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Alcuni rituali degli adolescenti - Provincia di Pesaro e Urbino

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Il bisogno <strong>di</strong> sacro dei giovani<br />

<strong>Alcuni</strong> <strong>rituali</strong> <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, oggi. Tra religioso e secolare<br />

INTRODUZIONE<br />

In<strong>di</strong>viduare, descrivere e interpretare una serie <strong>di</strong> <strong>rituali</strong> messi in atto, oggi, dagli <strong>adolescenti</strong> è<br />

l’intento del presente saggio. L’obiettivo risulta ambizioso e complesso da raggiungere dal<br />

momento che tali <strong>rituali</strong>, per la loro natura ambigua, risultano <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile classificazione in<br />

rapporto alle categorie tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> “religioso” e “secolare”. L’idea <strong>di</strong> fondo è che tali<br />

comportamenti <strong>rituali</strong> siano solo all’apparenza secolari, mentre, in profon<strong>di</strong>tà, vadano ad<br />

intercettare delle istanze <strong>di</strong> senso e producano delle simboliche attinenti alla sfera <strong>di</strong> ciò che, per<br />

convenzione, si in<strong>di</strong>vidua come religioso. Più specificatamente, nella prima parte del saggio si<br />

cercherà <strong>di</strong> recuperare gli strumenti <strong>di</strong> indagine necessari a perlustrare la galassia rituale <strong>degli</strong><br />

<strong>adolescenti</strong>, mentre nella seconda si tenterà <strong>di</strong> applicare tali strumenti ai vissuti adolescenziali al<br />

fine <strong>di</strong> isolare e descrivere alcuni riti specifici.<br />

PRIMA PARTE<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>: come mettere a fuoco le tematica a partire dai vissuti<br />

esperienziali <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong><br />

E’ bene chiarire sin dall’inizio che occorre spostare l’ottica dell’analisi al livello <strong>di</strong> percezione<br />

<strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, se non si vuole correre il rischio <strong>di</strong> fraintendere ciò che alcuni riti propri dei<br />

ragazzi veicolano e comunicano ai giovani stessi. E’ necessario, quin<strong>di</strong>, porsi in un<br />

atteggiamento <strong>di</strong> ascolto e <strong>di</strong> analisi a carattere fenomenologico per tentare <strong>di</strong> comprendere i<br />

significati autentici che si <strong>di</strong>svelano in tali riti. È evidente che, <strong>di</strong> volta in volta, verranno<br />

chiamati in causa i contributi <strong>di</strong> antropologi e sociologi per riuscire ad inquadrare in maniera più<br />

chiara i fenomeni, ma l’intento ultimo non sarà quello <strong>di</strong> un’analisi specificatamente<br />

antropologica e/o sociologica, quanto piuttosto quello <strong>di</strong> osare una vera fenomenologia. Ciò<br />

comporta obbligatoriamente il proposito <strong>di</strong> schierarsi dalla parte <strong>di</strong> chi vive l’esperienza<br />

religiosa, anche se spuria e ibridata all’apparenza come quella in questione, per non mortificarne<br />

i significati autentici, nella convinzione <strong>di</strong> fondo, per <strong>di</strong>rla con Kristensen, che il credente abbia<br />

sempre ragione, ossia, per essere più chiari, abbia sempre le sue ragioni. Non rientra, quin<strong>di</strong>,<br />

nelle intenzioni <strong>di</strong> questo saggio l’idea <strong>di</strong> soppesare la liceità e l’appropriatezza dei riti che si<br />

descriveranno, né <strong>di</strong> valicarne la convenienza, perché questa <strong>di</strong>rezione, per altro interessante,<br />

condurrebbe fuori dal terreno arato dalla fenomenologia.<br />

I.1. Le motivazioni dell’indagine a partire da un caso particolare<br />

Vorrei chiarire che questa prospettiva “dal basso”, prima ancora <strong>di</strong> essere una scelta ideologica,<br />

mi è stata suggerita da un’esperienza soggettiva vissuta nel mio ambito lavorativo, la scuola<br />

secondaria superiore, dove insegno materie letterarie. All’inizio dell’anno scolastico 2004-2005,<br />

infatti, è morto uno dei miei studenti, in seguito ad un gravissimo incidente stradale 1 . Durante i<br />

giorni convulsi che hanno preceduto e imme<strong>di</strong>atamente seguito il funerale, gli eventi hanno<br />

avuto la precedenza sulle riflessioni, ma, dopo qualche tempo, sono stato portato a soffermarmi<br />

su alcuni elementi che mi hanno davvero fatto percepire come la maggior parte <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong><br />

attivi dei riti <strong>di</strong>fferenti rispetto a quelli della tra<strong>di</strong>zione cattolica, mentre viva questi ultimi con<br />

un senso <strong>di</strong> estrema passività e in<strong>di</strong>fferenza.<br />

La prima mattina dopo la morte <strong>di</strong> Michele, i suoi compagni <strong>di</strong> classe sono venuti tutti a scuola,<br />

puntualissimi, molti in anticipo. Erano tutti là, chi in pie<strong>di</strong>, irrefrenabile, chi seduto sui banchi o<br />

sulla propria se<strong>di</strong>a, con lo sguardo che <strong>di</strong>ceva: non è vero, non può essere vero, io voglio negare<br />

quanto è successo. Quasi nessuno piangeva, anche se erano davvero stravolti, chiusi nel loro<br />

1 Insegno all’Istituto Tecnico Commerciale “D. Bramante” <strong>di</strong> <strong>Pesaro</strong>, nelle classi del triennio. L’alunno in questione,<br />

Michele Mariotti, frequentava la classe IV C, nell’a. s. 2004-2005 e aveva da poco compiuto i <strong>di</strong>ciassette anni.


dolore, quasi gelosi della propria sofferenza. Anche io e i miei colleghi sentivamo questo<br />

imbarazzo, non solo provocato dall’atrocità <strong>di</strong> quanto era accaduto, ma rinforzato dal fatto che<br />

nessuno <strong>di</strong> noi sapeva cosa fare, cosa <strong>di</strong>re, come avvicinarsi a loro. Ma i ragazzi erano tutti lì e<br />

ci lanciavano un s.o.s. muto, indecifrabile, forse quasi inconsapevole: ci domandavano <strong>di</strong><br />

trovare un modo per dare forma al loro dolore, per riuscire a proferire il nome del loro<br />

compagno che la morte aveva reso quasi impronunciabile 2 . E c’era rabbia in quegli sguar<strong>di</strong>,<br />

c’era sgomento. Allora ho capito che dovevo osare, che dovevo tentare una via, “inventare” una<br />

forma rituale capace <strong>di</strong> contenere il dolore. Ho chiesto ai ragazzi <strong>di</strong> spostare i banchi in modo da<br />

creare uno spazio vuoto al centro e li ho pregati <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporsi in cerchio, seduti a terra. Ho voluto<br />

rinunciare alla se<strong>di</strong>a perché la <strong>di</strong>sposizione scolastica classica avrebbe creato una nuova<br />

barriera, ufficializzando un momento che doveva, invece, sembrare spontaneo sebbene in<br />

qualche modo organizzato, esattamente come ogni “rito” efficace. In silenzio, una ragazza ha<br />

preso la rosa bianca che qualcuno aveva appoggiato sul banco <strong>di</strong> Michele e l’ha messa al centro<br />

del nostro cerchio. Sembrerà strano, ma questo semplice gesto ha sollevato un’onda emotiva<br />

molto intensa, riuscendo a scar<strong>di</strong>nare alcuni <strong>di</strong> quei lucchetti che serravano gli occhi alle<br />

lacrime sempre in agguato, ma incapaci <strong>di</strong> riversarsi. Un gesto semplice, <strong>di</strong>cevo, ma<br />

sacralizzante, fortemente comunicativo, perché il suo contenuto simbolico era chiaramente<br />

decifrabile da tutti i presenti. I ragazzi si sono <strong>di</strong>sposti in modo spontaneo e in atteggiamenti<br />

naturali: chi sedeva incrociando le gambe, chi cercava un contatto con il suo vicino attraverso le<br />

mani, chi voleva aderire con la schiena alla schiena del compagno più prossimo, chi si<br />

accartocciava su se stesso stringendo con le braccia le gambe flesse e reclinando il capo. Ho<br />

quin<strong>di</strong> invitato i ragazzi a offrire spontaneamente una riflessione, a formulare un pensiero, a<br />

comunicarsi gli uni gli altri qualche frammento <strong>di</strong> esperienza vissuta con Michele. E sono<br />

incominciate le parole, le lacrime, anche i sorrisi, quando il <strong>di</strong>scorso si spostava su un episo<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong>vertente, su qualche compito passato o copiato <strong>di</strong> nascosto, su qualche avventura occorsa<br />

durante i viaggi <strong>di</strong> istruzione. Non si fermavano più, le voci si sovrastavano; ma non era tanto<br />

importante il contenuto verbale <strong>di</strong> quella comunicazione, quanto il suo patrimonio emotivo. Il<br />

dolore trovava una forma, un nome, agganciandosi ad un ricordo, ad un’esperienza con<strong>di</strong>visa,<br />

ad una battuta, ad una riflessione; il che non rendeva la sofferenza meno acuta e pervasiva, ma<br />

solo più consapevole e, quin<strong>di</strong>, meno <strong>di</strong>struttiva.<br />

Durante la stessa mattinata, poi, la Preside ha pregato un sacerdote <strong>di</strong> venire a celebrare in aula<br />

magna una messa in suffragio <strong>di</strong> Michele, alla quale i ragazzi avrebbero potuto partecipare<br />

liberamente. L’aula magna si è riempita <strong>di</strong> alunni che hanno assistito al rito con un silenzio<br />

assoluto, ma, nel contempo, pesante come un macigno, dovuto non già al fatto che il dolore<br />

serrava le bocche, ma più semplicemente ad un’altra motivazione: pochissimi conoscevano cosa<br />

<strong>di</strong>re e quando <strong>di</strong>rlo, se alzarsi o rimanere seduti. Il comportamento <strong>di</strong> tutti gli alunni è stato<br />

ineccepibile, ma l’interrogativo su cosa sia passato attraverso la celebrazione eucaristica rimane<br />

nella sua ra<strong>di</strong>calità. Non è una questione relativa al celebrante o alla cornice cui era inscritto il<br />

momento liturgicoin ma è un problema connesso al senso delle parole, dei simboli, delle<br />

preghiere, che sembravano risuonare a vuoto, incapaci <strong>di</strong> catturare emotivamente la gran parte<br />

<strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, ai cui occhi e alle cui orecchie i momenti e i linguaggi liturgici parevano<br />

vuoti, momenti <strong>di</strong> tregua e non istanti <strong>di</strong> profonda partecipazione. Due parole semplici e non<br />

banali lette da un’amica <strong>di</strong> Michele e <strong>di</strong> nuovo il flusso delle emozioni si è fatto inarrestabile,<br />

<strong>di</strong>lagante, capace <strong>di</strong> graffiare intimamente, per poi rientrare in una sorta <strong>di</strong> stand-by non appena<br />

la messa è ripresa con le sue formule in qualche modo vuote per troppi ragazzi. E così, quando<br />

la celebrazione ha avuto termine, due compagni <strong>di</strong> classe hanno nuovamente rotto il silenzio con<br />

un applauso, che, in una frazione <strong>di</strong> secondo, è <strong>di</strong>ventato corale, intenso, interminabile. E hanno<br />

2 P. Aries e M. Vovelle hanno sottolineato come, nei contesti occidentali contemporanei, la morte sia un vero e proprio<br />

tabù, una realtà <strong>di</strong> cui è meglio non parlare, qualcosa a cui è meglio non pensare. Cfr. P. ARIES, Storia della morte in<br />

Occidente dal Me<strong>di</strong>oevo ai giorni nostri, Rizzoli, Milano 1999, pp. 68-74; e M. VOVELLE, La morte e il morire,<br />

Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 688-689.


applau<strong>di</strong>to – mi hanno confessato alcuni in un secondo momento - perché a loro non pareva<br />

abbastanza ciò che la liturgia aveva sancito, non accettavano che l’assemblea si sciogliesse in un<br />

clima <strong>di</strong> afasia.<br />

Riflettere su quanto era successo mi ha fatto comprendere che molti <strong>adolescenti</strong>, oggi,<br />

elaborano una sfera rituale oscillante tra il religioso e il secolare attraverso cui recuperare senso,<br />

vivere la <strong>di</strong>mensione simbolica, superare la soglia del <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne per rior<strong>di</strong>nare il mondo con<br />

modalità <strong>di</strong> cui spesso gli adulti sembrano del tutto inconsapevoli.<br />

E’ ovvio, tuttavia, che in questo campo non si possa generalizzare, ma occorra procedere con<br />

cautela operando delle <strong>di</strong>stinzioni, se non si vuole rischiare <strong>di</strong> cadere in ipotesi generaliste e, per<br />

questo, superficiali. L’analisi che proporrò, infatti, possiede confini ben definiti e intende<br />

descrivere i riti messi in atto da quel gruppo consistente <strong>di</strong> <strong>adolescenti</strong>, dai 15 ai 18 anni, che<br />

sono regolarmente iscritti alla scuola superiore, ma non frequentano gruppi o movimenti<br />

ecclesiali, e che, per essere più precisi, hanno interrotto la loro partecipazione liturgica<br />

generalmente dopo il sacramento della confermazione. Per comprendere meglio l’incidenza che<br />

questo gruppo <strong>di</strong> ragazzi assume sul totale <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> ho somministrato a 158 studenti, <strong>di</strong><br />

età compresa tra i 15 e i 18 anni, dell’istituto nel quale insegno, un breve questionario, dal quale<br />

ho desunto che 154 ragazzi su 158 affermano <strong>di</strong> essere religiosi, ma solo 27 su 154 sostengono<br />

<strong>di</strong> essere praticanti, <strong>di</strong> cui 22 cattolici su 149, 3 musulmani su 3, e 2 testimoni <strong>di</strong> Geova su 2.<br />

Senza voler proiettare su un questionario locale un valore universale che non pretende <strong>di</strong> avere,<br />

è comunque impressionante lo scarto tra chi <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere, a <strong>di</strong>verso titolo, credente e chi<br />

in<strong>di</strong>rizza questa fede sui sentieri tra<strong>di</strong>zionali del cattolicesimo. La mia analisi si orienta verso<br />

quei 127 ragazzi che affermano <strong>di</strong> credere in Dio, ma non frequentano gruppi ecclesiali e<br />

sostengono <strong>di</strong> non partecipare mai a funzioni liturgiche, o <strong>di</strong> non farlo più <strong>di</strong> due volte all’anno<br />

e in genere perché sollecitati dalle famiglie in concomitanza delle principali solennità liturgiche.<br />

Costoro devono, dunque, venire classificati come credenti senza riti?<br />

I.2. Quale rito? Il <strong>di</strong>fficile confine tra secolare e religioso nei riti <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> senza<br />

appartenenza<br />

Occorre preoccuparsi, con Girard 3 , del fatto che le società contemporanee stanno smarrendo il<br />

senso del rituale? I dati proposti possono spingere a ritenere che gli <strong>adolescenti</strong> siano privi <strong>di</strong><br />

