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Il pozzo<br />
DI ALESSANDRO PARRONCHI<br />
In esilio dalla campagna in cui ero solito passare l’estate,<br />
ho trovato quest’anno rifugio in una zona <strong>di</strong>versa. Quattro<br />
stanze quadrate, e intorno piante d’alto fusto senza nulla<br />
che <strong>di</strong>sturbi la vista con elementi «nuovi». Solo, affacciandomi<br />
alla finestra, su un prato in declivio folto <strong>di</strong><br />
vegetazione incomposta, un pozzo settecentesco <strong>di</strong> cui propongo,<br />
qui sopra, l’immagine. Il mio innato bisogno <strong>di</strong> costruzione,<br />
il sogno <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio, innalzato da me o prima<br />
<strong>di</strong> me, s’è afferrato a quel pozzo, a quel «dado», trovandoci<br />
appagamento e conforto. Ne è nata questa <strong>poesia</strong>, che vuole<br />
significare il primo germe <strong>di</strong> quel «bisogno <strong>di</strong> architettura»<br />
<strong>di</strong> cui la CASA DELLA LUCE è la perfetta espressione.<br />
Estate 1998<br />
162
Non sbattere con forza le persiane<br />
nel silenzio <strong>della</strong> mattina. Regna<br />
una quiete perfetta in queste stanze<br />
quadrate, strette fra cortine d’alberi<br />
ed ho fissato in esse il mio rifugio.<br />
Dove la morte non possa raggiungermi<br />
e la vita non mi opprima col peso<br />
dei desideri non sopiti, delle<br />
mète non mai raggiunte e del rammarico<br />
forse <strong>di</strong> non restituito amore.<br />
<strong>La</strong> strada che fin qui arriva s’inerpica<br />
ancora un poco, poi desiste al limite<br />
<strong>di</strong> un cimitero <strong>di</strong> tombe <strong>di</strong>sfatte<br />
a sua volta sepolto in un ammasso<br />
<strong>di</strong> rovi e foglie morte dove il piede<br />
appena spinto subito sprofonda<br />
in rigagnolo oscuro o catacomba.<br />
Il fiumicello scende fino all’orlo<br />
del prato dove un logoro cancello<br />
trattiene un mare d’erbe che non sai<br />
se siano i morti scesi e rifioriti<br />
in bianca spuma, immobile via vai<br />
che si perde, si scioglie, rifluisce<br />
ribolle in nebbie fatue che <strong>di</strong>ssolve<br />
a notte fonda il filtro delle stelle.<br />
Forse più tar<strong>di</strong> a raggelarlo è il bianco<br />
d’un bimbo scivolato in fondo al lago<br />
e nel lago <strong>di</strong>ssolto. Si riagglutina<br />
ora così nella notte <strong>di</strong> luna<br />
ed è dubbio se sia infelice o lieto<br />
<strong>di</strong> non aver vissuto tutto il tempo<br />
che senza lui siam destinati a vivere.<br />
non aspetta che un sonno da cui svegli<br />
ci sorprenda una morte repentina:<br />
torce umane saremo finché l’alba<br />
ci sveli che poi tutto è stato un sogno.<br />
Per questo abbarbicato io mi rimango<br />
a questo pozzo ch’è rifugio oscuro<br />
<strong>di</strong> salvezza da dove se anche giunga<br />
tetro anticipo odore <strong>di</strong> spelonca<br />
è sempre dal profondo un pullulare<br />
<strong>di</strong> linfa a cui perennemente attingere:<br />
acqua che ci <strong>di</strong>sseti, acqua che lavi<br />
i nostri corpi nu<strong>di</strong> e forze accresca<br />
e risusciti un’ultima illusione.<br />
Quattro muri biancastri e un tetto a spiovere<br />
coronato da un piccolo pinnacolo<br />
è tutto quel che resta alla mia voglia<br />
costruttiva, a un bisogno <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficio<br />
antico a cui si può attingere ancora.<br />
Nelle mura del pozzo si rinsalda<br />
quest’ultima <strong>di</strong>fesa dal terrore<br />
<strong>di</strong> scomparire. E quando dopo un giorno<br />
<strong>di</strong> nebbie col tramonto un sole torna<br />
a vestire montagne del suo roseo<br />
sorriso e un’aria nuovamente viva<br />
del suo raggio paesi e case imporpora<br />
<strong>di</strong> commossi bagliori, ho a un tratto il senso<br />
che la certezza più non mi abbandoni<br />
e non la morte mi raggiunga mai.<br />
Potrò così <strong>della</strong> mia vita al termine<br />
entrar nell’al<strong>di</strong>là come in un sogno.<br />
Sale dalla vallata un altro fumo<br />
dall'incen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un bosco che <strong>di</strong>strugge<br />
la vita degli insetti e <strong>di</strong> animali<br />
colti nel sonno che non hanno scampo<br />
e il mondo che vivemmo ora tramonta<br />
e chissà se ne seguirà un altro<br />
migliore dopo quel bagno <strong>di</strong> fuoco.<br />
Nulla è che da quel fuoco ora ci scampi,<br />
non strade aperte a furia nel violento<br />
avanzare a folate <strong>della</strong> fiamma,<br />
non getti d’acqua a striscio da elicotteri.<br />
<strong>La</strong> fiamma è destinata sì a raggiungerci<br />
