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OSSERVATORIO<br />
Cina e Uomo della strada<br />
Giuliano Marcenaro<br />
6<br />
Quando ancora portava i calzoni corti, l’uomo della<br />
strada sentiva ripetere da più parti: “La Cina è vicina”.<br />
Quanti, con tutta serietà, dipingevano questa novità<br />
come un’immane sciagura in arrivo, si<br />
arrabattavano anche in elaborate<br />
spiegazioni che, a quell’età, l’uomo<br />
della strada non capiva. Per lui la Cina<br />
era un lontano e misterioso Paese,<br />
che sull’atlante appariva colorato di<br />
giallo e che, confrontato ad altre<br />
Nazioni visibili sulle carte geografiche,<br />
sembrava sconfinato. Sapeva altresì –<br />
glielo avevano detto a scuola – che<br />
era abitato da tantissima gente di<br />
pelle gialla, e pensava che la tinta del<br />
Paese sull’atlante fosse stata lì<br />
trasferita direttamente dalla pelle degli<br />
abitanti, a bella posta per evidenziare<br />
ancor meglio il pericolo in agguato.<br />
Tutto qui, tranne l’incontro casuale con un cinese che<br />
vendeva collane in una fiera. A guardarlo bene non lo<br />
trovò poi così giallo come l’iconografia ufficiale dipingeva<br />
i figli del Celeste Impero, né notò quei baffi sottili e lunghi<br />
sin quasi ai piedi che certe illustrazioni mettevano in<br />
risalto. Inoltre, non riuscì a capire cosa c’entrassero le<br />
mandorle con gli occhi di quell’uomo.<br />
Da quel tempo sono trascorsi svariati decenni, durante i<br />
quali, a getto continuo, sono passati per la testa<br />
dell’uomo della strada ben altri pensieri, volti a più<br />
incombenti problemi, e – l’incosciente! – alla Cina e ai<br />
cinesi non ha proprio pensato più. Ma – scorrendo i<br />
giornali anziché rilassarsi leggendo Topolino, come la sua<br />
invidiabile ed invidiata condizione di pensionato lo<br />
autorizzerebbe a fare – scopre giorno dopo giorno che la<br />
Cina non è più soltanto alle porte, ma che addirittura<br />
l’abbiamo in casa. “Oh poffarbacco! Cosa sta<br />
succedendo?”. Invece di appallottolare il giornale<br />
(l’ultimo, quello che ha fatto traboccare il vaso) e andare<br />
a pescare, decide che è suo diritto/dovere saperne di più.<br />
D’accordo: data l’età e la striminzita spettanza di vita<br />
ancora a suo credito, che arrivino i cinesi o ricompaiano<br />
gli Unni di Attila non dovrebbe importargli più di tanto.<br />
Anzi, si potrebbero creare ghiotte occasioni per spezzare<br />
la monotonia che, stando ai si dice, sovente giunge ad<br />
assillare la vecchiaia. Però, riflettendo, conclude che se<br />
si fa parte del consorzio umano i problemi collettivi sono<br />
anche del singolo, e che – pur non potendo dare una<br />
mano a risolverli – è saggio sapere almeno come stanno<br />
le cose. Per un attimo volge il pensiero anche alle future<br />
generazioni, ma subito lo scaccia: già ci pensano in tanti,<br />
conclude; e quando i tanti che si preoccupano dello<br />
stesso problema diventano troppi è facile che si<br />
accumulino le idiozie e che le soluzioni svaporino nei<br />
meandri dell’eternità.<br />
Tanti anni di lavoro gli hanno insegnato che per risolvere<br />
un problema è necessario affrontarlo; per affrontarlo<br />
occorre capirlo; per capirlo bisogna conoscerlo.<br />
Escludendo ogni personale contributo nell’affrontarlo e<br />
nel risolverlo (ci sono in circolazione menti molto più<br />
acute della mia – pensa – le quali di sicuro hanno già in<br />
n. <strong>21</strong><br />
Approvvigionare<br />