<strong>rituali</strong> al punto da non riuscire più ad addomesticare la violenza selvaggia? E’ probabile che<br />

esista una parte della galassia adolescenziale contemporanea che viva una sorta <strong>di</strong> smarrimento<br />

rituale, ma non si deve correre troppo precipitosamente alle conclusioni, anche perché, a una<br />

<strong>di</strong>samina attenta, appare chiaro che i ragazzi, oggi, non sono affatto privi <strong>di</strong> riti, ma hanno solo<br />

spostato gli ambiti culturali in cui tali riti si inscrivono, proiettando modalità che prima<br />

appartenevano al mondo religioso su un ambito secolare. La domanda che urge davvero, invece,<br />

è: che cosa si intende per rito? Chiarire tale interrogativo è fondamentale se non si vuole<br />

rischiare <strong>di</strong> considerare ogni comportamento <strong>di</strong>ffuso come un rito. M. Segalen ha giustamente<br />

osservato che “il rito o il rituale è un insieme <strong>di</strong> atti formalizzati, espressivi, portatori <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>mensione simbolica” 4 . Scomponendo la definizione dell’antropologa francese e facendola<br />

interagire con l’analisi <strong>di</strong> F. Isambert 5 abbiamo in nuce tutte le caratteristiche essenziali che<br />

permettono <strong>di</strong> stabilire che un dato comportamento non è una semplice azione sociale, ma un<br />

vero e proprio rito 6 .<br />

3 Afferma perentoriamente Girard: “Uno dei fatti più pericolosi e tragici della società d’oggi sta nel restare a vuoto <strong>di</strong><br />

<strong>rituali</strong>, perché in tale situazione si possono ricreare le con<strong>di</strong>zioni che scatenarono le prime violenze”; R. GIRARD, La<br />

violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1978, p. 68.<br />

4 M. SEGALEN, Riti e <strong>rituali</strong> contemporanei, Il Mulino, Bologna 1998, p. 24.<br />

5 F. – A. ISAMBERT, Le sens du sacré. Fête et religion populaire, É<strong>di</strong>tion de Minuit, Paris 1982, p. 109 e ss.<br />

6 Le riflessioni dei due antropologi francesi nascono da una profonda reinterpretazione meno rigida e/o funzionalistica<br />

<strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> classici sul rito <strong>di</strong> É. Durkheim (fondamentale per aver posto l’accento sull’efficacia sociale dei riti religiosi,<br />

anche se ha finito con l’esaurire i significati della sfera del religioso nella sola analisi sociologico-funzionalistica dei riti<br />

stessi; cfr. Id, Le forme elementari della vita religiosa, E<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Comunità, Torino 1997), <strong>di</strong> M. Mauss (che, per


Il rito deve avere, innanzitutto, una <strong>di</strong>mensione collettiva che, pur non soffocando il<br />

contributo soggettivo, sia predominante e capace <strong>di</strong> produrre senso per coloro che vi<br />

partecipano. Questo, ovviamente, comporta una certa formalizzazione del rito, nel senso che<br />

esso deve avere dei precisi caratteri morfologici riconosciuti e riconoscibili da chi lo mette in<br />

atto. Inoltre deve venire reiterato, perché la ripetizione lo rende comprensibile. Ma l’elemento<br />

più importante è senza dubbio da ricercare nell’attesa o nella speranza <strong>di</strong> efficacia che ad esso<br />

vengono attribuite, ossia nella convinzione che quel rito sia ritenuto in grado <strong>di</strong> produrre un<br />

cambiamento. Ovviamente, l’efficacia è profondamente connessa alle <strong>di</strong>namiche simboliche<br />

che il rito stesso è in grado <strong>di</strong> attivare e non tanto ai significati verbali a cui esso fa riferimento 7 .<br />

In altre parole, il rito non è efficace perché i partecipanti comprendono ciò che <strong>di</strong>cono, o perché<br />

il significato delle loro azioni possiede un carattere razionalmente identificabile, quanto<br />

piuttosto perché risulta nel suo insieme comunicativo, coinvolgente e addensante il senso 8 . “Il<br />

rito – osserva giustamente Isambert – è un linguaggio efficace nel senso che agisce sulla realtà<br />

sociale” 9 , ma perché si <strong>di</strong>a il rito religioso occorre anche che esso si strutturi attorno ad una<br />

serie <strong>di</strong> gesti, <strong>di</strong> parole e <strong>di</strong> oggetti riconosciuti e che, soprattutto, si inscriva in una concezione<br />

aperta al trascendente 10 .<br />

I.3. Il rito dal punto <strong>di</strong> vista <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong><br />

Se le definizioni risultano chiare, più arduo è tuttavia compararle con la realtà esperienziale<br />

<strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, in cui tutto si presenta con contorni meno definiti e perentori. Partendo<br />

dall’ultima delle caratteristiche proposte, è necessario osservare che gli <strong>adolescenti</strong> si<br />

definiscono in larghissima maggioranza credenti, anche se <strong>di</strong>fficilmente riescono ad articolare il<br />

senso e il significato del loro credere quando si tenta <strong>di</strong> uscire da un piano puramente emotivo<br />

per passare ad un livello più razionale. Quello che occorre rilevare è che lo scenario <strong>di</strong> fondo in<br />

cui si inscrivono molti riti dei giovani è <strong>di</strong> tipo vagamente religioso, ossia contempla una sorta<br />

<strong>di</strong> riferimento al trascendente, ancorché non chiaramente messo a tema. Focalizzare questa<br />

sensibilità è fondamentale per comprendere l’ambiguità <strong>di</strong> certe manifestazioni <strong>rituali</strong>, perché ci<br />

permettere <strong>di</strong> comprendere che, in qualche maniera, molti aspetti del vissuto dei ragazzi - dalle<br />

relazioni interpersonali a quelle più specificatamente affettive - sono ammantati <strong>di</strong> un senso <strong>di</strong><br />

sacralità che coincide con un desiderio <strong>di</strong> emozione, a sua volta connesso con un bisogno <strong>di</strong><br />

traguardare il reale. La formalizzazione del rito, inoltre, non avviene in maniera rigida e<br />

strettamente prescrittiva, ma assume semmai le caratteristiche <strong>di</strong> una ispirazione, <strong>di</strong> una<br />

me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> singoli gesti, ciascuno dei quali spalanca una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> significati con<strong>di</strong>visi.<br />

I <strong>rituali</strong> <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> sono <strong>di</strong>fficilmente ingessati nella lettera dei loro contenuti verbali o<br />

gestuali, anche se risultano riconoscibili nei significati simbolici, cosa che <strong>di</strong>viene evidente se si<br />

pensa ai riti del sabato sera, che, pur non apparendo sempre identici nella forma, sono sempre<br />

riconosciuti e con<strong>di</strong>visi nei contenuti simbolici. Anche la ripetizione non appare quasi mai<br />

co<strong>di</strong>ficata, ma si mostra apparentemente libera da ogni agenda rigida, pur se è innegabile<br />

primo, ha proposto un’idea <strong>di</strong> rituale secolare, in<strong>di</strong>pendente dalla religione, anche se interpretata come spuria rispetto a<br />

quella inerente al religioso; cfr. Id., Les fonctions sociales du sacré, in Ouvres I, É<strong>di</strong>tions de Minuit, Paris 1968), <strong>di</strong> M.<br />

Douglas (che ha analizzato il rito soprattutto dal punto <strong>di</strong> vista della sua efficacia simbolica, guardando oltre la sola<br />

funzionalità sociale; cfr. Id., Purezza e pericolo, Il Mulino, Bologna 1975); <strong>di</strong> V. Turner (che ha sottolineato con forza<br />

che il rito si costituisce <strong>di</strong> cellule simboliche capaci <strong>di</strong> <strong>di</strong>saggregare, sospendere e riaggregare l’in<strong>di</strong>viduale nel<br />

collettivo, grazie l’attreversamento della fase liminale; ma fondamentale anche per aver introdotto il concetto <strong>di</strong><br />

“Liminoide”, intendendo con questo termine una sorta <strong>di</strong> rivisitazione spuria della liminalità nei contesti complessi<br />

delle culture occidentali contemporanee; Cfr., Id, Il processo rituale, Morcelliana, Brescia 1972 e Id, Dal rito al teatro,<br />

Il Mulino, Bologna 1986).<br />

7<br />

Attraverso l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> queste cinque caratteristiche fondamentali del rito, M. Segalen e F. A. Isambert hanno<br />

saputo evitare la deriva interpretativa che potrebbe portare a leggere ogni comportamento <strong>di</strong>ffuso come un rito. Cfr. M.<br />

SEGALEN, Riti e <strong>rituali</strong> contemporanei, cit., pp. 11-32.<br />

8<br />

Ib., p.25<br />

9<br />

F.-A. ISAMBERT, Le Sens du sacré. Fête et religion populaire, cit., p. 109<br />

10<br />

Ib., p. 110


egistrare una certa perio<strong>di</strong>zzazione, come testimoniano i riti <strong>di</strong> aggregazione, sia tra<strong>di</strong>zionali<br />

che nuovi, vale a <strong>di</strong>re quelli che si verificano su internet.<br />

I.4. I motivi della crisi dei <strong>rituali</strong>, delle simboliche e dei linguaggi religiose tra<strong>di</strong>zionali:<br />

“rito” per quale religiosità?<br />

Se, per un verso, gli <strong>adolescenti</strong> da me intervistati si definiscono in larghissima misura credenti,<br />

per un altro risulta evidente che il definirsi credenti è in<strong>di</strong>pendente dall’effettiva pratica<br />

religiosa o dalla conoscenza che i giovani possiedono del sapere teologico-dogmatico relativo,<br />

ad esempio, al cattolicesimo. La fede non è sentita come un fatto razionale, spiegabile, e, men<br />

che meno, come l’accettazione <strong>di</strong> un dato rivelato nella storia, ma come un percorso emotivo<br />

inspiegabile. Le metafore che più ricorrono nei questionari è: “sento qualcosa <strong>di</strong> grande”, “sento<br />

Dio vicino” ecc, e solo molto <strong>di</strong> rado emerge qualche riferimento concreto a Cristo o, ancor<br />

meno, alla Trinità. Il confronto con la Tra<strong>di</strong>zione, con il Magistero della Chiesa e perfino con le<br />

Scritture appare decisamente sfocato, mentre risalta in modo chiaro un certo personalismo, in<br />

base al quale ogni ragazzo sostiene il suo punto <strong>di</strong> vista, il suo “secondo me” esperienziale.<br />

Implicitamente, quin<strong>di</strong>, gli <strong>adolescenti</strong> denunciano l’insignificanza dei linguaggi religiosi<br />

tra<strong>di</strong>zionali e anche delle loro simboliche, soprattutto quando queste si innervano nel tessuto<br />

liturgico. L’eucaristia, i simboli battesimali, le espressioni dei messali e dei breviari sembrano<br />

essere davvero lettera morta per la stragrande maggioranza <strong>di</strong> quei ragazzi che, lontano da<br />

esperienze <strong>di</strong> vita ecclesiale, continuano caparbiamente a definirsi credenti. I giovani da me<br />

intervistati erano piuttosto concor<strong>di</strong> nell’affermare che le celebrazioni liturgiche sono “noiose”,<br />

le omelie sono “moraliste” e ripetitive, il linguaggio utilizzato incomprensibile e che, per questi<br />

motivi, non frequentano le assemblee liturgiche.<br />

Paradossalmente, tuttavia, queste posizioni si sposano con atteggiamenti molto conservatori e<br />

rigoristi che sembrano contrad<strong>di</strong>re quanto si è appena affermato. Quegli stessi ragazzi che<br />

ignorano un certo linguaggio liturgico e scritturale, infatti, sono pronti in grande maggioranza a<br />

dare battaglia in <strong>di</strong>fesa del crocifisso nelle aule, o sulla liceità delle recite natalizie ispirate alla<br />

nascita <strong>di</strong> Gesù, quando perio<strong>di</strong>camente vengono rilanciate delle obiezioni all’opportunità <strong>di</strong><br />

certi segni e manifestazioni da esponenti del mondo laico o <strong>di</strong> minoranze religiose 11 . Parimenti,<br />

una considerevole maggioranza <strong>degli</strong> intervistati (111 ragazzi su 127) ha <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>videre le perplessità della Chiesa sulle coppie <strong>di</strong> fatto e sui provve<strong>di</strong>menti legislativi allo<br />

stu<strong>di</strong>o per regolarizzarle, soprattutto se omosessuali, in<strong>di</strong>viduando, soprattutto in queste ultime,<br />

un fattore <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregazione sociale 12 .<br />

Perché accade ciò? Rispondere non è facile, ma ritengo che la soluzione vada cercata nel fatto<br />

che i ragazzi vedono in certi simboli o in certe consuetu<strong>di</strong>ni dei rinforzi identitari prima ancora<br />

che dei messaggi <strong>di</strong> tipo religioso 13 . La loro <strong>di</strong>fesa del crocifisso, infatti, è raramente motivata<br />

con argomentazioni <strong>di</strong> carattere teologico, mentre lascia intravedere spiegazioni <strong>di</strong> tipo emotivo<br />

11 Si sono <strong>di</strong>chiarati favorevoli alla presenza del crocifisso nelle aule 125 ragazzi su 127; mentre 127 su 127 trovano<br />

giusto che nelle scuole per l’infanzia e del primo ciclo si allestiscano drammatizzazioni <strong>di</strong> argomento sacro.<br />

12 Afferma la storica D. Calanca: “Del resto, il valore dominante al primo posto per i giovani italiani, oggi, è la famiglia,<br />

esattamente come per i loro genitori. In questo senso, la famiglia è, e resta, il valore «sommo», cioè la vera patria <strong>degli</strong><br />

italiani, il dato unificante delle cento Italie, il filo che attraversa la storia, la cultura, l’economia, le classi sociali, al<br />

Nord, come al Sud e al Centro”. Cfr. D. CALANCA, Gruppo e famiglia, in: P. SORCINELLI – A. VARRI (a cura <strong>di</strong>),<br />

Il secolo dei giovani. Le nuove generazioni e la storia del Novecento, Donzelli, Roma 2004, pp. 151-185, qui 185. Le<br />

riflessioni della Calanca si basano sui dati forniti da: A. DE LILLO, Il sistema dei valori, in C. BUZZI, Giovani del<br />

nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla con<strong>di</strong>zione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 41-48.<br />

13 Sullo sfondo <strong>di</strong> queste riflessioni si muovono gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Cassirer e Gehlen che, in forme <strong>di</strong>verse, hanno indagato, già<br />

all’inizio del Novecento, quale complesso rapporto rituale leghi il soggetto alla collettività nella quale si riconosce. Cfr.<br />

E. CASSIRER, Was ist der Mensch, Stuttgart 1960, p. 39 e ss.; Id., Naturalistische und Humanistische Bergründung<br />

der Kulturphilosophie, Göteborg 1939, p. 16 e ss; A. GEHLEN, Urmensch und Spätkultur, Bonn 1956, p. 158. In tempi<br />

recenti, J, Habermas ha ripreso queste tematiche riattualizzandole nel contesto tedesco ed europeo contemporaneo; cfr.<br />

J. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna 1997, vol II., pp. 603-696; Id., Tempo <strong>di</strong> passaggi,<br />

Feltrinelli, Milano 2004, pp. 37-54.


e culturale, quali: “rappresenta la nostra cultura”. La religione ufficiale, dunque, con il suo<br />

mondo rituale e simbolico strutturato, sembra muta se parla alle coscienze religiose in senso più<br />

proprio, apparendo incapace <strong>di</strong> veicolare significati ampi e con<strong>di</strong>visi, mentre risulta ancora<br />

efficace se si propone come rocca <strong>di</strong>fensiva contro la frantumazione culturale e contro un certo<br />

relativismo identitario-culturale. Il crocifisso, quin<strong>di</strong>, non viene <strong>di</strong>feso per quello che<br />

simbolicamente rappresenta o <strong>di</strong>schiude, per i suoi contenuti profon<strong>di</strong>, ma più semplicemente<br />

perché rilancia il senso <strong>di</strong> un’appartenenza ad una tra<strong>di</strong>zione e a una cultura. E proprio perché<br />

tale identità risulta sempre più debole e minuscola, i ragazzi combattono per la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> quei<br />

gran<strong>di</strong> elementi che ancora permettono loro <strong>di</strong> riconoscersi come facenti parti <strong>di</strong> una civiltà, <strong>di</strong><br />

una cultura e <strong>di</strong> una società specifiche, <strong>di</strong> cui, per usare un’espressine <strong>di</strong> D. Hervieu-Leger, loro<br />

si sentono ere<strong>di</strong> 14 . In questo senso, dunque, ciò che tra<strong>di</strong>zionalmente viene inteso come simbolo<br />

o rito religioso viene vissuto inconsapevolmente dai giovani come fatto puramente secolare, o,<br />

più precisamente, culturale.<br />

E questo perché – occorre riba<strong>di</strong>rlo – soffermandosi a sondare la profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> tale<br />

appartenenza, ci si accorge che la frantumazione delle identità forti è già ad uno sta<strong>di</strong>o avanzato<br />

e, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni, <strong>di</strong>rei quasi avvenuto. La religiosità dei<br />

giovani che non frequentano è all’impronta <strong>di</strong> un chiaro sincretismo con il quale essi risultano<br />

del tutto riconciliati e in base al quale non esiste più un chiaro concetto <strong>di</strong> “verità”, ma una serie<br />

<strong>di</strong> tante “verità” poste tutte sullo stesso piano e interscambiabili fra <strong>di</strong> loro a livello religioso.<br />

Occorre rilevare, tuttavia, che si è in presenza <strong>di</strong> posizioni ancora più ra<strong>di</strong>cali rispetto alla<br />

religiosità soggettiva o “fai da te” che si è <strong>di</strong>ffusa negli anni Ottanta e Novanta nel nostro<br />

Paese 15 . Oggi, infatti, i ragazzi non tendono più a compiere un’operazione <strong>di</strong> sincretismo<br />

consapevole, magari innestando la pratica dello yoga su certi pensieri della mistica cristiana, o<br />

sovrapponendo il revival del magico e dell’esoterico a determinate riletture dei Vangeli, ma si<br />

limitano ad affermare che le religioni sono tutte uguali e che ciascuno vive una sua religiosità<br />

in<strong>di</strong>viduale, segmentata e intuitiva, in cui si perde ogni riferimento a riti e pratiche concrete<br />

appartenenti a qualunque orizzonte religioso. Quei 127 ragazzi che si definiscono credenti non<br />

abbandonano la prassi liturgica cattolica per abbracciare qualcos’altro, ma per vivere una<br />

religiosità vaga grazie alla quale ci si sente vicini a Dio, avvertito come Dio <strong>di</strong> tutti.<br />

Anche i <strong>rituali</strong> connessi a questo sentire vago che connota l’esperienza religiosa adolescenziale<br />

contemporanea sono, <strong>di</strong> conseguenza, necessariamente slegati ai riti delle tra<strong>di</strong>zioni religiose e<br />

reinterpretati come fatti spontanei. In realtà, per essere davvero efficaci, i riti dei giovani usano<br />

co<strong>di</strong>ci e simboli, generalmente desunti dai modelli me<strong>di</strong>atici e, in particolare televisivi, anche se<br />

non percepiti come tali. In questo senso, dunque, ciò che tra<strong>di</strong>zionalmente viene inteso come<br />

secolare, dai riti <strong>di</strong> aggregazione ai nuovi <strong>rituali</strong> del sabato sera o a quelli legati al mondo dello<br />

sport, presentano dei risvolti religiosi, perché vengono riutilizzati per veicolare significati che<br />

offrono senso e si prestano a favorire quell’uscita da sé, quella proiezione verso «l’oltre»<br />

propria dei riti religiosi.<br />

E’, quin<strong>di</strong>, evidente che lo sgretolarsi dell’efficacia dei riti tra<strong>di</strong>zionali va <strong>di</strong> pari passo con la<br />

frantumazione delle identità forti e con il trionfo <strong>di</strong> quelle appartenenze deboli <strong>di</strong> cui in qualche<br />

misura ha parlato Lyotard 16 , per le quali non hanno più pregnanza le gran<strong>di</strong> narrazioni <strong>di</strong> senso.<br />

14 Analizzando il rapporto che lega la <strong>di</strong>mensione culturale a quella comunitaria dell’identificazione, la sociologa<br />

francese afferma: “Esso si cristallizza, nella sua forma più estrema, in un cristianesimo patrimoniale che coniuga la<br />

coscienza dell’appartenenza comunitaria e quella del possesso <strong>di</strong> un’ere<strong>di</strong>tà culturale che stabilisce una separazione<br />

ra<strong>di</strong>cale tra il gruppo <strong>degli</strong> «ere<strong>di</strong>» e gli «altri»”. Cfr. D. HERVIEU-LEGER, Il pellegrino e il convertito, Il Mulino,<br />

Bologna 2003, p. 67.<br />

15 Si vedano, a questo proposito: A. N. TERRIN, New Age. La religiosità del postmoderno, EDB, Bologna 1992; M.<br />

GALLIZIOLI, Un’utopia mistica. Quale etica e quale politica nel pensiero New Age, Agrilavoro, Roma 1999; Id.,<br />

Religione fai-da-te, Cittadella, Assisi 2004.<br />

16 J. – F. LYOTARD, La con<strong>di</strong>zione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1985, pp. 52-68


La celebre frase “ognuno è rinviato a sé, ma il sé è poca cosa” 17 del filosofo francese, risulta<br />

ancora centralissima se si vuole comprendere l’idea profonda e autentica della religiosità<br />

giovanile, sia nei suoi aspetti più imme<strong>di</strong>ati ed emotivi – ossia in quelli che producono un<br />

movimento centrifugo rispetto ai riti della tra<strong>di</strong>zione - sia nei suoi aspetti più perentori – ossia<br />

nel tentativo <strong>di</strong> recuperare alcuni simboli non tanto in funzione religiosa, quanto secolare.<br />

PARTE SECONDA<br />

I RITUALI, TRA SECOLARE E RELIGIOSO, COME RICERCA INCONSAPEVOLE<br />

DI SENSO<br />

II. 1. Lungo i sentieri dell’emozione: il sentimento come forza motrice delle nuove<br />

<strong>rituali</strong>tà giovanili<br />

Il primo criterio guida che influenza le <strong>rituali</strong>tà giovanili è senza dubbio da ricercare<br />

nell’efficacia emotiva delle performance <strong>rituali</strong> stesse. I riti del consumo, come quelli connessi<br />

alla cura del corpo, le <strong>rituali</strong>tà lu<strong>di</strong>che legate alle pratiche sportive, tanto quelle in relazione con<br />

l’aggregazione reale e virtuale, si strutturano attorno all’esigenza <strong>di</strong> emozione che muove gran<br />

parte del mondo giovanile contemporaneo. Già sul finire <strong>degli</strong> anni Sessanta, G. Dorfles<br />

in<strong>di</strong>viduava nella ricerca <strong>di</strong> loisir 18 la vera novità dei riti contemporanei, in<strong>di</strong>cando nella<br />

categoria del <strong>di</strong>vertimento e del tempo libero, due aspetti fondamentali del vivere o<strong>di</strong>erno.<br />

L’intuizione del filosofo italiano sembra straor<strong>di</strong>naria se la si paragona con la realtà <strong>di</strong> questi<br />

anni e se la si integra con l’altra grande definizione passe partout fornita da Bauman, che<br />

in<strong>di</strong>vidua nell’imperativo della “voglia” 19 quel motore capace <strong>di</strong> attivare i comportamenti<br />

dell’uomo contemporaneo e in particolare dei giovani. Se facciamo interagire queste analisi<br />

possiamo comprendere meglio quali siano gli agenti che in vitro determinano il prodursi <strong>degli</strong><br />

eventi <strong>rituali</strong> tra gli <strong>adolescenti</strong>. Essi, infatti, devono essere in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertire, ossia <strong>di</strong><br />

emozionare, <strong>di</strong> commuovere e, soprattutto, <strong>di</strong> far ridere 20 , e devono apparire spontanei, mai<br />

necessari in sé, mai pre-or<strong>di</strong>nati, da attivarsi quando lo si desidera.<br />

L’emozione quale criterio guida va intesa più propriamente come la capacità <strong>di</strong> sentire in senso<br />

assoluto, oltre, o prima <strong>di</strong>, ogni razionalizzazione, ogni riflessione e analisi: un sentire <strong>di</strong>retto,<br />

imme<strong>di</strong>ato, pervasivo e, spesso, totalmente averbale 21 . Emozione significa, dunque,<br />

<strong>di</strong>vertimento allo stato puro, coinvolgimento totale, e coincide con un esodo inconsapevole, ma<br />

fortemente cercato, dalla razionalità, dalla logicità, dalle motivazioni estrinseche ed<br />

estrinsecabili. L’esperienza del rito deve essere, per parafrasare R. Otto 22 , legata al “fascinans”,<br />

al sentire qualcosa per intero o, meglio, al solo sentire, slegato da ogni pensare, da ogni<br />

riflessione. Il rito <strong>di</strong>viene il mezzo per <strong>di</strong>ventare capaci <strong>di</strong> un “puro sentire” che pare coincidere<br />

con una sospensione del pensiero. Alla domanda: Perché frequenti abitualmente le <strong>di</strong>scoteche?,<br />

la risposta più <strong>di</strong>ffusa è stata <strong>di</strong> carattere quasi tautologico: mi piace andarci perché è bello,<br />

17<br />

Si veda l’analisi articolata che <strong>di</strong> questo doppio enunciato ha operato A. N. TERRIN, Mistiche dell’Occidente. New<br />

Age, Orientalismo, Pentecostalismo, Morcelliana, Brescia 2001, pp. 68-73.<br />

18<br />

Cfr. G. DORFLES, Nuovi riti nuovi miti, Einau<strong>di</strong>, Torino 1965, pp. 139-141.<br />

19<br />

Z. BAUMAN, L’amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 19.<br />

20<br />

Sulle funzioni sociali del riso nei contesti contemporanei si veda: D. SOLFAROLI CAMILLOCCI – D. VELLA,<br />

Ridere, ridere, ridere ancora…, Bollati Boringhieri, Torino 2005, pp. 77-102.<br />

21<br />

In un contesto più allargato e non ristretto ai soli <strong>adolescenti</strong>, E. Borgna osserva: “Le emozioni sono molteplici nelle<br />

loro connotazioni tematiche, ma l’elemento comune a ciascuna <strong>di</strong> esse è il fatto che ci portano fuori dai confini del<br />

nostro io e ci mettono in contatto, in risonanza, con il mondo delle cose e delle persone: essendo contrassegnate<br />

ra<strong>di</strong>calmente dalla in-tenzionalità (nel senso rivoluzionario <strong>di</strong> Edmund Husserl): dalla trascendenza come orizzonte <strong>di</strong><br />

conoscenza che si oltrepassa infinitamente: al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni confine in<strong>di</strong>viduale”. Cfr. E. BORGNA, L’arcipelago delle<br />

emozioni, Feltrinelli, Milano 2002, p. 18.<br />

22<br />

Cfr. R. OTTO, Il sacro. L’irrazionale nell’idea del <strong>di</strong>vino e la sua relazione al razionale, Feltrinelli, Milano 1984,<br />

pp. 42-50.


perché mi <strong>di</strong>verto 23 , e, alle richieste ulteriori <strong>di</strong> chiarimento, le risposte sono state: mi <strong>di</strong>verto<br />

perché non penso, perché ballo. Quello scollamento tra il mondo del sentire e la capacità <strong>di</strong><br />

esprimere in un <strong>di</strong>scorso organizzato alcuni elementi <strong>di</strong> tale sentire, denunciato da Marco<br />

Lodoli 24 e tanto stigmatizzato dal mondo <strong>degli</strong> adulti, soprattutto dai professori, viene<br />

totalmente evitato attraverso una serie <strong>di</strong> riti che non presuppongono una partecipazione <strong>di</strong>retta<br />

del pensiero logico-formale, ma che <strong>di</strong>ventano significativi in sé perché capaci <strong>di</strong> assorbire<br />

totalmente e <strong>di</strong> far sperimentare un senso <strong>di</strong> appagamento piacevole in modo imme<strong>di</strong>ato 25 . I<br />

<strong>rituali</strong> connessi ai videogiochi, al mondo <strong>di</strong> internet, all’ascolto e alla produzione <strong>di</strong> musica, alla<br />

fruizione <strong>di</strong> programmi televisivi seriali (dalle soap opera alle situation commedy e ai reality<br />

show) sollecitano solo una razionalità imme<strong>di</strong>ata, necessaria per poter fruire <strong>di</strong> determinati<br />

strumenti, che si esaurisce completamente nell’essere concentrati in quel momento, ma che non<br />

si trasforma mai in un’occasione per riflettere a posteriori. Non si tratta <strong>di</strong> una razionalità<br />

analitica e consapevole, ma <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> automatismo della razionalità in cui sembra non<br />

trovare altro spazio che il sentire.<br />

II.2. Alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo conformismo rituale attraverso cui “riconformarsi” e<br />

“riconfermarsi” nella società: i modelli me<strong>di</strong>atici come sorgenti della liceità del rito.<br />

Il secondo criterio che sancisce l’efficacia delle <strong>rituali</strong>tà giovanili è da ricercarsi nella loro<br />

conformità alla “moda”. Già Baudrillard 26 all’inizio <strong>degli</strong> anni Ottanta aveva osservato che la<br />

moda, nel mondo contemporaneo, è ciò che contribuisce a <strong>di</strong>sgregare ogni identità culturale<br />

legata ad una tra<strong>di</strong>zione marmorea, venendo a rappresentare quel criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>namismo del<br />

gusto che meglio si associa alle identità deboli del postmoderno. La moda infatti – osserva<br />

giustamente A. N. Terrin 27 - è strettamente correlata al valore che più rappresenta l’epoca<br />

postmoderna, l’effimero. Gli <strong>adolescenti</strong>, oggi, inseguendo i parametri per loro stessa natura<br />

mutevoli della moda, cercano <strong>di</strong> riconformarsi alla realtà sposandone la mutevolezza ed<br />

elaborando riti altrettanto mutevoli, attraverso cui sentirsi parte integrante del mondo 28 .<br />

