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La frontiera in Italia (sec. VI-VIII). Osservazioni su un tema controverso.

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elaborate da Cecch<strong>in</strong>i e da Schneider all’<strong>in</strong>iziodel <strong>sec</strong>olo: ossia l’arimannia <strong>in</strong> quanto presidiodi guerrieri longobardi stanziati dal re <strong>su</strong> terrafiscale, soprattutto ai conf<strong>in</strong>i, con f<strong>un</strong>zione dibarriera difensiva del regno. <strong>La</strong> parola, come èormai def<strong>in</strong>itivamente assodato dopo gli studi diGiovanni Tabacco, va certo messa <strong>in</strong> riferimentocon il nome degli arimanni, ma questi ultimivanno <strong>in</strong>tesi semplicemente come gruppi di uom<strong>in</strong>iliberi, rimasti <strong>in</strong> rapporto diretto con il poterepubblico nei <strong>sec</strong>oli centrali del medio evo,sfuggendo al diffondersi dei legami signorili 22 .Gli arimanni (e le arimannie) non offrono d<strong>un</strong>quealc<strong>un</strong> mezzo per analizzare la strategia militaredei sovrani longobardi dei <strong>sec</strong>oli <strong>VI</strong>-<strong>VI</strong>I. Ènoto ad esempio – se ne sono occupati GiovanniTabacco e Andrea Castagnetti – che gli arimannisono menzionati <strong>in</strong> modo relativamente fittonel Ferrarese, là dove la dom<strong>in</strong>azione longobardasi impiantò molto tardi e si pre<strong>su</strong>me che nonabbia lasciato particolari tracce <strong>in</strong>sediative; e cisono arimanni pers<strong>in</strong>o <strong>in</strong> Val d’Aosta, dove iLongobardi addirittura non arrivarono mai 23 .<strong>La</strong> <strong>sec</strong>onda osservazione da fare è che non viè dubbio che molti di questi gruppi di liberi (nonnecessariamente detti arimanni) affondasserole loro radici <strong>in</strong> età longobarda. Nella documentazioned’archivio dell’<strong>Italia</strong> longobarda o immediatamentepost-longobarda esistono effettivamentenumerose attestazioni di terre <strong>in</strong>colte(m o n s o silva arimannorum; gualdus exercita -l i s, silva hom<strong>in</strong>um Reat<strong>in</strong>orum e altre ancora)date <strong>in</strong> godimento collettivo a com<strong>un</strong>ità locali diuom<strong>in</strong>i liberi, nell’<strong>Italia</strong> del nord e del centro 24 .Queste concessioni hanno quasi certamente <strong>un</strong>orig<strong>in</strong>ario valore militare, <strong>in</strong> quanto si collegano– pure se non esclusivamente – alla possibilitàdi pascolo per i cavalli; il riferimento obbligatoqui è al capitolo 2 delle leggi di Astolfo dell’anno750 (le famose “leggi militari”), dove si mette <strong>in</strong>primo piano il valore ormai as<strong>su</strong>nto dalla cavallerianell’esercito longobardo 2 5 . A tali attestazionivanno <strong>un</strong>ite anche testimonianze più tarde;così, ad esempio, <strong>un</strong> placito del 918 ci <strong>in</strong>formadell’esistenza di beni fondiari non specificatidi proprietà di gruppi di <strong>La</strong>ngobardi nella zonadella Valtell<strong>in</strong>a 2 6 . Ma va sottol<strong>in</strong>eato congrande chiarezza che queste proprietà <strong>in</strong>diviseerano sparse ov<strong>un</strong>que nel regno: nonostante chetestimonianze come questa della Valtell<strong>in</strong>a, o<strong>un</strong>a dell’815 della zona di Piacenza, riferita ad<strong>un</strong>a silva arimannorum 27 , possano fare riferimentoa zone poste ai marg<strong>in</strong>i del regno (versole Alpi o verso <strong>un</strong>’Emilia <strong>in</strong>globata solo il <strong>sec</strong>oloprecedente), gli <strong>in</strong>colti <strong>in</strong> uso collettivo non <strong>in</strong>dividuano<strong>in</strong> modo netto zone di conf<strong>in</strong>e militarmenteprotette. E lo stesso discorso può esserefatto per le testimonianze relative ai famosilambardi toscani, noti all’<strong>in</strong>circa dall’XI <strong>sec</strong>olo<strong>in</strong> poi, privi essi pure di qualsiasi plausibile collegamentocon situazioni di conf<strong>in</strong>e, nonostanteche la natura militare-castrale dei loro consorzifamiliari li renderebbe adattissimi – almenoagli occhi dello storico contemporaneo <strong>in</strong> cercadisperata di testimonianze <strong>su</strong> pre<strong>su</strong>nti l i m i t e smilitari longobardi – ad <strong>in</strong>terpretare il ruolo diprotettori della Tuscia contro le terre romanedell’<strong>Italia</strong> centrale 28 .Tutte queste che abbiamo ora citato sono, <strong>in</strong>realtà, testimonianze