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PUNTEGGIATURA<br />
1.<br />
Il romanzo era una piena assunzione di responsabilità del romanziere di fronte ai personaggi e alle loro vicende. Il<br />
romanziere poteva anche cercare di eclissarsi, scomparire di fronte all’esistenza oggettiva di quei personaggi che si<br />
presentavano perfettamente autonomi e autosufficienti, di fronte all’accadere obiettivo di quei fatti, che andavano come<br />
andavano, al di fuori di ogni invenzione o iniziativa dell’autore; poteva al limite arrivare alla poetica dell’impersonalità,<br />
quale fu teorizzata e predicata dal naturalismo francese e dal nostro verismo, poteva arrivare a pretendere, a imporsi che<br />
l’opera sembrasse “essersi fatta da sé”, come dice con strenua semplificazione il nostro Verga nelle poche righe del<br />
bozzetto L’amante di Gramigna; poteva, secondo l’affermazione di Zola, partire dal presupposto che la materia e la<br />
trama del racconto si trova sempre pronta presso quella grande, inesauribile fornitrice che è la vita quotidiana, sì che<br />
basta ritagliare una fetta di vita, una tranche de vie, per avere a disposizione quanto occorre al lavoro narrativo, esclusa<br />
quindi ogni elucubrazione immaginativa o fantastica; sta di fatto però che, anche dopo aver rinunziato a qualunque<br />
prerogativa di demiurgo o regista di quel mondo, di quello spettacolo o dramma di vivi che si raffigurava sotto i nostri<br />
occhi, il romanziere si riserbava ancora il privilegio, e insieme l’obbligo, del testimone che sapeva come e perché sono<br />
andate le cose.<br />
G. DEBENEDETTI, Il romanzo del Novecento, Milano, Garzanti, 1998, p. 113.<br />
2.<br />
Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol<br />
dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire.<br />
Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora<br />
che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte<br />
una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto<br />
ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.<br />
In questa conferenza cercherò di spiegare – a me stesso e a voi – perché sono stato portato a considerare la leggerezza<br />
un valore anziché un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza;<br />
come situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro.<br />
Comincerò dall’ultimo punto. Quando ho iniziato la mia attività, il dovere di rappresentare il nostro tempo era<br />
l’imperativo categorico d’ogni giovane scrittore. Pieno di buona volontà, cercavo d’immedesimarmi nell’energia<br />
spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cercavo di cogliere una<br />
sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e<br />
avventuroso che mi spingeva a scrivere.<br />
I. CALVINO, Lezioni americane, Milano Mondadori, 1993, pp. 7-8.<br />
3.<br />
INTRODUZIONE<br />
Quando Dacia Maraini ha raccontato, in un affollatissimo teatro torinese, che è sua abitudine scrivere i suoi romanzi di<br />
getto, senza farne una scaletta, i miei studenti di Scienze della Comunicazione hanno iniziato a rumoreggiare e a far<br />
commenti da stadio. Erano reduci da molte ore di esercitazioni passate nei laboratori di scrittura, in cui avevo insistito<br />
sull’importanza della progettazione del testo e dell’uso della scaletta: una ipotesi da usare come bussola nel complesso<br />
tragitto di costruzione del testo.<br />
L’incontro con Dacia Maraini faceva parte di un ciclo di seminari con i professionisti della scrittura. Con la sua<br />
immancabile sciarpa azzurra, Dacia Maraini raccontava la sua esperienza e rispondeva disponibile alle domande dei<br />
ragazzi. In particolare descriveva la scrittura di La lunga vita di Marianna Ucria le sue lunghe ricerche su vestiti,<br />
profumi e abitudini del Settecento, ma soprattutto la genesi della trama del romanzo, cresciuta insieme alla stesura del<br />
testo, mano a mano che il romanzo andava avanti. I personaggi e gli eventi si erano sviluppati durante la scrittura: era la<br />