e o prima o poi ci ferma lo spavento<br />
sul punto <strong>di</strong> fuggire. Dove, dove<br />
fuggire? L’erba secca che noi siamo<br />
163
L’ultima stanza<br />
Forse l’idea <strong>di</strong> un cadavere purulento, cosa triste ed abbietta<br />
che fu già forma vivente – la tua – può essere accettabile<br />
se ti sembra <strong>di</strong> constatare e affermare a te stesso che<br />
hai adempiuto alla funzione assegnata. Che fu ed è quella<br />
<strong>di</strong> realizzare le potenzialità <strong>della</strong> forma: l’affermazione <strong>di</strong><br />
sé, il suo svolgimento in sé e fuori <strong>di</strong> sé, e la proiezione oltre<br />
sé: spirituale e reale. Se pensi <strong>di</strong> aver adempiuto sei autorizzato.<br />
Se cre<strong>di</strong> <strong>di</strong> aver svolto la funzione puoi pensare<br />
all’esito col piacere, o almeno con la sod<strong>di</strong>sfazione che la<br />
natura assicura al compimento <strong>di</strong> ogni funzione. Se hai fatto<br />
ciò che dovevi, nell’occasione straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> partecipare<br />
all’immenso misterioso cantiere, puoi lasciarlo: anzi puoi<br />
appercepire la necessità <strong>di</strong> lasciarlo. Quale fosse o sia il progetto<br />
è altra Funzione, che non ti riguarda. Obbe<strong>di</strong>sci.<br />
Eliminare scientificamente l’io. Accantonare l’identità<br />
per darsi fiduciosamente alla Regola. Come hanno fatto i<br />
mistici. <strong>La</strong> religione è l’accettazione convinta <strong>della</strong> morte,<br />
che comporta la Fede.<br />
<strong>La</strong> fede vera – è scritto – non cura la memoria.<br />
CASACCANTO<br />
L’OPERA INUTILE<br />
Se l’esistenza è l’essere che mute e muore<br />
se muove<br />
intanto È.<br />
<strong>La</strong> gratuita bellezza puro dona<br />
forgiato senso d’ogni vana cosa<br />
che triste o lieto o stanco ghirigoro<br />
intatto lascia il cielo sempre vuoto<br />
Come si possa<br />
che tutto è in fuga al vento <strong>della</strong> sorte<br />
sfuggire<br />
che presta libertà ad ogni volo<br />
annientare<br />
che questa riga lascia in<strong>di</strong>fferente<br />
la civiltà brutale<br />
il foglio cancellato<br />
reinventare il luogo e non fa niente.<br />
dove lavorava<br />
e stava il conta<strong>di</strong>no<br />
la <strong>casa</strong> cellula l’opera artigiana<br />
del tessuto terra<br />
che vive con la zolla e che riduce<br />
nei minimi confini <strong>della</strong> <strong>luce</strong><br />
l’eternità nemica<br />
l’universo crudele.<br />
L’OPERA E IL GIORNO<br />
(la <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>)<br />
S’è inanellata tanta <strong>luce</strong> intorno<br />
alle mie <strong>di</strong>ta gonfie d’Artigiano.<br />
Adesso il buio cresce nella nebbia<br />
che incerta abbaglia e sembrano svanire<br />
immense le finestre luminose.<br />
Si <strong>di</strong>stoglie la <strong>luce</strong> dalla retina<br />
e torna verso il sole dov’è nata.<br />
Sotto il gelo <strong>di</strong> mani dubitose<br />
ne resta qualche frangia appisolata<br />
custode del suo luogo <strong>di</strong>visato.
166<br />
Il futuro cerca il futuro
De<strong>di</strong>ca sulla guar<strong>di</strong>a<br />
Quando si <strong>di</strong>panano<br />
le fila date<br />
<strong>della</strong> tenerezza<br />
risplende il sole<br />
e dove cade cade<br />
bendato amore.<br />
<strong>La</strong> pagina bianca<br />
invita al futuro. Vuol essere riempita<br />
<strong>di</strong> vita <strong>di</strong> vita.<br />
167
PIETRE E RIGHE<br />
Come schiavo corroso dal salgemma<br />
nessuna mai fu pari la fatica.<br />
Ma nel deserto senza remissione<br />
la forma magica piano per piano<br />
(faville funi colpi <strong>di</strong> piccone)<br />
protesta affermazione la piramide<br />
cresce assoluto persistente fiore.<br />
CHEOPE<br />
Era un signore grande grosso saggio<br />
<strong>della</strong> lezione <strong>della</strong> sua bottega.<br />
«Invecchiando, mi creda, torno scapolo»<br />
(non <strong>di</strong>sse «solo»).<br />
E poi l’erede sempre all’uscio pronto<br />
e la voglia che l’opera continui<br />
che si scongiuri poco tempo ancora<br />
la necessaria scomparsa totale<br />
anche <strong>di</strong> qualche riga salvagente.<br />
Merita solo che tutto sia raccolto,<br />
che si rior<strong>di</strong>ni il monte affastellato<br />
in puro solido quadrato triangolo<br />
con al vertice l’occhio puntiforme:<br />
la teca cristallina la piramide<br />
che sgretolata domina il deserto.<br />
168
Il grande fiore<br />
Il fiore <strong>di</strong> cristallo si è svegliato.<br />
<strong>La</strong> perfezione pura<br />
s’innalza in contrappeso dalla terra<br />
si avvita su se stessa segue il sole<br />
e gira tutt’intorno alla sua scena<br />
