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Rivista N 21 Novembre 2005 - Adaci

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OSSERVATORIO<br />

Cina e Uomo della strada<br />

Giuliano Marcenaro<br />

6<br />

Quando ancora portava i calzoni corti, l’uomo della<br />

strada sentiva ripetere da più parti: “La Cina è vicina”.<br />

Quanti, con tutta serietà, dipingevano questa novità<br />

come un’immane sciagura in arrivo, si<br />

arrabattavano anche in elaborate<br />

spiegazioni che, a quell’età, l’uomo<br />

della strada non capiva. Per lui la Cina<br />

era un lontano e misterioso Paese,<br />

che sull’atlante appariva colorato di<br />

giallo e che, confrontato ad altre<br />

Nazioni visibili sulle carte geografiche,<br />

sembrava sconfinato. Sapeva altresì –<br />

glielo avevano detto a scuola – che<br />

era abitato da tantissima gente di<br />

pelle gialla, e pensava che la tinta del<br />

Paese sull’atlante fosse stata lì<br />

trasferita direttamente dalla pelle degli<br />

abitanti, a bella posta per evidenziare<br />

ancor meglio il pericolo in agguato.<br />

Tutto qui, tranne l’incontro casuale con un cinese che<br />

vendeva collane in una fiera. A guardarlo bene non lo<br />

trovò poi così giallo come l’iconografia ufficiale dipingeva<br />

i figli del Celeste Impero, né notò quei baffi sottili e lunghi<br />

sin quasi ai piedi che certe illustrazioni mettevano in<br />

risalto. Inoltre, non riuscì a capire cosa c’entrassero le<br />

mandorle con gli occhi di quell’uomo.<br />

Da quel tempo sono trascorsi svariati decenni, durante i<br />

quali, a getto continuo, sono passati per la testa<br />

dell’uomo della strada ben altri pensieri, volti a più<br />

incombenti problemi, e – l’incosciente! – alla Cina e ai<br />

cinesi non ha proprio pensato più. Ma – scorrendo i<br />

giornali anziché rilassarsi leggendo Topolino, come la sua<br />

invidiabile ed invidiata condizione di pensionato lo<br />

autorizzerebbe a fare – scopre giorno dopo giorno che la<br />

Cina non è più soltanto alle porte, ma che addirittura<br />

l’abbiamo in casa. “Oh poffarbacco! Cosa sta<br />

succedendo?”. Invece di appallottolare il giornale<br />

(l’ultimo, quello che ha fatto traboccare il vaso) e andare<br />

a pescare, decide che è suo diritto/dovere saperne di più.<br />

D’accordo: data l’età e la striminzita spettanza di vita<br />

ancora a suo credito, che arrivino i cinesi o ricompaiano<br />

gli Unni di Attila non dovrebbe importargli più di tanto.<br />

Anzi, si potrebbero creare ghiotte occasioni per spezzare<br />

la monotonia che, stando ai si dice, sovente giunge ad<br />

assillare la vecchiaia. Però, riflettendo, conclude che se<br />

si fa parte del consorzio umano i problemi collettivi sono<br />

anche del singolo, e che – pur non potendo dare una<br />

mano a risolverli – è saggio sapere almeno come stanno<br />

le cose. Per un attimo volge il pensiero anche alle future<br />

generazioni, ma subito lo scaccia: già ci pensano in tanti,<br />

conclude; e quando i tanti che si preoccupano dello<br />

stesso problema diventano troppi è facile che si<br />

accumulino le idiozie e che le soluzioni svaporino nei<br />

meandri dell’eternità.<br />

Tanti anni di lavoro gli hanno insegnato che per risolvere<br />

un problema è necessario affrontarlo; per affrontarlo<br />

occorre capirlo; per capirlo bisogna conoscerlo.<br />

Escludendo ogni personale contributo nell’affrontarlo e<br />

nel risolverlo (ci sono in circolazione menti molto più<br />

acute della mia – pensa – le quali di sicuro hanno già in<br />

n. <strong>21</strong><br />