scrittura che creava la storia, e Dacia Maraini non sapeva, all’inizio, come il suo romanzo sarebbe andato a finire.<br />
I ragazzi erano molto attenti; tra loro, probabilmente, si nascondevano alcuni romanzieri in erba. Compone un’opera<br />
letteraria di successo è uno dei desideri più diffusi, soprattutto fra i giovani; gli aspiranti scrittori sono tantissimi e un<br />
numero incredibile di manoscritti viene inviato agli editori. Pochissimi, però, diventano scrittori di professione; per<br />
costoro, il gioco di gioventù si trasforma in un vero e proprio lavoro. L’interesse per questa testimonianza mi ha spinto<br />
a raccoglierne altre e a confrontarle Ira loro. Così è nato questo libro.<br />
La carriera di uno scrittore segue percorsi diversi: c’è chi scopre la sua vocazione di scrittore fin da giovane e chi,<br />
invece, inizia a costruire romanzi da adulto, talvolta un po’ per caso. Anche l’attività di scrittore viene svolta in molti<br />
modi di diversi; c’è chi — come Alberto Moravia o Thomas Mann —
REGISTRI<br />
Riscrittura del brano di E. Brizzi<br />
Quella domenica pomeriggio, tanto somigliante a una giornata primaverile, il vecchio Alex aveva salito le scale di<br />
casa con in testa il presagio, meglio, con in testa l’istantanea premonitrice, della sua famiglia barricata in tinello a<br />
guardare gli scazzottamenti americani in televisione. Un istante più tardi, non s’era ancora sfilato il parka, aveva<br />
dovuto prendere atto che l’istantanea, di un realismo agghiacciante, gli provava quanto le sue facoltà di preveggenza<br />
stessero raggiungendo, con l’età, livelli negromantici sbalorditivi: erano tutti in salotto, e tutti variamente sgomenti o<br />
assorti di fronte alle vicende del forzuto Rocky IV. [...]<br />
Dall’archivio magnetico del signor Alex D. «Sono qui, martedì pomeriggio, sdraiato sul letto a pancia in su; in<br />
totale angoscia sotto le foto giganti di Malcom X e dei Pistols, ad ascoltare il demo degli Splatter Pink che mi ha<br />
prestato l’amico Hoge; senza aver studiato per domani; a cercare di scacciare i complessi di colpa che, come talpe,<br />
continuano a saltar fuori da tutte le parti. Sento la mamma che parla nel solito tono ansioso al telefono. Di sicuro c’è il<br />
Cancelliere, all’altro capo del filo. E di sicuro stanno parlando del signor Alex D. Ma non mi interessa sentire cosa<br />
dicono. Tanto lo so già. Si spreca. Si butta via. Non fa mai niente. E in questi ultimi tempi, poi». […]<br />
Comunque aveva provato a cercare Martino, verso metà pomeriggio. E a Martino era bastato sentire la voce di Alex<br />
che diceva «ciao» per capire che il nostro era giù di corda. Avevano scambiato due parole e si erano dati appuntamento<br />
per il sabato successivo secondo la consuetudine giovanile di bere alcolici e fermarsi poi a dormire a casa di uno dei<br />
due. Martino aveva due anni più di Alex. Si era fatto respingere senza rimorsi in prima liceo, ed era un po’ l’idolo<br />
tossico della scuola. Si frequentavano da non troppo tempo col patto tacito che lui non gli avrebbe fatto conoscere<br />
nessuno dei suoi amici alternativi. [...]<br />
Poi la nuova settimana aveva preso a scivolare via, triste e annoiata. Il vecchio Alex cercava di non pensare troppo<br />
ad Aidi. Lei, d’altra parte, non si faceva sentire. [...]<br />
Sono stato io a mostrare l’articolo sul giornale, ai miei genitori, per evitare che se ne accorgessero loro e<br />
pensassero che gliel’avevo tenuto nascosto perché c’era sotto qualche faccenda poco chiara. [...]. I miei genitori<br />
avevano sentito parlare ben poco del vecchio Martino, quindi non si sono molto inquietati, però mi hanno ugualmente<br />
tartassato di domande, hanno voluto sapere se avessi mai visto girare della droga, a scuola, o se ne avessi mai presa.<br />
[...]<br />
«Quest’estate, mi mandano ad Exeter in college», aveva detto Hoge. Quel ragazzo si stava spegnendo piano<br />
piano.
