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classificazione dei coloranti naturali impiegati ... - ezio martuscelli

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CAPITOLO SECONDO<br />

CLASSIFICAZIONE DEI COLORANTI NATURALI<br />

IMPIEGATI NELLA TINTURA DELLA LANA E<br />

RELATIVO RUOLO DEI MORDENTI.<br />

A) Classificazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> in base alla tipologia del<br />

processo tintorio<br />

I principali <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>, identificati su tessuti di importanza storico-culturale,<br />

possono essere raggruppati, sulla base del loro metodo di<br />

applicazione, in tre gruppi: <strong>coloranti</strong> diretti o sostantivi; <strong>coloranti</strong> a<br />

mordente; <strong>coloranti</strong> al tino.<br />

A 1 ) Coloranti diretti o sostantivi<br />

Appartengono a questa categoria quei <strong>coloranti</strong> che, per la loro particolare<br />

struttura molecolare, hanno la capacità di legarsi stabilmente alle<br />

fibre, e quindi possono essere <strong>impiegati</strong> nei processi di tintura, direttamente,<br />

senza l’ausilio di sostanze fissanti. Fanno parte di questo gruppo<br />

i <strong>coloranti</strong> che si estraevano dallo zafferano e dalla curcuma (i cui principi<br />

<strong>coloranti</strong> venivano usati per tingere di giallo) e dal legno-brasile,<br />

capace di conferire alla lana un colore rosso-mattone.<br />

Un colorante diretto si lega alle fibre di lana attraverso un forte legame<br />

primario, generalmente, di tipo ionico, basato sull’attrazione elettrostatica<br />

tra cariche elettriche di segno opposto presenti nelle molecole costituenti<br />

le fibre e il colorante stesso.<br />

Un esempio di tintura diretta della lana è quello che vede come colorante<br />

l’acido picrico il quale, essendo un acido forte, interagisce con i<br />

gruppi basici presenti lungo la catena proteica delle fibre di lana dando<br />

luogo alla formazione di un forte “salt linkage”. La struttura chimica che<br />

si viene a realizzare è illustrata nella figura 1 [1].<br />

«Le fibre proteiche, quali la lana e la seta, a causa della loro struttura polipeptidica,<br />

possono trattenere molecole di <strong>coloranti</strong> anche mediante legami<br />

ad idrogeno, così come viene esemplificato nella figura 2 dove è mostrata la<br />

struttura che si determina tra un colorante diretto (l’alizarina) contenente<br />

167


gruppi ossidrilici (-OH) nella molecola e il<br />

presente lungo la catena del nylon-6» [2].<br />

C=O<br />

del gruppo peptidico<br />

Fig. 1: Il tipo di legame ionico (salino) che viene a formarsi tra un colorante diretto, l’acido picrico,<br />

e le fibre di natura proteica di lana oppure di seta [Rif. 1].<br />

Il processo tintorio, basato sull’impiego di <strong>coloranti</strong> diretti o sostantivi,<br />

può essere così schematizzato:<br />

FIBRA BIANCA + SOLUZIONE ACQUOSA DI COLORANTE DIRETTO<br />

FIBRA TINTA<br />

La caratteristica principale mostrata dai <strong>coloranti</strong> sostantivi, la resistenza<br />

ai cicli di lavaggio, fortemente influenzata dalla loro costituzione chimica,<br />

può essere aumentata spostando l’equilibrio della reazione il più<br />

possibile verso destra.<br />

Dal punto di vista chimico i <strong>coloranti</strong> diretti possono afferire a due<br />

grandi famiglie:<br />

a) <strong>coloranti</strong> azoici, caratterizzati dalla presenza nella loro molecola di<br />

uno o più gruppi “azo”, N=N ;<br />

b) <strong>coloranti</strong> tiazoici, nelle cui molecole è presente l’anello tiazolico la<br />

cui struttura è qui di seguito rappresentata:<br />

S<br />

CH<br />

(ANELLO TIAZOLICO)<br />

N<br />

168


Fig. 2: Coloranti diretti: La<br />

molecola del colorante alizarina<br />

può legarsi a fibre di<br />

natura polipeptidica (lana,<br />

seta, poliammidiche) formando<br />

legami a idrogeno [Rif.2].<br />

I <strong>coloranti</strong> diretti sono generalmente solubili in acqua; la loro solubilità<br />

cresce con l’aumentare del numero di gruppi solfonici nella molecola e<br />

con la temperatura, al contrario essa diminuisce con il peso molecolare.<br />

La tintura della lana con <strong>coloranti</strong> diretti viene effettuata (anche oggi)<br />

preparando un bagno contenente una soluzione debolmente acida. Una<br />

prima fase del processo si realizza in un bagno la cui temperatura è intorno<br />

ai 50-60°C, quindi la tintura viene portata a completamento ad una<br />

temperatura di circa 100°C.<br />

Al fine di raggiungere l’esaurimento del colorante la soluzione è progressivamente<br />

acidificata addizionando dell’acido acetico.<br />

Le tinte ottenute mediante l’impiego di <strong>coloranti</strong> diretti, nel caso della<br />

lana, risultano essere dotate di una buona solidità.<br />

A 2 ) Coloranti al mordente o aggettivi<br />

I <strong>coloranti</strong> aggettivi non hanno la capacità di penetrare all’interno della<br />

fibra e di fissarsi in maniera stabile ad essa. Pertanto si ricorre all’ausilio di<br />

sostanze, denominate “Mordenti” (il termine deriva dal latino “mordere”),<br />

generalmente un sale metallico, che disciolto in acqua viene absorbito dalle<br />

fibre di lana restando permanentemente e profondamente legato alle stesse<br />

mediante legami chimici molto forti. Il colorante a sua volta durante la fase<br />

di tintura penetra nella fibra legandosi chimicamente al sale metallico ancorato<br />

alle macromolecole (proteine) costituenti le fibre di lana.<br />

«The direct affinity of this type of dye (<strong>coloranti</strong> aggettivi, n.d.A.) to the fibers is<br />

very low; thus a stabilizing agent that has previously impregnated the fibers and has<br />

bonded to them can also chemically attach itself to the dye. The mordants typically<br />

used in antiquity were inorganic salts of aluminum (“alum”), iron, and tin. These<br />

will form insoluble “lakes” with the dyes: organic substances called tannins, obtai-<br />

169


nable from sumac leaves or oak gall “nuts” have also served as mordanting agents.<br />

Various metal mordants used with the same dye can brighten or darken the<br />

resultant colors» [3].<br />

a)<br />

b)<br />

Fig. 3: a) La struttura chimica<br />

dell’alizarina.<br />

b) La struttura chimica della<br />

“lacca” che l’alizarina è capace<br />

di formare legando ioni<br />

alluminio e calcio [Rif. 5].<br />

Afferiscono al gruppo di <strong>coloranti</strong> al mordente la robbia, la cocciniglia,<br />

il legno di campeggio, alcuni gialli e molti altri.<br />

R.J. Forbes in relazione ai mordenti ha scritto:<br />

«At a very early stage of textile history the dyer must have discovered the<br />

action of mordants … An interesting passage in Pliny reveals to us that the<br />

Egyptians certainly knew how to handle mordants and how to pretreat their<br />

material before dyeing:<br />

“In Egypt they also colour cloth by an exceptionally remarkable kind of process.<br />

They first thoroughly rub white fabrics and then smear them not with<br />

colours but with chemicals that absorb colours. When this has been done, the<br />

fabrics show no sign of the treatment, but after being plunged into a cauldron<br />

of boiling dye they are drawn out a moment later dyed. And the remarkable<br />

170


thing is that although the cauldron contains only one colour, it produces a<br />

series of different colours in the fabrics the hue changing with the quality of<br />

chemicals employed, and it cannot afterwards be washed out. Thus the cauldron<br />

which, if dyed fabrics were put into it, would undoubtedly blend the<br />

colours together, produces several colours out of one, and dyes the material<br />

in the process of being boiled and the dress fabrics when submitted to heat<br />

become stronger for wear than they would be if not so heated» [4].<br />

Un mordente è pertanto una sostanza la quale facilita il fissaggio di un<br />

colorante a una fibra, permettendo la produzione di una tintura più<br />

profonda e permanente. Alcuni mordenti agiscono direttamente sulla<br />

fibra rendendola più sensibile al colorante. In questo caso i tessuti o i filati<br />

sono mordenzati prima del processo di tintura.<br />

Altri esplicano la loro funzione attraverso la formazione di complessi<br />

insolubili con il colorante (lacche). E’ questo complesso che agisce da<br />

agente colorante. Pertanto il processo di tintura prevede, in questo caso, che<br />

le fibre siano esposte all’azione concomitante del mordente e del colorante.<br />

A titolo esemplificativo nella figura 3 viene mostrata la lacca calcioalluminio-alizarina<br />

(il colorante principale della Rubia tinctorium) [5]. La<br />

struttura è caratterizzata dal fatto che le molecole di alizarina sono capaci<br />

di chelare ioni alluminio formando anelli a sei legami. Le dimensioni e la<br />

conformazione di queste lacche rende conto della loro particolare insolubilità<br />

e resistenza alla estrazione da parte di acqua e solventi organici [6].<br />

Tabella 1<br />

Nella tabella viene evidenziata l’influenza della natura chimica<br />

del mordente sul colore conferito alle fibre nel caso della tintura<br />

alla robbia, uno <strong>dei</strong> più usati <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> vegetali rossi.<br />

Mordente<br />

Allume<br />

Sali di stagno<br />

Sali di Cromo<br />

Sali di Rame<br />

Sali di Ferro<br />

Colore<br />

Rosso Ruggine<br />

Arancione<br />

Marrone<br />

Giallo-Bruno<br />

Bruno-Castano Bruno<br />

171


I mordenti venivano <strong>impiegati</strong> non solo per aumentare l’affinità tra le<br />

molecole di colorante e la fibra, ma anche per modificare il colore impartito<br />

dal colorante. Ad esempio nel caso della robbia (vedasi tabella 1) era possibile<br />

ottenere a seconda del mordente tonalità molto diverse tra loro [7].<br />

Qui di seguito sono descritte le caratteristiche delle principali sostanze<br />

mordenti impiegate nei processi tintori della lana che utilizzavano <strong>coloranti</strong><br />

<strong>naturali</strong>. In alcuni casi sono anche riportate le ricette raccomandate<br />

da illustri maestri tintori. I mordenti sono etichettati sulla base del metallo<br />

contenuto nella loro molecola.<br />

Mordenti al ferro<br />

Impiegati in tinture molto scure (nero, oliva, argento). Il ferro contenuto<br />

in questi mordenti tende a degradare fisicamente e a infragilire le fibre<br />

di lana pertanto era essenziale che si provvedesse ad una completa<br />

risciacquatura delle matasse o <strong>dei</strong> tessuti dopo il processo di tintura.<br />

Le sostanze che appartengono a questo gruppo sono:<br />

- Solfato ferroso idrato (Fe SO 4·7 H 2 O) comunemente denominato<br />

“Copparosa Verde” oppure “Vetriolo Verde”<br />

- Acetato ferroso (Fe (C 2 H 3 O 2 ) 2 )<br />

- Cloruro ferroso (Fe Cl 2 )<br />

- Nitrato ferroso (Fe (NO 3 ) 2 )<br />

- Solfato ferrico (Fe 2 (SO 2 ) 3 )<br />

- Ossido ferroso (FeO)<br />

- Ruggine, una miscela di ossidi di ferro [8].<br />

Un tipico processo di tintura della lana con mordenti al ferro, descritto<br />

nel riferimento [9], prevede le seguenti fasi:<br />

i) fare bollire lentamente una libbra (0,4536 Kg) di lana nel<br />

bagno di tintura per 30 minuti;<br />

ii) rimuovere la lana e aggiungere mezza oncia (14 g) di mordente<br />

al ferro e una oncia (28 g) di cremore di tartaro quale<br />

sostanza “assistente”;<br />

iii) disciogliere completamente il mordente e il cremore di tartaro<br />

e quindi rimettere la lana nel bagno;<br />

172


iv) risciacquare bene, ridurre lentamente la temperatura del<br />

bagno e quindi rimuovere la lana [9].<br />

Mordenti al cromo<br />

I mordenti al cromo furono <strong>impiegati</strong> nei processi tintori a partire dal 1797.<br />

Essi contribuivano a rendere i colori gialli e verdi più brillanti. In alcune<br />

ricette venivano usati sali di cromo insieme a quelli di piombo per ottenere<br />

un giallo molto più brillante. La presenza di sali di piombo rendeva il bagno<br />

e l’ambiente di lavoro altamente nocivo alla salute degli operatori.<br />

La sostanza usata quale mordente è il dicromato di potassio, K 2 Cr 2 O 7 .<br />

Il cromo è molto sensibile alla luce pertanto il processo di tintura andava<br />

effettuato in assenza di luce diretta. E’ per questa ragione che le fibre<br />

di lana venivano tinte immediatamente dopo essere state trattate con il<br />

mordente al cromo e questo per ridurre al minimo l’azione della luce che<br />

avrebbe potuto causare una disomogenea distribuzione del colore.<br />

La procedura di tintura, descritta nel riferimento [9], consiste nel trattare<br />

una libbra di lana con mezza oncia di mordente al cromo, tre quarti<br />

di oncia di cremore di tartaro in quattro galloni (un gallone=4,546 litri)<br />

di acqua molle (anticamente veniva utilizzata l’acqua piovana).<br />

In via preliminare il mordente e il cremore di tartaro sono disciolti<br />

mediante vigorosa agitazione in un quarto di gallone di acqua precedentemente<br />

portata all’ebollizione.<br />

La rimanente parte dell’acqua è riscaldata lentamente e a questa si<br />

aggiunge la soluzione contenente il mordente e il cremore di tartaro.<br />

Quando l’acqua diventa calda si immerge la lana e il bagno viene porta-<br />

Fig. 4: Struttura chimica del complesso (lacca insolubile) tra l’alizarina e ioni cromo trivalenti<br />

(Cr +++ ) [Rif.2].<br />

173


to lentamente all’ebollizione. A questo punto si riduce l’erogazione di energia<br />

portando il bagno ad una temperatura molto vicina a quella di ebollizione<br />

e lasciando la lana in infusione per un periodo che va da tre quarti di<br />

ora fino ad una ora e mezza, a seconda della natura e della grossolanità delle<br />

fibre. Ogni quindici minuti la lana è mossa delicatamente nel bagno, usando<br />

un bastone di legno. Successivamente il bagno viene fatto raffreddare<br />

fino a temperatura ambiente, la lana è rimossa, strizzata delicatamente per<br />

allontanare l’eccesso di liquido e quindi immersa nel bagno di tintura [9].<br />

Dalla struttura molecolare del complesso, alizarina-sale cromico (riportata<br />

nella figura 4), si evince la capacità dello ione cromico (Cr +++ ) a coordinare tre<br />

molecole di colorante dando luogo alla formazione di una lacca insolubile [2].<br />

Il processo di tintura di fibre di cotone mordenzate con sali di cromo e<br />

basate sull’impiego dell’alizarina porta ad una struttura complessa che vede<br />

il coordinamento al cromo di un sola molecola di colorante e di due ossidrili<br />

(- OH) presenti lungo la macromolecola della cellulosa (figura 5) [1].<br />

Mordenti allo stagno<br />

L’impiego <strong>dei</strong> mordenti allo stagno è documentato per la prima volta<br />

nel 1630 dal Dutch Chemist Drebbel nel caso di processi tintori della lana<br />

a base di cocciniglia. Questi mordenti avevano la proprietà di rendere più<br />

brillanti i colori rosso, arancio e giallo. Le sostanze usate erano il cloruro<br />

stannico (SnCl 4 ) e il cloruro stannoso (SnCl 2 ) [7].<br />

I mordenti allo stagno richiedevano sempre l’ausilio del cremore di tartaro;<br />

di norma per 453,6 g di lana si utilizzavano 14 g di mordente e 14 g<br />

di cremore di tartaro.<br />

Fig. 5: Struttura del complesso<br />

chelato che si viene<br />

a formare tra l’alizarina e<br />

un mordente al cromo nel<br />

caso di tintura delle fibre<br />

di cotone [Rif.1].<br />

174


Mordenti al rame<br />

Venivano <strong>impiegati</strong> nelle tinture che conferiscono alla lana un colore giallo,<br />

blu, verde e arancio. Le sostanze usate erano: l’acetato di rame<br />

(CuO·2Cu(C 2 H 3 O 2 ) 2 ), chiamato “verderame”, e il solfato di rame (Cu<br />

SO 4·5H 2 O) comunemente noto come “vetriolo di rame” o “copparosa blu”.<br />

Nella tintura della lana generalmente si impiegavano 28 g di vetriolo<br />

blu per 453,6 g di lana [7, 8].<br />

Allumi<br />

L’allume è noto per le sue caratteristiche fin dall’antichità; ne scrive<br />

Plinio (23-79 d.C.) nella sua grande “Storia Naturale”.<br />

Gli allumi di più comune impiego quali agenti mordenti nei processi<br />

tintori della lana appartenevano alle seguenti classi di prodotti chimici:<br />

- acetato di alluminio (Al(C 2 H 3 O 3 ) 3 ), noto come “allume acido” (il suo<br />

impiego nel tessile ebbe inizio intorno al 1750-1790); si ricavava trattando<br />

la bauxite (ossido idrato di alluminio (Al 2 O 3·2H 2 O) contenente<br />

anche ossido di ferro (fino al 58%) mentre il contenuto di ossido di<br />

alluminio varia dal 9 al 78%) con acido acetico;<br />

- solfato idrato di potassio e alluminio (K 2 (SO 4 )Al 2 (SO 4 ) 3·24H 2 O),<br />

chiamato “allume” o “allume di potassio” (si otteneva trattando la<br />

bauxite con idrossido di potassio);<br />

- solfato idrato di alluminio e ammonio (Al 2 (SO 4 ) 3·(NH 4 ) 2 SO 4·24H 2 O),<br />

denominato “allume di giardino”, veniva prodotto sottoponendo la<br />

bauxite all’azione dell’acido solforico; si trova nelle miniere di sale<br />

ed è contenuto in molti licheni [7].<br />

L’allume di potassio è di gran lunga la sostanza che fin dall’antichità ha<br />

trovato maggiore impiego come mordente nella tintura della lana e di<br />

altre fibre <strong>naturali</strong>.<br />

In generale nei processi tintori si impiegavano per ogni libbra di lana,<br />

quattro oncie di allume e un’oncia di cremore di tartaro in quattro galloni<br />

di acqua molle. La prima fase consisteva nello sciogliere l’allume e il<br />

cremore di tartaro in circa un quarto di gallone di acqua molto calda. I<br />

rimanenti tre quarti di galloni di acqua venivano riscaldati e ad essi si<br />

aggiungeva la soluzione contenente il mordente e il cremore di tartaro. Di<br />

norma la lana era direttamente immersa in un bagno tiepido contenente il<br />

mordente, quindi la temperatura veniva, lentamente, portata vicino a<br />

quella di ebollizione.<br />

175


La somministrazione di calore era interrotta e il tutto veniva fatto riposare<br />

per circa un’ora ad una temperatura di poco al disotto <strong>dei</strong> 100°C.<br />

Successivamente, raffreddato il bagno a temperatura ambiente, la lana era<br />

rimossa, strizzata con delicatezza e pressata tra due teli per eliminare la<br />

soluzione in eccesso. Le fibre così mordenzate erano poste in un luogo<br />

ombreggiato, ad asciugare. A questo punto la lana era pronta per essere<br />

sottoposta a tintura [10].<br />

Acido Tannico<br />

Comunemente denominato Tannino è una miscela di galloil-glucosi<br />

costituita da molecole di glucosio i cui cinque ossidrili sono esterificati<br />

da molecole di acido gallico, m-digallico e trigallico. Pertanto l’acido<br />

tannico è un derivato glucosidico polimerico dell’acido gallico contenente<br />

un certo numero di gruppi acidi. La struttura chimica dell’acido gallico,<br />

noto anche come acido della noce di galla, è qui di seguito riportata:<br />

COOH<br />

HO<br />

OH<br />

OH<br />

Il tannino è presente in molti vegetali dai quali veniva estratto.<br />

Particolarmente ricche di tannino sono: i gusci di varie specie di noce<br />

(Cinesi, di Aleppo); la corteccia della “Hamamelis virginica”, di quercia e di<br />

china; il legno di castagno; le foglie di sommacco; i raspi e le bucce dell’uva.<br />

