Gabbia Bongiorno - Agnellini Arte Moderna
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tare il suo universo interiore. Si evolvono nel corso del<br />
tempo e possono anche essere associati gli uni agli altri.<br />
È per lui una forma di autobiografia redatta in palinsesto,<br />
a partire da elementi apparentemente comuni e senza<br />
qualità intrinseche. È il gesto del pittore o dell’incisore,<br />
il trattamento plastico e iconico cui tali elementi vengono<br />
sottoposti, i colori che vi sono associati e questo<br />
gioco incessante di combinazioni molto calcolate –<br />
senza dimenticare le variazioni di tecnica a seconda del<br />
progetto contemplato – che conferisce loro senso e profondità.<br />
E anche un fascino per l’occhio e per lo spirito.<br />
A questo metodo che gli è proprio, bisogna aggiungere<br />
un rapporto privilegiato con la letteratura, quella<br />
antica come quella contemporanea. Per Dine è un fattore<br />
indispensabile e un modo per ampliare il proprio<br />
ambito esistenziale in cui a volte le parole entrano nel<br />
gioco delle forme e delle tonalità, dal momento che le<br />
soluzioni tipografiche si mescolano all’organizzazione<br />
delle figure disegnate, dipinte o incise. Vi è in lui qualcosa<br />
di paradossale: da una parte i suoi “oggetti” figurativi<br />
sono perfettamente identificabili, dall’altra essi sfuggono<br />
a una logica seriale e sono quindi determinati da<br />
una logica puramente idiosincratica.<br />
I. Piccola enciclopedia dei soggetti di Jim Dine<br />
Nel corso degli anni sessanta, l’artista realizza collage<br />
(come la serie Thorpe-le-Soken nel 1966). La sua caratteristica<br />
è già quella di mescolare i collage con interventi<br />
a inchiostro e ad acquerello.<br />
Dopo le sue performance ideate nella prospettiva<br />
dell’happening, in un’ottica assai lontana da ciò che si<br />
faceva all’epoca – “ritenevo che fosse teatro pittorico e<br />
così pensava anche Oldenburg” 4 –, egli abbandona la<br />
tecnica del collage ereditata dall’epoca eroica dell’arte<br />
moderna (Cubismo, Dadaismo ecc.) senza per questo<br />
rinunciare alla libera associazione di elementi apparentemente<br />
disparati.<br />
In realtà, risalendo il corso degli anni, si può constatare<br />
come egli avesse già posto le fondamenta della propria<br />
ricerca pittorica conservando, perlomeno all’inizio, la<br />
presenza di oggetti, presentandoli tuttavia sotto una<br />
forma diversa e assegnando al quadro o al disegno una<br />
posizione predominante.<br />
Una cosa è certa: egli ha tenuto a stabilire una relazione<br />
molto personale e appassionata con gli oggetti dei<br />
quali si è servito, anche se l’ironia e l’aspetto ludico<br />
hanno controbilanciato quel carattere rivelatore delle<br />
sue emozioni e dei suoi affetti.<br />
È il contrario della Pop Art, in cui le cose e le immagini<br />
sono ri-prodotte con il maggior distacco possibile,<br />
come se l’artista avesse voluto realizzare un nuovo<br />
“prodotto” a partire dai prodotti di consumo corrente,<br />
dalla stampa e dai mass media in generale. C’è nella<br />
Pop Art una volontà di spersonalizzazione sia nei mezzi<br />
impiegati sia nell’atteggiamento del creatore. Il “soggetto”<br />
è quasi indifferente, almeno nel sistema di produzione<br />
(anche se, in fin dei conti, le composizioni dei<br />
migliori rappresentanti della Pop Art sono anch’esse<br />
fonte di emozioni estetiche molto forti; necessariamente<br />
ambigue, però, poiché traggono la loro efficacia<br />
da cose che possiedono già una seppur minima dimensione<br />
estetica).<br />
Alberi (cf. Piante)<br />
Autoritratto<br />
In un primo tempo Dine decide di mostrarsi attraverso<br />
l’intermediazione di oggetti familiari (cf. Vestaglia). In<br />
seguito dipinge bellissimi autoritratti realistici del proprio<br />
volto con la barba. Nel 1995 realizza una serie di autoritratti<br />
straordinari raccolti in un portfolio intitolato 55 Portraits,<br />
stampato dalla Pace Editions di New York. Domina<br />
il colore marrone, con interventi a volte del rosso e<br />
del giallo. Questa serie non è unica, dal momento che a<br />
partire da essa Dine esegue alcune stampe, come Self-<br />
Portrait, Blue and Now del 1998 o Blue Watercolor del<br />
2005.<br />
Cappello<br />
In Hat (1961) l’artista ha dipinto un cappello a bombetta<br />
su una tela, e un cappello è posto sul bordo di legno del<br />
quadro.<br />
Chiusura lampo<br />
Ha realizzato due quadri-collage nel 1962 utilizzando la<br />
chiusura lampo, The Black Zipper e The White Zipper,<br />
poi ha rinunciato a questo tema.<br />
Civetta (cf. Uccelli)<br />
Cornacchia (cf. Uccelli)<br />
Corvo (cf. Uccelli)<br />
Cravatta<br />
Questo articolo di vestiario l’ha interessato molto all’inizio<br />
degli anni sessanta, e l’ha rappresentato con una<br />
vena umoristica. Ciò emerge da composizioni come<br />
Two Black and White Ties (1961), An Informal Tie, Little<br />
