torino magazine il viaggio go alimentato da forze (allo stesso tempo) sotterranee,soprannaturali e ipertecnologiche. È un tempio, l’agoràdegli ultimi due secoli, ma anche lo spazio dove passatoe presente si incrociano in una suggestione senza tempo(nomen omen…), dato che in fondo <strong>la</strong> città contemporaneaper eccellenza evidenzia un’anima arcaicasemplicemente corretta dal<strong>la</strong> <strong>di</strong>smisura. Street ed avenuesi intersecano per linee r ette come in un castrumromano, le torri richiamano l’or<strong>di</strong>ne delle fortezze, <strong>la</strong> grandecorona <strong>dei</strong> pa<strong>la</strong>zzi alzati verso il cielo fa pensare aduna Stonehenge metropolitana; i totem dell’economia globalizzata,<strong>la</strong> Persepoli del cinema, dello show businessprossimarsi del gigante. Perché <strong>New</strong> <strong>York</strong> City – perimmagine, sostanza e struttura – appartiene, più <strong>di</strong> ognialtra metropoli, al r egno degli esseri viventi (meglio secolossali o mitologici) prima che ad un ambito sociologicoo architettonico. Ce lo testimonia bene quel sordoruggito – <strong>di</strong>versamente percettibile a seconda <strong>dei</strong> quartieri,ma costante, <strong>di</strong> giorno come <strong>di</strong> notte – che è unapista a sé nel<strong>la</strong> colonna sonora <strong>di</strong> Manhattan. La suaintensità cresce avvicinandosi all’ombelico urbano pereccellenza – Times Square – dove ogni forma <strong>di</strong> energiasi concentra in un rettangolo irrego<strong>la</strong>re e irrequieto,incoronato dalle forme verticali <strong>dei</strong> <strong>suoi</strong> buil<strong>di</strong>ng: un luoedel<strong>la</strong> finanza. Disumano e alienante? Forse; umanissimoe vitale? Anche. Ti accoglie e ti respinge a seconda<strong>di</strong> come <strong>la</strong> pren<strong>di</strong>: <strong>New</strong> <strong>York</strong> City non prevede compromessi.Ma neanche semplicità <strong>di</strong> approccio, o chiavi<strong>di</strong> lettura omogenee: <strong>la</strong> Grande Me<strong>la</strong> in realtà è un giar<strong>di</strong>nopieno <strong>di</strong> <strong>la</strong>birinti (come quelli <strong>di</strong> Compton House,nel film <strong>di</strong> Greenaway del 1982…), dove i piani <strong>di</strong> letturacoesistono incrociandosi. Non illuda neanche l’abusatoconcetto <strong>di</strong> melting pot: se è vero che qui risiedonocomunità appartenenti ad ogni possibile etnia umana,è altrettanto assodato che ciascuno vive per contoproprio, in un calderone molto più in<strong>di</strong>vidualista che meticcio.Se oggi gli ispanici sono l’etnia dominante (con il cata<strong>la</strong>no,nel<strong>la</strong> versione spanglish, pronto a far riscrivere ivocabo<strong>la</strong>ri del terzo millennio), italiani, ebr ei ortodossi,afroamericani, in<strong>di</strong>ani, neri francofoni, pachistani, russie po<strong>la</strong>cchi (giusto per citare le comunità più evidenti nel<strong>la</strong>mappa) hanno organizzato i propri spazi creando ‘quartierinei quartieri’, isole compatte per lingua, costumi, colorie stili <strong>di</strong> vita. Matrimoni misti rari (e spesso in crisi),L’Empire-Fulton Ferry State Park
