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Ahmad Alaa Eddin Siria Ana Banjac Bosnia Almalé & Bondía ...

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L’ARTE GLOBALE di Helena Dagureeva<br />

“Chiribiscos” di Iraida Cano, 2004<br />

Ho conosciuto Antonio Manfredi in occasione della sua<br />

personale nell’ Ethnographic Russian Museum di San<br />

Pietroburgo nell’inverno del 1995, già all’epoca,<br />

passeggiando per la Nieschi discutendo per ore, a volte<br />

anche animatamente, sul significato del fare arte mi accorsi<br />

che la sua visione dell’arte era globale, non mi sono quindi<br />

affatto meravigliata quando sono venuta a conoscenza<br />

del suo progetto di realizzare un Museo di Arte<br />

Contemporanea. È veramente arduo fare una panoramica<br />

esaustiva di tutte le opere presenti nel Casoria International<br />

Contemporary Art Museum, ci troviamo di fronte ad artisti<br />

differenti per stile, tecnica, età e formazione. Eppure già<br />

ad uno sguardo d’insieme risulta evidente come la<br />

rassegna restituisca con grande evidenza quella che è<br />

la caratteristica principale della ricerca artistica di questi<br />

anni: un contesto aperto, dove all’assenza di correnti<br />

nettamente dominanti e di rigidi separazioni settoriali<br />

corrisponde la complessa, indefinibile fenomenologia di<br />

un pluralismo diffuso, in cui il protagonismo delle diverse<br />

personalità traccia percorsi mobilissimi, che s’accostano,<br />

s’incrociano, divaricano, creando così una rete di identità<br />

e di differenze che scavalca i confini geopolitici e assume<br />

dimensioni planetarie.<br />

Dalla fotografia alla pittura e alla scultura, dal video alla<br />

installazione, ci accorgiamo che ai linguaggi e alle tecniche<br />

tradizionali delle arti visive si aggiungono altre modalità<br />

espressive, come quelle consentite dalle nuove tecnologie<br />

della comunicazione, in un rapporto che non è solo di<br />

convivenza nella distinzione, ma anche di osmosi, di<br />

meticciamenti, di contaminazioni reciproche. Questo<br />

processo è documentato, tra l’altro, dalle opere fotografiche<br />

delle giovani artiste italiane Barbara La Ragione, che<br />

attraverso le mostruose deformazioni dei suoi “ritratti”<br />

allude a una dolorosa diagnosi della condizione umana,<br />

e Monica Biancardi, capace di cogliere, nel flusso della<br />

quotidianità, momenti di sofferenza e di dolcissima<br />

sensualità, e di consegnarli icasticamente ai suoi<br />

fotogrammi, della americana Liz Magic Laser, con le sue<br />

figure femminili percorse dal fascino di una fluida e<br />

misteriosa energia, e della bulgara Penka Mincheva, il<br />

cui dittico ... it sometimes hurts... gioca efficacemente sul<br />

contrasto tra l’estrema nitidezza della resa iconica e<br />

l’ambiguità delle corrispondenze semantiche.<br />

Diverso invece l’utilizzo della fotografia da parte del giovane<br />

fotografo tedesco Ulf Saupe, che muta le sue figure umane<br />

in tracce metamorfiche in dinamico attraversamento di<br />

campi visivi indeterminati, e dell’americana Lindsey Nobel,<br />

impegnata a tradurre il dato fotografico in nuclei filamentosi<br />

di una inquietante materia vivente. Le immagini alla<br />

Rorschach della colombiana Sandra Bermudez, con le<br />

loro fiorite simmetrie, esplorano il mondo della sessualità<br />

femminile, in una ricerca che riesce a bilanciare il rigore<br />

della forma con l’imprevedibilità del caso.<br />

