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La casa della luce - La poesia di Alberto Caramella

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LA CASA DELLA LUCE


Sembra impossibile che questo panoramasia stato aperto da occhi lontanisenza ricordo; e che lo sguardo nuovopercorra così fresco strade usate


medesimi pensieri senza tempoe senza proprietà. Sembra incre<strong>di</strong>bileche queste sue dolcezze siano pubblicheper tutti e per ognuno neutra vita.


<strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>Tra architettura e <strong>poesia</strong>a cura <strong>di</strong>ALBERTO CARAMELLAVANNI SCHEIWILLER ALL’INSEGNA DEL PESCE D’ORO – MILANOFONDAZIONE IL FIORE – FIRENZE 1999


AVVERTENZASi intende che là dove non è in<strong>di</strong>cato l’autore, i testi sono <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>. I testi<strong>di</strong> Lorenzo Papi portano la sigla l.p.. I <strong>di</strong>segni sono tutti <strong>di</strong> Lorenzo Papi meno il <strong>di</strong>segnoa colori <strong>della</strong> Cupola <strong>di</strong> Brunelleschi dovuto a Benedetta Sor<strong>di</strong>.RINGRAZIAMENTIQuesto libro, nel suo cantiere, nel suo farsi e nel suo venire alla <strong>luce</strong> è opera a piùmani, dove tanti hanno concorso con la medesima coralità che caratterizzò il cantiere<strong>della</strong> «<strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>». Il curatore sente il dovere <strong>di</strong> ringraziare con il calore chemeritano tutti coloro che vi hanno contribuito:LORENZO PAPI, senza il quale non sarebbero stati né il libro né la stessa «<strong>casa</strong> <strong>della</strong><strong>luce</strong>».ALESSANDRO ANDREINI, che si è assiduamente occupato <strong>di</strong> imbastire il libro al computerriuscendo perfino a insegnare qualcosa al curatore irascibile.I coniugi ELEONORA eFIORENZO GIULIANI, sempre primi lettori, che hanno fornito generosamenteidee, suggerimenti e critiche.I fotografi: GUGLIELMO DE MICHELI, CARLO CANTINI, ELENA SALVINI PIERALLINI e per laconsulenza e il gusto sicuro, LIDIA CASALINI VUGI. Inoltre: ALESSANDRO ANDREINI, il fraternoamico e collega avvocato ALESSANDRO BERTI, per la meravigliosa idea del panorama,RICARDO VILLALOBOS, ingegno naturale prestato dal Perù alla Toscana, i geometriRICCARDO FRANCALANCI e FRANCESCO PERISSA, fotografi per debito <strong>di</strong> professione eper loro gusto e piacere.CARMELO MEZZASALMA con gli amici <strong>della</strong> COMUNITÀ DI SAN LEOLINO da lui fondata:Bernardo e Lorenzo Artusi, Bruno e Giovanni Meucci, Enrico Maria Vannoni.E soprattutto:VANNI SCHEIWILLER che, con esemplare pazienza, nel bosco inestricabile <strong>della</strong> suaagenda, dei suoi impegni e <strong>della</strong> sua vita <strong>di</strong>visa tra treni e taxi in coda caotica l’unoall’altro, ha tuttavia trovato pausa e luogo per selezionare i testi del curatore e per seguiree<strong>di</strong>torialmente la «fabbrica» del libro.MAURO PAGLIAI, Consigliere <strong>della</strong> Fondazione il Fiore e prestigioso responsabile <strong>della</strong>Polistampa, attento e paziente nell’opera <strong>di</strong> preparazione e realizzazione del presentevolume.STAMPAPolistampa - Firenze - Printed in Italy© 1999 Fondazione il Fiore50124 Firenze - Via S. Vito, 7Tel. 055.225074 - 055.224774 - Fax 055.225695E-mail: ilfiore@mail.siliconpark.it<strong>La</strong> Fondazione il Fiore Firenze ha tutti i <strong>di</strong>ritti esclusivi <strong>di</strong> e<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong> rie<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong>traduzione, <strong>di</strong> trasformazione in altro mezzo espressivo, come video, internet,Cdrom, o quant’altro, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> ogni utilizzazione economica nessuna esclusa o eccettuata:fermo restando il <strong>di</strong>ritto morale <strong>di</strong> ciascun autore.ISBN 88-444-1423-6


Il «Cartiglio» del Primo Citta<strong>di</strong>noQuesto bel libro ripercorre con intelligenza un’esperienzasingolare e suggerisce un inusuale rapportotra architettura e <strong>poesia</strong> e tra <strong>poesia</strong> ed architetturaonorando la città <strong>di</strong> Firenze e la Fondazione che neripete il nome.Sono davvero entusiasta dell’iniziativa. <strong>La</strong> <strong>poesia</strong> animaogni pagina del libro: non parlo solo dei testi, ma anchedei <strong>di</strong>segni, delle immagini, <strong>della</strong> successione degli argomentiche descrivono un itinerario virtuoso tra passatoe futuro.In fondo, il Fiore è proprio questo! Ma – <strong>di</strong>rò <strong>di</strong> più – Firenzeè stata grande nella misura in cui è riuscita a sintetizzarequesto itinerario nelle pietre, negli spazi <strong>di</strong> relazione,nei <strong>di</strong>pinti, nella costruzione del tessuto civile, nelleopere del pensiero e <strong>della</strong> scienza. Tutto ciò costituisce l’architetturae la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> Firenze, il suo genius loci.In occasione <strong>della</strong> mia presenza alla manifestazione de<strong>di</strong>catadalla «Fondazione il Fiore» al rapporto tra la culturae la <strong>poesia</strong> toscana e la cultura e la <strong>poesia</strong> latino americana,ho avuto occasione <strong>di</strong> accennare al bisogno che ognicittà, ed in particolare Firenze, ha <strong>di</strong> riflettere su se stessae sul suo patrimonio per evitare che i suoi citta<strong>di</strong>ni ne conservinoun’immagine quasi stereotipa, quale potrebbe formarsiil turista <strong>di</strong>stratto attraverso una serie <strong>di</strong> belle cartoline,un’idea, cioè, che non indugia a riscoprire la vitastraor<strong>di</strong>naria che ha suscitato la bellezza la quale può tutt’oggistimolare e trasfondersi a sua volta in nuovissima vivabellezza.9


Al sentimento <strong>di</strong> adesione vorrei aggiungere quello <strong>della</strong>gratitu<strong>di</strong>ne per ciò che la Fondazione sta facendo e faràper saziare la fame <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> – a volte inconscia sempre inespressa– che c’è oggi in larga parte del nostro mondo e forsein particolare a Firenze che, nella delicatezza del suotessuto e <strong>della</strong> sua vocazione, è più <strong>di</strong> altre città sensibile atale bisogno.Grazie dunque dell’idea, e <strong>della</strong> pubblicazione, che sostengo<strong>di</strong> tutto cuore.MARIO PRIMICERIOSINDACO DI FIRENZE10


Luoghi e miti


Lettera all’e<strong>di</strong>toreDI ALBERTO CARAMELLACaro Vanni Scheiwiller,alcuni anni or sono mi sono trovato a dover <strong>di</strong>sporre<strong>di</strong> una <strong>casa</strong> sulle colline, contigua ad altre (le «caseaccanto»)dove la famiglia numerosa vive: e poichénon interessava ad altri utilizzarla, ho pensato <strong>di</strong> trasportarvila più comoda sede per l’ultimo tempo del miolavoro, arredata del tutto funzionalmente con mobili moderni,dopo tanti anni trascorsi in siti tra<strong>di</strong>zionali: accarezzatinel gusto austero che fa parte, secondo alcuni, <strong>della</strong> rispettosatoscanità.Stante il mio luogo <strong>di</strong> nascita, la campagna è quella toscananei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Firenze, resa percorribile, rassettatada muri <strong>di</strong> pietre a secco, arredata con faticosa necessità eriluttante amore come un giar<strong>di</strong>no: ed arricchita da casecoloniche armoniose le quali furono insieme luogo <strong>della</strong>famiglia, del lavoro e dello svago.<strong>La</strong>voro svolto con <strong>di</strong>sponibilità a dare per ottenere il meglio,nel contrasto <strong>della</strong> creazione che appaga e rende similialla <strong>di</strong>vinità anche se non è costituita da un’opera immortalema da un campo ben coltivato esposto al rischio delle stagionio da un semplice manufatto comodo e armonioso.Chi s’impegna con fervore gusta la gioia dell’atto creativo:scritta nella bellezza delle pietre (la cupola del Brunelleschisarebbe impensabile senza una schiera numerosa <strong>di</strong>artigiani, pari all’artista nell’amore) com’è scritta nell’armoniadei colli. <strong>La</strong> consapevolezza <strong>di</strong> valori siffatti dovrebbesopravvivere ed essere conservata anche quando ne siano<strong>di</strong>sseccate le ra<strong>di</strong>ci sociali ed economiche.13


L’aspirazione inquieta e vaga, che cerca e ritenta la suaforma, s’agitava tra Monte Oliveto e Bellosguardo lungo lavia <strong>di</strong> San Vito che scende o sale «allegramente» «dall’unaall’altra delle caseaccanto».Superato il mezzo secolo <strong>di</strong> memoria <strong>di</strong> sé e <strong>di</strong> esperienzadelle cose del mondo, è abbastanza naturaleche si presenti il desiderio <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>nare, lo stimolo acapire cercando <strong>di</strong> percorrere i lineamenti <strong>della</strong> forma– se c’è, se è rintracciabile – <strong>di</strong> ciò che è accaduto. Sipresenta più forte la inesausta curiosità dell’uomo.Questo desiderio era anche altrimenti stimolato ed operanteperché, essendo scrittore segreto ed ostinato <strong>di</strong> componimentiin forma <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> da oltre cinquantanni, ne stavoterminando allora la definitiva raccolta e l’ultima14


ielaborazione per la primissima pubblicazione avvenutanel 1995: nell’anno stesso nel quale è stata occupata la nuovaresidenza <strong>di</strong> soggiorno e <strong>di</strong> lavoro.Le fonti <strong>della</strong> <strong>luce</strong>, dall’esterno, erano già tutte nellastruttura. È bastato aprire un cantiere senza programmi(l’idea inziale era <strong>di</strong> tentare qualche modernità d’arredo) etogliere gli infissi incongrui perché le gran<strong>di</strong> vedute sull’esternoapparissero pulite e invitanti e la <strong>luce</strong> si espandessenell’interno sì da rendere intollerabile la presenza <strong>della</strong> pe-15


sante schermatura dei muri <strong>di</strong>visori, ostacolo buio alla circolazionedell’onda luminosa.<strong>La</strong> caduta delle separazioni ha propagato la verde presenza<strong>della</strong> campagna e ha spontaneamente incarnatol’idea <strong>della</strong> struttura <strong>di</strong> officina artigianale forte <strong>di</strong>longarine usate come pilastri e trabeazioni, che si sonodrizzate da terra, dove giacevano, con la naturalezza <strong>di</strong>colonne chiamate a riproporre il luogo dell’uomo faber dovela <strong>luce</strong>, generosa <strong>di</strong> pensiero, assiste (e <strong>di</strong>venta) opera.<strong>La</strong> scala (Arch. Mauro Turchi, Arch. Patrizia Gervasi) da sipariocentrale <strong>di</strong> chiusura è andata finalmente a sdraiarsinello spessore del muro <strong>della</strong> torre al lato estremo del lungorettangolo dell’e<strong>di</strong>ficio, con l’effetto <strong>di</strong> permettere <strong>di</strong> leggereliberamente l’intero piano terreno – destinato agli uffici– ed il primo piano – destinato al soggiorno – come unapagina che si volta ed apre da una lettura l’altra.16


Nel segno <strong>di</strong> PieroI PILASTRI DEL CIELODolore e morteè in<strong>di</strong>fferente.Solo interessa laRagionata Bellezza.L’immedesimazione<strong>della</strong> Creazione.Il Pensierol’Amore <strong>di</strong> Dio.LA VIA CHE VA A MONTE OLIVETODall’Officina, ignota a Piero,risplenderannole prospettive ed i colori Suoi.L’Artigiano che pensa con le mani.17


Anche al primo piano sono caduti quasi tutti i <strong>di</strong>aframmipropagando il tema dello spazio: pieno dovunque(perché dovunque vuoto) del panorama d’ogni latoingresso.Sembrava una nave, San Vito, che leva dal cantiere loscafo con le sue robuste nervature ancora vuoto e già elegantema <strong>di</strong>sadorno: <strong>di</strong> una così nuda evidenza, da sembrareoggetto casuale e abbandonato.Il Coro del cantiere si è come soffermato si è scrutatoha sentito il bisogno <strong>di</strong> arricchire le voci.18


Aquel momento è avvenuto l’ingresso <strong>di</strong> Lorenzo Papi,amico subito ritrovato, che con la rara sensibilità el’ingegno <strong>di</strong>sponibile che solo pochi hanno in dono,col genio del tratto e del <strong>di</strong>segno, ha fulmineamenteintuito e compreso tutto: un programma poetico in cerca <strong>di</strong>sé e del suo proprio sogno. Portata da lui, eterno libero e<strong>di</strong>mmaginoso puer-poeta, ha fatto ingresso in cantiere la riproduzione<strong>della</strong> Pala <strong>di</strong> Urbino <strong>di</strong> Piero <strong>della</strong> Francesca,conservata a Brera, che come sacra icona del luogo non l’hapiù abbandonato, la vertiginosa ambizione proposta connaturalezza – quasi con noncuranza – come se fosse lo svolgimento<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso noto. Lorenzo Papi – tra mille contrad<strong>di</strong>zionimille <strong>di</strong>fficoltà mille idee mille scontri – si è postoal centro del Coro coinvolgendone e spezzandone lamusica e la coerenza: dominandolo, anche contro la sua intenzionecon un’ala impareggiabile e sicura.L’ala. Parte del repertorio dell’architetto (innamorato, appunto,del mare e del gabbiano: registri costanti <strong>della</strong> suaespressione) l’ala è planata interpretando i miti. Nella coralitàdell’opera la <strong>casa</strong> <strong>della</strong> civiltà conta<strong>di</strong>na, l’officina dell’artigianoe la <strong>luce</strong> sono <strong>di</strong>ventati modernissimo volo del pensiero:e le forme del volo si sono incarnate nei mobili, si sonoposate sui due livelli e sui colori del Maestro Virgilio, ispiratia Piero, <strong>di</strong> pari passo col crescere <strong>della</strong> forza attraverso le rottureverticali, armate anch’esse da longarine ora tutte argentatecol colore <strong>della</strong> foglia terrestre dell’olivo, verde verso ilcielo: attraverso i canali <strong>della</strong> <strong>luce</strong> ed attraverso il caminofortissimo in forma d’incu<strong>di</strong>ne posto al centro del piano secondoper legarne ed esaltarne il <strong>di</strong>slivello me<strong>di</strong>ale. Sigillo equasi simbolo dell’opera baricentro <strong>della</strong> <strong>casa</strong> cellula.Le vicende minute <strong>della</strong> storia, fortunate o sfortunateche siano state, appartengono al quoti<strong>di</strong>ano.L’opera ormai c’è e vive con la sua anima corale che lospazio accoglie e sembra rendere immortale. Lo spazio èvero in un senso totale: perché occupa una porzione <strong>della</strong>fisicità <strong>della</strong> terra, perché ne or<strong>di</strong>na e mo<strong>di</strong>fica la bellezza,perché è percorribile vivibile bellezza che si possiede interamente,dall’interno, fusi nella sua lenta memoria.Ed è puro pensiero che nasce e si nutre in quella verità,crescendo pietra con pietra, supportandola, e incarnandosi19


nelle forme, nelle geometrie, nelle associazioni. Rassicuraperché non fugge, come il tempo, attimo dopo attimo.Quando si vuol richiamare questo assoluto puro concetto<strong>di</strong> un proporzionato, durevole spazio dello spirito,nel quale lo spirito «è», si parla <strong>di</strong> architettura:dell’opera d’arte, <strong>della</strong> musica, del libro, del pensierostesso. In nessuna altra arte c’è questa fusione così intimacon la vita carnale, fino nelle sue più minute necessitàe con la vita dello spirito nelle sue più alte manifestazioni.Solo la <strong>luce</strong> è così leggera e così concreta insieme.Ora la grazia è intorno a me ed io vivo la <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>come l’avevo <strong>di</strong>visata e desiderata. <strong>La</strong> sento come felicità.Questa lettera, caro Vanni Scheiwiller, è frutto <strong>di</strong> una riflessionea posteriori e le ipotesi che ripercorre sono inveroinsondabili nella loro reale plausibilità sicché tutto resta indefinitiva nel suo proprio mistero: che è poi il massimo chepuò essere affettuosamente offerto alla libertà <strong>di</strong> ciascuninterprete o lettore. Soprattutto nel giu<strong>di</strong>zio se la vicenda,al postutto, contenga in sé qualcosa <strong>di</strong> non soltanto occasionalee possa, perciò, giustificare queste righe.20


<strong>La</strong> via <strong>di</strong> San Vito<strong>La</strong> via <strong>di</strong> San Vito fa parte <strong>di</strong> un antico sistema viario checollegava le uscite dalle mura <strong>di</strong> Firenze a piè delle colline <strong>di</strong>Bellosguardo e <strong>di</strong> Monte Oliveto, salendo e poi scendendodall’una all’altra <strong>di</strong> antiche torri <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a e <strong>di</strong>fesa. Un percorso,dunque, <strong>di</strong> carattere militare, corrispondente all’attualevia <strong>di</strong> Bellosguardo, che sale dalla Piazza Torquato Tas-21


so fino al cosiddetto «Prato dello Strozzino» che prende nomeda una piccola Villa Strozzi, ivi costruita, e scende poi,attraverso la via <strong>di</strong> San Vito, per raggiungere il piano e ricollegarsialle porte <strong>della</strong> città presso l’Arno.Il percorso inverso che sale da Soffiano consente ancoraoggi <strong>di</strong> ammirare uno scorcio <strong>di</strong> via <strong>di</strong> San Vito come dovevapresentarsi nel tempo, ombrosa, raccolta e pavimentatain pietre <strong>di</strong> non grande <strong>di</strong>mensione, quasi che gli antichiartigiani avessero inteso <strong>di</strong> proporzionare l’opera rendendolacontemporaneamente più forte e più resistente all’ertasalita e al decorso vorticoso delle acque.22


QUO VADIS?(dall’una all’altra delle caseaccanto)Sentii che s’annunciava quella seradal colmo delle cose amici cariuna fine in<strong>di</strong>stinta. Non davano risposta conclusivale luci piatte le scodelle ardenti al cotto dell’aia néi vivi<strong>di</strong> barbagli <strong>di</strong> teneri colori e geometrie,<strong>di</strong> realtà rarefatta,concreto metafisico <strong>di</strong>staccotra possenti armature d’officina.Bisognava riappropriarsi il primo errore.Abbandonare l’ansia <strong>di</strong>vagante. Chiudereil ciclo definito. Accorgersiche l’acqua torna all’alveo. Andarese la possiededove conduce infine la sua foce:prima che serri, cuna <strong>della</strong> <strong>luce</strong>,l’arca cristallina.23


Che cos’è la bellezza in architetturaDI LORENZO PAPISiamo nati per vivere!GIOVANNI XXIIIL’Arte, l’Architettura è l’invenzione del Vero! Di una vitain più. L’Architettura è bella, io credo, quando oltreche per i suoi spazi, oltre che per le sue proporzioni<strong>di</strong>vine come la musica <strong>di</strong> Mozart quando aiutal’uomo nel suo miracolo – «esistere»; e, nel suo <strong>di</strong>ritto a«crescere»; e, nell’evoluzione del tempo, a «conoscere».L’Architettura è l’universo che l’uomo costruisce per aumentarela sua civiltà e la sua felicità e qualità <strong>della</strong> vita. Amisura dell’uomo stesso. Minimo comune denominatore<strong>della</strong> struttura magmatica dell’universo.«Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtutee conoscenza». <strong>La</strong> virtute e la bellezza dell’Architetturasono insite nel continuo realizzare, nel «panta rei», quelHabitat per la conoscenza fra uomo e uomo, fra uomo ecose. Fra l’uomo ed il significato del suo esistere.Con la Forma e la Verità dell’Architettura viva.Le Corbusier, con la Cappella <strong>di</strong> Ronchamp, ha creatouna nuova galassia, nell’universo dell’Architettura Umana.Così il Partenone. E così la meravigliosa, spontanea earchitettonica innocenza <strong>della</strong> <strong>casa</strong> colonica. Costruita daarchitetti – conta<strong>di</strong>ni. Non da architetti «laureati». Ronchampnon è uno splen<strong>di</strong>do teorema <strong>di</strong> Forme e <strong>di</strong> luci.E lo stesso Le Corbusier trovava che il più grande esempio<strong>della</strong> «Architettura bella» <strong>di</strong> tutti i tempi fosse il Battistero<strong>di</strong> Firenze, dove, sul Romanico, si è inserito, in armoniavitale e spaziale perfetta, il Rinascimento. In esso,dove fiorisce la piramide marmorea, e dalla copertura lìinizia l’Architettura del cosmo infinito, in un continuum25


fra finito ed infinito. Naturalmente. Con la natura dell’Architettura.«Nel meno c’è il più». Diceva Mies van der Rohe.E nel più c’è il meno. Quell’essenza <strong>di</strong>stillata dell’Architetturacome <strong>della</strong> Natura.<strong>La</strong> doppia elica del DNA è struttura. E crea la vita. Inevoluzione. E così l’Architettura è bella quando crea anch’essala vita.Nulla si crea, nulla si <strong>di</strong>strugge, tutto si trasforma, evolvendosi.E l’Architettura è bella quando si trasforma, evolvendosi.E l’Architettura è bella quando sa trasformarsi, nel tempocome nello spazio, seguendo fedelmente le esigenze fisicheed etiche dell’uomo. Il teatro Marcello, a Roma, è belloperché l’antico teatro romano si è trasformato, nello spazioe nel tempo, con armonia, in un nuovo agglomerato <strong>di</strong>abitazioni per l’uomo <strong>di</strong> oggi; come avviene nella città variabile.Bisogna progettare con Amore e costruire a regola d’Arte.Così nascerà una bella Architettura, frutto <strong>di</strong> questoAmore. (Amor che move il sole e l’altre stelle.). E anche lestelline appena nate! Come l’uomo. Con quel bambino cheporta sempre in se stesso; da quando viene alla <strong>luce</strong>, allavita-architettura!L’architettura vera e Assoluta è solo quella progettata ecostruita da quegli Architetti (ancora troppo pochi) da quegliuomini, da quella società che metta in essa Passione,Intelligenza, Fantasia. È bellezza. È sensibile Poesia. Ciòse la Società «Civile» sarà una illuminata committente pergli architetti e per il progetto <strong>della</strong> futura città per l’uomo.Così non è.Non certo come era nell’Atene <strong>di</strong> Pericle o nella Firenzedel Magnifico! O come oggi nella «Rinnovata Parigi».26


