Sguardi sul seno Poesia del corpo e della vita
Sguardi sul seno Poesia del corpo e della vita
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<strong>Sguardi</strong> <strong>sul</strong> <strong>seno</strong><br />
le, alla donna in dialogo e in sus<strong>sul</strong>tante<br />
intimità con il proprio <strong>corpo</strong> (nella<br />
sezione “Le lune <strong>del</strong> paradiso. <strong>Sguardi</strong><br />
al femminile” ma anche nella già citata<br />
“Le fonti <strong>del</strong> latte”). C’è l’esperienza<br />
ineguagliabile di farsi cibo per il piccolo,<br />
di scorrere nelle sue vene, come dice<br />
in “Mio piccolo cannibale” Marie<br />
Noël: “[...] / Bevi, avido mio piccolo,<br />
colma la tua fragilità / Di me che mi<br />
chino e ti sono riversata. / Capta questo<br />
latte caldo, e il tuo aver trafitto / La<br />
gemma <strong>del</strong>la mia mammella… Ah! tu<br />
mi ferisci! // Conoscevo la dolcezza di<br />
essere ferita, / Aperta e sanguinante come<br />
un’arancia viva / Che si scioglie in<br />
miele, non più sotto la gengiva, / Nient’altro<br />
lasciato alla gola oltre a una gioia?<br />
// Adamo! Adamo! la dolcezza di<br />
essere mangiata, / Chi la conosceva?<br />
Chi conosceva il supplizio caro / D’esser<br />
la sorsata commovente a scivolare /<br />
E trascinarmi tutta, nel mio piccolo<br />
mutata…?”; e c’è la scoperta dei seni<br />
come fine <strong>del</strong>la fanciullezza, iniziazione<br />
a una <strong>vita</strong> adulta spesso violenta e<br />
sterile, alla ricerca frustrata di amore:<br />
“[...] / Piccole madri – dice Tess Gallagher<br />
ai suoi seni –, non trovo figli per<br />
voi. / Li ho cercati in un uomo / che si<br />
muoveva nell’aria come un dio. / Mi<br />
portava nuvole / e le stelle che gli avanzavano<br />
dalle sue avventure. / Un altro<br />
mi baciò su un molo, in Georgia, / ma<br />
c’era sangue <strong>sul</strong>le sue mani / e whiskey<br />
puzzolente nel vento. L’ultimo / ha fatto<br />
di me una bugiarda finché ho rubato<br />
/ quel che non potevo vincere. Amori<br />
miei, / cos’è questo specchio in cui mi<br />
avete lasciata? // Ve lo avrei potuto dire<br />
subito / che i guai sarebbero venuti /<br />
da altre mani, che bocche aguzze / vi<br />
avrebbero scovate là dove dormivate. /<br />
Ma di sicuro fredde pene ve ne ho fatte<br />
/ patire anch’io come gli altri, / ho dovuto<br />
fare molta strada e accidentata, /<br />
per arrivare a questa morbidezza. /<br />
Miei bravi pagliacci, come potevo immaginare<br />
che per tutto questo tempo /<br />
sono state le vostre grazie pasticcione a<br />
tenermi in <strong>vita</strong> / mentre il cielo era un<br />
sogno sfortunato”.<br />
Se questo è l’intimo dialogo al fem-<br />
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minile, certo non mancano gli sguardi<br />
maschili. La letteratura galante, erotica,<br />
amorosa <strong>sul</strong> <strong>seno</strong> descritto e cantato<br />
dagli uomini rappresenta anzi il grosso<br />
<strong>del</strong>la tradizione (in prosa si arriva<br />
fino al limite <strong>del</strong>l’onirica metamorfosi<br />
<strong>del</strong>l’uomo in una ghiandola mammaria,<br />
come immaginato, per una metamorfosi<br />
kafkiana, da Philip Roth in<br />
The Breast, <strong>del</strong> 1972). In tutto il nostro<br />
Medioevo e oltre esisteva un preciso<br />
canone per la rappresentazione <strong>del</strong>la<br />