preziose <strong>su</strong>ll’evoluzionedella società longobardo-italica, ed <strong>in</strong> particolaredegli uom<strong>in</strong>i liberi di tradizione militare, a partiredall’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo. Si tratta di temi da riprendere,<strong>su</strong>scettibili di sviluppi <strong>in</strong>teressanti, chevanno però tutti nella direzione di <strong>un</strong>o studiodella società del regno italico dei <strong>sec</strong>oli <strong>VI</strong>II-XI enon della società longobarda più antica. È questal’<strong>un</strong>ica eredità possibile, per la storiografia dioggi, della cosiddetta questione arimannica.4. Nel 1914, nel <strong>su</strong>o volume <strong>su</strong>ll’ord<strong>in</strong>amentopubblico nella Toscana medievale, Fedor Schneiderricostruiva i conf<strong>in</strong>i fra la Tuscia longobardae la Tuscia romana con sistemi <strong>in</strong> partesimili a quelli che abbiamo visto impiegati dallaFasoli, ma con più rigore storico-antiquario 2 9 .Schneider sfruttava per i <strong>su</strong>oi scopi la descrizionedei conf<strong>in</strong>i della diocesi di Tuscania contenuta<strong>in</strong> <strong>un</strong> diploma – perduto nella <strong>su</strong>a forma orig<strong>in</strong>ale,ma tramandato all’<strong>in</strong>terno di <strong>un</strong> diplomadi Innocenzo III del 1207 30 – di papa LeoneIV (847-855) per il vescovo Virobono di Tusca-22 È questo il <strong>tema</strong> al quale è dedicato il fondamentale libro 26 MANARESI 1955, n. 129 (Milano, aprile 918), p. 486.di TABACCO 1966.27 GALETTI 1978, n. 13 (Piacenza 27 novembre 815), pp.23 I b i d ., pp. 106-112 e 182-194; CASTAGNETTI 1979, pp. 50-51 (la stessasilva è nom<strong>in</strong>ata anche nel n. 21, Piacenza 9214-218 e 1988. Tipico dei travisamenti ai quali portava la agosto 823, pp. 64-65).teoria delle arimannie è il giudizio che Fedor Schneider dava 28 TABACCO 1966, pp. 13-36 (dove il <strong>tema</strong> è discusso <strong>in</strong> relazionealla posizione complessiva di G. P. Bognetti <strong>su</strong>l pro-degli arimanni di Ferrara, <strong>in</strong>volontariamente stupendosi diquesta fortissima “longobardizzazione” di <strong>un</strong>a città solo moltotardi entrata a far parte del regno longobardo: “E<strong>in</strong>enblema degli arimanni), e VOLPE 1904.29 stärkeren Beweis für die Macht <strong>un</strong>d Tätigkeit der langobardischenStaatsgewalt noch im letzten Jahrh<strong>un</strong>dert kenne barde e romane <strong>in</strong> Tuscia cfr. BA V A N T 1979, <strong>in</strong> part. p. 80,SCHNEIDER 1914, pp. 16-20. Sul conf<strong>in</strong>e fra terre longo-ich nicht” (SCHNEIDER 1924, pp. 160-161, citaz. a p. 161). il quale conferma che (almeno nel 680) esso doveva passare24 l<strong>un</strong>go il corso della Marta, fra Tuscania e Blera.GASPARRI 1990, pp. 289-290.3025 Migne, PL 215, coll. 1236-1242.AZZARA, GASPARRI 1992, Ahist. 2, p. 250.


nia. Infatti, prima della donazione di Carlo Magnodel 787 alla chiesa di Roma, quella diocesirappresentava la p<strong>un</strong>ta più meridionale delladom<strong>in</strong>azione longobarda <strong>in</strong> direzione delle terrebizant<strong>in</strong>o-papali.Il conf<strong>in</strong>e fra Tuscia longobarda e romanaera as<strong>su</strong>nto dall’autore come <strong>un</strong> dato certo, nonostantetutti i dubbi che si possono nutrire <strong>su</strong>llatradizione del diploma di Leone IV. <strong>La</strong> l<strong>in</strong>eaconf<strong>in</strong>aria sarebbe stata <strong>in</strong> larga parte modellata<strong>su</strong>i rilievi naturali e <strong>su</strong>lle antiche vie romane,come la Cassia e la Clodia. Però nei pressi del lagodi Vico, fra la via Cim<strong>in</strong>a e la via per Gallesee Viterbo, là dove non c’era alc<strong>un</strong> conf<strong>in</strong>e naturaleutilizzabile, al <strong>su</strong>o posto – scrive lo Schneider,sempre <strong>in</strong>terpretando il testo del diploma –c’era <strong>un</strong>a palizzata; ecco il passo: et venit [il conf<strong>in</strong>e]<strong>in</strong> staphile [palizzata, <strong>sec</strong>ondo Schneider],qui dividit <strong>in</strong>ter Ortem [romana] et comitatumViterbiensiem [longobardo] 31 ; <strong>un</strong>’altra palizzatadoveva sorgere tra Viterbo e Bomarzo bizant<strong>in</strong>a.Riemerge così, di nuovo, il mito del l i m e sfortificato: ma questa <strong>su</strong>a modesta versione centro-italicasvanisce ben presto, se pensiamo chestaphile (e simili) è parola che significa semplicemente“palo” o “segno” di conf<strong>in</strong>e, oltre ad essere,come al