L’acido tannico è presente anche nelle galle, escrescenze che si sviluppano<br />

principalmente sulle foglie e sui rami delle querce per effetto della puntura<br />

di una vespa (vespa delle galle), che stimola le cellule delle piante ad<br />

una crescita abnorme. La struttura risultante (detta anche mela della quercia)<br />

diviene il nido dell’insetto aggressore. L’attività nutrizionale della larva che<br />

cresce all’interno della galla comporta il rilascio di sostanze chimiche che<br />

provoca un elevato contenuto di tannino nelle cellule dell’escrescenza.<br />

«Per l’estrazione del tannino, fino alla fine della seconda guerra mondiale,<br />

veniva seguito un metodo, messo a punto da Pelouze nel 1834, “che consisteva<br />

nel trattare le galle fresche con etere o con una miscela di etere e<br />

alcool. Si formano due strati: il superiore è costituito da una soluzione eterea<br />

di acido gallico, cera e sostanze resinose, l’inferiore da una soluzione<br />

176


concentrata di acido gallo tannico. L’estrazione per mezzo di acqua, etere o<br />

alcool, veniva effettuata industrialmente in batterie di rame comunicanti tra<br />

loro in modo che il liquido, passando dall’una all’altra si arricchisce in<br />

estratto … Il tannino del commercio è una polvere amorfa bianco giallastra<br />

molto solubile in acqua e alcool, praticamente insolubile in cloroformio …<br />

Per idrolisi con acidi minerali diluiti si forma acido gallico, unitamente a piccole<br />

quantità di glucosio…» [11].<br />

L’acido tannico veniva usato come sostanza mordente nelle pratiche<br />

tintorie tendenti a produrre lana colorata in marrone-bruno (per una libbra<br />

di lana veniva impiegata una oncia di tannino). In generale si osservava<br />

che la lana trattata con acido tannico prima della tintura tendeva ad<br />

imbrunire nel tempo [8].<br />

Per una corretta ed accurata mordenzatura della lana andavano eseguite<br />

delle operazioni preliminari, alcune delle quali sono qui di seguito descritte.<br />

i) Accurato lavaggio delle fibre, al fine di allontanare sostanze<br />

contaminanti (grassi, sapone e prodotti minerali), usando<br />

acqua a pH neutro, evitando acque dure, poiché i sali minerali<br />

in essa disciolti avrebbero potuto interferire negativamente.<br />

ii) Saturazione delle fibre in acqua pura, prima di immergerle nel<br />

bagno di mordenzatura, al fine di evitare una espansione non<br />

omogenea delle stesse con l’aumentare della temperatura e<br />

quindi un non omogeneo assorbimento del mordente.<br />

iii) Dissoluzione del mordente in una piccola quantità di acqua calda;<br />

successivamente, alla soluzione così ottenuta, veniva aggiunta<br />

acqua fredda e le fibre umide erano introdotte nel bagno.<br />

iv) Riscaldamento lento del bagno; di norma esso veniva portato<br />

ad una temperatura di poco al di sotto dell’ebollizione in un’ora.<br />

Questa procedura permetteva al mordente di penetrare le<br />

“scaglie” o “squame” idrofobiche che costituiscono le pareti<br />

esterne delle fibre di lana (vedasi volume primo della presente<br />

collana sulla struttura e morfologia delle fibre di lana).<br />

Inoltre l’aumento lento della temperatura provocava l’espulsione<br />

dell’aria contenuta nelle fibre o presente sulla loro<br />

superficie a cui si accompagnava un processo di “softening”<br />

che facilitava la penetrazione del mordente all’interno delle<br />

stesse. Di norma il bagno era mantenuto ad una temperatura di<br />

poco al di sotto della temperatura di ebollizione per almeno<br />

1/2 ora affinché l’insieme <strong>dei</strong> processi sopra menzionati<br />

177


potessero essere portati a completezza.<br />

v) Rimozione delle fibre dal bagno quando la sua temperatura<br />

era stata portata lentamente vicino a quella dell’ambiente.<br />

Questa operazione veniva effettuata al fine di evitare danni<br />

alle fibre di lana che si trovavano in uno stato rigonfiato. Le<br />

fibre mordenzate, così rimosse dal bagno e delicatamente<br />

strizzate, potevano essere usate per il successivo processo di<br />

tintura, immediatamente, oppure essiccate e conservate [12].<br />

A 3 ) Coloranti al tino<br />

Questo nome deriva dai tini di legno che venivano usati anticamente per<br />

effettuare la tintura con questo tipo di colorante. Appartenevano a questo<br />

gruppo importanti <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> di origine vegetale ed animale quali<br />

l’indaco e la porpora reale.<br />

I <strong>coloranti</strong> al tino sono insolubili in acqua. A seguito di un processo di<br />

riduzione in ambiente alcalino (ad esempio utilizzando idrosolfito di<br />

sodio o altri energici riducenti) essi si trasformano nel loro “leuco derivato”<br />

che è solubile e capace di fissarsi alle fibre.<br />

Le molecole <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> al tino contengono, in generale, gruppi chinonici<br />

o carbonilici ( C=O) i quali durante il processo di riduzione sono<br />

trasformati in gruppi enolici ( C – OH) e quindi nei corrispondenti sali<br />

sodici ( C – ONa), solubili in acqua.<br />

I <strong>coloranti</strong> al tino e le corrispondenti operazioni di tintura sono così<br />

descritti nel riferimento [1]:<br />

«Vat dyes can be used for all fibers, both natural and synthetic. Most vat dyes<br />

are soluble (and colorless) in water in their reduced form, but become insoluble<br />

and colored when oxidized. They are introduced to the fabric in their<br />

soluble form and then oxidized or “developed” to precipitate them both on<br />

the inside and outside of the fabric fibers. The vat dye indigo (a quinonoid<br />

dye) is used to dye blue jeans. It is very insoluble in all solvents, and thus is<br />

fast. However, since it is not covalently bound to the fabric and only adheres<br />

to the surface of the fiber (di natura cellulosica: cotone; n.d.A.), it is<br />

subject to removal by abrasion. This explains why the knees and other parts<br />

of blue jeans subject to wear will gradually turn white. It also accounts for<br />

the appearance of the currently popular “stone-washed” jeans».<br />

Un processo tintorio, basato sull’utilizzo di <strong>coloranti</strong> al tino, prevede<br />

quindi l’impregnazione delle fibre con la soluzione acquosa del leuco-<br />

178


Fig. 6: Raffigurazione schematica<br />

del chimismo di un processo<br />

al tino basato sull’impiego<br />

dell’indigotina quale colorante<br />

[Rif. 1].<br />

derivato e successiva loro esposizione all’aria, per permettere l’ossidazione<br />

del leuco-derivato a colorante.<br />

Nel caso della tintura della lana, di norma, venivano <strong>impiegati</strong> <strong>coloranti</strong><br />

al tino che non richiedevano un bagno troppo alcalino.<br />

Zvi C. Koren, nel suo già citato lavoro così descrive una antica procedura<br />

basata sull’utilizzo di una delle più importanti materie <strong>coloranti</strong> al<br />

tino, l’indigotina:<br />

«The indigotin dyeing process is performed over a period of time by fermenting<br />

the leaves in water containing an alkaline substance, Fermentation<br />

is brought about by the micro-organism present in the leaves of the indigotin-producing<br />

plant, and also in the urine which is usually added to the vat.<br />

Fermentation in a basic medium reduces the precursor to indigotin (leucoindaco;<br />

n.d.A.), which also dissolves in the basic solution. The alkaline substances<br />

used in antiquity were one or more of the following: decomposed or<br />

stale urine-producing alkaline ammonia, vegetable ashes, or lime water.<br />

Once dissolved in the dye bath, this reduced form of the dye was able to<br />

impregnate the fibers. To attain the final blue or purple insoluble dye form<br />

(“pigment”), the wet fiber was allowed to become oxidized in the air» [3].<br />

Dal punto di vista molecolare il processo di tintura al tino, basato sull’impiego<br />

dell’indaco, è schematicamente illustrato nella figura 6 [1].<br />

Nel caso della tintura della lana i <strong>coloranti</strong> al tino, rispetto ad altri <strong>coloranti</strong><br />

<strong>naturali</strong> avevano il vantaggio di produrre tinte caratterizzate da una<br />

elevata solidità, sia rispetto ai vari agenti atmosferici che nei confronti<br />

179


Fig. 7: Diagramma di idrolisi della lana in funzione del pH del bagno di tintura a 100°C. Nel grafico<br />

sono riportate le zone di alterazione minima (a 90 e 25°C) e il punto isoelettrico [Rif. 13].<br />

delle forti sollecitazioni fisiche e chimiche nella fase di finitura. Inoltre si<br />

osservava che i manufatti in lana, sottoposti ad un processo di tintura al<br />

tino, presentavano una ottima resistenza alla trazione e all’abrasione e<br />

questo malgrado il processo tintorio avvenisse in ambiente alcalino ad un<br />

pH maggiore di quello del punto isoelettrico delle fibre di lana (pH= 4,5)<br />

e quindi lontano dalla zona di alterazione minima che, come si evince<br />

dalla curva riportata nella figura 7, per una temperatura del bagno di<br />

100°C, è compresa tra valori del pH che vanno da 3,5 a 4 [12, 13].<br />

Questa apparente incongruenza è stata così spiegata da Franco Brunello:<br />

«Vi è una tendenza a considerare l’alcalinità e quindi l’aggressività, <strong>dei</strong><br />

bagni di tintura con colori al tino soltanto in base alla quantità di alcali<br />

aggiunto. … Questi dati non rispondono però all’effettivo stato alcalimetrico<br />

<strong>dei</strong> tini di tintura. Infatti non si deve dimenticare che una parte dell’alcali<br />

reagisce col colorante nella sua forma chinonica:<br />

O<br />

C<br />

O<br />

C<br />

C6H4<br />

C<br />

C<br />

C6H4 + 2NaOH<br />

NH<br />

NH<br />

180


Da cui deriva, per riduzione, il sale alcalino del leucoderivato:<br />

HO<br />

ONa<br />

NaO<br />

OH<br />

C<br />

C<br />

C6H<br />

C<br />

C<br />

C6H4 + H2<br />

NH<br />

NH<br />

In questa seconda fase interviene,… l’idrosolfito sodico come agente riducente,<br />

il quale a sua volta reagisce con una parte dell’alcali comportandosi<br />

in definitiva come un tampone:<br />

Na2 S2 O4 + 2 Na OH + O<br />

2 Na2 SO3 + H2 O<br />

ed effettivamente in un tino di tintura per lana, l’alcalinità iniziale diminuisce<br />

lentamente nel corso della tintura.<br />

Oltre a ciò non può essere trascurata, nei confronti dell’alcali caustico, la presenza<br />

nel tino di tintura di colloidi proteici, quali la gelatina o la colla animale,<br />

che hanno come scopo principale quello di mantenere in sospensione l’indaco<br />

ridotto; si sa infatti che nel tino di tintura l’alcalinità è data prevalentemente dall’ammoniaca,<br />

la quale da sola non potrebbe sempre garantire la stabilità della<br />

dispersione dell’indaco allo stato di leucoderivato. Ma la presenza della sostanza<br />

proteica in soluzione, esercita anche una seconda importante azione nei confronti<br />

dell’alcali presente nei bagni: le colle animali, essendo costituite come la<br />

lana, da aminoacidi, cioè da composti anfoteri, possono reagire come tamponi<br />

dell’alcalinità; ed essendo presenti nel bagno come sospensioni colloidali, la loro<br />

reattività verso l’alcali sarà maggiore di quella della lana; cosicché contribuiranno<br />

alla prot<strong>ezio</strong>ne di quest’ultima dalla nociva azione <strong>dei</strong> bagni alcalini» [14].<br />

181


I processi attuali di tintura della lana con <strong>coloranti</strong> al tino prevedono le<br />

seguenti operazioni:<br />

i) aggiunta dell’idrosolfito e dell’ammoniaca nel tino, contenente<br />

un volume di acqua sufficiente alla tintura;<br />

ii) la temperatura del bagno viene portata a 50°C, trascorsi 15<br />

minuti si aggiungono la colla e l’indaco e quindi si mescola<br />

per favorire la riduzione a leucoderivato (il tino è pronto per<br />

la tintura quando la soluzione diventando limpida acquista un<br />

colore giallo-verdino, qualora la colorazione tendesse al blu<br />

significa che la quantità di idrosolfito aggiunta è bassa);<br />

iii) nel tino pronto viene immersa la lana in pezza;<br />

iv) la pezza di lana dopo circa 30-60 minuti, viene estratta dal<br />

bagno e quindi, dopo averla spremuta accuratamente si espone<br />

all’aria affinché avvenga la reazione di ossidazione per<br />

effetto dell’ossigeno atmosferico.<br />

Il processo di tintura a mano della lana in pezza, era ampiamente impiegato,<br />

nel diciottesimo secolo, negli stabilimenti “Gobelin”, vicino Parigi,<br />

famosi per la manifattura di arazzi (figura 8).<br />

182


Fig. 8: Tintura a mano di una pezza di lana così come veniva condotta, nel diciottesimo secolo,<br />

nei famosi laboratori di arazzi Gobelin vicino a Parigi.<br />

183


184<br />

B) Classificazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> sulla base della loro struttura<br />

chimica<br />

Dal punto di vista della struttura chimica, i <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> possono<br />

essere classificati in: antrachininoci, flavonoidi, carotidinoidi, calconici,<br />

indigoidi e antocianidici. Le principali caratteristiche delle classi di <strong>coloranti</strong><br />

<strong>naturali</strong> di più ampio interesse culturale, archeologico-storico e artistico<br />

sono qui di seguito illustrate e discusse.<br />

– ANTRACHINONICI<br />

Appartengono a questa categoria i principali <strong>coloranti</strong> rossi che si ricavavano<br />

sia dal mondo vegetale che animale. Questi <strong>coloranti</strong> si caratterizzavano<br />

per una buona solidità alla luce. Inoltre essi avevano la capacità<br />

di formare complessi con i sali metallici (lacche) che usati come<br />

materia colorante, conferivano alle fibre una buona solidità ai lavaggi.<br />

Le strutture molecolari di importanti <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> antrachinonici,<br />

di origine vegetale, utilizzati fin dai tempi remoti, tra i quali l’alizarina e<br />

la purpurina (presenti nelle radici della “Rubia tinctorium”, del “Galium<br />

boreale”, del “Valium Verum”, e della “Rubia peregrin”) e la<br />

“Mungistina” (che si estraeva dalla robbia indiana, la Rubia mungista)<br />

sono riportate nella figura 9-a [15].<br />

L’alizarina, la purpurina e la pseudopurpurina conferivano alle fibre di<br />

lana una tinta rossa, mentre la rubiadina, la mungistina, il -metiletere<br />

dell’alizarina, davano un colore giallo arancio in presenza di allume<br />

come mordente.<br />

La presenza e la concentrazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> sopra menzionati negli<br />

estratti delle radici rosse delle piante dipende da molti fattori quali ad<br />

esempio: il luogo di origine, il grado di crescita e di maturità delle piante,<br />

il processo di estrazione e di tintura [15].<br />

Una serie di importanti <strong>coloranti</strong> di natura antrachinonica rappresentano<br />

la materia colorante principale che da secoli e secoli veniva estratta<br />

dagli insetti: Kermes vermiglio, Dactylopius coccus (cocciniglia), laccifer<br />

lacca (Laddia), Porphyrophora colonica (cocciniglia polacca) e molti<br />

altri.<br />

Le strutture molecolari di alcuni i questi <strong>coloranti</strong> antrachinonici, di cui<br />

si è ampiamente scritto nei precedenti paragrafi di questo volume, sono<br />

messe a confronto nella figura 9-b [15].<br />

Dal Chermes vermiglio si estraeva l’acido chermesico e l’acido carminico,<br />

presenti come glucosidi. Dalla cocciniglia polacca si ricavava una<br />

miscela 1:1 di acido carminico e chermesico. Con il termine di acido laccaico,<br />

sostanza rosso scura detta “Laddia”, che veniva estratta con una


a)<br />

b)<br />

Fig. 9: Struttura chimica di alcuni <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> afferenti alla famiglia degli antrachinoni:<br />

a) di origine vegetale;<br />

b) di origine animale.<br />

soluzione diluita di soda dall’essudato della Coccus lacca (lacca), si indica<br />

in realtà una serie di acidi che si differenziano per il tipo di sostituente<br />

nella posizione “para” dell’anello benzenico.<br />

185


I <strong>coloranti</strong> antrachinonici provenienti da insetti coloravano le fibre di<br />

lana in varie tonalità che andavano dal rosso brillante al rosa; in presenza<br />

di mordenti quale l’allume riuscivano a conferire un colore violettobluastro.<br />

I maestri tintori per ottenere rossi molto brillanti e stabili usavano<br />

impiegare mordenti allo stagno [14].<br />

– FLAVONOIDI<br />

I <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> (principalmente gialli) che afferiscono alla famiglia<br />

<strong>dei</strong> flavonoidi, che si ricavavano dal mondo vegetale, comprendono:<br />

i) la luteolina (dalla Reseda luteola) che rappresentò il più<br />

importante colorante giallo del medio-evo;<br />

ii) la ramnetina (dalle bacche del Rhamnus);<br />

iii) la fisetina (dal Rhus cotinus);<br />

iv) la morina (dal Chlorophora/Morus tinctoria);<br />

v) la quercetina (presente come glucoside nella corteccia della<br />

quercia americana (Quercus tinctoria)).<br />

Nella figura 10 è riportata la struttura molecolare del flavonolo, che<br />

rappresenta la base <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> flavonoidi; nella sottostante tabella sono<br />

indicati, per ognuno <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> sopra citati nei punti da i) a v), i gruppi<br />

sostituenti e le relative posizioni [15].<br />

I <strong>coloranti</strong> flavonoidi di origine naturale venivano di norma <strong>impiegati</strong>,<br />

nel caso della lana, come <strong>coloranti</strong> a mordente in tinture che andavano<br />

dal giallo al giallo-verde e al castano.<br />

– CHINONICI<br />

I <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> più importanti, afferenti a questa classe, sono:<br />

i) l’alcannina, un colorante rosso presente, come estere dell’acido<br />

angelico, nella radice dell’Alcanna tinctoria e<br />

dell’Anchusa tinctoria;<br />

ii)<br />

l’henna o lawsone, contenuto nella “Lawsonia inermis” e<br />

nella “Lawsonia alba”;<br />

iii) il juglone, contenuto nel mallo delle noci, in particolare<br />

nella specie “Juglans nigra”.<br />

La struttura molecolare di questi tre <strong>coloranti</strong> è illustrata nella figura 11.<br />

In generale i <strong>coloranti</strong> chinonici venivano <strong>impiegati</strong> sia come <strong>coloranti</strong><br />

diretti che come acidi oppure a mordente; essi conferivano ai materiali<br />

tessili tinte che andavano dal rosa all’arancio, dal rosso al marrone fino<br />

al nero.<br />

– CAROTENOIDI<br />

Le caratteristiche <strong>coloranti</strong> delle sostanze afferenti a questa classe sono<br />

da mettere in relazione alla presenza, lungo lo scheletro molecolare, di<br />

186


Fig. 10: Lo scheletro molecolare del flavonolo che rappresenta la base <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>, gialli,<br />

che afferiscono al gruppo <strong>dei</strong> flavonoidi (sopra).<br />

I principali <strong>coloranti</strong> sono indicati nella sottostante tabella dove sono riportati i gruppi sostituenti<br />

e le varie posizioni [Rif.15].<br />

Fig. 11: Struttura chimica di alcuni <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> chinonici.<br />