che sale che scende<br />
nel teatro leggero <strong>della</strong> sera.<br />
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Teatro ad anfiteatro con bilanciere su travi lamellari in legno<br />
e gra<strong>di</strong>nate in cristallo temperato autoportante. Complesso idoneo<br />
ad elevarsi, ad abbassarsi e a ruotare sul suo stelo.<br />
Altezza <strong>della</strong> scena minimo 5 metri, altezza relativa delle<br />
gra<strong>di</strong>nate 8 metri, per complessivi 13 metri.<br />
Il <strong>di</strong>ametro <strong>della</strong> scena circa 8 metri, <strong>di</strong>ametro complessivo,<br />
scena più palco, circa 40 metri.<br />
Le <strong>di</strong>mensioni suddette possono essere proporzionalmente<br />
variate in aumento fino ad ottenere un <strong>di</strong>ametro massimo<br />
<strong>di</strong> scena più palchi pari a 64 metri.<br />
Il fiore progettato dall’architetto Lorenzo Papi, con la collaborazione<br />
dello Stu<strong>di</strong>o Prima Progetti degli architetti James<br />
Cavagnari e <strong>La</strong>ura Capecchi, è de<strong>di</strong>cato alla città <strong>di</strong> Firenze o<br />
ad altra città del mondo che trovi la gioia <strong>di</strong> realizzarlo. Il futuro<br />
cerca il futuro.<br />
177
Poesia e architettura:<br />
dal «Chaos» all’«Universum»<br />
DI ERALDO GARELLO<br />
Il pittore e letterato inglese William Morris, nel 1881, così<br />
scriveva: «L’architettura è l’insieme delle mo<strong>di</strong>fiche ed alterazioni<br />
introdotte sulla superficie terrestre in vista delle<br />
necessità umane. Né possiamo confidare i nostri interessi<br />
nell’architettura ad un piccolo gruppo <strong>di</strong> uomini istruiti,<br />
incaricandoli <strong>di</strong> cercare, <strong>di</strong> scoprire, <strong>di</strong> foggiare l’ambiente<br />
dove poi dovremo stare noi, e meravigliarcene apprendendolo<br />
come una cosa bell’e fatta: questo spetta a noi stessi, invece,<br />
a ciascuno <strong>di</strong> noi, che deve sorvegliare e custo<strong>di</strong>re il giusto<br />
or<strong>di</strong>namento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suo<br />
spirito e le sue mani, nella posizione che gli spetta».<br />
Ma perché proprio all’architettura, tra le varie arti, spetterebbe<br />
questa preminenza che la rende una sorta <strong>di</strong> suprema<br />
or<strong>di</strong>natrice delle attività umane rispetto alle esigenze<br />
dell’habitat in cui operiamo, a tal punto che, idealmente<br />
e fattivamente, ognuno <strong>di</strong> noi – sulla base delle proprie<br />
competenze e similarità – è chiamato a cooperare con essa<br />
<strong>di</strong> modo che il suo operato non <strong>di</strong>venti una costruzione reificata<br />
ma la summa <strong>di</strong> una autentica cultura popolare?<br />
Per tentare <strong>di</strong> fornire una risposta, seppure parziale, ci<br />
può essere <strong>di</strong> una qualche utilità una riflessione basata sulla<br />
sua ascendenza etimologica, e sulle implicazioni filosofiche<br />
ad essa collegate. Come arte <strong>di</strong> ideare, progettare, realizzare<br />
e<strong>di</strong>fici e costruzioni in genere, essa è l’inveramento dell’operato<br />
dell’architetto, dell’«architékton», termine derivante dall’accostamento<br />
<strong>della</strong> particella prepositiva «arché», che denota<br />
superiorità, preminenza in grado superlativo, con il termine<br />
«ték-ton», che in<strong>di</strong>ca l’artefice (si vedano al proposito il<br />
178
greco «téycho» = fabbricare, produrre, e il sanscrito «takshanam»<br />
= <strong>di</strong>grossare, correggere): quin<strong>di</strong>, colui che presiede,<br />
in posizione <strong>di</strong> superiorità, alla costruzione d’un e<strong>di</strong>ficio, d’un<br />
manufatto, ma anche chi opera in modo superlativo.<br />
A causa del suo stretto imparentamento con l’Arte, la<br />
Scienza e la Tecnica, il termine «Architettura» non poteva<br />
non evocare delle implicazioni <strong>di</strong> tipo filosofico, da Aristotele<br />
(«Etica Nicomachea») che la descriveva come un’intelligenza<br />
<strong>di</strong> tipo prettamente costruttiva ed operativa, a Kant<br />
(«Critica <strong>della</strong> Ragion Pura») che la considerava come<br />
«l’arte del sistema», intendendo come sistema «l’unità <strong>di</strong><br />
un molteplice <strong>di</strong> conoscenze sotto un’unica idea», ossia «il<br />
concetto razionale <strong>della</strong> forma <strong>di</strong> un tutto per mezzo del<br />
quale è determinato a priori sia l’ambito del molteplice sia<br />
la reciproca posizione delle parti». Un’organizzazione finalistica<br />
che cresce dall’interno come un organismo vivente.<br />