SINONIMI<br />
CONCITAZIÓNE<br />
[vc. dotta, lat. concitatione(m), da concitare 'concitare';1582] s. f. * Intensa agitazione dell'animo: 'essere in uno stato di<br />
estrema concitazione'; 'parlare con concitazione' | Impeto, foga:'concitazione di stile'.<br />
s. f.<br />
agitazione, commozione, vivacità, foga, impeto, slancio, smania, eccitazione, emozione, turbamento, confusione,<br />
nervosismo<br />
CONTR. calma, pacatezza, tranquillità, serenità, autocontrollo, quiete, placidità, imperturbabilità.<br />
SFUMATURE concitazione - emozione – nervosismo.<br />
Un'agitazione estrema, uno stato emotivo di grande eccitazione o turbamento si definisce "concitazione", parola che<br />
correntemente indica anche una foga particolare nel parlare o nell'agire. Anche"emozione" definisce un'agitazione viva<br />
e spesso improvvisa, ma il termine ha il significato più ampio di sentimento molto intenso, di moto dell'animo.<br />
"Nervosismo" ha un ambito d'uso più circoscritto, e indica uno stato emotivo permanente o temporaneo di irritabilità,<br />
tensione, agitazione.<br />
ATTITUDINE<br />
(1) [vc. dotta, lat. tardo aptitudine(m), da aptus 'adatto'; 1303 ca.]<br />
s. f. * Predisposizione verso particolari attività: 'avere attitudine per le lettere'; 'persona priva di particolari attitudini';<br />
'cavallo che ha attitudine al trotto'.<br />
attitùdine<br />
s. f.disposizione, idoneità, inclinazione, predisposizione, propensione, istinto, tendenza, vocazione # dono, bernoccolo,<br />
talento, stoffa # abilità, capacità, facoltà # mentalità<br />
CONTR. inidoneità, inattitudine # imperizia, incapacità, inettitudine, inabilità.<br />
SFUMATURE facoltà - attitudine – abilità<br />
Per "facoltà" si intende la capacità, la possibilità di fare qualcosa. Diversa cosa è l'"attitudine", che è la predisposizione<br />
naturale verso una determinata attività.<br />
Con "abilità" si sottolinea invece la particolare capacità nello svolgerla, cioè la bravura, la perizia.<br />
RICERCATÉZZA s. f.<br />
[av. 1764]<br />
s.f. 1 Caratteristica di chi (o di ciò che) è ricercato: 'la sua ricercatezza nel vestire'; 'la ricercatezza delle sue parole'.<br />
SIN. Affettazione. 2 (spec. al pl.) Azione o espressione improntate a una raffinata eleganza, a volte eccessiva: 'una<br />
ricercatezza stilistica dell'autore' (CALVINO); 'un discorso pieno di ricercatezze'.<br />
eleganza, buon gusto, raffinatezza # preziosismo, preziosità # concettosità # (spreg.) snobismo, affettazione, posa,<br />
artificio, artificiosità, maniera, manierismo<br />
CONTR. cattivo gusto, kitsch (ted.), pacchianeria # rozzezza, ineleganza # praticità, comodità # semplicità,<br />
essenzialità, lindura (fig.), pulizia (fig.), spontaneità # disinvoltura, naturalezza, immediatezza, scioltezza,<br />
spigliatezza.<br />
SFUMATURE ricercatezza – affettazione<br />
La caratteristica di ciò che è elegante, esclusivo, squisito è la "ricercatezza"; in senso negativo il termine definisce<br />
tuttavia un'eleganza eccessiva, perseguita a scapito della naturalezza e della semplicità. Se questa ricerca di eleganza dà<br />
luogo a comportamenti falsi e artificiosi si parla di "affettazione".<br />
SFUMATURE raffinatezza - squisitezza – ricercatezza<br />
La caratteristica di ciò che è estremamente fine, ricercato,elegante, a un alto livello di perfezione formale si definisce<br />
"raffinatezza".<br />
Un'estrema finezza d'animo, di sentimenti o capacità si dice "squisitezza", parola che riferita a cibi o bevande identifica<br />