187


Fig. 12: Struttura chimica della crocetina e della bixina, <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> appartenenti alla famiglia <strong>dei</strong> carotenoidi.<br />

lunghe sequenze di doppi legami coniugati. Appartengono a questo gruppo<br />

<strong>coloranti</strong> quali: la crocetina e la bixina di cui si è già precedentemente<br />

scritto [15]. In particolare la Crocetina si estraeva dagli stimmi <strong>dei</strong> fiori<br />

del “Crocus sativus” (Zafferano) e la Bixina dai semi della “Bixia orellana”.<br />

La struttura chimica di questi due <strong>coloranti</strong> è messa a confronto nella<br />

figura 12.<br />

– CALCONICI<br />

Appartiene a questo gruppo la cartamina, contenuta nei flosculi del<br />

“Chartamus tinctoria” (cartamo o cardo <strong>dei</strong> tintori), che per ossidazione<br />

188


Fig. 13: Struttura molecolare del cartamone. Prodotto dell’ossidazione della cartamina colorante<br />

naturale appartenente alla classe <strong>dei</strong> calconi.<br />

Fig. 14: Struttura molecolare dell’indaco o indigotina, il più famoso e antico colorante appartenente<br />

alla famiglia degli indigoidi.<br />

si trasforma nel Cartamone (figura 13). La cartamina rappresenta uno <strong>dei</strong><br />

più antichi <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> usati per ottenere tessili tinti in rosso [15].<br />

– INDIGOIDI<br />

Come già ampiamente scritto il più antico e famoso colorante naturale<br />

blu, l’indigotina o l’indaco, si ricavava dall’ “Isatis tinctoria” (guado) e<br />

dall’ “Indigofera tinctoria”; mentre il 6,6 I -dibromo indigotina, la porpora<br />

reale, si otteneva per ossidazione dal precursore contenuto nelle ghiandole<br />

di vari molluschi marini. La formula base <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> indigoidi è<br />

riportata nella figura 14.<br />

– ANTOCIANIDINICI<br />

I <strong>coloranti</strong> antocianidinici sono presenti in natura (in particolare in fiori<br />

189


e frutti) come antocianine e cioè <strong>dei</strong> glucosidi di sali di benzopirillio ossidrilati.<br />

Le antocianidine sono ottenute allo stato di cloruri a seguito di una reazione<br />

di scissione <strong>dei</strong> glucosidi con acido cloridrico.<br />

I <strong>coloranti</strong> più interessanti appartenenti alla famiglia delle antocianidine<br />

sono i seguenti:<br />

i) la pelargonidina (l’aglicone della pelargonina) contenuta nel<br />

fiordaliso, nella pelargonia scarlatta e nelle dalie;<br />

ii) la cianidina (l’aglicone della cianina) presente nei petali<br />

delle rose, del papavero, del fiordaliso e della Dalia cactus<br />

rossa;<br />

iii) la delfinidina (l’aglicone della delfinina) che si ricavava dal<br />

iv)<br />

fiore del delphinium e della salvia;<br />

la mirtillidina (l’aglicone della ossicoccicianina) presente<br />

del mirtillo.<br />

La struttura chimica di alcuni <strong>coloranti</strong> antocianidinici è riportata nella<br />

figura 15 [16, 17].<br />

In generale i <strong>coloranti</strong> della famiglia delle antocianidine per essere usati<br />

nella tintura della lana avevano bisogno della presenza di mordenti. Essi<br />

erano capaci di conferire alle fibre tinte che andavano dal rosso al blu,<br />

alla porpora e al rosa.<br />

A titolo riepilogativo alcuni <strong>dei</strong> principali <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>, suddivisi<br />

in base alla tipologia della classe chimica sono elencati nella tabella 2,<br />

dove viene anche indicata la pianta e/o l’animale dai quali venivano anticamente<br />

estratti.<br />

190


a)<br />

b)<br />

c)<br />

Fig. 15: Struttura molecolare di alcuni <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> appartenenti alla classe delle<br />

Anticianidine (forma cationica).<br />

a) pelargonidina;<br />

b) cianidina;<br />

c) delfinidina.<br />

191


Tabella 2<br />

Classi chimiche cui possono essere ricondotti i<br />

principali <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> e loro origine.<br />

Classe Chimica Colorante Origine<br />

Indigoidi Indaco Indingofera tinctoria e Isatis tinctoria<br />

Porpora<br />

Murex Brandaris, Murex Trunculus,<br />

Purpura Ematoma<br />

Antrachinonici Alizarina Robbia<br />

Acido Chermesico Kermes<br />

Acido carminio Cocciniglia<br />

Flavonici Luteolina Reseda luteola<br />

Quercitina Quecus tinctoria<br />

Morina<br />

Morus tinctoria<br />

Catechine 1-epicatechina Acacia catechù<br />

Ossichetoni Cartamina Chartamus tinctoria<br />

Curcumina Curcuma longa<br />

Xantone Coloranti derivanti Piante della famiglia delle Ramnacee<br />

da ramnacee<br />

Naftochinoni Alcannina Alcanna tinctoria<br />

Fenolici Orcina Licheni: oricelli di mare e di terra<br />

Carotenoidi Crocetina Zafferano<br />

Bixina<br />

Bixia orellana<br />

La tabella 3 è stata integralmente e testualmente ripresa dal riferimento<br />

[3]. In essa, relativamente alle colonne, a sinistra, al centro e a destra, sono<br />

elencati rispettivamente: a) una serie di tinte osservate su antichi reperti tessili;<br />

b) le materie <strong>coloranti</strong> più probabilmente usate, con informazioni circa<br />

le tecnologie di tintura e c) il tipo di mordente impiegato.<br />

192


Tabella 3<br />

Colors Found on Archeological Textiles<br />

and their Possible Sources.<br />

Color Observed Typical Sources Mordant Needed<br />

Red (various shades) Madder-family plants<br />

Alum<br />

Scale Insects<br />

Alum<br />

Blue Indigotin (from Indigofera or Woad) (None)<br />

Molluskan<br />

(None)<br />

Yellow Natural color of wool, linen, camela hair (None)<br />

Yellow dye source<br />

Alum (or none)<br />

Green Top-dyeing of blue+yellow (As needed)<br />

Yellow<br />

Alum and/or Iron<br />

Orange Madder-family Alum<br />

Top-dyeing of red+yellow<br />

Alum<br />

Purple Madder Iron<br />

Top-dyeing of red+blue<br />

Alum and/or Iron<br />

Molluskan ["Tyrian (or Royal) Purple"] (None)<br />

Beige-Brown Natural camel hair (None)<br />

Decomposed natural wool color (None)<br />

(Inorganic) salt/minerals<br />

(None)<br />

Yellow dye source<br />

Iron<br />

Tannins<br />

(None)<br />

Dark Brown Natural coarse goat hair (None)<br />

Tannins<br />

(None)<br />

Black Tannins Iron<br />

Top-dyeing of red+blue+yellow Iron<br />

White Bleached linen (None)<br />

Le moderne metodologie di analisi che hanno permesso di determinare<br />

la natura e l’origine della materia colorante usata, insieme al tipo di mordente<br />

impiegato nel processo tintorio, saranno oggetto di esame nel prossimo<br />

capitolo.<br />

Le principali tappe che hanno determinato l’affascinante, e per certi<br />

versi ancora misteriosa, storia ed evoluzione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> dal<br />

2600 a.C. al 1856 d.C., data questa ultima che viene a coincidere con la<br />

193


scoperta da parte di William Henry Perkin del primo colorante sintetico,<br />

sono state delineate da S.C. Druding in una sua recente pubblicazione<br />

[18]. I risultati di questa indagine così come riportati dall’autore sono<br />

testualmente riprodotti nella tabella 4 [18].<br />

Tabella 4<br />

Dye History from 2600 bC to the 20th Century.<br />

2600 bC Earliest written record of the use of dyestuffs in China<br />

715 bC Wool dyeing established as craft in Rome<br />

331 bC Alexander finds 190 year old purple robes when he conquers Susa,<br />

the Persian capital. They were in the royal treasury and said to be<br />

worth $6 million (equivalent)<br />

327 bC Alexander the Great mentions "beautiful printed cottons" in India<br />

236 bC An Egyptian papyrus mentions dyers as stinking of fish, with tired<br />

eyes and hands working unceasingly<br />

55 bC Romans found painted people "picti" in Gaul dyeing themselves<br />

with Woad (same chemical content of color as indigo)<br />

2nD and 3rD Roman graves found with madder and indigo dyed textiles, replacing<br />

Centuries aD the old Imperial Purple (purpura)<br />

3rd Century papyrus found in a grave contains the oldest dye recipe known, for<br />

imitation purple - called Stockholm Papyrus. It is a Greek work.<br />

273 aD Emperor Aurelian refused to let his wife buy a purpura-dyed silk<br />

garment. It cost its weight in gold.<br />

Late 4th Emperor Theodosium of Byzantium issued a decree forbidding the<br />

Century use of certain shades of purple except by the Imperial family on pain<br />

of death<br />

400 aD Murex (the mollusk from which purpura comes) becoming scarce<br />

due to huge demand and over harvesting for Romans. One pound of<br />

cloth dyed with Murex worth $20,000 in terms of our money today<br />

(Emperor Augustus source)<br />

700's a Chinese manuscript mentions dyeing with wax resist technique<br />

(batik)<br />

925 the Wool Dyers' Guilds first initiated in Germany<br />

1188 the first mention of Guilds for Dyers in London<br />

1197 King John (of Magna Carta fame) persuaded Parliament to regulate<br />

dyeing of woolens to protect the public from poor quality goods<br />

194


1200's Rucellia, of Florence, rediscovered the ancient art of making purple<br />

dye from lichens sent from Asia Minor (similar to Orchils)<br />

1212 the city of Florence had over 200 dyers, fullers and tailors. A directory<br />

of weavers and spinners was published as well.<br />

1290 the only blue dye of the period, Woad, began to be raised extensively<br />

in Germany. The 3 major dyes were now: woad, madder and weld.<br />

1321 Brazilwood was first mentioned as a dye, source from East Indies<br />

and India. (the country of Brazil was named for the wood found<br />

there, not vice versa)<br />

1327-1377 Edward III, "Royal Wool Merchant" offered protection to all foreigners<br />

living in England and to all who wanted to come to help<br />

improve the textile industry.<br />

Early 15th Cennino Cennini of Padua, Italy, described the printing of cloth<br />

Century (block printing) in his treatise called Method of Painting Cloths by<br />

Means of Moulds.<br />

15th Century Aztecs under Montezuma conquered the Mayans. 11 Mayan cities<br />

paid a yearly tribute of 2000 decorated cotton blankets and 40 bags<br />

of Cochineal (insect dye) each.<br />

1429 the 1st European book on dyeing Mariegola Dell'Arte de Tentori was<br />

published in Italy<br />

1464 Pope Paul II introduced the so-called "Cardinals' Purple" which was<br />

really scarlet from the Kermes insect. This became the first luxury<br />

dye of the Middle Ages just as Imperial Purple (Murex) had been for<br />

the ancient world.<br />

1472 Edward IV incorporated the Dyers' Company of London<br />

1507 France, Holland and Germany begin the cultivation of dye plants as<br />

an industry<br />

1519 Pizarro and Cortez find that there is cotton in Central and South<br />

America. They send back brightly printed fabrics showing that the<br />

Indians knew about block printing prior to the Conquest. Cochineal<br />

from Mexico and Peru now being shipped back to Spain.<br />

1614 dyeing cloth "in the wood" was introduced in England: logwood,<br />

fustic, etc.<br />

1630 Drebbel, a Dutch chemist, produced a new brilliant red dye from<br />

cochineal and tin. It was used at Goblein (Paris) and the Bow<br />

Dyeworks (England)<br />

1631-33 The East India Co. began importation of calico from Calicut, India<br />

195


to England. At first they thought the fabric was linen, not cotton.<br />

Mid-1600's English Logwood cutters in Honduras lead a dangerous life (danger<br />

from Spaniards, hurricanes, swamps, disease) in the Bay of<br />

Campeachy, but could get very rich<br />

1688 James II, of England, prohibited exportation of un-dyed cloth from<br />

England to help bolster the home industry for English dyers over that<br />

of the Scottish dyers.<br />

1689 the first calico printworks was begun in Germany at Augsburg and<br />

was later to grow into a large industry<br />

18th Century English dyehouse gets contract to dye the Buckingham Palace<br />

Guards coats with cochineal. This contract continued into the 20th<br />

Century still using cochineal.<br />

1708 William III signed a law prohibiting the importation of printed silks,<br />

this only made calicos and silks more popular<br />

1716 There were now more than 30 laws in England prohibiting the<br />

importation of calico and cotton; prints became more popular than<br />

ever. 1727 A method of bleaching linen with kelp (seaweed) was<br />

introduced in Scotland<br />

1733 Fly shuttle invented by John Kay, England<br />

1745 Indigo begins to be grown in England, after the Revolution when it<br />

became cheaper to import from the East Indies<br />

1766 Dr. Cuthbert Gordon patents Cudbear (derived from his mother's<br />

name) it was prepared from a variety of lichens. Only one of 2 natural<br />

dyes ever credited to an individual (other is quercitron to<br />

Bancroft)<br />

1769 Arkwright's spinning frame in England (aka the Spinning Jenny)<br />

1774 Swedish chemist, Scheele, discovered chlorine destroyed vegetable<br />

colors by observing a cork in a bottle of hydrochloric acid<br />

1774 Prussian Blue and Sulphuric acid available commercially. Prussian<br />

blue formed from prussite of potash and iron salt (copperas).<br />

Actually one of the early chemical dyes.<br />

1775 Bancroft introduced the use of quercitron bark as a natural dye. One<br />

of only 2 natural dyes whose discoverer is known, it yields a yellow,<br />

brighter than fustic, and is from the inner bark of American oak.<br />

1786 Bertholet, France, recommended chlorine water for commercial<br />

bleaching. Other oxidizing agents began to be used, too: hydrogen<br />

peroxide, sodium peroxide and sodium perborate.<br />

196


1785 Bell, England, who had invented printing from plates, developed roller<br />

printing<br />

1788 Picric acid available (yellow dye and disinfectant) could be dyed<br />

from acid dyebath on wool<br />

1790 Acid discharge of mordant printing developed<br />

1794 Three Frenchmen set up first calico printing<br />

1796 Tennant developed bleaching process<br />

1797 Bancroft develops a process for steam fixation of prints<br />

1798 Oberkampf (in Jouy, France) pleased Napoleon by showing him a<br />

roller printer made from a cannon Napoleon had seized from the<br />

Pope. This began the famous Toiles de Jouy production.<br />

1802 Sir Robert Peel brought out a resist method, he had purchased the<br />

idea for from a commercial traveller for equivalent of $25. It consisted<br />

of a wax or other resist on the background, actually a batik technique<br />

done on large scale.<br />

1823 Mercer discovered chromate discharge of indigo<br />

1825 Mathias Baldwin (later of locomotive fame) began the first<br />

American production of engraved metal rollers for calico printing<br />

which were used in the Philadelphia area and could produce 300 yds<br />

of fabric per day.<br />

1834 Runge, a German chemist, noticed that upon distilling coal tar, aniline<br />

would give a bright blue color if treated with bleaching powder.<br />

This helped to pave the way to the development of aniline (basic)<br />

dyes 22 years later.<br />

1844 John Mercer discovered that treating cotton with caustic soda (lye)<br />

while under tension improved its strength, luster, dyeability, absorbency.<br />

The process was called "mercerization".<br />

1856 William Henry Perkin discovered the first synthetic dye stuff<br />

"Mauve" (aniline, a basic dye) while searching for a cure for malaria<br />

and a new industry was begun. It was a brilliant fuchsia type<br />

color, but faded easily so our idea of the color mauve is not what the<br />

appearance of the original color was.<br />

In tempi recenti, come già più volte scritto nel presente volume, si è<br />

notato un crescente interesse verso i <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>; alcune delle motivazioni<br />

che sono alla base di questo fenomeno sembrano essere le<br />

seguenti:<br />

197


Fig. 16: Struttura molecolare dell’Emodina e della Dermo-cibina, <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> antrachinonici<br />

estratti recentemente dal fungo “Dermocybe sanguinea” mediante tecnologia enzimatica.<br />

Queste sostanze, in presenza di mordenti, tingono la lana rispettivamente in giallo e rosso e porpora<br />

e violetto [Rif. 19, 20].<br />

a) gli effetti nocivi di alcuni <strong>coloranti</strong> sintetici e <strong>dei</strong> relativi sottoprodotti<br />

industriali, sull’uomo e sull’ambiente;<br />

b) la valorizzazione di tecniche tintorie, basate sull’utilizzo di<br />

metodologie tradizionali, nelle produzioni tessili artigianali e<br />

nei processi di restauro conservativo di manufatti di interesse<br />

storico-culturale-artistico;<br />

c) la possibilità di produrre e utilizzare, in maniera economicamente<br />

favorevole, in alcune aree geografiche, <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong><br />

in sostituzione di quelli sintetici per particolari tecnologie<br />

e prodotti tessili;<br />

d) la possibilità di avere a disposizione nuove e più accessibili<br />

fonti <strong>naturali</strong>, più appropriate metodologie di estrazione e<br />

purificazione e tecnologie applicative [19, 20].<br />

Nell’ambito di uno studio, finalizzato alla messa a punto di nuovi metodi<br />

di tintura basati su <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> estratti da fonti alternative a quelle<br />

tradizionali, Räisänen, Nousiainen e Hynninen hanno sviluppato una<br />

198


metodica in base alla quale è stato possibile isolare dal fungo Dermocybe<br />

sanguinea, due <strong>coloranti</strong> antrachinonici, l’Emodina e la Dermocibina, le<br />

cui strutture molecolari sono descritte nella figura 16 [19, 20].<br />

I due <strong>coloranti</strong> sono stati isolati (purezza pari al 99%) mediante un nuovo<br />

metodo enzimatico, messo a punto da P. H. Hynninen et al. [21], che prevede<br />

l’utilizzo della -glucosidase per catalizzare la reazione di idrolisi del legame 0-<br />

glicosilico presente nell’1--glucopiranosidil dell’emodina e della dermocibina.<br />

I due <strong>coloranti</strong> sono stati separati dalla miscela mediante la tecnica<br />

della ripartizione multipla liquido-liquido. Gli autori, sopramenzionati,<br />

hanno dimostrato che l’emodina e la dermocibina sono degli ottimi <strong>coloranti</strong><br />

al mordente per la lana. In particolare sono stati <strong>impiegati</strong> come<br />

mordenti il solfato di potassio e alluminio (KAl(SO 4 ) 2 ), il dicromato di<br />

potassio (K 2 Cr 2 O 7 ), il solfato di cobalto (CoSO 4 ) e il solfato ferroso.<br />