Rientrano in questo campo tutti i <strong>rituali</strong> connessi a quella che G. Ritzer ha definito, con rara<br />

forza espressiva, “la religione dei consumi” 29 , la quale si inscena negli spazi delle nuove<br />

cattedrali profane <strong>degli</strong> ipermercati. Seguire affannosamente l’imperativo del cambiamento<br />

<strong>di</strong>viene dunque un dovere inconsapevole, ma fortemente cogente, per gli <strong>adolescenti</strong>, che li<br />

spinge a inseguire la mutevolezza fine a se stessa per sentirsi parte <strong>di</strong> un mondo che fa del<br />

cambiamento la sua cifra per eccellenza.<br />

Ma, anche se il mondo appare in continua trasformazione, gli <strong>adolescenti</strong> cercano attraverso<br />

alcune <strong>rituali</strong>tà <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> rintracciare una parvenza <strong>di</strong> uniformità al mondo stesso finalizzata<br />

a ricollocarli in un sistema sempre più intricato <strong>di</strong> segni, <strong>di</strong> linguaggi e <strong>di</strong> prospettive. Seguire la<br />

moda, <strong>di</strong>viene, allora un modo per riconfermarsi nel mondo come soggetti attivi e, insieme, per<br />

23<br />

Si leggano le belle pagine de<strong>di</strong>cate al lento mo<strong>di</strong>ficarsi del ruolo delle <strong>di</strong>scoteche nell’immaginario giovanile delle<br />

ultime generazioni <strong>di</strong> L. GORGOLINI, I consumi, in P. SORCINELLI – A. VARNI (a cura <strong>di</strong>), op. cit., pp. 243-248.<br />

24<br />

M. LODOLI, Il silenzio dei miei studenti, La Repubblica, 4 ottobre 2002<br />

25<br />

M. Augé, in un suo recente saggio de<strong>di</strong>cato a Disneyland, sostiene che tale luogo rappresenta simbolicamente il<br />

mondo o<strong>di</strong>erno, “(…) in quello che ha <strong>di</strong> peggiore e <strong>di</strong> migliore: l’esperienza del vuoto e della libertà”. E’ simbolo,<br />

quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> ciò che cerca anche l’adolescente, vale a <strong>di</strong>re: “(…) una pura libertà, senza oggetto, senza ragione, senza<br />

posta in gioco”. Cfr. M. AUGÉ, Un etnologo a Disneyland, in Id., Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri,<br />

Torino 1999, pp. 24-25.<br />

26<br />

Cfr. J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1980, p. 100.<br />

27<br />

A. N. TERRIN, Il rito. Antropologia e fenomenologia del rito, Morcelliana, Brescia 1999, p. 388<br />

28<br />

Sull’evoluzione dei significati storico-sociali della moda si veda: G. LEHNERT, Storia della moda del XX secolo,<br />

Ready-made, Milano 2000.<br />

29<br />

G. RITZER, La religione dei consumi. Cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumismo, Il Mulino, Bologna 1999,<br />

p. 113 e ss. Sviluppano tematiche analoghe anche G. CROSS, Tempo e denaro. La nascita della cultura del consumo, Il<br />

Mulino, Bologna 1998, il quale affronta la tematica con un taglio più descrittivo, e M. FEATHERSTONE, Cultura del<br />

consumo e postmodernismo, Seam, Roma 1994, il quale ha il merito <strong>di</strong> coniugare l’analisi dei comportamenti<br />

consumistici con l’esplorazione della cultura postmoderna.


iconformarsi continuamente ad esso, dal momento che, se non si entra nel flusso del<br />

<strong>di</strong>namismo, a loro pare evidente che il soggetto perda appeal sociale. La moda, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong>viene<br />

il gusto per l’effimero camuffato da sostanza, soprattutto quando si sposa con l’accelerazione<br />

tecnologica nei campi della comunicazione e dell’informatica, avvertiti come i settori per<br />

eccellenza del cambiamento. Essere aggiornati comporta delle vere e proprie <strong>rituali</strong>tà<br />

necessitanti 30 , prime fra tutte quelle relative all’aggiornamento tecnologico nel campo della<br />

telefonia e dell’informatica, che si mettono in atto attraverso la frequentazione assidua e in<br />

gruppo dei templi de<strong>di</strong>cati a questi settori, primo fra tutti Me<strong>di</strong>aWorld, generalmente il sabato<br />

pomeriggio, come confermano oltre 80 ragazzi da me interpellati. Frequentare gli ipermercati,<br />

in particolare quelli monotematici, <strong>di</strong>viene necessitante perché assume un forte valore simbolico<br />

e sociale, conferendo autorevolezza e prestigio a chi <strong>di</strong>viene capace <strong>di</strong> anticipare le novità. Pur<br />

trattandosi <strong>di</strong> <strong>rituali</strong>tà che conoscono un notevole grado <strong>di</strong> reiterazione e una certa<br />

formalizzazione, sono avvertite dagli <strong>adolescenti</strong> come spontanee e non organizzate e in questa<br />

contrad<strong>di</strong>zione sta anche la loro efficacia. Si tratta <strong>di</strong> comportamenti <strong>rituali</strong> avvertiti come<br />

spontanei, ma capaci <strong>di</strong> strutturare socialmente le identità deboli <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, per i quali<br />

essere aggiornati in determinati settori risulta essere davvero necessitante 31 . Ovviamente non<br />

basta essere aggiornati, ma occorre anche possedere questi strumenti e utilizzarli in maniera<br />

continuativa. Il valore dello strumento è, poi, determinato dal modello ritenuto esteticamente – e<br />

non necessariamente a livello funzionale – più efficace. Il re dei prodotti tecnologici è<br />

sicuramente il pc, attraverso il quale è possibile collegarsi ad Internet, ma soprattutto caricare i<br />

videogiochi, giunti ormai ad un livello raffinatissimo <strong>di</strong> definizione.<br />

Ma, prima ancora del computer, è il telefono cellulare a ricoprire un profondo valore simbolico,<br />

perché il venirne in possesso prima, e il cambiare annualmente modello poi, sono avvertiti come<br />

veri e propri riti <strong>di</strong> passaggio 32 . L’acquisizione del telefono cellulare è avvenuta, per la<br />

generazione dei se<strong>di</strong>cenni attuali, intorno ai tre<strong>di</strong>ci anni, generalmente come regalo ricevuto in<br />

concomitanza con il sacramento della Confermazione e in prossimità dell’ingresso alla scuola<br />

superiore. Il suo significato è quin<strong>di</strong> chiaramente simbolico perché consente <strong>di</strong> avvertirsi<br />

pienamente <strong>adolescenti</strong> e non più bambini. Una volta che se n’è venuti in possesso, chiedere ad<br />

un adolescente <strong>di</strong> spegnere il telefono cellulare è praticamente impossibile, dal momento che<br />

tenere costantemente acceso l’apparecchio è il modo con cui lui definisce la sua presenza nel<br />

mondo 33 . “Esisto perché sono raggiungibile sempre e ovunque”, sembra essere la filosofia che<br />

guida il comportamento adolescenziale contemporaneo, per il quale anche la comunicazione<br />

<strong>di</strong>viene più densa se si realizza per mezzo <strong>di</strong> sms, piuttosto che oralmente. I <strong>rituali</strong> connessi al<br />

telefono cellulare denunciano, in ultima istanza, che gli <strong>adolescenti</strong> avvertono un’urgenza<br />

comunicativa frutto <strong>di</strong> un vuoto <strong>di</strong> comunicazione che non può essere messa tra parentesi, pena<br />

il finire con il considerare le loro <strong>rituali</strong>tà pura conseguenza del consumismo 34 . Sono anche il<br />

30<br />

In un interessante stu<strong>di</strong>o, D. F. Noble ha cercato <strong>di</strong> rintracciare le ra<strong>di</strong>ci religiose dell’euforia tecnologica dell’uomo<br />

moderno e contemporaneo, in<strong>di</strong>viduando delle “tecnologie della trascendenza”, tra cui un posto <strong>di</strong> rilievo riveste<br />

l’intelligenza artificiale e le <strong>rituali</strong>tà ad essa connesse; cfr. D. F. NOBLE, La religione della tecnologia. Divinità<br />

dell’uomo e spirito d’invenzione, E<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Comunità, Torino 2000, pp. 188-227<br />

31<br />

Cfr. L. GORGOLINI, op. cit., pp. 248-254.<br />

32<br />

Faccio qui riferimento anche ad una serie <strong>di</strong> indagini sociologiche effettuate su campioni <strong>di</strong> <strong>adolescenti</strong> italiani: cfr.<br />

G. COSENZA, I messaggi sms, in C. BAZZANELLA (a cura <strong>di</strong>), Sul <strong>di</strong>alogo. Contesti e forme <strong>di</strong> interazione verbale,<br />

Guerini e Associati, Milano 2002; S. TIROCCHI – R. ANDO’ – M. ANTENORE, Dalla generazione me<strong>di</strong>a alla<br />

networked generation, Guerini e Associati, Milano 2002.<br />

33<br />

Si veda a questo proposito: L. DI GREGORIO, Psicopatologia del cellulare. Dipendenza e possesso del telefonino,<br />

Franco Angeli, Milano 2003, il quale approfon<strong>di</strong>sce le nuove nevrosi legate al bisogno comunicativo indotte dalla<br />

telefonia mobile e, in una prospettiva più legata alla morale cattolica: C. GUARESCHI, New ad<strong>di</strong>ctions. Le nuove<br />

<strong>di</strong>pendenze. Internet, lavoro, sesso, cellulare e shopping compulsivo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005, pp. 129-<br />

145; a livello storico è invece interessante la lettura <strong>di</strong>: R. GRANDI – A. MASCIO, Tecnologie e linguaggio giovanile,<br />

in P. SORCINELLI – A. VARNI (a cura <strong>di</strong>), op. cit., p. 277-301.<br />

34<br />

Cfr. su queste tematiche: P. L. CAPUCCI (a cura <strong>di</strong>), Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie sul corpo e<br />

sulle sue facoltà, Baskerville, Bologna 1994


tentativo per rifondare una comunicazione simbolica basata su un co<strong>di</strong>ce con<strong>di</strong>viso, fatta <strong>di</strong><br />

attesa e <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong> venire contattati.<br />

Altri riti fondamentali sollecitati dai <strong>di</strong>namismi della moda sono quelli connessi all’apparire.<br />

Riconoscersi ed essere riconosciuti sono per un adolescente sensazioni estremamente legate alle<br />

modalità con cui si è in grado <strong>di</strong> uniformarsi ai cambiamenti imposti dalla moda nel campo<br />

dell’abbigliamento e, ancor più, <strong>degli</strong> accessori <strong>di</strong> abbigliamento 35 . In questo ambito sono<br />

estremamente vincolanti i parametri imposti dai mass me<strong>di</strong>a e in particolare dalla televisione. Il<br />

fenomeno più interessante da rilevare a questo proposito è il grande cambiamento imposto dal<br />

fenomeno dei reality show nei meccanismi <strong>di</strong> identificazione <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> 36 . Mentre fino a<br />

un decennio fa le gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>rettrici della moda e dell’apparire erano dettate dai cantanti <strong>di</strong><br />

successo internazionale – basti citare il caso <strong>di</strong> Madonna negli anni Ottanta e Novanta – con<br />

l’avvento <strong>di</strong> programmi quali “Il Grande Fratello” e “Uomini e Donne”, coloro che guidano i<br />

criteri dell’apparire sono ragazzi comuni che hanno ricevuto notorietà solo per il fatto <strong>di</strong> essere<br />

stati protagonisti <strong>di</strong> tali programmi senza particolari meriti artistici. I modelli <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong><br />

sono dunque essi stessi sempre più <strong>di</strong>namici ed intercambiabili, ma nel medesimo tempo ancora<br />

più idealmente vicini dal momento che vengono proposti come “persone comuni”. Il consumo<br />

<strong>di</strong>viene un rituale <strong>di</strong> adeguamento a modelli avvertiti come vincenti e soprattutto come modalità<br />

per acquisire una forma socialmente riconoscibile. Più precisamente, il vero rito, con<strong>di</strong>viso,<br />

necessitante, efficace, non sta solo nei comportamenti che questi programmi riescono ad<br />

attivare, ma si estende anche ai programmi stessi che si propongono con una serialità a lungo<br />

termine. Seguire l’evolversi delle vicende <strong>di</strong>viene necessario per acquisire un linguaggio e uno<br />

stile comuni e viene favorito anche dall’avvento dei canali satellitari che programmano 24 ore<br />

su 24 in presa <strong>di</strong>retta gli eventi relativi ai protagonisti dei reality. Un fenomeno nuovo è poi<br />

rappresentato dal programma “Amici”, condotto da Maria de Filippi e trasmesso dall’emittente<br />

“Canale 5”, sicuramente il reality più seguito ed amato dagli <strong>adolescenti</strong>. Si tratta <strong>di</strong> un<br />

programma in cui alcuni ragazzi con doti artistiche nei più <strong>di</strong>sparati campi dello spettacolo si<br />

sfidano settimanalmente al fine <strong>di</strong> eliminarsi fino all’in<strong>di</strong>viduazione del migliore, secondo il<br />

giu<strong>di</strong>zio del pubblico televisivo, espresso me<strong>di</strong>ante televoto. Le vicende <strong>di</strong> “Amici” vengono<br />

seguite con molta attenzione dagli <strong>adolescenti</strong> per <strong>di</strong>versi motivi: in primo luogo, perché il<br />

programma simula le lezioni <strong>di</strong> una scuola con finalità artistiche, proponendosi come modello<br />

ideale <strong>di</strong> istruzione, ossia come scuola davvero interessante perché lontana dai cliché abituali; in<br />

secondo luogo, perché i protagonisti vengono a ricoprire dei ruoli abbastanza riconoscibili (il<br />

solitario, l’eclettico, il socievole, l’altruista, il perfido, l’arrivista, il timido…) nei quali i<br />

telespettatori <strong>adolescenti</strong> a casa possono facilmente identificarsi; in terzo luogo, perché il<br />

programma riesce ad in<strong>di</strong>viduare e a rilanciare le aspirazioni <strong>di</strong> notorietà che sono molto <strong>di</strong>ffuse<br />

tra gli <strong>adolescenti</strong>. Seguire il programma <strong>di</strong>viene dunque un vero e proprio culto per i ragazzi e,<br />

in particolar modo, per le ragazze che, attraverso il meccanismo identificativo, vivono le<br />

vicende dei protagonisti mischiando i piani della finzione e della realtà, fino ad avvertire il<br />

successo o l’insuccesso del personaggio preferito come se fosse il proprio. Anche qui siamo in<br />

presenza <strong>di</strong> una certa formalizzazione del rito, offerta dalla standar<strong>di</strong>zzazione televisiva, che si<br />

esprime con un linguaggio verbale e simbolico altamente con<strong>di</strong>viso e imme<strong>di</strong>atamente<br />

deco<strong>di</strong>ficabile dai ragazzi 37 . Le sfide vengono ad essere delle vere e proprie liturgie, con<br />

