico Dio detto Allah e<br />

musulmano (muslim) è colui che pratica questo abbandono.


Per <strong>di</strong>ventare musulmani basta riconoscere al cospetto <strong>di</strong> due testimoni che<br />

“NON C’E’ DIO SE NON DIO” e che “MAOMETTO E’ IL MESSAGGERO<br />

DI DIO”. Queste due <strong>di</strong>chiarazioni sono la Shahadah (testimonianza) islamica e<br />

sono l’alfa e l’omega del messaggio religioso islamico: siamo in presenza <strong>di</strong> due<br />

asserzioni, <strong>di</strong> due certezze, <strong>di</strong> due piani <strong>di</strong> realtà: l’Assoluto e il relativo, la<br />

Causa e l’effetto, Dio e il mondo.<br />

La prima certezza ci <strong>di</strong>ce che solo Dio è, la seconda che ogni cosa <strong>di</strong>pende da<br />

Dio.<br />

Realizzare la prima Shahadah significa prima <strong>di</strong> tutto <strong>di</strong>venire coscienti del fatto<br />

che Dio solo, che è principio e fine, è reale e che il mondo, pur esistendo sul<br />

proprio piano, non è. L’uomo, ricorda il grande islamologo Bausani, non può<br />

aspirare a nulla <strong>di</strong> per sé, non può reclamare nulla. Dio può <strong>di</strong>sporre della<br />

creazione a suo piacimento fino al paradosso <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggerla, come un conta<strong>di</strong>no,<br />

proprietario del proprio campo potrebbe, in teoria, <strong>di</strong>struggere il proprio raccolto<br />

senza essere penalmente perseguibile.<br />

Realizzare la seconda Shahadah significa prima <strong>di</strong> tutto <strong>di</strong>venire pienamente<br />

coscienti del fatto che il mondo, la manifestazione, non è altro che opera <strong>di</strong> Dio.<br />

L’uomo, che vive per volontà <strong>di</strong> Allah, non deve fare altro che conformarsi ai<br />

suoi dettami, esplicitati nella forma più compiuta nella rivelazione coranica.<br />

L’islam insegna la realtà dell’assoluto e la <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> ogni cosa dall’assoluto.<br />

Di conseguenza possiamo anche <strong>di</strong>re, con SCHUON, che “l’islam è la<br />

congiunzione tra Dio come tale e l’uomo come tale.<br />

Dio come tale: ossia considerato non in quanto ha potuto manifestarsi in un<br />

determinato modo in una determinata epoca, ma in<strong>di</strong>pendentemente dalla storia<br />

e in quanto è ciò che è.<br />

L’uomo come tale: ossia considerato non in quanto decaduto e bisognoso <strong>di</strong> un<br />

miracolo che lo salvi, ma in quanto creatura dotata <strong>di</strong> una intelligenza in grado<br />

<strong>di</strong> concepire l’Assoluto e <strong>di</strong> una volontà in grado <strong>di</strong> scegliere ciò che vi<br />

conduce.”<br />

Il Corano pone continuamente l’accento sulla dottrina dell’unità e dell’unicità <strong>di</strong><br />

Dio.<br />

ISLAM riba<strong>di</strong>sce in modo definitivo e categorico l’unicità <strong>di</strong> Dio e<br />

l’inconsistenza <strong>di</strong> tutto davanti alla maestà <strong>di</strong> quell’uno.<br />

“Di’: Egli, Id<strong>di</strong>o, è Uno.<br />

Id<strong>di</strong>o l’eterno, l’eternamente implorato da tutti.<br />

Egli non ha generato, né è stato generato,<br />

e non ha uguale.” CXII, 1-4<br />

Allah non è un <strong>di</strong>o etnico o tribale, ma il supremo principio <strong>di</strong>vino: Allah non è<br />

un nome proprio, ma il nome dell’Assoluto. Il <strong>di</strong>o assoluto islamico è chiamato<br />

in molti mo<strong>di</strong>. La pietà islamica li ha raccolti e ha stilato l’elenco dei “99 bei<br />

nomi <strong>di</strong> Allah”, anche se i più <strong>di</strong>ffusi sono arrahman (il Misericor<strong>di</strong>oso) e rahim<br />

(il Clemente)


E’ essenziale comprendere che l’Islam non è fondato su un particolare evento<br />

storico o su un gruppo etnico, ma su una verità universale e primigenia che<br />

perciò è sempre stata e sempre sarà..<br />

Ecco perché, secondo il Corano, già prima della creazione del mondo Dio chiese<br />

agli uomini<br />

“Non sono forse il vostro Signore?”<br />

e non fu un solo uomo, ma l’intera umanità, uomini e donne, a rispondere:<br />

“Sì, l’attestiamo”.(7,127)<br />

L’islam, quin<strong>di</strong>, vede se stesso come un ritorno a quella verità che si trova al <strong>di</strong><br />

sopra e al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni contingenza storica. Il Corano, infatti, fa riferimento ad<br />

Abramo come muslim e hanif (colui che già nell’antichità adora un solo <strong>di</strong>o).<br />

Anche il monoteismo <strong>di</strong> Adamo è da inserire all’interno dell’islamismo, come<br />

religione dei primor<strong>di</strong>, che, in quanto antica, è meno chiara, meno evidente <strong>di</strong><br />

quella dell’islam. Il profeta stesso affermava <strong>di</strong> non aver introdotto nulla <strong>di</strong><br />

nuovo, bensì <strong>di</strong> aver riba<strong>di</strong>to più chiaramente la verità che è sempre stata.<br />

L’islam è una religione inclusiva perché professa l’assoluto, che in quanto tale è<br />

espressione <strong>di</strong> tutto, tutto contiene ed esprime.<br />

Di Dio non si può fare alcuna raffigurazione concreta e artistica, ma nemmeno<br />

mentale, perché ogni speculazione razionale su Dio è in qualche misura<br />

arbitraria. L’islam, infatti, nutre sospetto verso la teologia, intesa letteralmente<br />

come uno “stu<strong>di</strong>o su Dio”, come un d”<strong>di</strong>scorso circa Dio”, ossia come pura<br />

speculazione, perché, in qualche modo la considera come una scienza indebita,<br />

presuntuosa e che nulla può offrire più che delle mere ipotesi interpretative.<br />

Qual è dunque l’idea <strong>di</strong> Dio che emerge dal Corano? Si potrebbe rispondere a<br />

questo quesito affermando che se, da un lato, il testo sacro islamico risulta<br />

essere espressione <strong>di</strong> un Dio loquacissimo, che parla quasi sempre in prima<br />

persona, dall’altro, non contiene riferimenti <strong>di</strong>retti su Dio. Allah, pur parlando<br />

moltissimo (come si afferma nella sura XXXI, 27: “Le parole <strong>di</strong> Dio non si<br />

esauriscono”), dunque, non <strong>di</strong>ce quasi nulla <strong>di</strong> sé, mentre il suo <strong>di</strong>scorso è ricco<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni su ciò che l’uomo deve compiere per vivere secondo le modalità<br />

pensate dal Creatore.<br />

Carlo Saccone, tuttavia, ha tentato nel suo ultimo lavoro <strong>di</strong> ricostruire il volto <strong>di</strong><br />