ciò che è molto gradevole al gusto. Se l'eleganza e la raffinatezza sono risultato di una ricerca consapevole, studiata, e<br />
perfino artificiosa si parla allora di "ricercatezza": il termine contiene quindi una sfumatura negativa e spesso denota<br />
ciò che è affettato e manierato, in nessun caso naturalmente elegante.<br />
MUNÌFICO
[vc. dotta, lat. munificu(m) 'che compie il proprio dovere', comp. di munia 'doveri' e -ficus '-fico'; 1499] agg. (pl. m. -ci;<br />
come superl. munificentissimo) 1 Detto di chi è generoso e liberale nello spendere e nel donare: 'principe, signore,<br />
mecenate munifico. 2 Che dimostra generosità: 'offerta munifica'. || munificaménte, avv.<br />
agg.generoso, largo, liberale, magnifico, splendido<br />
CONTR. parsimonioso # avaro, gretto, spilorcio, taccagno, pidocchioso.<br />
SFUMATURE munifico – magnifico<br />
Chi è generoso nel donare è detto "munifico", termine utilizzato soprattutto in riferimento ad azioni di mecenatismo.<br />
"Magnifico" aggiunge alla munificenza una sfumatura di eccellenza, di grande eleganza, di bellezza.<br />
IGNOMINIA<br />
[vc. dotta, lat. ignominia(m), comp. di in- (3) e (g)nomen 'nome'; av. 1342] s. f. 1 Disonore e disprezzo generale in cui<br />
cade chi ha commesso un'azione vergognosa: 'coprirsi d'ignominia';'cadere nell'ignominia'; 'la fama d'un gentilom ... se<br />
una volta ... si denigra per codardia ... sempre resta vituperosa al mondo e piena d'ignominia' (CASTIGLIONE).<br />
SIN. Infamia, obbrobrio. 2 Chi (o Ciò che) è causa di disonore. 3 (fig., scherz.) Ciò che è contrario all'estetica e al buon<br />
gusto: 'quella statua è una vera ignominia'.<br />
ignomìnia s. f. disonore, infamia, vergogna, onta, vituperio, scorno # (fig., scherz.) obbrobrio, bruttura<br />
CONTR. onore, decoro, dignità, gloria # bellezza.<br />
SFUMATURE vergogna - onta - ignominia – scorno<br />
"Vergogna" è una consapevolezza penosa della gravità di un'azione commessa, tanto in relazione al proprio senso<br />
morale quanto al giudizio fortemente negativo altrui e al disonore o al discredito che ne consegue. "Onta" è parola di<br />
uso elevato, che esprime, oltre che una grande vergogna, anche un'offesa o un oltraggio di particolare gravità.<br />
"Ignominia" è termine letterario per esprimere il disonore di chi ha commesso un'azione o un fatto ignobile, infamante.<br />
"Scorno" si differenzia perché corrisponde a una vergogna che non è frutto di una condotta riprovevole ma di una<br />
sconfitta o un insuccesso, per cui si associa a essa un senso di umiliazione.<br />
ANNÈTTERE<br />
(o -é-)[vc. dotta, lat. adnectere, comp. di ad e nectere 'legare', da avvicinare a nodus 'nodo'; av. 1642]<br />
v. tr. (pres. io annètto o annétto; pass. rem. io annettéi, raro annèssi, tu annettésti; part. pass. annèsso o annésso) 1<br />
Unire, congiungere: 'annettere un magazzino alla fabbrica' | Allegare, accludere: 'annettere un foglio a una lettera' |<br />
(fig.) Annettere importanza a qlco., attribuirle, darle, importanza. 2 Conglobare tramite un'annessione: 'annettere una<br />
provincia a uno Stato' | Anche nella forma pron. 'annettersi': 'la Germania nazista si annetté l'Austria'.<br />
annèttere o annéttere v. tr. 1 congiungere, accoppiare, collegare, legare # aggregare, aggiungere # addizionare #<br />
allegare, accludere<br />
CONTR. disgiungere, dividere, disunire, separare, staccare, sciogliere, slegare 2 (di territorio) incorporare, occupare<br />
FRASEOLOGIA "annettere importanza", dare importanza.<br />