solito, di difficile datazione 32 .Ma è <strong>in</strong>teressante il fatto che la notizia relativaallo staphile ne richiami <strong>un</strong>’altra, ricordatanello stesso diploma: tra Norchia e Blera, il conf<strong>in</strong>erecte extenditur <strong>in</strong> pedem Leuprandi C o m-menta Schneider: “evidentemente <strong>un</strong> term<strong>in</strong>e diconf<strong>in</strong>e del tempo di re Liutprando, che segnalavaa coloro che ritornavano dalla città apostolical’<strong>in</strong>izio del Regno di Pavia” 3 3 . Con tutte le cauteledel caso, trattandosi di <strong>un</strong>a fonte dalla tradizionecosì <strong>in</strong>certa, tuttavia questa che affioraadesso è <strong>un</strong>’immag<strong>in</strong>e diversa e ben più attendibiledi quella che deriva dall’idea della palizzata,dietro alla quale vegliano pattuglie armate f<strong>in</strong>oai denti. È l’idea <strong>in</strong>fatti di <strong>un</strong> segno simbolico diconf<strong>in</strong>e, <strong>un</strong> palo (s t a p h i l e, app<strong>un</strong>to) o <strong>un</strong>a pietra,che avesse o meno <strong>in</strong>ciso sopra il mitico pes Liut -p r a n d i. È la stessa idea che, con il valore esemplareche è proprio della leggenda, è espressa dalre Autari il quale, <strong>sec</strong>ondo il racconto di PaoloDiacono, va a toccare con la lancia (cioè a marcarecon il segno regio) la colonna che sorge dalle acquenello stretto di Mess<strong>in</strong>a, per segnare così il limi<strong>tema</strong>ssimo dell’espansione meridionale deiLongobardi: “f<strong>in</strong>o a qui arrivano i f<strong>in</strong>es <strong>La</strong>ngo -b a r d o r u m” 3 4 , dice il re, ossia f<strong>in</strong> dove arriva lanostra forza, marcata simbolicamente con <strong>un</strong> segno:non dietro mura o c<strong>in</strong>te di castelli.Allo stesso modo, la proprietà privata era <strong>in</strong>dicatamediante segni simbolici, quali la wiffa,il fantoccio di stoppie messo <strong>su</strong>l campo, o la t i -clatura o snaida di <strong>un</strong> albero 35 ; oltre, e <strong>in</strong> alternativaforse anche più efficace, alle rec<strong>in</strong>zioni.Semmai, i conf<strong>in</strong>i del regno sembrano essere piùi conf<strong>in</strong>i naturali che dei sistemi di fortificazioniartificiali; come lo stretto di Mess<strong>in</strong>a, se fu davveroraggi<strong>un</strong>to, o come la l<strong>in</strong>ea delle Alpi. Ed <strong>in</strong>effetti, a tutt’oggi grandi reti conf<strong>in</strong>arie di castellisicuramente longobarde non sono identificabili(del problema delle chiuse abbiamo giàparlato). Ciò non vuol dire, naturalmente, chenon vi fossero c a s t r a nelle zone di conf<strong>in</strong>e: maessi non sono sempre facilmente <strong>in</strong>dividuabili,quantomeno nella loro fisionomia di <strong>in</strong>sediamentipuramente militari. Ciò è vero pure neicasi <strong>in</strong> apparenza più favorevoli, come quelli deidue grandi cimiteri longobardi di Nocera Umbrae Castel Tros<strong>in</strong>o, che fanno riferimento adue castra posti a protezione della via Flam<strong>in</strong>iae della via Salaria. Di essi, solo il primo, <strong>sec</strong>ondole analisi archeologiche più recenti e raff<strong>in</strong>ate,appartenne ad <strong>un</strong> gruppo umano dal caratteremilitare spiccato, come è rivelato dal rapportofra le classi d’età dei def<strong>un</strong>ti, dalla loro ricchezzae dal loro armamento 36 .5. I primi territori del regno longobardo cherivendich<strong>in</strong>o con precisione i propri conf<strong>in</strong>i sonole diocesi; sono cioè soprattutto gli ecclesiasticiad avere <strong>un</strong> chiaro senso dei limiti territoriali.31 SCHNEIDER 1914, loc. cit.32 Oltre ai testi citati alla nota 18, vedi. TOUBERT 1973, I,p. 309 e BULLOUGH 1964.33 SCHNEIDER 1914, pp. 17-18.34 PAULUS DIACONUS 1878, III, 32.35 AZZARA, S.GASPARRI 1992, Roth. 238-241, p. 68, Liut.134, 148 e Notitia de actoribus regis 2, pp. 196, 206, 228,Ratch. 