Allah per come emerge dal testo coranico e dalle riflessioni dei giuristi teologi<br />

sanniti. Per l’islamologo italiano, Allah è innanzi tutto riconosciuto e<br />

auto<strong>di</strong>chiarantesi come persona, non assimilabile al fato o a qualche forza<br />

cosmica: Nella sura VI, 52 e XIII, 22 si <strong>di</strong>ce che ha un volto; nella XX, 39 e<br />

nella XXIII, 27 che parla, ascolta e ha occhi; nella XXXVI, 83 che ha mani e<br />

nella X,3 che “nella sua mano c’è la sovranità su ogni cosa” e che “sta seduto”<br />

sul trono. I primi teologi islamici, soprattutto della scuola Karramita, fondata da<br />

Ibn Karram, ma anche quella hanbalita, furono, sulla base <strong>di</strong> questi versetti


,decisamente “antropomorfisti” e consideravano Allah come una sorta <strong>di</strong> re<br />

celeste Le scuole teologiche del tardo IX secolo, quali la mutazilita, la asharita e<br />

le shafiita, più razionaliste, contestarono recisamente tale interpretazione dei<br />

versetti riportati, che vennero definiti mutashabihat, ossia “ambigui, e optarono<br />

per una interpretazione allegorica, per la quale la mano <strong>di</strong> Allah era da<br />

considerarsi allegoria dell’onnipotenza <strong>di</strong>vina, le orecchie e gli occhi figure<br />

dell’onniscienza e così via. Ma a partire dal X secolo prevalse una terza linea<br />

interpretativa che, in qualche modo si imporrà sulle altre e <strong>di</strong>verrà <strong>di</strong> riferimento<br />

per tutta la teologia seguente, proposta già dalla scuola hanbalita, accusata <strong>di</strong><br />

antropomorfismo, e rilanciata da quella ashariita che ne riconobbe la vali<strong>di</strong>tà<br />

metodologica e abbandonò la pura speculazione razionale come metodo<br />

teologico. Secondo questa impostazione, bisogna credere che Dio abbia<br />

realmente mani e occhi, che sieda realmente sul trono e così via, ma non è lecito<br />

chiedersi come siano queste mani e questi occhi, come sia fatto il trono <strong>di</strong> Dio: Il<br />

principio metodologico sottostante è quello della sottomissione pura, per cui<br />

l’uomo <strong>di</strong> fede sincera deve contentarsi <strong>di</strong> quanto <strong>di</strong>ce il Corano sulla fisionomia<br />

<strong>di</strong> Dio e trattenere le immaginazioni della ragione e, soprattutto, contenere la sua<br />

volontà inquisitoria, affermando che, se Dio avesse voluto, avrebbe chiarito lui<br />

stesso in modo più efficace, queste annotazioni. Prevale quin<strong>di</strong> il principio<br />

“pedagogico” <strong>di</strong> interpretazione del <strong>di</strong>o coranico: Dio si autodescrive in termini<br />

antropomorfici perché vuole farsi capire da tutti, ma come sia Dio e quali siano i<br />

suoi pensieri nessun uomo può appurarlo. <strong>Come</strong> afferma Bausani: “la teologia<br />

cranica è forse tra le più ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> formulazioni <strong>di</strong> teismo personalistico <strong>di</strong> tutta<br />

la storia delle religioni. L’id<strong>di</strong>o coranico è persona completamente libera e le<br />

sue azioni sono totalmente arbitrarie: nulla gli si può chiedere, non è tenuto a<br />

darne ragione agli uomini”.<br />

Le uniche determinazioni che si possono desumere dal Corano sono che Dio è<br />

Creatore, un creatore in continuo movimento, artefice <strong>di</strong> una <strong>di</strong>namica<br />

universale inesauribile: è lui che fa e <strong>di</strong>sfa il mondo umano e quello inanimato<br />

(II, 164 e LV, 1-26) fino a <strong>di</strong>re ciò che è <strong>di</strong>ventato anche un nostro proverbio:<br />

“Non cade foglia che Dio non voglia”, nella sura VI, 59. Dio è l’assoluto e<br />

onnipotente creatore e l’uomo è creatura in senso pieno, ma null’altro e non un<br />

collaboratore <strong>di</strong> Dio nella creazione. La stessa nozione biblica <strong>di</strong> “alleanza” è<br />

inadeguata: nella visione cranica Dio semplicemente detta le sue con<strong>di</strong>zioni e<br />

l’uomo vi si adegua. Dio, dunque. Fa ciò che vuole: è libero non solo <strong>di</strong> fare e<br />

<strong>di</strong>sfare a piacimento, ma anche <strong>di</strong> ritornare sulle sue stesse decisioni, come<br />

appare non <strong>di</strong> rado nel Corano ove una stessa materia viene in un certo passo<br />

regolata da Allah in un certo modo e in modo del tutto <strong>di</strong>verso in un altro, tant’è<br />

che la cosa ha costretto gli esegeti musulmani a costruire la cosiddetta teoria del<br />

versetto abrogante e del versetto abrogato. Allah, insomma fa il bene delle sue<br />

creature, ma non è soggetto al bene; può decidere <strong>di</strong> amare queste o quelle<br />

creature particolari, ma non è tenuto all’amore, non è mai vincolato, per non<br />

ledere la sua libertà assoluta.


Dio, inoltre, non è quasi mai definito come “padre”, ma come “rabb”, ossia<br />

principe e signore, mentre l’uomo è ‘abd, ossia servo o schiavo. Il concetto fi<br />

filiazione tra Dio e l’uomo è recisamente rifiutato dall’islam e lo stesso<br />

Maometto rinnega come ispirati da Satana, dei versetti corabici in cui si<br />

affermava che Allah aveva tre figlie, Allat, Uzza, Manat). Semmai si potrebbe<br />

<strong>di</strong>re che Allah viene descritto con termini che paragonano la sua azione a quella<br />