35 A questo proposito, offre un panorama descrittivo estremamente ricco l’indagine svolta sui co<strong>di</strong>ci del vestire<br />

dall’antropologa O. Kyra Pistilli, la quale si sofferma ad analizzare il neosincretismo <strong>degli</strong> stili e delle mode <strong>di</strong> questi<br />

ultimi anni, legandoli anche al mondo giovanile. Cfr. O. K. PISTILLI, Dress Code. Sincretismi, cultura, comunicazione<br />

nella moda contemporanea, Castelvecchi, Roma 2005, in particolare le conclusioni, pp. 173-174.<br />

36 Cfr. P. G. LIVERANI, Minimanuale della famiglia televisiva, EDB, Bologna 2000.<br />

37 In un altro contesto, ossia analizzando la figura <strong>di</strong> Giovanni Paolo II come comunicatore me<strong>di</strong>atico, Daniel Dayan ha<br />

chiarito in modo estremamente efficace il ruolo della televisione nell’immaginario collettivo e nella costruzione <strong>di</strong><br />

comportamenti <strong>rituali</strong> nell’uomo <strong>di</strong> oggi: “E’ chiaro che la televisione non ha la funzione <strong>di</strong> un relais in<strong>di</strong>fferenziato, <strong>di</strong><br />

un semplice organo <strong>di</strong> trasmissione <strong>degli</strong> avvenimenti: la sua stessa tecnica ha una propria retorica che tende a plasmare<br />

la risposta <strong>degli</strong> spettatori, ai quali impone, se non dei contenuti precisi, almeno un certo registro <strong>di</strong> esperienza, e


momenti preparatori e riti finali, e vincolate da procedure rigide. L’identificazione che i<br />

personaggi consentono potrebbe far parlare <strong>di</strong> un vero e proprio rito me<strong>di</strong>atico, avvertito come<br />

necessitante, cogente e insieme come strumento capace <strong>di</strong> strutturare un senso valido per gli<br />

<strong>adolescenti</strong>, capace <strong>di</strong> riorganizzare i frammenti <strong>di</strong> esistenze spesso molto <strong>di</strong>fficili per motivi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versa natura. L’identificazione proiettiva permette <strong>di</strong> vivere, in maniera me<strong>di</strong>ata e insieme<br />

imme<strong>di</strong>ata, la situazione interpretata dai protagonisti, in formule del tutto nuove e veramente<br />

inesplorate, se si escludono i timi<strong>di</strong> tentativi esplorativi <strong>di</strong> alcuni antropologi, psicologi e<br />

semiologi tra cui M. Canevacci, A. Oliverio Ferraris e A. Grasso 38 . Anche in questo caso<br />

sarebbe improvvido definire come strettamente secolari le <strong>rituali</strong>tà me<strong>di</strong>atiche che si possono<br />

osservare, anche se, a prima vista, l’aspetto religioso sembrerebbe assente. Ma, se ci si sposta ad<br />

osservare l’evento dalla curvatura d’orizzonte <strong>di</strong> un adolescente, non ci si può non accorgere <strong>di</strong><br />

quanta commozione, compartecipazione, immedesimazione esso comporti dal punto <strong>di</strong> vista<br />

soggettivo e intersoggettivo. E’ presente, inoltre, anche l’aspetto sacrificale del rito, tradotto<br />

nella forma spuria della selezione me<strong>di</strong>ante televoto dei personaggi in sfida; sacrificio al quale<br />

partecipa tutto il popolo <strong>degli</strong> spettatori <strong>adolescenti</strong>, creando un forte pathos emotivo in loro,<br />

che rievoca il sangue delle arene riproposto in una forma meno cruenta, ma ugualmente<br />

efficace. Il “sacrificio” <strong>di</strong> uno dei due ragazzi entra a far parte <strong>di</strong> una drammaturgia che mutua<br />

alcuni elementi dal sacro, ma li reinterpreta in una forma secolare e con un linguaggio capace <strong>di</strong><br />

coinvolgere il sentire dei ragazzi. Ma, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> queste considerazioni, è evidente che la<br />

televisione <strong>di</strong>viene “mito”, per quanto mito debole e in movimento, capace <strong>di</strong> produrre i suoi<br />

riti. E i miti televisivi si propongono implicitamente a modello, permettendo ai ragazzi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rigere verso un centro la confusione che li contrad<strong>di</strong>stingue e <strong>di</strong> attingere dei riferimenti<br />

percepiti come pregnanti, un po’ come l’uomo del me<strong>di</strong>oevo cercava il senso della sua fede<br />

contemplando gli affreschi. Il paragone è sicuramente improprio, ma deve essere inteso a livello<br />

puramente formale, nel senso che l’adolescente cerca nelle immagini televisive un senso che lo<br />

rimotivi come in<strong>di</strong>viduo e, insieme, come membro <strong>di</strong> una società in cui si con<strong>di</strong>vidono “valori”<br />

comuni. E questo messaggio amalgamante viene oggi dalla televisione, grande fucina <strong>di</strong><br />

immagini, grande mitografa della postmodernità, anzi, mito in se stessa prima ancora che nei<br />

contenuti che veicola.<br />

II. 3. I riti <strong>di</strong> aggregazione tra sociale e virtuale<br />

Quando cerchiamo <strong>di</strong> definire la natura <strong>di</strong> un rito siamo generalmente propensi a pensare ad<br />

un’attività che si svolga in comune, con un linguaggio con<strong>di</strong>viso, in un dato spazio e in un dato<br />

tempo. In realtà, se analizziamo le <strong>di</strong>namiche delle nuove <strong>rituali</strong>tà giovanili, occorre subito<br />

mettere in evidenza che la vicinanza fisica, la prossimità dei partecipanti risulta una categoria da<br />

mettere in <strong>di</strong>scussione. La novità che ha mo<strong>di</strong>ficato lo scenario tra<strong>di</strong>zionale del “porsi in essere”<br />

del rito, infatti, è da ricercare nella rete che ha creato una forma <strong>di</strong> prossimità virtuale, per <strong>di</strong>rla<br />

con Bauman, coincidente con una <strong>di</strong>stanza reale 39 . Le abituali modalità <strong>di</strong> aggregazione e le<br />

<strong>rituali</strong>tà connesse non sono ovviamente scomparse: basti pensare ad alcuni riti <strong>di</strong> aggregazione<br />

<strong>di</strong>ffusi soprattutto tra i neoventenni, quali l’abitu<strong>di</strong>ne a consumare insieme agli amici, ad orari<br />

convenuti, l’aperitivo prima <strong>di</strong> cena, o le <strong>rituali</strong>tà della notte e del sabato sera, oppure, ancora,<br />

propone dei ruoli che, anche se me<strong>di</strong>ati, contrattati dagli spettatori stessi, contribuiscono alla costituzione o alla<br />

definizione della situazione presentata”. Tale analisi, valida per gli adulti, risulta ancora più efficace se posta in<br />

relazione agli <strong>adolescenti</strong>. Cfr. D. DAYAN, Présentation du pape en voyageur. Télévision expérience rituelle,<br />

dramaturgie politique, in « Terrain » 1990, 5, p. 20.<br />

38 Cfr. M. CANEVACCI, Antropologia della comunicazione visuale, Meltemi, Roma 2001; A. OLIVERIO FERRARIS,<br />

Tv per un figlio, Laterza, Roma-Bari 2004, in cui si esaminano soprattutto le modalità <strong>di</strong> approccio al mezzo televisivo<br />

dei bambini e dei pre<strong>adolescenti</strong>; A. GRASSO, Storia della televisione italiana. I 50 anni della televisione, Garzanti,<br />

Milano 2004, interessante dal punto <strong>di</strong> vista descrittivo; Id., Che cos’è la televisione. Il piccolo schermo fra cultura e<br />

società: i generi, l’industria, il pubblico, Garzanti, Milano 2003, importante a livello interpretativo.<br />

39 Cfr. Z. BAUMAN, L’amore liquido, cit., pp. 86- 87


quelle connesse al corpo 40 . Tuttavia è innegabile che, accanto alle forme <strong>di</strong> aggregazione<br />

abituali o alle loro traduzioni contemporanee in modelli con<strong>di</strong>visi, esiste da qualche anno una<br />

nuova modalità <strong>di</strong> aggregazione che va messa a tema, pena lo scavalcamento <strong>di</strong> una forma<br />

essenziale del vivere in gruppo propria <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> <strong>di</strong> oggi, ossia propria <strong>di</strong> una<br />

generazione svezzata con il pc e capace <strong>di</strong> sfruttarne appieno le potenzialità.<br />

II. 3.1. Il labirinto <strong>di</strong> internet e i suoi <strong>rituali</strong>: svelarsi attraverso il rivelarsi della rete.<br />

Stanno nascendo nuove modalità <strong>di</strong> conoscenza interpersonale che partono dall’assenza del<br />

corporeo proprio e altrui e si muovono in un puro virtuale sottratto ad ogni concretezza. Mi<br />

riferisco ai forum, ai blog, e soprattutto alla chat line,vere e proprie piazze me<strong>di</strong>atiche in cui è<br />

possibile incontrare un numero potenzialmente infinito <strong>di</strong> persone 41 . Soprattutto gli<br />

<strong>adolescenti</strong>, ma non solo, mostrano <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>re questa nuova modalità comunicativa, fatta <strong>di</strong><br />

parole che si compongono sullo schermo e che nascondono il segreto <strong>di</strong> un volto posto a pochi<br />

o molti chilometri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza. E, su questo puro virtuale, si innestano nuovi sentimenti, molto<br />

simili agli antichi nelle <strong>di</strong>namiche e nelle urgenze, ma da quelli <strong>di</strong>versissimi in quanto privati<br />

<strong>di</strong> ogni dato corporeo. Si sviluppano, in questo modo, le amicizie, gli amori e gli o<strong>di</strong> virtuali,<br />

molto spesso destinati a nascere e ad esaurirsi sullo schermo, oppure ad infrangersi in mille<br />

pezzi non appena si cerca <strong>di</strong> dare un abito meno aleatorio a questi rapporti 42 . Le nuove<br />

<strong>di</strong>namiche dell’affettività incominciano ora ad essere stu<strong>di</strong>ate ed è certamente compito <strong>degli</strong><br />

psicologi 43 , più che dei fenomenologi della religione, quello <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare le coor<strong>di</strong>nate<br />

interpretative precise. Ciò che mi preme rilevare, invece, è quanto siano, insieme, <strong>di</strong>stanti e<br />

identiche, le emozioni <strong>di</strong> chi un tempo scrutava il cielo alla ricerca <strong>di</strong> un segno <strong>degli</strong> dèi e <strong>di</strong><br />

chi, oggi, contemplando il piccolo universo dello schermo on line, si perde alla ricerca <strong>di</strong> un<br />

messaggio-impulso con il quale comunicare. Un aspetto che va assolutamente sottolineato,<br />

tuttavia, è che il rito non ha mai fine, ma risulta continuamente vivo, ventiquattrore su<br />

ventiquattro, giorno dopo giorno, mese dopo mese, senza esaurirsi mai 44 . I ragazzi si<br />

connettono e si <strong>di</strong>sconnettono da una “liturgia” dell’incontro che non ha mai fine e che può<br />

essere messa in atto quando se ne sente la necessità. In questo modo la <strong>rituali</strong>tà mantiene un<br />

suo aspetto chiaramente pubblico, ma embricato con una natura estremamente soggettiva. Per<br />

entrare nel rito o per uscirne è sufficiente un semplice clik rendendo la prossimità virtuale<br />

decisamente debole. Per Louise France 45 le nuove generazioni trovano molto più appagante e<br />

più scevro da pressioni emotive trovarsi, frequentarsi e abbandonarsi via internet piuttosto che<br />

farlo <strong>di</strong> persona, al punto da profetizzare la chiusura prossima <strong>di</strong> molte <strong>di</strong>scoteche e bar.<br />

L’analisi appare azzardata anche perché procede con un ragionamento <strong>di</strong>cotomico, quasi a <strong>di</strong>re<br />

che i ragazzi, oggi, optino per la via del virtuale a completo <strong>di</strong>scapito delle forme tra<strong>di</strong>zionali<br />

<strong>di</strong> aggregazione, il che non risponde al vero, almeno stando ai dati emersi dai questionari da<br />

me somministrati. E’ vero, invece, il contrario, ossia che gli <strong>adolescenti</strong> amano integrare le<br />

40<br />

Cfr. Su questi temi: F. LADAME, L’adolescence, entre rêve et action, in « Revue française de psychanalise » (1955),<br />

55, pp. 1491-1542 ; D. LE BRETON, Signes d’identité. Tatouages, piercings et autres marques corporelles, Métailié,<br />

Paris 2002. Per una definizione teorica dei riti <strong>di</strong> passaggio in rapporto all’adolescenza rimane sempre valida la<br />

consultazione <strong>di</strong> : J. GENDREAU, L’Adolescence et ses rites de passage, Gallimard, Paris 1959.<br />

41<br />

Per sondare la galassia in questione è molto utile la lettura <strong>di</strong>: M. B. LIGORIO – H. HERMANS, Identità <strong>di</strong>alogiche<br />

nell’era <strong>di</strong>gitale, Erickson, Gardolo (Tn) 2005, in particolare l’introduzione.<br />

42<br />

Cfr. T. CANTELMI – V. CARPINO, Tra<strong>di</strong>menti on line. Limite reale e virtuale dell’amore, Franco angeli, Milano<br />

2005.<br />

43<br />

Cfr. F. LADAME, Gli eterni <strong>adolescenti</strong>, Salani, Milano 2004, pp. 80-82.<br />

44<br />

P. Lévy è forse il primo che ha approfon<strong>di</strong>to queste tematiche già alla fine <strong>degli</strong> anni Novanta; si vedano: P. LÉVY, Il<br />

virtuale, Raffaello Cortina, Milano 1997; Id., Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano<br />

1999. Sugli stessi argomenti è interessante la lettura anche <strong>di</strong> due altri stu<strong>di</strong>, che, pur non facendo <strong>di</strong>retto riferimento al<br />

mondo <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, offrono uno sguardo d’insieme estremamente utile: J. MEYROWITZ, Oltre il senso del luogo.<br />

L’impatto dei me<strong>di</strong>a elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna 1993; H. VELENA, Dal cybersex al<br />

trasgender. Tecnologie, identità e politiche <strong>di</strong> liberazione, Castelvecchi, Roma 1995.<br />