Riflessioni «a ruota libera»su architettura, musica e <strong>poesia</strong>DI GIORGIO LUTIRiflettendo sul rapporto tra l’architettura e le arti ingenere mi sembra necessario riferirsi all’idea che ilpoeta <strong>di</strong> Recanati aveva dell’architettura: per lui lamusica e l’architettura erano le uniche arti in grado<strong>di</strong> superare ogni rapporto mimetico con la natura e pertantopotevano trascendere ogni significazione troppo limitatae circoscritta. «Le altre arti – scriveva Leopar<strong>di</strong> nelloZibaldone – imitano ed esprimono la natura da cui si traeil sentimento, ma la musica non imita e non esprime chelo stesso sentimento in persona che ella trae da se stessa enon dalla natura... <strong>La</strong> parola nella <strong>poesia</strong> non ha tanta forzad’esprimere il vago e l’infinito del sentimento se non applicandosia degli oggetti, e perciò producendo sempreun’impressione secondaria e meno imme<strong>di</strong>ata, perché laparola come i segni e le immagini <strong>della</strong> pittura e sculturaha una significazione determinata e finita. L’architetturaper questo lato si accosta un poco alla musica».Leopar<strong>di</strong> non aveva esitazioni nel porre ai vertici dell’esperienzaartistica due spazi apparentemente <strong>di</strong>stanti, main realtà convergenti verso la più <strong>di</strong>retta espressione delsentimento. Ora io credo che Leopar<strong>di</strong>, come al solito, avessecolto nel segno me<strong>di</strong>tando, come soltanto lui sapeva fare,sulle ra<strong>di</strong>ci vaghe e indefinibili dell’esperienza artistica.Ma bisogna che aggiunga un co<strong>di</strong>cillo riguardante lo spazioarchitettonico elettivo al quale Leopar<strong>di</strong> pensava quandotracciava il famoso parallelo che abbiamo prima ricordato.In effetti Leopar<strong>di</strong> limitava il proprio giu<strong>di</strong>zio positivo allagrande architettura degli antichi, mentre polemizzava un27


po’ troppo impietosamente, contro la caducità <strong>di</strong> un’esperienzache, secondo lui, non poteva reggere l’urto dei tempi:«L’immaginazione e le gran<strong>di</strong> illusioni onde gli antichi eranogovernati, e l’amor <strong>della</strong> gloria che in loro bolliva, li facevasempre mirare alla posterità e all’eternità, e cercare inogni loro opera la perpetuità e provocar sempre l’immortalitàloro e delle opere loro... <strong>La</strong> portentosa soli<strong>di</strong>tà delle antichefabbriche d’ogni genere, fabbriche che ancor vivonomentre le nostre, anche pubbliche, non saranno vedute daposteri molto lontani; le pirami<strong>di</strong>, gli obelischi, gli archi <strong>di</strong>trionfo, la profon<strong>di</strong>ssima impronta delle antiche medaglie emonete, che passate da tante mani, dopo tante vicende, tantisecoli etc. ancor si veggono belle e fresche, e si leggono,dove i conii delle nostre monete <strong>di</strong> cent’anni fa son già cancellati,tutte queste e tant’altre simili cose sono opere, effettie segni delle antiche illusioni e dell’antica forza e dominiod’immaginazione. Se fabbricavano per fasto, i monumentidel loro fasto dovevano durare in eterno, e il loro orgoglionon si appagava dell’ammirazione <strong>di</strong> un secolo, matutti in perpetuo dovevano essere testimoni <strong>della</strong> sua potenzae contribuire a pascere la vanità».Una lunga citazione che in<strong>di</strong>ca con evidenza l’appassionataricerca leopar<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> una felice stagione perduta,mentre intorno la durezza del tempo, la sor<strong>di</strong>tà dei contemporaneisembrano costringere il poeta e il pensatore arinunziare a ciò che il presente può offrirgli e che il futuropotrebbe assegnarli. D’altra parte le ultime conclusioni leopar<strong>di</strong>aneaprono qualche spazio alla speranza, in<strong>di</strong>canoanche per il presente il varco che può essere consentito all’immaginazionecreatrice: «Le gran<strong>di</strong> illusioni onde gli antichierano animati – si legge ancora nello Zibaldone – nonpermettevano loro <strong>di</strong> contentarsi <strong>di</strong> un effetto piccolo epasseggero, <strong>di</strong> procurare un effetto che avesse a durare poco,instabile, breve; <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfarsi <strong>di</strong> una idea ristretta a pocopiù che a quello che non cade sotto i sensi. L’immaginazionespinge sempre verso quello che non cade sotto i sensi.Quin<strong>di</strong> verso il futuro e la posterità, perciocché il presenteè limitato e non può costernarla, è misero ed arido,ed ella si pasce <strong>di</strong> speranza e vive promettendo sempre a sestessa. Ma il futuro per una immaginazione gagliar<strong>di</strong>ssima28


non debbe aver limiti; altrimenti non la sod<strong>di</strong>sfa. Dunqueella guarda e tira verso l’eternità».Ora, consentitemi <strong>di</strong> sottolineare scherzosamente lamia consonanza col polemista che guardando all’architetturadegli antichi in<strong>di</strong>cava i limiti <strong>di</strong> ciò chestava accadendo in un mondo che andava trasformandosiforse troppo rapidamente. Eppure dobbiamo crederealla forza dell’immaginazione che può ancora salvarcida un degrado per tante ragioni dominante nel paesaggiodelle nostre città moderne. Anch’io credo che l’architettura,come la musica e la <strong>poesia</strong> possa aiutarci a risolvere iproblemi <strong>di</strong> oggi proponendo uno spazio che le altre artinon sono in grado <strong>di</strong> confezionare. Allora, l’architettura,un’architettura innovativa, libera da vincoli passivamenteegoistici, può davvero aiutarci a vivere offrendo alla nostraquoti<strong>di</strong>ana esistenza il varco verso il futuro. Come tuttoquesto possa accadere oggi, in un ambiente dominato dalleragioni meramente pratiche e dei consumi <strong>di</strong> massa, nonchiedetelo a me. Per ciò che mi riguarda penso che l’architetturadel futuro debba per forza <strong>di</strong> cosa puntare a risolverel’attrito profondo tra il vincolo cogente dei bisogni ela forza salvifica dell’immaginazione. In altre parole credoche per l’architettura accada quello che sta accadendo perla <strong>poesia</strong>: viviamo in un periodo <strong>di</strong> crisi profonda, un momento<strong>di</strong> transizione che deve trovare esiti nuovi e <strong>di</strong>versise vogliamo che il nostro futuro non sia consegnato unicamenteal tempo <strong>della</strong> sconfitta.D’altra parte il parallelo tra musica e architettura avanzatoda Leopar<strong>di</strong> mi richiama alla mente l’impatto esercitatosu Stendhal dall’architettura milanese testimoniatonel 1811 nelle pagine del Journal in cui l’autore <strong>della</strong> Certosa<strong>di</strong> Parma racconta il suo arrivo nella capitale lombarda.Scrive Stendhal: «Je sens par tous les pores que ce pays estla patrie des arts/.../ J’entre dans San Fedele, je trouve unearchitecture magnifique, toute l’église proprement tendueen damas cramoisi, un air frais et pur. On <strong>di</strong>sait une messebasse qui était écouté par une vingtaine de fidèles <strong>di</strong>sperséssur les bancs de cette vaste église; tout à coup part unepetite sonate charmante: c’était un homme qui était à l’or-29


gue avec des femmes. Il joua un rondeau très gai et trèsbrillant. Cette jolie église fraiche en augmentait l’effet».Mi sembra evidente il reciproco apporto che architettura«magnifique» e musica «charmante» stabiliscono, potenziandovicendevolmente l’emozione stendhaliana. E forsenon è un caso che proprio la chiesa <strong>di</strong> San Fedele costituiscail punto <strong>di</strong> partenza dell’itinerario architettonicopresente nei Voyages <strong>di</strong> Henry Beyle. Certo non sorprendeun impatto <strong>di</strong> questo genere con l’architettura se pensiamoalla facile suggestionabilità del grande scrittore francesetestimoniata da quella che anche recentemente è stata definitala «sindrome <strong>di</strong> Stendhal». Ma non è facile, d’altra parte,sottrarsi al particolare movimento <strong>di</strong>namico che l’occhiodell’osservatore coglie all’interno dell’ambiente architettonico.Sta <strong>di</strong> fatto che Stendhal subisce non soltanto il richiamo<strong>della</strong> «noble architecture», ma è altrettanto sensibile alfascino <strong>della</strong> città: Milano lo impressiona soprattutto perl’impianto topografico, per l’affascinante incrocio delle suestrade e dei suoi e<strong>di</strong>fici.Altro non vorrei aggiungere sul rapporto tra musica earchitettura che, a conti fatti, ho «tirato un po’ per i capelli».Ma ciò che più mi interessa è lo spostamento del singoloe<strong>di</strong>ficio verso l’insieme delle città. Credo proprio che ciòche più oggi interessa è il problema che si connette al destino<strong>della</strong> città moderna, a ciò che accade, e a ciò che puòaccadere nella o<strong>di</strong>erna topografia urbana.Aquesto proposito ho letto quello che ha scritto CesareDe Seta nel suo libro Città verso il 2000 – Viaggio allascoperta dell’architettura e dell’urbanistica alle sogliedel XXI secolo e<strong>di</strong>to da Mondadori. Nella PresentazioneDe Seta insiste sulle trasformazioni urbanistiche in attoche sono destinate a con<strong>di</strong>zionare il nostro futuro: «Anchel’Europa più opulenta – scrive De Seta – offre estese sacche<strong>di</strong> degrado e<strong>di</strong>lizio e <strong>di</strong> umana sofferenza. <strong>La</strong> mutazione geneticache ha investito il sistema <strong>di</strong> produzione industrialeè <strong>di</strong> certo elemento comune all’urbanesimo dei nostri giorni:la smobilitazione delle gran<strong>di</strong> aree industriali e la lorotrasformazione in atto hanno drasticamente ri<strong>di</strong>mensiona-30


to l’espansione urbana. <strong>La</strong> città alla soglia del duemila si <strong>di</strong>rebbeche stia riflettendo su se stessa...». È su questa constatazioneche anche io vorrei riflettere un momento poichéin realtà è questo il problema <strong>di</strong> fondo che ci sta <strong>di</strong> fronte eci costringe comunque a misurarci con una nuova idea <strong>di</strong>città, tutti senza <strong>di</strong>stinzione, anche chi come me non ha vocein capitolo. Del resto mi sembra che nell’infuriare del degradoqualche spiraglio si possa intravedere, qualche piccolovarco che consente il sorriso a chi scherzosamente vuoleproporsi come ipotetico interlocutore. Tra apocalisse e salvezzac’è sempre la possibilità <strong>di</strong> una scelta a cui non dobbiamorinunziare. «Le catastrofiche previsioni sul futurodelle città sono perio<strong>di</strong>che, la città ha mostrato in alcunimillenni <strong>di</strong> storia risorse inimmaginabili: dal sale sparsosulle macerie urbane sono nate città rigogliose a volte piùbelle e seducenti. Questo viaggio volto a capire quale futuroattende le nostre città non induce a tanto ottimismo, maneppure vicina mi pare una irreversibile catastrofe urbana.Di città continueremo a vivere e a morire ancora a lungo».Così conclude De Seta, e forse già in questa pagina, volutamenteottimistica, potrei trovare una risposta all’interrogativoche più <strong>di</strong> ogni altro oggi c’incalza.Ma per concludere su questo aspetto fondamentale misembra sia necessario dare la parola a un grande scrittoredei nostri giorni, Italo Calvino che anche in questo casoesercita il suo occhio attento sugli aspetti trasformativi cheincombono sul nostro tempo. Nel novembre del ‘75, rispondendoad una inchiesta sulla città proposta dalla rivista«Nuova società», Calvino proponeva una sua prospettazioneche a me sembra, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> venti anni, pienamentecon<strong>di</strong>visibile: «È con occhi nuovi che oggi ci si pone a guardarela città, e ci si trova davanti agli occhi una città <strong>di</strong>versa,dove composizione sociale, densità d’abitanti per metroquadrato costruito, <strong>di</strong>aletti, morale pubblica e familiare,<strong>di</strong>vertimenti, stratificazioni del mercato, mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> ingegnarsia sopperire alle deficienze dei servizi, <strong>di</strong> morire o sopravviverenegli ospedali, <strong>di</strong> imparare nelle scuole o per la strada,sono elementi che si compongono in una mappa intricatae fluida, <strong>di</strong>fficile a ricondurre all’essenzialità d’unoschema. Ma è <strong>di</strong> qui che bisogna partire per capire – primo31


– come la città è fatta, e – secondo – come la si può fare...Una città può passare attraverso catastrofi e me<strong>di</strong>oevi, vederestirpi <strong>di</strong>verse succedersi nelle sue case, veder cambiarele sue case pietra per pietra, ma deve al momento giusto,sotto forme <strong>di</strong>verse, ritrovare i suoi dei».Sono passati quasi venti anni e la prospettiva calvinianami sembra reggere ancora; soltanto mi <strong>di</strong>spiace che ilmio caro amico Italo Calvino mi abbia tagliato in modotanto drastico «l’erba sotto i pie<strong>di</strong>». Pazienza! sono coseche capitano.32


Scan<strong>di</strong>sce il pendoloun moto simmetrico.Nell’animo ritorna,specchio che raddoppia,la gioventù mia splen<strong>di</strong>da.Rinasce il desideriopuro come la <strong>luce</strong>.O, quando annotta, un canto.Ritorna ogni fulgore.Miracoloso pendeil fiore sullo stagno.Manda un profumo lieve<strong>di</strong> tragica precaria libertà.


Motivi ispiratori per San Vitoi ruscelli <strong>di</strong> acqua smeral<strong>di</strong>na paralleli e confluenti verso ilmare la <strong>luce</strong> del marele rughe le righe le stra<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cristallo lastricato riluconoalla luna novella scocca la scintilla!le parallele azzurre dei ruscelli verso la foce del fiume versola foce del sole me<strong>di</strong>terraneoconobbi il tremolar <strong>della</strong> marina... bastano pochi stocchid’erba spada pendula da un ciglione... sul delirio del mare... (Eugenio Montale)34


la foce dove il verde dei fiumi s’abbraccia coll’azzurro delmare me<strong>di</strong>terraneo <strong>di</strong> Ulisse che è poi verde come la natura eazzurro come il cielole trasparenze dei puri tramonti del Perugino e <strong>di</strong> Raffaello35


la trasparenza dolce, tenue e pura deicieli celestini <strong>di</strong> Piero <strong>della</strong> Francescail miraggio nel deserto rosa del Saharae il riflesso lo specchio, lo specchiarsi,l’arcobaleno policromo che è già uncaleidoscopio come quella sfera comenelle <strong>di</strong>scotechesì, il caleidoscopio mille scintille, milleraggi <strong>di</strong> stelle giovinette scintillantinell’universo <strong>di</strong> uno spazio internointimo e del macro cosmo la stella!le pleia<strong>di</strong>, la costellazione delle pleia<strong>di</strong>«è mezzanotte e già son tramontate lepleia<strong>di</strong>» (Saffo, VII sec. a.C.)«ed il remo si portò via il riflesso <strong>della</strong>luna <strong>di</strong> primavera nella lagunaincantata delle dame <strong>di</strong> corte sul lago»– costellazione <strong>di</strong> isolette del PrincipeCinese del XII secolo Li Po poeta cinesela <strong>luce</strong> delle stelle del XII sec. a.C. la<strong>luce</strong> del sole «Amor che mòve il sole el’altre stelle»la nebbiolina d’argento <strong>della</strong> via lattea36


San Vito espacedeve essere come un’esplosione fantastica e spazialeverso la NATURAdell’uomo e dell’esistenza.Sì, come una stella <strong>di</strong> <strong>luce</strong> e <strong>di</strong> Amorenel delirio del mare che lanciaed esplode i suoi raggi infiniti<strong>di</strong> <strong>luce</strong> e <strong>di</strong> creativitàgenerata in ogni <strong>di</strong>rezione infinitadell’universo infinitoun open space del cosmo in continuo cambiamentometamorfosi crescita ed evoluzionevitale con la Natura in simbiosi con essaè una irra<strong>di</strong>azione, uno spazio stella«lumeggiato» d’oro e <strong>di</strong> cristallo soffiatoun cristallo che rifletteil chiaro <strong>di</strong> luna <strong>di</strong> Chopin. (l.p.)38


Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> progettoAd <strong>Alberto</strong> da LorenzoForse sì, forse no! chissa?!ma poi, perché?!Sì, no, forse; e forse perché ma in questo forse c’è,(o è un abbaglio?)come una scintilla lieve che sembra apparire, ai ciechiocchi miei, ogni tanto, appena, appena nella nebbiolinacosmica <strong>della</strong> via lattea (mamma, dove sei ora, mi manchitanto e il tuo latte lo potrei succhiare ancora così adulto?)Io lo vorrei fare (tanto) per salvarmi?!Sì, è una scintilla <strong>di</strong> una stella giovinetta lontana dal miocuore milioni <strong>di</strong> anni <strong>luce</strong>e forse già morta, come forse sono già morto io, senza némilioni <strong>di</strong> anni <strong>luce</strong> né <strong>di</strong> <strong>luce</strong>! né propria né riflessa.Ma se è è una stella, leggiadra giovanetta ancor vergine (eancor viva) dal mondo <strong>di</strong> delusione e <strong>di</strong> amarezze!con una scintilla pallida dentro al cuore, una azzurralucina <strong>di</strong> speranza!Forse, però, è un abbaglio o un miraggio! Chissà!20 novembre 1993A regola d’arte<strong>La</strong> regola <strong>della</strong> civilta toscana è il <strong>di</strong>segno, che in unaprospettiva essenziale, convergente ad un unico punto,or<strong>di</strong>na in equilibrio perfetto paesaggio, uomini,alberi, architettura, cose, colori e idee in un soloblocco <strong>di</strong> pietra serena, armonico ma a spigolo vivo. Le nostrera<strong>di</strong>ci umane affondano in questa terra e da essa traggonola linfa naturale; chi se ne <strong>di</strong>stacca si astrae e perdela sua verità originale.39


<strong>La</strong> mano è lo strumento appassionato <strong>di</strong> questa regolaed infatti tocca e lavora la materia con amore, con faticama con vocazione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne fisico e morale, escludendo sial’arbitrio <strong>di</strong> una fantasia senza oggetto, sia il materialismo<strong>di</strong> un oggetto senza «l’invenzione».<strong>La</strong> cupola del Brunelleschi, intuita e voltata a «regolad’arte» ne è il modello e la misura. Questi due valori si fondonoin un unico, che è l’architettura.Leon Battista Alberti definisce la bellezza come «l’armoniatra tutte le membra su un complesso <strong>di</strong> cui fanno parte,fondata su <strong>di</strong> una legge precisa, in modo che non si possaaggiungere o togliere, o cambiare nulla se non in peggio».E questa «legge precisa» che bisogna riscoprire dentro<strong>di</strong> noi per ritrovare la nostra regola <strong>di</strong> vita e la speranza, ilnostro appartenere alla «FORMA» viva del tempo.Giorno <strong>di</strong> MistralPuò talvolta bastare un basso muretto grigio a «rompere»la nostra corsa felice verso il mare violetto(Omero) verso il cielo, bruniti ambedue dal vento <strong>di</strong>mistral ma non è quello stesso basso muretto grigioad esaltare il canto <strong>di</strong> quei due azzurri?!?<strong>La</strong> sua ombra, però, lo fa apparire ancor più alto, talvoltaancor più invalicabile!Ciò inquieta alquanto i nostri cuori, spesso sgomenti,spesso impauriti, da quel vuoto da quel «nulla» che sembracircondarci: l’esistenza.All’Hidalgo <strong>Alberto</strong>Correndo, vecchio e stanco, <strong>di</strong>etro alla scherzosa e <strong>di</strong>me ridente impietosamente, veloce cerbiatta occhiosmeral<strong>di</strong>na, <strong>di</strong>etro alla snella sagoma così fuggente,<strong>di</strong> Nausicaa, ratta e come un lampo degli Dei velocenella corsa, (per la sua giovinezza incantata e così per mestruggente incantevolezza) mi sono ferito, cadendo sullaspiaggia, all’inguine, ove la corazza, troppo mi pesava d’ac-40


ciaio <strong>di</strong> Damasco. Per due lune più non potrò cavalcare ilmio focoso e amato purosangue arabo-acheo, il mio fedelePegaso cavallo straor<strong>di</strong>nario in battaglia come in pace dallefroge schiumanti <strong>di</strong> nettare <strong>di</strong>vino. Per due lune quin<strong>di</strong>(e tu Amico mio carissimo, come Prènce e Hidalgo mi scuseraie certo capirai), dovrò recarmi con questa Biga forgiataet costruita con legno dei cedri del Parnaso. Poi torneràil cavaliere al cantiere inclito <strong>di</strong> San Vito!Acheo vincente ti abbraccio! (l.p.)SPLENDORE DEL SILENZIOOh quanto t’invi<strong>di</strong>o, mio pastore erranteper gli altopiani silenti d’Asia,nel tuo silenzioso e argenteo (e magico)colloquio, muto o parlato con la silenziosanovella luna!Quanto t’invi<strong>di</strong>o.Presto ti raggiungerò. È certo! (l.p.)41


È pulita d’intornola collinache scintilla<strong>di</strong> <strong>luce</strong> cristallina,dalla pioggia recenteripensata;come un sonno<strong>di</strong> tarda primaverache operosoal risveglio rammentaspettacoli nuovi.Nessun par <strong>di</strong>spostoa dare sensod’ammonimentoai capricci del vento.


Sogni leggeri sul filo del ventosfiorano l’alba.Tendono lacci <strong>luce</strong>nti <strong>di</strong>versisparsi misteri.Esili fughe d’incerti pensieritentano ignari.Come le foglie d’un’altra stagionecercano cercano.(Pie<strong>di</strong> liberi dànzano)46


Se mai fossela <strong>poesia</strong> Architettural’architettura Poesia


Un messaggio conciso <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>intreccia l’invenzionecol frainten<strong>di</strong>mento.Un colloquio si scambiad’immagini fantastiche tra loronessuna immaginata prima.Fosse miala bellezzache si conoscee riconosceper frainten<strong>di</strong>mento.