Pertanto, l’architettura, come simbolo concreto e visibile<br />
d’una superiore misura del macrocosmo, attiene <strong>di</strong>rettamente<br />
alla nozione <strong>di</strong> «cosmos», con cui comunemente si<br />
intende un or<strong>di</strong>ne ben strutturato, una <strong>di</strong>sciplina che può<br />
riguardare sia il singolo in<strong>di</strong>viduo o una realtà materiale<br />
sotto la forma dell’«ornamento», sia l’Universo sotto la specie<br />
dell’«or<strong>di</strong>namento». In altre parole, essa evoca una «ratio»<br />
armonicamente strutturata in cui ogni parte costitutiva<br />
del tutto trova la sua giusta collocazione e si collega con<br />
le altre come il perfetto, oliato ingranaggio d’un orologio:<br />
architettura in quanto «cosmos», ossia sinonimo <strong>di</strong> bellezza<br />
<strong>di</strong>namica e <strong>di</strong> razionalità <strong>di</strong>scorsiva.<br />
Enon si possono, forse, fare le stesse considerazioni a<br />
proposito <strong>della</strong> <strong>poesia</strong>? Non sono entrambe imparentate<br />
dalla vocazione-necessità <strong>di</strong> pervenire a una sintesi<br />
superiore partendo dai vari <strong>di</strong>spersi elementi <strong>della</strong><br />
realtà oggettuale e del «dasein» esistenziale? Esse trovano un<br />
loro punto d’incontro laddove tentano <strong>di</strong> superare la nozione<br />
<strong>di</strong> «Chaos», per liberare un «itinerarium mentis» che si prefigga<br />
lo scopo <strong>di</strong> eccitare la pienezza dell’in<strong>di</strong>viduo all’interno<br />
d’un «universum» perfettamente controbilanciato in ogni<br />
sua determinazione. Ovviamente, non si fa riferimento tanto<br />
al «Chaos» inteso come una primor<strong>di</strong>ale, ampia e tenebrosa<br />
179
voragine nella quale stavano commisti in modo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato<br />
gli elementi destinati a costituire in una seconda fase l’Universo:<br />
un «<strong>di</strong>s-or<strong>di</strong>ne» magmatico che preannuncia e cronologicamente<br />
precede l’«or<strong>di</strong>ne» del Cosmo. Il riferimento va<br />
invece a quanto teorizzato da Schelling nella XXVI lezione<br />
<strong>della</strong> «Filosofia <strong>della</strong> mitologia», laddove così si legge: «(non)<br />
un’unità <strong>di</strong> elementi indefinitamente molteplici... bensì esso<br />
è l’unità determinata <strong>di</strong> un numero parimenti determinato e<br />
assolutamente chiuso <strong>di</strong> potenze», ad in<strong>di</strong>care, per l’appunto,<br />
che il «Chaos» è l’insieme <strong>di</strong> quelle potenzialità che chiamiamo<br />
atto e che troveranno il loro completamento nelle<br />
strutture definite dell’or<strong>di</strong>ne per eccellenza del «Cosmos».<br />
Recentemente, lo stesso R. Bodei, commentando la lirica<br />
hölderliniana «Wie wenn am Feiertage», fa presente che<br />
il «sacro caos» è una forza rigeneratrice, è l’antico spirito <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, il versante aorgico da cui nasce e sorge una nuova<br />
vita nel processo dell’eterna «Régéneration» degli elementi:<br />
«Come un grande <strong>di</strong>segno infuoca l’occhio / dell’uomo,<br />
ora i nuovi segni, i nuovi / fatti del mondo accendono /<br />
una fiamma nel cuore dei poeti. / E ciò che prima accadde,<br />
a stento inteso, / ora si è fatto aperto, / e quelli che sorridenti<br />
<strong>di</strong>ssodarono / con aspetto <strong>di</strong> servi il nostro campo, / sono<br />
ora conosciuti, sono / le forze sempre vive degli Dèi. Quin<strong>di</strong>,<br />
la Poesia e l’Architettura, l’una attraverso il poetato e/o il<br />
dettato, e l’altra attraverso l’arte costruttiva-costitutiva, procedendo<br />
lungo le linee d’un interno «ordo» teleologico, pervengono<br />
entrambe alla e<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> un «Universum» partendo<br />
dalle valenze potenziali e potentizzate del Chaos.<br />
180
Architettura e <strong>poesia</strong><br />
DI CARMELO MEZZASASLMA<br />
John Ruskin, nel suo in<strong>di</strong>menticabile libro Le sette lampade<br />
dell’architettura (1849), ci parla, a un certo punto,<br />
<strong>della</strong> lampada <strong>della</strong> vita: «tra le innumerevoli analogie<br />
con le quali si cercano <strong>di</strong> spiegare la natura e il<br />
rapporto dell’anima umana con le sue creazioni materiali,<br />
nessuna è più calzante del ricorso alle impressioni che sono<br />
inscin<strong>di</strong>bilmente connesse con lo stato <strong>di</strong> attività e lo<br />
stato <strong>di</strong> quiete <strong>della</strong> materia». Ruskin, in effetti, aveva cercato<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare (e lo <strong>di</strong>mostrerà con forza nelle celebri<br />
