Numero 4 â Novembre 2009 - Il Giullare
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32<br />
la bizona<br />
Cardelli, il libero<br />
ideale di Sacchi<br />
AServizio<br />
di<br />
Roberto Grazzini<br />
Foto di Cristiano Bianchi<br />
15 anni è capitano di quella fantastica formazione<br />
Berretti (il Montecatini era allora in C2) che approderà<br />
alla finali nazionali. Gioca con gente maggiorenne<br />
che gli obbedisce alla lettera. Impossibile<br />
che l’Empoli, da sempre un passo avanti a tutti<br />
nella scoperta dei giovani talenti, non lo noti. L’anno<br />
dopo è in casacca azzurra. Un effetto cromatico<br />
dal doppio significato perché oltre al colore sociali<br />
del club empolese è anche quello della Nazionale<br />
Under 16. Lui pensa alla difesa, Roberto Baggio<br />
all’attacco. Una stagione fantastica che si chiude<br />
con il prestito alla Fiorentina. Lì diventa il pupillo di<br />
Arrigo Sacchi nella Primavera viola. E’ perfetto nel<br />
chiamare il fuorigioco, alzano la mano ed urlando<br />
verso il guardalinee. Ancor più perfetto nel far<br />
salire la squadra come un elastico sincronizzato.<br />
“Massimo, fai tornare dietro Bortolazzi (ex secondo<br />
di Donadoni in Nazionale ndr) che mi tiene lunga<br />
la squadra” - gli urla il tecnico di Fusignano di<br />
cui ricorda le interminabili doppie lezioni tattiche,<br />
prima a lui poi alla squadra. Di Massimo si fidava<br />
ciecamente. Intanto dall’allora “Bar <strong>Il</strong>io” al sabato<br />
partivano le “macchianate” per andare a vedere “il<br />
Cardellino” giocare al campo militare. Papà Valerio<br />
seguiva in disparte, senza dire una parola, ma<br />
qualche volta sorridendo. “Sono stati due genitori<br />
fantastici che non hanno mai interferito nella mia<br />
carriera, lasciandomi libero di crescere” - dice<br />
Cardelli, che ci incontra nel suo appartemento di<br />
Via Pastrengo. Niente fa pensare ad una casa di<br />
ex calciatore ora allenatore. I ricordi sono in un<br />
cassetto, accuratamente ordinati. Alle pareti solo<br />
quadri. “Le senzazioni non sono da appendere, ti<br />
restano nel cuore” - taglia corto. Come il giorno<br />
che nasce la sua niportina, figlia della sorella Valeria,<br />
mentre lui giocava allo stadio dei Pini per le<br />
finali del Torneo di Viareggio. La folgorante annata<br />
del libero montecatinese non passa inosservata e<br />
la stagione successiva “Picchio” De Sisti lo porta<br />
in ritiro con la prima squadra. Tante convocazioni,<br />
ma nessun debutto. Nel frattempo esordisce con<br />
la nazionale juniores dove i compagni di reparto<br />
sono nientemeno che Luppi e Ciro Ferrara e vince<br />
il “Quattro Nazioni”. Silvano Bini, padre padrone<br />
dell’Empoli (e del suo cartellino) decide che è arrivato<br />
il momento di riportarlo nel club d’appartenenza.<br />
<strong>Il</strong> ragazzo è maturo. Ma lo era anche prima<br />
sotto tutti i punti di vista. L’Empoli, allora come<br />
“Je ne regrette rien”. Non rimpiango niente. La più bella canzone<br />
dell’usignolo Edith Piaf è la colonna sonora ideale per accompagnare<br />
quelle che sono state le gesta, restando nei francesismi,<br />
dell’enfant prodige del calcio montecatinese. Stiamo parlando di<br />
Massimo Cardelli, ragazzo dalla faccia pulita e dai modi garbati,<br />
nato (nel 1966) e cresciuto “Sottoverga” nonché campione predestinato<br />
che forse non ha raccolto tutto ciò che avrebbe meritato.<br />
Per chi non ha avuto la fortuna e il privilegio di conoscerlo, diciamo<br />
che la sua storia calcistica comincia nei ragazzini del Montecatini<br />
del maestro Cardelli (nessuna parentela solo un omonimo). Già<br />
dai primi calci si capisce che Massimo ha delle grandi capacità<br />
tecniche, ma soprattutto è un piccolo condottiero in campo. Gioca<br />
davanti la difesa e la visione totale del campo unita alle naturali<br />
dosi di posizione e alla spiccata personalità gli permettono, già in<br />
tenera; età di comandare il gruppo.<br />
adesso in serie B, guidato da mister Salvemini inizia<br />
la stagione in un girone di ferro di coppa Italia.<br />
L’Inter e l’Avellino sono le due compagini di serie<br />
A contro cui giocarsi la qualificazione. <strong>Il</strong> Castellani<br />
è indisponibile per i lavori di ristrutturazione e quel<br />
vecchio volpone di Bini, per la partita interna con<br />
l’Avellino, sfruttando l’effetto Cardelli, emigra al Mariotti.<br />
Già un’ora prima del fischio d’inizio i 4500 posti<br />
fra tribuna e gradinata sotto tutti occupati. Un<br />
applauso scrosciante accompagna l’ingresso in<br />
campo di quel ragazzino che dopo pochi minuti di<br />
gara stende, al limite del regolamento e dell’area di<br />
rigore, Ramon Diaz, portandogli via il pallone. L’applauso<br />
diventa un boato e l’incitamento “Massimo,<br />
Massimo” anticipa di vent’anni la nota acclamazione<br />
nel film “<strong>Il</strong> Gladiatore”. Stessa sorte, in altra<br />
sede, tocca a Rummenigge, nel turno successivo.<br />
E’ titolare inamovibile per i primi due mesi di campionato.<br />
Poi Salvemini, a cui piacciono i giovani, ma<br />
preferisce far giocare i veterani, lo sostituisce con<br />
Picano, che ha il doppio dei suoi anni. A distanza di<br />
tanto tempo, con umiltà disarmante, Cardelli difende<br />
la scelta del mister: “Ha fatto bene. Ero troppo<br />
giovane e lui per guidare la difesa voleva un giocatore<br />
esperto. Non gliene faccio una colpa, anzi lo<br />
ringrazio per avermi dato un’opportunità che tanti