<strong>La</strong> <strong>casa</strong><strong>luce</strong>Domus vitrea, la <strong>casa</strong> <strong>di</strong> <strong>luce</strong> e <strong>di</strong> cristallo questo è ilnome definitivo <strong>di</strong> San Vito 7. Con ciò si concludela prima parte <strong>di</strong> San Vito. Questo è il nome che ilprincipe papa Pio II Piccolomini <strong>Caramella</strong> volledare alla Cattedrale <strong>di</strong> Pienza e a tutta Pienza Urbs Vitrea<strong>di</strong> cui il Rossellino fece dal nulla l’intero progetto e la realizzòinsieme all’architetto Papi Contini Bonaccossi.Finalmente abbiamo il nome splen<strong>di</strong>do e felice evviva laDomus Vitrea, la nostra Casa <strong>di</strong> sole e <strong>di</strong> cristallo.tuo LorenzoLINEA D’ORIZZONTEAmo la vibrantee cristallinalinea dell’orizzonte;soprattutto se è quellaluminosa, verde e azzurradel mare. Ad essaconvergono tutte le linee<strong>della</strong> prospettiva<strong>di</strong> ciò che è finitoormai opachee corrose dal tempo,del nostro passato.Ma da essa s’irra<strong>di</strong>ano,come una ‘V’ rovesciata,e in magica geometria,tutte le linee, infinite,<strong>di</strong> vita guizzanti,come un laser,del nostro futuro.Così irraggiante <strong>di</strong> <strong>luce</strong>,<strong>luce</strong> <strong>di</strong> stellenate milioni<strong>di</strong> anni fa. (l.p.)Liberamente corre il mutamentoad ora ad ora e cambia trasparentesecondo la stagione e il tempoche non s’impiglianoi raggi obbe<strong>di</strong>enti <strong>di</strong> subito alla <strong>luce</strong>nel fasto inesistente.CASALUCELe mani <strong>di</strong> Artigiano sono immersedove corre il baleno <strong>della</strong> <strong>luce</strong>.<strong>La</strong> fiera l’impossibile creazione,pena ed inferno vola al suo richiamo.51


<strong>La</strong> luna ha forma d’uovo un po’ schiacciata a pera(fresca è la notte, la notte la luna).S’arrocca dentro l’afa una galassia<strong>di</strong> <strong>luce</strong> spessa soffice nel motol’orlo è preciso ritagliato dovecessa la <strong>luce</strong> e ricomincia il chiaroincerto <strong>di</strong>ffuso biancore.<strong>La</strong> morte è lontana stasera. <strong>La</strong> lunasta e non <strong>di</strong>ce non parla ma taceanzi non sta insegue leggeraligia alla legge dei moti lontani.Certo non vede non sente. Si sentesoltanto che pesa pietra indecenteche paga che muta non ode.Pure la sento parlare. <strong>La</strong> notteè sicura è fresca solarenotte <strong>di</strong> luna che parla dal cielo e<strong>di</strong>scende coglila pren<strong>di</strong>la in manolieta ghirlanda <strong>di</strong> <strong>luce</strong> <strong>di</strong> Cina(scende la notte la notte la luna)fiocco rotondo morbido cielo<strong>di</strong> <strong>luce</strong> piena luna a tutto tondo.Stento segnale pigro a ricordarela morte tace stanotte nel cielofresca la notte la notte la luna.I girasoli impazziscono<strong>di</strong> <strong>luce</strong>sotto il sole argentinocrudele come lanoche encantada<strong>di</strong> mille e milleri<strong>luce</strong>nti galassieancora mai conosciutee magiche così vicineche ti rendono gli occhie le ideeper San Vito semprepiù luminosey ra<strong>di</strong>osas. (l.p.)L’urlo tremendodelle galassie,lontane milioni<strong>di</strong> anni <strong>luce</strong>;passando dallo zenithdell’universoper il cavotetto <strong>della</strong> pievefa vibraremusicalmente,fin all’alba, le pareti<strong>di</strong> cristallo azzurroa San Vito.E lassù,è l’infinito! (l.p.)<strong>La</strong> lotta i voltoloni i giochi turgi<strong>di</strong>i riti goffi pigramente adducel’impassibile luna che traguardache tutto cambi e nulla si <strong>di</strong>sperda.Cadute le grinzose scaglie arcaichele pelli limpide <strong>di</strong> botte nuovesi contendono il fango profumatoe gracchiano grottesche serenate.L’argento il rame e lo stagno ubbi<strong>di</strong>entisuoni argentini <strong>di</strong>stendono a seraal vespero rifusi nel crogiuolo<strong>di</strong> mille un suono.Trabocca nella notte maculatal’onda <strong>della</strong> luna<strong>di</strong>stesa sulla terra a nuova forma natadel giorno calda ancoradove leggero dorme pacatoogni pensiero.53


Il soleCONTRAPPUNTOFotogramma negativosviluppa l’universo il suo messaggio:tempi istantanei<strong>di</strong> sogno <strong>di</strong> cielo <strong>di</strong> ventomateria massiccia <strong>di</strong> nocemassello colline montagnecipressi trasparenti sofficristalli volati viacome melanconiascacciata dal sole.54


Le meri<strong>di</strong>aneLA RESAFugge l’evo infinitonebbia nel vento del caosnon c’è più tempoil breve giorno è finitotramonta nel fuoco acquetatomanca l’ultimo soffiol’ultima canna <strong>di</strong>pintail globo sottile del vetro completoche splenda <strong>di</strong> <strong>luce</strong> mutata.Non c’è più Tempo.È tramontato quasi ormai sulla collinadove l’opera ha chiesto <strong>di</strong> farsicarne finita.56


Da Leon Battista AlbertiNasce stamani tra i bianchi ciliegi in fiore dell’Antellalo stelo brunito acciaro <strong>della</strong> tua mensa circonflessa;è un cardo e un decumano <strong>di</strong> cristallosoffiato dal maestrale è dei venti la rosa <strong>di</strong> infiniteeclissi solari future. (l.p.)24 marzo 199458


Gli aquiloni59


<strong>La</strong> Via <strong>La</strong>tteaNasce la stella San VitoAd <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>Da Lorenzo PapiVi è un grande canto, con scale infinite iridescenti <strong>di</strong>note nella galassia più lontana e dell’eco magichesussurrano, con stupore felice, le stelle giovinette!Le vie lattee, milioni <strong>di</strong> incantati corpi celesti, sono<strong>luce</strong>nti allo zenith e all’azimut e le costellazioni tutte oraruotano felici nell’ombelico, <strong>di</strong> zaffiro incantato, dell’universotutto: così i raggi del tempo e dello spazio alla rovesciatracciano come scintille e traccianti linee infinite <strong>di</strong> la-62


ser azzurrato: lo spazio curvo dell’infinito si astrae e si <strong>di</strong>lagae tutto ri<strong>luce</strong> e respira nel macro cosmo stellato comenel micro cosmo stella <strong>di</strong> San Vito. Il volume si <strong>di</strong>ssolve esi ricrea e si genera nella <strong>luce</strong> dell’Amore. Amore che muoveil sole e le altre stelle.3 giugno 1994NOTTURNO DAL SUDDEL MAR DE LA PLATAHo vistoin questa breve notte<strong>della</strong> terra del fuoco,ho visto incantatoy accecato,brillare così fortecosì improvvisocosì magica y meravillosala stella, sì, la stella del sud.Così vicina, così veloce,sì, così vicinache, improvvisamente,mi è saltatanel petto con un volo<strong>di</strong> mariposa maravillosaed ha preso il puestodel mio vecchio y stancoy fulgido corazóne così, finalmente,dopo tuttauna vida de luz<strong>di</strong> riflesso o fatta solamente<strong>di</strong> miraggi (¿o illusioni?)spesso grigi <strong>di</strong> sogni mai finiti,sì, finalmente, ha brillato<strong>di</strong> <strong>luce</strong> propriacon la stessa luz de fuegode la espeilla de la cruzdo sud, spillo <strong>luce</strong>nteche buca, in profon<strong>di</strong>tà infinidal’universo infinitodel mar do sud. (l.p.)16 febbraio 199463


MADREL’orsa maggioreallatta le sue stellea pancia all’aria. (l.p.)CONTRAPPUNTO IIIMi punge nel cuore quel suono<strong>di</strong> <strong>luce</strong> brillante che vedonel cielo nel cuore che pulsa:la <strong>luce</strong> la <strong>luce</strong> è <strong>di</strong>scesa.Natale <strong>di</strong> Croce del Sud.AUSTROLunga scia <strong>di</strong> stellebianche luminose perleapre il cielodolce biciclettasulla via latteaal pacato corso<strong>della</strong> sua lentaliquefatta pedalata.65


L’aliante66


<strong>La</strong> non scala...70


72… e l’organo dei fraticelli poveri


L’incu<strong>di</strong>ne e il fuoco74


Il camino-caleidoscopioCarissimo amico,sono felice! Sono supersod<strong>di</strong>sfatto <strong>della</strong> soluzione camino-caleidoscopiomagico a collegamento poetico e fulcro sia del «tuo geniusloci» sia ponte dei 2 soggiorni su 2 livelli che così <strong>di</strong>ventano ununico solare magico spazio soggiorno-sonnotte! Per me questa soluzione èquella vera, l’unica e migliore. Ma non solo la migliore! E, per me (scusa lamodestia) è splen<strong>di</strong>da! Perché si è creata da sé.Il camino fuoco <strong>della</strong> tua magione poetica è foderato <strong>di</strong> specchio azzurroperfettamente <strong>di</strong>feso dalla <strong>di</strong>latazione termica del fuoco e <strong>di</strong>vienemagico specchietto per allodole che non sono allodole ma muse poeticheper te folletti e maghelli <strong>di</strong> fantasia, portatrici <strong>di</strong> raggi <strong>di</strong> luna, <strong>di</strong> raggi <strong>di</strong>sole e <strong>di</strong> scie <strong>di</strong> mille galassie lontane in un continuo fantastico brillìo.<strong>La</strong> realtà è sogno, ma anche il sogno è realtà, miraggio riflesso <strong>di</strong> millefuture tue felicità liriche e umane.Sento con questo progetto supremo <strong>di</strong> aver onorato la nostra splen<strong>di</strong>daamicizia. Ora comincia il bello e meraviglioso momento <strong>della</strong> realtà.Basta con la carta! Avanti i marmi e gli specchi.Un abbraccio, Lorenzo75


A proposito dei coloriCarissimo ed amato amico. Mi <strong>di</strong>sse il «mostro» Picasso, quandocirca 30 anni fa lo intervistai nel suo nuovo museo Parigino.«Quando io <strong>di</strong>pingo non posso rallentare, per nessuna ragione, lavelocità frenetica del ‘ritmo’ del mio furore creativo! Così, per i colori,se non trovo il tubetto del ‘giallo’ (chi mi servirebbe in quel momento<strong>della</strong> composizione pittorica) ed invece trovo subito il tubetto del ‘rosso’,io metto del rosso o del blu.Non m’importa nulla! I colori dell’Artista devono venire come ‘domati’e si devono ‘arrendere’ <strong>di</strong> fronte alla ben più enorme importanzadell’armonia ‘totale’ del mio momento creativo e <strong>della</strong> sua ‘assoluta’ armonia!E così il <strong>di</strong>pinto, alla fine, mi viene perfetto e altrettanto bello che seavessi trovato il giallo! Anzi, più bello senz’altro!». Diceva ancora il solarePicasso: «Io non cerco, io trovo».Che genio antipatico, in fondo, nella sua implacabile sicurezza felicee me<strong>di</strong>terranea! Forse siamo più felici noi due, nella nostra soffertaricerca <strong>di</strong> quei brandelli <strong>di</strong> verità che ogni tanto si illuminano nel nebbionedell’esistere.Ti abbraccio, tuo Lorenzo76


<strong>La</strong> notteTUTT’IOForse è <strong>poesia</strong>la debolezzala pienezza bellala dolcezza <strong>della</strong>nostalgiatenue tutt’iodove si piegala stanchezza mia.78


CONTRAPPUNTO II<strong>La</strong> mortemi stava guardandomi stava ammirandoche stavo salpandoglorioso velierole velegià piene <strong>di</strong> vento.Se il mondo fosse in negativoio immagino in un sogno il cieloe il vento<strong>di</strong>ventare <strong>di</strong> massello <strong>di</strong> nocecolline montagne e cipressifulgere trasparentiin cristallo <strong>di</strong> murano soffiatociò potrebbe darci il contrariodell’attuale melanconia. (l.p.)79


Il MirageLA LEGGEREZZAIL PESO ED IL DESTINOCome quel tavoloaccarezzatonell’officinad’ala slanciata<strong>di</strong> linea finaper non tremareimmota al volopesante esigeil contrappeso,così nell’animala sua zavorrail peso mortol’in<strong>di</strong>fferenza:tenace lotta e poi:insciallà.82


L’ala e la farfalla: le gemelle86


Alla <strong>casa</strong><strong>luce</strong>VOLTO SENZA VOLTO(Monna Lisa a Milo)Com’era bella la forma <strong>di</strong> Venere!Il circolo del ventre si confonde<strong>di</strong> grazia piena che dal seno scende.Ondulata la spinta delle gambeascende lieta al panneggiato mito,al can<strong>di</strong>do mistero che sorprendebianca la sagoma del collo chino.ARS GRATIA ARTISSe tutto è inutile assolutamenteprotesterà la forma il suo splendore.Incantevoli paesaggi pura sognala metafisica feminità.VACANZAMi contempla sereno il denso fioredei fuochi che contendono la sera.In questo luogo io trovobellezza commovente.Accogliente vorrei che qui l’istanzamia fosse primaprevalentesenza prevaricarein niente.Morbida manole manine finalmenteche accarezzano me.Io questo luogo amosvisceratamente.NON A METRI QUADRII muri che cadevano<strong>di</strong>sciolsero leggeri l’illimite misurache si conta negli anni <strong>della</strong> <strong>luce</strong>.88


LUCIFERINA(il piccolo Epidauro)Oggi l’immaginazioneha l’isoscele forma dell’alafermata all’ultima cabrata:solo <strong>di</strong>anzi ignotaquando splendeva lietoun tempo e lieta correvaa piene manila gioventù.Scintillante purissima lavata<strong>di</strong> spigolo appoggiata sul versantecol teatrino che scruta a tramontanaaperto luogo ad uso <strong>di</strong> magia<strong>di</strong> monumento volubile e leggerodove danzano sogni all’ultimoradove illusioni gesti innati recitanoal tempo attende l’arca cristallinao calma luna, e scruta la collina.Qui giocheranno i mimi <strong>della</strong> mentealla grand’ora l’ultima partita.L’INVITONell’intervallo s’apre la collinacome un teatro volto a tramontana.Scende la viadall’una all’altra delle caseaccantoallegramentecome correndo al cerchio una ragazza.Dove il merlo <strong>di</strong>scende grasso e neroanche il fagianoelegante e contegnoso veglia,gallo vestito col vestito da festa.Apparecchiate stoviglie <strong>di</strong>verseal desco attendono, alla compagnia.Le vite accanto libere e <strong>di</strong>stinte...CONTINUITÀ: L’INVITO(dall’una all’altra delle caseaccanto)Da pietre mute nitida e chiaras’alza una voce s’orchestra un corosi sente puro un richiamo d’amorele vite accanto libere e <strong>di</strong>stinte...E dal primo <strong>di</strong>segno si sprigionaun teatrino calato a tramontanafiorito dove nasce l’Officina<strong>di</strong>vinato pensiero del cuore.Breve Epidauro dove cala il sole.89


To the Light HouseDI GIOVANNA GIUBELLIDisturberò i Winchester Manuscripts <strong>di</strong> Sir ThomasMalory, e specialmente il suo Morte d’Arthur, pubblicatosolo nel 1485, 14 anni dopo la sua morte: sirThomas riprese la famosa leggenda arturiana già descrittada Goffredo <strong>di</strong> Monmouth (morto nel 1154) assaipuntigliosa in quanto a Merlino: il tutto fu poi ben con<strong>di</strong>todall’americano John Steinbeck negli anni 50 del 1900, equin<strong>di</strong> vedete che anche solo la «vita letteraria» <strong>di</strong> Merlinodura come minimo più <strong>di</strong> 800 anni.Uno dei più gran<strong>di</strong> personaggi <strong>di</strong> sir Thomas, Merlin theWizard; o <strong>di</strong> Caledonia, nato in Scozia nel 470, era appuntomago e sapiente, ma anche profeta, matematico e profondostu<strong>di</strong>oso <strong>della</strong> natura.Per quanto ne sappiamo noi umani del mistero, e cioèquasi nulla, Merlino potrebbe benissimo abitare questaspeciale <strong>casa</strong> <strong>di</strong> cristallo, con alcune <strong>di</strong>fferenze sulla sua<strong>di</strong>mora originaria, che era nella foresta <strong>di</strong> Brocelan<strong>di</strong>a nelGalles, verso cui Merlino era sceso dalla nativa Scozia(stesso ceppo celtico-gaelico, e dove era giunto anche ilgenerale bretone Arthur, poi Re del Galles, <strong>di</strong> Scozia, Irlanda,delle Orca<strong>di</strong>, d’Islanda, Norvegia e Danimarca).Nella sua <strong>casa</strong> <strong>di</strong> cristallo, quin<strong>di</strong> del tutto trasparente e<strong>di</strong> forma piramidale, lo aveva poi rinchiuso per sempreMorgan Le Fay, sorellastra <strong>di</strong> Re Artù, amata da Merlino enon impunemente.Qui però, in questa Light-House del III millennio, magistralmente<strong>di</strong>segnata da un altro mago-architetto Papi,non abitano né Morgan Le Fay, né la Regina Guinevese,90


né Arthur, ma solo Merlino, che non vi è affatto prigioniero.Ci si muove anzi a suo agio, e la sua scrittura poetica èil suo Graal cercato e trovato.Su queste notevoli <strong>di</strong>fferenze secolari e scherzi del destino,l’o<strong>di</strong>erno Merlino e chi scrive hanno in comune l’amoreper la scrittura in versi la quale, in molti mo<strong>di</strong> e magicamente,trasforma e migliora la loro realtà e le loro vite.Non sta a me parlare <strong>della</strong> Casa dal punto <strong>di</strong> vista architettonico,strutturale, ambientale e dei materiali impiegati,anche per l’arredo. L’architetto e il suo staff, la committenzae altri ancora, l’hanno già fatto e lo faranno. Forse puòstare a me, poeta, il tentare <strong>di</strong> dare un’illuminazione ulterioreall’idea <strong>della</strong> Casa (prima), e alla Casa realizzata (poi);né so se mi riuscirà <strong>di</strong> farlo in modo originale, concettuale,<strong>di</strong>verso, non peregrino: <strong>di</strong>re cose nuove è <strong>di</strong>fficile.Per prima cosa bisogna mettersi fuori <strong>della</strong> Casa e guardarla.Poi ci si deve mettere dentro la Casa e guardare tuttoe dappertutto.Da ultimo, ci si deve stendere e pensarla, o passeggiareda soli e pensarla, in assenza <strong>di</strong> lei, lontani da lei, per sognarlameglio, per comprenderla meglio. Se così facessimo,allora, come flashes improvvisi e spots <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nati, ciarriverebbero dentro agli occhi, in collo e nel cuore, le «navate»spaziali; i «gabbiani» in pietra, tela, cristallo e altro;le varie colorate meri<strong>di</strong>ane; le se<strong>di</strong>e, tutte a tenui colori; imolti punti d’azzurro e <strong>di</strong> blu: turchesi, cobalto, a volte conleggere punte smeral<strong>di</strong>ne.Più tar<strong>di</strong>, ci si parerebbero davanti quelle gran<strong>di</strong> vetrateda «<strong>di</strong>videre» relativamente; ci si presenterebbero in dolceteoria i materiali dei tavoli, grigi, ver<strong>di</strong>: e le pietre serene,le pietre forti, i travertini, con le due Tavole Rotonde (unadentro, una fuori) a riprendere, forse sul serio e mio malgrado,il mondo descritto nella prima parte.91


Ma torniamo alla Casa, con tutti i suoi possibili e accertatitipi <strong>di</strong> se<strong>di</strong>a-poltrona, toccabili, guardabili,abitabili. Così, da convento prima, a villa del ’400poi, fino a tutto questo, incastonato anche in acciai,marmi, ceramiche, ulivo, tele e tubi <strong>di</strong> cristallo blu, ealtro ancora, tutto sarebbe verso <strong>di</strong> noi vivo, palpitante,amichevole e risplendente.Diciamocelo: è commovente visitare case speciali: valela pena <strong>di</strong> farlo. Non ho dunque pianto, già da giovanissima,visitando la «Boat House» gallese <strong>di</strong> Dylan Thomas,poeta, sul quale più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong>scussi la tesi? E che <strong>di</strong>re <strong>di</strong> una<strong>casa</strong>, fra le molte create dall’intoccabile Charles RennieMackintosh, in cui anche posateria, piatti, vasellame, paraventi,mobili, quadreria, lampade, arazzi, abat-jours, insommatutti i gran<strong>di</strong> e piccoli pezzi d’arredo al completo,eran stati <strong>di</strong>segnati da lui?Ancora nel 1991, tornando per la quarta volta, nella <strong>casa</strong>Irlanda, grosse lacrime mi bagnarono la faccia e il collonel visitare la stupenda, poetica, massiva «Thoor Ballylee»così amata dal suo proprietario-abitatore-scrittoreWilliam Butler Yeats, poeta. Una <strong>casa</strong> è come un giar<strong>di</strong>no,parla per noi, <strong>di</strong> noi, anche dopo che siamo andati,passati.Una <strong>casa</strong> come si deve, trasmette il suo proprietario inmodo abbracciante ai visitatori e, nel caso più fortunato,vive <strong>di</strong> vita sua, da ultimo: vive <strong>di</strong> per sé e acquisisce unasua <strong>di</strong>gnità, entità, <strong>di</strong>alogo.Noi non restiamo, le case sì.Lorenzo Papi, con la vasta lista <strong>di</strong> collaboratori – artigiani– artisti che giustamente cita, ammira e ringrazia, èstato qui libero <strong>di</strong> creare, sostenuto e a sua volta profondamenteappoggiato, vorrei <strong>di</strong>re caramente accompagnatoda <strong>Alberto</strong>-Merlino, e così, da un corale lavoro, da unanobile, pulita, faticosa e dunque ascetica intenzione (nellaquale poi qualcosa <strong>di</strong> magico è avvenuto per soprammercatoe senza chieder permessi a nessuno per accadere)è nata questa notevole, degnissima «Light House», laCasa Nuova, un’entità ormai accertata che potrà d’ora inpoi – e chissà per quanto tempo in avanti – con grande civiltà,tentare spavalde incursioni in animi timi<strong>di</strong>, su personalitàtimorose, e spalancarli verso maggiori zone <strong>di</strong>92


felicità, <strong>di</strong> <strong>luce</strong> appunto, e <strong>di</strong> assuefazione all’una e all’altra.Ecco, questa <strong>di</strong>mora iniziatica può migliorare chi vi siavventura, può tradurre una persona a sé stessa, e rivelarlaal suo cuore, alla sua vera intelligenza: magari già dal saluto-guiderdonedel grande sole all’ingresso.93


94GLI AQUILOTTI IN VOLO


Le storie <strong>di</strong> San VitoSiamo parte particola contenente. Ci allarghiamo sempreinvano. Spruzziamo il territorio degli affetti e <strong>della</strong>mente. Dobbiamo esser sicuri, veramente. Come nell’arenail toro sbigottito dal sole dagli odori dalla gente, cerchiamoun luogo astratto, arbitrariamente, nel quale chiusi – covotana niente – i picadores non potranno niente. Né la mortestanare: inutilmente pronto il boato <strong>di</strong> sangue e <strong>di</strong> coraggio:la salvazione, niente.Lo spazio è vero fisico mastino che scaccia il tempo, lapestilenza d’essere cosciente. È la riserva, la riserva <strong>della</strong>specie protetta <strong>della</strong> mente.LA CASA ADOLESCENTEUna fanciulla slegale membra già proporzionateasimmetriche ancoracon luminosa meravigliae can<strong>di</strong>da semplicità.Così aggraziata non è stata ancorae con stuporesi domanda l’animacome sarà.L’artigianocon la mano s’impazienta, lentacol restio martellotardo alla formaprima che il fuoco smorziche la materia ammolla.Proprio od altruinon sente affanno e celebrala sua preghiera.95


Assoluzione.Infinite le cose da impararee sempre troveremmo se scavassimosempre il passato come nascimento.Dobbiamo uccidere, padre, il passatoe vivere nel tempo che ci è dato.Lo sconforto dell’orante96


Alla <strong>casa</strong><strong>luce</strong> IILA CASANUOVANei luoghi fitti appestati dai secoliha scavato lo spirito prigione<strong>luce</strong> <strong>di</strong> libertà ansia <strong>di</strong> pensiero.Scruta guerriero dal cavo caldo colmodel passatonel segno <strong>di</strong> Piero.COSTELLAZIONE DEI PESCI(2.3.1928)Sei muto nel profondo delle collinepesce del mare fossile pietrificatoduplicato nella costellazione del cieloimplicato chiuso nell’onda <strong>di</strong> tempicaduto, isolato laggiùdove l’ulivo è natosulla vita infinitacalcinatastratificato marmodelle correnti perdute.Nessunosotto i ver<strong>di</strong> poggi vedrebbeil moto del mare cresciuto dal fondoal sole leggero.Nessunosceglierebbe d’essere mutosconfitto fossile pescelevigata trama <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ografia.(Ma c’è chi. Orgoglioso Amico*).OTTO LUGLIO(civiltà conta<strong>di</strong>na)<strong>La</strong> trebbia il canto dei grilli al cielo scuotevatepido dai campi attorno appena spenti.Placata dal possesso giànel cuore rassegnatamente spartitola cupi<strong>di</strong>gia inteneriva un attimola bellezza piena <strong>della</strong> generazione(più tar<strong>di</strong> il rancore).<strong>La</strong> festa sull’aia sconnessa selciataserena è tornata al ricordo. Tardava(mancava) il pagliaio quando <strong>di</strong> lugliosotto la volta brillante del cielo forcatadopo forcata tra i rebbi crescevaalla cima del palo dove insicurobattendo le ali alla notte il gallo svegliato cantavae nero artigliato impazzito graffiavarumoroso un barattolovuoto <strong>di</strong> latta infilatoalla cima del palo.Dalla nitida posa ov’eran pronteil sogno ha dato <strong>luce</strong> a mille stellelevate in volo semplici leggere.Lieto la vecchia adolescenza vivo.* Spiega l’amico, quando è in vena <strong>di</strong>confidenza, che l’Amico è il suo doppio.97


LA CASA DELL’UOMOAssi e cemento sparsi nel cantiere.<strong>La</strong> confusione grigie pozze nere.Ma quando torni si leva il rumoresboccia il mattone, l’allegro colore.


