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ANNO 3 n.26 Aprile 2011 PERSONAGGI - Infly

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8 InFly<br />

SE VE LI SIETE PERSI<br />

DON’T WORRY.<br />

Se ve li siete persi, ci pensiamo noi<br />

(con l’aiuto dell’Eco della Stampa)<br />

A fil di rete di Aldo GrAsso<br />

Corriere dellA serA 22/03/<strong>2011</strong><br />

Maroni e gli sgoMberi<br />

Chi ha ragione sui roM?<br />

i luoghi CoMuni Che forMano l’italia<br />

«Finalmente un’inchiesta culturale, di<br />

costume, mondana; finalmente un’esplorazione<br />

di irriverente paradossalità sui<br />

principali luoghi comuni che formano<br />

quel nostro grande «luogo comune» che si<br />

chiama Italia! Non dico da quelli di Mario<br />

Soldati, ma è almeno dai tempi di Ugo Gregoretti<br />

che non si vedeva un reportage così<br />

spietato e divertente. Per celebrare il 150°<br />

anniversario dell’Unità, Edoardo Camurri<br />

(il massimo esperto italiano di un genio<br />

iconoclasta, Rodolfo J. Wilcock) ha scelto<br />

il Festival di Sanremo, l’appuntamento<br />

nazionale dove il ridicolo quotidiano si<br />

sublima in ridicolo universale, «l’ombelico<br />

mediatico del Belpaese», per un viaggio in<br />

dieci brevi capitoli sulla stoltezza di massa<br />

e la bestialità del nostro immaginario collettivo:<br />

«L’Italia dei miei stivali», di Camurri<br />

e Virginia Di Marno, (Cielo, Dtt o canale<br />

129 di Sky, domenica, ore 21). Eccoli i capisaldi<br />

del nostro pensiero e della nostra<br />

saggezza disperata: Il Festival è lo specchio<br />

dell’Italia; la tv ha unito l’Italia più di Garibaldi;<br />

il calcio è croce e delizia del paese;<br />

la Mafia non esiste; meglio un giorno da<br />

leone che 100 da pecora; meno male che<br />

c’è la lotteria; imprenditori: la colonna vertebrale<br />

del Paese; tutti mammoni; l’Italia è<br />

solo un’espressione geografica; escort: ormai<br />

comandano loro. Partendo dallo storico<br />

scoglio di Quarto, su un vecchio gozzo,<br />

Camurri sbarca a Sanremo: racconta piccoli<br />

fatti di cronaca, intervista strani personaggi,<br />

si intrattiene con reduci garibaldini e<br />

neoborbonici, si sdraia su un letto con una<br />

escort, tale Cristiane, la tendenza a filosofeggiare.<br />

Come suggerisce il suo libro omonimo<br />

(edito da Rizzoli), ne viene fuori l’autoritratto<br />

di un Paese che, nel bene e nel<br />

male, è tutti noi. Camurri ha una dote rara,<br />

che consiste nel trattare con grande luci-<br />

dità le sciocchezze e con altrettanto grande<br />

disponibilità al comico le cose «serie».<br />

Vittorio ZUCCoNi<br />

lA repUbbliCA 18/03/<strong>2011</strong><br />

l’ultiMo Credito<br />

dell’oCCidente<br />

«Si è giocato molto più che il destino della<br />

esausta rivoluzione libica o la vita degli ultimi<br />

resistenti a Bengasi nelle ore della<br />

notte senza fine al Palazzo di Vetro. Era in<br />

ballo, e ancora lo è, il futuro del rapporto<br />

fra l’Occidente e il mondo arabo che sta<br />

cercando la propria autonoma strada alla<br />

democrazia. La scandalosa titubanza delle<br />

grandi e piccole potenze, Stati Uniti per<br />

primi, fino all’esasperazione del segretario<br />

di Stato Clinton furiosa con il presidente<br />

Obama, che non esitarono a rovesciarsi sul<br />

Kuwait per salvare la loro prosperità alimentata<br />

dal petrolio arabo o si accodarono<br />

all’America di Bush in un’impresa che nessuno<br />

gli aveva chiesto, resterà come una<br />

macchia di inchiostro sull’abito bianco<br />

delle buone intenzioni e delle belle parole<br />