Flesh Tie (una cravatta minuscola posta in un cerchio<br />
nella parte superiore del foglio monocromo), The Universal<br />
Tie (1961). La cravatta scompare rapidamente<br />
dalla sua mitologia.<br />
Cuore<br />
È senza alcun dubbio il suo tema preferito, nonostante<br />
non sia il primo a entrare nella sua collezione semantica.<br />
Lo si vede apparire in Two Hearts (Opera) nel 1970, una<br />
grande tela dipinta ad acrilico con uno scampolo di tessuto.<br />
I due cuori sono posti l’uno accanto all’altro e sono<br />
trattati in modo diverso. Sempre nel 1970 realizza una<br />
scultura in lamiera intitolata Two Rusting Hearts: si tratta<br />
di due cuori di forma stilizzata (come i piccoli cuori di<br />
San Valentino) di 170 x 170 cm, posti a terra e appoggiati<br />
contro il muro; i loro contorni sono delimitati ai lati e<br />
una grande linea scura li divide in due. A partire da quell’anno<br />
questo soggetto non lo abbandona più. Nel 1971<br />
firma Putney Winter (Swedish Shoes), in cui il cuore è<br />
ricoperto di graffiti e di piccoli oggetti. Poi nel 1972 realizza<br />
Sarkis in London, un dittico, e Antonio in Vermont,<br />
che risponde allo stesso principio ma è adornato di<br />
oggetti ironici. Bisogna sottolineare che all’epoca Dine<br />
tendeva ad associare i cuori agli amici, come se volesse<br />
dedicarli a loro.<br />
Da allora l’artista non smette più di modificare la<br />
forma del cuore. Gli attribuisce qualità di vario genere e<br />
lo associa presto ad altre figure. Lo si può osservare in<br />
Athéisme, una serie di sedici fogli presentati alla Galerie<br />
Beaudoin Lebon di Parigi nel 1986. 5 La più sconcertante<br />
di queste composizioni è senza dubbio quella in cui<br />
compare una croce bianca nel centro, con un teschio in<br />
basso a destra e il cuore rosso in basso a sinistra, mentre<br />
un polpo bianco si avvinghia alla croce nella parte<br />
superiore a sinistra; sotto il cuore è disegnato un delfino.<br />
Questa struttura ritorna in un’altra stampa in cui<br />
sono raffigurati gli stessi elementi, ma dove il delfino è<br />
stato sostituito, in un’altra posizione, da una conchiglia.<br />
L’universo sottomarino è ancora visibile in The Garrick<br />
Necklace (1986), in cui sono rappresentati una croce grigia<br />
e un pesce grigio con un teschio che indossa occhiali<br />
neri.<br />
Il cuore può anche essere associato a forme umane<br />
(nudi in un caso, una gamba che sembra tratta da una<br />
tavola anatomica, un teschio, in un altro). Infine, può<br />
essere dotato di un occhio al centro (una visione onirica<br />
che ritroviamo in diverse delle sue stampe successive)<br />
oppure rappresentato sul palmo di un guanto in pelle.<br />
In generale, questo soggetto è perlopiù legato ad<br />
altre sue grandi ossessioni, come la Vittoria di Samotracia<br />
nella scultura in bronzo dipinta di blu intitolata Hearts<br />
and Venus (1993).<br />
Il cuore ritorna come un leitmotiv anche diversi anni<br />
più tardi: ad esempio in Ex voto (1996), due cuori rosso<br />
intenso su fondo blu ricoperti di striature; in To the Lake<br />
(1998), dove si staglia su un fondo giallo e verde con<br />
degli alberi; o in Mask and Heart (2000), dove è messo<br />
a confronto con una bella maschera africana. È anche<br />
moltiplicato in uno stesso spazio, come ad esempio in<br />
Four Hearts at Sea (2005), con un intreccio di pennellate<br />
verdi, gialle e nere. Yellow Night, una litografia del<br />
2006, racchiude quattro cuori gialli su fondo giallo. In<br />
Seven Color Pass Dream (2006) quattro cuori policromi<br />
si stagliano su un fondo bianco.<br />
Il cuore possiede incontestabilmente un valore<br />
simbolico che il pittore non smette di declinare. È evidente<br />
che vi attribuisce diversi significati, tra cui uno è<br />
la manifestazione del sé (basti vedere la stampa Self in<br />
Ocean del 1991, dal titolo eloquente), uno è derisorio<br />
e un altro ancora è tragico. E non è escluso che egli vi<br />
attribuisca una connotazione religiosa, come dimostra<br />
una scultura in cui associa una delle sue Veneri in bronzo<br />
a una scultura di santo decapitato con un cuore<br />
ardente, il Sacro Cuore di Gesù (The Stew, 1990).<br />
Opere come Ex voto e l’accostamento del cuore e<br />
della croce nella serie Athéisme sembrano suggerirlo.<br />
Ad ogni modo questi riferimenti non indicano una religiosità<br />
dell’artista ma un interesse per l’iconografia<br />
religiosa, il che è molto diverso, tanto più che intitolare<br />
“Ateismo” un ciclo ricco di simboli cristiani è carico<br />
di conseguenze. Ma sarebbe vano tentare di decifrare<br />
in modo univoco i cuori di Dine: il loro valore iconico è<br />
metamorfico o anamorfico in funzione del loro collocamento<br />
in un insieme, dei loro colori e del loro trattamento<br />
pittorico.<br />
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JIM DINE<br />
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