Nel Cantiere


<strong>La</strong> coralitàAlla coralità hanno generosamente partecipato – in or<strong>di</strong>necronologico – lo stu<strong>di</strong>o Turchi, in persona dello stesso architettoMauro Turchi e dell’architetto Patrizia Gervasi. Lostu<strong>di</strong>o dell’architetto Lorenzo Papi – progettista e coor<strong>di</strong>natoreartistico dell’opera –, l’architetto Corrado Catani <strong>di</strong> Milano,l’architetto Cecilia Armellini e l’architetto Maria SoleFantacci <strong>di</strong> Firenze.<strong>La</strong> <strong>di</strong>rezione dei lavori è stata premuroso compito delgeometra Riccardo Francalanci coa<strong>di</strong>uvato dal geometraFrancesco Perissa. <strong>La</strong> consulenza legale è stata dell’avvocatoRenato Salimbeni, sensibilissimo interprete <strong>della</strong> legge e dell’opera.<strong>La</strong> coor<strong>di</strong>nazione generale degli interventi nell’interesse<strong>della</strong> società committente ed inoltre il costante lavoro<strong>di</strong> verifica e <strong>di</strong> impulso sono stati svolti dal dottor Clau<strong>di</strong>oDurazzi, impareggiabile fac-totum e commercialista. <strong>La</strong>dottoressa Eleonora Massa, sempre presente ed operosa, fularga <strong>di</strong> consigli e <strong>di</strong> partecipazione preziosa e suscitò e capeggiòla provvidenziale rivolta degli uffici che ispirò le piùstraor<strong>di</strong>narie invenzioni <strong>di</strong> arredo dell’architetto Papi.I principali operatori furono (con riguardo ai risultatiformali): Impresa Andrea Maressi; Ditta Falorni e Cantini;Ditta Romano Pecchioli; Ditta Giuseppe Radatti; GruppoElle per la particolare attenzione <strong>di</strong> Roberto Vignozzi cheha curato con rara perizia gli infissi; Ditta Giachetti Vetro;Ditta Cesare Sargenti fabbri realizzatori dei mobili in ferro;Tappezzeria Antella; il Maestro dei colori Virgilio Francucci,decoratore finissimo.Alcuni si sono prestati ad esprimere i sentimenti e leconsiderazioni che ha loro suggerito la partecipazione ailavori del cantiere, connotata da confusione <strong>di</strong>alettica, immaginazionecontrad<strong>di</strong>ttoria, e da tanta partecipazionecreativa da parte <strong>di</strong> tutti.100


I personaggiDI FRANCESCO PERISSA<strong>La</strong> bellezza <strong>di</strong> questo progetto è la coralità.LORENZO PAPICarissimi amici, giunti al termine <strong>di</strong> questi due annitrascorsi in stretta collaborazione con tutti Voi nelcantiere <strong>di</strong> San Vito, non potevo mancare <strong>di</strong> riflettere,e perché no, <strong>di</strong> tirare le somme su questa esperienzaprofessionale ed umana <strong>della</strong> mia vita.Senza voler cadere in frasi comuni o <strong>di</strong> circostanza, devosinceramente e doverosamente ringraziare tutti coloro grazieai quali mi è stato reso possibile partecipare a questaesperienza che si è <strong>di</strong>mostrata in<strong>di</strong>scutibilmente unica sottoil profilo professionale, ma ancor più ricca sotto quello umano.Sono infatti fermamente convinto che mentre potrà esserecriticato o in futuro <strong>di</strong>strutto (visione molto pessimistica)il lavoro svolto, niente potrà cancellare quel gra<strong>di</strong>no <strong>della</strong>mia vita costruito con l’aiuto <strong>di</strong> tutti Voi, ma soprattutto conl’aiuto <strong>della</strong> Vostra amicizia.Nasce proprio da questa mia ultima considerazione ilcoraggio con il quale ho deciso <strong>di</strong> prendermi la libertà <strong>di</strong>tracciare un ironico profilo <strong>di</strong> tutti coloro con i quali sonostato a più stretto contatto; profilo emerso esclusivamenteda sensazioni e considerazioni venute «d’acchito» e quin<strong>di</strong>maturato in assenza <strong>di</strong> riflessioni che avrebbero quasisicuramente falsato quanto è rimasto impressionato nellapellicola <strong>della</strong> mia memoria. (Lo scrivente ritiene peraltro<strong>di</strong> non avere qualità e cultura adeguata a quella <strong>di</strong> psicologo).Spero quin<strong>di</strong> non me ne vogliate se qualche mio giu<strong>di</strong>zionon vi sarà del tutto gra<strong>di</strong>to, o non da Voi riscontrabilenella Vostra personalità, in quanto ogni riflessione, priva101


<strong>di</strong> qualsiasi fine, è molto più semplicemente maturata nelpiù schietto e antico spirito «fiorentino» per il quale si arrivatalvolta a ridere e burlare <strong>di</strong> noi stessi (l’importante è ridere).Mi sono inoltre preso (già che c’ero) la libertà <strong>di</strong> abbandonarein questa circostanza alcuni formalismi con lasperanza <strong>di</strong> non aver così contribuito a peggiorare la miagià arida vena letteraria; motivo questo per cui Vi troveretetutti menzionati per nome (e soprannome fra parentesi) inor<strong>di</strong>ne casuale.LORENZO (l’architetto) – architetto progettista.È lui uno dei due veri ispiratori <strong>di</strong> tutta la storia. Storiache è riuscito a rendere ancor più viva e appassionantecreando situazioni ed atmosfere degne dei più gran<strong>di</strong> registiteatrali e <strong>di</strong> soap opera. Ha purtroppo alternato momenti <strong>di</strong>grande creatività e <strong>di</strong> fantasia, al lancio (citando una frasefatta) <strong>di</strong> grappoli <strong>di</strong> missili sulla valle <strong>di</strong> San Vito. Fortunatamenteper tutti (e soprattutto per chi ci abita) non è mairiuscito a centrare il bersaglio, grazie soprattutto ai suoi collaboratorie a tutti gli altri personaggi, che hanno fatto dascudo proteggendo il lavoro fino a quel momento svolto.Da precisare che il soprannome «architetto» deriva soloed esclusivamente da una consuetu<strong>di</strong>ne lessicale in quantogli si ad<strong>di</strong>ce sicuramente <strong>di</strong> più quello <strong>di</strong> «artista», intesonel senso più ampio che il vocabolo consente.Pregi. Straor<strong>di</strong>naria sensibilità intellettuale e d’animo, unitaad una invi<strong>di</strong>abile cultura generale. Il Suo miglior pregio è<strong>di</strong> riuscire a trasmettere il tutto, a quanti gli stanno vicino.Difetti. Come tutti i gran<strong>di</strong> artisti è un impreve<strong>di</strong>bile ed unincorreggibile. Ha un concetto tutto suo sulla puntualità.Si fida troppo delle donne.Frasi celebri. Entrando in <strong>casa</strong> <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong>, dopo un sopraluogoin cantiere protrattosi per circa 45 minuti, ha così rispostoalla Sig.ra Eda (moglie <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong>) che gli avrebbegentilmente offerto un tè o un caffè: «Signora… mi <strong>di</strong>cadov’è il bagno che mi devo fare una pera».MARIA SOLE (Marisol) – architetto collaboratrice <strong>di</strong> Lorenzo.Ultima e più fedele collaboratrice <strong>di</strong> Lorenzo. Perennementeaffannata ed ansiosa; non demorde mai (anche102


quando sono le nove <strong>di</strong> sera). Il suo <strong>di</strong>fficile compito <strong>di</strong>sottoporre alla regia e agli attori le ambiziose scelte progettuali<strong>di</strong> Lorenzo, le ha ingiustamente causato il ricamo<strong>di</strong> qualche bel… «vestitino». Fortunatamente (per lei soprattutto)il fatto <strong>di</strong> non essere permalosa, unito ad unabuona dose <strong>di</strong> ambizione, le ha permesso <strong>di</strong> proseguireimperterrita nell’incarico affidatole portandolo a termine.Pregi. Costanza nell’esercizio <strong>della</strong> sua professione e massima<strong>di</strong>sponibilità. È riuscita grazie alla sua tenacia e al suoimpegno a tradurre e rendere possibile la concretizzazionedelle idee <strong>di</strong> Lorenzo.Difetti. Confusionaria per natura (rientra comunque nellame<strong>di</strong>a degli architetti); sta facilmente assimilando i tipici<strong>di</strong>fetti dell’artista.Frasi celebri. Salve!!! Salve!!!... Salve.VIRGILIO (er Maestro de’ Golori) – pittore/imbianchino.Oltre che maestro dei colori è anche maestro dei viniche apprezza per qualità e in quantità. Fedele scu<strong>di</strong>ero <strong>di</strong>Lorenzo e suo appassionato allievo, riesce in molte occasionia dare giusta interpretazione ai suoi pensieri e allesue idee artistiche. A suo <strong>di</strong>re mezza Italia gli è amica, ilche può anche essere vero, visto il suo carattere che lo portaa fraternizzare un po’ con tutti.Pregi. È <strong>di</strong>fficile non essergli amico (fatta eccezione per chigli critica il suo lavoro); vede la vita in modo positivo. È unappassionato ascoltatore <strong>di</strong> barzellette.Difetti. Chiacchiera moltissimo (da non confondersi con il«parlare») e non guida la macchina; fattore che lo porta «ascroccà» passaggi un po’ da tutti.Frasi celebri. «Sono l’ultimo dei comunisti viventi» (nessunoha ancora capito il senso <strong>di</strong> questa frase che continua aripetere ad intervalli regolari).RICCARDO (i’ Franca) – <strong>di</strong>rettore dei lavori, o meglio, <strong>di</strong>rettored’orchestra.È la parte più bella da interpretare quando si hanno deibuoni musicisti. È riuscito comunque, e nonostante la grandevarietà dei sonatori, a tenere ben strette le re<strong>di</strong>ni battibeccandocon tutti, o quasi, a mezzo <strong>di</strong> alcuni momenti <strong>di</strong>103


irrefrenabile ansia. Si è ben <strong>di</strong>stinto per le sue capacità tecniche,risolvendo in molte occasioni problemi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne praticononchè me<strong>di</strong>ando fra le varie maestranze.Pregi. In<strong>di</strong>scutibile abilità tecnica e <strong>di</strong> gestione <strong>della</strong> scena.Praticità nello svolgimento <strong>della</strong> sua parte.Difetti. Si è <strong>di</strong>mostrato in alcune occasioni troppo praticonella sua gestione. <strong>La</strong> sua ansia nevrotizza.Frasi celebri. Commentando le prime canne d’organo eseguitenel locale veranda dar maestro de’ golori «... con questi colorini(pausa) starebbero bene in camera delle mi’ figliole».FRANCESCO (James Dean dei poveri o l’anguilla) – geometraassistente ai lavori.Arruolato con compiti puramente tecnici ha avuto lafortuna <strong>di</strong> essere stato promosso, talvolta con qualche suorammarico, a fac-totum <strong>della</strong> compagnia insieme a taleClau<strong>di</strong>o. Questo gli ha permesso <strong>di</strong> poter partecipare <strong>di</strong>rettamentea tutta la storia (talvolta da spettatore, molto piùspesso da attore non protagonista) e <strong>di</strong> conoscere da vicinotutti quanti gli interpreti.Il soprannome <strong>di</strong> James Dean gli è stato molto gentilmente«appioppato» da Lorenzo per l’abbigliamento elegante,che lo stesso sfoggiava durante i primi incontri, insiemead un atteggiamento da play-boy <strong>di</strong> terza categoria(vedasi occhiali da sole sopra la testa). Con il proseguire<strong>della</strong> storia (ma soprattutto con il proseguire delle demolizioni)lo stile e l’eleganza si sono a mano a mano impolveratie il James Dean, che già gli stava largo prima, è <strong>di</strong>venutoil James Dean dei poveri.Pregi. Cerca <strong>di</strong> vedere la vita in modo positivo e riesce a tenerebuoni rapporti anche con chi lo perseguita costantemente(vedasi certo Antonio). Racconta barzellette (anchesporche) in pubblico vergognandosi, ma non più <strong>di</strong> tanto.Difetti. È un’anguilla. Riesce, anche se con sua vergogna, aben defilarsi alla bisogna. Inizialmente ha sfoderato un caratteretroppo debole che con il tempo, e con l’insegnamentodegli altri personaggi, è riuscito lievemente a rinforzare.Frasi celebri. «Avvocato... dovrei scappare»! (guardando l’orologio).104


ANTONIO (il terrorista) – maestro muratore.L’attributo <strong>di</strong> terrorista gli deriva più che da un soprannome,dal terrore con cui lo stesso è abituato ad affrontaregli umani; fattore che lo porta molto spesso a sprecare la suaintelligenza e le sue capacità in attività che esulano dai suoicompiti. È riuscito a completare (o quasi) la sua parte inmezzo a mille <strong>di</strong>fficoltà facendo un buon lavoro <strong>di</strong> sostanza.Pregi. È un buon sottosegretario alla <strong>di</strong>rezione d’orchestra...quando a questo si concentra.Difetti. I <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> questo personaggio si possono racchiuderein una sola frase: «È un tosto», stando con ciò a significareil suo carattere duro e irascibile.Frasi celebri. «Dotto’ Durazio è l’ora <strong>di</strong> falla finita. Sa che cidovete fare con codesta postilla?».RADATTI (Co<strong>di</strong>no) – pavimentatore.Incasinato e ribelle per natura. È agitatissimo. Sono rimastefamose le sue <strong>di</strong>squisizioni con il <strong>di</strong>rettore d’orchestraper voler sempre fare <strong>di</strong> testa sua, e per essersi talvolta<strong>di</strong>mostrato un po’ troppo «como<strong>di</strong>no».In generale ha fatto bene la sua parte senza badare troppoa formalismi quali orario <strong>di</strong> lavoro e settimana lavorativa.Pregi. È dotato <strong>di</strong> una bellissima chioma con coda <strong>di</strong> cavallo<strong>della</strong> lunghezza complessiva <strong>di</strong> cm. 2; coda molto spessovivacizzata da bellissimi elastici colorati e in stato <strong>di</strong> avanzatacorrosione.Difetti. A lui il ballo <strong>di</strong> San Vito gli è venuto veramente. Nonsta mai fermo. Attenzione a contrad<strong>di</strong>rlo... alza la voce.Frasi celebri. «Ciccillo (leggasi Francesco) tu gli devi <strong>di</strong>’ all’Avvoooatoche se vo’ vede’ gente in cantiere, io vo’ ai PiazzaleMieeelangelo e sa ’ante gnene trooo?»ROBERTO (i’ Vignozzi) – titolare <strong>di</strong>tta produttrice infissi.Uomo <strong>di</strong> ottime capacità tecniche supportate da unamore passionale verso la professione svolta. È <strong>di</strong> ferro,anzi <strong>di</strong> Schuco (come gli infissi che monta). Non cede maianche dopo ore, ed ore, ed ore <strong>di</strong> colloqui <strong>di</strong>retti o telefonici.Pignolo per natura, è <strong>di</strong>sposto a demolire e rifare un lavoroex-novo pur <strong>di</strong> farsi sentir <strong>di</strong>re dal produttore (cliente)«Bravo Vignozzino», con tanto <strong>di</strong> pacca sulla spalla.105


Pregi. Invi<strong>di</strong>abile capacità tecnica, tenacia ed amore per illavoro in genere.Difetti. <strong>La</strong> sua troppa tenacia e la sua troppa pignoleria lorendono talvolta noioso agli altri e a lui stesso (come dalmedesimo più volte confermato).Frasi celebri. «Francesco... vummavete rovinato» (con la Tstrascicata in senso <strong>di</strong> sconfitta).ALBERTO (l’Avvoooato o il boss) – produttore ed ideatore.In effetti il Boss non può essere che lui, vista la in<strong>di</strong>scutibilecapacità <strong>di</strong> leader, e soprattutto perché i gra<strong>di</strong> se li èsaputi guadagnare sul campo.È l’ideatore nonchè produttore <strong>di</strong> tutta la storia; storianata grazie al suo coraggio <strong>di</strong> scriverla e alla sua lungimiranza.Infaticabile lavoratore. Non teme né il caldo, né ilfreddo né… le prime ore del mattino. Ama il «parla chiaro».Non bisogna per cui aversela <strong>di</strong> qualche sua acidula osservazioneche, opportunamente filtrata, va letta come lezione<strong>di</strong> vita. È stato molto temuto ma anche molto stimato da tuttigli interpreti che hanno sostanzialmente approvato tuttele sue scelte (il che non è poco vista la varietà dei soggetti).Anche se rimane molto <strong>di</strong>fficile elencare pregi e <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong>questo personaggio, vista l’impossibilità nel delimitare unconfine fra questi due aspetti, sul produttore si evidenziano:Pregi. Lealtà nei rapporti con i collaboratori e personaggi ecomunque in generale. Non nasconde il suo pensiero anchese, come lui stesso <strong>di</strong>ce, talvolta lo addolcisce con unozuccherino. Dotato <strong>di</strong> intelligenza e tenacia che lo portanoa non fermarsi <strong>di</strong> fronte agli ostacoli <strong>della</strong> vita che anzisembrano stimolarlo.Difetti. Si lascia un po’ troppo stimolare dagli ostacolicreandone dei nuovi. È praticamente impossibile contrad<strong>di</strong>rloquanto già lui è contrariato. Non porta l’orologio alpolso (anche se forse questo è un pregio).Frasi celebri. «A quello con l’orecchino gliela fo passare iol’ipersensibilità»CLAUDIO (Dotto’ Durazio) – commercialista/fac-totum.È lui il vero fac-totum <strong>della</strong> scena. Sempre presente.Sempre puntuale. Sa sempre dove reperire gli interpreti,106


anche quando mancano cinque minuti alla <strong>di</strong>retta. Tuttociò gli ha consentito <strong>di</strong> vivere e soffrire la storia molto davicino, oltre a meritarsi una laurea ad honorem in «infissiologia»,«marmologia» e «contrattuologia».È in realtà il braccio destro <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> che <strong>di</strong>fficilmentecontrad<strong>di</strong>ce.Pregi. Dotato <strong>di</strong> tenacia quasi quanto <strong>Alberto</strong>, è uno stakanovistaper natura. <strong>La</strong> sua ottima flessibilità gli permette<strong>di</strong> rendersi utile in molte occasioni che talvolta esulano daquanto riportato nel suo copione.Difetti. Non si accontenta nell’occuparsi <strong>di</strong> sole poche coseper volta, riuscendo però <strong>di</strong>fficilmente e ingarbugliandosi.Non conosce il significato <strong>di</strong> «settimana corta».Frasi celebri. Rispondendo alla frase celebre <strong>di</strong> Antonio: «ioconosco solo le postille».Questi sono i personaggi <strong>di</strong> una storia nata e cresciutain tempo reale, e attualmente leggibile nelle essenzialistrutture del «teatro» <strong>di</strong> San Vito 7, che trasmettono quoti<strong>di</strong>anamentequel desiderio <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> vita, comune atutti i protagonisti. <strong>La</strong> mia speranza è che questa rappresentazionenon venga <strong>di</strong>menticata ma al contrario possaessere inscenata sul palco <strong>di</strong> un teatro che abbia come spettatoreprincipale l’intera valle <strong>di</strong> San Vito.Un grazie a tutti voi dalla vostraAnguilla107


Dall’archivio del Maestro dei ColoriDI VIRGILIO FRANCUCCI («l’ultimo comunista vivente»)HARLEY DAVIDSONLe percussioni delle punteriee il canto del motorecadenzato come un bluesche cambia il tono non il ritmoai saliscen<strong>di</strong> <strong>della</strong> strada sconosciuta,con un filo <strong>di</strong> gas la moto segue la viacome un cavallo il sentiero amico.Mi immergo nel crepuscoloassiso sul trono <strong>della</strong> sella, immobile,mentre il mondo si srotola lentamentein un racconto che placa l’angosciadel fermarsi nel silenzio.Con la penombrale cunette sono un piatto chiarore,la sospensione obliqua sull’asfaltoprotende i suoi steli vibrandoe sono d’un tratto più leggeronell’euforia <strong>di</strong> un volo spiccato,come il sogno che sempre ritornae lo sprofondare nell’oblio<strong>di</strong>venta un estatico librarsisenza paura.108


MISSISSIPI BLUESCome il tempo,scorre lento il grande fiumepigramente placandol’effimero rotearedei gorghi improvvisi,che per un attimosi aprono nella superficie melmosatrascinando nel profondoogni fronda strappataalle interminabili rive.Come il fiume,scorre ineluttabilmenteil nostro amoreverso la foce stagnantedell’in<strong>di</strong>fferenzanel silenzioso presagio<strong>di</strong> un commiato tacitamente accettato,con la malinconia<strong>di</strong> un momento vissutocome già fosse infinitamente lontano.Come il tempo,insensibilmente scorreil grande fiume <strong>della</strong> vita,al ritmo uniforme<strong>di</strong> un Destino già scrittoinesorabilmente cancellandol’illusione <strong>di</strong> un eterno presente,mutando i sogni in nostalgia,nel lento fluire dell’esistenzaverso la foce misteriosache si apre improvvisanell’Oceano infinito del silenzio.109


San Vito 7 uguale Itaca(architettura e <strong>poesia</strong>)DI LORENZO PAPIQuesta <strong>di</strong> Bellosguardo, che mira Firenze in una magicacondensata prospettiva delle sue più belle architetturee dei suoi più celebri monumenti, è unacollina che «intriga», come una occhiosmeral<strong>di</strong>nasirena, e con Amore ha ispirato la vena più limpida dei poetipiù alti.Nel ’200, Cecco Angiolieri certamente percorreva unadelle sue viuzze, in una notte profumata <strong>di</strong> plenilunio,quando cantava «Le rughe <strong>di</strong> cristallo lastricato».Poi, qui, il Foscolo compose il suo più <strong>luce</strong>nte e tormentatopoema «Le Grazie» (Sturm und Drang italico).Ed oggi, qui nascono le struggenti Mille scuse per esistere<strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>, liriche legate agli Dei Penati, aquesto Genius Loci ed al focolare intimo e sempre accesodel suo cuore che, come un batiscafo <strong>di</strong> Giulio Verne,esplora gli anfratti più inquietanti e più esaltanti <strong>di</strong> quelfondale marino che è il miracolo-condanna dell’avventura<strong>di</strong> Essere Nati.<strong>La</strong> collina <strong>di</strong> Bellosguardo. A non più <strong>di</strong> 300 metri, in linead’aria, dal magico e reale Giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Boboli, e dall’osservatorioastronomico <strong>di</strong> Arcetri, ove Galileo, guardandole galassie, lontane tra loro milioni <strong>di</strong> anni-<strong>luce</strong>, intuì escrisse Il trattato sui Massimi Sistemi.<strong>La</strong> collina <strong>di</strong> Bellosguardo. Un paesaggio vicino agli dei<strong>della</strong> Bellezza, cantata dal Principe Lorenzo e dal suo Battista,il Poliziano.Un paesaggio esaltato justement dal John Ruskin, capostipitedei gran<strong>di</strong> amanti dei soavi <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Firenze.111