45<br />

Cfr. L. FRANCE, love at the first site, in “Observer Magazine” , 30 giugno 2002


itualità classiche <strong>di</strong> aggregazione con le suggestioni provenienti dalle nuove possibilità offerte<br />

dalla rete, tanto da avvertire le seconde come complementari alle prime 46 . Molto <strong>di</strong>fferenti tra<br />

loro sono, poi, le forme <strong>di</strong> partecipazione ai meeting informatici: da un lato, infatti, vi è chi usa<br />

le chat per giocare un ruolo, per essere qualcun altro, per inscenare un sé ideale, totalmente<br />

sganciato dalla realtà, rifugiandosi in una relazione totalmente virtuale nella quale partecipare<br />

con un sé recitato 47 ; dall’altro, invece, vi è chi partecipa alle chat per il gusto dell’incontro<br />

casuale, giocando con se stesso, ma senza costruirsi una identità alternativa.<br />

Nel primo caso, l’adolescente usa l’anonimato che la chat consente per svelare le sue<br />

aspirazioni e, nel contempo, per rivelare, per tornare a nascondere, le sue insicurezze e il suo<br />

senso <strong>di</strong> inadeguatezza. Nel secondo caso, invece, l’adolescente gioca a rivelarsi me<strong>di</strong>ante una<br />

forma progressiva <strong>di</strong> svelamento, partendo con una comunicazione solo scritta e generica, per<br />

procedere con messaggi più personali e veritieri, fino ad approdare a forme <strong>di</strong> svelamento<br />

virtuale completo, magari attivando la webcam o scambiando con l’interlocutore un mms 48 . La<br />

scelta dello pseudonimo con cui si partecipa alla chat è in molti casi emblematica delle due<br />

<strong>di</strong>fferenti tipologie: chi ama svelare un sé alternativo al sé reale sceglie solitamente nicknames<br />

(pseudonimi) <strong>di</strong> fantasia ed allusivi, mentre chi cerca un contatto che consenta una certa<br />

rivelazione <strong>di</strong> sé, preferisce adottare nick che contengano una parte del nome, o le cifre<br />

dell’anno <strong>di</strong> nascita o quelle dell’età. In questo modo si offre sulla piazza telematica già un<br />

primo segno <strong>di</strong> riconoscimento implicito, per cui ci sarà chi verrà più attratto da nick <strong>di</strong> fantasia<br />

e chi invece cercherà <strong>di</strong> contattare nick contenenti informazioni più concrete. Il dato che<br />

emerge in entrambe le tipologie, comunque, è il desiderio <strong>di</strong> contenere il rischio, mascherato<br />

dall’idea <strong>di</strong> fare un gioco <strong>di</strong>vertente. <strong>Alcuni</strong> ragazzi non nascondono che, sebbene realizzati<br />

affettivamente e rinforzati da vali<strong>di</strong> rapporti <strong>di</strong> amicizia, avvertono l’esigenza <strong>di</strong> chattare,<br />

attività che definiscono liberatoria e, soprattutto, “piacevole”. “Lo faccio perché mi piace”,<br />

<strong>di</strong>cono quasi tutti i ragazzi intervistati che hanno <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> connettersi abitualmente a chat<br />

(circa il 75% del mio campione), “perché <strong>di</strong>verte”, “perché permette <strong>di</strong> conoscere gente<br />

simpatica”; e nessuno <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> sentirsi <strong>di</strong>pendente da questo comportamento, anche<br />

se il cyber relactional ad<strong>di</strong>ction è ormai una realtà <strong>di</strong>agnosticabile per cui è prevista una vera e<br />

propria terapia <strong>di</strong> <strong>di</strong>sintossicazione 49 . Anche in questi casi siamo in presenza <strong>di</strong> comportamenti<br />

decisamente <strong>rituali</strong> perché, pur nell’elaborazione soggettiva, le comunicazioni online seguono<br />

46 E’ <strong>di</strong> quest’avviso anche E. Gianni; cfr. Id., Percezione e comunicazione. Dal reale al virtuale, Guerra e<strong>di</strong>zioni<br />

GURU, Perugina 2005, in particolare il II capitolo.<br />

47 A questo proposito, il <strong>di</strong>battito fra gli stu<strong>di</strong>osi si fa serrato e contrastante: Vi è chi si pone davanti al problema con<br />

posizione più sfumate o problematiche, come T. Maldonado - che si ferma a descrivere le modalità attraverso cui la<br />

sofisticazione delle tecniche <strong>di</strong> simulazione virtuali trasformi profondamente il rapporto tra la realtà e le sue<br />

rappresentazioni, soprattutto negli <strong>adolescenti</strong>, ma non solo - o come U. Fa<strong>di</strong>ni – per il quale l’uomo contemporaneo e<br />

soprattutto l’adolescente sperimentano attraverso il virtuale un nuovo pensiero collettivo, che contiene rischi ma anche<br />

opportunità ; e vi è chi, invece, esprime un giu<strong>di</strong>zio recisamente negativo sul mondo del virtuale, come V. Andreoli -<br />

che descrive a tinte forti il pericolo del virtuale per lo sviluppo dell’identità adolescenziale - o J. Baudrillard - che, su un<br />

piano più filosofico, accusa la virtualità <strong>di</strong> cancellare dal mondo ogni carattere trascendentale. Cfr. T. MALDONADO,<br />

Reale e virtuale, Feltrinelli, Milano 2005; U. FADINI, Soggetti a rischio. Fenomenologia del contemporaneo, Città<br />

Aperta, Troina (En) 2004; V. ANDREOLI, Dietro lo specchio. Realtà e sogni dell’uomo <strong>di</strong> oggi, Bur, Milano 2005; J.<br />

BAUDRILLARD, Violenza del rituale e realtà integrale, Le Monnier, Firenze 2005.<br />

48 Cfr. La ricerca compiuta da M. Drusian su un campione <strong>di</strong> 1200 <strong>adolescenti</strong>: M. DRUSIAN, Acrobati nello specchio<br />

magico.L’esperienza <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> in chat, Guerrini e associati, Milano 2005, in particolare il primo capitolo. Per<br />

un’interpretazione del fenomeno si vedano: A. ROVERSI, Chat line. Luoghi ed esperienze della vita in rete, Il Mulino,<br />

Bologna 2001; S. TOMASSINI, Chat line.Dalla stanza delle chiacchiere alla vita reale, E<strong>di</strong>mond, Perugina 2003.<br />

49 “<strong>Alcuni</strong> segni clinici della cyber relactional ad<strong>di</strong>ction possono essere: 1. ha bisogno <strong>di</strong> passare molto tempo in rete<br />

per intraprendere relazioni amicali e/o sentimentali; 2. Perde interesse per le relazioni amicali e/o sentimentali offline; 3.<br />

Ha ripetutamente tentato senza successo <strong>di</strong> controllare, ridurre o interrompere il protrarsi <strong>degli</strong> scambi amicali e/o<br />

sentimentali on line. “ C. GUARESCHI, New ad<strong>di</strong>ctions. Le nuove <strong>di</strong>pendenze: internet, lavoro, sesso, cellulare e<br />

shopping compulsivo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, p. 53. Su questo argomento è utile anche la<br />

consultazione <strong>di</strong>: V. CARETTI – D. LA BARBERA, Psicopatologia delle realtà virtuali, Masson, Milano 2001, che<br />

contiene ampie sezioni de<strong>di</strong>cate al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza.


una certa formalizzazione e hanno una <strong>di</strong>mensione pubblica sulla quale si può innestare una<br />

<strong>di</strong>mensione più privata. Risultano, poi, estremamente efficaci ed appaganti dal punto <strong>di</strong> vista<br />

emotivo, ma nel contempo anche “necessitanti” soprattutto per quegli <strong>adolescenti</strong> che si<br />

sentono inappropriati rispetto ai modelli estetici e sociali <strong>di</strong> riferimento. Le chat lines sono<br />

infine capaci <strong>di</strong> creare delle simboliche forti, in grado <strong>di</strong> incidere anche sul linguaggio, inteso<br />

come segno, ma anche come strumento comunicativo, ampliando la concezione stessa <strong>di</strong><br />

relazione amicale a <strong>di</strong>mensione anche virtuale, in cui prossimità e <strong>di</strong>stanza possono coesistere<br />

senza entrare in contrad<strong>di</strong>zione. Il rito della cybercomunication è, quin<strong>di</strong>, solo apparentemente<br />

un gioco, un puro <strong>di</strong>vertissement, perché molto spesso viene ad essere la via attraverso cui<br />

giocarsi nella relazione senza rischiare l’insuccesso, e la modalità attraverso la quale gli<br />

<strong>adolescenti</strong> sondano le <strong>di</strong>verse potenzialità simboliche della loro fantasia. Viene ad essere una<br />

sorta <strong>di</strong> communitas debole 50 , all’interno della quale si realizzano <strong>rituali</strong> deboli e nello stesso<br />

tempo capaci <strong>di</strong> proiettare l’in<strong>di</strong>viduo? in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> apertura e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità al<br />

mondo, facendolo sentire sia soggetto in solitu<strong>di</strong>ne che parte <strong>di</strong> un gruppo eterogeneo e<br />

variegato, in cui ciascuno, però, può sentirsi accolto.<br />

II.3.2. I sentieri della notte e i suoi <strong>rituali</strong>: varcare la soglia della quoti<strong>di</strong>anità<br />

I comportamenti <strong>rituali</strong> più con<strong>di</strong>visi dagli <strong>adolescenti</strong> da me intervistati, soprattutto i maggiori<br />

<strong>di</strong> se<strong>di</strong>ci anni, sono sicuramente quelli connessi al sabato sera. <strong>Pesaro</strong>, la città dove è stata<br />

svolta l’indagine, <strong>di</strong>sta solo una ventina <strong>di</strong> chilometri dalle <strong>di</strong>scoteche della riviera romagnola,<br />

le più famose d’Italia e, ovviamente, i giovani frequentano quasi esclusivamente questi locali,<br />

al punto che nel comune non esistono più locali da ballo, se si escludono quelli che si<br />

rivolgono agli amanti del liscio o dei latino-americani. Il sabato sera, dunque, si produce un<br />

grande esodo verso nord, che si conclude sul far del giorno successivo, quando il flusso si<br />

inverte. L’organizzazione della serata segue un copione piuttosto formalizzato: prima ci si<br />

incontra con gli amici, per un aperitivo e/o per una pizza, o per recarsi al cinema, poi, verso<br />

mezzanotte e mai prima, ci si mette in marcia per arrivare al locale prescelto intorno all’una.<br />

Qui si permane alcune ore dopo<strong>di</strong>ché, generalmente verso le quattro della mattina, si esce e ci<br />

si reca al bar per consumare la prima colazione, magari dopo aver fatto una passeggiata o aver<br />

passato un certo periodo <strong>di</strong> tempo in intimità col proprio partner. In questo modo si è fatta<br />

l’alba e, sul far del giorno, si riprende la via <strong>di</strong> casa. Questo schema, con poche varianti, mi è<br />

stato descritto da oltre 40 dei 63 ragazzi da me intervistati con più <strong>di</strong> se<strong>di</strong>ci anni, con toni<br />

entusiastici. L’esperienza della <strong>di</strong>scoteca sembra essere una parentesi in grado <strong>di</strong> riconciliare<br />

l’adolescente con il quoti<strong>di</strong>ano, ossia <strong>di</strong> legittimare le fatiche della settimana che <strong>di</strong>ventano il<br />

pre-testo <strong>di</strong> questo momento sospensivo, vissuto come qualitativamente superiore. Il sabato<br />

sera viene descritto come il momento privato <strong>di</strong> una generazione, in cui gli adulti non possono<br />

entrare, soprattutto perché non sono ritenuti in grado <strong>di</strong> capirlo. Si tratta <strong>di</strong> una vera e propria<br />

no man’s land, per <strong>di</strong>rla con Nina Berberova 51 , nella quale si può essere davvero se stessi<br />

senza subire il giu<strong>di</strong>zio parentale o <strong>degli</strong> adulti. Il tempo del sabato sera si sospende tra gli<br />

estremi della quoti<strong>di</strong>anità, avvertiti come grigi, tristi, inutili, e <strong>di</strong>viene capace <strong>di</strong> innervare<br />

nuova linfa vitale perché, quasi come una catarsi, rinnova attraverso la sua frenesia obliante. Il<br />

ballare, poi, è forse la <strong>rituali</strong>tà che più <strong>di</strong> ogni altra riscopre le sue ra<strong>di</strong>ci intrinsecamente<br />

religiose, anche se percepite come totalmente secolari dai ragazzi. Ballare, muoversi al ritmo<br />

della musica house o tecno, significa scegliere una modalità per veicolare con il corpo una<br />

sorta <strong>di</strong> cancellazione dell’io e della comunicazione verbale, per produrre uno stato in cui sia<br />

possibile venire trasportati fuori <strong>di</strong> sé 52 . Nelle parole dei ragazzi si intravede una sorta <strong>di</strong><br />

traduzione istantanea ed imme<strong>di</strong>ata del concetto <strong>di</strong> liminalità elaborato dalla grande tra<strong>di</strong>zione<br />

50 Cfr. A. TURSI, Me<strong>di</strong>azioni, spazi, linguaggi e soggettività delle reti, Costa & Nolan, Genova 2005; in particolare, si<br />

veda la seconda parte, de<strong>di</strong>cata alle soggettività in<strong>di</strong>viduali, collettive, comunitarie che emergono nella rete.<br />

51 Cfr. NINA BERBEROVA, Il giunco mormorante, Adelphi, Milano<br />

52 I. CHAMBERS, Ritmi urbani: pop music e cultura <strong>di</strong> massa, Costa & Nolan, Genova 1996, p. 43 e ss.


dell’antropologia culturale, in particolare da Van Gennep e V. Turner 53 , secondo i quali i riti <strong>di</strong><br />

passaggio si strutturano attorno a tre fasi: quella della <strong>di</strong>sgregazione, quella della transizione e<br />

quella della reintegrazione. La preparazione e la scelta del look prima, seguendo determinati<br />

stereotipi e canoni estetici con<strong>di</strong>visi, l’esodo verso il locale poi, l’entrare nella sala da ballo,<br />

depositare gli oggetti al guardaroba, finire <strong>di</strong> prepararsi e infine entrare nel recinto vero e<br />

proprio, sembrano tutti comportamenti tesi ad una sorta <strong>di</strong> spoliazione del soggetto dal suo<br />

status, dal suo “io” sociale definito. La <strong>di</strong>scoteca viene ad essere proprio lo spazio separato<br />

inconsapevolmente “sacro” del rito secolare messo in atto dagli <strong>adolescenti</strong>, mentre la notte a<br />

cavallo tra il sabato e la domenica, un tempo sospeso, assoluto, che si smaterializza in un<br />

prolungato istante, per tutte le ore che si vivono dentro la <strong>di</strong>scoteca. Non è un segreto per<br />

nessuno che alcuni ragazzi, al fine <strong>di</strong> creare una sensazione <strong>di</strong> maggiore imme<strong>di</strong>atezza,<br />

accompagnano l’ingresso nelle <strong>di</strong>scoteche con il consumo <strong>di</strong> sostanze stupefacenti, dalle più<br />

leggere e tra<strong>di</strong>zionali, quali hashish e marijuana, alle più pesanti e chimiche, o, più<br />

semplicemente, con la prima consumazione <strong>di</strong> superalcolico al fine – per usare il loro<br />

linguaggio – <strong>di</strong> favorire il “lasciarsi andare 54 .<br />

Le ore trascorse nella <strong>di</strong>scoteca, poi, rappresentano il momento <strong>di</strong> transizione, quelle in cui, per<br />

parafrasare Turner, i soggetti <strong>rituali</strong> attraversano un periodo e una zona <strong>di</strong> ambiguità 55 . E’<br />

evidente, infatti, la volontà <strong>di</strong> trasformare il ballo in uno “sballo”, fino a produrre in sé una<br />

sorta <strong>di</strong> stato alterato della personalità, che assomiglia per certi versi agli stati <strong>di</strong> trance delle<br />

religioni afro-americane e sciamaniche, ma che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> questi ultimi, è<br />

paradossalmente molto meno organizzato e me<strong>di</strong>ato. Mentre le culture afro-americane<br />

inseriscono i riti estatici in un percorso <strong>di</strong> iniziazione che prevede specifici riti <strong>di</strong> passaggio e<br />

lunghi appren<strong>di</strong>stato, i riti legati alla ricerca <strong>di</strong> emozione <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> risultano molto<br />

meno me<strong>di</strong>ati e, paradossalmente più selvaggi, rispetto a quelli delle religioni <strong>di</strong> trance, in cui<br />

il sacro, apparentemente selvaggio, si mostra in forme che R. Bastide ha definito come<br />