Alcune delle fasi principali del processo tintorio, stralciate testualmente<br />

dal riferimento 20 sono qui di seguito riportate:<br />

«a 10 g sample of wool … fabric was dyed with a dye solution of 1% on the<br />

weight of the fiber. Because the colors of the anthraquinone compounds<br />

were pH-dependent, a 0.01 or 0.05 M sodium phosphate buffer solution was<br />

used to maintain the appropriate pH. The liquor-to-fabric ratio was 20:1 …<br />

To prepare a dyebath, a 100 mg amount of emodin or dermocybin was dissolved<br />

in 200 ml buffer solution, then the leveling agent, the Glauber’s salt,<br />

and the mordant were added and the pH measured … FeSO 4 … was added<br />

to the dyebath at the end of the dyeing period. Each fabric sample was<br />

allowed to absorb dye at 98°C for 50 minutes, then FeSO4 was added to the<br />

dyebath, and the fabric was allowed to absorb dye still 10 minutes after the<br />

addition … In the emodin dyebaths of lower pH, 98% CHOOH was added<br />

to adjust the pH close to 3.5. Each thoroughly wetted fabric sample was<br />

immersed in the ready-made dye liquor and the vessel was closed. The temperature<br />

was raised from 50 to 98°C by 2°C/minute, maintained at 98°C for<br />

1 hour, and then lowered to 60°C in 10 minutes. Last, each dyed fabric sample<br />

was rinsed with water and dried at room temperature.<br />

We chose a neutral or slightly basic pH for dyeing … because under these<br />

condition, emodin and dermocybin are sufficiently soluble in water at a temperature<br />

of 50°C or higher … In the high-pH environment of experiments …<br />

emodin dyed wool … red or violet colors. In the low-pH environment …<br />

emodin was in the form of a finely divided dispersion, which dyed wool …<br />

a beautiful yellow color» [20].<br />

R. Räisänen et al. nel loro già citato articolo [20] avanzano l’ipotesi che<br />

199


i <strong>coloranti</strong> e i mordenti formano, con i gruppi carbossili e amminici presenti<br />

lungo le macromolecole proteiche della lana <strong>dei</strong> complessi di coordinazione,<br />

la cui struttura è rappresentata nella figura 17.<br />

In particolare in presenza di metalli Al(III), Cr(III), Fe(II), che hanno<br />

un numero di coordinazione uguale a 6, la struttura del complesso è di<br />

tipo ottaedrico, mentre nel caso di Co(II), con un numero di coordinazione<br />

pari a 4, il complesso presenta una configurazione planare quadrata.<br />

Nella figura 17 è riportata anche la struttura della lacca che viene a<br />

prodursi con le fibre di nylon 6,6. In questo ultimo caso i legami di<br />

coordinazione coinvolgono i gruppi –NH 2 terminali e i gruppi carbonilici<br />

( C=O), intracatena, della poliammide.<br />

La struttura del complesso di coordinazione dipende dal pH del bagno<br />

di tintura. Infatti in corrispondenza di un bagno il cui pH è relativamente<br />

basso (2,9 – 3,9) l’emodina esiste in una forma non ionizzata. Pertanto<br />

la struttura della lacca presenta una configurazione del tipo: “π-bonded<br />

organometallic sandwich compound” (figura 18) [20].<br />

Gli studi condotti da Räisänen et al. hanno dimostrato che i processi tintori<br />

della lana, in presenza di mordenti, basati sull’impiego <strong>dei</strong> “new fungal<br />

antraquinones” (l’emodina e la dermocibina) hanno una buona resa e<br />

producono una tintura uniforme con una buona solidità ed inalterabilità<br />

[19, 20].<br />

«Our studies show that highly purified emodin and dermocybin are very suitable<br />

for mordant dyeing, and they can serve as a source of yellow, purple,<br />

and violet colors, which are difficult and laborious to obtain with traditional<br />

natural dyeing methods. Our dyeing procedure is simple and may be considered<br />

equivalent to the industrial winch-technique … the experiments<br />

described in this paper show that the pure natural anthraquinones exhibit<br />

high dye-uptake values for wool and polyamide. The importance of maximum<br />

dye uptake can be realized by considering that one of the main problems<br />

to be solved in dyeing technology is unfixed dyestuff in textile waste<br />

water» [20].<br />

L’industria <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> antrachinonici di sintesi è attualmente in una<br />

fase di declino per le seguenti ragioni:<br />

1) l’alto costo di produzione;<br />

2) l’elevato grado di nocività ambientale (environmentally<br />

unfriendly) <strong>dei</strong> processi di sintesi, che richiedono l’impiego<br />

di acidi forti, alcali, alte temperature e di catalizzatori contenenti<br />

atomi pesanti [22, 23].<br />

200


Fig. 17: A) Struttura molecolare del complesso di coordinazione (lacca) lana-metallo-emodina (il<br />

metallo deriva dalle sostanze usate come mordente).<br />

B) Schema <strong>dei</strong> legami di coordinazione che si vanno a formare in un complesso di coordinazione<br />

poliammide 6,6-metallo-dermocibina [Rif. 20].<br />

Fig. 18: Complesso di coordinazione, caratterizzato da una configurazione del tipo “-bonded<br />

organometallic sandwich compound”, che si realizza tra il metallo e l’emodina a pH circa uguale<br />

a 3 [Rif. 20].<br />

201


202<br />

Un rilancio dell’industria <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> antrachinonici, secondo Hobson<br />

e Wales, potrà realizzarsi sfruttando la possibilità di percorrere “cheaper,<br />

more environmentally friendly routes to existing dyes; biotechnology may<br />

provide the answer” [22, 23].<br />

Quella che i sopra citati Autori hanno definito come la biotechnology<br />

solution parte proprio dal presupposto di potere isolare da una vasta<br />

gamma di funghi (Drechslera, Trichoderma, Aspergillus e Curvularia<br />

lunata) un numero cospicuo di prodotti antrachinonici, molti <strong>dei</strong> quali<br />

hanno potenziale caratteristiche tintoriali. In generale queste sostanze<br />

vengono ottenute sottoponendo i funghi prima ad un processo di fermentazione<br />

e quindi dalla biomassa si ricavano le sostanze mediante metodologie<br />

estrattive-selettive.<br />

La produzione di bio-<strong>coloranti</strong> a partire da funghi presenta <strong>dei</strong> notevoli<br />

vantaggi rispetto a metodi di sintesi chimica, alcuni <strong>dei</strong> quali sono stati<br />

così evidenziati nel riferimento [23]:<br />

«The medium in which the fungal culture grow contains no expensive chemicals.<br />

The fermentation is carried out at low temperature (~30°C) and neutral<br />

pH so that the expensive, fuel-consuming high temperatures and environmentally<br />

unfriendly strong acids and alkalis of the chemical synthesis are<br />

not required».


RIFERIMENTI<br />

1) “Essay: dyes and dyeing” (Supplement to Experiment 8); online edition<br />

for students of Organic Chemistry Lab Courses at University of<br />

Colorado, Boulder, Dept. of Chem. and Biochem. (2002).<br />

2) P. S. Vankar, Resonance, 73, October (2000).<br />

3) Zvi Koren “The colors and dyes on ancien textiles in Israel”, in<br />

«Colors from nature», pagg. 15-31, Editors C. Sorek, E. Ayalon, Eretz<br />

Israel Museum, Tel Aviv (1993).<br />

4) R. J Forbes, “Studies in Ancient Technology”, Vol. IV, pag. 133, E. J.<br />

Brill, Leiden (1964).<br />

5) E. G. Kiel, P.M. Heertjes, J. Soc. Dyers and Colourist, 79, 61 (1963).<br />

6) E.J. Tiedemann, Yiqi Yang, J.A.I.C., 34, 195 (1995).<br />

7) S. Landi, “The Textile Conservator’s Manual”, Butterworth –<br />

Heinemann LTD (London) 1992.<br />

8) “Anne Lieses’s fiber and stuff-dyeing-mordants and metal dyes”;<br />

http:/www.geocities.com/anne_liese_w/dyeing/mordants.htm (2002).<br />

9) “Earth Guild”; http://www.earthguild.com/products/riff/mordant.htm<br />

(2002).<br />

203


10) http://www.lunehaven.com/mordants.html (2002).<br />

11) M. Giua, C. Giua-Lollini, “Dizionario di Chimica”, Unione<br />

Tipografico, Editrice Torinese, Torino (1954).<br />

12) P. Grierson, “The color Cauldron”, London (1986).<br />

13) G. Guana, Tinctoria, 4, 32 (1996).<br />

14) F. Brunello, Laniera, N.1, 47, Anno 74.<br />

15) A. Tìmar-Balázsy, D. Eastod, “Chemical principle of Conservation”,<br />

Butterworth-Heinemann, Oxford (1998).<br />

16) P. Karrer, “Trattato di Chimica Organica” Sansoni Edit. Scient.,<br />

Firenze (1956).<br />

17) L.F.Fieser, M. Fieser, “Trattato di Chimica Organica”, C. Manfredi<br />

Editore, Milano (1957).<br />

18) S.C. Druding, Wysiwyg: //www.straw.com/sig/dyehis.html (2002).<br />

19) R. Räisänen, P. Nousianen, P.H. Hynninen, Textile Research Journal,<br />

71, 922 (2001).<br />

20) R. Räisänen, P. Nousianen, P.H. Hynninen, Textile Research Journal,<br />

71, 1016 (2001).<br />

21) P. H. Hynninen et al., Z. Naturforsch, 55c, 600 (2000).<br />

22) D.K. Hobson, D.S. Wales, J. Soc. Dyers and colourist, 114, 42<br />

(1998).<br />

23) D.K. Hobson, D.S. Wales, http://www.biotexnet.com/green.htm<br />

(2002).<br />

204


CAPITOLO TERZO<br />

TECNICHE E METODOLOGIE PER LA<br />

IDENTIFICAZIONE DEI COLORANTI E DEI<br />

MORDENTI IMPIEGATI NELLA TINTURA DI TESSUTI<br />

DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO-CULTURALE.<br />

La determinazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> <strong>impiegati</strong> nella tintura di tessuti di interesse<br />

storico-artistico-culturale rappresenta un prerequisito di grande rilevanza<br />

per:<br />

i) acquisire elementi utili alla delucidazione di una delle tecnologie<br />

chimiche di più antica origine;<br />

ii) individuare le modalità più appropriate di restauro e/o conservazione;<br />

iii) adottare procedimenti mirati di pulitura e lavaggio;<br />

iv) scegliere i colori e le procedure più idonee all’integrazione.<br />

Inoltre, la conoscenza <strong>dei</strong> processi di tintura, che venivano attuati in<br />

epoche molto remote e spesso in regioni geograficamente lontane, permette<br />

di aprire una finestra sulla cultura, le usanze e i costumi di popoli<br />

e nazioni che hanno avuto un ruolo importante nella storia dell’umanità.<br />

Prima di procedere all’analisi <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> usati per tingere un filato<br />

oppure un antico tessuto è necessario procedere alla identificazione della<br />

classe delle fibre impiegate (animali o vegetali). Questa informazione<br />

permette, automaticamente, di scartare intere famiglie di <strong>coloranti</strong>.<br />

Infatti le fibre proteiche (lana e seta) per le loro caratteristiche chimico-fisiche<br />

e strutturali privilegiano materie <strong>coloranti</strong> che spesso non possono essere<br />

utilizzati nella tintura delle fibre cellulosiche (cotone, lino, canapa ecc.).<br />

Lo studio del processo di tintura, di norma, prevede l’estrazione del<br />

(<strong>dei</strong>) colorante (i) da un filato, opportunamente rimosso dal manufatto<br />

tessile. Spesso i reperti archeologici sono frammenti molto minuti pertanto<br />

le tecniche utilizzate nell’analisi devono poter essere applicate<br />

anche a pochi nanogrammi di materiale e questo richiede la disponibilità<br />

di strumentazioni analitiche altamente sensibili [1, 2, 3, 4, 5].<br />

205


L’analisi <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> <strong>impiegati</strong> nella tintura di antichi tessili presenta<br />

una serie di problematiche alcune delle quali sono state così evidenziate<br />

da R.D. Gillard et al.:<br />

«Where textile survives in the ground, much of the dye component is degraded<br />

or lost by leaching processes in ground water: the textile itself becomes<br />

heavily stained with organic material from the soil. Some may also acquire<br />

considerable amounts of metal corrosion products via mineralization. Dyes<br />

from textiles which survive within historical collections pose other difficulties<br />

for the conservation scientist. Natural dyes have inherently poor qualities<br />

of light-fastness and can degrade rapidly with constant exposure to light.<br />

Some metal ion mordants, in particular iron, can also be quite detrimental to<br />

longterm survival of fibres.<br />

To avoid these problems, all techniques reported for the examination of dyestuffs<br />

incorporate a preliminary extraction. Such extraction is particularly<br />

important for brown and yellow dyed textiles from burial contexts. The organic<br />

material acquired by the fibres during burial absorbs in the same visible<br />

region as these dyes. This may effectively mask the presence of any dye residue.<br />

… Despite their sensitivity, however, techniques requiring extraction<br />

are destructive, take time and need a relatively large sample (at least 10 mg).<br />

These drawbacks severely limit the likelihood of finding any dye residue<br />

associated with an excavated textile» [6].<br />

Per le ragioni di cui sopra, a partire dall’ultima decade, molti ricercatori<br />

hanno concentrato i loro sforzi per sviluppare metodologie di analisi da<br />

effettuare direttamente su campioni di piccolissime dimensioni prelevati<br />

dal reperto tessile senza dover passare necessariamente attraverso il processo<br />

di estrazione.<br />

206


A) Metodi di analisi <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> in tessuti di interesse<br />

storico-artistico culturale<br />

A 1 ) Metodi Spettroscopici – Analisi spettrochimiche<br />

Il termine “Analisi spettrochimica” include un insieme di tecniche finalizzate<br />

alla determinazione della presenza di una sostanza in un campione<br />

di materia attraverso l’utilizzo di misure spettrometriche. Questo comporta<br />

il monitoraggio della radiazione elettromagnetica emessa dal campione<br />

in esame dopo che quest’ultimo è stato colpito e attraversato, ed ha<br />

interagito con una radiazione incidente avente caratteristiche note.<br />

L’interazione di un materiale con radiazioni elettromagnetiche induce<br />

variazioni in alcuni caratteristici livelli di stati energetici quali ad esempio:<br />

i moti oscillatori di un legame chimico; la collocazione orbitale di un<br />

elettrone di valenza; il moto rotazionale di un vettore magnetico di un<br />

nucleo atomico ecc..<br />

Ciascuno di questi stati caratteristici, secondo i principi della meccanica<br />

quantistica, è dal punto di vista energetico quantizzato.<br />

La variazione da uno stato energetico ad un altro può essere causata<br />

dall’assorbimento, oppure dall’emissione, di energia per un ammontare<br />

esattamente uguale alla differenza di energia tra i due stati.<br />

In un esperimento spettrometrico di base, condotto ai fini di analisi spettrochimica,<br />

il campione da esaminare è posto in una posizione tale da potere<br />

interagire, nella maniera più opportuna, con la radiazione incidente. Nel<br />

caso di misure di assorbimento e di luminescenza la sorgente di radiazione<br />

scelta viene focalizzata sul campione per permetterne l’assorbimento.<br />

Nel caso di misure di emissione, il campione, investito da un flusso di<br />

energia termica, si riscalda ed emette energia sottoforma di fotoni.<br />

Successivamente le radiazioni emesse dal campione sono separate, a<br />

seconda della loro lunghezza d’onda, attraverso un “Resolving device”.<br />

Quindi mediante un idoneo sistema rilevatore (Detector) vengono rivelate,<br />

identificate e misurate le radiazioni presenti (emissione o luminescenza)<br />

oppure assenti (assorbimento).<br />

L’analisi spettrofotometrica è un metodo di analisi chimica basata sull’assorbimento<br />

da parte di un materiale di radiazioni elettromagnetiche<br />

aventi una determinata lunghezza d’onda o frequenza. In generale la<br />

regione dello spettro elettromagnetico più comunemente usata per analisi<br />

chimiche è quella compresa tra i 200 nanometri e i 300 micrometri.<br />

Le strumentazioni utilizzate per le analisi spettrofotometriche sono<br />

207


chiamate spettrofotometri. Gli elementi fondamentali di un generico spettrofotometro<br />

sono:<br />

a) una sorgente di radiazioni;<br />

b) un monocromatore capace di sel<strong>ezio</strong>nare un fascio di radiazioni<br />

le cui lunghezze d’onda rientrano in un intervallo<br />

ristretto;<br />

c) il campione e il suo contenitore;<br />

d) il “detector” che rileva e misura l’ammontare di luce trasmessa<br />

dal campione in funzione della lunghezza d’onda.<br />

L’aumento di energia di una sostanza a seguito di assorbimento di radiazioni<br />

elettromagnetiche può causare variazioni nei livelli di stati elettronici,<br />

vibrazionali o rotazionali delle molecole costituenti. Variazioni che<br />

riguardano stati elettronici richiedono una grande quantità di energia che<br />

è relativamente più elevata di quella richiesta per la variazione degli stati<br />

vibrazionali. Energie minori sono richieste per provocare transizioni<br />

negli stati energetici connessi a moti rotazionali.<br />

L’energia necessaria affinché si verifichi una transizione da uno stato a<br />

bassa energia ad uno di più alta energia è direttamente relazionata alla frequenza<br />

della radiazione elettromagnetica che la causa. In particolare l’energia<br />

assorbita è data dalla relazione: E = hv = h c , dove h è la costante<br />

universale di Planck, v è la frequenza, è la lunghezza d’onda e c è la<br />

velocità della luce.<br />

L’interazione tra materia e radiazioni elettromagnetiche è, sulla base <strong>dei</strong><br />

principi della meccanica quantistica, governata da “quantum conditions”;<br />

pertanto una radiazione avente una frequenza v può essere assorbita solo<br />

se si verifica la seguente equazione:<br />

E2 E1<br />

v = (1)<br />

hc<br />

dove E 2 e E 1 sono valori discreti dell’energia che corrispondono a due<br />

definiti stati quantici.<br />

Uno spettro di assorbimento consiste nel portare in grafico la trasmittanza<br />

o l’assorbanza di un campione in funzione della lunghezza d’onda.<br />

Per ragioni di opportunità la spettrofotometria (detta anche spettroscopia<br />

molecolare) è diversamente classificata sia in base al tipo di energia<br />

molecolare che viene alterata a seguito del processo di assorbimento, che<br />

in base alla tipologia degli strumenti analitici usati. Conseguentemente si<br />

parla di spettri di natura rotazionale, vibrazionale ed elettronica oppure di<br />

spettrofotometria a microonde, all’infrarosso e nel visibile e ultravioletto.<br />