Un paesaggio, la cui fulminante estasi conoscitiva è racchiusanel vangelo <strong>della</strong> più alta «intelligenza» <strong>di</strong> quel soavecordone ombelicale nutritivo tra Firenze e il suo paesaggio(e viceversa), che è il celeberrimo <strong>La</strong>ndscape inRenaissance <strong>di</strong> Sir Kenneth Clark.Per non parlare de I valori tattili nell’Arte fiorentina, delgrande critico d’arte lituano-americano Bernard Berenson,che passò la vita a scrivere i suoi libri fondamentali sull’Artefiorentina, per l’appunto nella Villa dei Tatti.Quei «Valori Tattili» <strong>della</strong> mano dell’artigiano, che, sublimandosi,è la stessa <strong>di</strong> quella dell’artista.Non sono mai stato, nella mia lunga esperienza <strong>di</strong> architetto,così stimolato e così scoperto «come artigiano,come architetto» da nessuno, come in questa occasione.Inoltre, ci sono e ci sono state rare «affinità elettive» tra committenzae architetto.Forse la comune esigenza e la vocazione alla <strong>luce</strong>, al giocodei pieni e dei vuoti, del giorno e <strong>della</strong> notte, del sol ysombra, dell’azione clorofilliana, dell’esametro e dei tempie dei ritmi musicali del verso, in <strong>poesia</strong>. <strong>La</strong> ricerca dell’orizzonte,<strong>della</strong> prospettiva <strong>di</strong> Piero, <strong>di</strong>ssoltasi con l’attuale<strong>di</strong>aspora.<strong>La</strong> ricerca <strong>di</strong> un nuovo spazio, un mini-cosmo irraggiatoed irraggiante; <strong>di</strong> un nuovo genius loci; <strong>di</strong> unospazio-<strong>luce</strong>, <strong>di</strong> uno spazio-colore legato alla Natura emosso da un or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne del magma; <strong>di</strong> unospazio contemplativo delle stelle, Arcetri, ritmato da unsalmo gregoriano.<strong>La</strong> ricerca <strong>della</strong> Poesia, <strong>della</strong> regola dell’ora et labora, <strong>di</strong>uno spazio in continua evoluzione e metamorfosi.Ed ecco la «sacra materia», mossa, con arte, nelle sue«vene» più intime e misteriose e naturali, comincia a prendereforma, in movimento pregante, nello spazio e nel tempo,regolata dalla mano fino ad un certo punto, dal quale,poi, si «libera» organicamente, nei sussulti improvvisi emagici, del respiro, col tempo, nel sole, in un <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne appuntomagmatico, ma con pulsioni ancora «armoniche».Si libera, a questo punto, l’animalità <strong>della</strong> forma, in unapartogenesi splen<strong>di</strong>damente incontrollabile per ritmi e112


scansioni. Un fungo atomico, in espansione a «geometriavariabile», ma vera.San Vito 7 è il frutto <strong>della</strong> passione generatrice <strong>di</strong> uncommittente polarizzato a energia solare e da un architettovettore spaziale!L’avventura <strong>di</strong> San Vito 7, a Bellosguardo, ci ha sorpresi«gemellati», nel «murare» e nell’«aprire» al bosco come allariviera. E, con essa, al suo montaliano «delirio del mare».E, per ponte tra l’idea ed il fare, ecco <strong>di</strong> nuovo la mano.Quella eterna e sapiente degli artigiani, quali, credo,noi siamo ancora!Un luogo de<strong>di</strong>cato e votato al «to play» (il ludens), maanche «suonare» (la musica, la lirica); e, per ultimo, se vogliamo,l’«assistere ad uno spettacolo». Quello <strong>di</strong> un fenomeno<strong>di</strong> <strong>poesia</strong>. Nuova <strong>di</strong> zecca! O a quello <strong>della</strong> nascita <strong>di</strong>Venere Amore.113


Architettura e <strong>poesia</strong><strong>poesia</strong> e architetturaDI ALBERTO CARAMELLADice l’Amico che mi prega <strong>di</strong> riferirlo: «posso confidarlosolo a te».Non sembra accorgersi <strong>della</strong> contrad<strong>di</strong>zione che pretende<strong>di</strong> scegliere un destinatario privilegiato che abbia il donoesclusivo <strong>della</strong> confidenza e <strong>della</strong> comprensione ed inoltre ilcompito – e la capacità miracolosa – <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffonderla.«Quando contemplo un’architettura (natura astrazione,costruzione) penso che alla <strong>poesia</strong> manchi la terza <strong>di</strong>mensione:e quando guardo volumi del tutto privi <strong>di</strong> amoroso rapportoanche <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssonanza penso che manchi loro la <strong>poesia</strong>.


Mi domando: è solo questione <strong>di</strong> parole? Poesia vuol <strong>di</strong>retante cose. E così architettura o musica o scultura o pittura.«In qual misura può <strong>di</strong>fferire il rapporto tra Architettura e<strong>poesia</strong> tra Poesia e architettura se tutte le arti si ispirano all’armoniae cercano la bellezza? Eppure una serena architetturaesprime un dolce musicale linguaggio tri<strong>di</strong>mensionaleche occupa conquista e purifica lo spirito.«Questo è un fenomeno reale. Entra, allora con la tuamisura, <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> (memoria vita e cultura) “dentro” questoluogo.«Poni e sistema gli attimi e i pensieri strappati al nullacon laboriosa fatica ed avrai <strong>di</strong>sposto le pietre, pesantissimee leggere, <strong>della</strong> tua umanità – gioia e dolore – che si sovrappongonoe si integrano, in una sorta <strong>di</strong> architettura trasparente,al luogo or<strong>di</strong>nato che stai contemplando o – ad<strong>di</strong>rittura– nel quale stai vivendo».«Ebbene che mai succederà?» chiedo non troppo interessato,(o forse è un atteggiamento snobistico <strong>della</strong> mente):ma l’Amico non si lascia né scoraggiare né intimorire.«Avrai un’idea – e un sentimento – <strong>di</strong> un certo tipo o forma<strong>di</strong> architettura (la scala del suo valore cercala in te):


avrai un’idea – e un sentimento – <strong>di</strong> un certo tipo e forma<strong>di</strong> <strong>poesia</strong> (cerca tu stesso la scala del suo valore): e questeidee, fuse in un estremo inesprimibile rigore e confuse inunico comune sentire, ti condurranno ad un “sito” del tempoe dello spazio (dell’anima e del corpo) nel quale sei presente:ti accerteranno <strong>della</strong> tua esistenza, ti consoleranno eti <strong>di</strong>fenderanno dalla tua fragilità: come se l’anima avesseritrovato il guscio armonioso che la natura avvolge come legalassie».Secondo me l’Amico straparla. C’è bisogno <strong>di</strong> tanto perarrivare alla conclusione che ciascuno <strong>di</strong> noi (<strong>di</strong> necessità!)vive in un tempo e in uno spazio che cerca armoniosi, piacevoli,belli?Come se avesse sentito l’Amico insiste: «sarai nel sito nelquale avrai consapevolezza, dove potrai pensare <strong>di</strong> essere:contemplerai l’equazione serena nella quale tutto può stare,tutto può avvenire, dove si perdono meravigliata la scomparsae il nulla».Rileggendo dubbioso questi appunti mi sono ricordato<strong>di</strong> quando l’Amico menzionava, attribuendolo ad Archiloco,un frammento ignoto ai più e mai altrimenti ritrovatoche egli così riferiva: «Scrivere deve essere come la zampatadel leone: imperiale, roca, compiaciuta che non la ve<strong>di</strong> mentr’egliprocede e nobilmente uccide».Per quanto lo tentassi e lo provocassi ad approfon<strong>di</strong>re,l’Amico sorrise ed ostinatamente tacque: né ci fu modo <strong>di</strong>farlo uscire dall’atteggiamento sfuggente ed inurbano. Mene <strong>di</strong>spiacqui se sono essenziali alla civiltà ed al sapere ilcolloquio e la spiegazione che sempre <strong>di</strong>fettano. Col tempoperò mi sono fatto più prudente. Il pensiero, se espone, sipuò spiegare in lungo e in largo per quanta è la <strong>di</strong>mensionee la consistenza del tessuto.Ma se con il pensiero crei, come fai a spiegarlo?116


Far parte <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne, esprimendolo, cercandolo nelpiù caotico <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne come progetto <strong>di</strong> opus concluso percorribilecol pensiero, come lo spazio con i passi del corpo,trovando risposta al bisogno alla fantasia al desiderio <strong>di</strong>sentirsi al proprio posto: ancorati e protetti nel particolaree nell’universo nello spazio or<strong>di</strong>nato fissato che lega il tempo,or<strong>di</strong>nato e fissato. Se la bellezza parla con la bellezza,la Bellezza c’è: e tutto si forma (si dà forma) come in unnuovissimo (or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong>namico necessario e perfetto) sistematolemaico dell’anima.Non tutto è relativo del tutto: se la relatività è davverocoerente e vera.Il «sito» privilegiato e felice si trova, alla fine, proprionell’anima. <strong>La</strong> quale, nel prodotto dello spazio e del tempo,ritrova e risolve il suo bisogno <strong>di</strong> immenso percepibile e finito:or<strong>di</strong>ne completo ed appagato.117


Poesia e architetturaDI ADELIA NOFERIVeramente il tema che mi è stato proposto era Architetturae Poesia; ma io non ho alcuna competenzaintorno all’architettura, per cui ritenevo <strong>di</strong> non poteraccettare l’invito. A meno che non potessi rovesciarei termini e delimitarne i confini nell’ambito <strong>di</strong> quelloche ormai si può chiamare il «caso <strong>Caramella</strong>». Il «caso»,cioè, <strong>di</strong> un insigne giurista, famoso avvocato che per tuttala vita si è de<strong>di</strong>cato ai più complessi e <strong>di</strong>fficili problemi giuri<strong>di</strong>ci,e che, intorno ai settant’anni pubblica, in rapida successione,due volumi <strong>di</strong> versi (circa trecento pagine ciascuno),<strong>di</strong>strugge la <strong>di</strong>mora dove era vissuto con la sua ampiafamiglia (moglie, figli, nipoti), si sposta nella «<strong>casa</strong>ccanto»(una tipica struttura colonica toscana, multipla, <strong>di</strong>stesalungo una splen<strong>di</strong>da aia <strong>di</strong> cotto affacciata sulla valle e lecolline <strong>di</strong> fronte), e nel luogo (ed entro i volumi) <strong>della</strong> prima,(una ex-colonica, <strong>di</strong>venuta poi «<strong>casa</strong> padronale»), facostruire con l’aiuto <strong>di</strong> un bravissimo architetto, LorenzoPapi, una <strong>casa</strong>-stu<strong>di</strong>o da lui immaginata, da lui voluta: unaarchitettura nuovissima, sconcertante per bellezza, ar<strong>di</strong>tezzae complessità, esattamente l’opposto <strong>della</strong> «colonica»(chiusa nelle sue ombre, nei colori cal<strong>di</strong> del cotto e del legno,con le piccole finestre che <strong>di</strong>fendono dal freddo e dalcaldo): la Casa Luce.Gran<strong>di</strong>, gran<strong>di</strong>ssime vetrate trasparenti ma solide, chesembrano cancellare l’opposizione tra il dentro e il fuori,tra il solido e il liquido, tra il compatto e l’impalpabile, ilpeso e la leggerezza; scale anch’esse <strong>di</strong> vetro (vertiginose)che accompagnano e spingono l’occhio verso il cielo, ma118


fanno sentire il vuoto sottostante; e all’interno muri e mobili(pochi) con tagli e spigoli acuti, e le linee agili al volodel Mirage e delle ali <strong>di</strong> gabbiano, e i colori (azzurri, ver<strong>di</strong>,ocra...): i colori <strong>di</strong> Piero (Della Francesca).«L’ultima stanza nitido chiarore, / barriera <strong>di</strong> bellezzaad ogni sorte / inutilissima leggera fortezza, / s’apre alla <strong>luce</strong>al vuoto alla collina. / Rior<strong>di</strong>na la vita una misura / cheleggermente si prepara al volo».Che cosa è accaduto? Che cosa sta accadendo?Nella bellissima intervista <strong>di</strong> Ida Boni, che prepara l’uscitadel terzo libro poetico (<strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>. <strong>La</strong> tensionee il sogno, in «Galatea», Luglio-Agosto 1998, pp. 54-61),l’autore offre una risposta:«Giunto al termine dei compiti che la vita propone atutti, (...) si è prospettato il riflesso <strong>di</strong> quel vuoto esistenzialeche credo coincida (...) con l’approssimarsi del traguardo<strong>della</strong> vita. (...) Si è dunque risvegliato anche in mel’impulso a non morire del tutto (...). Il <strong>di</strong>ario singhiozzante<strong>di</strong> tutta una vita, consegnato alle righe salvagente presee riprese senza alcuna intenzione <strong>di</strong> pubblicare, si è cosìdovuto manifestare: unito allo spazio concluso <strong>di</strong> una labilefortezza» (p. 56).Dunque: un sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, <strong>di</strong> protezione, un salvagente(dai flutti del tempo, dallo spazio ignoto <strong>della</strong> morte); unastessa funzione per l’una e l’altra poiesis (l’«impulso a fare»),per le parallele «costruzioni» <strong>della</strong> Casa<strong>luce</strong> e <strong>della</strong> <strong>poesia</strong>(ma i versi vengono nominati «righe», sostituendo all’immagine<strong>della</strong> versa oratio, <strong>di</strong>scorso rivoltato – come si rivoltanole zolle nella coltratura –, l’immagine <strong>della</strong> nitida linearitàgeometrica, dei filari e dei seminati nei campi), connotate, edecostruite, ambedue, da evidenti ossimori (la «labile fortezza»da un lato e le «righe salvagente» dall’altro).E forse anche qualcosa <strong>di</strong> più.<strong>La</strong> parola «<strong>luce</strong>» comporta <strong>di</strong>verse accezioni ed entrain <strong>di</strong>verse combinazioni semantiche, registrate ovviamentenei vocabolari. Ne trascrivo alcune (casualmentedal vecchio Manuzzi): «Dare il <strong>luce</strong> o alla <strong>luce</strong>,vale partorire; venire alla <strong>luce</strong>, vale essere scoperto;120


ecc.». E ancora: «Luce per vita; <strong>luce</strong> per persona amata; <strong>luce</strong>per apparenza, sembianza; <strong>luce</strong> per qualsiasi apertura,finestra».A parte l’ovvia sottolineatura del significato <strong>di</strong> «pubblicare»e <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> «finestra» che confermano il parallelismodelle due opere, mi soffermerei piuttosto sui significati<strong>di</strong> scoprire, esporre, portare allo scoperto, cheimplicano qualcosa <strong>di</strong> coperto, tenuto in ombra, e cioè ilsegreto, il nascosto, il rimosso. Pubblicare le poesie e costruirequell’«arca cristallina» (come egli chiama la Casa<strong>luce</strong>)sarebbe allora un atto insieme liberatorio e crudele,<strong>di</strong> agguerrita <strong>di</strong>fesa e <strong>di</strong> impietosa autoaccusa, che mettein gioco ossimori assai più ra<strong>di</strong>cali e profon<strong>di</strong> <strong>di</strong> una semplicefigura retorica: quelli cioè del proprio essere e delproprio esistere.È la questione dell’Io, del venire allo scoperto <strong>di</strong> un improbabileIo, a costituire, mi sembra, il nodo centrale e ladecisiva motivazione sia <strong>di</strong> questa architettura che <strong>di</strong> questa<strong>poesia</strong>. L’«iconoclastia», la trasgressione, insite nelladuplice operazione, così come espongono alla <strong>luce</strong> e aglisguar<strong>di</strong> gli interni <strong>della</strong> <strong>casa</strong>, lacerano anche ogni velo <strong>di</strong>reticenza e <strong>di</strong> pudore agli interni del soggetto, espongonoad<strong>di</strong>rittura i processi stessi <strong>di</strong> occultamento (e <strong>di</strong> rimozione)con i quali e sui quali il soggetto ha costruito il suo Io.A cominciare, come la psicanalisi ha osservato e teorizzato,dalla relazione madre-figlio, e più precisamente dallaimposizione delle rimozioni materne alle rimozioni del figlio-infans.Se, cioè, è il rimosso <strong>della</strong> madre che genera inlei il desiderio (l’augurio) <strong>di</strong> un figlio narcisisticamente perfetto,come oggetto sostitutivo <strong>di</strong> un desiderio impossibile,sarà il figlio a dover faticosamente elaborare un io proprio,attraverso la doppia rimozione: <strong>della</strong> madre e dell’infans.Sono questi i processi che vengono ora allo scoperto (attraversola Casa<strong>luce</strong> e la <strong>poesia</strong>), drammaticamente laceratida opposizioni irriducibili, che feriscono e sanguinanosotto la <strong>luce</strong> implacabile <strong>di</strong> un’autocoscienza luci<strong>di</strong>ssima,che si avvale, come sola <strong>di</strong>fesa, dell’ironia, il sarcasmo, laparo<strong>di</strong>a. («<strong>La</strong> coscienza i fati ci hanno dato / come fungomalefico esglobato / concupiscenza d’un creatore oscuro. /Questa o<strong>di</strong>osa <strong>luce</strong> / che brancolando acceca ma non spie-121


ga», in I viaggi del Nautilus, Firenze, Le Lettere 1997, checiterò con la sigla VN, p. 72, ma si veda anche il testo a p.73). Quasi in apertura del primo libro poetico (Mille scuseper esistere, Firenze, Le Lettere 1995, che citerò con la siglaMSE, pp. 14-16) si colloca un trittico (<strong>poesia</strong>, fotografia,prosa) che costituisce, mi sembra, un’esplicita offerta <strong>di</strong>chiave <strong>di</strong> lettura.Si tratta dell’immagine del fanciullo, del soggetto-fanciullo,nel bianco vestito alla marinara, orgoglioso <strong>di</strong>possedere un fischietto vero (e non puramente ornamentale),che dovrebbe garantire la propria «verità»,la rassicurante certezza <strong>di</strong> una consistenza concreta, mache l’impietoso obbiettivo fotografico («tondo come unabocca <strong>di</strong> cerbottana pronta al veleno») rivela come «un’immaginealtrui voluta da altrui», la madre, «fulminata nellasua irrime<strong>di</strong>abile estraneità», nella quale il bianco del vestitosi <strong>di</strong>lata «nel vuoto, vuoto come un’idea priva <strong>di</strong> concretezza(...). Bianca che più bianca non c’è (come per ilmigliore dei detersivi) fino alla bianchissima trasparenzadel vuoto e del nulla».Sarà appunto questo senso del vuoto e del nulla (o niente)che percorrerà tutta la sua <strong>poesia</strong> e continuerà ad alimentareil suo bisogno <strong>di</strong> concretezza anche, rischiosamente,opponendo alla trasparenza del vuoto, la trasparenzadei vetri infrangibili <strong>della</strong> Casa<strong>luce</strong>.Così pure nel testo eponimo <strong>di</strong> MSE (p. 41):«Infanzia. E poi? / Tutta la vita / seguendo i sogni miei /ricalco i sogni tuoi. / Puerizia. E poi? / I lunghi pomeriggisotto i tigli / i giochi sciatti tra macchie <strong>di</strong> sole. / E poi? /Guardo la mano che scrive per gioco. / Il cuore pulsa, e ripulsa,nel vuoto. / L’io / che sa <strong>di</strong> non essere / s’inventa millescuse per esistere».Un Io minacciato da quel vuoto, che sa <strong>di</strong> non essere oche sa <strong>di</strong> non conoscere («Non so cosa tu sia / né donde vienio vai / o se tu sia mai stato: / colpo <strong>di</strong> da<strong>di</strong> nell’entropia /vedo una pelle che tante parti regge / (io, perché io) e si ritrovaintera / soltanto quando soffre / e s’infittisce il buio»,MSE, p. 74); ma che, doverosamente, ha cercato la propria122


«scusa» (motivazione) per esistere nell’assumere su <strong>di</strong> sé ildesiderio dell’altro (la madre):«Fuggiva al buio <strong>della</strong> notte il treno / e sul vetro e nelcuore si specchiava / un grande pala<strong>di</strong>no piccolissimo. / Algioco d’esser grande / ho poi sempre giocato / al gioco d’esserbravo, / bravo bambino» (MSE, p. 48).Ma è importante tutta la sequenza Il capo del filo, de<strong>di</strong>cataal rapporto con la madre e con la sua morte. E il temaverrà ripreso in VN (p. 128):«Inondato d’amore il dolce flauto / quanto bramavo chemolle <strong>di</strong>scendeva / grazie dal seno, e come pervolevo / comepiegavo ogni forza infantile / a rendermi più grande <strong>della</strong>minima età. / Ed ora il dono necessariamente / è miosenza più guerra e sono e fui, / bravalbertino».Ma il gioco infantile non era soltanto quello <strong>di</strong> esserebravo, forte, «piccolo guerriero <strong>di</strong>gnitoso» (MSE, p. 50),ma anche un altro: <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e paura, nello spazio <strong>di</strong> unaltro «gioco»: la scrittura.«SCRIVERE / Come quando passavo le ore da solo / suitappeti cinesi / con quattro palline / e due gusci <strong>di</strong> noce: /giocando da solo / pauroso; / e <strong>di</strong>steso da solo pauroso /giocavo per ore» (VN, p. 286).<strong>La</strong> scrittura (la <strong>poesia</strong>) si iscrivono (con questo ritmopalazzeschiano) nel luogo-tempo <strong>di</strong> un Io, che magari sivolge (o si vorrebbe volgere) ancora alla madre (come nelgirotondo <strong>della</strong> giostra che inesorabilmente ritorna al punto<strong>di</strong> partenza: «Cerca il fanciullo con l’occhio la Mamma /si sforza d’implorare un nuovo giro. / Il prossimo soltanto./ Prima <strong>di</strong> finire» (MSE, p. 40), ma sa anche <strong>di</strong> non poterarrestare la giostra, e che nessuna barriera, nessun limitedel tappeto, nessun muro o cristallo <strong>di</strong> protezione potràbloccare il ribaltarsi del fuori e del dentro. «Sguar<strong>di</strong> silentis’avvicinano. Si aprono / efferati denti splendenti. <strong>La</strong> paura/ s’agita fuori e dentro / la morte invadente. Fuori la morte/ Dentro la paura» (VN, p. 13).<strong>La</strong> morte; e l’occhio <strong>della</strong> morte, quasi come il buco nerodell’«occhio <strong>della</strong> cerbottana» dell’obbiettivo fotografico,ma che non immobilizza il soggetto, bensì lo attrae, lorisucchia: «Ieri scrutavo nell’umida pupilla / immerso nel123


grand’occhio piatto e nero. / Il margine silente mi parevauna palude al vento delle ciglia / che mi precipitava dentroil nero. / Perché vi<strong>di</strong> la morte come un occhio / nel qualedarsi, lungo pozzo nero?» (MSE, p. 96).Anche la <strong>poesia</strong> (come l’immagine del bambino vestitoalla marinara) non appartiene all’Io: proviene da unAltro, da un altrove, da un fuori, secondo l’antico mito<strong>della</strong> Musa (o Apollo, o Amore, o l’inconscio) checompare con insistenza nei suoi testi. Eppure, proprio la<strong>poesia</strong> si propone come un <strong>di</strong>fferimento <strong>della</strong> o una <strong>di</strong>fesadalla morte (il non omnis moriar oraziano). Ma al prezzo <strong>di</strong>una faticosa opera <strong>di</strong> scavo che solo il soggetto può (e deve)compiere, come nell’archeologica Campagna <strong>di</strong> scavo:«Trascrivo da mattoni cuneiformi / tavolette sepolte neldeserto. / Non era tanto tempo fa. / Non ha coperto la sabbianemmeno / millenni mille; / eppure per leggere / ci voglionotalora / ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong>sseppelliti / l’occhio gemello / cheprospettico dà / la <strong>di</strong>mensione / (...) / Ho ritrovato (e tuttavia)/ scavati blocchi. / È l’ora pesante / <strong>di</strong> lavarli appena»(VN, p. 233).E ricor<strong>di</strong>amo che Freud aveva paragonato lo «scavo»dall’analisi agli scavi archeologici <strong>di</strong> Roma che portano alla<strong>luce</strong> gli strati sovrapposti, così come in VN, p. 154, si legge:«Giacciono in queste righe tempi sovrapposti».Oppure, più ra<strong>di</strong>calmente, scavo nella fisica consistenzadelle strutture cellulari del corpo: «Scava dove si scrivonoe riscrivono / libri dal vero. / Inventa i tuoi messaggi d’oltretomba/ traducendo dai co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> cellule / sapientissimevive formule / cultura prenatale, biblioteca / nel sangue delpensiero coltivata» (VN, p. 179).Scavo, insomma, fino alla soglia (e oltre) del prenatale,al <strong>di</strong> là del pensiero e <strong>della</strong> parola, per soffrire nuovamentelo strazio lacerante <strong>della</strong> nascita («Non ricordo il dolore <strong>di</strong>nascere / (maremoto eruzione terremoto) / l’efferata invasionedel respiro / per vivere la nascita crudele / taglio chefino all’ultimo andando si sprofonda. / Ieri dell’estremo /(l’io partorito lacerato vecchio) / conservo l’efferata / sanguinosamemoria <strong>di</strong> dolore. / (l’esplosione negli occhi sen-124