14, p. 244 (e cfr. anche Roth. 236-237, p. 68, dove siparla di term<strong>in</strong>us anticus).3 6 Cfr. JORGENSEN 1992, <strong>sec</strong>ondo il quale il cimitero diNocera Umbra sarebbe appartenuto ad <strong>un</strong> <strong>in</strong>sediamentomilitare: “a population with a dist<strong>in</strong>ct military f<strong>un</strong>ction”, “adist<strong>in</strong>guished garrison population” (forse legata ad <strong>un</strong> gastaldo),“a special warrior aristocracy”. Per Jorgensen, <strong>un</strong>asimile fisionomia dell’<strong>in</strong>sediamento – rispecchiata <strong>in</strong> particolaredal maggior numero di armi presente <strong>in</strong> questo cimiterorispetto a quello di Castel Tros<strong>in</strong>o – è facilmente spiegabile,visto che si trattava di <strong>un</strong>a località situata al conf<strong>in</strong>econ il territorio bizant<strong>in</strong>o (<strong>in</strong> part. pp. 30-34 e 45-47); al contrarioCastel Tros<strong>in</strong>o rappresenterebbe <strong>un</strong>a località conmolto maggiori contatti (pacifici) con il mondo bizant<strong>in</strong>o econ <strong>un</strong>a fisionomia meno guerriera, due fatti che sarebberorispecchiati entrambi dal corredo f<strong>un</strong>erario; e le due piùprestigiose tombe di quest’ultimo sepolcreto <strong>in</strong>cluderebbero<strong>un</strong> ricco corredo di armi solo per motivi di prestigio e apparterebberoa “civil officials” (pp. 47-48). Senza voler entrarequi nel merito di <strong>un</strong>a discussione che sarebbe l<strong>un</strong>ga, va peròalmeno detto che, mentre l’analisi di primo livello dei datifornita da Jorgensen è conv<strong>in</strong>cente, le deduzioni ultime losono assai meno: è <strong>in</strong>dubbia, ad esempio, la fisionomia più


Ciò lo si vede nel corso delle aspre controversie– le cui radici sono già nella <strong>sec</strong>onda metà del<strong>VI</strong>I <strong>sec</strong>olo – fra le diocesi di Arezzo e Siena e fraquelle di Lucca e Pistoia, che hanno ampie ricadute,<strong>in</strong>oltre, <strong>su</strong>ll’<strong>in</strong>dividuazione delle circoscrizionipolitiche alle quali le diocesi stesse fannoriferimento: la tendenza è quella di far progressivamenteco<strong>in</strong>cidere le <strong>un</strong>e con le altre 37 . Uncaso diverso, oltre che isolato, è rappresentato<strong>in</strong>vece dalla controversia tra le civitates di Parmae Piacenza, a metà del <strong>VI</strong>I <strong>sec</strong>olo, giacchéquesta chiamava direttamente <strong>in</strong> causa <strong>su</strong>ddivisioniterritoriali politico-amm<strong>in</strong>istrative. <strong>La</strong>controversia fu risolta tramite <strong>un</strong>’<strong>in</strong>chiesta effettuatafra i seniores hom<strong>in</strong>es e i porcari, tuttiuom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> grado di riconoscere gli antichi segnidi conf<strong>in</strong>e dissem<strong>in</strong>ati nella campagna 3 8 . <strong>La</strong>complessità dell’<strong>in</strong>chiesta sta a dimostrare che,di fatto, esisteva <strong>un</strong>a sostanziale compenetrazionesocio-economica fra i due territori di Parmae di Piacenza, per cui separarli era difficile –anche <strong>in</strong> riferimento a eventuali diritti dell’<strong>un</strong>ao dell’altra parte maturati <strong>in</strong> passato – e costituiva<strong>un</strong>’operazione <strong>in</strong> qualche modo artificiosa.Ma, si potrebbe osservare, si trattava di conf<strong>in</strong>i<strong>in</strong>terni al regno longobardo; la questione potrebbeporsi diversamente <strong>in</strong> relazione ai conf<strong>in</strong>iesterni. L’obiezione è corretta: ma vediamo ilcaso della Sab<strong>in</strong>a.In Sab<strong>in</strong>a, nel 781, papa Adriano I, avendo ricevuto<strong>in</strong> dono da Carlo Magno il p a t r i m o n i u mS a b i n e n s e, procedette ad <strong>un</strong>a delimitazione deiconf<strong>in</strong>i rispetto all’antico territorio longobardo.<strong>La</strong> t e r m i n a t i o avvenne mediante l’<strong>in</strong>tervento diseniores testes annorum plus m<strong>in</strong>us centum, chetestimoniarono <strong>su</strong>ll’altare della chiesa di S. Maria<strong>in</strong> Foronovo, davanti ai messi imperiali, Itterioe Mag<strong>in</strong>ario, quomodo antiquitus ipse beatusPetrus sanctaque nostra Romana ecclesia e<strong>un</strong> -dem det<strong>in</strong>uit patrimonium: <strong>in</strong> realtà, <strong>in</strong>dicaronopiuttosto quali fossero i conf<strong>in</strong>i fra la Sab<strong>in</strong>a longobarda(quella di Rieti, che rimaneva a far partedel ducato di Spoleto) e la Sab<strong>in</strong>a romana 3 9 .Infatti, ad <strong>un</strong>a lettura attenta del dossier documentario,si vede come nella prima lettera papaAdriano parli di patrimonium Sab<strong>in</strong>ense,mentre a partire dalla <strong>sec</strong>onda – che è dellastessa data della prima, ovvero dei mesi centralidell’anno 781 – passi francamente a parlare diterritorium Sab<strong>in</strong>ense, per cont<strong>in</strong>uare poi allostesso modo nelle due altre lettere <strong>su</strong>ccessive(tutte le missive erano <strong>in</strong>viate dal papa a CarloMagno per