Mattinate fiorentine, 1875) che una parte non trascurabile<br />
<strong>della</strong> Bellezza nelle opere d’arte è legata alla capacità <strong>di</strong><br />
esprimere una sorta <strong>di</strong> energia vitale dagli organismi viventi<br />
e alla capacità, propria dell’artista, <strong>di</strong> saper ubbi<strong>di</strong>re<br />
a tale energia interiore. Le pietre, come anche le parole,<br />
sono talvolta passive e impotenti. L’artista o il poeta, tuttavia,<br />
scorge in esse una pienezza <strong>di</strong> vita che poi ritrova nella<br />
sua creazione. In altre parole, anche le pietre o le parole<br />
per John Ruskin portano il più alto principio or<strong>di</strong>natore<br />
<strong>della</strong> vita creativa che è l’intelligenza dell’uomo: esse <strong>di</strong>ventano<br />
nobili o ignobili in proporzione <strong>di</strong> quella intelligenza<br />
che viene profusa nelle cose. Questa regola è determinante<br />
in modo particolare nelle creazioni dell’Architettura<br />
che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>della</strong> musica, non può appoggiarsi<br />
nella piacevolezza suoni. Eppure, la cultura dell’Umanesimo<br />
e del Rinascimento – a cui è legata tutta la riflessione<br />
<strong>di</strong> Ruskin – aveva in<strong>di</strong>viduato rapporti sottili e<br />
profon<strong>di</strong> tra architettura e musica, tra architettura e <strong>poesia</strong>:<br />
la chiesa <strong>di</strong> S. Salvatore al Monte a Firenze, <strong>di</strong> Simone<br />
181
del Pollaiolo detto il Cronaca, secondo un bel saggio dell’architetto<br />
<strong>La</strong>ndo Bartoli (Architettura e musica, Quaderni<br />
<strong>di</strong> Erba d’Arno 1998), è uno splen<strong>di</strong>do esempio <strong>di</strong> quanto<br />
l’architettura rinascimentale avesse a cuore le analogie<br />
geometriche e le analogie musicali. Un simile modo <strong>di</strong> pensare<br />
e <strong>di</strong> «costruire», certo, veniva all’Umanesimo da molto<br />
lontano, poiché musica e architettura – sull’autorità <strong>di</strong> Pitagora<br />
e <strong>di</strong> Platone – erano intimamente legate dalla matematica<br />
e cioè dal gioco dei numeri piccoli e interi.<br />
Da questi piccoli cenni si comprende come l’architettura<br />
è intimamente legata ad altre attività umane e creative<br />
come la <strong>poesia</strong> o la musica. Di fatto, come avvertiva<br />
Siegfriede Gie<strong>di</strong>on, la storia non è una complicazione <strong>di</strong><br />
fatti, ma piuttosto la comprensione <strong>di</strong> uno sviluppo <strong>della</strong><br />
vita in atto, proprio come pensava Ruskin o Leon Battista<br />
Alberti.<br />
Ecco, allora, il significato profondo che assume, in<br />
questa prospettiva, San Vito, <strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>, e sede<br />
<strong>della</strong> Fondazione «Il Fiore». Ideata dalla genialità,<br />
estrosa e multiforme, <strong>di</strong> Lorenzo Papi che ha alle<br />
spalle una notevole formazione umanistica, <strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong><br />
<strong>luce</strong> appare, allo stesso tempo, un’opera corale: vi ha partecipato<br />
il ruolo <strong>della</strong> pittura o <strong>della</strong> decorazione e, quin<strong>di</strong>,<br />
l’ambito proprio <strong>della</strong> fantasia e <strong>della</strong> gratuità; vi è presente<br />
la necessità <strong>della</strong> memoria; vi è rintracciabile, soprattutto,<br />
l’assunzione come valore dell’ar<strong>di</strong>tezza e dell’irregolarità,<br />
espressione del <strong>di</strong>namismo vitale così caro a Ruskin.<br />
A chiunque la guarda o la visita, anche sommariamente,<br />
<strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong> appare se stessa o anche <strong>di</strong>versa a seconda<br />
delle ore del giorno o <strong>della</strong> caduta o dell’alzarsi proprio<br />
<strong>della</strong> <strong>luce</strong>. Alla sua costruzione, inoltre, come <strong>di</strong>mostrano<br />
bene le poesie qui raccolte <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> Caramella, si è in<strong>di</strong>rizzata<br />
anche la <strong>poesia</strong> nel suo sottile travaglio <strong>di</strong> sentire<br />
vive le cose o le parole che per natura sono passive e impotenti.<br />
Non a caso, una bella <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> questo «canzoniere»<br />
architettonico <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> Caramella, s’intitola, appunto,<br />
L’architetto, e dove il rapporto architettura-musica <strong>di</strong><br />
ascendenza pitagorica e platonica è in primo piano: «Poeta<br />
musico giullare per Dio / personaggio in cerca d’autore /<br />