“addomesticate” 56 . Infine, l’uscita dalla <strong>di</strong>scoteca e il rientro risultano essere un vero e proprio<br />

ritorno alla quoti<strong>di</strong>anità, una reinterpretazione della normalità che <strong>di</strong>venterà definitiva solo il<br />

lunedì mattina.<br />

Occorre osservare che i riti del sabato sera si stanno inoltrando sempre <strong>di</strong> più nel cuore della<br />

notte, quasi a sancire con maggiore forza la loro carica <strong>di</strong>rompente e <strong>di</strong> rottura rispetto agli<br />

schemi della quoti<strong>di</strong>anità, legati alle ore <strong>di</strong>urne. Essi vengono percepiti, infatti, come una sorta<br />

<strong>di</strong> “anti-tempo” rigenerante, in cui non è necessario <strong>di</strong>mostrare alcunché con la razionalità, ma<br />

tutto viene affidato all’evidenza della corporeità, ossia come vere e proprie liturgie <strong>di</strong><br />

purificazione capaci <strong>di</strong> liberare dalle scorie lasciate nei soggetti dagli obblighi sociali.<br />

L’elemento religioso non viene mai formalizzato in quanto tale, perché per gli <strong>adolescenti</strong> il<br />

campo semantico <strong>di</strong> un aggettivo come “religioso” appare molto determinato e sostanzialmente<br />

connesso alle pratiche <strong>di</strong> culto, ma emerge con evidenza dalla loro verbalità descrittiva ricca <strong>di</strong><br />

connotazioni che rievocano quasi un’idea postmoderna <strong>di</strong> <strong>di</strong>onisiaco. Anche il tragico sacrificio<br />

che ogni sabato sera viene pagato dalle nuove generazioni in termini <strong>di</strong> morti per incidenti<br />

stradali sembra essere considerato dagli <strong>adolescenti</strong> quasi necessario, qualcosa <strong>di</strong> certamente<br />

tremendo, ma, insieme, ineluttabile e, in quanto tale, incapace <strong>di</strong> fungere da deterrente, e così il<br />

rito si ripete, comunque e con le stesse modalità, ogni sabato.<br />

53 A. VAN GENNEP, I riti <strong>di</strong> passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1992, in part. Pp. 14-21; V. TURNER, Il<br />

processo rituale, cit, in particolare pp. 111-141; Id., Dal rito al teatro, cit.<br />

54 Su questo tema, si vedano i recenti stu<strong>di</strong> <strong>di</strong>: E. CALVANESE, La reazione sociale alla devianza. Adolescenza tra<br />

droga e sessualità, immigrazione e “giustizionalismo”, Franco Angeli, Milano 2005; G. MARRONE, Sensi alterati.<br />

Droghe, musiche, immagini, Meltemi, Roma 2005; P. RIGLIANO, Piaceri drogati. Psicologia del consumo <strong>di</strong> droghe,<br />

Feltrinelli, Milano 2004; AA.VV., S-travolti dal solito destino. Manuale per sopravvivere in <strong>di</strong>scoteca, AIEP, San<br />

Marino 2000.<br />

55 V. TURNER, Il processo rituale, cit., p. 112<br />

56 Cfr. R. BASTIDE, Il sacro selvaggio ed altri scritti, Jaka Book, Milano 1977, p. 198


Davanti a tali fenomeni, occorre interrogarsi con luci<strong>di</strong>tà se si vuole cercare una me<strong>di</strong>azione con<br />

gli <strong>adolescenti</strong> 57 . Occorre essere capaci <strong>di</strong> comprendere quanto questa ricerca <strong>di</strong> eccedenza oltre<br />

l’io, questa necessità <strong>di</strong> sospensione dal pensiero, comunichi e sia pregnante nell’orizzonte <strong>di</strong><br />

senso dei ragazzi, pena la mortificazione <strong>di</strong> un vissuto profondo che, in quanto tale, non può<br />

venire solo stigmatizzato dagli adulti. Occorre anche domandarsi se una certa propensione al<br />

<strong>di</strong>onisiaco, inteso come momento <strong>di</strong> hybris, <strong>di</strong> sfrenatezza, <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>atezza, non sia in qualche<br />

modo connaturata all’essere umano. Di conseguenza, è necessario interrogarsi se le nostre<br />

culture, abbandonando la pratica organizzata <strong>di</strong> un certo <strong>di</strong>onisiaco, non l’abbiano fatto scadere<br />

in un momento totalmente selvaggio e scevro da qualsiasi addomesticamento; pericoloso,<br />

dunque, perché incontrollabile.<br />

II. 4. La cura del corpo come rito: le nuove forme della <strong>di</strong>cotomia corporeitàrazionalità<br />

E’ stato da più punti osservato che il postmoderno sarebbe il tempo della riconvergenza tra<br />

corporeo, psichico e spirituale o, come osserva più propriamente Terrin, della nostalgia <strong>di</strong> tale<br />

riconvergenza 58 . Se questo è vero in chi, da nuovo nomade dello spirito, va alla ricerca <strong>di</strong> una<br />

religione trans-religiosa che, dribblando l’appartenenza ad una tra<strong>di</strong>zione, attinge qualcosa da<br />

tutte percorrendo un itinerario spirituale soggettivo, risulta meno vero, o, forse, meno<br />

consapevole nei ragazzi, che vivono il loro tempo e la loro epoca in modo decisamente<br />

imme<strong>di</strong>ato. Se il credente postmoderno si interessa <strong>di</strong> pratiche <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione che fanno del<br />

corpo il centro esperienziale del vissuto religioso, gli <strong>adolescenti</strong>, al contrario, sono<br />

ossessionati da un’idea <strong>di</strong> corpo, indotta dai modelli mass-me<strong>di</strong>atici, <strong>di</strong> cui non sono quasi mai<br />

consapevoli. Nati in un contesto in cui l’apparire è significato primo ed ultimo, i ragazzi <strong>di</strong><br />

oggi sembrano percepirsi risolti nel loro rapporto con la corporeità, che curano come nessuna<br />

generazione precedente ha fatto, ma solo raramente riescono a mettere a tema che, prendendosi<br />

cura della loro fisicità, inseguono un modello ideale e stereotipato, una vera e propria “idea<br />

astratta” del corpo. La <strong>di</strong>cotomia corporeità-razionalità è in loro presente più che mai e si<br />

manifesta in un pensare il corpo che, a volte, rischia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare una vera e propria ossessione,<br />

quando non <strong>di</strong>viene una patologia. La <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> malattie legate all’alimentazione, quali la<br />

bulimia e soprattutto l’anoressia 59 , ne è un chiaro esempio; ma, quand’anche non si giunga a<br />

una tale ra<strong>di</strong>calità patologica, appare evidente che l’inseguire un modello corporeo non è<br />

affatto vissuto dai ragazzi con serenità. E’ d’obbligo sottolineare come non si abbia fiducia del<br />

corpo come veicolo <strong>di</strong> conoscenza, e come lo si riduca a semplice canale <strong>di</strong> ricezione <strong>di</strong> un<br />

messaggio incapace <strong>di</strong> farsi emozione corporea autentica.<br />

Detto ciò, occorre rimarcare che nessuno ovviamente rimpiange i tempi in cui il corporeo era<br />

sinonimo <strong>di</strong> negatività, nessuno vagheggia un semplice “in<strong>di</strong>etro tutta”, che non ha senso <strong>di</strong> per<br />

sé. Ma è altresì necessario rilevare che tanto il corporeo quanto l’incorporeo <strong>di</strong> questa nostra<br />

civiltà evidenziano che oggi non sappiamo ancora vivere pienamente le urgenze del linguaggio<br />

del corpo e che la fisicità continua a rimanere avvolta nelle nebbie dell’indecifrabile.<br />

E questa idea debole-forte <strong>di</strong> corporeità, per quanto sotterranea e ambigua, è potentissima e<br />

capace <strong>di</strong> avviare una serie <strong>di</strong> riti che si possono inscrivere nell’ambito della “religione della<br />

corporeità”.<br />

57 A tale scopo, risulta molto utile la lettura <strong>di</strong>: F. DOLTO, I problemi <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, Tea, Milano 2005.<br />

58 Cfr. A. N. TERRIN, New Age, cit., p. 22 e ss.<br />

59 Si vedano a questo proposito: B. FABBRONE, Anoressia, bulimia. Una strategia per esistere, Alberti & C, Arezzo<br />

2005; R. A. GORDON, Anoressia e bulimia. Anatomia <strong>di</strong> un’epidemia sociale, Raffaello Cortina, Milano 2004; G.<br />

NARDONE – T. VERBITZ – R. MILANESE, Le prigioni del cibo. Vomitino, anoressia, bulimia, Tea, Milano 2005; P.<br />

BORGNA, Sociologia del corpo, Laterza, Roma-Bari 2005.


II. 4. 1. Lo sport come necessità attiva; i riti della pratica sportiva<br />

Tra le tante <strong>rituali</strong>tà inerenti al corpo, occupano un posto <strong>di</strong> assoluto rilievo quelle connesse alla<br />

pratica sportiva. Tra i desideri più ricorrenti <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> da me intervistati, infatti, emerge<br />

in modo nettissimo quello relativo al raggiungimento <strong>di</strong> una forma fisica prestante, me<strong>di</strong>ante la<br />

pratica <strong>di</strong> uno sport (63su 158) 60 . Accanto al desiderio <strong>di</strong> modellare il proprio corpo, tuttavia,<br />

nelle risposte <strong>di</strong> molti ragazzi si manifesta anche un altro obiettivo: raggiungere la notorietà<br />

me<strong>di</strong>ante i propri meriti sportivi. Raramente la pratica dello sport viene presentata, quin<strong>di</strong>, come<br />

un’opzione salutista, come una scelta mirata al miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni generali<br />

dell’organismo, o, più semplicemente, come un mezzo per <strong>di</strong>strarsi e <strong>di</strong>vertirsi. Molto più<br />

frequentemente, infatti, nelle risposte dei ragazzi si rileva un’ombra <strong>di</strong> tensione, che rivela<br />

quanto molti <strong>adolescenti</strong> si sentano costretti a praticare in maniera agonistica un’attività<br />

sportiva, ossia a raggiungere in tale attività dei risultati concreti in vista <strong>di</strong> un salto <strong>di</strong> qualità e,<br />

magari, <strong>di</strong> una carriera quale professionisti. La fruizione dell’attività sportiva avviene quin<strong>di</strong><br />

quasi sempre me<strong>di</strong>ante la frequentazione <strong>di</strong> associazioni e <strong>di</strong> club privati che chiedono ai<br />

partecipanti un impegno assiduo negli allenamenti in vista <strong>di</strong> mini tornei 61 . Gli allenamenti si<br />

svolgono dalle due alle cinque volte per settimana, a seconda del livello nel quale si è inseriti, a<br />

cui si deve aggiungere il match del sabato. Se questo risulta vero in modo particolare per la<br />

componente maschile, perlopiù impegnata negli sport tra<strong>di</strong>zionali, quali il calcio e la<br />

pallacanestro, non significa che le ragazze non siano coinvolte da tale fenomeno. Per queste,<br />

infatti, la pratica sportiva sembra ancora poco <strong>di</strong>ffusa e legata a sport quali la pallacanestro, la<br />

pallavolo e la ginnastica artistica, ma risulta molto alta la percentuale <strong>di</strong> <strong>adolescenti</strong> che<br />

frequentano scuole <strong>di</strong> danza classica, moderna e contemporanea, con impegni non meno gravosi<br />

<strong>di</strong> quelli dei loro compagni.<br />

Per i ragazzi che compiono queste scelte, quin<strong>di</strong>, lo sport o l’attività fisica <strong>di</strong>vengono fortemente<br />

vincolanti e poco spontanei, legati a orari precisi e schemi fissi, all’interno <strong>di</strong> gruppi selezionati<br />

che funzionano come delle micro-comunità in cui ciascuno acquisisce un ruolo definito 62 , tanto<br />

da assumere quasi il carattere spurio <strong>di</strong> una lenta e continua iniziazione in vista del rito vero e<br />

proprio che coincide con il match o con l’esibizione artistica. L’obiettivo più o meno<br />

consapevole, poi, è quello <strong>di</strong> poter ottenere riconoscibilità e prestigio sociale attraverso il<br />

successo e la bravura <strong>di</strong>mostrati in campo o in palcoscenico, conformandosi così, a livello <strong>di</strong><br />

immaginario, ai miti deboli che agiscono su <strong>di</strong> loro. Mi riferisco ai modelli <strong>di</strong> adulti, consacrati<br />

dai mass me<strong>di</strong>a, che hanno ottenuto successo – quali i calciatori o le veline, solo per fare <strong>degli</strong><br />

esempi banali ma chiari per tutti – i quali esercitano un vero e proprio magnetismo mitico presso<br />

gli <strong>adolescenti</strong>, soprattutto quelli compresi fra i 15 e i 16 anni. L’opzione sportiva, quin<strong>di</strong>, perde<br />

quasi completamente i connotati lu<strong>di</strong>ci per trasformarsi in una sorta <strong>di</strong> <strong>rituali</strong>tà secolare,<br />

impegnativa e vincolante, che pretende un appren<strong>di</strong>stato d’iniziazione e una partecipazione forte<br />

e assolutizzante dell’in<strong>di</strong>viduo. Si muove sullo sfondo <strong>di</strong> uno scenario mitico, imme<strong>di</strong>ato e<br />

coinvolgente, che, tuttavia, per <strong>di</strong>rla con Terrin, manifesta anche la sua limitatezza, perché<br />

povero <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione e <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci 63 . Ma, seppure tale analisi risulta corretta, ciò non toglie che, pur<br />

nella debolezza dei miti <strong>di</strong> riferimento, pur nella prosaicità del suo porsi in essere, i riti legati<br />

all’attività corporea risultano molto pregnanti per gli <strong>adolescenti</strong>, per i quali le analisi<br />

antropologiche contano poco, mentre risultano molto più rilevanti i significati con<strong>di</strong>visi. E, da<br />

questo punto <strong>di</strong> vista, è innegabile che il messaggio <strong>di</strong> fondo che le nostre società sono sempre<br />

pronte a rilanciare attraverso i pulpiti me<strong>di</strong>atici è che la bellezza e la prestanza fisica sono un<br />