protestare contro i ritardi dell’operazionedi consegna). Ma patrimonio e territorionon sono esattamente la stessa cosa: la rivendicazionedi Adriano d<strong>un</strong>que, partendo dagli antichidiritti papali <strong>su</strong> beni e terre della Sab<strong>in</strong>ameridionale, <strong>in</strong>tendeva estendersi – <strong>in</strong> modotraverso – all’<strong>in</strong>tero territorio sab<strong>in</strong>o meridionale.Dalle medesime lettere, <strong>in</strong> realtà, ri<strong>su</strong>ltache la Sab<strong>in</strong>a meridionale era già <strong>in</strong> parte nellemani papali, visto che la chiesa romana avevarivendicato <strong>in</strong> precedenza la <strong>su</strong>a autorità <strong>su</strong>ip<strong>su</strong>m territorium cum masis sibi pert<strong>in</strong>entibus,tanto <strong>in</strong> base a donazioni imperiali (di Bisanzio),quanto grazie a quelle degli stessi “protervire longobardi”. Pers<strong>in</strong>o il “perfido Desiderio”,come lo chiama il papa, non aveva potuto evitaredi concedere alla chiesa di Roma almeno lem a s s a e che si trovavano <strong>in</strong> Sab<strong>in</strong>a; non avevaconcesso però quel territorio <strong>su</strong>b <strong>in</strong>tegritate e sicapisce bene perché Desiderio avesse dato<strong>un</strong>’<strong>in</strong>terpretazione restrittiva delle pretese papali.Carlo, <strong>in</strong>vece, <strong>sec</strong>ondo Adriano deve concederel’<strong>in</strong>tero territorio.F<strong>in</strong> qui le parole del papa. Con esse, non solosi precisano le rivendicazioni della sede romana,ma ci viene fornita anche la chiave giustaper leggere gli avvenimenti <strong>in</strong> <strong>un</strong> senso più generale.Ciò che <strong>in</strong> sostanza ci dice il papa è cheil conf<strong>in</strong>e, la <strong>frontiera</strong> tra Roma e il ducato diSpoleto – <strong>un</strong>o fra i più caldi d’<strong>Italia</strong> dall’arrivodei Longobardi <strong>in</strong> poi –, era passato a l<strong>un</strong>goall’<strong>in</strong>terno della Sab<strong>in</strong>a, là dove i diritti di entrambele dom<strong>in</strong>azioni con il passare del temposi erano <strong>in</strong>estricabilmente <strong>in</strong>trecciati, andandoa sfociare <strong>in</strong> <strong>un</strong>a presenza contemporanea, chesi era articolata <strong>in</strong> <strong>un</strong>o sfruttamento <strong>in</strong>crociatoguerriera del sepolcreto e dell’<strong>in</strong>sediamento di Nocera Umbra,ma – al contrario – la dist<strong>in</strong>zione fra “warrior aristocracy”e “civil officals”, nel mondo longobardo del <strong>VI</strong>, <strong>VI</strong>I oanche <strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo non ha nes<strong>su</strong>n senso, <strong>in</strong> quanto non esistevanodue gerarchie davvero dist<strong>in</strong>te, politico-amm<strong>in</strong>istratival’<strong>un</strong>a, militare l’altra; ed anche <strong>su</strong>lla scarsità dicontatti con i Bizant<strong>in</strong>i dimostrata (a confronto di CastelTros<strong>in</strong>o) da Nocera Umbra ci sarebbe da discutere, visto chel’immag<strong>in</strong>e fornita dal rituale f<strong>un</strong>erario non è trasportabilemeccanicamente alla società dei vivi. Possiamo solo affermareche l’immag<strong>in</strong>e che il gruppo di Nocera Umbra volevafornire di sé era <strong>un</strong>’immag<strong>in</strong>e militarizzata, senza trarreconclusioni def<strong>in</strong>itive <strong>su</strong> quelli che dovevano essere i rapporti– a mio modo di vedere <strong>in</strong>tensi, come <strong>in</strong> tutti i luoghi diconf<strong>in</strong>e (cfr. più avanti nel testo di questo stesso saggio): percontatti di commercio ma anche per razzie e conseguentebott<strong>in</strong>o – della popolazione dei vivi con le terre sottoposte aBisanzio. Ciò che rimane assodato, com<strong>un</strong>que, è che la fisiononomiamilitare di Castel Tros<strong>in</strong>o, nonostante la presenzadi <strong>un</strong> c a s t r u m, non riceve nes<strong>su</strong>na conferma dai resti archeologici,mentre quella di Nocera può certo essere ammessa,ma senza volerne ricavare le conclusioni troppo assolute(il presidio germanico “allo stato puro”) del<strong>in</strong>eate daJorgensen nel <strong>su</strong>o studio, peraltro fondamentale.37 GASPARRI 1990, pp. 241-249.38 Ibid., pp. 249-254.3 9 Codex Carol<strong>in</strong>us, n. 69, del maggio-settembre del 781(questa e le seguenti lettere sono alle pp. 69-72). Sull’<strong>in</strong>teroproblema della term<strong>in</strong>atio vedi TOUBERT 1973, II, pp. 941-945.