182
gioca libero / con l’immaginazione: / trovò chi spicca l’aquilone<br />
/ <strong>di</strong> mano ferma / trattenendo il filo».<br />
Altrove, in <strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>, la parola fissa il colore <strong>di</strong><br />
Piero <strong>della</strong> Francesca nell’umile lavoro dell’artigiano le cui<br />
mani sono il simbolo <strong>di</strong> una creazione che continua nel<br />
tempo e nel tempo si <strong>di</strong>stende: «Dall’Officina, ignota a Piero,<br />
/ risplenderanno / le prospettive ed i colori Suoi. / L’Artigiano<br />
che pensa con le mani».<br />
Mi sembrano proprio queste due poesie le linee portanti<br />
<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso intorno all’architettura e alla <strong>poesia</strong> che<br />
<strong>Alberto</strong> Caramella compie in questo piccolo «canzoniere»<br />
in cui, particolarmente, la fatica <strong>della</strong> creazione si innalza<br />
alla gioia <strong>della</strong> <strong>poesia</strong> o <strong>della</strong> <strong>luce</strong>. Questa sottolineatura<br />
<strong>di</strong> fatica e gioia, <strong>di</strong> sforzo e <strong>di</strong> illuminazione, <strong>di</strong> costruzione<br />
fisica e <strong>di</strong> armonia visiva, è il dato che più unisce architettura<br />
e <strong>poesia</strong>. In effetti, quando una costruzione, ideata<br />
dall’intelligenza dell’uomo, comincia a esistere ci sembra<br />
<strong>di</strong> vivere una emozionalità adolescenziale e ci doman<strong>di</strong>amo<br />
quale sarà la maturità <strong>di</strong> questa fanciulla che già vive<br />
<strong>di</strong> «luminosa meraviglia» e <strong>di</strong> «can<strong>di</strong>da semplicità». Timore<br />
e tremore, ansia e meraviglia, cui risponde il lavoro dell’artigiano<br />
che «non sente affanno e celebra / la sua preghiera».<br />
Ma la memoria dell’arte compie il miracolo «nel<br />
segno <strong>di</strong> Piero» e già il poeta vede la costruzione che s’innalza<br />
nella mente al pensiero che lì accanto sorgerà il piccolo<br />
Epidauro, ossia un teatro all’aperto: «Qui giocheranno<br />
i mimi <strong>della</strong> mente / alla grand’ora l’ultima partita».<br />
D’improvviso, tuttavia, il sogno sembra spezzarsi e la fatica<br />
conta più del lavoro compiuto: le parole si fanno immagine<br />
delle pietre ammassate o ancora informi poiché<br />
«tutto è in fuga al vento <strong>della</strong> sorte / che presta libertà ad<br />
ogni volo / che questa riga lascia in<strong>di</strong>fferente / il foglio cancellato<br />
/ e non fa niente».<br />
Nonostante tutto, nonostante i vuoti e le incertezze, il<br />
sogno <strong>della</strong> costruzione è sempre vivo nella mente<br />
del poeta, come già in quella dell’architetto. <strong>La</strong> vita<br />
si muove e muore, ma intanto vive ed il poeta può<br />
<strong>di</strong>re: «io questo luogo amo svisceratamente», o ancora, «ma<br />
nel cuore / immagine non vista mi accompagna / l’ultimo<br />
183
corsa raso alla collina / del cane coraggioso alla sua caccia».<br />
Proprio la memoria, a questo punto, dà conforto alla mano<br />
dell’artigiano o del poeta, mentre il ritrovamento <strong>di</strong> un fossile<br />
dà ragione alla fatica dell’uno e dell’altro: «Sei muto nel<br />
profondo delle colline / pesce del mare fossile pietrificato /<br />
duplicato nella costellazione del cielo / implicato chiuso nell’onda<br />
dei tempi». Così la <strong>luce</strong> <strong>della</strong> memoria e <strong>della</strong> nuova<br />
costruzione si fondono in una gioia dell’anima che vince le<br />
pesantezze o il vuoto: «Si <strong>di</strong>stoglie la <strong>luce</strong> dalla retina / e<br />
torna verso il sole dove è nata».<br />
<strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong> è finalmente nata: la pietra è inondata<br />
dalla <strong>luce</strong> come anche la parola è inondata dal suo senso:<br />
«I muri che cadevano / <strong>di</strong>sciolsero leggeri l’illimite misura /<br />
che si conta negli anni <strong>della</strong> <strong>luce</strong>». Architettura e <strong>poesia</strong>,<br />
fianco a fianco, hanno lottato a lungo per avere ragione delle<br />
cose che per natura sono passive e impotenti. Entrambe,<br />
in questa <strong>di</strong>scesa nel mondo infero, hanno conosciuto l’immersione<br />
nel tempo e nelle sue metamorfosi ove le età <strong>della</strong><br />
vita, in virtù <strong>della</strong> creazione, si confondono per celebrare<br />
l’incontro tra la fatica professionale e l’accensione<br />
dell’energia vitale nell’immaginazione: «Come schiavo corroso<br />
dal salgemma / nessuna mai fu pari la fatica. / Ma nel<br />
deserto senza remissione / la forma magica piano per piano<br />