208


Poiché ogni composto si caratterizza per un suo tipico spettro di assorbimento<br />

ne deriva che è possibile identificare la sua presenza, in un campione<br />

di ignota composizione, confrontando lo spettrogramma di quest’ultimo<br />

con quello di riferimento ottenuto spettrando il composto allo<br />

stato puro.<br />

Le molecole <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong>, tutte di natura organica e caratterizzate da<br />

una struttura molto complessa, hanno la capacità di interagire con le<br />

radiazioni elettromagnetiche specialmente nell’intervallo di lunghezza<br />

d’onda che va dall’ultravioletto al visibile e al vicino infrarosso (UV,<br />

VIS, NIR), dove presentano significativi processi di assorbimento di<br />

energia.<br />

A 1,1 ) Spettroscopia elettronica - Spettrofotometria UV-VIS<br />

in soluzione<br />

Attraverso la spettroscopia elettronica è possibile registrare spettri derivanti<br />

da variazioni nell’energia delle molecole dovute a transizioni elettroniche<br />

causate dall’assorbimento di radiazioni la cui lunghezza d’onda<br />

cade nella regione del visibile e dell’ultravioletto (7 x 10 –5 – 3 x 10 –5 cm)<br />

e dell’ultravioletto (3 x 10 –5 – 1 x 10 –5 cm).<br />

La spettrofotometria UV-VIS in soluzione prevede l’estrazione del<br />

colorante dalla fibra utilizzando opportuni solventi (ad esempio acidi<br />

forti). La soluzione così ottenuta viene posta in un idoneo porta campione<br />

(cuvetta) e collocata nello spettrofotometro in maniera tale da essere<br />

investita da radiazioni elettromagnetiche, monocromatiche, la cui lunghezza<br />

d’onda varia in tutto l’intervallo corrispondente alla regione dello<br />

spettro UV-VIS. Di norma viene registrata l’ “assorbanza” oppure la<br />

“trasmittanza”, in funzione della lunghezza d’onda.<br />

Modelli di moderni spettrofotometri (regione del UV/VIS), ad elevate<br />

prestazioni, sono mostrati nella tavola I.<br />

Nel caso di sostanze <strong>coloranti</strong> lo spettro evidenzia l’assorbimento di<br />

radiazioni elettromagnetiche la cui energia è pari a quella delle transizioni<br />

indotte nei cromofori e in altri gruppi o legami presenti nella molecola.<br />

Ad esempio i doppi legami coniugati determinano un forte assorbimento<br />

nel visibile.<br />

L’entità della radiazione assorbita è funzione della concentrazione della<br />

sostanza in soluzione. Tale dipendenza, che segue la legge di Beer e di<br />

Lambert-Bouger, viene espressa analiticamente attraverso le seguenti<br />

equazioni:<br />

209


1<br />

A i () = Log 10 (2)<br />

( )<br />

T i<br />

Ai<br />

( )<br />

A c' () =<br />

1<br />

(3)<br />

l C<br />

i<br />

Nell’equazione (2) T i () e A i (), sono la trasmittanza e l’assorbanza,<br />

mentre nella (3), Ac 1 (), l e C 1 rappresentano rispettivamente il coefficiente<br />

specifico di assorbimento (una costante per le sostanze che verificano<br />

la legge di Beer), lo spessore del campione attraversato dalle radiazioni<br />

e la concentrazione del colorante nella soluzione.<br />

L’assorbanza si ricava misurando, sullo spettro, il massimo dell’assorbimento<br />

in corrispondenza della lunghezza d’onda .<br />

Di norma il riconoscimento di una materia colorante viene effettuato<br />

confrontando lo spettro del campione in esame con quello di sostanze di<br />

riferimento, avendo l’accortezza di seguire nella preparazione delle soluzioni<br />

le identiche procedure.<br />

La quantità, definita come dye strength, è calcolata come il rapporto tra<br />

i coefficienti specifici di assorbimento del campione e dello standard di<br />

riferimento. Naturalmente questa determinazione ha validità solo nel caso<br />

che le sostanze abbiano la stessa formula chimica.<br />

Dall’equazione (3) si ricava che l’assorbanza è proporzionale alla concentrazione<br />

del colorante in soluzione. Pertanto costruendo delle idonee<br />

curve di taratura, utilizzando soluzioni standard contenenti concentrazioni<br />

note del colorante in esame, è possibile, per interpolazione, ricavare la<br />

concentrazione dello stesso nel campione in esame e quindi la corrispondente<br />

massa estratta dalla fibra [1, 2, 3].<br />

La spettrofotometria nella regione del visibile (300-800 nm) viene<br />

comunemente impiegata per la identificazione di <strong>coloranti</strong> estratti da antichi<br />

tessuti.<br />

In alcuni casi, al fine di implementare la sensibilità del metodo, viene<br />

aggiunto un sale, l’acetato di magnesio, il quale legandosi alla molecola<br />

del colorante determina un cambiamento nel colore della soluzione e<br />

quindi uno spostamento del massimo di assorbimento verso lunghezze<br />

d’onda maggiori a cui corrisponde spesso anche un aumento dell’energia<br />

assorbita.<br />

210


Nella figura 1 è riportata una serie di spettri di assorbimento nel visibile<br />

relativi a <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> (indigotina, indirubina, acido chermesico,<br />

luteolina, alizarina, purpurina, mungistina).<br />

Alcune di queste sostanze sono state estratte da tessili antichi (vedasi<br />

figura 1-d e figura 1-l).<br />

Lo spettrogramma di assorbimento dell’indigotina, il principio colorante<br />

che si ricavava dall’Isatis tinctoria e dall’Indigofera tinctoria,<br />

mostra una spalla a circa 550 nm, dovuta alla presenza di una piccola fra-<br />

a)<br />

c)<br />

b)<br />

Fig. 1: Spettri di assorbimento nel visibile (380-800 nm) di alcuni importanti <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>:<br />

a) Indigotina (il colorante è stato estratto da fibre di lana tinte con indaco derivante<br />

dall’Indigofera tinctoria);<br />

b) Indirubina, isomero dell’indigotina, presente come impurezza (colore violetto) nella materia<br />

colorante che si estrae dall’ Indigofera tinctoria;<br />

c) Robbia; il colorante è stato estratto da fibre di lana (per confronto è riportato anche lo spettro<br />

effettuato dopo l’aggiunta di acetato di magnesio (vedasi testo);<br />

d) Acido chermesico, puro e in presenza di acetato di magnesio; il campione di colorante è stato<br />

estratto da un reperto tessile medioevale [Rif. 4].<br />

d)<br />

211


h)<br />

e)<br />

i)<br />

f)<br />

g)<br />

l)<br />

Fig. 1: Spettri di assorbimento nel visibile (380-800 nm) di alcuni importanti <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>:<br />

e) Luteolina, pura e in presenza di acetato di magnesio;<br />

f) Alizarina; da sola e in presenza di acetato di magnesio;<br />

g) Pseudopurpurina, da sola e in presenza di acetato di magnesio;<br />

h) Purpurina, da sola e dopo aggiunta di acetato di magnesio;<br />

i) Mungistina e xantopurpurina, da soli e in presenza di acetato di magnesio.<br />

l) Robbia, estratta da un campione repertato da un tessile antico di origine anglo-scandinavo [Rif. 4].<br />

zione di un suo isomero, l’indirubina, che è assente nell’indaco di sintesi.<br />

Pertanto attraverso la spettrofotometria nel visibile è possibile stabilire<br />

se le fibre sono state tinte con il colorante naturale oppure con quello<br />

sintetico.<br />

212


A 1,2 ) Spettroscopia vibrazionale - Spettrofotometria all’infrarosso<br />

(IR) e in trasformata di Fourier (FTIR)<br />

L’interazione di radiazioni, la cui lunghezza d’onda cade nella regione<br />

dell’infrarosso (0,003 – 0,00025 cm), con molecole di colorante, induce<br />

<strong>dei</strong> fenomeni di assorbimento collegati a vibrazioni (rotazioni, torsioni e<br />

stiramenti) tipici <strong>dei</strong> legami tra atomi che caratterizzano la struttura molecolare<br />

della sostanza. Pertanto uno spettro all’infrarosso consiste di una<br />

serie di picchi, più o meno netti, i cui massimi vanno ad identificare la<br />

lunghezza d’onda e quindi l’energia assorbita da moti vibrazionali relativi<br />

a ben definiti legami chimici.<br />

Ogni sostanza presenta un suo specifico spettro all’infrarosso che può<br />

essere usato come impronta digitale, finger print, per la sua identificazione.<br />

In generale la procedura seguita è quella di confrontare lo spettro<br />

IR di una sostanza sconosciuta con gli spettri raccolti in un atlante di<br />

materiali di cui è nota la struttura molecolare.<br />

La spettroscopia in trasformata di Fourier (FTIR) è una tecnica molto<br />

più raffinata, sofisticata e sensibile attraverso la cui applicazione è possibile<br />

arrivare al riconoscimento di sostanze presenti in miscele complesse<br />

e/o in campioni di piccole dimensioni [Tavola II].<br />

Per effettuare uno spettro IR o FTIR di un colorante è necessario, dopo<br />

averlo estratto dalle fibre, purificarlo, essiccarlo e quindi disperderlo<br />

finemente in mezzi trasparenti all’IR quali il bromuro di potassio (per l’analisi<br />

allo stato solido in pasticche) o oli paraffinici (per l’analisi allo<br />

stato fluido) [2].<br />

Fig. 2: Spettro infrarosso, in trasmittanza, dell’indaco [Rif. 3].<br />

213


Tabella 1<br />

Fibre, mordenti e <strong>coloranti</strong> usati nella costruzione di un archivio<br />

di spettri ottenuti mediante microscopia FTIR.<br />

Fibre Mordenti Coloranti e paese di origine<br />

cotone allume Legno-Brasile (Brasile)<br />

lino allume/tartrato Cocciniglia (Perù)<br />

seta tartrato/stagno Ginestra (Jugoslavia)<br />

lana greggia ferro Indaco (India)<br />

lana twill rame Chermes (Algeria)<br />

Lichene (Indonesia)<br />

Legno-Campeggio (Haiti-Francia)<br />

Robbia (Iran)<br />

Zafferano bastardo (India)<br />

Zafferano (Turchia)<br />

Lacca (Tailandia)<br />

Reseda luteola (Germania)<br />

a) b)<br />

Fig. 3: Spettri FTIR di una fibra di lana:<br />

a) così come ottenuto dopo 250 scans;<br />

b) dopo rimozione degli effetti della linea di base e di altri elementi di perturbazione.<br />

Lo spettro in b) è stato inserito nell’archivio di riconoscimento costruito da Gillard et al. [Rif. 6].<br />

Nel 1964 D.H. Abraham e B. M. Edelstein mediante spettroscopia IR<br />

dimostrarono la presenza, in reperti tessili risalenti al 135 a.C., di <strong>coloranti</strong><br />

<strong>naturali</strong> quali lo zafferano, la robbia e l’indaco (figura 2) [5].<br />

Nel 1994 R.D. Gillard et al. hanno dimostrato che è possibile identificare<br />

i <strong>coloranti</strong>, <strong>impiegati</strong> nella tintura di un antico reperto tessile, regi-<br />

214


strando, attraverso l’impiego di un idoneo microscopio, lo spettro FTIR<br />

direttamente dalle fibre del campione in esame, evitando così tutte le problematiche<br />

connesse ai processi di estrazione (tavola III) [6].<br />

Per fare ciò è stato necessario costruire un archivio contenente gli spettri<br />

di fibre di lana, seta, cotone e lino, colorate con una vasta gamma di<br />

<strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>. Inoltre considerato che «a dyed, mordanted fibre gave<br />

an IR peak shifted from that of the unbonded dye» l’archivio è stato completato<br />

con gli spettri ottenuti da fibre tinte mediante varie combinazioni<br />

di colorante e mordente (tabella 1 e figura 3) [6].<br />

Il metodo di analisi è stato tarato su di un campione ricavato da una<br />

tunica ritrovata in una miniera di carbone del Leicestershire (U.K.). I<br />

risultati sono stati così descritti dagli Autori:<br />

«The highly degraded fibres taken from the buttonhole areas of the garment<br />

were unidentifiable using conventional microscopic techniques. FTIR spectroscopy<br />

of the fibres not only showed them to be cellulosic but, by using the<br />

library reference spectra, the fibre was clearly shown to have been dyed with<br />

indigo (vedasi figura 4, n.d.A.). The high degree of degradation of the textile<br />

reduced the strong IR absorption bands present in the spectrum due to the<br />

fibre and the degree of chemical interaction between fibre and dye. This<br />

revealed the IR absorption produced by the dye itself to a greater extent and<br />

made identification particularly easy, using only a reference spectrum obtained<br />

from free indigo dye. … The technique of FTIR microscopy, used in this<br />

manner, provides a valuable, fast, non-destructive first screening technique<br />

for dye samples. It completely avoids the time wasted in extracting and<br />

analysing samples with dye residues at levels below the minimum detectable<br />

limit of spectrophotometry» [6].<br />

Fig. 4: Lo spettro FTIR dell’indaco<br />

preso come standard<br />

di riferimento (curva-1) è confrontato<br />

con lo spettro FTIR<br />

ottenuto da una fibra cellulosica<br />

estratta da una antica tunica<br />

ritrovata in una miniera del<br />

Leicestershire (U.K.) (curva<br />

2). Il confronto permette di<br />

concludere che il colorante<br />

usato, all’epoca, per la tintura<br />

del manufatto, era proprio l’indaco<br />

[Rif. 6].<br />

215


Una interessante metodica, che ha permesso di ottenere spettri FTIR<br />

dell’alizarina allo stato solido, è stata sviluppata presso lo Shenkar<br />

College Edelstein Center (Israele). In particolare questa metodica prevede<br />

la dissoluzione del colorante in metanolo o acetone e quindi la deposizione<br />

di alcune gocce della soluzione sulla superficie piana e levigata di<br />

un cristallo di ZnSe e successiva evaporazione veloce del solvente. I<br />

risultati sono mostrati nella figura 5 dove lo spettro FTIR registrato spettrando<br />

il campione di colorante solido depositato sulla superficie del cristallo<br />

di ZnSe è confrontato con quello ottenuto sottoponendo ad esame<br />

una pasticca compressa di una miscela di alizarina in KBr.<br />

«The relatively minimal sample preparation time associated with the attenuated<br />

multiple internal reflectance spectrum (figura 5-a, n.d.A.) compares<br />

quite favourably with the classical time-consuming KBr technique, which<br />

yields the corresponding transmission spectrum (figura 5-b, n.d.A.)» [7].<br />

Fig. 5: Spettri FTIR dell’Alizarina:<br />

a) dopo deposizione da metanolo sulla superficie piana di un cristallo di ZnSe (ATR (o MIR)<br />

Mode); b) da pasticca di KBr (Trasmission Mode) [Rif. 7].<br />

216


A 1,3 ) Spettroscopia Raman<br />

La spettroscopia Raman è basata fondamentalmente sull’Effetto<br />

Raman, scoperto nel 1928, il quale consiste nel fatto che nella luce diffusa<br />

da una sostanza sono presenti radiazioni aventi frequenze differenti<br />

da quelle della luce incidente.<br />

Questo effetto è la conseguenza dell’urto tra fotoni e molecole che<br />

causa una modificazione dell’energia, e quindi della lunghezza d’onda,<br />

degli stessi fotoni. L’entità del fenomeno è proporzionale alla variazione<br />

dell’energia rotazionale o vibrazionale delle molecole indotta dalla radiazione<br />

incidente.<br />

La spettroscopia Raman, rappresenta una metodica di grande efficacia<br />

per determinare la struttura molecolare di liquidi e solidi cristallini e per<br />

lo studio del loro comportamento fisico. Essa ha ricevuto un notevole<br />

impulso dall’impiego di luce monocromatica-laser.<br />

Uno spettro Raman viene ottenuto analizzando e registrando, opportunamente,<br />

la luce diffusa da un campione, tenuto in un apposito contenitore<br />

trasparente, quando viene colpito da una intensa radiazione monocromatica<br />

emessa da una fonte di luce laser. Mediante spettroscopia<br />

Raman è possibile ricavare direttamente le frequenze corrispondenti a<br />

moti vibrazionali e rotazionali delle molecole costituenti la sostanza in<br />

esame e quindi dedurre utili informazioni circa la geometria e la struttura<br />

delle stesse [Tavola IV].<br />

La spettroscopia Raman, che presenta il vantaggio rispetto a quella IR<br />

di potere essere applicata a soluzioni di <strong>coloranti</strong>, è stata impiegata da<br />

vari ricercatori nell’identificazione di fibre tessili e di <strong>coloranti</strong> quali l’indaco<br />

e la porpora [3].<br />

La messa a punto di una nuova generazione di microsonde ha reso possibile<br />

l’analisi non distruttiva di campioni di piccolissime dimensioni (~<br />

5mm).<br />

«With Raman microprobes using laser excitation, the incident beam is focused<br />

through the microscope and, at the impact spot, the luminous energy<br />

becomes very concentrated; thus, when applied to fragile samples, it has to<br />

be reduced to avoid possible thermal or photochemical alteration.<br />

Fortunately, most of the compounds … are lightfast enough to allow Raman<br />

measurements without alteration. Their number is further increased when<br />

using new and more sensitive multichannel microprobes…» [8].<br />

Esempi di spettri Raman, relativi allo zafferano in polvere, il ben noto<br />

217


Fig. 6: Spettri Raman di un granello polverizzato<br />

di zafferano:<br />

a) luce laser – 514,5 nm;<br />

b) luce laser – 457,9 nm.<br />

La pendenza delle curve dipende dal fatto<br />

che il colorante è fluorescente [Rif. 8].<br />

colorante naturale giallo, sono riportati nella figura 6. Gli spettri mostrati<br />

sono stati ottenuti usando due diverse radiazioni a dimostrazione del<br />

fatto che è possibile, anche in presenza di forti fenomeni di fluorescenza,<br />

migliorare la definizione <strong>dei</strong> picchi [8].<br />

A 1,4 ) Tecniche di microanalisi: microspettrofotometria in<br />

riflessione e in trasmissione e microfluorimetria.<br />

Queste tecniche, sviluppate negli ultimi anni, sono basate sulla assemblaggio<br />

di una microsonda, di un microscopio ottico, di uno spettrofotometro<br />

e di un appropriato sistema computerizzato per l’analisi <strong>dei</strong> dati.<br />

Questa nuova generazione di apparecchiature permette di effettuare<br />

analisi, non distruttive, su campioni di dimensioni molto piccole. Esempi<br />

di spettri ottenuti mediante la tecnica della microspettrofotometria a<br />

riflettanza diffusa, relativi ad un campione di un granello polverizzato di<br />

zafferano e di microcristalli di indaco e di indirubina sono mostrati rispettivamente<br />

nelle figure 7 e 8 [8].<br />

L’esame <strong>dei</strong> profili di questi spettri di assorbimento, permette di ottenere,<br />

in tempi brevissimi (circa un minuto) informazioni utili al riconoscimento<br />

di <strong>coloranti</strong> e pigmenti, purchè si abbiano a disposizione analoghi<br />

spettri di campioni di riferimento [8].<br />

Molti <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> sono fluorescenti, hanno cioè la capacità di<br />

emettere delle radiazioni aventi una lunghezza d’onda maggiore (una frequenza<br />

minore) di quella della luce incidente. Il fenomeno, a differenza<br />

218


Fig. 7: Spettro in riflettanza diffusa<br />

di un granello polverizzato di<br />

zafferano [Rif. 8].<br />

Fig. 8: Spettri in riflettanza diffusa<br />

ottenuti da microcristalli, estratti<br />

mediante TLC (Thin Layer<br />

Chromatography), di indaco (curva<br />

A) e di indirubina (curva B) [Rif. 8].<br />

della fosforescenza, termina al cessare della causa eccitante. Su questo<br />

fenomeno è basato un importante metodo di analisi strumentale che viene<br />

comunemente denominata fluorimetria. Lo schema di un dispositivo per<br />

la spettroscopia di fluorescenza è mostrato nella tavola V [9].<br />

La metodica della microfluorometria è stata applicata da B.Guineau su<br />

due microcampioni di indaco usando una luce laser (He/Ne) di 632 nm.<br />

Gli spettri risultanti sono mostrati nella figura 9.<br />

In particolare lo spettro relativo alla curva (A) è relativo ad uno standard<br />

di riferimento di indaco naturale, mentre quello della curva (B) è<br />

stato ottenuto spettrando un piccolo frammento di una lettera, colorata in<br />

blu, appartenente ad un manoscritto del nono secolo derivante dal nord<br />

della Spagna. Dal confronto <strong>dei</strong> due spettri è stato possibile giungere alla<br />

conclusione che il colorante/pigmento impiegato per colorare il reperto<br />

fosse l’indigotina [8].<br />

219


Fig. 9: Applicazione delle tecniche della microfluorometria alla analisi di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>.<br />

CURVA (A): standard di indaco naturale;<br />

CURVA (B): microcampione prelevato da un manoscritto spagnolo del nono secolo [Rif. 8].<br />

A 1,5 ) Spettrofluorimetria ai raggi X e microscopia elettronica a<br />

scansione combinata con la spettroscopia a dispersione<br />

di energia ai raggi X<br />

- Fluorimetria ai raggi X (XRF)<br />

Quando un campione di fibra colorata viene investito da raggi X monocromatici<br />

a bassa energia, gli atomi degli elementi costituenti, a seguito<br />

del fenomeno di fluorescenza, ri-emettono raggi X aventi una energia più<br />

bassa di quella della luce incidente.<br />

Mediante la tecnica della spettrofluorimetria è possibile quindi registrare<br />

spettri che presentano una serie di picchi le cui energie ed aree sottese,<br />

permettono di risalire in maniera quantitativa agli atomi degli ele-<br />

220


menti presenti nel campione. La spettrofluorimetria è tanto più sensibile<br />

quanto più elevato è il numero atomico degli elementi [10].<br />

- Microscopia elettronica a scansione abbinata alla microscopia<br />

a dispersione di energia ai raggi X<br />

E’ una metodica che combina la microscopia elettronica a scansione<br />

(tavola VI) con la spettrofluorimetria ai raggi X, pertanto essa viene comunemente<br />

denominata SEM-EDXA oppure SEM-X-Ray micro-analisi.<br />

Il materiale in esame, opportunamente trattato e posto in un portacampione,<br />