SFUMATURE incorporare - amalgamare – annettere<br />
Mescolare insieme due o più sostanze in modo da creare un'unica massa si dice "incorporare"; in altra accezione il<br />
verbo descrive l'azione di inserire un elemento in una struttura o in un organismo preesistente, avendo cura che il<br />
risultato finale sia di omogeneità e non di giustapposizione. Un'azione di fusione completa di più componenti in un<br />
insieme è descritta dal verbo "amalgamare", che si usa di preferenza in riferimento a ingredienti alimentari o a colori.<br />
"Annettere" esprime invece l'idea di aggiungere un elemento accessorio a un tutto già strutturato, che alla fine non<br />
risulta modificato, ma solo ampliato.<br />
SUPPÓRRE<br />
[vc. dotta, dal lat. supponere, propr. 'porre (ponere) sotto (sub)'; av. 1276]<br />
v. tr. (coniug. come porre) 1 (qlco.; +che seguito da congv.; +di seguito da inf.) Presumere in via d'ipotesi, immaginare<br />
che qlco. sia accaduto o possa accadere in un determinato modo: 'suppongo che sia come dici tu'; 'suppongo che tu non<br />
sia d'accordo'; 'supponi di partire domani'; 'spesso mi sono ingannato, supponendo nella gente sentimenti troppo delicati'<br />
(DE SANCTIS). 2 +Porre sotto. 3 +Sostituire, scambiare, una persona con un'altra.<br />
Suppórre v. tr. (qlco., +che + congv., +di + inf.) immaginare, opinare, argomentare, arguire, pensare, credere, giudicare,<br />
sospettare, temere # presumere, congetturare, presupporre, figurarsi, fingere, ammettere, ipotizzare, porre, mettere il<br />
caso, far conto<br />
CONTR. affermare, asserire, constatare, avere la certezza.<br />
SFUMATURE credere - supporre - arguire - sospettare
"Credere" è ritenere vera una cosa; da qui il significato di stimare, reputare come veritiero o anche di immaginare come<br />
molto probabile. In quest'ultimo significato un suo sinonimo è "supporre", che è presumere in via di ipotesi qualcosa<br />
come probabile. In "arguire" l'opinione che ci si è fatta è il risultato di deduzioni logiche che si fondano su una serie di<br />
indizi e premesse. Con "sospettare" si fa invece riferimento al formarsi di un'opinione sulla base di indizi e<br />
supposizioni.<br />
COMPÈNDIO<br />
[vc. dotta, lat. compendiu(m) 'risparmio, abbreviazione, via più breve', da compendere 'pesare assieme'; av. 1349] s.<br />
m. 1 Riduzione o trattazione sintetica del contenuto di un testo, di un argomento, di una materia e sim.: 'un<br />
compendio di letteratura latina' | "In compendio", (fig.) in breve, in succinto, in sostanza.<br />
SIN. Riassunto, sommario. 2 In paleografia, scrittura di una parola per sintesi dei segni alfabetici più significativi di<br />
essa. 3 (fig.) Sintesi di elementi diversi: 'la vita è un compendio di miserie'.|| compendiàccio, pegg. | compendiétto,<br />
dim. | compendìno, dim. | compendiòlo, compendiuòlo, dim. | compendiùccio, dim.<br />
Compèndio s. m. 1 riassunto, sunto, riduzione, raccolta, riepilogo, ricapitolazione, sintesi, specchietto, sommario,<br />
summa, epitome, sinossi (lett.), abstract (ingl.), abrégé (fr.), Bignami® (pop.), breviario, condensato, estratto,<br />
manuale 2 insieme, somma, complesso<br />
FRASEOLOGIA "in compendio" (fig.), in breve, in succinto.<br />
SFUMATURE compendio - epitome – estratto<br />
"Compendio" è la trattazione sintetica del contenuto di un testo, di un argomento, di una disciplina.<br />
Nel caso in cui ad essere compendiata sia un'opera di notevole vastità si ha un'"epitome".<br />