<strong>di</strong> una madre sollecita, anche se mai è detto che Dio è madre, affermazione che<br />

suonerebbe blasfema. <strong>Come</strong> se non più, <strong>di</strong> quella che chiama “padre” Dio. Quasi<br />

tutte le 114 sure, infatti, si aprono con l’espressione “Nel nome <strong>di</strong> Dio clemente<br />

e misericor<strong>di</strong>oso, i cui termini arabi, rahim e arrahman, derivano dalla ra<strong>di</strong>ce<br />

rahm che in<strong>di</strong>ca l’utero materno.<br />

Il Dio coranico, dunque, appare come “misericor<strong>di</strong>oso”, che ha a cuore il bene e<br />

la felicità dei suoi servi ai quali si riserva <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, nell’ultimo giorno: “Vieni o<br />

anima tranquilla, ritorna al tuo Signore, piacente e piaciuta ed entra tra i miei<br />

servi, entra nel mio para<strong>di</strong>so” LXXXIX, 27.30.<br />

Tuttavia, e non lo si deve <strong>di</strong>menticare, il <strong>di</strong>o coranico si presenta anche come il<br />

punitore. Innumerevoli volte egli minaccia i suoi servi impenitenti e riottosi <strong>di</strong><br />

punizioniimme<strong>di</strong>ate o castighi eterni. Le espressioni <strong>di</strong> durezza sono pari a<br />

quelle <strong>di</strong> bontà e misericor<strong>di</strong>a, quasi a bilanciare un’idea troppo benevola <strong>di</strong> Dio<br />

e troppo vicina a quella cristiana, <strong>di</strong> cui si rifiuta l’eccessiva preoccupazione<br />

<strong>di</strong>vina, ossia l’immagine <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o troppo innamorato e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendente dalle<br />

sue creature.<br />

Ecco, dunque, che Allah si rivolge in questi termini a Maometto, nella sura<br />

VI,147: “E se essi ti smentiscono, o Maometto, <strong>di</strong>’ loro: il vostro Signore è il<br />

Dio <strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a ampia, ma è impossibile stornare l’ira sua da un popolo <strong>di</strong><br />

scellerati”. E se Dio è colui che dà la vita è anche colui che <strong>di</strong>spensa la morte<br />

(III, 156) e che è violento nel punire (III, 11; VIII, 13 e ss) ed è ven<strong>di</strong>cativo con<br />

i reci<strong>di</strong>vi (V, 95). E anche Iblis, Satana, deve affermare nell’ottava sura, al<br />

versetto 48 “Io vedo quel che voi non vedete. Io ho paura <strong>di</strong> Dio. Dio è, quando<br />

castiga, crudele!”. Inoltre, Dio gioca con gli iniqui e con gli astuti sullo stesso<br />

piano: “Essi tramano astuzie? E anch’io tramerò astuzie” si <strong>di</strong>ce alla sura<br />

LXXXVI, 15 e, nella sura III, 54 “Gli altri, gli iniqui, insi<strong>di</strong>arono, e Dio insi<strong>di</strong>ò,<br />

e Dio è fra gli insi<strong>di</strong>atori il migliore!”<br />

Quarto tema:<br />

La specificità della rivelazione coranica<br />

A. IL CORANO:<br />

STRUTTURA E TEMATICHE PRINCIPALI.<br />

Il Corano è <strong>di</strong>viso in 114 capitoli, detti surah, a loro volta <strong>di</strong>visi in versetti,<br />

detti ayat. La <strong>di</strong>visione del Corano in sure è antica e risale probabilmente<br />

alla recensione curata da Abu Bakr. La prima sura, chiamata “aprente”<br />

(fatihah), è seguita da tutte le altre secondo un or<strong>di</strong>ne empirico, non<br />

cronologico: si va dalle sure più lunghe alle più corte, da ritenere, in linea <strong>di</strong><br />

massima, le più antiche. A capo <strong>di</strong> ogni sura vi è l’in<strong>di</strong>cazione del luogo


della recitazione: vi sono, dunque, le sura della Mecca e <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>na. Le sure<br />

della Mecca sono state <strong>di</strong>vise dagli orientalisti in tre gruppi:<br />

SURE MECCANE: dal 610 al 622<br />

SURE MEDINESI:<br />

Sono le sure risalenti all’ultimo decennio, compreso tra il<br />

622 e la morte <strong>di</strong> Muhammad, avvenuta nel 632. Le sure <strong>di</strong><br />

tale periodo si <strong>di</strong>stinguono per lo stile e per i contenuti. I<br />

versetti più brevi e incalzanti delle prime sure lasciano il<br />

posto a una prosa più <strong>di</strong>scorsiva, anche se sempre animata<br />

da rime e assonanze e segnata qua e là da slanci <strong>di</strong> vera<br />

poesia. Il Testo sacro assume un carattere più normativo e<br />

dà <strong>di</strong>sposizioni su materie <strong>di</strong> vario genere. Essendo le ultime<br />

sono anche le definitive e più importanti <strong>di</strong> tutto il Corano.<br />

IL SIGNIFICATO:<br />

Il Corano è la principale teofania dell’Islam: è la parola <strong>di</strong> Dio testualmente<br />

rivelata dall’arcangelo Gabriele al Profeta, il quale a sua volta l’ha<br />

trasmessa ai suoi compagni che l’hanno memorizzata e trascritta. Esiste<br />

un’unica versione del testo del Corano, accettata da tutte le scuole<br />

dell’Islam. Il testo coranico è considerato integralmente <strong>di</strong>vino, non solo<br />

nel suo significato, ma anche nella sua forma. E’ parola che esce dalla<br />

“bocca” <strong>di</strong> Dio, senza alcuna me<strong>di</strong>azione. Mentre la Dei Verbum ci insegna<br />

che le scritture sono Parola rivelata me<strong>di</strong>ante ispirazione, ovvero<br />

un’ispirazione che non scavalca l’uomo, ma lo rende partecipe quale<br />

strumento della rivelazione della Parola stessa (“Per la composizione dei<br />

libri sacri, Dio scelse e si servì <strong>di</strong> uomini nel possesso delle loro facoltà e<br />

capacità, affinchè, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come<br />

veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte”11),<br />

la fede islamica ritiene il Corano luogo e tempo della rivelazione <strong>di</strong> Dio in<br />

quanto tale, senza alcuna me<strong>di</strong>azione strumentale. E’ improprio, quin<strong>di</strong>, per<br />

un cristiano istituire un parallelismo Bibbia-Corano, perché induce a<br />

trasferire il co<strong>di</strong>ce interpretativo valido per l’una sull’altro. Il parallelo da<br />

istituire, semmai, è Cristo-Corano, perché, l’uno e l’altro, all’interno della<br />

relativa logica religiosa, sono il “segno assoluto”, il simbolo <strong>di</strong> un evento<br />

salvifico. Dice giustamente Rizzar<strong>di</strong>:” Cristo è segno e sigillo <strong>di</strong><br />

un’alleanza <strong>di</strong>vino-umana che destina l’uomo a partecipare alla realtà <strong>di</strong><br />

