Alcuni rituali degli adolescenti - Provincia di Pesaro e Urbino
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Il rito deve avere, innanzitutto, una <strong>di</strong>mensione collettiva che, pur non soffocando il<br />
contributo soggettivo, sia predominante e capace <strong>di</strong> produrre senso per coloro che vi<br />
partecipano. Questo, ovviamente, comporta una certa formalizzazione del rito, nel senso che<br />
esso deve avere dei precisi caratteri morfologici riconosciuti e riconoscibili da chi lo mette in<br />
atto. Inoltre deve venire reiterato, perché la ripetizione lo rende comprensibile. Ma l’elemento<br />
più importante è senza dubbio da ricercare nell’attesa o nella speranza <strong>di</strong> efficacia che ad esso<br />
vengono attribuite, ossia nella convinzione che quel rito sia ritenuto in grado <strong>di</strong> produrre un<br />
cambiamento. Ovviamente, l’efficacia è profondamente connessa alle <strong>di</strong>namiche simboliche<br />
che il rito stesso è in grado <strong>di</strong> attivare e non tanto ai significati verbali a cui esso fa riferimento 7 .<br />
In altre parole, il rito non è efficace perché i partecipanti comprendono ciò che <strong>di</strong>cono, o perché<br />
il significato delle loro azioni possiede un carattere razionalmente identificabile, quanto<br />
piuttosto perché risulta nel suo insieme comunicativo, coinvolgente e addensante il senso 8 . “Il<br />
rito – osserva giustamente Isambert – è un linguaggio efficace nel senso che agisce sulla realtà<br />
sociale” 9 , ma perché si <strong>di</strong>a il rito religioso occorre anche che esso si strutturi attorno ad una<br />
serie <strong>di</strong> gesti, <strong>di</strong> parole e <strong>di</strong> oggetti riconosciuti e che, soprattutto, si inscriva in una concezione<br />
aperta al trascendente 10 .<br />
I.3. Il rito dal punto <strong>di</strong> vista <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong><br />
Se le definizioni risultano chiare, più arduo è tuttavia compararle con la realtà esperienziale<br />
<strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong>, in cui tutto si presenta con contorni meno definiti e perentori. Partendo<br />
dall’ultima delle caratteristiche proposte, è necessario osservare che gli <strong>adolescenti</strong> si<br />
definiscono in larghissima maggioranza credenti, anche se <strong>di</strong>fficilmente riescono ad articolare il<br />
senso e il significato del loro credere quando si tenta <strong>di</strong> uscire da un piano puramente emotivo<br />
per passare ad un livello più razionale. Quello che occorre rilevare è che lo scenario <strong>di</strong> fondo in<br />
cui si inscrivono molti riti dei giovani è <strong>di</strong> tipo vagamente religioso, ossia contempla una sorta<br />
<strong>di</strong> riferimento al trascendente, ancorché non chiaramente messo a tema. Focalizzare questa<br />
sensibilità è fondamentale per comprendere l’ambiguità <strong>di</strong> certe manifestazioni <strong>rituali</strong>, perché ci<br />
permettere <strong>di</strong> comprendere che, in qualche maniera, molti aspetti del vissuto dei ragazzi - dalle<br />
relazioni interpersonali a quelle più specificatamente affettive - sono ammantati <strong>di</strong> un senso <strong>di</strong><br />
sacralità che coincide con un desiderio <strong>di</strong> emozione, a sua volta connesso con un bisogno <strong>di</strong><br />
traguardare il reale. La formalizzazione del rito, inoltre, non avviene in maniera rigida e<br />
strettamente prescrittiva, ma assume semmai le caratteristiche <strong>di</strong> una ispirazione, <strong>di</strong> una<br />
me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> singoli gesti, ciascuno dei quali spalanca una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> significati con<strong>di</strong>visi.<br />
I <strong>rituali</strong> <strong>degli</strong> <strong>adolescenti</strong> sono <strong>di</strong>fficilmente ingessati nella lettera dei loro contenuti verbali o<br />
gestuali, anche se risultano riconoscibili nei significati simbolici, cosa che <strong>di</strong>viene evidente se si<br />
pensa ai riti del sabato sera, che, pur non apparendo sempre identici nella forma, sono sempre<br />
riconosciuti e con<strong>di</strong>visi nei contenuti simbolici. Anche la ripetizione non appare quasi mai<br />
co<strong>di</strong>ficata, ma si mostra apparentemente libera da ogni agenda rigida, pur se è innegabile<br />
primo, ha proposto un’idea <strong>di</strong> rituale secolare, in<strong>di</strong>pendente dalla religione, anche se interpretata come spuria rispetto a<br />
quella inerente al religioso; cfr. Id., Les fonctions sociales du sacré, in Ouvres I, É<strong>di</strong>tions de Minuit, Paris 1968), <strong>di</strong> M.<br />
Douglas (che ha analizzato il rito soprattutto dal punto <strong>di</strong> vista della sua efficacia simbolica, guardando oltre la sola<br />
funzionalità sociale; cfr. Id., Purezza e pericolo, Il Mulino, Bologna 1975); <strong>di</strong> V. Turner (che ha sottolineato con forza<br />
che il rito si costituisce <strong>di</strong> cellule simboliche capaci <strong>di</strong> <strong>di</strong>saggregare, sospendere e riaggregare l’in<strong>di</strong>viduale nel<br />
collettivo, grazie l’attreversamento della fase liminale; ma fondamentale anche per aver introdotto il concetto <strong>di</strong><br />
“Liminoide”, intendendo con questo termine una sorta <strong>di</strong> rivisitazione spuria della liminalità nei contesti complessi<br />
delle culture occidentali contemporanee; Cfr., Id, Il processo rituale, Morcelliana, Brescia 1972 e Id, Dal rito al teatro,<br />
Il Mulino, Bologna 1986).<br />
7<br />
Attraverso l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> queste cinque caratteristiche fondamentali del rito, M. Segalen e F. A. Isambert hanno<br />
saputo evitare la deriva interpretativa che potrebbe portare a leggere ogni comportamento <strong>di</strong>ffuso come un rito. Cfr. M.<br />
SEGALEN, Riti e <strong>rituali</strong> contemporanei, cit., pp. 11-32.<br />
8<br />
Ib., p.25<br />
9<br />
F.-A. ISAMBERT, Le Sens du sacré. Fête et religion populaire, cit., p. 109<br />
10<br />
Ib., p. 110