/ (faville fumi colpi <strong>di</strong> piccone) / protesta affermazione<br />
la piramide / cresce assoluto persistente fiore».<br />
Quest’ultima <strong>poesia</strong> s’intitola, non a caso, Pietre e righe.<br />
<strong>La</strong> scrittura poetica <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> Caramella, in effetti, è l’incontro,<br />
persistente e drammatico, tra la professionalità,<br />
per così <strong>di</strong>re, <strong>della</strong> parola e la sua forte componente emozionale<br />
che appare e si nega allo stesso tempo. E non potrebbe<br />
trovare altra metafora più pregnante <strong>di</strong> quella dell’architettura<br />
che gli sia compagnia salutare e cioè veicolo<br />
<strong>di</strong> valori e <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni costruttive.<br />
184
Ancora nel Cantiere<br />
185
Lettera (ovvero la coda)<br />
dell’e<strong>di</strong>tore<br />
VANNI SCHEIWILLER<br />
Caro <strong>Alberto</strong> Caramella, Lei mi chiede «una paginetta<br />
elegante, trasparente e spiritosa» al nostro libro <strong>La</strong><br />
<strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>: anch’io, come Leo Longanesi (ma tanto,<br />
tanto più piccolo) sono un «carciofino sott’o<strong>di</strong>o»,<br />
non per nulla il simbolo <strong>della</strong> Fondazione è il fiore del carciofo,<br />
ma attenzione, ho sempre preferito i carciofi con le<br />
spine, piccoli ma più saporiti e, soprattutto, muniti <strong>di</strong> tante<br />
punte. Sì, perché per fare il mio mestiere <strong>di</strong> e<strong>di</strong>tore (e lo<br />
faccio nel bene e nel male da quarant’otto anni) mi occorre<br />
ogni giorno una cotta <strong>di</strong> pazienza sopra una corazza irta <strong>di</strong><br />
aculei ben affilati… Scherzi a parte, sono stato intrigato e<br />
coinvolto dalla sua impresa e<strong>di</strong>toriale perché il libro rispecchia<br />
il desiderio del suo autore che l’ha animato: che il testo<br />
funzioni da <strong>di</strong>dascalia spirituale delle immagini e le immagini<br />
a loro volta da <strong>di</strong>dascalia-chiosa spirituale del testo.<br />
Un bel impegno il mio (per questo mi tengo «sbagagliato<br />
e leggero» alla Savinio) <strong>di</strong> rispondere alla sua lettera iniziale,<br />
<strong>di</strong> tentare un bilancio provvisorio in coda al libro (anche<br />
la coda <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>tore talvolta è munita <strong>di</strong> pungiglione). Sono<br />
notoriamente allergico e insofferente verso i «fanatici» <strong>della</strong><br />
<strong>poesia</strong>, non per nulla ho pubblicato l’anno scorso il Manifesto<br />
dell’e<strong>di</strong>tore stanco, ma tant’è, come <strong>di</strong>re <strong>di</strong> no all’affettuosa<br />
insistenza <strong>di</strong> uno «scrittore segreto», che continua da par<br />
suo la gloriosa tra<strong>di</strong>zione degli avvocati e notai poeti, dal<br />
notaro Jacopo da Lentini all’avvocaticchio Delio Tessa?<br />
Il Suo travolgente impulso a «saziare la fame <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>»:<br />
attenzione, però, a non farne in<strong>di</strong>gestione. («Io credo in un<br />
credo mio speciale / Non so cos’è non so cosa vale»).<br />
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188
Non Le nego che sono un po’ spaventato dall’istessa idea<br />
<strong>di</strong> affrontare con Lei «la via che va a Monte Oliveto». Spaventato<br />
da un eccesso <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> come capita durante la vendemmia<br />
dove perfino l’odore del mosto dà alla testa: accidenti,<br />
mi trovo da solo in mezzo a tutti poeti, a troppi poeti,<br />
io che sono, mi ripeto, «un carciofino sott’o<strong>di</strong>o» piccolo<br />
piccolo. Io (il mio vecchio maestro <strong>di</strong> latino al Leone XIII<br />
<strong>di</strong> Milano nel ’45, il reverendo Padre Verlato, metteva sempre<br />
in guar<strong>di</strong>a chi <strong>di</strong>ceva «io»: «Io, Io era la vacca <strong>di</strong> Giove»),<br />
io, in coda al libro a tentare un bilancio sia pure <strong>di</strong><br />
previsione, partendo dalla «fabbrica» del libro corale e dalla<br />
Fondazione il Fiore, sono così agli antipo<strong>di</strong> dal Sindaco<br />
<strong>di</strong> Firenze, Mario Primicerio (incontrato una sola volta,<br />
con tanto <strong>di</strong> fascia tricolore sul petto a un convegno su<br />
«Ezra Pound e Dante» a Ravenna pochi anni fa).<br />
Per il signor Sindaco è inusuale il rapporto tra architettura<br />
e <strong>poesia</strong>, io invece sostengo che sono, o meglio dovrebbero<br />
essere, la stessa cosa: purtroppo ogni giorno ci<br />
accorgiamo sconcertati che soprattutto nelle città gli interventi<br />