Diverso, perché non frutto di una rielaborazione, è l'"estratto", capitolo di un libro o articolo di una rivista stampato<br />
autonomamente su un fascicolo usando la stessa composizione tipografica del volume o della rivista stessi.<br />
PRODIGO<br />
[vc. dotta, lat. prodigu(m), da prodigere 'spingere avanti a sé', poi metaforicamente 'sperperare', comp. di prod-<br />
'avanti' (V. prode) e agere 'spingere'; av. 1292] A agg. (pl. m. -ghi) 1 Che dà o spende senza misura: 'essere prodigo<br />
dei propri averi' | "Figliol prodigo", (fig.) chi, dopo un periodo di sbandamento morale, si ravvede e torna sulla<br />
buona strada.<br />
SIN. Dissipatore, scialacquatore.<br />
CONTR. Avaro. 2 (fig.) Generoso: 'essere prodigo di premure, di consigli, di attenzioni'. || prodigaménte, avv. Da<br />
prodigo, con prodigalità: 'vivere, dare prodigamente'. B s. m. (f. -a) * Chi dona o spende con eccessiva larghezza.<br />
pròdigo agg. 1 scialacquatore, dilapidatore, dissipatore, spendaccione, sprecone, sciupone<br />
CONTR. avaro, stretto, tirato, gretto, meschino, pitocco (fig.), pidocchioso (fig.), spilorcio, tirchio, taccagno,<br />
sparagnino 2 (fig.) generoso, liberale, munifico, brillante, splendido, largo CONTR. economo, sobrio, frugale,<br />
misurato, parsimonioso, parco # ingeneroso<br />
FRASEOLOGIA 'figliol prodigo', chi si ravvede dopo un periodo di sbandamento.<br />
SFUMATURE generoso - liberale - caritatevole - altruista - prodigo<br />
Chi dona con larghezza o presta gratuitamente la sua opera a vantaggio di altri è "generoso". "Liberale" contiene una<br />
sfumatura di magnanimità, di generosità anche morale.<br />
Il termine "caritatevole" aggiunge alla volontà di dare una disposizione amorevole, che viene incontro allo stato di<br />
necessità di chi riceve. "Altruista" è colui che nel dare mette l'interesse altrui innanzi al proprio.<br />
"Prodigo" è sinonimo più elevato di generoso, ma può anche definire chi spende senza misura banàle [fr. banal<br />
'appartenente a un feudo (ban), d'uso comune'; 1877] agg. * Detto di ciò che è convenzionale, assolutamente<br />
comune, privo di originalità e di significato particolare: 'persona, conversazione banale'; 'libro, film banale' | Di poco<br />
conto: 'si tratta di un banale incidente'. || banalménte, avv. In modo banale, con banalità.<br />
banàle agg. scontato, convenzionale, comune, usuale, senza originalità, conformista, impersonale, superficiale, ovvio,<br />
trito, rifritto, risaputo, piatto, scialbo, sciapo, prosaico, oleografico, incolore, insignificante, insipido, corrente, terra<br />
terra<br />
CONTR. originale, eccentrico, estroso, raro, non comune, stravagante, strano, colorito, capriccioso, incomparabile,<br />
eccezionale.<br />
SFUMATURE banale - ovvio - trito – rifritto<br />
"Banale" è ciò che è privo di originalità, valore, interesse particolare. "Ovvio" è invece ciò che si presenta con<br />
immediatezza alla mente ed è facile a pensarsi, in senso negativo indica ciò che è così evidente da risultare
scontato. "Trito" descrive argomenti e idee abusati e dunque né efficaci né interessanti. Anche "rifritto" suggerisce<br />
l'immagine di un argomento riproposto con pretese di originalità ma in realtà logoro, vecchio, inefficace.<br />
FUGACE<br />
[vc. dotta, lat. fugace(m), da fugere 'fuggire'; 1342] agg. 1 +Che fugge. 2 Che è fuggevole, transitorio, di breve<br />
durata: 'la bellezza è un bene fugace'; 'i fugaci beni del mondo'; 'avanzano / ore fugaci e meste' (PARINI).<br />