Approvvigionare<br />

”<br />

<strong>Novembre</strong> <strong>2005</strong><br />

Il soffio del dragone<br />

cinese infiamma<br />

il mercato globale<br />

(libero e<br />

democratico)<br />

dell’Occidente<br />

tasca decisive soluzioni), e rimettendo ogni sforzo per<br />

capirlo alle informazioni che l’acume degli esperti porrà<br />

doviziosamente a sua disposizione, tiene per sé la<br />

curiosità e si pone alacremente alla<br />

ricerca d’ogni notizia utile a<br />

conoscere quanto più<br />

dettagliatamente possibile il<br />

problema “Cina in casa nostra”.<br />

Capisce subito che l’espressione va<br />

presa in senso figurato, una sorta di<br />

metafora. Guardandosi intorno,<br />

infatti, nota numerosi cinesi soltanto<br />

in un certo quartiere della città; per il<br />

resto, qualcuno in metropolitana e<br />

tutti in apparenza intenti a farsi i fatti<br />

”<br />

loro. Considerata l’ipertrofica<br />

circolazione di carta stampata,<br />

decide di cominciare da quella per<br />

scoprire l’arcano, muovendosi con<br />

ordine e circospezione per non confondersi le idee.<br />

Partito da depliant, da articoli su autorevoli riviste, da<br />

relazioni di convegni, coglie l’impressione che la Cina sia<br />

il moderno (e anche postmoderno) paese della<br />

cuccagna. Infatti, descrivono con toni elogiativi e quasi<br />

trionfalistici la vertiginosa crescita economica di quel<br />

Paese, con affermazioni del tipo: ”la Cina rappresenta<br />

l’area economica del mondo a più elevato sviluppo e con<br />

maggiori potenzialità di crescita per il futuro”, oppure: “i<br />

rapporti commerciali italiani con questo Paese sono<br />

rilevanti e sempre più strategici”. E giù con cifre, dati,<br />

elucubrazioni, previsioni, da far seriamente credere<br />

all’uomo della strada che tutto quel che si racconta del<br />

pericolo giallo sia messo in giro dai soliti disfattisti, dagli<br />

immancabili cattivoni che se la spassano a creare<br />

ambasce al prossimo. Ma deve ben presto ricredersi,<br />

perché, a ruota, inciampa in notizie meno allegre che<br />

tracciano un quadro tendente al tragico: decine di<br />

piccole e medie imprese italiane – tessili, meccaniche,<br />

calzaturiere – hanno visto crollare i loro fatturati o hanno<br />

dovuto chiudere bottega a causa della concorrenza, a dir<br />

poco spregiudicata, dei cinesi, al punto che s’ipotizza lo<br />

stravolgimento della struttura industriale italiana; nel solo<br />

settore calzaturiero – per non parlare di quello tessile –<br />

l’Italia potrebbe perdere 50 posti di lavoro al giorno, a<br />

causa della riduzione delle esportazioni; il volume delle<br />

esportazioni cinesi verso l’UE e l’Italia cresce<br />

annualmente con percentuali da capogiro, senza contare<br />

il danno subìto a causa della contraffazione. Sì, perché i<br />

cinesi copiano tutto, clonano tutto, al punto che<br />

nemmeno l’occhio esperto del creatore del prodotto<br />

autentico riesce a distinguere il vero dal falso. Copiano<br />

persino le griffe e i sigilli di garanzia e sono arrivati<br />

addirittura a clonare intere fabbriche. Inoltre, grazie alla<br />

possibilità di accedere ad un credito a basso costo, le<br />

società cinesi si stanno lanciando all’assalto delle rivali<br />

occidentali, statunitensi in particolare (per ora), e<br />

potrebbero allungare le mani anche su quelle italiane.<br />

Saremo invasi in pochi anni dalle auto cinesi, che<br />

verranno vendute a prezzi insostenibili per le case<br />

automobilistiche occidentali (ci si può in parte

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