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Come interrogare l'Islam - Provincia di Pesaro e Urbino

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Conclusioni<br />

Parlare <strong>di</strong> Islam, oggi, non è più solo un dovere intellettuale o un semplice<br />

piacere della conoscenza; è <strong>di</strong>ventato una necessità, se vogliamo continuare<br />

ad essere citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> questo mondo e capaci <strong>di</strong> comprendere questa società<br />

sempre più complessa e sempre più allergica a facili deco<strong>di</strong>ficazioni. E’ un<br />

imperativo a maggior ragione dopo i recenti tragici fatti che, dopo l’11<br />

settembre, hanno reso più nero l’orizzonte del <strong>di</strong>alogo e della comprensione<br />

reciproca.<br />

Ma se vogliamo comprendere quei fatti, qule che sia la tesi che vogliamo<br />

sostenere, è in<strong>di</strong>spensabile partire da lontano, perché tante ragioni<br />

apparentemente incomprensibili dell’Islam contemporaneo si celano nel<br />

primo secolo della sua storia. E ritengo che nella sua scuola sia necessario<br />

favorire una contestualizzazione del credo musulmano per capire che,<br />

nell’orizzonte culturale islamico, certi fatti possono venire meglio<br />

interpretati, acquisendo una luce nuova. Se per la nostra cultura e per la<br />

nostra religione – forse sarebbe meglio <strong>di</strong>re “fede” – non accettiamo<br />

semplificazioni, non dobbiamo acconsentire nemmeno alle semplificazioni<br />

sull’alterità.<br />

Un dato imprescin<strong>di</strong>bile è, allora, che l’islam oggi non si riconosce, se non<br />

a livello <strong>di</strong> ristrette élite europeizzate o americanizzate) nella nuova Koiné<br />

culturale dominante a livello planetario che parla inglese e si esprime<br />

nell’asettico linguaggio <strong>di</strong> banchieri, informatici e ingegneri del nuovo<br />

or<strong>di</strong>ne internazionale. Le gran<strong>di</strong> masse urbane o conta<strong>di</strong>ne – strette tra la<br />

miseria quoti<strong>di</strong>ana e la frustrazione crescente <strong>di</strong> speranze e aspettative –<br />

rischiano <strong>di</strong> essere sempre più facilmente preda del verbo fondamentalistarivoluzionario<br />

se l’Occidente si chiude nelle posizioni intransigenti <strong>di</strong><br />

rifiuto <strong>di</strong> certi intellettuali che Saccone definisce “rabbiosi”. Il problema<br />

reale è che , agli occhi <strong>di</strong> decine <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> musulmani, <strong>di</strong> troppi<br />

musulmani, i “terroristi” appaiono piissimi credenti, persino coraggiosi,<br />

“combattenti sulla via <strong>di</strong> Dio” impegnati a costo della vita a dare sostanza<br />

al precetto coranico <strong>di</strong> “promuovere la giustizia e combattere l’ingiustizia”<br />

(III, 110).<br />

Riducendo all’osso i termini della questione: l’Islam sembra porci oggi<br />

domande in termini <strong>di</strong> giustizia, mentre noi continuiamo a parlare del<br />

primato della libertà e dei <strong>di</strong>ritti. Ma, ciò che ci sfugge, è che la libertà non<br />

è in cima alle preoccupazioni dei più poveri, e la giustizia non è mai stata la<br />

prima preoccupazione dei più ricchi. Abbiamo tutti bisogno <strong>di</strong> una<br />

profonda rivoluzione culturale e morale se vogliamo trovare un punto<br />

d’incontro e magari costruire insieme, in prospettiva, un nuovo,<br />

sod<strong>di</strong>sfacente e duraturo equilibrio.

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