che l’Occidente spende con tanta prosopopea,<br />

quando dà lezioni al mondo.<br />

Questa volta, a differenza di quanto accadde<br />

dieci anni or sono in Afghanistan, dove<br />

almeno esisteva una minuscola coalizione<br />

di anti talebani arroccata nel Nord e al<br />

contrario di quello che avveniva in Iraq,<br />

dove soltanto un magliaro internazionale<br />

come Ahmed Chalabi aveva spacciato l’esistenza<br />

di un maquis pronto a sollevarsi,<br />

un’operazione militare non sarebbe stata<br />

frutto di scenari ideologici o di necessaria<br />

bonifica dei focolai terroristici di al<br />

Quaeda, che in Cirenanica non c’è e non<br />

c’è mai stata. In Libia, come in Egitto, era<br />

la voce di una gioventù cresciuta nel sogno<br />

di Internet, non nella aspirazione al gilet al<br />

tritolo, a chiedere aiuto. A dimostrare di essere<br />

pronta a pagare con il proprio sangue<br />

la liberazione, mentre qualcuno osava<br />

ironizzare sull’esistenza di fosse comuni<br />

o distinguere fra sepolture individuali o di<br />

massa. E’ stato quando Gheddafi, tornato il<br />

feroce tiranno che si era sempre nascosto<br />

dentro i costumi da clown indossati per<br />

chi gli baciava la mano, ha detto che “non<br />

avrebbe avuto pietà” per gli insorti e avrebbe<br />

portato a termine il mattatoio di Bengasi<br />

che i titubanti, gli indecisi, i formalisti<br />

si sono trovati di fronte alla verità.0 muoversi<br />

con la forza per proteggere quello che<br />

resta del movimento insurrezionale o assistere<br />

a una strage degna di quelle che Saddam<br />

compiva contro le tribù sciite irrequiete.<br />

E con questo dichiarare la sostanziale<br />

indifferenza, la politica del Ponzio Pilato, di<br />

fronte a quelle aspirazioni che dicevano di<br />

appoggiare. L’ipocrisia dell’Occidente, che<br />

personaggi come Ahmadinejad osano<br />

rimproverare all’Europa e agli Stati Uniti<br />

quando li accusano di predicare diritti che<br />

poi non rispettano a casa, era andata assumendo<br />

in questi giorni di “hand wringing”,<br />

di torcersi le mani senza decidere niente,<br />

una credibilità che a noi appare assurda.<br />

Ma che nell’universo musulmano, arabo<br />

o non arabo, viene accolta molto più<br />

seriamente. A partire dalla questione palestinese,<br />

la politica dei “due pesi e delle due<br />

misure, l’arte di predicare bene e razzolare<br />

malissimo, è una delle lesioni più profonde<br />

che rendono difficile il rapporto fra noi<br />

occidentali e il mondo delle piazze arabe,<br />

oggi infinitamente più informate e attente<br />

a quanto accade, grazie alle reti televisive<br />

satellitari e a Internet. La Libia è un test<br />

storico per la conclamata “guerra di civiltà”<br />

che non è l’Armageddon fra cristiani e anti<br />

cristiani, ma fra diritti civili e regimi corrotti,<br />

un momento nel quale decenni di<br />

chiacchiere sulla “democrazia da esportare”,<br />

ma soltanto quando e dove fa comodo<br />

agli esportatori, hanno incontrato la<br />

realtà. Forse il momento è già passato e<br />

potrebbe essere troppo tardi per un’ azione<br />

militare indiretta, come la “no fly zone”,<br />

capace di schiodare il sanguinario clown<br />

di Tripoli e la sua gang e di evitare rappresaglie<br />

e vendette. Quello che ancora una<br />

settimana fa sarebbe costato poco, in termini<br />

di operazioni, materiali, vite, spese, oggi,<br />

che l’esercito fedele al raìs ha circondato<br />

Bengasi, è un’impresa esponenzialmente<br />

più seria. Rimane ancora pochissimo tempo<br />

per convincere i generali di una forza<br />

armata tanto risibile in assoluto (come dimostrò<br />

