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Nuovi scenari e vecchie liturgie del consumo culturale. Cosa accade ...

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2. La vestaglia di Diderot e le code lunghe<br />

Si racconta che il filosofo illuminista Denis Diderot conducesse uno stile di vita molto<br />

pacato e sobrio. Nessun spazio era concesso al lusso e neppure al superfluo, a<br />

partire dallo studio che fungeva anche da abitazione: pochi e semplici mobili, una<br />

grande e funzionale libreria, uno scrittoio, una brandina e alcuni logori vestiti, buoni<br />

per ogni occasione. Ad un certo punto Diderot ricevette in dono da un amico una<br />

lussuosa vestaglia di seta color porpora che l’anziano intellettuale appese di fianco<br />

alla porta d’ingresso. Da quel momento qualcosa cambiò. La vestaglia era<br />

incoerente con gli altri oggetti <strong>del</strong> suo studio e Diderot si rese conto di come quel<br />

piccolo cambiamento gli provocasse un senso di inquietudine e di disturbo (non solo<br />

visivo). Alla fine si rassegnò e decise di sostituire tutto il vecchio mobilio <strong>del</strong>la casa<br />

con pezzi di arredamento e suppellettili di pregio affinché il nuovo ordine<br />

complessivo trovasse una sua coerenza con la vestaglia ricevuta in dono.<br />

L’antropologo americano Grant McCracken utilizza spesso questa storia per facilitare<br />

la comprensione <strong>del</strong>la sua teoria secondo la quale un bene considerato isolatamente<br />

è privo di significato, ma deriva la sua funzione simbolica dal sistema in cui è<br />

inserito (la cosiddetta «unità Diderot»). Quello che è interessante <strong>del</strong>la teoria di<br />

McCracken sono i cosiddetti «effetti Diderot»: le unità Diderot (si consideri ad<br />

esempio il sistema dei consumi culturali dominanti) agiscono spesso come una<br />

barriera contro l’intrusione di beni o nuove pratiche che possono destabilizzare i<br />

sistemi codificati, ma a volte quando elementi destabilizzanti, come la vestaglia di<br />

Diderot, sono introdotti in sistemi in equilibrio, viene minata la coerenza che<br />

cementava la varietà dei beni e <strong>del</strong>le pratiche e si produce una ristrutturazione<br />

<strong>del</strong>l’unità Diderot, con conseguenze innovative.<br />

Questo per dire che i nuovi atteggiamenti nel <strong>consumo</strong> <strong>culturale</strong>, resi possibili dalle<br />

mutate possibilità di distribuzione sembrano avere la natura <strong>del</strong>l’«effetto diderot»<br />

appena descritto, i sostenitori di questa nuova visione ritengono infatti che<br />

probabilmente molti non se ne sono ancora accorti, ma una nuova vestaglia color<br />

porpora è già entrata nelle nostre case.<br />

Il direttore <strong>del</strong>la prestigiosa rivista Wired, nonché teorico <strong>del</strong>la “coda lunga” Chris<br />

Anderson parte da un dato che è sotto gli occhi di tutti: da un mercato di massa<br />

stiamo tornando ad un arcipelago di nicchie, gli spazi dei nostri consumi sono<br />

sempre meno definiti dalla nostra geografia e sempre di più dai nostri interessi. Mi<br />

perdonino i lettori di Anderson se semplifico eccessivamente il suo pensiero: in<br />

sostanza l’autore, dopo un lungo lavoro di ricerca condotto principalmente negli<br />

Stati Uniti, afferma che nei mercati <strong>del</strong>l’industria <strong>culturale</strong> ci sono molti più prodotti<br />

di nicchia che hit/blockbuster e il costo sostenuto per raggiungere queste nicchie sta<br />

diminuendo drasticamente grazie ai recenti sviluppi tecnologici. I soggetti<br />

<strong>del</strong>l’industria <strong>culturale</strong> più innovativi nella distribuzione – si pensi ad esempio ad<br />

Amazon (che dopo gli esordi nei prodotti editoriali ha esteso la sua offerta alle più<br />

diverse categorie merceologiche) a iTunes Store (musica e podcast) a Netflix<br />

(videonoleggio) - stanno assecondando e sfruttando questa nuova tendenza. Che<br />

cos’è esattamente e come funziona la coda lunga?<br />

3<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli

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