In queste pagine scorci <strong>di</strong> Manhattanpunti <strong>di</strong> contatto essenzialmente due: il <strong>la</strong>voro e le parate<strong>dei</strong> <strong>di</strong>versi pride, dove si certifica, al contempo, l’orgoglio,l’identità e <strong>la</strong> fierezza <strong>di</strong> appartenere tutti a questogrande arcipe<strong>la</strong>go che fu, all’origine, terra <strong>di</strong> avventurieri,pirati, schiavi ed emigranti (o<strong>la</strong>ndesi, inglesi, ir<strong>la</strong>ndesi,africani, tedeschi, italiani…) ma anche – prima ancora– patria <strong>di</strong> tribù in<strong>di</strong>ane dai nomi musicali e impronunciabili:Wiechquaesgeck, Rachgawanche, Massapequa…Arcipe<strong>la</strong>go non a caso, ma per davvero terra d’acquee <strong>di</strong> isole: Manhattan certo, e poi Staten Is<strong>la</strong>nd, LongIs<strong>la</strong>nd (<strong>la</strong> più abitata, coi gran<strong>di</strong> agglomerati <strong>di</strong> Brooklyne <strong>dei</strong> Queens), mentre ‘appartiene al continente’ il soloBronx. In totale <strong>la</strong> <strong>New</strong> <strong>York</strong> Harbour conta cento chilometri<strong>di</strong> canali navigabili interni e 1200 <strong>di</strong> accesso <strong>di</strong>rettoal mare. Quin<strong>di</strong>, dovete tenere conto <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>mensione:una metropoli d’acqua e <strong>di</strong> <strong>ponti</strong> dove vivono ottomilioni e mezzo <strong>di</strong> persone. Manhattan, il magnete, è unapprodo continuo <strong>di</strong> ferry e si protende verso Long Is<strong>la</strong>ndcon quattro <strong>ponti</strong> che ne costituiscono l’in<strong>di</strong>spensabilecordone ombelicale: Brooklyn Bridge, Manhattan Bridge,W illiamsburg Bridge e Queensbor o Bridge. Dal<strong>la</strong>como<strong>di</strong>tà per raggiungerli, ma anche dal<strong>la</strong> prossimità coni tracciati subacquei del<strong>la</strong> metropolitana, <strong>di</strong>pende spessoil valore degli immobili nei quartieri oltre l’Est River. Mail mare non è solo un concetto che ha con<strong>di</strong>zionato l’urbanistica:il mare si intuisce osservando <strong>la</strong> prospettiva dellestreet che attraversano sequenze <strong>di</strong> pa<strong>la</strong>zzi per dendosinel blu, lo si annusa nelle gior nate <strong>di</strong> vento, lo siosserva dagli infiniti pier che decorano le rive, lo siapprezza perché garantisce un’aria respirabile, altrimentiimpossibile con questo traffico e con l’arrembaredelle ‘polveri sottili’. Volendo lo si ama anche, in quell’incre<strong>di</strong>bilespiaggetta che si apre nell’Empire-Fulton FerryState Park, dove si può prendere il sole sul<strong>la</strong> costa <strong>di</strong>Brooklyn, sovrastati dall’imponenza <strong>di</strong> due <strong>ponti</strong> immensi,osservando le onde del bagnasciuga e Manhattan: <strong>la</strong>più grande quinta teatrale del mondo a cielo aperto.Approcci <strong>di</strong>fferenti e <strong>di</strong>verse prospettive anche sul frontereligioso, dove il danaro non è sicuramente l’unica <strong>di</strong>vinitàvenerata nel<strong>la</strong> babele newyorkese. C’è <strong>la</strong> cattedralegotica <strong>di</strong> San Patrizio – stretta tra i grattacieli <strong>di</strong> Midtownappare come un alieno tra le boutique del<strong>la</strong> QuintaStrada – ci sono le chiese <strong>di</strong> Harlem dove ognidomenica risuonano gli spiritual, le sinagoghe <strong>di</strong> Williamsburgdove si stringe <strong>la</strong> più folta, ortodossa (e ricca) comunitàebraica degli States, le numerosissime ‘botanica’ (bottegheper gli adepti delle religioni afroamericane, in cuicomprare filtri d’amore, polveri contro il malocchio e candeleper tutto il pantheon degli Orishas), le moschee, itempli induisti e gli incalco<strong>la</strong>bili luoghi <strong>di</strong> culto (almeno cinquecento)delle più <strong>di</strong>verse confessioni evangeliche:tutte pronte a contendersi i fedeli promettendo estasi, successo,purezza ed un canale <strong>di</strong>retto con l’<strong>Al</strong>tissimo. Maoggi chi sbarca a <strong>New</strong> <strong>York</strong> City non solo può, ma ‘deve’al<strong>la</strong>rgare lo sguardo oltre le torri <strong>di</strong> Manhattan, esplorandoalmeno tre degli altri Borough (il quarto è il quieto com-