è investito dai raggi elettronici di un microscopio elettronico a scansione.<br />

In queste condizioni si verifica che gli elettroni degli atomi costituenti<br />

si eccitano emettendo raggi X aventi frequenze che sono caratteristiche<br />

della natura chimica degli stessi atomi.<br />

Nel caso della SEM-EDXA il raggio elettronico primario viene focalizzato<br />

su di una piccolissima area (~ 1 mm di diametro); questo permette,<br />

spostando la dir<strong>ezio</strong>ne del raggio incidente, di analizzare sistematicamente<br />

l’intera superficie del campione in esame e quindi di determinare<br />

eventuali variazioni nella concentrazione degli elementi presenti [3].<br />

Con questa tecnica è possibile analizzare anche elementi aventi valori del<br />

numero atomico relativamente bassi, ad esempio il sodio (numero atomico = 11).<br />

Tabella 2<br />

Applicazione dell'analisi SEM-EDXA a campioni di fibre di lana<br />

mordenzate e successivamente sottoposte a tintura con cocciniglia.<br />

Nella colonna a sinistra è riportata la formula chimica delle sostanze<br />

mordenti con le quali sono state trattate le fibre di lana moderna<br />

prima della tintura. Il peso di ciascun mordente (in oncie) relativo<br />

ad una libbra di lana è indicato nella colonna a sinistra.<br />

Mordente<br />

Peso del mordente (in oncie)<br />

relativo a una libbra di lana<br />

K 2 SO 4 Al 2 (SO 4 ) 3 x 24H 2 O 4,0<br />

Cu SO 4 x 5H 2 O 1,0<br />

FeSO 4 x 7H 2 O 1,0<br />

Sn Cl 2 x 2H 2 O 0,5<br />

K 2 Cr 2 O 7 0,5<br />

221


La SEM-EDXA è stata utilizzata, da Koestler et al. e da Indictor et al.<br />

(1985) e successivamente nel 1989 da Green et al. per determinare la<br />

composizione chimica <strong>dei</strong> mordenti <strong>impiegati</strong> nei processi di tintura di<br />

tessili di rilevante interesse archeologico-storico-culturale [10, 11, 12].<br />

Per fare ciò si è provveduto alla preparazione di campioni di riferimento<br />

di fibre tessili <strong>naturali</strong> moderne (seta, cotone e lana) opportunamente<br />

mordenzate. In alcuni casi queste fibre sono state sottoposte anche a procedimenti<br />

di tintura con sostanze e con <strong>coloranti</strong> a composizione nota.<br />

In particolare N. Indictor, R. J. Koestler e R. Sheryll hanno analizzato<br />

campioni di fibre di lana moderna sottoposte a processo di tintura alla<br />

cocciniglia dopo trattamento con diversi tipi di mordenti.<br />

La formula chimica <strong>dei</strong> mordenti usati rispetto ad una libbra di lana e<br />

la corrispondente quantità impiegata sono riportati nella tabella 2. In<br />

alcuni <strong>dei</strong> processi di tintura sono state utilizzate anche delle sostanze<br />

additive quali il cremore di tartaro, il sommacco e l’acido ossalico [12].<br />

La frazione in peso degli elementi metallici presenti nei mordenti,<br />

Tabella 3<br />

Confronto tra la frazione in peso degli elementi metallici<br />

presenti nei mordenti <strong>impiegati</strong> in processi di tintura della<br />

lana con cocciniglia (seconda colonna), e quella fissata<br />

realmente sulle fibre ricavata mediante una tecnica<br />

analitica indipendente (AA) (terza colonna).<br />

Elemento Quantità (%) massima Elemento (analisi AA (c) )<br />

di elemento presente nel<br />

campione mordenzato (a)<br />

Al (b)


determinata mediante SEM-EDXA è confrontata, nella tabella 3, con<br />

quella ottenuta attraverso una tecnica microanalitica indipendente (assorbimento<br />

atomico – AA). I dati riportati nella seconda colonna sono stati<br />

ricavati assumendo che tutto il mordente impiegato rimanesse fissato<br />

sulle fibre di lana sottoposte a trattamento di mordenzatura e quindi di<br />

tintura.<br />

Dalla tabella 3 emerge che la quantità di mordente realmente riscontrata<br />

nelle fibre (ultima colonna a destra), con la sola ecc<strong>ezio</strong>ne di quelle<br />

trattate con sali di stagno, è sostanzialmente minore di quella sperimentalmente<br />

usata.<br />

In particolare è stato osservato che la quantità di mordente che rimane<br />

sulle fibre è sistematicamente maggiore quando al processo di mordenzatura<br />

segue quello di tintura [12].<br />

I risultati degli studi di cui sopra hanno permesso agli Autori di concludere<br />

che:<br />

«1. The use of different mordants and additives in the cochineal dyeing of<br />

wool produced a wide variety of color.<br />

2. The elements aluminium, iron copper, tin and chromium were un-ambiguously<br />

matched respectively with wool samples which were mordanted<br />

with K 2 SO 4 A1 2 (SO 4 ) 3 .·24H 2 O, FeSO 4 ·7H 2 O, CuSO 4 · 5H 2 O, SnC1 2 · 2H 2 O<br />

and dyed with cochineal.<br />

3. Some samples gave trace analyses in EDXA scans for iron and aluminium<br />

(although not actually used in the mordanting procedure) but far less than<br />

when these elements were actually used in the mordanting procedure. The<br />

ratio of the weight percent, metallic element/sulfur, appears to provide a useful<br />

criterion for deciding whether or not a mordant has been applied to wool.<br />

The criterion may also be extended to the analysis of silk samples.<br />

4. Atomic absorpion analyses confirm the presence of metallic elements in<br />

greater than trace quantities as by EDXA scans. EDXA scans indicating trace<br />

quantities of elements (Al and Fe) are also confirmed» [12].<br />

La tecnica SEM-EDXA è stata applicata da L.R. Green e V. Daniels a<br />

s<strong>ezio</strong>ni trasversali di fibre di lana moderna trattate con mordenti e <strong>coloranti</strong><br />

noti con l’obiettivo di analizzare la distribuzione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> e <strong>dei</strong><br />

mordenti lungo una dir<strong>ezio</strong>ne normale all’asse di fibra. Come mordenti<br />

sono stati <strong>impiegati</strong> il solfato di potassio e alluminio, il cloruro di stagno,<br />

il solfato di ferro e il solfato di rame [10].<br />

Dopo la mordenzatura i campioni di lana sono stati sottoposti, per<br />

tempi diversi, ad un processo di tintura alla robbia. L’analisi effettuata,<br />

223


con riferimento alla figura 10, ha portato alle seguenti conclusioni:<br />

«Sulphur:This was homogeneous in all samples examined (figura 10-D).<br />

Aluminium:A digimap showed a concentration of aluminium on the surface<br />

of the fibres. The time in the dye bath appeared to have no effect on the<br />

extent of penetration of the metal into the fibres (figura 10-A).<br />

Copper: Copper appeared to be distributed relatively homogeneously throughout<br />

the sample examined (figura 10-C).<br />

Tin: This element was concentrated in the first few microns of the surface of<br />

the wool fibres examined. Penetration of the metal into the fibre appeared to<br />

be similar whether the wool had been treated for half or six hours in the dye<br />

bath (figura 10-B).<br />

Calcium: The calcium appeared to be fairly evenly dispersed across the<br />

fibre section» [10].<br />

Un interessante applicazione della tecnica EDXA, recentemente pubblicata<br />

da Martuscelli et al. [13], ha permesso la caratterizzazione di un<br />

antico tessuto, utilizzato come supporto di papiri conservati nel Museo<br />

Egizio del Cairo, con l’obiettivo di determinarne lo stato di conservazione.<br />

Un frammento di questo supporto, risultato essere tessuto in fibre di<br />

cotone (tavola VII) di colore beige uniforme con spessore pari a circa<br />

0,20 mm presenta (tavola VII-a), in alcune zone, macchie di colore<br />

bruno. Dagli spettri di emissione EDXA, riportati nella tavola VIII, si<br />

ricava che nel campione sono contenuti elementi quali Al, Si, S, K, Ca e<br />

Mg. Questa osservazione può essere spiegata ammettendo che sulla<br />

Fig. 10: Applicazione della tecnica SEM-EDXA all’analisi di superfici di s<strong>ezio</strong>ni trasversali di<br />

fibre di lana prima mordenzate e quindi tinte con robbia.<br />

Distribuzione degli elementi presenti nei mordenti:<br />

A- alluminio (da allume);<br />

B- stagno (da cloruro di stagno);<br />

C- rame (da solfato di rame);<br />

D- zolfo (principalmente dalle proteine costituenti le fibre di lana) [Rif. 10].<br />

224


superficie del tessuto siano presenti minerali e/o sali organici i cui cristalli,<br />

diffrangendo i raggi X ad alto angolo, darebbero luogo ai riflessi<br />

estranei a quelli della cellulosa nativa così come mostrato dal profilo<br />

d’intensità WAXS <strong>dei</strong> campioni di tessuto riportato nella tavola IX [13].<br />

Va sottolineato che, nel caso di campioni di tessuto con macchie, oltre<br />

agli elementi sopra citati si riscontra anche la presenza di Cl e Fe (tavola<br />

VIII-b). Tali elementi sono entrambi in grado di promuovere processi<br />

degradativi della cellulosa. I composti del Fe hanno, infatti, un elevato<br />

grado di attività catalitica specialmente nel favorire reazioni di ossidazione.<br />

Il Cl a sua volta può promuovere fenomeni degradativi che si realizzano<br />

sia attraverso idrolisi acida, sia attraverso reazioni di ossidazione<br />

dell’anello glucosidico.<br />

I metodi spettroscopici (spettrofotometria UV/VIS/NIR) associati a<br />

saggi chimici non hanno evidenziato la presenza di sostanze <strong>coloranti</strong>,<br />

quindi la presenza di Fe rilevata mediante EDXA non può essere imputata<br />

né a una colorazione superficiale ad opera di composti ocracei insolubili,<br />

né a composti del ferro introdotti deliberatamente per mordenzare<br />

il tessuto oppure come fissanti nei processi di pre e post-tintura [13].<br />

Da quanto sopra illustrato è possibile affermare che le tecniche XRF e<br />

SEM-EDXA sono di grande supporto nell’identificazione <strong>dei</strong> componenti<br />

elementari presenti a vario titolo in tessuti sottoposti a tintura. In particolare<br />

con queste tecniche è possibile ricavare informazioni atte a determinare<br />

il tipo di mordenti impiegato e quindi a delucidare il processo di<br />

tintura utilizzato.<br />

A 2 ) Metodi cromatografici<br />

La cromatografia, è una tecnica di analisi attraverso la quale è possibile<br />

«la separazione e la purificazione di sostanze organiche e inorganiche partendo<br />

dalle loro miscele e sfruttando la diversa velocità di migrazione <strong>dei</strong><br />

diversi componenti su opportuni supporti» [14].<br />

Il principio fondamentale della cromatografia consiste nel fatto che una<br />

miscela di sostanze, trasportata da una fase mobile (un liquido oppure un<br />

gas) attraversa una fase stazionaria con la quale le sostanze in esame<br />

interagiscono mostrando una minore o maggiore affinità.<br />

I vari momenti di un processo di separazione cromatografica sono schematicamente<br />

illustrati nella figura 11 [14].<br />

Le metodiche basate sul principio della cromatografia hanno registrato,<br />

225


Fig. 11: Rappresentazione<br />

schematica delle varie fasi<br />

di un processo di migrazione<br />

e separazione cromatografica<br />

di una miscela<br />

di tre diverse sostanze<br />

(in nero, in grigio e in<br />

bianco in figura):<br />

a) fase iniziale;<br />

b) fase intermedia;<br />

c) fase finale, le tre sostanze<br />

sono migrate separandosi<br />

nettamente tra loro<br />

[Rif. 14].<br />

negli ultimi decenni, un formidabile sviluppo che ha portato alla messa a<br />

punto di una ampia gamma di tecniche sempre più sofisticate e mirate<br />

all’utilizzo e al raggiungimento di particolari obiettivi di analisi.<br />

Il vantaggio che offre la cromatografia rispetto alle altre metodologie<br />

analitiche, finora trattate, è quello di potere contemporaneamente effettuare<br />

la separazione <strong>dei</strong> componenti, presenti in un campione ignoto, e la<br />

loro identificazione.<br />

Tutto questo è possibile purché si disponga di cromatogrammi di riferimento<br />

con i quali confrontare quelli in esame [3].<br />

A 2,1 ) Cromatografia su strato sottile (thin-layer chromatography)<br />

(TLC)<br />

In questa tecnica la fase eluente risale per capillarità attraverso i micropori<br />

di uno strato sottile (allumina, silice, cellulosa, ecc.) steso sulla<br />

superficie di una lastra di vetro piana, che agisce da supporto.<br />

Alcune gocce della sostanza incognita, o della miscela di più composti,<br />

insieme al riferimento, sono poste all’estremità inferiore della piastra in<br />

corrispondenza della linea di partenza. A questo punto la piastra viene<br />

immersa con la sua parte terminale, in una bacinella contenente l’eluente<br />

che salendo per capillarità verso l’alto trasporta con se le sostanze<br />

disciolte. Durante questo percorso ascendente i componenti la soluzione<br />

226


Fig. 12: Esempio di applicazione della TLC<br />

al riconoscimento di <strong>coloranti</strong> in antichi tessuti.<br />

Cromatogrammi TLC:<br />

a) di un colorante rosso estratto da una tunica<br />

ritrovata in una antica miniera di rame in<br />

Israele;<br />

b) un colorante moderno ricavato dalle radici<br />

della robbia [Rif. 15].<br />

sono progressivamente ad-sorbiti e de-sorbiti dalla fase stazionaria con<br />

una velocità relativa che è caratteristica della loro struttura molecolare.<br />

Pertanto questo processo porta alla separazione <strong>dei</strong> componenti, i quali<br />

se sono colorati tingono lo strato assorbente.<br />

Il processo termina quando l’eluente ha raggiunto una certa altezza<br />

(front-line). A questo punto si provvede a sviluppare il cromatogramma.<br />

Questa operazione consiste, usando appropriati reattivi, nell’evidenziare,<br />

colorandole, le macchie presenti lungo il tracciato. Confrontando il cromatogramma<br />

così ottenuto con quello di sostanze standard di riferimento<br />

si risale alla identificazione del colorante in esame.<br />

Mediante TLC è anche possibile, una volta identificato e separato il<br />

colorante, recuperarlo dalla fase stazionaria e sottoporlo ad analisi di conferma<br />

utilizzando altre metodiche di analisi (UV-VIS, IR ecc.) [2].<br />

Dal cromatogramma TLC si ricava il fattore di ritenzione (Rf) che è una<br />

grandezza caratteristica di ogni sostanza, in relazione alle condizioni<br />

usate per l’effettuazione dell’analisi cromatografica (natura dell’eluente,<br />

della fase stazionaria, temperatura ecc.).<br />

Il fattore di ritenzione viene calcolato come il rapporto tra la distanza della<br />

macchia dalla linea di partenza e quella tra il front-line e la linea di partenza.<br />

La TLC è ampiamente impiegata nella identificazione di <strong>coloranti</strong> presenti<br />

in tessili di grande valore artistico-storico-culturale.<br />

Un esempio è illustrato nella figura 12 dove sono mostrati i cromatogrammi<br />

TLC di un estratto di un colorante rosso recuperato da un tessuto<br />

ritrovato in una antica miniera di rame a Wadi Amram (Deserto del<br />

227


Negev-Israele) (figura 12-a) e di un colorante moderno ricavato dalle<br />

radici della Rubia tinctorium (figura 12-b). Dal confronto si conclude<br />

che il colorante usato, illo tempore, per tingere la tunica del minatore è<br />

esattamente uguale a quello che si ricava dalla robbia che è ben noto essere<br />

costituito da due componenti: l’alizarina e la purpurina [15].<br />

H. Schweppe ha dimostrato come, attraverso l’impiego della TLC, è<br />

stato possibile identificare la provenienza di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> <strong>impiegati</strong><br />

in processi di tintura che prevedevano l’utilizzo di una combinazione di<br />

diversi principi <strong>coloranti</strong>. In particolare la TLC ha reso possibile l’identificazione<br />

di <strong>coloranti</strong> vegetali di natura idrossiantrachinonica che sono<br />

molto simili a quelli che si ricavano dalle radici della robbia.<br />

«… madder can be distinguished by this method from other similar dyer’s<br />

plants. Madder root (Rubia tinctoria L.), hedge bedstraw (Galium mollugo<br />

L.), South American madder or relbun root (Relbunium ciliatum L.), root<br />

bark of the Indian “mang-kouda” (Morinda umbrellate L.), the dye<br />

“Karamu” of the Maoris in New Zealand, the coprosma root (Coprosma lucida<br />

L.) and the Indian dye “pitti” (Ventilago madraspatana L.) can be clearly<br />

distinguished from one another in this manner.<br />

The separation is carried out on Mikropolyamid F 1700 with the solvent<br />

mixture toluene-glacial acetic acid (9:1). The uranyl lakes of the individual<br />

hydroxyanthraquinone dyes, which vary in their shades, are obtained on the<br />

chromatogram under standard condition (chamber saturation) by subsequent<br />

dipping in a dilute solution of uranyl acetate» [16].<br />

Come si evince dai dati della tabella 4 i <strong>coloranti</strong> sopra citati si differenziano<br />

nettamente sulla base del valore del fattore di ritenzione R F e<br />

della colorazione della lacca a seguito del trattamento con acetato di uranile,<br />

e questo a dimostrazione che la TLC è molto selettiva e specifica<br />

nella separazione di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> vegetali, appartenenti alla classe<br />

degli idrossiantrachinoni, estratti da piante simili alla robbia.<br />

La TLC è stata applicata anche alla separazione e quindi alla identificazione<br />

di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> rossi di origine animale contenuti in una miscela i cui<br />

componenti erano stati estratti dalla cocciniglia, dalla lacca e dal chermes.<br />

«In the case of lac dye, clearly the separation of the laccaic acids … can be<br />

seen, and in the case of kermes, the separation into kermesic acid (green<br />

spot) and flavokermesic acid (red spot) can be seen…<br />

Before the discovery of America by Columbus and long before the cochineal<br />

(Dactylopius coccus) from Central and South America was known in<br />

Europe, kermes was an important red insect dye in the whole Mediterranean<br />

228


egion. In the literature, it is pointed out almost exclusively that the two kermes<br />

species “Kermes vermilio” and “Kermes ilicis L.” are suitable for<br />

dyeing purposes. … only Kermes vermilio is suitable for dyeing purposes<br />

and must, therefore, be regarded as the kermes dye known from classical<br />

antiquity. … Kermes vermilio was the most important species of Kermes for<br />

dyeing in former times. TLC comparison proves that only Kermes vermilio<br />

contains the dyes kermesic acid and flavokermesic acid, which are essential<br />

for dyeing; Kermes ilicis L. does not contain these acids» [16].<br />

Tabella 4<br />

Applicazione della cromatografia su strato sottile<br />

(TLC) a miscele di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> vegetali rossi.<br />