del territorio, sia pure, forse, a livelli diversi,economico da parte del papa, politico-militareper quello che riguardava i Longobardi; a menoche le m a s s a e papali non avessero già rappresentato<strong>un</strong>a sorta di enclave <strong>in</strong>dipendente di fattodalla giurisdizione del re, o meglio del duca diSpoleto 40 .In queste condizioni, parlare di veri e propriconf<strong>in</strong>i è difficile. Li si cerca, com<strong>un</strong>que, andandoa scavare nei ricordi degli anziani, <strong>un</strong> fatto,questo, che rappresenta la prassi normale: abbiamogià visto il caso di Parma e Piacenza; enella controversia tra Siena e Arezzo – ad esempio– sono gli ecclesiastici anziani che giurano<strong>su</strong>ll’appartenenza di determ<strong>in</strong>ati territori ecclesiastici(ecclesiae et plebes) all’<strong>un</strong>a o all’altradiocesi, e, di fatto, anche all’<strong>un</strong>a o all’altra civi -tas 41 . Per ciò che riguarda la Sab<strong>in</strong>a, il discorso,rispetto agli altri esempi, si muove <strong>su</strong> <strong>un</strong> numeroancora maggiore di piani, politico, economicoe forse militare. Ma la compenetrazione frai territori appare la stessa, nonostante che stavolta– ed è <strong>un</strong>a circostanza significativa – nonsi tratti di <strong>un</strong> conf<strong>in</strong>e <strong>in</strong>terno al regno, ma diquello fra due poteri – il regno stesso e la chiesadi Roma – che per la maggior parte della lorostoria furono ostili l’<strong>un</strong>o nei confronti dell’altro.Quella della Sab<strong>in</strong>a non è <strong>un</strong>’attestazioneisolata. Il caso più clamoroso, e più noto, è quellodella Liburia (oggi Terra del lavoro), la fertilepianura di Capua, sfruttata <strong>in</strong> condom<strong>in</strong>io daLongobardi e Napoletani 42 , come ri<strong>su</strong>lta <strong>in</strong> modo<strong>in</strong>equivocabile da <strong>un</strong> trattato di poco <strong>su</strong>ccessivoal 774, stipulato da Arechi II di Beneventocon i milites napoletani, che è il p<strong>un</strong>to d’arrivo –confuso, ai nostri occhi, ma solo se <strong>in</strong>sistiamo disperatamentea <strong>in</strong>dividuare frontiere nette eimpenetrabili – di <strong>un</strong>a storia pluri<strong>sec</strong>olare, cheaffonda le <strong>su</strong>e radici negli <strong>in</strong>izi stessi della conquistalongobarda. Starebbe a provarlo il nomedi t e r t i a t o r e s dato ai contad<strong>in</strong>i locali, <strong>un</strong> nomeche r<strong>in</strong>via, con buona probabilità, proprio ai primitempi dello stanziamento dei Longobardi edal problema della tertia 43 .I contad<strong>in</strong>i della Liburia d<strong>un</strong>que avevanodue padroni, l’aristocrazia longobarda e i m i l i -tes napoletani. Ciò vuol dire che <strong>in</strong> questo casosiamo davanti, più che ad <strong>un</strong>a <strong>frontiera</strong>, ad <strong>un</strong>territorio com<strong>un</strong>e fra il ducato longobardo di Beneventoe il ducato bizant<strong>in</strong>o di Napoli. E nonradicalmente diversa la situazione doveva esserealtrove, ad esempio nell’<strong>Italia</strong> nord-orientale.Anche lasciando da parte il caso, forse <strong>un</strong> po’particolare, del duplice sfruttamento di Gradoda parte di Longobardi e Bizant<strong>in</strong>i (<strong>in</strong>torno al770), va ricordata almeno la situazione registratanel patto tra Longobardi e Venetici, fra iquali sono <strong>in</strong> prima fila gli abitanti di Cittanova.Questo patto, stipulato all’età di Liutprandoe ricordato nel più tardo Pactum Lotharii, di etàcarol<strong>in</strong>gia (840), menziona <strong>un</strong> limite territorialepreciso, posto dal duca di Treviso, Paulicio, tra idue rami del Piave, il Piave maggiore e il Piave<strong>sec</strong>co 44 . Ma quel term<strong>in</strong>e veniva posto solo allora,all’<strong>in</strong>izio dell’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo (siamo <strong>in</strong>torno al726): prima non c’era. E <strong>in</strong>oltre, i contenuti delpatto di Lotario, alc<strong>un</strong>i elementi del quale possonoessere fatti risalire certamente al pattodell’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo, riguardano limiti di territoriagricoli, diritti di pascolo, movimenti di personee cose, a testimonianza del fatto che ci si trova difronte ad <strong>un</strong>a realtà agricola che, al di là deiconf<strong>in</strong>i politico-militari, era profondamente <strong>in</strong>tegrata;<strong>un</strong>a realtà locale che <strong>in</strong> tal modo avevavis<strong>su</strong>to per tutto il periodo <strong>su</strong>ccessivo alla conquistalongobarda e che allo stesso modo – siapure <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i che a quel p<strong>un</strong>to si facevano piùchiari – sarebbe andata avanti <strong>in</strong> futuro. Non è<strong>un</strong> caso, allora, che l’analisi delle carte della zonadi <strong>frontiera</strong> fra il regno e l’area bizant<strong>in</strong>o-venetica,la zona trevigiana, ci mostri che l’onomasticadei p o s s e s s o r e s longobardi era fortementemescolata, a riprova di <strong>un</strong>a evidente edantica mescolanza etnica 45 ; così come avvenivadel resto <strong>in</strong> <strong>un</strong>’altra zona di <strong>frontiera</strong>, al di là delPo, nel territorio di Piacenza, dove le carte <strong>su</strong>perstitidell’Archivio Capitolare ci hanno lasciato– <strong>in</strong>sieme con <strong>un</strong>’onomastica <strong>in</strong> parte romanizzante– l’<strong>un</strong>ica attestazione documentaria dietà longobarda relativa ad <strong>un</strong>a Romana mulier.Sono tutti segnali significativi, nonostante i limitidell’onomastica (che però nell’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo,se presa a blocchi territoriali, può avere ancora<strong>un</strong> certo significato etnico), di <strong>un</strong>a forte compenetrazioneumana, territoriale ed economicadelle zone di <strong>frontiera</strong> 46 .40 Codex Carol<strong>in</strong>us, nn. 70-72, lettere tutte comprese <strong>in</strong> <strong>un</strong> della teoria tradizionale (che sosteneva la distribuzione diarco di tempo molto breve (tra il maggio-settembre del 781 e terre ai barbari; l’autore pensa <strong>in</strong>vece all’assegnazione dil’anno seguente). È il Liber Pontificalis ad <strong>in</strong>formarci del ritorno<strong>in</strong> mani papali (nel 739-40) del Sav<strong>in</strong>ense patrimo - no alla posizione classica ma con novità <strong>in</strong>teressanti.<strong>un</strong>a quota delle entrate fiscali) e WICKHAM 1984, più vici-nium, qui per annos prope XXX fuerat abstultum, d<strong>un</strong>que – 44 GASPARRI 1990, p. 266 (per Grado) e 1991, pp. 16-19.sembrerebbe – agli <strong>in</strong>izi dell’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo (DUCHESNE 1886,45p. 428).Ibid., pp. 18–19.41 46 GASPARRI 1990, pp. 241-254.SCHIAPARELLI 1933, II, n. 130 (25 settembre 758), p.42 15: G<strong>un</strong>derada honesta fem<strong>in</strong>a Romana mulier ( l ’ u n i c aIbid., p. 266.“donna romana” notaci dalle fonti documentarie portava43 Sulla t e r t i a, vedi GOFFART 1980, critico nei confronti d<strong>un</strong>que <strong>un</strong> nome longobardo).