Dio, me<strong>di</strong>ante l’essere in Cristo; il Corano è segno e sigillo <strong>di</strong> un’alleanza<br />

che stabilisce Dio come Signore e l’uomo come “sottomesso”. Quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong>ce<br />

ancora Rizzar<strong>di</strong>, “Il Corano, per i credenti musulmani è anzitutto il simbolo<br />

del patto tra Dio e l’uomo, patto pre-temporale (mithaq) che perdura nel<br />

tempo storico (cfr. testo coranico 7,127 a pag. 4 <strong>di</strong> questo scritto). Il<br />

Corano, prima ancora <strong>di</strong> essere aperto, letto e compreso è già un evento<br />

importante, come segno dell’alleanza stipulata tra Dio e l’uomo. Elemento


imprescin<strong>di</strong>bile per la corretta valutazione dei profon<strong>di</strong> significati del<br />

Corano è credere nell’analfabetismo <strong>di</strong> Maometto. Afferma NASR, uno dei<br />

massimi stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> islamismo, musulmano egli stesso :<br />

“Il Profeta deve essere ritenuto illetterato per la stessa ragione per la<br />

quale la Vergine Maria deve essere creduta Vergine. Il tramite umano<br />

del messaggio <strong>di</strong>vino deve essere puro e intatto. La Parola <strong>di</strong>vina può<br />

essere scritta soltanto sulla pura e “intatta” tavola della ricettività<br />

umana. Se questo Verbo appare sotto le specie della carne, la purezza<br />

è simboleggiata dalla verginità della madre attraverso la quale si<br />

incarna; se appare sotto le specie del Libro, questa purezza è<br />

simboleggiata dall’intelletto incolto della persona prescelta per<br />

annunciare tale verbo fra gli uomini (...)”.<br />

Prima ancora <strong>di</strong> assumere la forma scritta in un libro, il Corano fu una<br />

rivelazione verbale. Il Profeta udì la Parola <strong>di</strong> Dio e la espresse ai suoi<br />

compagni, i quali la memorizzarono e la scrissero su pergamene. Quando<br />

l’arcangelo Gabriele apparve per la prima volta a Maometto, il suono del<br />

primo versetto del Corano si propagò nello spazio intorno a lui. Il Corano è,<br />

quin<strong>di</strong>, innanzi tutto suono sacro che si espande, che si propaga dal primo<br />

momento a tutt’oggi in tutto il mondo islamico. I suoni del Corano si<br />

espandono nei luoghi dell’agire quoti<strong>di</strong>ano degli uomini, lo pervadono.<br />

Molti fedeli memorizzano parti intere del Testo sacro e lo recitano senza<br />

consultarlo. L’arte <strong>di</strong> salmo<strong>di</strong>are il Corano è l’arte più antica e sacra,<br />

capace <strong>di</strong> commuovere profondamente il credente. L’architettura religiosa,<br />

che è considerata arte sacra a sua volta, trova la sua ragion d’essere<br />

nell’arte del salmo<strong>di</strong>are. La moschea , infatti, si struttura in spazi che<br />

contengono e avvolgono l’espansione del suono sacro. Dal momento in cui<br />

il suono è <strong>di</strong>venuto Parola, poi, si è sviluppata nel mondo musulmano<br />

un’altra arte sacra, l’arte della scrittura: la calligrafia. La lingua araba che<br />

compone il Corano è il corpo del Verbo; <strong>di</strong> conseguenza non si può dare un<br />

islamico senza l’arabo. La corretta grafia araba, quin<strong>di</strong>, non risponde a<br />

criteri meramente estetici; non è un’aggiunta o un ornamento, ma è<br />

sostanziale, perché è la forma visibile della rivelazione, così come il suono<br />

è la sua forma u<strong>di</strong>bile. Di conseguenza il Corano in quanto rivelazione è<br />

intraducibile, perché non si può cambiare la Parola <strong>di</strong> Dio. Se si traduce il<br />

Corano si ottiene un testo <strong>di</strong>vulgativo, informativo, ma non “rivelato”. La<br />

rivelazione sta nella lingua araba. L’intraducibilità del Corano e l’appello<br />

rivolto alla gente <strong>di</strong> cultura non araba, sebbene musulmana, a mettersi a<br />

confronto con il Corano originale arabo, ha scandalizzato la mentalità<br />

occidentale, che senza comprendere il senso profondo della richiesta, quale<br />

abbiano segnalato, muove accuse <strong>di</strong> “integrismo”, “nazionalismo<br />

religioso”, “ghettismo spirituale”. Apprendere la lingua coranica, che è<br />

<strong>di</strong>stante dall’arabo contemporaneo come il latino dall’italiano o<strong>di</strong>erno,<br />

significa porsi in cammino verso la conoscenza della rivelazione.


L’appren<strong>di</strong>mento graduale, parcellare, <strong>di</strong> alcune parole coraniche, che<br />

comporta l’uscire fuori dal linguaggio parlato della propria cultura, è un<br />

segno della volontà <strong>di</strong> intraprendere un cammino <strong>di</strong> ascesa verso la Parola.<br />

La traduzione in lingua corrente, che porta imme<strong>di</strong>atamente la Parola<br />

all’uomo, al suo gergo, non induce ad aprirsi alla Parola, assaporandone<br />

“segno” (ayat) per “segno”.<br />

Il Corano, poi, è chiamato anche al-Furqan, “il Discernimento”, poiché<br />

contiene i principi per il <strong>di</strong>scernimento sia intellettuale sia morale. Il Libro<br />

quin<strong>di</strong>, in quanto luogo sacramentale della chiamata <strong>di</strong> Dio e della risposta<br />

dell’uomo, e il luogo nel quale si consuma l’esistenza non solo sul piano<br />

del significato, ma anche sul piano dell’esperienza mistica e pratica. La<br />

sura intitolata La Luce riassume ciò che è la rivelazione: Dio è Luce e<br />

illumina ogni uomo, mostrando la via giusta:<br />

“Dio è luce dei cieli e della terra,<br />

e somiglia la sua luce ad una nicchia,<br />

in cui è una lampada,<br />

e la lampada è in un cristallo<br />

e il cristallo è come una stella lucente,<br />

e arde la lampada dell’olio <strong>di</strong> un albero benedetto,<br />

un olivo né orientale né occidentale,<br />

in cui olio per poco non brilla<br />

anche se non lo tocchi fuoco.<br />

E luce su luce;<br />

e Id<strong>di</strong>o guida alla sua luce chi egli vuole,<br />

e Dio narra parabole agli uomini,<br />

e Dio è su tutte le cose sapiente”. 24,35.<br />

In quanto “<strong>di</strong>scernimento” il Corano insegna all’uomo a <strong>di</strong>stinguere il<br />

relativo dall’assoluto, il reale dall’irreale: la vera conoscenza è la sapienza<br />

che è in funzione del vivere. Il corano quin<strong>di</strong> è il cuore della shari’ah, della<br />