za <strong>luce</strong>)» (VN, p. 40); lo svincolarsi sanguinoso <strong>della</strong> formadal caos, l’apeiron, la chora: il caos genetico <strong>di</strong> tutte le cosmogonie(ed ora anche <strong>della</strong> «caologia» <strong>della</strong> fisica moderna).E toccando più specificamente i processi <strong>della</strong> scritturapoetica: «Pensate solo per endecasillabi / invertitidecomposti elementari / rovesciati ricomposti compensati./ Tornate ai pie<strong>di</strong> ai segni elementari / ai suoni quasi nonarticolati. Bisogna / cominciare da capo, senza <strong>di</strong>menticare»(VN, p. 65).Si tratta, dunque, <strong>di</strong> rovesciare il percorso, razionale,dal caos all’or<strong>di</strong>ne, in quello, poetico, dalla forma (dall’or<strong>di</strong>ne)al caos, come già suggeriva l’Amico (l’immaginarioalter ego del soggetto).«Il raziocinio – <strong>di</strong>ce l’Amico – è tarda semplificazione afini pratici <strong>della</strong> realtà e <strong>della</strong> natura (...) per sciogliere ecapire la quale bisogna risalire a ritroso, senza <strong>di</strong>menticare.Dall’organizzazione al Kaos» (MSE, p. 77).Perché proprio lì, nell’indeterminato caotico, può esseretrovato il «vero», il «proprio», la vita che nasce erinasce. Siamo chiaramente nello spazio epistemologico<strong>della</strong> fisica moderna, con una quasi-citazione deglistu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Edgar Morin (in Il Metodo. Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne organizzazione,1997, tr. it. Milano, Feltrinelli 1983), dove silegge, ad esempio: una «poltiglia subatomica» che «ci in<strong>di</strong>cache il caos soggiace in permanenza quale tessuto interstiziale<strong>della</strong> nostra physis». L’atomo è la trasformazione inorganizzazione <strong>di</strong> questo caos, «che tuttavia non perde ilproprio impulso genetico, producendo sempre nuove trasformazionie organizzazioni» (cfr. p. 76). E soprattuttosiamo nello spazio delle pressoché coeve teorie del linguaggiopoetico: basti pensare almeno a Julia Kristeva in Franciae a Piero Bigongiari e Stefano Agosti in Italia. Poichése la forma raggiunta blocca il testo poetico nel suo status(sia strutturale che semantico), esso non cessa <strong>di</strong> trasformarsi,mo<strong>di</strong>ficarsi, alterarsi nelle «letture» che il poetastesso ed i futuri, sconosciuti, lettori ne faranno. Anche in<strong>Caramella</strong>, ma non solo in lui (a cominciare da lontano,per esempio da Petrarca) i continui ritorni sui medesimitemi nelle loro «variazioni» (linguistiche, metriche, semio-125


tiche) testimoniano <strong>di</strong> questa inarrestabile rigenerazione,rinascita, già nel primo lettore che è l’auctor.«Bisogna aver già letto quando scrivi / proprio come illettore leggerà. / Ritornerebbe, tutto nuovo, un canto»(MSE, p. 233).Al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questo inarrestabile movimento (dal caosall’or<strong>di</strong>ne e dall’or<strong>di</strong>ne al caos), tanto il pensiero quanto la<strong>poesia</strong> perderebbero la loro vita, la loro indeterminata capacità<strong>di</strong> sopravvivenza.«Quando consegni il pensiero / sembra che nasca allora/ con la parola / quand’è percepito / quand’è conservato. / Ècome <strong>di</strong>re che la mummia / <strong>di</strong>sseccata conserva la vita / trafragili bende / in corpi svuotati. / Vorrei poter conoscere ilpensiero / prima che sia parola / prima <strong>della</strong> violenza / dell’imbalsamazione»(MSE, p. 206).E la pubblicazione, il ne varietur <strong>della</strong> stampa, comportalo stesso rischio mortale: «Cambiavo e ricambiavo edera viva / la riga mia. / Ed ora invece / per non morire unpoco / bisogna pur morire. / Bisogna pubblicare» (MSE, p.13). Sono dunque le mo<strong>di</strong>ficazioni, come «variazioni» maanche come frainten<strong>di</strong>menti, multiple <strong>di</strong>ffrazioni, contrad<strong>di</strong>zioni,a garantire la sopravvivenza <strong>della</strong> <strong>poesia</strong> al <strong>di</strong> là<strong>della</strong> sua imbalsamazione nel testo pubblicato. Come <strong>di</strong>cel’Amico:«Penso che fraintendo pensando. E che devo farmifraintendere se voglio che altri pensi e m’intenda. (...) Comeil percorso <strong>della</strong> <strong>luce</strong> che introdotta nel liquido devia ecrea una falsa immagine. L’angolo tra la ‘vera’ e quella immaginataè spazio (...) dell’invenzione: perché l’immaginetrova deviando (per errore come nell’evoluzione) semprenuova creazione: e conferma reale. (...) in un moltiplicarsi<strong>di</strong> raggi deviati che fraintendono inventano e percorronoricchissimo l’unico colloquio possibile» (MSE, p. 159, ripresoa p. 161, nella concisione sintetica del <strong>di</strong>scorso poetico).Ci si approssima qui ai «frainten<strong>di</strong>menti» e alle «misletture»del decostruzionismo (Derrida, De Man) come purealla «ripetizione <strong>di</strong>fferente» <strong>di</strong> Deleuze, ma soprattutto ci126


si riavvicina all’architettura ed al suo «spazio interno».Bruno Zevi, nel ’58, osservava che «l’idea <strong>di</strong> ‘leggere’un e<strong>di</strong>ficio come possiamo leggere Milton o Dante» incontranotevoli <strong>di</strong>fficoltà a causa dei preconcetti riguardantila «staticità, la cristallizzazione inesorabile, l’imperturbabilefissità, attribuite per secoli all’archittettura(...) perché i versi, i perio<strong>di</strong>, le frasi delle cavità spazialinon sono or<strong>di</strong>nate in modo unico dall’autore, ma devonoessere ricostruite dall’osservatore secondo numerose e inrealtà infinite sequenze. (...) Se un e<strong>di</strong>ficio è concepitoper una sola lettura (...) sarà <strong>di</strong> un <strong>di</strong>segnatore <strong>di</strong> prospettive,<strong>di</strong> uno scenografo, non già <strong>di</strong> un architetto» (inEnciclope<strong>di</strong>a Universale dell’Arte, Firenze, Sansoni 1958,Vol. 1, p. 627).Ma anche la <strong>poesia</strong> non può essere concepita per unasola lettura, ed anche in essa gli elementi strutturali (compresii vuoti, i silenzi) devono essere selezionati e ricompostidal lettore (anche al <strong>di</strong> là dell’intenzione dell’autore),che «entrerà» nel testo, dentro il testo, come entra dentrol'e<strong>di</strong>ficio, con i percorsi che il testo o l’e<strong>di</strong>ficio gli suggeriscono.<strong>La</strong> Casa<strong>luce</strong> <strong>di</strong> <strong>Caramella</strong> è uno «spazio-tempo» viventeproprio perché insieme accoglie e genera e si lasciatraversare e frugare dai «raggi» più o meno deviati <strong>della</strong><strong>luce</strong>, dalle ore del giorno, dalle circostanze atmosferiche,così come si lascia permeare dall’ombra e dall’oscurità <strong>della</strong>notte, permette il farsi e il <strong>di</strong>sfarsi delle immagini, il <strong>di</strong>latarsio restringersi del visibile, dell’immaginabile e delpercepibile. È questa la bellezza?Dal suo scritto Architettura e Poesia, Poesia e Architetturala risposta sembra affermativa, e si veda soprattuttol’ultimo paragrafo. <strong>La</strong> bellezza (dell’architettura,<strong>della</strong> <strong>poesia</strong>) sembra stare nell’or<strong>di</strong>ne raggiuntoe compiuto, «lo spazio or<strong>di</strong>nato e fissato che lega il tempo,or<strong>di</strong>nato e fissato». Una bellezza rassicurante: «ti accerteranno<strong>della</strong> tua esistenza, ti consoleranno e ti <strong>di</strong>fenderannodalla tua fragilità».Ma i poeti, da sempre, ci hanno detto che la bellezza èterribile, o orrenda, o mortale, se l’uomo le si approssima.E <strong>Caramella</strong> scrive:127


«Non crederai (vero?) / che la fede resista. / Quanto ame, / non ci crederai, / davvero credo / ancora credo / aquesta laida bellezza» (MSE, p. 111).Ancora un ossimoro. Perché, forse, è solo la presenza<strong>della</strong> contrad<strong>di</strong>zione e la compresenza degli opposti checostituisce quello che noi chiamiamo bellezza. Ed in cuiaffonda la ra<strong>di</strong>ce dell’amore.Nel paragrafo centrale del suo scritto (sopra citato), <strong>Caramella</strong>attribuisce all’Amico la citazione enigmatica <strong>di</strong> un(immaginario) frammento <strong>di</strong> Archiloco, «che così riferiva:“Scrivere deve essere come la zampa del leone: imperiale,roca, compiaciuta che non la ve<strong>di</strong> mentr’egli procede e nobilmenteuccide”». Uccide la «cosa» nella parola, come <strong>di</strong>cevaBlanchot? O piuttosto il leone-<strong>poesia</strong> uccide proprioperché ha fatto nascere la cosa nella parola, e ogni nascita,ogni vita, si apre sulla morte e si sostiene nel suo contenerla?Paul Valéry, come è noto, ha scritto uno pseudo-<strong>di</strong>alogosocratico dove il personaggio Fedro riferisce a Socratequanto gli <strong>di</strong>ceva l’architetto Eupalinos, «cui la sola bellezzaha formato i desideri e governato gli atti». Egli <strong>di</strong>ceva:«Occorre che il mio tempio muova gli uomini come li muovel’oggetto amato». E <strong>di</strong>ceva anche: «Più me<strong>di</strong>to sulla miaarte, più l’esercito; più penso e agisco, più soffro e gioiscoda architetto; e più sento me stesso (...). Avanzo nella miapropria e<strong>di</strong>ficazione. (...). A forza <strong>di</strong> costruire, (mi <strong>di</strong>ssesorridendo) credo che mi sono costruito me stesso» (Eupalinos,ou l’Architect, Paris, Gallimard 1924, pp. 92; 102-3).Penso che questa sia anche la doppia operazione <strong>di</strong> <strong>Caramella</strong>,e per questo egli possa affermare, <strong>della</strong> sua Casa<strong>luce</strong>:«Io questo luogo amo svisceratamente».128


Ancora nel Cantiere129


Scrivanie & c.DI ELEONORA MASSAGran<strong>di</strong> sforzi e quantità <strong>di</strong> tempo sproporzionate furonode<strong>di</strong>cati fin dall’inizio a progettare l’ambientedel piano terra destinato a uffici, cercando <strong>di</strong> delinearefunzionalmente le varie zone e i corrispondentielementi <strong>di</strong> arredo. Mi trovai quasi automaticamentee senza volerlo a capeggiare uno sparuto gruppetto che sifaceva portatore delle esigenze funzionali dell’ufficio medesimo,con l’obbiettivo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionare la progettazionedegli interni quel tanto che fosse sufficiente a creare unambiente non eccessivamente <strong>di</strong>sagevole per chi vi avrebbepassato dentro le sue giornate lavorando. Ebbi in questomodo a toccare con mano l’estrema <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> stabiliresu questi argomenti un colloquio razionale e costruttivocon i vari professionisti coinvolti e anche (forse in primis!...)con l’avvocato <strong>Caramella</strong>.Quest’ultimo decise l’impostazione generale <strong>della</strong> futurazona ufficio: una grande zona tutta aperta, che superasse ilconcetto più tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> uffici segmentati in varie zone,reinventando un «open space» dove il concetto del lavoro«comunitario» prevale deliberatamente sulle esigenze <strong>di</strong>riservatezza e anche <strong>di</strong> isolamento acustico che determinatemansioni spesso richiederebbero. Furono ipotizzate inizialmente,a titolo <strong>di</strong> compromesso, delle pareti <strong>di</strong>visoriein cristallo, che successivamente sparirono: e questo fusenz’altro un bene sotto il profilo estetico.Il terreno più scabroso comunque fu fin dall’inizio quellodegli arre<strong>di</strong>, sia del loro <strong>di</strong>segno che <strong>della</strong> loro collocazionenello spazio <strong>di</strong> lavoro: e un esempio eclatante che130


merita <strong>di</strong> essere riportato aquesto proposito fu quellodelle scrivanie.A seguito <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong>incontri de<strong>di</strong>cati all’argomento,nel febbraio del1994 ricevemmo dagli architettiuna proposta per lescrivanie dell’ufficio e perla loro <strong>di</strong>slocazione. Lescrivanie erano pensate, adetta degli stessi architetti,per interpretare al megliole caratteristiche peculiaridell’ambiente <strong>di</strong> San Vito,in particolare enfatizzandoil «concetto base <strong>della</strong> trasparenza».Si trattava <strong>di</strong> una idea <strong>di</strong> scrivania formata daun unico piano a forma <strong>di</strong> ala triangolare, imperniato aduna estremità su un sostegno metallico simile ad un palopiuttosto alto, che avrebbe dovuto portare dal soffitto tuttigli attacchi elettrici e che avrebbe dovuto esser ancoratostabilmente in un punto del pavimento. Allo stesso paloavrebbero dovuto essere ancorati – unici accessori <strong>di</strong> cui iltavolo fosse dotato – dei ripiani <strong>di</strong> appoggio (che gli architettichiamavano il «dattilo»), anch’essi triangolari come iltavolo ma ovviamente molto più piccoli, situati nella partealta e posti in modo, almeno apparentemente, da cercare<strong>di</strong> bilanciare una struttura che già a prima vista presentavaevidenti problemi <strong>di</strong> tipo statico: tanto che i «pali» dovetteroquasi subito <strong>di</strong>ventare tre. Una rete metallica a maglie10x10 avrebbe dovuto delimitare in verticale lo spazio<strong>di</strong> lavoro... che assomigliava così in tutto e per tutto ad unagabbietta. Quanto alla <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> tali arre<strong>di</strong>, essa nonfaceva che accentuare, se possibile, il <strong>di</strong>sagio dei malcapitatioccupanti delle «scrivanie» oltre a compromettere proprioil concetto <strong>della</strong> «trasparenza» con una selva <strong>di</strong> grossitubi calanti dal soffitto...L’idea che la soluzione proposta ispirava dal semplice <strong>di</strong>segnotrasmesso via fax era per noi angosciante.131


A tale episo<strong>di</strong>o si riferisce una «relazioneinterna» che producemmo perl’avvocato <strong>Caramella</strong>: il tono <strong>di</strong> accentuatapolemica col quale venivanoespresse le nostre obiezioni potrebberendere valida testimonianzadel clima che si respirava in quel periodo.Questa «rivolta dal basso» ebbe uncerto effetto sull’avvocato <strong>Caramella</strong>che fin qui si era mostrato, forse ancheper stanchezza, arrendevole <strong>di</strong>fronte alle sopracitate proposte: eportò <strong>di</strong> fatto a ricercare altre soluzioni.L’architetto Papi <strong>di</strong>segnò alloraquei tavoli ispirati alle forme del volo– como<strong>di</strong> e funzionalissimi – che sonoora parte integrante e qualificante<strong>della</strong> realizzazione <strong>di</strong> San Vito 7.Tra l’altro va notato che è proprio dai suggerimenti <strong>di</strong> caratteremeramente funzionale contenuti nella relazione sopracitata per quanto riguarda quella che allora veniva in<strong>di</strong>catacome «stanza <strong>della</strong> gestione» – la possibilità espressamenterichiesta per due posti <strong>di</strong> lavoro collocati su unacoppia <strong>di</strong> scrivanie contigue <strong>di</strong> poter utilizzare alternativamenteun terminale video collocato su un supporto girevoletra i due tavoli – che l’architetto Papi trasse spunto per ladoppia scrivania (le cosiddette «gemelle») che assieme al«Mirage» è forse la più notevole <strong>di</strong> queste invenzioni.Anche la pianta dell’ufficio si trasformò, configurando finalmentequell’ambiente <strong>di</strong> lavoro arioso e confortevole chetutti auspicavamo.Più in generale, va comunque notato che la battaglia perottenere un ufficio coi minimi requisiti funzionali, nonostantequesto fondamentale ma parziale successo, è stata,del tutto preve<strong>di</strong>bilmente, persa in partenza. A prezzo <strong>di</strong>gran<strong>di</strong> sforzi riuscimmo ad ottenere minimali attrezzature,assolutamente irrinunciabili come ad esempio la zonadel computer, e un mobile contenitore sospeso alla paretead esso contigua: l’unico in tutto l’ufficio. Ma il fervore poe-136


tico che pervadeva sia l’avvocato <strong>Caramella</strong> che l’architettoPapi portò ad una idealizzazione esasperata <strong>di</strong> San Vitoche non poteva concedere nulla alle esigenze funzionali,viste anzi spesso e con spirito singolarmente antagonistacome antitetiche alla «bellezza», unico fine da perseguireaccanitamente e senza compromessi <strong>di</strong> sorta. Utilizzareper lavorare alla scrivania una se<strong>di</strong>a scomoda ma «bella» aquesto punto poteva essere visto ad<strong>di</strong>rittura come un modoestremo <strong>di</strong> testimoniare questo ideale, a prezzo (dolorosoma eroico...) <strong>della</strong> propria schiena!Il risultato è che San Vito è realmente (e non poteva esserealtrimenti) un luogo bellissimo dove vivere e lavorare: mal’incapacità <strong>di</strong> realizzare un sano e pur minimale compromessoprogrammato con le esigenze <strong>di</strong> chi lavora ha fatto sìche, inevitabilmente, la necessità <strong>di</strong> arrangiarsi si è imposta.137


Fine dei lavoriDI RICCARDO FRANCALANCI«Oggi 20.6.1995 Vi comunico con immensa gioia ed infinitastima che il capolavoro è finito».Quando accade nella vita che il lavoro concili con laprofessionalità, il <strong>di</strong>vertimento, l’ambizione, la fantasiaed infine il risultato voluto, allora avviene il famosocapolavoro. Nella tra<strong>di</strong>zione muraria il capolavoroha avuto un significato molto più ampio ma anchemolto più semplice <strong>di</strong> quello che può sembrare, basti pensareche negli anni ’40-’50 la parola capolavoro stava a significareil risultato <strong>di</strong> una prova manuale con la quale unmanifattore poteva essere assunto dall’impresario con laqualifica <strong>di</strong> muratore. In sintesi, se un operaio era in grado<strong>di</strong> realizzare un muro a secco in pietrame oppure un arcoa mattoni a faccia vista aveva realizzato il «capolavoro» edaveva superato la prova.Scusatemi se ho <strong>di</strong>vagato, ma ho voluto ricordare a Voima anche a me stesso che l’opera compiuta in via San Vito7 è stata un insieme <strong>di</strong> piccoli «capolavori» grazie ai qualiognuno <strong>di</strong> noi ha superato la prova acquisendo la qualificapiù idonea. Adesso che i lavori sono finiti, voglio con gioiaripercorrere sinteticamente con Voi tutti il susseguirsi dellevicende, dei piccoli fatti, delle sensazioni e dei ricor<strong>di</strong>che avrò <strong>di</strong> Voi tutti e <strong>di</strong> questo ottimo lavoro.Il primo figurante <strong>di</strong> questa comme<strong>di</strong>a è il protagonista,produttore, regista ed attore quale <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>, amico,«padre» e collega. Di lui è il ricordo più sentito, in quanto,se ben lo conosca da quasi venti anni, in questa occa-138


sione ha <strong>di</strong>mostrato il vero lato straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> colui chenon più giovane è stato il più giovane <strong>di</strong> tutti. Il suo coraggio,la fantasia, la tenacia, il credere in un qualcosa chesembrava astratto ha coinvolto tutti noi a non mollare mai,ripensare sempre che non esiste un’unica soluzione, che lecose semplici sono in fondo le migliori.Ecco ricordo ancora quando nel mese <strong>di</strong> agosto del ’94con un afa terribile, tutti i santi giorni si recava in cantiereper dare in<strong>di</strong>cazioni al pavimentatore, oppure quando ancoranell’inverno lo vedevo arrivare con le calosce <strong>di</strong> pellea controllare le strutture.Dietro <strong>di</strong> lui a ruota, il coprotagonista, l’architetto LorenzoPapi, architetto, maestro dei colori, delle forme antichecon una fantasia fanciullesca, mai puntuale, vestitonon per immagine ma per sensazione propria con i coloridel mare, personaggio scherzoso ed ironico.<strong>La</strong> sua figura apparsa all’improvviso quando l’opera eragià iniziata, è stata determinante per il risultato, mai avreicreduto che una vecchia <strong>casa</strong> colonica, potesse assumerecon marmi policromi, pareti e scale <strong>di</strong> vetro, colonne <strong>di</strong> acciaio,mobili spigolosi, un aspetto <strong>di</strong> tanto calore, accoglienzae bel modo <strong>di</strong> viverci quale è stato.Ricordo <strong>di</strong> lui un particolare pomeriggio quando dopoalcune ore che lo stavamo aspettando arrivò, scese <strong>di</strong> macchina,guardò la <strong>casa</strong>, riprese l’auto e se ne andò lasciandocilì come si <strong>di</strong>ce a Firenze «come bischeri».Dietro, le comparse; fra le quali elenco i professionisti:Maria Sole Fantacci architetto donna e non architettacome invece la chiamavo, deliziosa, con l’aria assorta<strong>di</strong> chi si sveglia in un mondo nuovo, titubantema allo stesso tempo decisa. Il suo arrivo in cantiere era avvisatodai commenti che gli operai esprimevano sulla minigonnadel giorno.Cecilia Armellini, architetto donna, ex sessantottinaconfusa, piccola ma procace, capelli color nero inferno,abbronzata <strong>di</strong> natura, vispa, allegra ma anche molto competente.Francesco Perissa, geometra, mio ex pupillo e, come avolte succede, superiore al maestro, rigorosamente in <strong>di</strong>vi-139


sa da <strong>di</strong>rigente, sempre impuntito, molto pratico e con lafacilità <strong>di</strong> stabilire un buon rapporto con tutti.Clau<strong>di</strong>o Durazzi, commercialista e in qualità <strong>di</strong> corrispondenteai pagamenti, santo e forse <strong>di</strong> più. Preparatissimoprofessionista, buono, gentile, educato, insomma, ungran bravo ragazzo.In ultimo ma anche per prime, le maestranze le qualihanno svolto il ruolo non solo <strong>di</strong> fedeli esecutori, ma intante occasioni <strong>di</strong> collaboratori, esprimendo pareri, dandoconsigli e a volte anche soluzioni. Il mio rapporto con loroè stato un altro capitolo importante <strong>di</strong> quest’opera. Saràstata l’atmosfera, i personaggi, l’immobile che piano pianomostrava i segni <strong>di</strong> una realtà nuova e affascinante, ma soltantoin questa occasione ho trovato un giusto mixage fral’ansia la tensione e la serenità <strong>di</strong> sentirsi coinvolti a creareun qualcosa <strong>di</strong> unico, irripetibile e fantastico.Sì, perché oltre all’opera in se stessa, questa è stataun’esperienza <strong>di</strong> vita, <strong>di</strong> sentimenti, <strong>di</strong> idee, il coinvolgimento<strong>di</strong> tutti, come in un clan, nelle decisioniarchitettoniche, nelle decisioni dei colori, nelle decisionieconomiche ed in fondo anche nel rispetto e nella stimache si è formata tra noi tutti.Mi auguro che in futuro potremo fare altre esperienzefantastiche, ma senza dubbio non avremo mai più modo <strong>di</strong>vivere insieme per tre anni quella fantastica avventura cheè già nei ricor<strong>di</strong>.Un grazie ed un bacio a tutti voi, miei cari colleghi, arrivedercia presto.140