operando straccionescamente in<br />

Sudan) quanto inarrestabile per un nemico<br />

in ciabatte e pick up, che anche a loro conviene<br />

voltare gabbana... Ma è tutto quello<br />

che resta all’Occidente per non trasformarsi<br />

davvero nel nemico della civiltà, della<br />

libertà nel mondo arabo, quando è quello<br />

stesso mondo a chiederla.»<br />

rAdio loNdrA i di MArio AJello<br />

il MessAGGero 15/03/<strong>2011</strong><br />

ferrara, debutto<br />

in tv fra filosofia<br />

orientale e<br />

neo-nuClearisMo<br />

«ROMA - La pacatezza del vecchio saggio, un<br />

po’ orientale, sia pure vestito con un completo<br />

di velluto a coste strette che fa molto british.<br />

Una sorta di Tiziano Terzani, ma senza<br />

lunghi capelli bianchi raccolti in un codino<br />

o pose da guru, che disquisisce sulla «filosofia<br />

della vita» dei giapponesi, improntata<br />

alla mistica grandezza della «calma». A Giuliano<br />

Ferrara piace spiazzare, stupire, sviare.<br />

La televisione dell’ovvio non è la sua televisione.<br />

Dunque, chi pensava che, in «Qui Radio<br />

Londra», Giulianone avrebbe cominciato<br />

impantanandosi nella politica politicante<br />

che lui detesta – quant’ è bella la riforma<br />

berlusconiana della giustizia o cose così -<br />

conosce poco il personaggio. Il cui nuovo<br />

format esistenziale e culturale è da tempo<br />

quello della spiritualità e ieri all’ esordio -<br />

ma domani o successivamente il richiamo<br />

della foresta politica-politica lo riporterà<br />

nell’ agone dell’Italia spaccata in due - ha<br />

volato alto. Spostando la sua riflessione dai<br />

temi cattolico-morali dell’Occidente, che<br />

ormai lo appassionano pazzescamente<br />

e più di un qualsiasi argomento parlamentare,<br />

all’approccio «calmo» alla «paura» e<br />

alla «natura» che i giapponesi stanno dimostrando<br />

in questi terribili frangenti. Ma<br />

guai a credere che, anche per tre minuti,<br />

quanto dura «Qui Radio Londra», Ferrara<br />

possa spogliarsi del tutto dal “Primato della<br />

politica” che lui ha imparato da bimbo,<br />

saltellando sulle ginocchia di Zio Palmiro<br />

(Togliatti). Giulianone va al nocciolo della<br />

questione: dice che in Giappone si gioca, per<br />

il mondo ma soprattutto per l’ Italia, il futuro<br />

del nucleare, cioè dell’ esistenza energetica<br />

di noi tutti. Il messaggio, non banalmente<br />

governativo e filosoficamente profondo, è: i<br />

giapponesi, pur di fronte a questa immane<br />

tragedia, tengono un approccio «calmo» davanti<br />

ai pericoli del nucleare. Non potremmo<br />

diventare un po’ nipponici anche noi?<br />

di MArCello sorGi<br />

lA stAMpA 18/03/<strong>2011</strong><br />

deCisione saggia<br />

Ma di bottega<br />

«Era ora: finalmente una saggia decisione.<br />

Dopo una settimana irrazionale di scontri<br />

ai limiti del ridicolo, i due fronti italiani<br />

- nuclearista e antinucleare - andranno a<br />

una tregua per la ragionevole moratoria ai<br />

progetti di realizzazione di nuove centrali<br />

atomiche annunciata ieri. II fatto che a una<br />

decisione del genere si sia arrivati dopo un’<br />

intervista del premio Nobel per la fisica<br />

Carlo Rubbia che spingeva a una pausa di<br />

riflessione e grazie alle argomentazioni del<br />

presidente dell’ Agenzia per il nucleare<br />

Umberto Veronesi fa ben sperare, malgrado<br />

tutto. Ci sono ancora per nostra fortuna<br />

in questo Paese scienziati e studiosi di<br />

fama internazionale in grado di fermare<br />

con la loro autorevolezza la macchina impazzita<br />