60<br />

Il dato viene anche confermato da una recente indagine sociologica: A. ALEDDA, Dove va lo sport del 2000? Cosa<br />

pensano i giovani dell’attività sportiva, Società Stampa Sportiva, Roma 2003<br />

61<br />

Cfr. A. TETTAMANZI, I giovani e lo sport. Quale le motivazioni? Grafiche Biesse, Venezia 2005, in particolare il<br />

primo capitolo.<br />

62<br />

Cfr. A. G. NACCARI, Pedagogia della corporeità. Educazione, attività motoria e sport nel tempo, Morlacchi,<br />

Perugia 2003, p. 46 e ss.<br />

63<br />

Cfr. A. N. TERRIN, Il rito, cit., pp. 391-393


passe partout per una “vera” realizzazione <strong>di</strong> sé, ossia per una realizzazione <strong>di</strong> sé intesa come<br />

capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare visibili socialmente.<br />

M. Augé. C. Bromberger, E. Archetti, R. de Matta, V. Turner, C. Riviere 64 hanno, poi,<br />

equiparato lo sport alla religione analizzando fenomeni connessi alla pratica sportiva, come, ad<br />

esempio, quello del tifo. In questo senso, i <strong>rituali</strong> sportivi si consumano in nuovi spazi sacri, gli<br />

sta<strong>di</strong>, che raccolgono migliaia <strong>di</strong> persone mosse da una fede sportiva forte al punto da poter<br />

motivare anche atti <strong>di</strong> violenza. Il tifo, in questo senso, sembra una forma <strong>di</strong> fede secolare,<br />

imme<strong>di</strong>ata e quasi irrazionale, in grado <strong>di</strong> conferire ad<strong>di</strong>rittura un’identità al soggetto, il quale si<br />

riconosce parte <strong>di</strong> una comunità ampia e capace <strong>di</strong> definirsi in relazione agli altri. Per gli<br />

<strong>adolescenti</strong> questo è ancora più vero, perché il bisogno <strong>di</strong> definirsi e <strong>di</strong> ritagliarsi un’identità<br />

forte è un processo costitutivo e naturale della loro età. Gli idoli sportivi, ma non solo, sembrano<br />

costituire un pantheon postmoderno, una famiglia <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità consacrate dalla forza dei<br />

linguaggi mass me<strong>di</strong>atici e, in particolar modo, televisivi, con cui, da un lato, ci si può<br />

identificare, al punto che è possibile vivere tramite loro delle emozioni forti e coinvolgenti, ma<br />

che, dall’altro, rimangano inavvicinabili e quin<strong>di</strong> incorruttibili.<br />

Anche in questo caso non si può non concordare con l’analisi <strong>di</strong> Terrin, che definisce tali<br />

manifestazioni “religioni senza miti o con miti rabberciati” 65 . Ma, ugualmente, è necessario<br />

osservare che, se ciò appare evidente allo sguardo dell’antropologo, risulta molto meno<br />

manifesto per una generazione per cui i veri miti e i veri riti pregnanti sono questi e non altri;<br />

per una generazione che avverte a fatica che esiste un’eccedenza <strong>di</strong> significato, un “oltre” mitico<br />

e religioso più denso. Attraverso i riti sportivi attivi e passivi, gli <strong>adolescenti</strong> sentono <strong>di</strong><br />

compiere azioni efficaci, recuperano una sensibilità simbolica, ancorché clau<strong>di</strong>cante,<br />

comunicano significati con<strong>di</strong>visi, utilizzano un linguaggio gestuale e verbale specifico e insieme<br />

altamente comunicativo; in altre parole, riescono a spezzare le gabbie della solitu<strong>di</strong>ne e a<br />

sperimentare una relazionalità addensante impiegando quel tanto, o quel poco, <strong>di</strong> strumenti che<br />

riescono a reperire o che vengono loro messi a <strong>di</strong>sposizione dal mondo <strong>degli</strong> adulti o dal sistema<br />

culturale imperante che gli adulti stessi hanno lasciato loro in ere<strong>di</strong>tà.<br />

CONCLUSIONE<br />

Oltre il secolare e oltre il religioso: i riti della con-fusione<br />

Dalla ricognizione appena presentata emerge, a mio avviso, il dato essenziale che le categorie<br />

classiche <strong>di</strong> “religioso” e <strong>di</strong> “secolare” appaiono inadeguate a descrivere certe <strong>rituali</strong>tà <strong>di</strong> una<br />

parte consistente del mondo giovanile. Sono inconsistenti, in primo luogo perché pretendono <strong>di</strong><br />

attagliarsi a fenomeni <strong>rituali</strong> che non vengono avvertiti né come secolari né come religiosi da<br />

chi li mette in atto. In secondo luogo, sembrano forzati in rapporto ad un contesto che, perdendo<br />

una nozione certa <strong>di</strong> religiosità, perde simultaneamente anche un concetto chiaro <strong>di</strong> secolarità.<br />

Nel vissuto <strong>di</strong> molti <strong>adolescenti</strong>, infatti, si realizza una sorta <strong>di</strong> religiosità inconsapevole senza<br />

miti forti <strong>di</strong> riferimento, ma ancora capace <strong>di</strong> rilanciare una prassi rituale necessitante e<br />

addensante significati. Una religiosità vaga il cui senso primo e ultimo consiste in una spinta a<br />

collocarsi nel mondo con un’identità in rapporto al mondo stesso. Il carattere <strong>di</strong> questa messa a<br />

fuoco che i riti <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> consentono loro, tuttavia, risulta sempre più vago e in<br />

chiaroscuro secondo dei parametri razionali, mentre mantiene ancora una sua forza espressiva se<br />

si considerano i suoi aspetti emotivi e simbolici. Il sacro cercato dagli <strong>adolescenti</strong> è qualcosa <strong>di</strong><br />

spurio e non catalogabile a freddo, perché viene a coincidere con una muta e, per certi versi,<br />

inconsapevole, ricerca <strong>di</strong> senso, <strong>di</strong> esperienza, <strong>di</strong> linguaggi emotivi <strong>di</strong> cui, senza nemmeno<br />

64 Cfr. M. AUGÉ, Football, de l’histoire sociale à l’anthropologie religieuse, « Le Débat » (1982), 19, pp. 59-67 ; C.<br />

BROMBERGER, Allez l’OM, Forza Juve, « Terrain » (1987), 8, pp. 8-41 ; R. DE MATTA, Notes sur le football<br />

bràsilien, « Le Débat » (1982), 19, pp. 68-76 ; V. TURNER, Dal rito al teatro, cit., p. 68 e ss. ; C. RIVIÈRE, I riti<br />

profani, Armando, Roma 1995, 129-149.<br />

65 A. TERRIN, op. cit., p. 393.


saperlo, si sentono privi. Insofferenti ai linguaggi ammuffiti e alle metafore morte della<br />

tra<strong>di</strong>zione liturgica, i ragazzi vanno alla ricerca <strong>di</strong> un’imme<strong>di</strong>atezza espressiva che si fa rito<br />

spontaneo, in cui i segni non rimandano ad altro in maniera conscia, ma sono comunque capaci<br />

<strong>di</strong> far emergere un orizzonte <strong>di</strong> senso per cui valga la pena vivere e sperare nell’imme<strong>di</strong>ato. Ma,<br />

per il fatto che queste <strong>rituali</strong>tà sono prive <strong>di</strong> una struttura consapevole, risultano anche molto<br />

fragili quando si è in presenza <strong>di</strong> eventi che con lo spontaneismo non si riescono ad affrontare,<br />

quali il lutto o la sofferenza. Allora quelle <strong>rituali</strong>tà secolari, ammantate da elementi vagamente<br />

religiosi, fino ad allora capaci <strong>di</strong> offrire una <strong>di</strong>mensione simbolica efficace, in grado <strong>di</strong> far<br />

percepire un orizzonte e un oltre l’orizzonte, crollano su loro stesse perché non riescono a<br />

sciogliersi mai in gran<strong>di</strong> significati consapevoli.<br />

Attraverso le <strong>rituali</strong>tà più imme<strong>di</strong>ate dell’aggregazione, i giovani cercano, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> trovare un<br />

valore rispetto all’insensatezza del vivere che percepiscono, senza comprendere in modo lucido,<br />

intorno a sé e che vedono rappresentata nel mondo <strong>degli</strong> adulti, sempre più fluttuante e instabile.<br />

Si creano simboliche private <strong>di</strong> attraversamento della realtà e le con<strong>di</strong>vidono tra loro,<br />

metabolizzando i co<strong>di</strong>ci dell’immagine e dei mass-me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> cui sono estremamente padroni od<br />

utilizzando i nuovi strumenti <strong>di</strong> comunicazione come nuove, infinite, opportunità per sentirsi<br />

parte <strong>di</strong> una communitas spontanea. Nel fare questo, usano i loro co<strong>di</strong>ci, che sono avvertiti come<br />

quelli “privati” <strong>di</strong> una generazione e che spesso sono la conseguenza della solitu<strong>di</strong>ne<br />

comunicativa in cui le nuove generazioni sono state lasciate. Parlano con i linguaggi che<br />

conoscono e mettono in scena loro stessi attraverso i simboli che sono riusciti a reperire, con<br />

l’intento <strong>di</strong> organizzare un senso religioso del mondo in cui il valore primo è quello dello “star<br />

bene” e, soprattutto, dell’essere adeguati al valore dello “star bene”. Il secolare e il religioso si<br />

intrecciano <strong>di</strong>ventando quasi inestricabili nei loro riti o, per essere più precisi, in contesti<br />

secolari tentano <strong>di</strong> innervare un senso religioso <strong>di</strong> cui non sono esplicitamente consapevoli, che<br />

serva a trasformare i <strong>rituali</strong> messi in atto in azioni capaci <strong>di</strong> organizzare un senso e <strong>di</strong> permettere<br />

una proiezione <strong>di</strong> sé nel mondo. Una <strong>rituali</strong>tà secolare, quella <strong>di</strong> molti <strong>adolescenti</strong>, che sembra<br />

vagamente religiosa, ma decisamente <strong>di</strong>mentica della religione, che permetta tuttavia attraverso<br />

un videogioco, una chattata, una nottata in <strong>di</strong>scoteca o quant’altro, <strong>di</strong> entrare in un mondo<br />

intenso, emozionante, vero ancorché non sempre reale.<br />

Se, per quanto riguarda i nuovi riti <strong>di</strong> aggregazione, o quelli legati alla costruzione del senso, si<br />

può benissimo parlare <strong>di</strong> <strong>rituali</strong>tà ispirate ad una religione senza miti, come suggerisce Terrin,<br />

per quanto riguarda i riti connessi alla religione della corporeità la definizione appare molto<br />

meno calzante. In effetti, a ben vedere, sullo sfondo <strong>di</strong> queste <strong>rituali</strong>tà è presente un mito, quello<br />

dell’apparire come essenza, capace <strong>di</strong> raccogliere e riconnettere tra loro le logiche del mercato,<br />

le logiche del linguaggio dell’immagine, le logiche dei linguaggi mass-ma<strong>di</strong>atici. Si tratta<br />

ovviamente <strong>di</strong> un mito sganciato dalle tra<strong>di</strong>zioni religiose e da intendere più come principio<br />

ispiratore <strong>di</strong> racconti che propriamente come racconto in se stesso, ma potentissimo nelle sue<br />

capacità affabulatorie. Un mito, se vogliamo, capace <strong>di</strong> produrre racconti in molti ambiti e <strong>di</strong><br />

affascinare con la forza delle sue lusinghe l’immaginario <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, ai quali è stato<br />

empiricamente insegnato, a più livelli, e con le prassi sociali, che ciò che conta veramente è<br />

essere funzionali al sistema <strong>di</strong> consumo, è essere mercato vivente. E questo viene mutuato dagli<br />

<strong>adolescenti</strong> osservando le prassi sociali più che da insegnamenti morali chiaramente espressi,<br />

perché, a questo livello, nessuno avalla la liceità del mito <strong>di</strong> riferimento, anzi, al contrario, tutti<br />

lo avversano. In questa scissione tra una morale più o meno agganciata nella sua sostanza<br />

verbale alla tra<strong>di</strong>zione e una prassi <strong>di</strong> segno totalmente opposto, che comunica nei<br />

comportamenti <strong>degli</strong> adulti e, molto <strong>di</strong> più, nei messaggi dei mass-me<strong>di</strong>a, quanto tutto sia stato<br />

ridotto a merce – per <strong>di</strong>rla con quella bella intuizione <strong>di</strong> Spengler 66 - è sicuramente il secondo<br />

66 Già negli anni Venti, un libero pensatore quale O. Spengler affermava come l’economia, <strong>di</strong>venuta teoria economica<br />

con il pensiero inglese, abbia progressivamente trasformato il concetto <strong>di</strong> bene in quello <strong>di</strong> merce, con la conseguenza<br />

che «al posto <strong>di</strong> un pensare in termini <strong>di</strong> beni subentra un pensare in termini <strong>di</strong> denaro», che concretizza una logica<br />

capace <strong>di</strong> porre attenzione solo alla quantità piuttosto che alla qualità; cfr. O. SPENGLER, Il tramonto dell’Occidente,


polo ad avere la meglio e ad essere forte nel rilanciare una serie <strong>di</strong> <strong>rituali</strong>tà che permettano<br />

all’idea dell’in<strong>di</strong>viduo-merce e dei valori-merce <strong>di</strong> essere sempre più vincente.<br />

Se la situazione è questa, tuttavia, non significa che sia muta ogni speranza. Al contrario, mi<br />

pare <strong>di</strong> scorgere nella maggior parte dei giovani una silenziosa ma vivida richiesta <strong>di</strong> aprirsi ai<br />

significati, <strong>di</strong> venire educati a superare l’imme<strong>di</strong>atezza <strong>di</strong> certe situazioni, <strong>di</strong> trovare<br />

interlocutori <strong>di</strong>sposti a con<strong>di</strong>videre, non già le <strong>rituali</strong>tà descritte, ma un po’ <strong>di</strong> tempo, per<br />

avviare un <strong>di</strong>alogo autentico e non moralistico. E <strong>di</strong> aprirsi a una sincera <strong>di</strong>sponibilità, a volte da<br />

<strong>di</strong>rozzare, a volte solo da sollecitare, non se ne dovrebbero mai <strong>di</strong>menticare i sacerdoti, gli<br />

educatori e, soprattutto, i genitori.<br />

Longanesi, Milano, 1981 (I ed. 1918), pp. 1363-1364. Ma <strong>di</strong>rei che l’autore che con più autorevolezza ha sottolineato il<br />

progressivo inclinamento della cultura occidentale verso l’avere è sicuramente: E. FROMM, Avere o essere?<br />

Mondadori, Milano, 1977.

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