Coralità al futuro141


FONDAZIONE IL FIOREIl «fiore» <strong>di</strong> Lorenzo Papi,architetto-poeta.142


Il mito custode dei mitiDuro e scostante carciofo che si aprirà azzurro come il cielo,il fiore si nasconde all’interno <strong>di</strong> aculei bene affilati.STATUTO DELLA FONDAZIONE «IL FIORE»Regione Toscana – Giunta RegionaleDecreto n. 04476 del 18 luglio 1997Art. 2 – <strong>La</strong> fondazione non ha scopo <strong>di</strong> lucro e<strong>di</strong>ntende promuovere nell’ambito <strong>della</strong> RegioneToscana le attività culturali relative alla letteratura,alla musica, alle arti figurative, con particolareriguardo alla <strong>poesia</strong>.<strong>La</strong> fondazione:– favorirà le attività <strong>di</strong> ricerca, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> promozionee le manifestazioni culturali negli ambiti sopraelencati, concedendo sovvenzioni, promuovendola raccolta <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> in denaro da destinare agliscopi anzidetti, nonché al restauro <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> particolarerilevanza nell’ambito <strong>di</strong> tali scopi; organizzandoo promuovendo congressi, seminari, incontri,concerti e mostre;– nella cornice delle attività sopra elencate, de<strong>di</strong>cheràparticolare attenzione alla <strong>poesia</strong>, concedendosovvenzioni e borse <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e organizzandouno specifico premio letterario nell’intento<strong>di</strong> incoraggiare e promuovere l’attività letterariapoetica, lo stu<strong>di</strong>o e la ricerca critica in questoparticolare ambito;– promuoverà intese con istituti, enti o associazionia carattere culturale, particolarmente nell’ambitopoetico e letterario.143


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Il nome del FioreSe guardando Firenze dall’alto del Piazzale Michelangelo idealmente si toglie dalpanorama la sagoma <strong>della</strong> cupola del Brunelleschi la vista si appiattisce senza scampononostante la ricchezza dei monumenti che circondano il grande fiore. I fiorentinidel Brunelleschi sentirono la necessità <strong>di</strong> levare questa immane corolla come sefosse caduta arrovesciata e ricca dal suolo per completare Firenze e per richiamarela bellezza dei colli e <strong>della</strong> campagna intorno al <strong>di</strong>alogo che dura ancoraSanta Maria del Fiore il segno <strong>di</strong> Firenze il segno dell’amore. Il Fiore <strong>di</strong> Dante cheha raccolto dalla terra e portato fino al cielo Firenze nell’immortalità <strong>della</strong> <strong>poesia</strong>.SAN GIOVANNIDagli occhi ra<strong>di</strong> intensi del cieloarsi barbagli fioriscono al buiofuggitivi colori stelle cadentifinché piena del tonfo <strong>della</strong> finela notte ricamata a scoppi è fattaventre d’immoto silenzio vibrante.Da San Miniato s’alzanole nuvole che sfumano a rilentoe presso l’Arnoun folto <strong>di</strong> cipressial grande leccio attornopietrificata campagnaper secoli d’amore.LA CITTÀPer levar d’ombra grande il grande Fioreche Filippo voltò d’ingegno purosi figurava a compattare un collecon tal fiorino in terra da tor via.Poche monete <strong>di</strong>sperse nel cumuloumili cercano il salvadanaiosplendono alcune che se cogli è <strong>luce</strong>purissime <strong>di</strong> conio e d’oro fino145


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Interrogazione <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>PERCHÉ...COMFORTIndolenzito, scrivo.LIBERA USCITAHo sempre scritto sotto dettaturatra poca <strong>luce</strong> in queste quattro mura:ho quasi terminato la scrittura.Un tocco fuori squilla all’aria pura.S’apre <strong>di</strong> corsa il folto dei pensieri.Volano lieti i segni bianchi e neri.Si trova tutto scritto nelle righe.È stato tutto scritto tra le righe.CLASSICO SONETTOHo cominciato a scrivere dalla fine.Per l’impazienza. Per sciogliere l’enigma.Ma presto un’altra riga dopo l’ultimapenultima è venuta ed ho capito.A ritroso scrivevo come un gamberoche cerca la sua tana e s’allontana.Riga interrotta rotta non tracciatafuori dal tempo dallo spazio uscitapulviscolo impazzito raggio estremo...corri su e giù con me sull’altalenatra l’ansia del respiro e la sua pena.147


L’ISPIRAZIONESi sveglia l’incre<strong>di</strong>bile fogliorettangolare voglia<strong>di</strong> scrivere qualcosain caratteri strani:e si <strong>di</strong>sperafino a giornofino a quando ragiona, fino a serafino a quando,s’apre e si posa il fiore <strong>della</strong> notte.Eterna sorgerà la cattedraleo cauto un canto spiccherà più semplice,come il recente vino con la bevacibi schietti accompagna, grato pasto<strong>di</strong> conforto e <strong>di</strong> forza.Non siache la necessità <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong>straggadalla vita, o quella <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>dalla <strong>poesia</strong>.PAROLE SOLE(pares cum paribus)Se l’assonanza cerca,speranza d’una rima,soltanto simpatia,l’essenza <strong>della</strong> rima è compagniaalla parola sola.148


SEMPLICITÀUsuali parole e poi l’attesadel sonar che riflette l’onda, il sensodal lontano profondo che ritorna.L’angoscia misteriosa dell’essenza.Ho scritto le mie righequand’ero esiliato dalla terravinta battaglia, vintodalla necessità.(LA VITA ETERNA)Sillabe danzanoantichi ritmia notte aperte attorno ai fuochialla vita alla morte alla pazzia.Sopravvive l’istinto <strong>della</strong> vita alla vitala voglia <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>.149


... COME...PAROLE E RIGHECome si ricompongono paroleframmenti <strong>di</strong> memoria, <strong>di</strong>ffrazioni<strong>della</strong> mente; deviate luci coltecolme d’errore e d’immaginazione.Come prescelgono l’una o l’altra viasi muovono si fermano ripartonosi guardano allo specchiosanno dove andare:sono (mi sento)generato.Io credo in un credo mio speciale.Non so cos’è non so cosa vale.150


SCRIVERECome quando passavo le ore da solosui tappeti cinesicon quattro pallinee due gusci <strong>di</strong> noce:giocando da solopauroso;e <strong>di</strong>steso da solo paurosogiocavo per ore.LINGUA ERMETICA<strong>La</strong>sciando alla musical’ineffabile incantosia grato un cantopiù lievepiù breveesplicito canto.151


PAROLE IN ACCOMANDITALe navi che facevano la spola<strong>di</strong> porto in porto con i capitaniche scambiavano merci ad ogni portoconservano dei resti nelle stived’antiche mercanziesegni semantici rimastidagli innumeri viaggi;che d’improvviso tornano alla <strong>luce</strong><strong>di</strong>etro le casse e le bottiglie vuote.E spesso il profumo delle spezie cedutepermane molto dopo, e si <strong>di</strong>sperdeda carichi <strong>di</strong>versi dei qualil’In<strong>di</strong>a nulla non vide.RITRATTO<strong>La</strong> <strong>di</strong>stanza gentile, il tuo segno sul visol’impegno coinvolto <strong>di</strong> agire.È sofferenza.Penso all’orgoglio, ed altrialla forza, perplessi.È tanto triste debolezza profondaIo, la ra<strong>di</strong>ce. Solo.Un tratto vuoto piange.Più anime confuse. Un occhio scrutae l’altro altrove traguarda.Sotto il debole forte mento addensala bocca rotta un suo mistero.Senza trovar confinevaga sul fogliola fronte alzata.Non ti conosco. Seiniente.CRIPTOCULTURA CLASSICAPensate solo per endecasillabi,invertiti decomposti fulminatirovesciati ricomposti compensati.Tornate ai pie<strong>di</strong> ai segni elementariai suoni quasi non articolati. Bisognacominciare daccapo, senza <strong>di</strong>menticare.152


AMMONIZIONEamici Colti,vi siete stancati,stando troppo seduti.ANNISe finalmente l’ultima parolaarriva non chiamata e si rassettalevigata la forma che si snodacon grazia dal viluppo sgarbugliatoallora sazia la mano s’acqueta<strong>di</strong> grazia dal viluppo <strong>di</strong>slegata.SOSTANTIVIBisogna riscattare la parola.Voglio il silenzio <strong>della</strong> concisione:pochissimi verbi usati al plurale.153


Si deve poter leggere senz’enfasie come cosa nota, pianamente.Tanto più cara perchè mite avarasemplice scorre come una carezzacome un silenzio che s’incrina appena.154


... COS’ÈCOLLOQUILibro conciso.Solo la <strong>poesia</strong>resta artigianale.Sarà la sintesi geniale quandole bibliotechesaranno storia.Com’era un tempo:file <strong>della</strong> memoriasplen<strong>di</strong>do pensiero.A quattr’occhia portata <strong>di</strong> mano.Com’era bello,(così bello)l’italiano.DIZIONARIETTO GNOSEOLOGICOAltissima respira la <strong>poesia</strong>.Innocente felice e puraincorpora d’ogni saperela categoria.155


Bisogna cogliere(fiori e frutti) la <strong>poesia</strong>dentro il rumore del significato.L’ANTIRETORICAQuando alla <strong>poesia</strong>basta ed avanza un tocco <strong>della</strong> manoche cosa vale la parola mia?L’immagine si forma intransitivapurissima assoluta dal suo niente.Non vorremmo, per casta ipocrisia,che s’insu<strong>di</strong>ci la maschera persona,che si turbi la cara compagnia.Un po’ <strong>di</strong> polvere, qualche ragnatelalanuggini fugaci ammonticchiate.Ripugna quasi mettervi le mani.Ma se pensiamo a quanta umanitàe limpida tristezza e spento buiomarciscono ignorati sotto i tegoli,perdoneremo a chi scoperchia il tettoIL LAMPO DELLE MUSESe fosse la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong>menticanzainvecchiamentoruga scavata con pazienza infinita?(la fuga degli insetti, nere cheleil rischio dei veleni le punture).<strong>La</strong> maschera che cede alla persona.Un messaggio conciso <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>intreccia l’invenzionecol frainten<strong>di</strong>mento.Un colloquio si scambiad’immagini fantastiche tra loronessuna immaginata prima.Fosse miala bellezzache si conoscee riconosceper frainten<strong>di</strong>mento.È storia è cronaca; ironia.Il corpo <strong>della</strong> carne non più mia.<strong>La</strong> morta vita che ricerca ancora.È lo scongiuro che morte scongiura.Il piacere <strong>di</strong> tessere il futuro.È come un amo, un suono nell’abissoed aspettare che ritorni l’eco(il foglio bianco che tiene compagnia).È fede. È la speranza. Carità.O solo un grafico, una registrazioneun segno <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusa malattia.È solo amore, amore come Dio.156


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PARADIGMA IMPOSSIBILEBisogna aver già letto quando scriviproprio come il lettore leggerà.Ritornerebbe, tutto nuovo, un canto.Poesia più bella è voglia <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>.<strong>La</strong> leggerà la rivivrà.Giacciono in queste righe tempi sovrapposticome se un duttile metallo avessepreso in prestito l’acciaio. E poiil verde ruvido <strong>della</strong> ginestral’asprigno odore<strong>della</strong> foglia d’ulivoquando inver<strong>di</strong>scel’oro mellifluodel suo sapore.FOLLIA (<strong>poesia</strong>)Lesione dell’immaginazioneallucinogenoche fa credere vero ciò che è bello.Premonizionepiù d’ogni scienzasicuramente esatta.UN GRAFFIO SULLA PAGINAnella bottiglia accuratamente chiusagettata in mare attentamente vuotaper la fedeche qualcuno ci siaa raccogliere il vuoto<strong>della</strong> compagnia.159


Quando la <strong>poesia</strong>parallela scorrevae il verso colpivacome cosa vera,intransitiva, fisicaemozione dell’anima più purae gli dei come poetisenza ragione, amenti,spiegavano tutto,allora leggevi(forse l’iliade l’o<strong>di</strong>ssea era)la <strong>poesia</strong>che nel sanguepioveva scorreva.E IL VERBO SI FECE PAROLAEra in principio l’immoto misteroche la parola perfuse nel motosegno creante a se stessa dal seno.Vennero al corso titanici spazifulse la <strong>luce</strong> tempi muti sorsero.Ruppero note <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> il silenzio.Parola che ricresce, l’universocorre e si esprime nel nostro intelletto,alto e ridente verbo <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>.160


Il pozzoDI ALESSANDRO PARRONCHIIn esilio dalla campagna in cui ero solito passare l’estate,ho trovato quest’anno rifugio in una zona <strong>di</strong>versa. Quattrostanze quadrate, e intorno piante d’alto fusto senza nullache <strong>di</strong>sturbi la vista con elementi «nuovi». Solo, affacciandomialla finestra, su un prato in declivio folto <strong>di</strong>vegetazione incomposta, un pozzo settecentesco <strong>di</strong> cui propongo,qui sopra, l’immagine. Il mio innato bisogno <strong>di</strong> costruzione,il sogno <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio, innalzato da me o prima<strong>di</strong> me, s’è afferrato a quel pozzo, a quel «dado», trovandociappagamento e conforto. Ne è nata questa <strong>poesia</strong>, che vuolesignificare il primo germe <strong>di</strong> quel «bisogno <strong>di</strong> architettura»<strong>di</strong> cui la CASA DELLA LUCE è la perfetta espressione.Estate 1998162


Non sbattere con forza le persianenel silenzio <strong>della</strong> mattina. Regnauna quiete perfetta in queste stanzequadrate, strette fra cortine d’alberied ho fissato in esse il mio rifugio.Dove la morte non possa raggiungermie la vita non mi opprima col pesodei desideri non sopiti, dellemète non mai raggiunte e del rammaricoforse <strong>di</strong> non restituito amore.<strong>La</strong> strada che fin qui arriva s’inerpicaancora un poco, poi desiste al limite<strong>di</strong> un cimitero <strong>di</strong> tombe <strong>di</strong>sfattea sua volta sepolto in un ammasso<strong>di</strong> rovi e foglie morte dove il piedeappena spinto subito sprofondain rigagnolo oscuro o catacomba.Il fiumicello scende fino all’orlodel prato dove un logoro cancellotrattiene un mare d’erbe che non saise siano i morti scesi e rifioritiin bianca spuma, immobile via vaiche si perde, si scioglie, rifluisceribolle in nebbie fatue che <strong>di</strong>ssolvea notte fonda il filtro delle stelle.Forse più tar<strong>di</strong> a raggelarlo è il biancod’un bimbo scivolato in fondo al lagoe nel lago <strong>di</strong>ssolto. Si riagglutinaora così nella notte <strong>di</strong> lunaed è dubbio se sia infelice o lieto<strong>di</strong> non aver vissuto tutto il tempoche senza lui siam destinati a vivere.non aspetta che un sonno da cui sveglici sorprenda una morte repentina:torce umane saremo finché l’albaci sveli che poi tutto è stato un sogno.Per questo abbarbicato io mi rimangoa questo pozzo ch’è rifugio oscuro<strong>di</strong> salvezza da dove se anche giungatetro anticipo odore <strong>di</strong> speloncaè sempre dal profondo un pullulare<strong>di</strong> linfa a cui perennemente attingere:acqua che ci <strong>di</strong>sseti, acqua che lavii nostri corpi nu<strong>di</strong> e forze accrescae risusciti un’ultima illusione.Quattro muri biancastri e un tetto a spioverecoronato da un piccolo pinnacoloè tutto quel che resta alla mia vogliacostruttiva, a un bisogno <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficioantico a cui si può attingere ancora.Nelle mura del pozzo si rinsaldaquest’ultima <strong>di</strong>fesa dal terrore<strong>di</strong> scomparire. E quando dopo un giorno<strong>di</strong> nebbie col tramonto un sole tornaa vestire montagne del suo roseosorriso e un’aria nuovamente vivadel suo raggio paesi e case imporpora<strong>di</strong> commossi bagliori, ho a un tratto il sensoche la certezza più non mi abbandonie non la morte mi raggiunga mai.Potrò così <strong>della</strong> mia vita al termineentrar nell’al<strong>di</strong>là come in un sogno.Sale dalla vallata un altro fumodall'incen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un bosco che <strong>di</strong>struggela vita degli insetti e <strong>di</strong> animalicolti nel sonno che non hanno scampoe il mondo che vivemmo ora tramontae chissà se ne seguirà un altromigliore dopo quel bagno <strong>di</strong> fuoco.Nulla è che da quel fuoco ora ci scampi,non strade aperte a furia nel violentoavanzare a folate <strong>della</strong> fiamma,non getti d’acqua a striscio da elicotteri.<strong>La</strong> fiamma è destinata sì a raggiungercie o prima o poi ci ferma lo spaventosul punto <strong>di</strong> fuggire. Dove, dovefuggire? L’erba secca che noi siamo163


L’ultima stanzaForse l’idea <strong>di</strong> un cadavere purulento, cosa triste ed abbiettache fu già forma vivente – la tua – può essere accettabilese ti sembra <strong>di</strong> constatare e affermare a te stesso chehai adempiuto alla funzione assegnata. Che fu ed è quella<strong>di</strong> realizzare le potenzialità <strong>della</strong> forma: l’affermazione <strong>di</strong>sé, il suo svolgimento in sé e fuori <strong>di</strong> sé, e la proiezione oltresé: spirituale e reale. Se pensi <strong>di</strong> aver adempiuto sei autorizzato.Se cre<strong>di</strong> <strong>di</strong> aver svolto la funzione puoi pensareall’esito col piacere, o almeno con la sod<strong>di</strong>sfazione che lanatura assicura al compimento <strong>di</strong> ogni funzione. Se hai fattociò che dovevi, nell’occasione straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> partecipareall’immenso misterioso cantiere, puoi lasciarlo: anzi puoiappercepire la necessità <strong>di</strong> lasciarlo. Quale fosse o sia il progettoè altra Funzione, che non ti riguarda. Obbe<strong>di</strong>sci.Eliminare scientificamente l’io. Accantonare l’identitàper darsi fiduciosamente alla Regola. Come hanno fatto imistici. <strong>La</strong> religione è l’accettazione convinta <strong>della</strong> morte,che comporta la Fede.<strong>La</strong> fede vera – è scritto – non cura la memoria.CASACCANTOL’OPERA INUTILESe l’esistenza è l’essere che mute e muorese muoveintanto È.<strong>La</strong> gratuita bellezza puro donaforgiato senso d’ogni vana cosache triste o lieto o stanco ghirigorointatto lascia il cielo sempre vuotoCome si possache tutto è in fuga al vento <strong>della</strong> sortesfuggireche presta libertà ad ogni voloannientareche questa riga lascia in<strong>di</strong>fferentela civiltà brutaleil foglio cancellatoreinventare il luogo e non fa niente.dove lavoravae stava il conta<strong>di</strong>nola <strong>casa</strong> cellula l’opera artigianadel tessuto terrache vive con la zolla e che riducenei minimi confini <strong>della</strong> <strong>luce</strong>l’eternità nemical’universo crudele.L’OPERA E IL GIORNO(la <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>)S’è inanellata tanta <strong>luce</strong> intornoalle mie <strong>di</strong>ta gonfie d’Artigiano.Adesso il buio cresce nella nebbiache incerta abbaglia e sembrano svanireimmense le finestre luminose.Si <strong>di</strong>stoglie la <strong>luce</strong> dalla retinae torna verso il sole dov’è nata.Sotto il gelo <strong>di</strong> mani dubitosene resta qualche frangia appisolatacustode del suo luogo <strong>di</strong>visato.


166Il futuro cerca il futuro


De<strong>di</strong>ca sulla guar<strong>di</strong>aQuando si <strong>di</strong>pananole fila date<strong>della</strong> tenerezzarisplende il solee dove cade cadebendato amore.<strong>La</strong> pagina biancainvita al futuro. Vuol essere riempita<strong>di</strong> vita <strong>di</strong> vita.167


PIETRE E RIGHECome schiavo corroso dal salgemmanessuna mai fu pari la fatica.Ma nel deserto senza remissionela forma magica piano per piano(faville funi colpi <strong>di</strong> piccone)protesta affermazione la piramidecresce assoluto persistente fiore.CHEOPEEra un signore grande grosso saggio<strong>della</strong> lezione <strong>della</strong> sua bottega.«Invecchiando, mi creda, torno scapolo»(non <strong>di</strong>sse «solo»).E poi l’erede sempre all’uscio prontoe la voglia che l’opera continuiche si scongiuri poco tempo ancorala necessaria scomparsa totaleanche <strong>di</strong> qualche riga salvagente.Merita solo che tutto sia raccolto,che si rior<strong>di</strong>ni il monte affastellatoin puro solido quadrato triangolocon al vertice l’occhio puntiforme:la teca cristallina la piramideche sgretolata domina il deserto.168


Il grande fioreIl fiore <strong>di</strong> cristallo si è svegliato.<strong>La</strong> perfezione puras’innalza in contrappeso dalla terrasi avvita su se stessa segue il solee gira tutt’intorno alla sua scenache sale che scendenel teatro leggero <strong>della</strong> sera.169


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Teatro ad anfiteatro con bilanciere su travi lamellari in legnoe gra<strong>di</strong>nate in cristallo temperato autoportante. Complesso idoneoad elevarsi, ad abbassarsi e a ruotare sul suo stelo.Altezza <strong>della</strong> scena minimo 5 metri, altezza relativa dellegra<strong>di</strong>nate 8 metri, per complessivi 13 metri.Il <strong>di</strong>ametro <strong>della</strong> scena circa 8 metri, <strong>di</strong>ametro complessivo,scena più palco, circa 40 metri.Le <strong>di</strong>mensioni suddette possono essere proporzionalmentevariate in aumento fino ad ottenere un <strong>di</strong>ametro massimo<strong>di</strong> scena più palchi pari a 64 metri.Il fiore progettato dall’architetto Lorenzo Papi, con la collaborazionedello Stu<strong>di</strong>o Prima Progetti degli architetti JamesCavagnari e <strong>La</strong>ura Capecchi, è de<strong>di</strong>cato alla città <strong>di</strong> Firenze oad altra città del mondo che trovi la gioia <strong>di</strong> realizzarlo. Il futurocerca il futuro.177


