IL TRENTINO 77
Wolftraud De Concini I libri <strong>di</strong> <strong>cucina</strong> italiana non riportano le ricette <strong>di</strong> queste pietanze dai nomi incomprensibili ai più. Eppure sono tutti cibi che si preparano in Trentino. Sono, infatti, alcune specialità delle minoranze linguistiche presenti sul territorio trentino: dei Mòcheni, che preferirebbero essere chiamati Bersntolar, dei Cimbri <strong>di</strong> Luserna, i Zimbarn vo Lusérn, e dei La<strong>di</strong>ni della Valle <strong>di</strong> Fassa, i La<strong>di</strong>ns de Fascia. La <strong>cucina</strong> delle minoranze linguistiche è <strong>una</strong> <strong>cucina</strong> semplice e frugale, la tipica <strong>cucina</strong> povera della gente <strong>di</strong> montagna (ma che oggi, per la rivalutazione gastronomica <strong>di</strong> tutto ciò che è o sembra genuino, viene servita anche nei ristoranti citta<strong>di</strong>ni certamente non poveri). Questi piatti, in primo luogo, dovevano saziare: certe minestre, con<strong>di</strong>te abbondantemente <strong>di</strong> burro, venivano, infatti, servite la mattina, a colazione, perché solo a stomaco pieno si potevano affrontare le giornate <strong>di</strong> duro lavoro nelle stalle, in campagna e nei pascoli. Significativi esempi ne sono il peterlang, <strong>una</strong> densissima minestra <strong>di</strong> patate dei Cimbri, o la supa rostida dei La<strong>di</strong>ni, <strong>una</strong> zuppa a base <strong>di</strong> farina arrostita. I piatti <strong>di</strong> Bersntolar, Zimbarn e La<strong>di</strong>ns erano preparati con pochi ingre<strong>di</strong>enti: con cavoli e patate, con fave e fagioli, e poi con le varie farine - la nera del grano saraceno, la gialla del granoturco, la grigia della segale e la bianca del frumento: tutti cereali o coltivati nelle vallate oppure giuntivi per baratto. Erano comunque ingre<strong>di</strong>enti tipici non solo <strong>di</strong> tutte le zone montane del Trentino, ma <strong>di</strong> tutto l’arco alpino, dalla Francia alla Slovenia. Per noi, figli della globalizzazione abituati a trovare in ogni momento dell’anno tutte le primizie e specialità <strong>di</strong> frutta e verdura e carne e pesce, non è facile immaginare <strong>una</strong> <strong>cucina</strong> autarchica ed esclusivamente stagionale come lo era quella degli appartenenti alle minoranze linguistiche. Ma come avrebbero potuto procurarsi delle cibarie da fuori valle quando cumuli <strong>di</strong> neve ostacolavano le strade, quando i sentieri per arrivare al prossimo mercato costavano ore <strong>di</strong> cammino Per cui la minestra era sempre quella: cavoli e patate, fave, fagioli e svariate farine. Comunque, a rendere ugualmente varie ed appetitose (se ce ne fosse stato bisogno!) le pietanze, ci pensavano le donne: esperte nell’arte <strong>di</strong> <strong>cucina</strong>re piatti <strong>di</strong>ssimili con ingre<strong>di</strong>enti sempre simili. Ci voleva, oltre al tempo che le donne <strong>di</strong> <strong>una</strong> volta si sapevano ritagliare, anche fantasia - fantasia che in primavera veniva sollecitata dalla natura stessa. Quando dopo il <strong>di</strong>sgelo nei campi e sui prati cominciavano a spuntare piante come il tarassaco, il silene, l’ortica e lo spinacio selvatico, allora sì che le donne potevano <strong>di</strong>mostrare <strong>di</strong> essere anche brave cuoche. Con verdure e erbe aromatiche, che loro conoscevano per antica saggezza, insaporivano zuppe e frittate e farcivano ravioli e tortelloni e frittelle. Che i Bersntolar li chiamino rufioi o krofen, che dai La<strong>di</strong>ns siano conosciuti come ciaroncié o cajoncìe o casunzièi o cajincì: sempre <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> ravioli sono. Variavano gli ingre<strong>di</strong>enti per la pasta, che poteva essere a base <strong>di</strong> farina o <strong>di</strong> patate, e variavano anche i componenti del ripieno, per il quale si usavano spinaci o erbe selvatiche, patate o barbabietole, verze o crauti, e poi ricotta e formaggi <strong>di</strong> qualunque tipo. Ma la carne, mai: quella era troppo preziosa per entrare nella farcia dei vari tipi <strong>di</strong> ravioli. Lessati in acqua salata, i rufioi, ciaroncié & Co. venivano infine con<strong>di</strong>ti: sempre con abbondante burro (perché l’olio d’oliva era pressoché sconosciuto), in tempi più recenti anche con formaggio grattugiato, presso i La<strong>di</strong>ni spesso con semi <strong>di</strong> papavero. Se queste varietà <strong>di</strong> ravioli, richiusi a triangolo o a mezzal<strong>una</strong>, sono da considerare i piatti principe <strong>di</strong> Bersntolar e—La<strong>di</strong>ns, i Zimbarn avevano invece la pult, la polenta. Più degli abitanti della Valle del Fersina e più dei La<strong>di</strong>ni arroccati attorno al Gruppo del Sella, i Cimbri <strong>di</strong> Luserna frequentavano, anche attraverso i loro fratelli veneti dell’Altopiano <strong>di</strong> Asiago, l’untarland, come loro chiamavano l’Italia. E dalla pianura veneta - o anche dalla Valsugana - importavano farina <strong>di</strong> granoturco in grande quantità. Come merce <strong>di</strong> scambio usavano il formaggio prodotto sui loro ampi altopiani: il khes, come <strong>di</strong>cono in cimbro. Così la pult veniva servita in primavera con formaggio e cerfogli <strong>di</strong> prato, in estate con formaggio e verza, in autunno con formaggio e fagioli, d’inverno con formaggio e crauti. I Zimbarn erano tanto avvezzi alla farina <strong>di</strong> mais, che non ne volevano (potevano) farne a meno neppure nella preparazione dei dolci: infatti la sürchan korschentz era <strong>una</strong> focaccia a base <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> granoturco che gli abitanti meno giovani <strong>di</strong> Luserna ricordano tuttora. Delle volte, la pult e la korschentz venivano <strong>cucina</strong>te anche con le patate. Sebbene introdotte un secolo dopo il granoturco nelle aree delle minoranze linguistiche, le patate salvarono gli abitanti del Trentino - come anche <strong>di</strong> altre zone montane - dalla pellagra, flagello causato dal consumo quasi esclusivo <strong>di</strong> polenta che colpì molte regioni della pianura italiana. Ma questa è già un’altra storia. 78 IL TRENTINO