”<br />
<strong>Novembre</strong> <strong>2005</strong><br />
Il soffio del dragone<br />
cinese infiamma<br />
il mercato globale<br />
(libero e<br />
democratico)<br />
dell’Occidente<br />
tasca decisive soluzioni), e rimettendo ogni sforzo per<br />
capirlo alle informazioni che l’acume degli esperti porrà<br />
doviziosamente a sua disposizione, tiene per sé la<br />
curiosità e si pone alacremente alla<br />
ricerca d’ogni notizia utile a<br />
conoscere quanto più<br />
dettagliatamente possibile il<br />
problema “Cina in casa nostra”.<br />
Capisce subito che l’espressione va<br />
presa in senso figurato, una sorta di<br />
metafora. Guardandosi intorno,<br />
infatti, nota numerosi cinesi soltanto<br />
in un certo quartiere della città; per il<br />
resto, qualcuno in metropolitana e<br />
tutti in apparenza intenti a farsi i fatti<br />
”<br />
loro. Considerata l’ipertrofica<br />
circolazione di carta stampata,<br />
decide di cominciare da quella per<br />
scoprire l’arcano, muovendosi con<br />
ordine e circospezione per non confondersi le idee.<br />
Partito da depliant, da articoli su autorevoli riviste, da<br />
relazioni di convegni, coglie l’impressione che la Cina sia<br />
il moderno (e anche postmoderno) paese della<br />
cuccagna. Infatti, descrivono con toni elogiativi e quasi<br />
trionfalistici la vertiginosa crescita economica di quel<br />
Paese, con affermazioni del tipo: ”la Cina rappresenta<br />
l’area economica del mondo a più elevato sviluppo e con<br />
maggiori potenzialità di crescita per il futuro”, oppure: “i<br />
rapporti commerciali italiani con questo Paese sono<br />
rilevanti e sempre più strategici”. E giù con cifre, dati,<br />
elucubrazioni, previsioni, da far seriamente credere<br />
all’uomo della strada che tutto quel che si racconta del<br />
pericolo giallo sia messo in giro dai soliti disfattisti, dagli<br />
immancabili cattivoni che se la spassano a creare<br />
ambasce al prossimo. Ma deve ben presto ricredersi,<br />
perché, a ruota, inciampa in notizie meno allegre che<br />
tracciano un quadro tendente al tragico: decine di<br />
piccole e medie imprese italiane – tessili, meccaniche,<br />
calzaturiere – hanno visto crollare i loro fatturati o hanno<br />
dovuto chiudere bottega a causa della concorrenza, a dir<br />
poco spregiudicata, dei cinesi, al punto che s’ipotizza lo<br />
stravolgimento della struttura industriale italiana; nel solo<br />
settore calzaturiero – per non parlare di quello tessile –<br />
l’Italia potrebbe perdere 50 posti di lavoro al giorno, a<br />
causa della riduzione delle esportazioni; il volume delle<br />
esportazioni cinesi verso l’UE e l’Italia cresce<br />
annualmente con percentuali da capogiro, senza contare<br />
il danno subìto a causa della contraffazione. Sì, perché i<br />
cinesi copiano tutto, clonano tutto, al punto che<br />
nemmeno l’occhio esperto del creatore del prodotto<br />
autentico riesce a distinguere il vero dal falso. Copiano<br />
persino le griffe e i sigilli di garanzia e sono arrivati<br />
addirittura a clonare intere fabbriche. Inoltre, grazie alla<br />
possibilità di accedere ad un credito a basso costo, le<br />
società cinesi si stanno lanciando all’assalto delle rivali<br />
occidentali, statunitensi in particolare (per ora), e<br />
potrebbero allungare le mani anche su quelle italiane.<br />
Saremo invasi in pochi anni dalle auto cinesi, che<br />
verranno vendute a prezzi insostenibili per le case<br />
automobilistiche occidentali (ci si può in parte