della nostra politica, che anche<br />

in un caso delicato e importante non ha<br />

rinunciato a dividersi e a dilaniarsi. Mentre<br />

la centrale di Fukushima, colpita dal<br />

terremoto giapponese, continuava a liquefarsi<br />

e il mondo intero si interrogava sulle<br />

conseguenze del più grave incidente della<br />

storia dell’ energia nucleare dopo Cernobil,<br />

in Italia, infatti, come se niente fosse, complice<br />

il prossimo referendum fissato per il<br />

12 giugno, centrodestra e centrosinistra<br />

continuavano a dirsene di tutti i colori restando<br />

fermi su posizioni strumentali. A un<br />

baldanzoso Di Pietro, che come promotore<br />

della consultazione referendaria si sentiva<br />

già la vittoria in tasca, facevano da contraltare<br />

sia il coro dei recenti convertiti all’ ideologia<br />

dell’atomo, sia esponenti del governo<br />

che si sentivano chiamati a una nuova<br />

crociata in difesa di Berlusconi. La ragione<br />

di uno scontro così mediocre, specie al cospetto<br />

di una sciagura di dimensioni immani,<br />

è legata infatti a una non del tutto evidente<br />

conseguenza politica dell’ eventuale<br />

referendum. L’impressione generata nell’<br />

opinione pubblica dal disastro giapponese<br />

avrebbe favorito la mobilitazione dell’<br />

elettorato, fin qui non troppo coinvolto nella<br />

questione, né più né meno come accadde<br />

25 anni fa dopo Cernobil, quando per la prima<br />

volta gli italiani sull’onda dell’emozione<br />

generata dall’incidente nella centrale ucraina<br />

si espressero con un secco rifiuto dello<br />

sviluppo dell’ energia nucleare. E oltre al<br />

prevedibile nuovo «no» che sarebbe uscito<br />

dalle urne, la partecipazione avrebbe rischiato<br />

di interrompere la serie di fallimenti<br />

referendari che si verificano da dodici<br />

anni per mancanza di elettori ai seggi. Di<br />

qui la possibile riuscita anche delle altre<br />

due consultazioni, sulla privatizzazione<br />

dei servizi di distribuzione dell’acqua e sul<br />

legittimo impedimento, la legge nata per<br />

bloccare i processi contro Berlusconi, già<br />

ridimensionata dalla Corte Costituzionale<br />

e destinata a scadere a ottobre. Con tutti<br />

i problemi che ha in questo periodo, il<br />

Cavaliere non poteva certo consentirsi di<br />

affrontare una consultazione su se stesso,<br />

e per di più spinta al successo da un avvenimento<br />

imprevisto come il terremoto in<br />

Giappone. Così è maturata la frenata, che<br />

se davvero, come già ieri si poteva intuire,<br />

porterà a un congelamento del nuovo piano<br />

nucleare del governo, potrebbe anche<br />

avere la conseguenza dell’ annullamento<br />

dello stesso referendum. A quel punto<br />

la riuscita degli altri due, meno attraenti<br />

per gli elettori, tornerebbe a essere in forse.<br />

E Berlusconi potrebbe comunque affrontare<br />

con meno timori la campagna referendaria.<br />

Si tratti di una conseguenza<br />

dei consigli autorevoli degli esperti, di<br />

una questione di bottega, o malauguratamente<br />

del mix di tutt’e due, la moratoria<br />

annunciata ieri è tuttavia una scelta<br />

positiva. Con un altro «no» causato dalla<br />

paura di questi giorni, di nucleare in Italia<br />

non si sarebbe parlato per altri vent’anni.<br />

Con il rinvio di ieri invece, sempre che<br />

dal Giappone, presto o tardi, come tutti ci<br />

auguriamo, arrivino buone notizie, una discussione<br />

più seria di quella a cui abbiamo<br />

assistito in questi giorni potrà riprendere<br />

l’indomani.»<br />

9 InFly

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