CONTR. Durevole. 3 (bot.) Caduco. || fugaceménte, avv. In modo fuggevole.<br />
fugàce agg. breve, caduco, effimero, fuggevole, labile (lett.), momentaneo, passeggero, precario, provvisorio,<br />
temporaneo, transitorio, transeunte (lett.) # fallace<br />
CONTR. durevole, duraturo, stabile, saldo, costante # lungo, longevo # perenne, permanente, immortale, perpetuo,<br />
sempiterno.<br />
SFUMATURE fugace - effimero – caduco<br />
"Fugace" è ciò che è di breve durata, che passa rapidamente; il termine, di uso letterario, definisce solitamente la natura<br />
di beni transitori, come la giovinezza o la felicità.<br />
"Effimero" esprime anch'esso un'idea di durata breve, ma è connotato negativamente e descrive cose il cui pregio scade<br />
proprio per il loro carattere passeggero. "<br />
Caduco", legato etimologicamente a cadere, per cui abbiamo'foglie caduche' o 'denti caduchi', aggiunge ai<br />
termini precedenti una sfumatura di fragilità, di inconsistenza.
CONNETTIVI<br />
Testo n. 1<br />
Il vecchio Ackey si piazzò in camera mia, tanto per cambiare. Alla fine, comunque, dovetti parlar chiaro e dirgli che<br />
dovevo fare un tema per Stradleter, perciò bisognava che sloggiasse perché mi dovevo concentrare. Il guaio era che non<br />
mi riusciva di pensare né a una stanza né a una casa né a niente da descrivere, come mi aveva detto di fare Stradetler.<br />
Sicché andò a finire che feci un tema sul guantone da baseball di mio fratello Allie. Era un argomento molto descrittivo.<br />
Dico davvero Mio fratello Allie, dunque, aveva quel guantone da prenditore, il sinistro. Lui era mancino. La cosa<br />
descrittiva di quel guanto, però, era che c’erano scritte delle poesie su tutte le dita e il palmo dappertutto in inchiostro<br />
verde. Ce le aveva scritte lui, così aveva qualcosa da leggere quando stava ad aspettare e nessuno batteva. Ora è morto.<br />
Gli è venuta la leucemia quando stavamo nel Maine, il 18 luglio 1946.<br />
Testo n. 2<br />
Dopo l’accurata analisi di circa ottanta programmi televisivi, si può concludere che essi forniscono rappresentazioni<br />
della società più “devianti” che non di conferma del senso comune. Quello che si affaccia dal piccolo schermo durante<br />
la normale programmazione non è tuttavia un mondo irreale come può esserlo quello della pubblicità.<br />
Se si confronta ad esempio il mondo degli spot pubblicitari, così perfettamente coerente e prevedibile, con quello di un<br />
quiz o di un’inchiesta giornalistica, si nota infatti come quest’ultimo sia, al contrario del primo, pieno di ‘strappi’<br />
inquietanti. Le casalinghe sgangherate e intemperanti che formano il pubblico di alcuni spettacoli della fascia diurna<br />
sono spesso molto diverse dalle nonnette delle pubblicità, tutte pizzi e chiome argentee, tanto da sembrare uscite anima<br />
e corpo dalla candeggina che raccomandano. Si sente dire spesso che la televisione è ormai un unico grande spot<br />
pubblicitario. Del resto, è vero che le logiche commerciali hanno totalmente determinato, in un modo o nell’altro, la<br />
produzione televisiva. Eppure i modelli sociali creati a tavolino nelle agenzie pubblicitarie stanno all’immagine del<br />
sociale fornita dalla TV come il teorema di Pitagora alla lista della spesa. Con questo non si vuole concludere che la TV<br />
sia uno specchio della realtà mentre la pubblicità rimane favola, astrazione, modello. È indubbio che la pubblicità lavora<br />
su astrazioni di tipo sociologico, compone un quadro comunque corerente e infinitamente meno complesso.Viceversa<br />