6. Può essere utile, a questo p<strong>un</strong>to, tentare diricapitolare le osservazioni fatte, aggi<strong>un</strong>gendoqualche annotazione complementare. I conf<strong>in</strong>idell’<strong>Italia</strong> longobarda furono per l<strong>un</strong>go tempopiuttosto <strong>in</strong>def<strong>in</strong>iti ed as<strong>su</strong>nsero solo lentamente,nel corso del <strong>VI</strong>I <strong>sec</strong>olo, <strong>un</strong>a fisionomia territorialepiù precisa. È possibile che la pace conBisanzio del 680 abbia rappresentato <strong>un</strong>a tappaimportante 47 , alla quale fecero seguito nel <strong>sec</strong>olo<strong>VI</strong>II – <strong>in</strong> <strong>un</strong> periodo peraltro di guerre e di annessioniterritoriali al regno – ulteriori e piùmature conf<strong>in</strong>azioni. I conf<strong>in</strong>i si attestavanospesso <strong>su</strong> conf<strong>in</strong>i naturali, il mare, i fiumi, imonti, le coll<strong>in</strong>e, o <strong>in</strong> riferimento a elementi artificialima antichi (le vie romane): all’<strong>in</strong>ternostesso del dom<strong>in</strong>io longobardo, per fare <strong>un</strong> ulterioreesempio, il Po rappresentava probabilmente<strong>un</strong> conf<strong>in</strong>e di grande importanza fra la“terra del re” ed il resto del regno 48 . Ed il ruolodei portonarii, che ri<strong>su</strong>lta chiaro dalle leggi longobardef<strong>in</strong> dal <strong>VI</strong>I <strong>sec</strong>olo, è <strong>un</strong>a prova ulterioredell’importanza delle barriere d’acqua 49 .Almeno al nord, proprio appoggiandosi aglielementi naturali, i conf<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dividuavano con<strong>un</strong>a certa sicurezza <strong>un</strong>a sorta di <strong>frontiera</strong> militare,quella dell’arco alp<strong>in</strong>o. Altrove, ciò lo si ricostruiscecon più difficoltà e molte maggiori <strong>in</strong>certezze.Ciò non significa, naturalmente, negare<strong>un</strong> dato ovvio, e cioè che le zone più vic<strong>in</strong>e aiterritori estranei al regno presentassero <strong>un</strong>amaggiore densità di controllo militare: bastipensare ai castelli dell’Emilia o a quelli del <strong>La</strong>zio,conquistati da Liutprando e ricordati daPaolo Diacono; e lo stesso poteva valere anche<strong>su</strong>l fronte bizant<strong>in</strong>o, si pensi ad esempio ai castelliricordati (per la f<strong>in</strong>e del <strong>VI</strong> <strong>sec</strong>olo) nell’operageografica di Giorgio Ciprio. Il tutto, però,senza pretendere di moltiplicare, o di irrigidirenel tempo, l i m i t e s fortificati che, nella realtà,dovettero essere molto più modesti ed effimeridi quanto di solito si pensi 50 .Tornando al regno longobardo, va notato comefra i castelli elencati dalle fonti del tempo cifossero anche centri che non erano propriamentepresidi di <strong>frontiera</strong>, ma al contrario elementi<strong>in</strong>sediativi importanti dal p<strong>un</strong>to di vista demografico,facenti parte cioè di <strong>un</strong> sis<strong>tema</strong> di governogenerale del territorio più che di frontiere militari5 1 . Da <strong>un</strong>a parte, d<strong>un</strong>que, va sottol<strong>in</strong>eatocome l’<strong>in</strong>tero controllo del territorio da parte deipoteri pubblici, <strong>in</strong> età longobarda, presentasseforti caratteri militari (senza con questo voleraffatto rie<strong>su</strong>mare teorie del tipo arimannico):c a s t r a, accanto alle c i v i t a t e s, si trovano dappertuttoe non solo ai conf<strong>in</strong>i. Dall’altra, è <strong>in</strong>dubbioche le vere e proprie fortificazioni conf<strong>in</strong>arie –almeno da parte longobarda – dovevano esseredi modesta entità, anche nell’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo. <strong>La</strong> modestiacostruttiva e la limitatezza dei mezzi economicidel periodo impediscono <strong>in</strong>fatti di pensarea fortificazioni imponenti. E <strong>in</strong>oltre: chi mai leavrebbe presidiate? È difficile ipotizzare l’esistenzadi folte guarnigioni stabili, perché di <strong>un</strong>vero e proprio esercito permanente non c’è traccia,nell’<strong>Italia</strong> longobarda. A Nocera Umbra,<strong>un</strong>o