Poesia e architettura:dal «Chaos» all’«Universum»DI ERALDO GARELLOIl pittore e letterato inglese William Morris, nel 1881, cosìscriveva: «L’architettura è l’insieme delle mo<strong>di</strong>fiche ed alterazioniintrodotte sulla superficie terrestre in vista dellenecessità umane. Né possiamo confidare i nostri interessinell’architettura ad un piccolo gruppo <strong>di</strong> uomini istruiti,incaricandoli <strong>di</strong> cercare, <strong>di</strong> scoprire, <strong>di</strong> foggiare l’ambientedove poi dovremo stare noi, e meravigliarcene apprendendolocome una cosa bell’e fatta: questo spetta a noi stessi, invece,a ciascuno <strong>di</strong> noi, che deve sorvegliare e custo<strong>di</strong>re il giustoor<strong>di</strong>namento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suospirito e le sue mani, nella posizione che gli spetta».Ma perché proprio all’architettura, tra le varie arti, spetterebbequesta preminenza che la rende una sorta <strong>di</strong> supremaor<strong>di</strong>natrice delle attività umane rispetto alle esigenzedell’habitat in cui operiamo, a tal punto che, idealmentee fattivamente, ognuno <strong>di</strong> noi – sulla base delle propriecompetenze e similarità – è chiamato a cooperare con essa<strong>di</strong> modo che il suo operato non <strong>di</strong>venti una costruzione reificatama la summa <strong>di</strong> una autentica cultura popolare?Per tentare <strong>di</strong> fornire una risposta, seppure parziale, cipuò essere <strong>di</strong> una qualche utilità una riflessione basata sullasua ascendenza etimologica, e sulle implicazioni filosofichead essa collegate. Come arte <strong>di</strong> ideare, progettare, realizzaree<strong>di</strong>fici e costruzioni in genere, essa è l’inveramento dell’operatodell’architetto, dell’«architékton», termine derivante dall’accostamento<strong>della</strong> particella prepositiva «arché», che denotasuperiorità, preminenza in grado superlativo, con il termine«ték-ton», che in<strong>di</strong>ca l’artefice (si vedano al proposito il178


greco «téycho» = fabbricare, produrre, e il sanscrito «takshanam»= <strong>di</strong>grossare, correggere): quin<strong>di</strong>, colui che presiede,in posizione <strong>di</strong> superiorità, alla costruzione d’un e<strong>di</strong>ficio, d’unmanufatto, ma anche chi opera in modo superlativo.A causa del suo stretto imparentamento con l’Arte, laScienza e la Tecnica, il termine «Architettura» non potevanon evocare delle implicazioni <strong>di</strong> tipo filosofico, da Aristotele(«Etica Nicomachea») che la descriveva come un’intelligenza<strong>di</strong> tipo prettamente costruttiva ed operativa, a Kant(«Critica <strong>della</strong> Ragion Pura») che la considerava come«l’arte del sistema», intendendo come sistema «l’unità <strong>di</strong>un molteplice <strong>di</strong> conoscenze sotto un’unica idea», ossia «ilconcetto razionale <strong>della</strong> forma <strong>di</strong> un tutto per mezzo delquale è determinato a priori sia l’ambito del molteplice siala reciproca posizione delle parti». Un’organizzazione finalisticache cresce dall’interno come un organismo vivente.Pertanto, l’architettura, come simbolo concreto e visibiled’una superiore misura del macrocosmo, attiene <strong>di</strong>rettamentealla nozione <strong>di</strong> «cosmos», con cui comunemente siintende un or<strong>di</strong>ne ben strutturato, una <strong>di</strong>sciplina che puòriguardare sia il singolo in<strong>di</strong>viduo o una realtà materialesotto la forma dell’«ornamento», sia l’Universo sotto la speciedell’«or<strong>di</strong>namento». In altre parole, essa evoca una «ratio»armonicamente strutturata in cui ogni parte costitutivadel tutto trova la sua giusta collocazione e si collega conle altre come il perfetto, oliato ingranaggio d’un orologio:architettura in quanto «cosmos», ossia sinonimo <strong>di</strong> bellezza<strong>di</strong>namica e <strong>di</strong> razionalità <strong>di</strong>scorsiva.Enon si possono, forse, fare le stesse considerazioni aproposito <strong>della</strong> <strong>poesia</strong>? Non sono entrambe imparentatedalla vocazione-necessità <strong>di</strong> pervenire a una sintesisuperiore partendo dai vari <strong>di</strong>spersi elementi <strong>della</strong>realtà oggettuale e del «dasein» esistenziale? Esse trovano unloro punto d’incontro laddove tentano <strong>di</strong> superare la nozione<strong>di</strong> «Chaos», per liberare un «itinerarium mentis» che si prefiggalo scopo <strong>di</strong> eccitare la pienezza dell’in<strong>di</strong>viduo all’internod’un «universum» perfettamente controbilanciato in ognisua determinazione. Ovviamente, non si fa riferimento tantoal «Chaos» inteso come una primor<strong>di</strong>ale, ampia e tenebrosa179


voragine nella quale stavano commisti in modo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natogli elementi destinati a costituire in una seconda fase l’Universo:un «<strong>di</strong>s-or<strong>di</strong>ne» magmatico che preannuncia e cronologicamenteprecede l’«or<strong>di</strong>ne» del Cosmo. Il riferimento vainvece a quanto teorizzato da Schelling nella XXVI lezione<strong>della</strong> «Filosofia <strong>della</strong> mitologia», laddove così si legge: «(non)un’unità <strong>di</strong> elementi indefinitamente molteplici... bensì essoè l’unità determinata <strong>di</strong> un numero parimenti determinato eassolutamente chiuso <strong>di</strong> potenze», ad in<strong>di</strong>care, per l’appunto,che il «Chaos» è l’insieme <strong>di</strong> quelle potenzialità che chiamiamoatto e che troveranno il loro completamento nellestrutture definite dell’or<strong>di</strong>ne per eccellenza del «Cosmos».Recentemente, lo stesso R. Bodei, commentando la liricahölderliniana «Wie wenn am Feiertage», fa presente cheil «sacro caos» è una forza rigeneratrice, è l’antico spirito <strong>di</strong><strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, il versante aorgico da cui nasce e sorge una nuovavita nel processo dell’eterna «Régéneration» degli elementi:«Come un grande <strong>di</strong>segno infuoca l’occhio / dell’uomo,ora i nuovi segni, i nuovi / fatti del mondo accendono /una fiamma nel cuore dei poeti. / E ciò che prima accadde,a stento inteso, / ora si è fatto aperto, / e quelli che sorridenti<strong>di</strong>ssodarono / con aspetto <strong>di</strong> servi il nostro campo, / sonoora conosciuti, sono / le forze sempre vive degli Dèi. Quin<strong>di</strong>,la Poesia e l’Architettura, l’una attraverso il poetato e/o ildettato, e l’altra attraverso l’arte costruttiva-costitutiva, procedendolungo le linee d’un interno «ordo» teleologico, pervengonoentrambe alla e<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> un «Universum» partendodalle valenze potenziali e potentizzate del Chaos.180


Architettura e <strong>poesia</strong>DI CARMELO MEZZASASLMAJohn Ruskin, nel suo in<strong>di</strong>menticabile libro Le sette lampadedell’architettura (1849), ci parla, a un certo punto,<strong>della</strong> lampada <strong>della</strong> vita: «tra le innumerevoli analogiecon le quali si cercano <strong>di</strong> spiegare la natura e ilrapporto dell’anima umana con le sue creazioni materiali,nessuna è più calzante del ricorso alle impressioni che sonoinscin<strong>di</strong>bilmente connesse con lo stato <strong>di</strong> attività e lostato <strong>di</strong> quiete <strong>della</strong> materia». Ruskin, in effetti, aveva cercato<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare (e lo <strong>di</strong>mostrerà con forza nelle celebriMattinate fiorentine, 1875) che una parte non trascurabile<strong>della</strong> Bellezza nelle opere d’arte è legata alla capacità <strong>di</strong>esprimere una sorta <strong>di</strong> energia vitale dagli organismi viventie alla capacità, propria dell’artista, <strong>di</strong> saper ubbi<strong>di</strong>rea tale energia interiore. Le pietre, come anche le parole,sono talvolta passive e impotenti. L’artista o il poeta, tuttavia,scorge in esse una pienezza <strong>di</strong> vita che poi ritrova nellasua creazione. In altre parole, anche le pietre o le paroleper John Ruskin portano il più alto principio or<strong>di</strong>natore<strong>della</strong> vita creativa che è l’intelligenza dell’uomo: esse <strong>di</strong>ventanonobili o ignobili in proporzione <strong>di</strong> quella intelligenzache viene profusa nelle cose. Questa regola è determinantein modo particolare nelle creazioni dell’Architetturache, a <strong>di</strong>fferenza <strong>della</strong> musica, non può appoggiarsinella piacevolezza suoni. Eppure, la cultura dell’Umanesimoe del Rinascimento – a cui è legata tutta la riflessione<strong>di</strong> Ruskin – aveva in<strong>di</strong>viduato rapporti sottili eprofon<strong>di</strong> tra architettura e musica, tra architettura e <strong>poesia</strong>:la chiesa <strong>di</strong> S. Salvatore al Monte a Firenze, <strong>di</strong> Simone181


del Pollaiolo detto il Cronaca, secondo un bel saggio dell’architetto<strong>La</strong>ndo Bartoli (Architettura e musica, Quaderni<strong>di</strong> Erba d’Arno 1998), è uno splen<strong>di</strong>do esempio <strong>di</strong> quantol’architettura rinascimentale avesse a cuore le analogiegeometriche e le analogie musicali. Un simile modo <strong>di</strong> pensaree <strong>di</strong> «costruire», certo, veniva all’Umanesimo da moltolontano, poiché musica e architettura – sull’autorità <strong>di</strong> Pitagorae <strong>di</strong> Platone – erano intimamente legate dalla matematicae cioè dal gioco dei numeri piccoli e interi.Da questi piccoli cenni si comprende come l’architetturaè intimamente legata ad altre attività umane e creativecome la <strong>poesia</strong> o la musica. Di fatto, come avvertivaSiegfriede Gie<strong>di</strong>on, la storia non è una complicazione <strong>di</strong>fatti, ma piuttosto la comprensione <strong>di</strong> uno sviluppo <strong>della</strong>vita in atto, proprio come pensava Ruskin o Leon BattistaAlberti.Ecco, allora, il significato profondo che assume, inquesta prospettiva, San Vito, <strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>, e sede<strong>della</strong> Fondazione «Il Fiore». Ideata dalla genialità,estrosa e multiforme, <strong>di</strong> Lorenzo Papi che ha allespalle una notevole formazione umanistica, <strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong><strong>luce</strong> appare, allo stesso tempo, un’opera corale: vi ha partecipatoil ruolo <strong>della</strong> pittura o <strong>della</strong> decorazione e, quin<strong>di</strong>,l’ambito proprio <strong>della</strong> fantasia e <strong>della</strong> gratuità; vi è presentela necessità <strong>della</strong> memoria; vi è rintracciabile, soprattutto,l’assunzione come valore dell’ar<strong>di</strong>tezza e dell’irregolarità,espressione del <strong>di</strong>namismo vitale così caro a Ruskin.A chiunque la guarda o la visita, anche sommariamente,<strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong> appare se stessa o anche <strong>di</strong>versa a secondadelle ore del giorno o <strong>della</strong> caduta o dell’alzarsi proprio<strong>della</strong> <strong>luce</strong>. Alla sua costruzione, inoltre, come <strong>di</strong>mostranobene le poesie qui raccolte <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>, si è in<strong>di</strong>rizzataanche la <strong>poesia</strong> nel suo sottile travaglio <strong>di</strong> sentirevive le cose o le parole che per natura sono passive e impotenti.Non a caso, una bella <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> questo «canzoniere»architettonico <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>, s’intitola, appunto,L’architetto, e dove il rapporto architettura-musica <strong>di</strong>ascendenza pitagorica e platonica è in primo piano: «Poetamusico giullare per Dio / personaggio in cerca d’autore /182


gioca libero / con l’immaginazione: / trovò chi spicca l’aquilone/ <strong>di</strong> mano ferma / trattenendo il filo».Altrove, in <strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>, la parola fissa il colore <strong>di</strong>Piero <strong>della</strong> Francesca nell’umile lavoro dell’artigiano le cuimani sono il simbolo <strong>di</strong> una creazione che continua neltempo e nel tempo si <strong>di</strong>stende: «Dall’Officina, ignota a Piero,/ risplenderanno / le prospettive ed i colori Suoi. / L’Artigianoche pensa con le mani».Mi sembrano proprio queste due poesie le linee portanti<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso intorno all’architettura e alla <strong>poesia</strong> che<strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong> compie in questo piccolo «canzoniere»in cui, particolarmente, la fatica <strong>della</strong> creazione si innalzaalla gioia <strong>della</strong> <strong>poesia</strong> o <strong>della</strong> <strong>luce</strong>. Questa sottolineatura<strong>di</strong> fatica e gioia, <strong>di</strong> sforzo e <strong>di</strong> illuminazione, <strong>di</strong> costruzionefisica e <strong>di</strong> armonia visiva, è il dato che più unisce architetturae <strong>poesia</strong>. In effetti, quando una costruzione, ideatadall’intelligenza dell’uomo, comincia a esistere ci sembra<strong>di</strong> vivere una emozionalità adolescenziale e ci doman<strong>di</strong>amoquale sarà la maturità <strong>di</strong> questa fanciulla che già vive<strong>di</strong> «luminosa meraviglia» e <strong>di</strong> «can<strong>di</strong>da semplicità». Timoree tremore, ansia e meraviglia, cui risponde il lavoro dell’artigianoche «non sente affanno e celebra / la sua preghiera».Ma la memoria dell’arte compie il miracolo «nelsegno <strong>di</strong> Piero» e già il poeta vede la costruzione che s’innalzanella mente al pensiero che lì accanto sorgerà il piccoloEpidauro, ossia un teatro all’aperto: «Qui giocherannoi mimi <strong>della</strong> mente / alla grand’ora l’ultima partita».D’improvviso, tuttavia, il sogno sembra spezzarsi e la faticaconta più del lavoro compiuto: le parole si fanno immaginedelle pietre ammassate o ancora informi poiché«tutto è in fuga al vento <strong>della</strong> sorte / che presta libertà adogni volo / che questa riga lascia in<strong>di</strong>fferente / il foglio cancellato/ e non fa niente».Nonostante tutto, nonostante i vuoti e le incertezze, ilsogno <strong>della</strong> costruzione è sempre vivo nella mentedel poeta, come già in quella dell’architetto. <strong>La</strong> vitasi muove e muore, ma intanto vive ed il poeta può<strong>di</strong>re: «io questo luogo amo svisceratamente», o ancora, «manel cuore / immagine non vista mi accompagna / l’ultimo183


corsa raso alla collina / del cane coraggioso alla sua caccia».Proprio la memoria, a questo punto, dà conforto alla manodell’artigiano o del poeta, mentre il ritrovamento <strong>di</strong> un fossiledà ragione alla fatica dell’uno e dell’altro: «Sei muto nelprofondo delle colline / pesce del mare fossile pietrificato /duplicato nella costellazione del cielo / implicato chiuso nell’ondadei tempi». Così la <strong>luce</strong> <strong>della</strong> memoria e <strong>della</strong> nuovacostruzione si fondono in una gioia dell’anima che vince lepesantezze o il vuoto: «Si <strong>di</strong>stoglie la <strong>luce</strong> dalla retina / etorna verso il sole dove è nata».<strong>La</strong> <strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong> è finalmente nata: la pietra è inondatadalla <strong>luce</strong> come anche la parola è inondata dal suo senso:«I muri che cadevano / <strong>di</strong>sciolsero leggeri l’illimite misura /che si conta negli anni <strong>della</strong> <strong>luce</strong>». Architettura e <strong>poesia</strong>,fianco a fianco, hanno lottato a lungo per avere ragione dellecose che per natura sono passive e impotenti. Entrambe,in questa <strong>di</strong>scesa nel mondo infero, hanno conosciuto l’immersionenel tempo e nelle sue metamorfosi ove le età <strong>della</strong>vita, in virtù <strong>della</strong> creazione, si confondono per celebrarel’incontro tra la fatica professionale e l’accensionedell’energia vitale nell’immaginazione: «Come schiavo corrosodal salgemma / nessuna mai fu pari la fatica. / Ma neldeserto senza remissione / la forma magica piano per piano/ (faville fumi colpi <strong>di</strong> piccone) / protesta affermazionela piramide / cresce assoluto persistente fiore».Quest’ultima <strong>poesia</strong> s’intitola, non a caso, Pietre e righe.<strong>La</strong> scrittura poetica <strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>, in effetti, è l’incontro,persistente e drammatico, tra la professionalità,per così <strong>di</strong>re, <strong>della</strong> parola e la sua forte componente emozionaleche appare e si nega allo stesso tempo. E non potrebbetrovare altra metafora più pregnante <strong>di</strong> quella dell’architetturache gli sia compagnia salutare e cioè veicolo<strong>di</strong> valori e <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni costruttive.184


Ancora nel Cantiere185


Lettera (ovvero la coda)dell’e<strong>di</strong>toreVANNI SCHEIWILLERCaro <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong>, Lei mi chiede «una paginettaelegante, trasparente e spiritosa» al nostro libro <strong>La</strong><strong>casa</strong> <strong>della</strong> <strong>luce</strong>: anch’io, come Leo Longanesi (ma tanto,tanto più piccolo) sono un «carciofino sott’o<strong>di</strong>o»,non per nulla il simbolo <strong>della</strong> Fondazione è il fiore del carciofo,ma attenzione, ho sempre preferito i carciofi con lespine, piccoli ma più saporiti e, soprattutto, muniti <strong>di</strong> tantepunte. Sì, perché per fare il mio mestiere <strong>di</strong> e<strong>di</strong>tore (e lofaccio nel bene e nel male da quarant’otto anni) mi occorreogni giorno una cotta <strong>di</strong> pazienza sopra una corazza irta <strong>di</strong>aculei ben affilati… Scherzi a parte, sono stato intrigato ecoinvolto dalla sua impresa e<strong>di</strong>toriale perché il libro rispecchiail desiderio del suo autore che l’ha animato: che il testofunzioni da <strong>di</strong>dascalia spirituale delle immagini e le immaginia loro volta da <strong>di</strong>dascalia-chiosa spirituale del testo.Un bel impegno il mio (per questo mi tengo «sbagagliatoe leggero» alla Savinio) <strong>di</strong> rispondere alla sua lettera iniziale,<strong>di</strong> tentare un bilancio provvisorio in coda al libro (anchela coda <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>tore talvolta è munita <strong>di</strong> pungiglione). Sononotoriamente allergico e insofferente verso i «fanatici» <strong>della</strong><strong>poesia</strong>, non per nulla ho pubblicato l’anno scorso il Manifestodell’e<strong>di</strong>tore stanco, ma tant’è, come <strong>di</strong>re <strong>di</strong> no all’affettuosainsistenza <strong>di</strong> uno «scrittore segreto», che continua da parsuo la gloriosa tra<strong>di</strong>zione degli avvocati e notai poeti, dalnotaro Jacopo da Lentini all’avvocaticchio Delio Tessa?Il Suo travolgente impulso a «saziare la fame <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>»:attenzione, però, a non farne in<strong>di</strong>gestione. («Io credo in uncredo mio speciale / Non so cos’è non so cosa vale»).186


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Non Le nego che sono un po’ spaventato dall’istessa idea<strong>di</strong> affrontare con Lei «la via che va a Monte Oliveto». Spaventatoda un eccesso <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> come capita durante la vendemmiadove perfino l’odore del mosto dà alla testa: accidenti,mi trovo da solo in mezzo a tutti poeti, a troppi poeti,io che sono, mi ripeto, «un carciofino sott’o<strong>di</strong>o» piccolopiccolo. Io (il mio vecchio maestro <strong>di</strong> latino al Leone XIII<strong>di</strong> Milano nel ’45, il reverendo Padre Verlato, metteva semprein guar<strong>di</strong>a chi <strong>di</strong>ceva «io»: «Io, Io era la vacca <strong>di</strong> Giove»),io, in coda al libro a tentare un bilancio sia pure <strong>di</strong>previsione, partendo dalla «fabbrica» del libro corale e dallaFondazione il Fiore, sono così agli antipo<strong>di</strong> dal Sindaco<strong>di</strong> Firenze, Mario Primicerio (incontrato una sola volta,con tanto <strong>di</strong> fascia tricolore sul petto a un convegno su«Ezra Pound e Dante» a Ravenna pochi anni fa).Per il signor Sindaco è inusuale il rapporto tra architetturae <strong>poesia</strong>, io invece sostengo che sono, o meglio dovrebberoessere, la stessa cosa: purtroppo ogni giorno ciaccorgiamo sconcertati che soprattutto nelle città gli interventisono senza <strong>poesia</strong>, se non contro la <strong>poesia</strong>, e dall’altraparte i poeti, o meglio i se<strong>di</strong>centi tali, scrivono poesiesenza architettura…Evviva dunque la sfida del mio caro avvocato-poeta edell’altrettanto caro architetto-poeta, Lorenzo Papi, coautoreideale del nostro libro.<strong>La</strong> sfida è lanciata da Firenze all’insegna del «fiore» <strong>di</strong>Papi e dell’entusiasmo poetico <strong>di</strong> <strong>Caramella</strong>: «Si trova tuttoscritto nelle righe. / È stato tutto scritto tra le righe».Firenze, 9 marzo 1999189


E dopo la fine190


il principioTRASPARENTEDue pirami<strong>di</strong> immagina simmetrichesulla bilancia poste, arrovesciate.Convergono nel punto (pari peso)che iscrive la perfetta identità.A se stessa simmetrica la sferache pulsa in costante fissitàiscrive moti alterni uniti reversibili.<strong>La</strong> sfera il punto la bilancia e il moto.191


E dopo la fine192


il principio193


In<strong>di</strong>ceIl «Cartiglio» del Primo Citta<strong>di</strong>noMario Primicerio, Sindaco <strong>di</strong> Firenze 9Luoghi e mitiLettera all’e<strong>di</strong>tore<strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong> 13Nel segno <strong>di</strong> Piero 17<strong>La</strong> via <strong>di</strong> San Vito 21Dall’una all’altra delle caseaccanto 23Che cos’è la bellezza in architettura<strong>di</strong> Lorenzo Papi 25Riflessioni «a ruota libera»su architettura, musica e <strong>poesia</strong><strong>di</strong> Giorgio Luti 27Motivi ispiratori per San Vito 34Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> progetto 39Se mai fosse la <strong>poesia</strong> Architettural’architettura Poesia<strong>La</strong> <strong>casa</strong><strong>luce</strong> 51Il sole 54195


Le meri<strong>di</strong>ane 56Da Leon Battista Alberti 58Gli aquiloni 59<strong>La</strong> Via <strong>La</strong>ttea 62L’aliante 66<strong>La</strong> non scala... 70... e l’organo dei fraticelli poveri 72L’incu<strong>di</strong>ne e il fuoco 74Il camino-caleidoscopio 75A proposito dei colori 76<strong>La</strong> notte 78Il Mirage 82L’ala e la farfalla: le gemelle 86Alla <strong>casa</strong><strong>luce</strong> 88To the Light House<strong>di</strong> Giovanna Giubelli 90Gli aquilotti in volo 94Le storie <strong>di</strong> San Vito 95Lo sconforto dell’orante 96Alla <strong>casa</strong><strong>luce</strong> II 97Nel Cantiere<strong>La</strong> coralità 100I personaggi<strong>di</strong> Francesco Perissa 101Dall’archivio del Maestro dei Colori<strong>di</strong> Virgilio Francucci 108196


San Vito 7 uguale Itaca (architettura e <strong>poesia</strong>)<strong>di</strong> Lorenzo Papi 111Architettura e <strong>poesia</strong> <strong>poesia</strong> e architettura<strong>di</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong> 114Poesia e architettura<strong>di</strong> Adelia Noferi 118Ancora nel Cantiere 129Scrivanie & c.<strong>di</strong> Eleonora Massa 130Fine dei lavori<strong>di</strong> Riccardo Francalanci 138Coralità al futuro 141Fondazione il Fiore 142Il mito custode dei miti 143Il nome del Fiore 145Interrogazione <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>Perché... 147... come... 150... cos’è 155Il pozzo<strong>di</strong> Alessandro Parronchi 162L’ultima stanza 164Il futuro cerca il futuro 166Il grande fiore 169197


Poesia e architettura:dal «Chaos» all’»Universum»<strong>di</strong> Eraldo Garello 178Architettura e <strong>poesia</strong><strong>di</strong> Carmelo Mezzasalma 181Ancora nel Cantiere 185Lettera (ovvero la coda) dell’e<strong>di</strong>toreVanni Scheiwiller 186E dopo la fine 190il principioIn<strong>di</strong>ce delle fotografieCARLO CANTINI: 6, 12, 18, 21, 22, 110, 119, 129, 141,143, 158, 165, 168, 188GUGLIELMO DE MICHELI: 15, 16, 17, 24, 50, 54, 58, 62, 63, 64, 67,68, 71, 72, 74, 79, 83, 85, 87, 98ELENA SALVINI PIERALLINI: 146, 150, 151, 154, 157198


Finito <strong>di</strong> stampare in Firenzepresso la tipografia e<strong>di</strong>trice PolistampaAprile 1999

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