Legge coranica, che è norma dettata da Dio per animare la vita del<br />

musulmano. Dio rivela la sua shari’ah, destinata a fondare la ummah. Il<br />

rapporto primario e <strong>di</strong>retto del musulmano è con la shari’ah <strong>di</strong> Dio, non<br />

con Dio. L’Islam è una spiritualità etica. (della shari’ah parleremo più<br />

dettagliatamente poi)<br />

Un’altra denominazione del Corano è Umm al-kitab, cioè “Madre dei<br />

Libri”. Secondo l’in<strong>di</strong>cazione coranica (13,39; 43,4) questa denominazione<br />

fa riferimento al Corano increato, scritto in cielo in un prototipo eterno, poi<br />

“fatto scendere”. Sottolinea, cioè, il carattere <strong>di</strong>vino, celeste, del libro, la<br />

sua assoluta trascendenza, la sua immacolatezza originaria prima del suo<br />

impatto con l’espressione letteraria. Inoltre la tra<strong>di</strong>zione islamica vede nel<br />

Corano anche la madre <strong>di</strong> tutti i libri in senso più letterale, ovvero la<br />

scienza <strong>di</strong> tutte le scienze. Il Corano è, quin<strong>di</strong>, “Libro celeste per l’uomo”,<br />

nel senso che permette la visione della realtà all’interno della universale<br />

vocazione alla sottomissione a Dio, e, più in particolare, è modello <strong>di</strong>


eloquenza insuperata e insuperabile per il poeta, è fonte del <strong>di</strong>ritto e della<br />

morale.<br />

Ma il nome più <strong>di</strong>ffuso per in<strong>di</strong>care il Libro è al-Qur’an al majid, (Nobile<br />

Corano), che rivela l’alto rispetto con il quale esso è trattato dal fedele. Il<br />

Corano, quin<strong>di</strong>, è una realtà sacra che abbraccia e segna la vita del<br />

musulmano dalla culla alla tomba. I versetti del Corano sono<br />

effettivamente i primi suoni u<strong>di</strong>ti dal bambino appena nato e gli ultimi che<br />

le persone morenti sentono nel cammino verso l’incontro con Dio. In un<br />

certo senso l’anima del credente è “intessuta” <strong>di</strong> espressioni attinte dal<br />

Corano: ogni azione inizia con bism’Llah (sia ringraziato Dio) e finisce<br />

con al-hamd li’ Llah (sia ringraziato Dio). L’atteggiamento verso il futuro<br />

è sempre con<strong>di</strong>zionato dalla consapevolezza dell’insha’-Allah (sia fatta la<br />

volontà <strong>di</strong> Dio), poiché tutto <strong>di</strong>pende dalla volontà <strong>di</strong>vina.<br />

Il primo capitolo del Corano, “l’aprente” (sarat al-fatihah) consta <strong>di</strong> sette<br />

versetti ed è il più recitato del Corano perché contiene il nucleo delle<br />

preghiere canoniche quoti<strong>di</strong>ane e, sinotticamente, il messaggio del Corano<br />

per intero:<br />

“ Nel nome <strong>di</strong> Dio Clemente e Misericor<strong>di</strong>oso. Lode a Dio, Signore<br />

dei Mon<strong>di</strong>,<br />

il Clemente, il Misericor<strong>di</strong>oso,<br />

Sovrano del giorno del giu<strong>di</strong>zio.<br />

Te adoriamo, Te invochiamo in soccorso,<br />

guidaci al retto sentiero,<br />

al sentiero <strong>di</strong> coloro a cui tu hai largito la tua grazia,<br />

non <strong>di</strong> coloro che sono incorsi nella tua ira nè <strong>di</strong> coloro che sono<br />

fuorviati”.<br />

TAFSIR E TA’WIL<br />

La <strong>di</strong>mensione forse più importante degli stu<strong>di</strong> sul Corano riguarda la<br />

decifrazione del suo significato, tra<strong>di</strong>zionalmente detto tafsir e ta’wil: il<br />

primo termine si riferisce al significato esteriore del testo, il secondo a<br />

quello intimo. Il TAFSIR può essere un commento esegetico, o storico, o<br />

filologico, o teologico. Il TA’WIL, invece, si occupa del significato intimo,<br />

nascosto, esoterico del Corano: in<strong>di</strong>ca quin<strong>di</strong> lo sforzo per passare da una<br />

lettura “letterale” a una “profonda”. Tali approfon<strong>di</strong>menti sono stati svolti<br />

dai sufi e in ambito sciita (ricor<strong>di</strong>amo la misteriosa figura dell’imam<br />

nascosto). Il Ta’wil è una forma <strong>di</strong> interpretazione simbolica del testo: il<br />

risultato della lettura in profon<strong>di</strong>tà del Corano non è un miglior ragguaglio<br />

dogmatico circa Dio, ma un approssimarsi al “volto <strong>di</strong> Dio”, cogliendo il<br />

suo <strong>di</strong>segno, i suoi pensieri, i suoi voleri. Afferma il sufi al-Din Rumi:


“Il Corano è come una sposa che non ti rivela il suo viso, per quanto<br />

tu le tolga il velo. Tu potresti esaminarlo eppure non ottenere né<br />

felicità né svelamento; ciò è dovuto al fatto che l’atto <strong>di</strong> togliere il<br />

velo ti ha respinto e ingannato, si’ che la sposa ti si è <strong>di</strong>mostrata<br />

brutta, come per <strong>di</strong>re: -Io non sono poi tutta quella bellezza-. Il Corano<br />

sa mostrarsi in qualsiasi maniera gli piaccia. Se tu non cerchi <strong>di</strong><br />

strappargli il velo, ma ti sforzi soltanto <strong>di</strong> assecondarlo, inaffiando il<br />

suo campo seminato e curandolo <strong>di</strong>scretamente, affannandoti su<br />

quello che preferisce, esso ti mostrerà il viso, senza che tu debba<br />

strappargli il velo”.<br />

Quinto tema<br />

L’etica islamica e la shariah<br />

LA SHARI’AH<br />

Essa è la legge <strong>di</strong>vina. I musulmani considerano la shari’ah depositaria<br />

dell’incarnazione concreta della volontà <strong>di</strong> Dio e <strong>di</strong> quanto Egli desidera che<br />

essi facciano in questa vita per ottenere la felicità in questo mondo e la<br />

beatitu<strong>di</strong>ne nell’al<strong>di</strong>là. Le fonti della legge sono: il Corano, La Sunna, il<br />

ragionamento analogico, il consenso comunitario. Le norme etiche sono<br />

in<strong>di</strong>cate, quin<strong>di</strong>, scrupolosamente dalla legge: il termine shari’ah deriva<br />

dalla ra<strong>di</strong>ce shr’ che significa “strada”, ovvero la strada da seguire in questa<br />

vita. La legge contempla ogni sfera dell’esistenza, dai riti <strong>di</strong> culto alle<br />

transazioni economiche. La shari’ah <strong>di</strong>vide tutte le azioni in cinque<br />

categorie:<br />

OBBLIGATORIE (waijb) per esempio le preghiere quoti<strong>di</strong>ane ecc.<br />