Fattore di ritenzione R F di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong><br />

idrossiantrachinonici estratti da piante simili alla robbia<br />

e colore della lacca sul cromatogramma.<br />

Idrossiantrachinoni R F Colore della lacca<br />

sul cromatogramma (a)<br />

Alizarina<br />

(1,2 - diidrossiantrachinone) 42 violetto-blu<br />

Purpurina<br />

(1,2,4 - triidrossiantrachinone) 33 grigio<br />

Pseudopurpurina<br />

(1,2,4 triidrossiantrachinone-3-acido carbossilico) 6 grigio<br />

Xanthopurpurina<br />

(1,3 - diidrossiantrachinone) 14 rosso arancio<br />

Rubiadina<br />

(1,3 - diidrossi-2-metilantrachinone) 22 rosso<br />

Mungistina<br />

(1,3-diidrossiantrachinone-2-acido carbossilico) 2 rosso<br />

Morindone<br />

(1,5,6-triidrossi-2-metilantrachinone) 45 verde-blu<br />

Emodina<br />

(1,6,8-triidrossi-3-metilantrachinone) 16 magenta<br />

(a) a seguito di trattamento con acetato di uranile<br />

229


I metodi tradizionali di estrazione di un colorante al mordente dalle<br />

fibre di un tessuto sono basati essenzialmente sull’uso di acido cloridrico<br />

o acido solforico diluiti ai quali si aggiungono, se necessario, <strong>dei</strong> solventi<br />

organici quali il metanolo, l’etanolo oppure l’acetone.<br />

Questi trattamenti possono dar luogo a rilevanti fenomeni degradativi. Ad<br />

esempio è stato trovato che nel caso di <strong>coloranti</strong> antrachinonici contenenti<br />

gruppi carbossilici si libera anidride carbonica; pertanto sostanze quali la<br />

pseudopurpurina e la mungistina vengono trasformate in purpurina o purpuroxantina.<br />

Questa reazione di decarbossilazione può portare ad una non<br />

corretta analisi <strong>dei</strong> componenti la materia colorante usata in origine.<br />

Al fine di evitare questi processi di degradazione H. Schweppe ha<br />

messo a punto un nuovo metodo per l’estrazione dai tessili di campioni<br />

di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> vegetali la cui procedura nelle sue parti essenziali è<br />

qui di seguito riportata:<br />

«The analytical sample weighing 1-5 mg is heated in a test tube for about<br />

one minute with 10 ml of a 1:1 mixture of 10% sulfuric acid and ethyl acetate,<br />

butyl acetate, or toluene in a simmering water bath until the aqueous<br />

phase is completely colorless and the organic phase has turned yellow or<br />

orange-yellow. The lower, aqueous phase is allowed to run out of a small<br />

separating funnel, and the upper, organic phase is shaken with water until it<br />

gives an almost neutral reaction to pH paper. The dye solution is evaporated<br />

to dryness in vacuo or in a porcelain dish in an air current at room temperature.<br />

The evaporation residue is taken up with a small amount of methanol<br />

or butanone-2 (for pseudopurpurin), and the solution is poured into a small,<br />

5-ml or 1-ml test tube and concentrated in the test tube with an air current …<br />

to obtain a sample for thin-layer chromatographic comparisons» [17].<br />

Il metodo di estrazione escogitato da Schweppe è risultato essere molto<br />

utile anche nella preparazione delle soluzioni di riferimento necessarie al<br />

riconoscimento, mediante TLC, <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> vegetali (al mordente per<br />

tingere lana) che anticamente venivano estratti dalle radici delle piante<br />

appartenenti alla famiglia delle Rubiaceae (Rubia tinctorium; Rubia<br />

peregrina; Rubia cordifolia; Rubia akane) e alla specie del Gallium, del<br />

Rebulnium, della Morinda, della Odenlandia, della Croposma e della<br />

Ventilago.<br />

Vista la natura al mordente <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> di cui sopra, nel preparare i<br />

campioni tessili di riferimento, prima della tintura, le fibre o i tessuti di<br />

lana venivano mordenzati con sali di alluminio oppure di ferro [17].<br />

L’Autore ha inoltre sottolineato che quando si sottopone a stripping un<br />

230


colorante rosso, utilizzando la miscela costituita da una parte di acido<br />

solforico al 10% e da una parte di acetato di etile, e si ottiene un sistema<br />

bifasico dove lo strato superiore presenta un colore giallo o giallo-arancio<br />

mentre quello inferiore è praticamente incolore, allora è possibile concludere<br />

che la materia colorante appartiene alla classe <strong>dei</strong> Madder dyes.<br />

Al contrario se nell’applicare il nuovo metodo di stripping ad un colorante<br />

rosso, di origine ignota si osserva che è lo strato di acetato di etile<br />

ad acquisire un colore arancio, allora è probabile che la materia colorante<br />

abbia origine animale (insect dyes). Una colorazione rosso-arancio<br />

dello strato di acido solforico indicherebbe, invece, la presenza di acido<br />

carminico oppure di acidi laccaidici.<br />

La nuova tecnica di estrazione messa a punto da Schweppe ha permesso di<br />

identificare, mediante TLC, una serie di importanti <strong>coloranti</strong> di origine animale<br />

che nel passato venivano comunemente <strong>impiegati</strong> per tingere la lana di<br />

rosso. Alcune di queste materie <strong>coloranti</strong> sono qui di seguito elencate:<br />

_ Dactylopius coccus (prodotto dalla cocciniglia americana).<br />

_ Kermococcus vermilio (prodotto dal kermes).<br />

_ Porphyrophora polonica (estratto dalla cocciniglia polacca).<br />

_ Keria lacca kerr (prodotta dal “dye lac”).<br />

J. H. Hofenk – de Graaff e W. G. Th. Roelofs hanno mostrato come<br />

attraverso l’utilizzo della TLC fosse possibile separare e ricoscere una<br />

vasta gamma di <strong>coloranti</strong> gialli appartenenti alla famiglia <strong>dei</strong> flavonoidi<br />

«the most occuring yellow dyestuffs in ancient textiles» [18].<br />

Come già precedentemente riportato, prima della scoperta <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong><br />

sintetici, nelle pratiche tintorie venivano usati, per la produzione di<br />

tinte gialle, materie <strong>coloranti</strong> di origine vegetale estratti prevalentemente<br />

dalle seguenti piante:<br />

Reseda luteola; Genista tinctoria; Rhamnus migdinus; Rhamnus oleoides;<br />

Rhamnus axatilis; Rhamnus alaterins; Rhamnus infectorius;<br />

Rhamnus cathartica; Morus tinctoria; Rhuscotinus; Quercus tinctoria;<br />

Carthamus tinctorius; Crocus sativus; Curcuma longa; Bixa orellana;<br />

Punica granatum; Rhus coriaria; Acacia catechu.<br />

Al fine di procedere alla identificazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> usati nella tintura di<br />

antichi tessili si è provveduto a preparare degli standards ottenuti per estrazione<br />

da fibre di lana tinte con <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> a struttura chimica nota.<br />

Le fibre di lana, prima della tintura sono state sottoposte ad un processo<br />

di mordenzatura con allume e cremore di tartaro.<br />

L’analisi mediante TLC e il riconoscimento <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> di natura fla-<br />

231


vonoide sono stati effettuati, da Hofenk-de Graaf e Roelofs, su campioni<br />

di tessili realizzati in un periodo storico che va dal 1500 al 1850 [18].<br />

I risultati ottenuti hanno portato gli Autori alle seguenti conclusioni:<br />

«The result of the analyses … show that about 80% of the samples was with<br />

Weld, …<br />

Though the analytical system offers good results on pure colouring matters<br />

and on new wool, dyed with natural dyestuffs, analyses of ancient textile<br />

material still confront us with problems.<br />

There is the fact that 20% of the analysed samples is still classified as unknown.<br />

One might conclude that these dyestuffs do not belong to the group of<br />

Flavonoids, which, however, is not the case. The presence of Luteolin was<br />

often estabilished. Not, however, the, to Weld belonging, Apigenin. This<br />

lacking of Apigenin might find its cause in several reasons:<br />

a) A type of Weld is used that contains Luteolin in exclusively.<br />

b) It is know that many Flavonoids are not stable photochemically and fade<br />

easily to an almost whitish shade. The main component in Weld is<br />

Luteolin, Apigenin is present in lesser quantity. This small quantity could<br />

have been disintegrated entirely.<br />

Another aspect is the difference between Weld and Dyer’s Broom. They contain<br />

Luteolin and Apigenin and Luteolin and Genistein respectively. There is<br />

only a slight difference between the Rf-value of Apigenin and Genistein,<br />

which is not a problem with pure colouring matters. With ancient textiles,<br />

however, misinterpretation is not unthinkable because of the impurities present,<br />

which might change the Rf-value.<br />

We could not confirm the presence of Fustic and Quercitron, though it could<br />

have been expected, according to dyer’s manuscripts» [18].<br />

A 2,2 ) Cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC)<br />

In questa particolare tecnica cromatografica la fase stazionaria è costituita<br />

da un materiale solido strettamente impacchettato in una colonna.<br />

La fase mobile, un solvente o una miscela di solventi diversi, viene<br />

pompata attraverso la colonna ad alta pressione.<br />

Il colorante in esame, separato opportunamente dalle fibre e portato in<br />

soluzione viene iniettato nel flusso del solvente prima che lo stesso raggiunga<br />

la colonna.<br />

«Each dye or component of the dye takes a different length of time to pass<br />

through the column due to differences in affinity to the solid filling of the<br />

column and solubility in the solvent» [3].<br />

232


Durante il percorso lungo la colonna si verificano interazioni molecola-substrato<br />

di vario tipo (fenomeni di adsorbimento e di de-sorbimento;<br />

attrazioni dipolo-dipolo, legami ad idrogeno ecc.) che di fatto ritardano il<br />

cammino delle molecole di colorante.<br />

A parità di condizioni di analisi (natura dell’eluente e della fase stazionaria,<br />

pressione e temperatura) ogni sostanza si caratterizza per un suo<br />

tempo di eluizione.<br />

Il sistema di rivelazione è posizionato al termine della colonna di separazione.<br />

Nel caso di analisi di sostanze colorate, esso è costituito da una<br />

cella di uno spettrofotometro UV-VIS [2, 3].<br />

Le potenzialità della HPLC nell’analisi di <strong>coloranti</strong> appartenenti alla<br />

famiglia degli indigoidi sono evidenziate nella figura 13 [3].<br />

Dall’esame del cromatogramma si evince come i <strong>coloranti</strong> la miscela si<br />

siano nettamente separati l’uno dall’altro avendo valori diversi del tempo<br />

di eluizione. Dal confronto relativo dell’aree sottese ai picchi è possibile<br />

risalire alla frazione in peso <strong>dei</strong> singoli componenti.<br />

Recenti modelli di sistemi computerizzati per la cromatografia ad elevate<br />

prestazioni sono mostrati nelle figure 14 e 15.<br />

Fig. 13: Applicazione della cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC) nella separazione<br />

ed identificazione di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> appartenenti alla famiglia degli indigoidi.<br />

Nel cromatogramma i picchi relativi ai singoli <strong>coloranti</strong> presenti nella miscela sono così individuati:<br />

IND= Indigotina; INR=Indirubina; MBI= 6-monobromoindigotina; DBI= 6,6' dibromoindigotina.<br />

Sull’asse verticale è riportata l’assorbanza mentre su quello orizzontale il tempo di ritenzione<br />

[Rif. 3].<br />

233


234<br />

Fig. 14 - 15: Moderni sistemi computerizzati per la cromatografia ad elevate prestazioni commercializzati<br />

dalla Waters Corporation.


Fig. 16: Struttura chimica di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> rossi di origine vegetale e animale la cui miscela<br />

è stata analizzata mediante “HPLC gradient elution method” [Rif. 19].<br />

235


Fig. 17: Cromatogramma eseguito con il metodo HPLC gradient elution di <strong>coloranti</strong> antrachinonici,<br />

indigoidi e indirubinoidi (in soluzione di metanolo/DMF). Ogni picco è stato etichettato<br />

con il nome abbreviato del colorante a cui corrisponde [Rif. 19].<br />

Applicando an HPLC gradient elution method Zvi Koren ha dimostrato<br />

che è possibile separare tra loro e riconoscere <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> rossi<br />

di origine vegetale e animale di tipo antrachinonici, indigoidi e indirubinoidi.<br />

La struttura chimica <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> investigati è riportata nella figura<br />

16 [19].<br />

Dal cromatogramma, relativo alla miscela <strong>dei</strong> 12 diversi <strong>coloranti</strong>,<br />

mostrato nella figura 17, traspare la presenza di picchi, ciascuno <strong>dei</strong> quali<br />

è stato attribuito ad un singolo colorante. Il riconoscimento è stato reso<br />

possibile sulla base <strong>dei</strong> valori <strong>dei</strong> tempi di ritenzione relativi ricavati da<br />

soluzioni standard di riferimento (tabella 5) [19].<br />

I risultati della figura 17 combinati con i dati della tabella 5<br />

«show that both plant and insect anthraquinonoids, as well as plant and molluscan<br />

indigoids may efficiently separated and dected via the HPLC method<br />

using the same elution program» [19].<br />

236


Tabella 5<br />

Tempi di ritenzione relativi, [R (min)], di alcuni importanti<br />

<strong>coloranti</strong>, ricavati mediante HPLC (vedasi figure 16 e 17).<br />

Colorante Tipo (a) R (min)<br />

Acido laccaico B A 0,52<br />

Acido carminico A 0,643<br />

Acido laccaico A A 0,690<br />

Acido flavochermesico A 0,8962<br />

Acido chermesico A 0,9123<br />

Alizarina B 1,0<br />

Indigotina C 1,1135<br />

Purpurina B 1,219<br />

Indirubina C 1,281<br />

Monobromoindigotina C 1,401<br />

Dibromoindigotina C 1,625<br />

Dibromoindirubina C 1,863<br />

(a) A - insect dye; B - madder dye; C - blue and purple dye.<br />

Fig. 18: Frammento di una tessuto in lana, tinto con porpora reale, ritrovato a Masada (Israele),<br />

risalente al I secolo a.C. [Rif. 20].<br />

237


Fig. 19: Cromatogramma HPLC ottenuto iniettando nella fase eluente un campione di soluzione<br />

contenente la materia colorante estratta dal tessile in lana del primo secolo a.C. ritrovato a Masada<br />

(Israele) (mostrato in figura 18). I componenti separati ed identificati sono così indicati in figura:<br />

IND= indigotina; MBI= 6-monobromoindigotina; DBI= 6,6'-dibromoindigotina [Rif. 20].<br />

La tecnica della HPLC è stata impiegata da Zvi C. Koren per analizzare<br />

la natura <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> usati nella tintura di un tessile in lana del primo<br />

secolo a.C. ritrovato a Masada (Israele) durante la campagna di scavi<br />

condotta tra il 1963 e il 1965 (Figura 18) [20].<br />

Per il processo di estrazione è stato impiegato come solvente la N,Ndimetilformammide.<br />

Il colore blu della soluzione ottenuta indica la presenza<br />

di un colorante al tino di natura indigoide. Questa soluzione è stata<br />

analizzata successivamente mediante HPLC<br />

«via a reverse-phase linear gradient elution method developed for the separation<br />

and detection of indigoids and indirubinoids … The spectrometric<br />

analyses were subsequently performed on a purple pigment produced from<br />

modern Murex trunculus snails caught off the Mediterranean waters in<br />

northern Israel» [20].<br />

Il cromatogramma HPLC, riportato nella figura 19, denota la presenza<br />

<strong>dei</strong> tre <strong>coloranti</strong> di natura indigoide, caratteristici della porpora reale<br />

(indigotina (IND); 6-monobromo indigotina (MBI) e 6,6 ' dibromoindigotina<br />

(DBI)). Questa conclusione viene avvalorata confrontando la com-<br />

238


Fig. 20: I molluschi marini, Murex brandaris e Murex trunculus dai quali è stata estratta la porpora<br />

reale moderna utilizzata per il riconoscimento del colorante usato per tingere il frammento<br />

di tessile in lana ritrovato a Masada (mostrato nella figura 18).<br />

posizione relativa <strong>dei</strong> componenti estratti dal frammento di tessili in lana<br />

con quella di un pigmento archeologico (identificato come porpora reale)<br />

ritrovato su di una vaso di creta e con quella ottenuta analizzando la<br />

materia colorante estratta da un moderno Murex trunculus [fig. 20]. Dal<br />

grafico della figura 21 si ricava che i tre campioni di <strong>coloranti</strong> hanno praticamente<br />

la stessa composizione. Pertanto il frammento tessile ritrovato<br />

a Masada è stato tinto utilizzando la porpora reale [20].<br />

Tra le rovine di Masada sono stati trovati altri reperti tessili colorati in<br />

rosso. Nella figura 22 il cromatogramma HPLC <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> estratti da<br />

questi tessili è confrontato con quello della materia colorante ricavata<br />

dalla radici di una pianta moderna di Rubia Tinctorium cresciuta in<br />

Israele. L’esame ha permesso di concludere che i principali componenti<br />

<strong>coloranti</strong> fossero gli stessi e cioè l’alizarina e la purpurina, a dimostrazione<br />

del fatto che la tintura alla robbia era ampiamente diffusa, all’epoca,<br />

nella regione medio-orientale [15].<br />

Nel 1992 J. Wouters e N. Rosario-Chirinos hanno pubblicato un interessante<br />

articolo dove venivano riportati i risultati di una analisi finalizzata<br />

alla identificazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> utilizzati nella tintura di tessili peruviani<br />

di età pre-colombiana.<br />

Tale analisi, basata sull’utilizzo della HPLC, vedeva l’impiego di un<br />

«diode array detector» [21].<br />

239


Fig. 21: Istogrammi che mostrano<br />

la composizione relativa <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong><br />

di natura indigoide presenti<br />

in campioni di porpora reale di<br />

origine diversa, tra cui rientra<br />

quello estratto dal tessile in lana<br />

del primo secolo a.C. ritrovato a<br />

Masada (Israele) [Rif. 20].<br />

Fig. 22: Il cromatogramma HPLC<br />

della materia colorante ricavata<br />

dalle radici di una pianta moderna<br />

di Rubia tinctorium viene messo a<br />

confronto con quello ottenuto dai<br />

<strong>coloranti</strong> estratti da antichi tessili<br />

(primo secolo a.C.) ritrovati a<br />

Masada-Israele (vedasi testo)<br />

[Rif. 15].<br />

240


Fig. 23: Analisi HPLC di <strong>coloranti</strong> derivati dalla cocciniglia, presenti in tessili peruviani di epoca<br />

pre-colombiana.<br />

Nel cromatogramma sono chiaramente visibili i picchi relativi all’acido carminico (ca), all’acido<br />

flavochermesico (fk) e all’acido chermesico (ka) [Rif. 21].<br />

In molti <strong>dei</strong> tessili esaminati, come si evince dal cromatogramma<br />

HPLC della figura 23, è stata riscontrata la presenza di <strong>coloranti</strong> estratti<br />

dalla cocciniglia, in particolare l’acido carminico, l’acido flavochermesico<br />

e l’acido chermesico.<br />

In altri campioni è stata riscontrata la presenza di <strong>coloranti</strong> quali la purpurina<br />

e la mungistina. Questa ultima osservazione lascia supporre che il<br />

processo tintorio fosse basato sull’impiego di materia colorante ottenuta<br />

da piante appartenenti al genere Rebulnium o Rubia mungista. Il cromatogramma<br />

HPLC relativo a questi <strong>coloranti</strong> è riportato nella figura 24<br />

[21].<br />

La presenza della xantopurpurina viene spiegata dagli Autori assumendo<br />

che essa si sia formata attraverso un processo di riduzione della purpurina.<br />