sono senza <strong>poesia</strong>, se non contro la <strong>poesia</strong>, e dall’altra<br />
parte i poeti, o meglio i se<strong>di</strong>centi tali, scrivono poesie<br />
senza architettura…<br />
Evviva dunque la sfida del mio caro avvocato-poeta e<br />
dell’altrettanto caro architetto-poeta, Lorenzo Papi, coautore<br />
ideale del nostro libro.<br />
<strong>La</strong> sfida è lanciata da Firenze all’insegna del «fiore» <strong>di</strong><br />
Papi e dell’entusiasmo poetico <strong>di</strong> Caramella: «Si trova tutto<br />
scritto nelle righe. / È stato tutto scritto tra le righe».<br />
Firenze, 9 marzo 1999<br />
189
E dopo la fine<br />
190
il principio<br />
TRASPARENTE<br />
Due pirami<strong>di</strong> immagina simmetriche<br />
sulla bilancia poste, arrovesciate.<br />
Convergono nel punto (pari peso)<br />
che iscrive la perfetta identità.<br />
A se stessa simmetrica la sfera<br />
che pulsa in costante fissità<br />
iscrive moti alterni uniti reversibili.<br />
<strong>La</strong> sfera il punto la bilancia e il moto.<br />
191
E dopo la fine<br />
192
il principio<br />
193
In<strong>di</strong>ce<br />
Il «Cartiglio» del Primo Citta<strong>di</strong>no<br />
Mario Primicerio, Sindaco <strong>di</strong> Firenze 9<br />
Luoghi e miti<br />
Lettera all’e<strong>di</strong>tore<br />
<strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> Caramella 13<br />
Nel segno <strong>di</strong> Piero 17<br />
<strong>La</strong> via <strong>di</strong> San Vito 21<br />
Dall’una all’altra delle caseaccanto 23<br />
Che cos’è la bellezza in architettura<br />
<strong>di</strong> Lorenzo Papi 25<br />
Riflessioni «a ruota libera»<br />
su architettura, musica e <strong>poesia</strong><br />
<strong>di</strong> Giorgio Luti 27<br />
Motivi ispiratori per San Vito 34<br />
Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> progetto 39<br />
Se mai fosse la <strong>poesia</strong> Architettura<br />
l’architettura Poesia<br />
<strong>La</strong> <strong>casa</strong><strong>luce</strong> 51<br />
Il sole 54<br />
195
Le meri<strong>di</strong>ane 56<br />
Da Leon Battista Alberti 58<br />
Gli aquiloni 59<br />
<strong>La</strong> Via <strong>La</strong>ttea 62<br />
L’aliante 66<br />
<strong>La</strong> non scala... 70<br />
... e l’organo dei fraticelli poveri 72<br />
L’incu<strong>di</strong>ne e il fuoco 74<br />
Il camino-caleidoscopio 75<br />
A proposito dei colori 76<br />
<strong>La</strong> notte 78<br />
Il Mirage 82<br />
L’ala e la farfalla: le gemelle 86<br />
Alla <strong>casa</strong><strong>luce</strong> 88<br />
To the Light House<br />
<strong>di</strong> Giovanna Giubelli 90<br />
Gli aquilotti in volo 94<br />
Le storie <strong>di</strong> San Vito 95<br />
Lo sconforto dell’orante 96<br />
Alla <strong>casa</strong><strong>luce</strong> II 97<br />
Nel Cantiere<br />
<strong>La</strong> coralità 100<br />
I personaggi<br />
<strong>di</strong> Francesco Perissa 101<br />
Dall’archivio del Maestro dei Colori<br />
<strong>di</strong> Virgilio Francucci 108<br />
196
San Vito 7 uguale Itaca (architettura e <strong>poesia</strong>)<br />
<strong>di</strong> Lorenzo Papi 111<br />
Architettura e <strong>poesia</strong> <strong>poesia</strong> e architettura<br />
<strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> Caramella 114<br />
Poesia e architettura<br />
<strong>di</strong> Adelia Noferi 118<br />
Ancora nel Cantiere 129<br />
Scrivanie & c.<br />
<strong>di</strong> Eleonora Massa 130<br />
Fine dei lavori<br />
<strong>di</strong> Riccardo Francalanci 138<br />
Coralità al futuro 141<br />
Fondazione il Fiore 142<br />
Il mito custode dei miti 143<br />
Il nome del Fiore 145<br />
Interrogazione <strong>di</strong> <strong>poesia</strong><br />
Perché... 147<br />
... come... 150<br />
... cos’è 155<br />
Il pozzo<br />
<strong>di</strong> Alessandro Parronchi 162<br />
L’ultima stanza 164<br />
Il futuro cerca il futuro 166<br />
Il grande fiore 169<br />
197
Poesia e architettura:<br />
dal «Chaos» all’»Universum»<br />
<strong>di</strong> Eraldo Garello 178<br />
Architettura e <strong>poesia</strong><br />
<strong>di</strong> Carmelo Mezzasalma 181<br />
Ancora nel Cantiere 185<br />
Lettera (ovvero la coda) dell’e<strong>di</strong>tore<br />
Vanni Scheiwiller 186<br />
E dopo la fine 190<br />
il principio<br />
In<strong>di</strong>ce delle fotografie<br />
CARLO CANTINI: 6, 12, 18, 21, 22, 110, 119, 129, 141,<br />
143, 158, 165, 168, 188<br />
GUGLIELMO DE MICHELI: 15, 16, 17, 24, 50, 54, 58, 62, 63, 64, 67,<br />
68, 71, 72, 74, 79, 83, 85, 87, 98<br />
ELENA SALVINI PIERALLINI: 146, 150, 151, 154, 157<br />
198
Finito <strong>di</strong> stampare in Firenze<br />
presso la tipografia e<strong>di</strong>trice Polistampa<br />
Aprile 1999