la programmazione televisiva considerata quasi nella sua totalità, lascia trasparire con chiarezza una massa di<br />
incongruenze, di incertezze, di inquietudini del sociale. Benché la persona comune che compare in TV appaia<br />
schiacciata dalla formula spettacolare e addirittura espropriata della propria individualità, essa riserva tuttavia non<br />
poche sorprese a chi analizza o guarda semplicemente i programmi.<br />
Testo n. 3<br />
Dopo il successo dei suoi libri precedenti e, in particolare, dell’ultimo Lettere contro la guerra, un saggio di denuncia e<br />
di forte impatto emotivo, Tiziano Terzani torna nuovamente in libreria. Questa volta non con un testo di intervento, di<br />
protesta e di proposta, ma con il racconto di un lungo viaggio nel mondo, intrapreso dopo la scoperta di avere un<br />
tumore. Un altro giro di giostra è innanzitutto un itinerario alla ricerca di aiuto per la guarigione che ha portato Tiziano<br />
Terzani in Paesi e civiltà lontane e diverse; non solo un libro di viaggio, ma anche un cammino lungo i sentieri della<br />
ricerca interiore, spirituale e sapienziale. Un libro nel quale riaffiorano i temi da sempre cari al giornalista e scrittore<br />
fiorentino: la storia, la globalizzazione, il confronto di civiltà. La rivelazione della malattia, accolta dapprima con<br />
stupore misto a incredula indifferenza, in seguito con la frenesia di cure, visite, esami diagnostici e terapie, ha<br />
rappresentato per Terzani l’opportunità di compiere una riflessione sul significato dell’esistenza, tanto più intensa e<br />
coinvolgente in quanto intima e personale, vissuta sulla propria pelle. Di fronte all’imprevedibilità di un mare<br />
incurabile, anche il viaggiatore coraggioso, il cronista avventuroso, l’inviato di guerra sprezzante del pericolo si sente<br />
disarmato e vulnerabile, ma non si tira indietro. "Viaggiare era sempre stato per me un modo di vivere – scrive nelle<br />
prime pagine – e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio: un viaggio involontario, non previsto, per il quale<br />
non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora<br />
era il più impegnativo, il più intenso." Il suo percorso di ricerca si snoda sulla scia della medicina tradizionale e<br />
alternativa: lo porta dapprima a New York e in un centro della California; segue un lungo girovagare per l’India,<br />
compresi tre mesi passati da semplice novizio in un ashram. E poi le Filippine, ancora gli Stati Uniti (a Boston), Hong<br />
Kong e la Thailandia. Infine, il ritorno nella quiete della regione himalayana, dove Terzani ha deciso di ritirarsi a vivere<br />
per molti mesi dell’anno. Tappa dopo tappa, il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio<br />
interiore, alla ricerca delle radici divine dell’uomo e alla "scoperta" della "malattia che è di tutti: la mortalità." Questa<br />
consapevolezza non significa però arrendersi al male. Al contrario, il libro di Terzani è un invito alla speranza e alla<br />
vita, un’esortazione a cercare l’unica cura risolutiva all’interno di se stessi. "La storia di questo viaggio non è la riprova<br />
che non c’è medicina contro certi malanni… tutto, compreso il malanno stesso, è servito tantissimo. E’ così che sono<br />
stato spinto a rivedere le mie priorità, a riflettere, a cambiare prospettiva e soprattutto a cambiare vita. E questo è ciò<br />
che posso consigliare ad altri: cambiare vita per curarsi, cambiare vita per cambiare se stessi."