Coloranti afferenti alla famiglia <strong>dei</strong> flavonoidi, componenti la materia<br />

colorante presente nella Quercus tinctoria (la quercitrina, il canferolo e la<br />

ramnetina) sono stati identificati in quattro <strong>dei</strong> campioni di tessili peruviani,<br />

esaminati da Wouters e Rosario-Chirinos. Il corrispondente cromatogramma<br />

HPLC è mostrato nella figura 25 [21].<br />

Nel 1993, in occasione della mostra di tessuti in lana di origine copti-<br />

241


ca, appartenenti ad una coll<strong>ezio</strong>ne privata belga, J. Wouters et al. hanno<br />

provveduto alla identificazione della natura ed origine <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> usati<br />

per la loro tintura utilizzando la metodica della HPLC [22].<br />

I risultati dell’indagine, relativa a 42 campioni di tessuti, riassunti nella<br />

tabella 6, sono stati così commentati dagli Autori:<br />

«Most of the reds, pinks, browns and beiges were derived from dyers madder<br />

(Rubia tinctorium). In two samples that were visually dark red some<br />

indigotin was also detected; and all but two of the purples were found to be<br />

a combination of madder and indigotin, as were all the blacks … On one<br />

sample, brownish purple in colour, indigotin was found alongside purpurin,<br />

without the additional presence of alizarin, This result probably indicates the<br />

use of wild madder (Rubia peregrina) rather than the more usual R. tinctorium<br />

which has purpurin and alizarin as its main components…....<br />

In five out of six oranges, in one yellow and in one green a combination<br />

dyeing of madder (R. tinctorium) and weld (Reseda luteola) was found. …<br />

Three other red were detected, in each case on their own and not in combination<br />

with another dye: Indian lac, Kerria lacca Kerr, was found on two<br />

samples Kermes vermilio, on another and Armenian cochineal,<br />

Porphyrophora hamelii, on another … the carminic acid found to derive<br />

from Armenian cochineal (P.hamelii) or an equivalent, but certainly not from<br />

polish cochineal (Porphyrophora polonica)…<br />

The purple derived from sea snails was identified on two samples. In one case<br />

the purple was used on its own and the source appeared to be either Phyllonotus<br />

(Murex) brandaris or Thaits (Purpura) haemostoma since 6,6' dibromoindigotin<br />

was the principle component and neither indigotin nor 6-monobromoindigotin<br />

were present. On the second sample 6,6' dibromoindigotin, 6-monobromoindigotin<br />

and indigotin were all detected. The alizarin and purpurin reveal the presence<br />

of madder alongside shellfish purple. The indigoid components may have<br />

derived from sea snails, in particular from Phyllonotus (Murex) trunculus, the<br />

only variety which furnishes indigotin and 6-monobromoindigotin as components<br />

without artificial debromination …» [22].<br />

Recentemente, durante la campagna di scavi effettuati nell’isola di<br />

Zembra (Tunisia), è stato scoperto un campione di argilla, risalente al<br />

terzo secolo a.C., miscelato con un colorante di colore porpora.<br />

Attraverso la combinazione di tecniche analitiche diverse quali la<br />

HPLC, la spettrofluorimetria e la spettroscopia FTIR, è stato possibile<br />

concludere che la materia colorante fosse la porpora reale ampiamente<br />

usata, come già si è scritto precedentemente, dai Fenici e dai Romani a<br />

Cartagine [23].<br />

242


Fig. 24: Cromatogramma HPLC di <strong>coloranti</strong> estratti da piante appartenenti al genere Rebulnium<br />

ritrovati in tessili peruviani di età pre-colombiana. I picchi <strong>dei</strong> componenti principali sono così<br />

indicati nella figura:<br />

pu= purpurina; mu=mungistina; xp= xantopurpurina [Rif. 21].<br />

Fig. 25: Cromatogramma HPLC relativo a campioni di <strong>coloranti</strong> estratti da alcuni campioni di<br />

tessili peruviani di età pre-colombiana e identificati come quercitrina (qn), canferolo (kf) e ramnetina<br />

(rht) [Rif. 21].<br />

243


L’insieme <strong>dei</strong> dati sopra riportati porta alla conclusione che la tecnica<br />

della HPLC, eventualmente combinata con altre, rappresenta uno strumento<br />

che si è rilevato di grande utilità nella determinazione di una vasta<br />

gamma di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> (di origine vegetale e animale) utilizzati nella<br />

tintura di tessuti di interesse storico-artistico-culturale.<br />

Tabella 6<br />

Risultati dell'analisi <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> usati nella tintura di tessili di origine<br />

Copta appartenenti ad una coll<strong>ezio</strong>ne privata fiamminga.<br />

Colore Rubia Rubia Kerria Kermes Porphyr. Reseda Indigoidi Molluschi Campioni<br />

tinctoria peregrina lacca vermilio hameli luteola Totale<br />

Coloranti singoli<br />

Rosso 8 2 1 1 12<br />

Rosa 2 2<br />

Marrone 2 2<br />

Beige 2 2<br />

Arancio 1 1<br />

Giallo 2 2<br />

Porpora 1 1<br />

Blu 1 1<br />

Combinazione di più <strong>coloranti</strong><br />

Arancio 5 5 5<br />

Giallo 1 1 1<br />

Verde 4 4 4<br />

Verde 1 1 1<br />

Porpora 4 4 4<br />

Porpora 1 1 1<br />

Nero 2 2 2<br />

Nero 1 1 1<br />

Totali 28 1 2 1 1 13 13 2 (42campioni)<br />

244


A 3 ) Riconoscimento <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> mediante processi estrattivi<br />

selettivi e successive reazioni chimiche<br />

Il metodo basato su di una serie di saggi è stato sviluppato e perf<strong>ezio</strong>nato<br />

nel tempo da H. Schweppe [16].<br />

Il primo saggio consiste nel fare bollire un piccolo campione del tessuto<br />

in esame in una provetta contenente prima acqua e poi in successione<br />

etanolo, acido acetico glaciale e quindi ammoniaca.<br />

Dal tipo di colorazione che si verifica in ciascuno <strong>dei</strong> decotti si ricavano<br />

alcune significative informazioni circa la classe <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> presenti.<br />

I <strong>coloranti</strong> sintetici, acidi e diretti , stingono leggermente in acqua e in<br />

maniera più massiccia in ammoniaca. Al contrario quelli basici colorano<br />

l’etanolo e l’acido acetico glaciale. La maggior parte <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong>,<br />

appartenenti alla classe di quelli a mordente, risultano negativi a questo<br />

saggio.<br />

«… the class of mordant dyes .. are present in the dyeings as sparingly soluble<br />

color lakes of aluminium, iron or chromium and, in few cases, as copper<br />

or tin lakes» [16].<br />

Risultano positivi lo zafferano che si ricava dal Carthamus tinctorium.<br />

Infatti il colorante rosso, la cartamina, passa in soluzione in acqua bollente.<br />

Il filtrato di questa soluzione è incolore oppure leggermente colorato<br />

in giallo per la presenza del colorante giallo dello zafferano. La carta<br />

da filtro appare colorata di rosso; trattandola con ammoniaca all’1%,<br />

all’ebollizione, si ottiene una soluzione irreversibilmente incolore.<br />

L’estratto di acido acetico glaciale, in presenza di indigo, oppure di berberina<br />

o robbia, può acquisire rispettivamente una tonalità blu o gialla.<br />

Un secondo saggio, che si effettua quando il primo saggio è stato negativo,<br />

consiste nel bollire un campione del tessuto in esame in una soluzione<br />

al 10% di acido solforico. In queste condizioni possono verificarsi una serie<br />

di reazioni attraverso le quali è possibile risalire ai <strong>coloranti</strong> presenti.<br />

Alcune tipiche reazioni sono state così riportate da H. Schweppe:<br />

«1. Natural dyes belonging to the class of the hydroxyflavones become<br />

almost colorless. Upon addition of ammonia to the previously washed<br />

dyeing, the original yellow shade returns. Upon subsequent boiling, after<br />

addition of a small amount of sodium dithionite, the yellow color remains<br />

(clear identification of hydroxyflavones and hydroxyisoflavones).<br />

2. Iron tannate dyeings become almost colorless. Iron can be detected in the<br />

sulphuric acid solution.<br />

245


3.Brazilwood and logwood dyeings bleed an intensive red shade.<br />

4. Red and violet madder dyeings on alum or iron sulfate mordant turn orange;<br />

the dye bleeds a yellow shade, and after it has been shaken with ethyl<br />

acetate, it can be used for TLC comparisons.<br />

5. Dyeings with the red insect dyes cochineal kermes and lac dye bleed an<br />

orange shade. After shaking with ethyl acetate and pentanol (1:1), the dye<br />

solutions can be used for TLC comparisons» [16].<br />

Indicazioni circa la presenza di <strong>coloranti</strong> al tino possono essere ottenute<br />

trattando il campione di tessuto con una soluzione contenente ditionito<br />

di sodio e ammoniaca alla temperatura di ebollizione.<br />

«Vat dyes are insoluble in water, ammonia, and dilute mineral acids. Upon<br />

reduction at alkaline pH, they go into solution, and this change usually is<br />

accompanied by a change in shade. Upon reoxidation in the air, the original<br />

shade returns. The natural vat dyes indigo and purple have a yellow vat.<br />

Natural dyes from the class of hydroxynaphthoquinones, for example, walnut<br />

shells, henna and alkanna, also can be reduced, and the color of the vat<br />

is yellow.<br />

Dyeings with orchil, the natural dye obtained from lichens, become colorless<br />

when they are treated with sodium dithionite; the original magenta red shade<br />

returns when they are aired» [16].<br />

L’identificazione di <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> del tipo a mordente è basato sul<br />

fatto che è possibile, come riportato in antiche ricette tintorie, realizzare<br />

particolari tonalità mediante un processo di post trattamento di una fibra<br />

già mordenzata e tinta con una diversa sostanza mordente. Questo tipo di<br />

reazione che comporta un cambiamento di colore viene sfruttata per il<br />

riconoscimento di alcuni <strong>coloranti</strong> a mordente.<br />

La procedura prevede di trattare piccoli campioni del tessuto in esame<br />

con soluzioni diluite di cloruro di stagno, solfato di alluminio, solfato di<br />

ferro, solfato di rame e acetato di uranile. All’ebollizione, si formano<br />

sulle fibre i corrispondenti complessi con i <strong>coloranti</strong> già presenti. Le<br />

tonalità ottenute dipendono non solo dal sale usato nel post-trattamento,<br />

ma anche dalla particolare coppia colorante-mordente presente nelle<br />

fibre. Disponendo di una serie di sistemi noti ottenuti sovrapponendo alla<br />

tintura realizzata con <strong>coloranti</strong> al mordente, un processo di post-mordenzatura<br />

impiegando i cinque differenti sali citati, è possibile effettuare per<br />

confronto l’identificazione anche nel caso di colori sbiaditi nel tempo, e<br />

per il cui riconoscimento altre metodiche si sono dimostrate inefficaci.<br />

246


I metodi di estrazione <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> dalle fibre di un tessuto sono basati<br />

sull’impiego di soluzioni contenenti acidi forti (acido solforico e acido<br />

cloridrico). Il processo avviene ad elevate temperature. In queste condizioni<br />

oltre a verificarsi il rilascio <strong>dei</strong> <strong>coloranti</strong> si induce una forte degradazione<br />

delle fibre proteiche e cellulosiche.<br />

In particolari circostanze, come già precedentemente scritto, sono stati<br />

osservati anche <strong>dei</strong> processi degradativi degli stessi <strong>coloranti</strong> [23].<br />

Nel 1995 E.J.Tiedemann e Y. Yang hanno sviluppato una nuova metodologia<br />

estrattiva la quale consiste nell’impiego di etilene diamminatetracetato<br />

(EDTA) e N,N – dimetilformammide (DMF) .<br />

Con questa procedura è possibile estrarre una quantità di colorante sufficiente<br />

alla sua identificazione lasciando inalterate le fibre di lana costituenti<br />

il campione in esame [24].<br />

«The EDTA/DMF extraction method is also tested on red fibers taken from<br />

the collection of ancient Peruvian textiles in the Krannert Art Museum,<br />

University of Illinois, Champaign» [24].<br />

Ad esemplificazione della bontà del metodo di Tiedemann e Yang sono<br />

riportati nella figura 26 gli spettri ottenuti mediante spettrofotometria in<br />

assorbanza di alcuni <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> rossi (Rebulnium, Robbia e<br />

Cocciniglia) estratti da filamenti di lana [24].<br />

Fig. 26: Curve spettrofotometriche in assorbanza di alcuni <strong>coloranti</strong> <strong>naturali</strong> rossi estratti da fibre<br />

di lana usando come solventi la miscela EDTA/DMF. Le curve si riferiscono ai seguenti <strong>coloranti</strong>:<br />

—— Rebulnium, – – – – Robbia, ······ Cocciniglia [Rif. 24].<br />

247


TAVOLA I<br />

a)<br />

b)<br />

Tavola I:<br />

a) Modulo base di un moderno spettrofotometro (regione del visibile) della Minolta Co..<br />

b) Un recente modello di High performance UV/VIS spectrophotometer commercializzato dalla<br />

World Precision Instruments, inc..<br />

249


TAVOLA II<br />

Tavola II: Recenti spettrometri e sistemi FTIR commercializzati dalla “Thermo-Nicolet”.<br />

250


TAVOLA III<br />

Tavola III: Un recente modello di “FTIR Microscopus Apparatus” della Perkin Elmer, Inc..<br />

TAVOLA IV<br />

Tavola IV: Un Sentinel TM Fiber Optic/Process Raman System commercializzato recentemente<br />

dalla Chromex - subsidiary of Hoya.<br />

251


TAVOLA V<br />

Tavola V: Schema di un dispositivo per la spettroscopia di fluorescenza su un liquido o un gas.<br />

Un fascio di luce f attraversa un prisma P e una fenditura F dando luogo ad un fascetto f' di luce<br />

monocromatica (che si può ottenere da alcuni anni ancor meglio con un laser). Il fascetto f' entra<br />

nell’Ampolla A, in cui sono contenute le molecole da studiare. Quando esso urta una di tali molecole,<br />

in parte prosegue e in parte viene assorbito per un periodo più o meno lungo, e riemesso in<br />

tutte le dir<strong>ezio</strong>ni (fluorescenza). Quando viene riemesso dalla molecola, questo “segnale d’uscita”<br />

contiene in genere luce di diversi colori (lunghezze d’onda), tutti però spostati verso il rosso<br />

dello spettro solare. Con una fenditura F' e un prisma P', ambedue mobili, e con la fenditura fissa<br />

F'' si isolano le varie componenti della luce riemessa dalle molecole, che vengono volta per volta<br />

raccolte in un fascetto f'''. Questo, concentrato dalla lente L, viene inviato ad un apparecchio rivelatore<br />

che ne misura l’intensità. Si può così studiare l’andamento dell’intensità della luce riemessa<br />

a seconda del colore (più precisamente, della lunghezza d’onda), e se ne possono trarre<br />

informazioni interessantissime sulla struttura molecolare [Rif. 9].<br />

252


TAVOLA VI<br />

Tavola VI: Un moderno microscopio elettronico a scansione della Jeol-USA, Inc..<br />

253


TAVOLA VII<br />

a)<br />

b)<br />

c)<br />

Tavola VII: a) Fotografia di un frammento del tessuto in cotone, che agiva da supporto per una<br />

serie di papiri conservati presso il Museo Egizio del Cairo.<br />

b) Micrografia elettronica al SEM di un filato prelevato dal campione in a);<br />

c) Micrografia al SEM di fibre di cotone separate dal filato in b) (a più elevato ingrandimento)<br />

[Rif. 13].<br />

254


TAVOLA VIII<br />

Tavola VIII: Spettri di emissione EDXA di campioni del tessuto in cotone descritto nella<br />

tavola VII. Nel tessuto senza macchie (spettro (A)) i picchi rilevano la presenza <strong>dei</strong> seguenti<br />

elementi: Al, Si, S, K, Ca e Mg. Nel tessuto con macchie (spettro (B)) si evidenzia la presenza<br />

anche di Cl e Fe [Rif. 13].<br />

255


TAVOLA IX<br />

Tavola IX: Diffrattogramma <strong>dei</strong> raggi X all’alto angolo ottenuto sottoponendo ad analisi la<br />

superficie del tessuto mostrato nella tavola VII-a.<br />

Il diffrattogramma mostra la presenza di una serie di picchi di cui solo quelli assegnati appartengono<br />

alla cellulosa nativa. Gli altri deriverebbero da sali e/o minerali depositatisi sulla superficie<br />

del tessuto [Rif. 13].<br />

256


RIFERIMENTI<br />

1) a) “Concise Encyclopedia of science and technology”, S. P.<br />

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(1984).<br />

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c) S. Landi, “The textile conservator’s manual”, Butter Worth-<br />

Heinemann, Oxford (1998); transerred to digital printing (2002).<br />

d) “New materials and technologies for the conservation and<br />

restoration of cultural heritage consisting of natural fibrous polymers”,<br />

Book of lectures presented at the «Euro-Mediterranean<br />

Post-Graduate Advanced School», October 3-17, 199 (Naples,<br />

Venice), Edited by E, Martuscelli, L. D’Orazio, Naples-Italy<br />

(2002).<br />

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259


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8) B. Guineau, Studies in Conservation, 34, 38 (1989).<br />

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10) L. R. Green, V. D. Daniels, “Dyes on historical and archaeological<br />

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(1985).<br />

12) N. Indictor, R. J Koestler, R. Sheryll, Journal of the American<br />

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13) L. D’Orazio,C. Mancarella, E. Martuscelli, C. Porcaro,<br />

“Identificazione e stato di conservazione <strong>dei</strong> materiali costituenti il supporto<br />

di papiri del Museo Egizio del Cairo”, in «Da Ercolano all’Egitto.<br />

III Ricerche varie di papirologia», pagg. 92-111, a cura di M. Capasso,<br />

Congedo Editore, Galatina, Lecce (2002).<br />

14) Enciclopedia Europea – A Garzanti Editore, Vol. III, pag. 629, Italia<br />

(1977).<br />

15) Z.C. Koren, Dyes in history and archaelogy, N. 11, 25 (1992).<br />

16) – H. Schweppe Journal of the American Institute for Conservation<br />

1, 14 (1979).<br />

– H. Schweppe, “Identification of dyes in historic textile materials”.<br />

In «Historic textile and paper materials: Conservation and<br />

characterization», Ed. H. L. Needles and S. H. Zeronian.<br />

Advances in Chemistry series 212. Washington, D.C.: American<br />

260


Chemical Society, 153 (1986).<br />

– H. Schweppe, “Practical information for the identification of<br />

dyes on historic textile materials”. Washington, D.C.:<br />

Smithsonian Institution Press (1988) in «Conservation and characterization»,<br />

Needless and Zeronian Editors, Advances in<br />

Chemistry Series 212, A.M. Chem. Soc. (1986).<br />

17) H. Schweppe, “Historic Textiles and paper materials: II -<br />

Conservation and Characterization” American Chemical Society<br />

Chapter – 13, 188 (1989).<br />

18) J. H. Hofenk – de Graaff, W.G. Th. Roelofs, “The analysis of flavonoids<br />

in natural yellow dyestuffs occurring in ancient textiles”, Triennal<br />

Meeting (12 th), preprints Vol.1, 78/9/4/1, Lyon (1999).<br />

19) Zvi C. Koren, J. Society of Dyers and Colourist, 110, 273 (1994).<br />

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21) J. Wouters, N. Rosario-Chirinos, J. American Institute for<br />

Conservation, 31, 237 (1992).<br />

22) “Coptic textiles from Flemisk private collections” (publicaties von<br />

het Provinciaal Archeologisch Museum Van Zuid-Ooost-Vlaanderen, site<br />

Velzeke: Buitengewone reeks 1), A. De Moor (ed.), Zottegem (1993).<br />

23) O. Ahumada “Study of dyeing process on old textiles” lecture presented<br />

at the «Euro-Mediterranean post-graduated advanced school on:<br />

New materials and technologies for the conservation and restoration of<br />

cultural heritage consisting of natural fibrous polymers», October 3-17,<br />

Naples (Italy) (1999).<br />

24) E. J. Tiedmann, Y. Yang, Journal American Institute for<br />

Conservation, 34, 195 (1995).<br />

261

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