L’installazione dell’argentina Nora Iniesta utilizza<br />

l’ingrandimento di una vecchia foto di famiglia per portarci<br />

in un dimensione a mezza strada tra la precisione del<br />

referto documentario e la seduzione di una memoria<br />

dilatata del tempo. Ancora allo scorrere della dimensione<br />

temporale ci riconducono l’installazione della boliviana<br />

Raquel Schwartz, che presenta un manto realizzato con<br />

nastri recuperati da vecchie cassette audio, e quella<br />

dell’indiano Ashish Ghosh, realizzata con ventuno magliette<br />

di plastica trasparente serigrafate con motivi derivanti<br />

dalla storia e della cultura indiana.<br />

Su una linea di impegno sociale si colloca, invece, la<br />

scultura interattiva dal titolo “Swing I” dell’artista maltese<br />

Robert Francis Attard, che presenta una serie di tre<br />

altalene realizzate con fucili da guerra. Di grande impatto<br />

emotivo sono le opere dei pittori italiani Fabio Gianpietro,<br />

“Akin” di Lindsey Nobel, 2003<br />

con la sua mamma/zebra, carica di una pietas che, nella<br />

sua dichiarata inclinazione alla monumentalità, ha accenti<br />

da murales messicani, e Christian Leperino, con il<br />

lacerante, tragico espressionismo del suo bambino urlante,<br />

dal titolo “Bes/an”, del bulgaro Dimitar Grozdanov, con il<br />

ritmo oscuro della la sua plastica, drammatica sequenza<br />

di passi, del tedesco Heiko Hoffman, con una serie di<br />

quattro dipinti di figure femminili in cui la matrice<br />

espressionistica e gestuale si stempera in gradevoli<br />

pastosità cromatiche, dell’austriaco Robert Primig, che<br />

incide nella luce abbagliata del fondo frammenti figurali<br />

di forme, e dello bosniaco Keco Mensud, con il suo “Grytan<br />

silente”, dal segno grafico pieno di graffiante dinamismo.<br />

Il brasiliano José D’Apice presenta, con “Immagine e<br />

somiglianza”, un’opera che nella dolcezza di una luminosità<br />

soffusa rivela una mirabile costruzione formale. Né meno<br />

raffinata, nella prevalenza ovattata dei grigi, è il lavoro<br />

dell’inglese Emma Wood, che espone un grande collage<br />

realizzato con media diversi e disegni a china su carta.<br />

Da una personale elaborazione dell’esperienza astrattoinformale<br />

nascono l’ariosa spazialità dell’austriaco Armin<br />

Guerino, il luminoso e caldo cromatismo del connazionale<br />

Helmut Morawets, i mobili incastri di geometrie trasparenti<br />

dell’iraniano Nader Khaleghpour, la pausata danza delle<br />

forme sullo sfondo animato da cilestrine penombre<br />

dell’inglese Alan Waters, l’ordinato assetto compositivo<br />

di toppe e macchie sul timbro squillante del rosso della<br />

tedesca Renate Christin, le delicate e misteriose variazioni<br />

cromatiche su orizzonti multipli del ceco Jiri Voves.<br />

Su diverse linee di ricerca pittorica si muovono il cubano<br />

Rodolfo Llópiz Cisneros, col suo gioioso montaggio di<br />

scritte e di icone familiari, l’italiana di origini americana<br />

Natalie Silva, che declina le immagini in forme di più<br />

energica e corsiva immediatezza, l’austriaco Franz Josef<br />

Berger, che in “Per-che” costruisce per accostamenti di<br />

frammenti un’immagine inedita di Napoli, l‘israeliana Eti<br />

Haik Naor, che nel suo lavoro di forte e ricercata matericità<br />

ha utilizzato il sale come medium.<br />

Di diversa estrazione culturale l’opera pittorica del siriano<br />

<strong>Ahmad</strong> <strong>Alaa</strong> <strong>Eddin</strong>, che partendo dai segni grafici della<br />