dei pochi casi relativamente certi e ben studiati,la com<strong>un</strong>ità legata al c a s t r u m non dovevacontare più di settanta-ottanta persone 5 2 .Tutto ciò porta a dubitare che lo stesso sis<strong>tema</strong>di chiuse e castelli dell’arco alp<strong>in</strong>o f<strong>un</strong>zionasseal meglio della <strong>su</strong>a efficacia nell’<strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo.Se le sorti del regno longobardo si decidonoalle chiuse, ciò non avviene perché, <strong>un</strong>a voltasfondata la grande difesa, non ci sono più forzeda opporre agli <strong>in</strong>vasori: ma perché l’estremadebolezza <strong>in</strong>terna di Astolfo e Desiderio fa sìche, alla prima sconfitta, i loro numerosi oppositori<strong>in</strong>terni, più o meno mascherati – <strong>un</strong>a partesolo dei quali aveva obbedito al comando di mobilitazionedel re –, li abbandon<strong>in</strong>o def<strong>in</strong>itivamente,cosicché ai sovrani non rimane che r<strong>in</strong>chiuders<strong>in</strong>elle città. Strategia disperata e chestavolta fallisce, al contrario che all’età di Autari:perché ormai significava consegnare il propriopaese e la propria gente ai nemici 53 . Nonpiù guarnigione barbarica ma classe dom<strong>in</strong>ante<strong>in</strong>digena, i re e i loro seguaci, <strong>un</strong>a volta <strong>in</strong>vasi icampi e i pascoli, erano sconfitti <strong>in</strong> partenza.Ma il valore militare delle chiuse non c’entra.In generale, d<strong>un</strong>que, il significato militaredel conf<strong>in</strong>e, e con esso della <strong>frontiera</strong>, apparetutto sommato modesto, nell’<strong>Italia</strong> del <strong>VI</strong>, <strong>VI</strong>Ied <strong>VI</strong>II <strong>sec</strong>olo. E se da <strong>un</strong>a parte – per la s<strong>in</strong>uositàdei conf<strong>in</strong>i fra terre longobarde e bizant<strong>in</strong>e4 7 DELOGU 1980, pp. 99–100, il quale ritiene che con questapace (stipulata probabilmente durante il concilio di Costant<strong>in</strong>opoliche condannò il monotelismo) «l’impero riconobbe [...]l’esistenza <strong>in</strong> <strong>Italia</strong> di <strong>un</strong>’entità politica longobarda».48 GASPARRI 1990, pp. 292–295.4 9 AZZARA, GASPARRI 1992, Roth. 265-268, pp. 74 e 76.5 0 PAULUS DIACONUS 1878, <strong>VI</strong>, 49. Sui c a s t r a bizant<strong>in</strong>i <strong>in</strong><strong>Italia</strong>, nell’età di Tiberio I (578-582), vedi CONTI 1975.5 1 GASPARRI 1990, pp. 277-284, dove si discute il ruolocomplessivo delle città nell’<strong>Italia</strong> longobarda e si fanno alc<strong>un</strong>iesempi di città a forte connotazione militare (Siena,Spoleto, Benevento) e di castra che <strong>in</strong>vece si avviano ad <strong>un</strong>dimensione cittad<strong>in</strong>a (Cividale del Friuli, Ferrara; ancheViterbo era <strong>un</strong> castrum e non <strong>un</strong>a civitas, ma va sottol<strong>in</strong>eatoche la differenza di term<strong>in</strong>ologia fra civitas e c a s t r u m,nelle fonti, se è riferita a centri di <strong>un</strong>a certa entità va ricondottaquasi sempre, nel caso dei castelli, alla mancanza di<strong>un</strong> vescovo al proprio <strong>in</strong>terno). Inoltre è possibile che, fra icastelli dell’Emilia (cfr. nota precedente), Paolo Diacono <strong>in</strong>cludaanche Bologna (ma l’elencazione non è del tutto chiara),che non era certo <strong>un</strong> semplice presidio di <strong>frontiera</strong>.52 JORGENSEN 1992, p. 30.53 GASPARRI 1983, pp. 112-113, e 1990, pp. 303-305.


e per il carattere militare del controllo dell’<strong>in</strong>teroterritorio – si potrebbe sostenere che la <strong>frontiera</strong>,<strong>in</strong> <strong>Italia</strong>, era <strong>un</strong> po’ dappertutto, dall’altrapotremmo concludere affermando che la<strong>frontiera</strong>, se <strong>in</strong>tesa come limite, come fratturanetta, non esisteva, <strong>in</strong> quanto il dato più evidenteche emerge dalle fonti è proprio l’opposto:la permeabilità dei conf<strong>in</strong>i e la compenetrazioneumana, agricola e commerciale delle zonef r o n t a l i e r e .(Stefano Gasparri)


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