RACCOMANDATE (mandub), tra cui l’elemosina in<strong>di</strong>viduale ;<br />

INDIFFERENTI (mubah), per esempio il tipo <strong>di</strong> verdura che si mangia e<br />

l’attività che si esercita;<br />

REPRENSIBILI (makruh), come il <strong>di</strong>vorzio;<br />

PROIBITE (haram), tra cui l’omici<strong>di</strong>o, l’adulterio, il furto, cibarsi <strong>di</strong> maiale<br />

e dei suoi derivati e bere alcolici.<br />

I musulmani, quin<strong>di</strong>, sanno valutare tutte le loro azioni sulla base della<br />

legge. Ciò non significa che essi non sono liberi, perché l’Islam intende la<br />

libertà non soltanto come mera ribellione in<strong>di</strong>viduale a tutte le autorità, bensì<br />

come partecipazione alla libertà che nella sua pienezza appartiene soltanto a<br />

Dio. Conformandosi alla legge <strong>di</strong>vina, il musulmano o la musulmana<br />

<strong>di</strong>ventano liberi anziché prigionieri, perché così facendo allargano i confini<br />

del loro essere. Abbandonandosi alla volontà <strong>di</strong> Dio, i musulmani sanno<br />

trascendere la prigione dei loro ego e la soffocante gabbia dei loro io<br />

passionali.<br />

Logicamente le basi della legge stanno nel Corano e nella Sunnah; in essi la<br />

sahri’ah trova la sua fonte <strong>di</strong> ispirazione e proprio perché si motiva in essi è<br />

immutabile. Immutabile, tuttavia, nei principi, non nelle applicazioni: ogni<br />

credente trova nella legge gli strumenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento vali<strong>di</strong> per applicare<br />

i principi a situazioni non contemplate nella legge originaria. Ma per la


eligione islamica non è mai la legge ad essere modellata dalla società e<br />

dalla cultura, ma accade esattamente il contrario: sono i principi della legge<br />

che devono improntare il vivere, contestualizzandosi. All’appunto<br />

frequentemente mossi dai detrattori dell’Islam, secondo il quale la legge<br />

islamica dovrebbe adeguarsi ai tempi, l’Islam risponde che, se così fosse, a<br />

cosa allora i tempi stessi devono adeguarsi, cosa li or<strong>di</strong>na e li costringe a<br />

cambiare in questo mondo? L’Islam vede nella shari’ah il fattore tenuto a<br />

“creare i tempi” e a coor<strong>di</strong>nare la società umana. Gli uomini, quin<strong>di</strong>, devono<br />

cercare <strong>di</strong> vivere secondo la volontà <strong>di</strong> Dio incarnatasi nella shari’ah,<br />

anziché mo<strong>di</strong>ficare la legge <strong>di</strong> Dio a seconda dei modelli mutevoli <strong>di</strong> una<br />

società basata sulla instabilità della natura umana.<br />

Un manuale <strong>di</strong> morale elementare presenta la seguente lista <strong>di</strong> peccati gravi:<br />

apostasia;<br />

rifiuto, anche solo interiore, della fede musulmana;<br />

accusa <strong>di</strong> menzogna rivolta a Maometto;<br />

insulti al Profeta;<br />

omici<strong>di</strong>o, fuori della “piccola jihad”;<br />

fornicazione;<br />

adulterio;<br />

mancanze contro natura;<br />

mancanze gravi contro i genitori;<br />

magia nera;<br />

calunnia grave;<br />

usura; .<br />

I peccati sono una <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza alla legge <strong>di</strong> Dio e tali restano finchè<br />

l’in<strong>di</strong>viduo non si sarà pentito nel suo cuore e non avrà cambiato<br />

atteggiamento. Allah, comunque, è un Dio misericor<strong>di</strong>oso, ricco <strong>di</strong> amore e<br />

sempre pronto al perdono. L’in<strong>di</strong>viduo ha tempo <strong>di</strong> pentirsi sino all’ultimo<br />

secondo della sua vita, mentre dopo la morte sarà troppo tar<strong>di</strong>.<br />

IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA<br />

Per i musulmani il matrimonio è il rito <strong>di</strong> passaggio che garantisce<br />

l’acquisizione della maggiore età. La donna soprattutto, ma anche l’uomo,<br />

si trovano nello stato <strong>di</strong> minori, <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenti e persino <strong>di</strong> irresponsabili se<br />

rimangono celibi: una situazione che suscita <strong>di</strong>sprezzo, <strong>di</strong>sgusto e sospetto.<br />

Il celibato religioso non è con<strong>di</strong>viso dai musulmani, che lo ritengono uno<br />

stile <strong>di</strong> vita non consono alla volontà <strong>di</strong> Dio e un’aberrazione dei cristiani,<br />

in genere accusati <strong>di</strong> fanatismo religioso. “L’Islam ignora completamente<br />

la prefigurazione attraverso il celibato della situazione angelica alla quale<br />

l’uomo è destinato nell’eternità. Nell’Islam la sessualità è un dono <strong>di</strong> Dio e<br />

la sua pratica naturale fa parte della proclamazione della gloria <strong>di</strong> Dio, a<br />

con<strong>di</strong>zione che venga esercitata con misura e sapienza come l’uso <strong>di</strong> tutte<br />

le buone cose che la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio ha messo sulla terra per l’uomo.


L’amore, invece, in quanto sentimento <strong>di</strong> intensa reciprocità, è un<br />

accessorio e non un fine del matrimonio: esso rimane, nelle sue premesse e<br />

nelle sue prospettive, un atto eminentemente sociale. Non può, quin<strong>di</strong>,<br />

essere abbandonato soltanto alla scelta e alla responsabilità dei futuri sposi.<br />

La sura IV del Corano, inoltre, stabilisce la legittimità della poligamia:<br />

“Se avete paura <strong>di</strong> non trattare con equità gli orfanelli, sposate pure o<br />

due, tre o anche quattro donne <strong>di</strong> cui siete innamorati; ma se temete <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ventare ingiusti, sposatene una sola, o ricorrete alle vostre schiave,<br />

possesso delle vostre mani destre. Sarà la maniera migliore per non<br />

allontanarvi dal giusto” 4,3.<br />

In questo contesto la poligamia non ha niente a che vedere con la licenza<br />

dei costumi. Essa è <strong>di</strong>ventata un obbligo per l’in<strong>di</strong>viduo e una necessità per<br />

la società, quando la presenza <strong>di</strong> due o quattro spose è stata imposta dal<br />

bene <strong>di</strong> gruppo. Ma se c’è rischio <strong>di</strong> ingiustizia bisogna ritornare al precetto<br />

primario che sembra far parte dell’or<strong>di</strong>ne naturale: un’unica moglie.<br />