scrittura approda a risultati di tenero lirismo, in cui la<br />

morbida partitura delle geometrie si coniuga con un<br />

tonalismo di attonita luminosità. Suggestive le opere di<br />

Aghim Muka, il cui “Puzzle” assembla, come su una<br />

scacchiera della memoria, icone che sono tracce di<br />

emozioni e pensieri, dell’artista del Benin Charly d’Almeida,<br />

che trasforma la superficie del quadro in uno schermo di<br />

apparizioni luminescenti, della norvegese Irmelin Slotefeldt,<br />

con un dipinto in cui il paesaggio si apre su aeree<br />

lontananze, dell’italiana Maria Grazia Serina, con i suoi<br />

uomini/insetti realizzati con un grafismo entomologico<br />

sensibilissimo.<br />

Di natura post-ecologica l’opera del giovane artista italiano<br />

Federico Del Vecchio, che nel nitore lineare delle sue<br />

icone fonde i temi dell’artificio tecnologico e della natura,<br />

con un effetto che s’insinua nella nostra percezione della<br />

realtà e la altera. Enigmatica la piccola, ma non per questo<br />

meno efficace, tela della scozzese Celia Washington,<br />

dove un aereo/uccello colpisce una figura mezzo animale<br />

e mezzo umano e ci riporta ai fatti dell’11 settembre.<br />

Nell’area di ricerca tra scultura e installazioni si collocano<br />

il delicato minimalismo della scultura in cristallo della<br />

portoghese Frederica Bastide Duarte, il lavoro in ferro del<br />

tedesco Christoph Manke, che nella sua compatta<br />

matericità lascia affiorare la griglia di una sagoma<br />

topologica, e quelli delle giovanissime artiste italiane Titti<br />

Sarpa, con la scultura bambola “Sitting doll” che declina<br />

con affettuosa delicatezza l’ossimoro di una ludica<br />

malinconia, e Cristina Treppo, con la fluente ariosità della<br />

sua cascata di fiori rosa.<br />

Di particolare valore ritmico le sette piccole tele astratte<br />

dal titolo “L’immage di Napoli” dell’austriaca Martina<br />

Braun, con il loro accentuato sviluppo orizzontale, e le<br />

quattro del tedesco Mayerle Manfred.<br />

Affascinante, per il calibrato equilibrio tra rigore geometrico<br />

e intensità percettiva, appare il luminoso quadro della<br />

pittrice belga Caroline De Lannoy.<br />

Particolarmente interessante il trittico dell’artista croato<br />

Bruno Paladin, che ha realizzato una vibrante<br />

composizione attraversata da una trama di venature<br />

“Untitled” di Natalie Silva, 2003<br />

d’ombra.<br />

Meritano anche grande attenzione le opere dei fumettisti<br />

italiani Alberto Ponticelli, con una “tavola” dal diramato e<br />

nervoso linearismo, e Ale Staffa, con una striscia gigante<br />

gustosamente ironica, e dello svizzero Giona Bernardi,<br />

che dipinge una sorta di reportage sociale utilizzando un<br />

linguaggio personale di forte accento realistico<br />

Ed infine l’installazione video fotografica di Antonio<br />

Manfredi, il quale in “Red vision” istituisce, tra le immagini<br />

del dittico, una rete di silenziosi rimandi, sul filo delle<br />

opposizioni e delle analogie iconiche. Il lavoro di Manfredi<br />

introduce alla sezione, notevolmente significativa per<br />

numero e qualità delle opere, dei videoartisti, che vede<br />

la presenza degli italiani Massimo Pianese e Ivan Piano<br />

con i loro video dal titolo “The bedroom” e “Red Rain”,<br />

della bosniaca Alema Hadzimejlic con il suo ciclo del<br />

giorno e notte dal titolo “Krug” e dei greci Fillippos<br />

Tsitsopoulos e Jannis Markopoulos rispettivamente con<br />

le opere dal titolo “A drop of dust again” e “Liquid and<br />

melted two”.<br />

Qualche cenno vorrei dedicare alle sculture monumentali<br />

realizzate nel 2004 in occasione del 1° Casoria International<br />

Sculture Symposium che sono andate a costituire il primo<br />

nucleo di sculture del Parco delle Sculture della città.<br />

“Curve nello spazio” dell’eclettico artista napoletano Renato<br />

Barisani, una splendida traccia di luce, una spada brillante,<br />

una forma astratta nello spazio concreto. “Rogo di luce”<br />

dello spagnolo Fernando Barredo, un totem lucente<br />

dedicato a Crapula, il dio che combatte i senza sesso.<br />

Una maschera urlante, un atto di accusa alle menzogne<br />

ideologiche nella storia dell’uomo. “Presente/futuro” dello<br />

scultore napoletano Luciano Campitelli, un viaggio nella<br />

forma pura della materia attraverso la rilettura<br />

dell’esperienza futurista del nostro secolo. “The shadow<br />

of the ring” dell’artista slovena Metka Erzar, l’ombra<br />

dell’anello; una sorta di meridiana, un segnale, un orologio<br />

naturale. Una ricerca introspettiva sull’interazione tra<br />

spazio e luce alla ricerca dei punti energetici della terra.<br />

“The animals” dell’italiano Enzo Fiore, una ricerca<br />

antropologica sulla essenzialità della materia che diventa<br />

forma viva. “Plavi obljic icretama” del croato Vladimir<br />

Gasparic, una freccia di marmo e ferro tesa verso il cielo,<br />

la ricerca dello spazio e della materia! la pietra che irradia<br />

nello spazio la sua energia. Domani, una enorme sasso<br />

di basalto del Vesuvio della scultrice tedesca Gisella<br />

Jackle, un’oscura, cupa roccia levigata. Una ricerca<br />

nell’essenza della materia. Una roccia lavica pronta ad<br />

espellere la sua energia. “Rinascita”, la scultura in ferro<br />

della giapponese Kaori Kawakami simboleggiante la<br />

rinascita della materia, un seme pronto ad iniziare il suo<br />

ciclo vitale. L’intrigante installazione di Antonio Manfredi<br />

dal titolo “Non è spiderman! ovvero prigioniero della<br />

stupidità”, un’opera concettuale sul significato dell’essere<br />

umano della quale lo stesso autore ci scrive: “Come in<br />

un incubo! prigioniero della stupidità umana, resti sospeso<br />

tra realtà e fantasia, tra passato e futuro, tra cielo e terra”.<br />

“Fly to sky”, l’imponente scultura in ferro e legno del<br />

bulgaro Kamen Simov, un’insetto che sorge dalla terra<br />

profonda pronto a librarsi nel cielo. “West and cast to<br />

combine” dello scultore cinese Suo Tan, un finto reperto<br />

archeologico, una stele coronata di fiori. Una straordinaria<br />

visione del mondo orientale attraverso il tatuaggio della<br />

materia. Ed infine quella che forse simboleggia in se tutto<br />

il progetto della Città di Casoria, The Cog - la ruota dentata,<br />

la grande scultura che tutti gli artisti presenti al Casoria<br />

International Sculture Symposium hanno voluto realizzare<br />

utilizzando una imponente ruota dentata per altoforno di<br />

archeologia industriale e che segna indubbiamente la<br />

nascita di una nuova era per la Città di Casoria.

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