(PIERRE BOZ, L’Islam, Paoline, Milano, 1996).<br />

La cellula della società è, quin<strong>di</strong>, la famiglia. Il Corano esorta a rispettare i<br />

propri genitori; molti ha<strong>di</strong>t sottolineano come sia bello agli occhi <strong>di</strong> Dio<br />

conservare i legami familiari e, in particolare, rispettare e onorare il padre e<br />

la madre. La famiglia musulmana non è composta soltanto dai genitori e<br />

dai loro figli, come accade nella famiglia atomizzata della società urbana<br />

moderna occidentale, bensì è ancora per la maggior parte una famiglia<br />

allargata che comprende nonni, zii e zie, cugini e suoceri, genitori e figli. Il<br />

padre è l’imam della famiglia, poiché rappresenta l’autorità religiosa ed è<br />

responsabile sia della salvaguar<strong>di</strong>a degli insegnamenti religiosi dei<br />

componenti la famiglia, sia del loro benessere economico. L’uomo, quin<strong>di</strong><br />

domina nella sfera economica e sociale.<br />

La donna, invece, regna incontrastata dentro casa, dove il marito è come un<br />

ospite. La vera formazione religiosa spesso <strong>di</strong>pende dalla madre,<br />

specialmente nelle prime fasi: le donne musulmane hanno un ruolo<br />

dominante nell’educazione dei figli e in ogni altro aspetto della vita<br />

domestica. Attraverso la famiglia le donne esercitano nell’intera società<br />

un’influenza molto maggiore <strong>di</strong> quanto non riveli lo stu<strong>di</strong>o superficiale <strong>di</strong><br />

una struttura familiare che apparentemente sembra religiosa e patriarcale.<br />

Tutti i vincoli parentali sono regolati dalla Legge. I musulmani vedono la<br />

famiglia non soltanto come un’unità sociale, ma anche religiosa, che<br />

protegge l’in<strong>di</strong>viduo in mille maniere. La famiglia è l’imme<strong>di</strong>ata realtà<br />

sociale in cui vengono impartiti i primi ammaestramenti religiosi e<br />

rappresenta un “mondo” in cui gli insegnamenti religiosi vanno<br />

costantemente applicati e messi in pratica. La famiglia è quin<strong>di</strong> una piccola<br />

realtà sociale e religiosa la cui percezione permette <strong>di</strong> veicolare<br />

l’esperienza della grande famiglia musulmana: la ummah.


Conclusioni<br />

Parlare <strong>di</strong> Islam, oggi, non è più solo un dovere intellettuale o un semplice<br />

piacere della conoscenza; è <strong>di</strong>ventato una necessità, se vogliamo continuare<br />

ad essere citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> questo mondo e capaci <strong>di</strong> comprendere questa società<br />

sempre più complessa e sempre più allergica a facili deco<strong>di</strong>ficazioni. E’ un<br />

imperativo a maggior ragione dopo i recenti tragici fatti che, dopo l’11<br />

settembre, hanno reso più nero l’orizzonte del <strong>di</strong>alogo e della comprensione<br />

reciproca.<br />

Ma se vogliamo comprendere quei fatti, qule che sia la tesi che vogliamo<br />

sostenere, è in<strong>di</strong>spensabile partire da lontano, perché tante ragioni<br />

apparentemente incomprensibili dell’Islam contemporaneo si celano nel<br />

primo secolo della sua storia. E ritengo che nella sua scuola sia necessario<br />

favorire una contestualizzazione del credo musulmano per capire che,<br />

nell’orizzonte culturale islamico, certi fatti possono venire meglio<br />

interpretati, acquisendo una luce nuova. Se per la nostra cultura e per la<br />

nostra religione – forse sarebbe meglio <strong>di</strong>re “fede” – non accettiamo<br />

semplificazioni, non dobbiamo acconsentire nemmeno alle semplificazioni<br />

sull’alterità.<br />

Un dato imprescin<strong>di</strong>bile è, allora, che l’islam oggi non si riconosce, se non<br />

a livello <strong>di</strong> ristrette élite europeizzate o americanizzate) nella nuova Koiné<br />

culturale dominante a livello planetario che parla inglese e si esprime<br />

nell’asettico linguaggio <strong>di</strong> banchieri, informatici e ingegneri del nuovo<br />

or<strong>di</strong>ne internazionale. Le gran<strong>di</strong> masse urbane o conta<strong>di</strong>ne – strette tra la<br />

miseria quoti<strong>di</strong>ana e la frustrazione crescente <strong>di</strong> speranze e aspettative –<br />

rischiano <strong>di</strong> essere sempre più facilmente preda del verbo fondamentalistarivoluzionario<br />

se l’Occidente si chiude nelle posizioni intransigenti <strong>di</strong><br />

rifiuto <strong>di</strong> certi intellettuali che Saccone definisce “rabbiosi”. Il problema<br />

reale è che , agli occhi <strong>di</strong> decine <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> musulmani, <strong>di</strong> troppi<br />

musulmani, i “terroristi” appaiono piissimi credenti, persino coraggiosi,<br />

“combattenti sulla via <strong>di</strong> Dio” impegnati a costo della vita a dare sostanza<br />

al precetto coranico <strong>di</strong> “promuovere la giustizia e combattere l’ingiustizia”<br />

(III, 110).<br />

Riducendo all’osso i termini della questione: l’Islam sembra porci oggi<br />

domande in termini <strong>di</strong> giustizia, mentre noi continuiamo a parlare del<br />

primato della libertà e dei <strong>di</strong>ritti. Ma, ciò che ci sfugge, è che la libertà non<br />

è in cima alle preoccupazioni dei più poveri, e la giustizia non è mai stata la<br />

prima preoccupazione dei più ricchi. Abbiamo tutti bisogno <strong>di</strong> una<br />

profonda rivoluzione culturale e morale se vogliamo trovare un punto<br />

d’incontro e magari costruire insieme, in prospettiva, un nuovo,<br />

sod<strong>di</strong>sfacente e duraturo equilibrio.


<strong>Come</strong> <strong>interrogare</strong> l’Islam? Ipotesi <strong>di</strong> approccio al credo islamico<br />

Schema dell’intervento<br />

Premessa metodologica:<br />

-centralità della prospettiva fenomenologica e socio-antropologica<br />

-centralità del metodo storico-comparativistico<br />

Approcci tematici all’Islam<br />

1. Tema storico-scritturale: Abramo come padre dei credenti.<br />

2. Tema teologico: la figura <strong>di</strong> Muhammad<br />

3. Tema teologico: il monoteismo puro proposto dal Profeta<br />

4. Tema teologico: la specificità della rivelazione coranica<br />

5. Temi etici: i doveri del musulmano, la shari ‘a.<br />

6. Prospettiva della mistica: il Sufismo, una pagina sconosciuta della religione<br />

islamica.<br />

Conclusioni: quale <strong>di</strong>alogo è possibile oggi con l’Islam?<br />

Breve rassegna bibliografica<br />

La rassegna ha carattere solo in<strong>di</strong>cativo e non pretende <strong>di</strong> essere esaustiva<br />

Testo sacro e Detti del Profeta in traduzione italiana:<br />

Il Corano, a cura <strong>di</strong> A. Bausani, Rizzoli, Milano 1988, corredata <strong>di</strong> un ampio<br />

commento; Il Corano, a cura <strong>di</strong> H. R. Piccardo, Newton Compton, Roma 1996,<br />

redatta con la revisione deell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in<br />

Italia.<br />

Tra le traduzioni più ampie dei detti del profeta si segnalano: AL NAWAWI, Il<br />

giar<strong>di</strong>no dei devoti. Detti e fatti del Profeta, a cura <strong>di</strong> A, Scarabel, Roma 1990;<br />

AL-BUKHARI, Detti e fatti del profeta raccolti da Al-Bukhari, a cura <strong>di</strong> S. Noja,<br />

V. Vacca e M. Vallaro, Utet, Torino 1982<br />

Opere <strong>di</strong> carattere introduttivo: BAUSANI, Islam, Garzanti, Milano 1980; C.<br />

SACCONE, I percorsi dell’Islam. Dall’esilio <strong>di</strong> Ismaele ai giorni nostri,<br />

Messaggero, Padova 2002; F. LENOIR – Y. MASQUELIER (a cura <strong>di</strong>), La<br />

Religione, Utet, Torino 2001, in modo particolare il vol. II e i volumi tematici IV e<br />

V; G. Filoramo, Storia delle religioni, Laterza, Roma-Bari 1995, vol. III, con<br />

contributi <strong>di</strong> islamologi quali S. Noja, K. Fouad Allam e A. Ventura; P.<br />

BRANCA, Introduzione all’Islam, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995; G.<br />

RIZZARDI, Introduzione all’Islam, Queriniana, Brescia 1992; se si desidera una<br />

lettura facile, ma scientificamente valida si consiglia: E. BUZZI (a cura <strong>di</strong>), Islam:<br />

una realtà da conoscere, Centro Stu<strong>di</strong> sull’Ecumenismo, Marietti, Genova 2001.<br />

Sulla figura <strong>di</strong> Maometto: M. Ro<strong>di</strong>nson, Maometto, Einau<strong>di</strong>, Torino 1995; S.<br />

Noja, Maometto, profeta dell’Islam, Esperienze, Milano 1985; G. Crespi,<br />

Maometto, il profeta, San Paolo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1995


Commento ed interpretazione del Corano: W. MONTGOMERY WATT, A. T.<br />

WELCH, L’Islam. Maometto e il Corano, Jaka Book, Milano 1980; P. BRANCA,<br />

Il Corano. Il libro sacro della civiltà islamica, Il Mulino, Bologna 2001; P.<br />

MAGNANINI – P. BRANCA, Islamismo. Vol. 2: Composizione, lingua e stile del<br />

Corano, Bologna 1997.<br />

Raffronto tra le scritture islamiche e cristiane: MIRKHOND, La Bibbia vista<br />

dall’Islam, Luni, Milano 1996; GRIC, Gruppo <strong>di</strong> ricerca islamico-cristiano,<br />

Bibbia e Corano. Cristiani e musulmani <strong>di</strong> fronte alle scritture, Cittadella, Assisi<br />

1992; C. M. GUIZZETTI, Bibbia e Corano. Confronto sinottico, San Paolo,<br />

Cinisello Balsamo 1995; G. RIZZARDI, Il fascino <strong>di</strong> Cristo nell’Islam, IPL,<br />

Milano 1989<br />

Sul monoteismo islamico e sulla concezione <strong>di</strong> Dio: H. CORBIN, il paradosso<br />

del monoteismo, Marietti, Genova 1986, C. SACCONE, Il volto <strong>di</strong> Allah nelle<br />

scritture e nella riflessione teologica e mistica, in id., I percorsi dell’Islam,<br />

Messaggero, Padova 2002.<br />

Sul culto islamico: J. RIES ( a cura <strong>di</strong>), Il credente nelle religioni ebraica,<br />

musulmana e cristiana, Jaka Book, Milano 1993; G. Crespi, Nel nome <strong>di</strong> Dio:<br />

preghiere, cantici e me<strong>di</strong>tazioni islamiche, Torino 1985; C. M. GUZZETTI, Islam<br />

in preghiera, Elle <strong>di</strong> ci, Torino 1991; V. SALVOLDI, Islam. Un popolo in<br />

preghiera, Emi, Bologna 1987<br />

Sull’etica musulmana: Fondazione Agnelli (a cura <strong>di</strong>), Dossier mondo islamico.<br />

Dibattito sull’applicazione della shari’a, Torino 1995; su etica e <strong>di</strong>ritti umani: A.<br />

PACINI, L’islam e il <strong>di</strong>battito sui <strong>di</strong>ritti dell’uomo, Torino 1998; sui rapporti con<br />

le altre religioni; B. LEWIS, Culture in conflitto. Cristiani, ebrei, musulmani alle<br />

origini del mondo moderno, Donzelli, Roma 1997; W. MONTGOMERY WATT,<br />

Cristiani e musulmani, Il Mulino, Bologna 1994; J. BOUMAN, Il Corano e gli<br />

Ebrei, Queriniana, Brescia 1992; sul ruolo della donna e la questione femminile:<br />

R. EL KHAYAT, La donna nel mondo arabo, Jaka Book, Milano 2002<br />

Sul Sufismo: E. DE VITRAY MEYEROWITCH, I misitici dell’Islam, Parma<br />

1992, con brevi profili degli autori, arabi e persiani, presentati dalla curatrice; G.<br />

SCATOLIN, Esperienze mistiche dell’Islam. I primi tre secoli, Bologna 1994; M.<br />

MORENO, Antologia della mistica arabo-islamica, Laterza, Bari 1987; F. J.<br />

PEIRONE – G. RIZZARDI, Islam. Spiritualità e mistica, Nar<strong>di</strong>ni, Firenze 1993.<br />

Un introduzione semplice alla mistica sufi è quella <strong>di</strong> A. J. ARBERRY,<br />

Introduzione alla mistica musulmana, Marietti, Genova 1986; mentre più<br />

articolata e complessa è quella <strong>di</strong> M. MOLE’, I misitici musulmani, Adelphi,<br />

Milano 1992

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