bellezza femminile: per ogni parte <strong>del</strong><br />
<strong>corpo</strong>, descritto dall’alto verso il basso,<br />
c’era una norma di bellezza e decenza e<br />
una serie, quasi fissa, di metafore e paragoni<br />
che nei testi più analitici e descrittivi<br />
(altro il discorso per le vaghe e<br />
sublimi figurazioni stilnovistiche e petrarchesche)<br />
non potevano che essere<br />
variati a piacimento e montati con maggiore<br />
o minore abilità.<br />
Quella stessa serie fissa che nel Quattrocento<br />
arriva nelle mani di abili cultori<br />
e viene trasfigurata in forma parodica,<br />
nel genere celebre e gustoso <strong>del</strong>la<br />
poesia nenciale (il caposaldo è La nencia<br />
da Barberino, attribuita a Lorenzo il<br />
Magnifico), e che ancora rifiorisce, virtuosistica<br />
e concettosa, nell’insuperabile<br />
gioco “maraviglioso” di Marino<br />
(mo<strong>del</strong>lo a tant’altra poesia barocca<br />
<strong>del</strong> genere), che ci ha lasciato qualche<br />
manierata descrizione <strong>del</strong> <strong>seno</strong>, come<br />
nell’ottava 40 <strong>del</strong> canto IV <strong>del</strong>l’Adone:<br />
“Che dirò poi <strong>del</strong> candidetto <strong>seno</strong>, /<br />
morbido letto <strong>del</strong> mio cor languente? /<br />
ch’a’ bei riposi suoi, qualor vien meno,<br />
/ duo guanciali di gigli offre sovente? /<br />
Di neve in vista e di pruine è pieno, /<br />
ma nel’effetto è foco e fiamma ardente;<br />
/ e l’incendio, che ’n lor si nutre e cria,<br />
/ le salamandre incenerir poria”. Ma,<br />
anche dal punto di vista <strong>del</strong>l’osservazione<br />
esterna, non tutto è retorica, convenzione,<br />
topos.<br />
Si possono, anche negli sguardi al<br />
maschile, soprattutto in epoca moderna,<br />
cogliere significativi grafici psicologici<br />
<strong>del</strong>lo scrivente, che rinviano a <strong>vita</strong>lismo<br />
o inibizione, ardore desiderante o<br />
senso di esclusione. Basta prendere ad<br />
esempio come reagenti i due grandi <strong>del</strong><br />
nostro Decadentismo, che anche da<br />
questo parziale punto di vista fanno risaltare<br />
l’opposizione dei loro immaginari.<br />
Giovanni Pascoli nel brano antologizzato<br />
dai “Filugelli”, nei Nuovi poemetti,<br />
dà voce ad una fantasticheria,<br />
che conferma il quadro di esclusione e<br />
rêverie proprio <strong>del</strong> “fanciullino” (“I<br />
filugelli”, Canto primo, V: “Ma tu ti<br />
sganci il candido corsetto, /o bionda<br />
Rosa. Fuori è chiaro il sole, / e due colombi<br />
tubano <strong>sul</strong> tetto. // Ti slacci il busto.<br />
Odore di vïole / bianche è nell’orto.<br />
Oh! lascia come prima. / Bello è come<br />
è. Non altro fior ci vuole. // Ci son due<br />
bocci ch’hanno il rosso in cima”). Da<br />
parte sua, D’Annunzio, fin dal giovanile<br />
Primo vere e poi con costanza, esprime<br />
un ardentissimo e panico desiderio<br />
di possesso, uno slancio ebbro e pagano,<br />
che fa fiorire di continuo immagini<br />
di sensualità: “io voglio… voglio su ’l<br />
tuo <strong>seno</strong> turgido / morir morire, o Lilia!”;<br />
“Il <strong>seno</strong> latteo nudo risveglia / i<br />
desiderii: sotto la cerula / clamide tumideggia<br />
/ l’eterea forma e palpita” (entrambi<br />
i passi da Primo vere); “Bei seni<br />
da la punta erta fiorenti, / su cui mi cade<br />
a l’alba il capo stanco / allor che ne’<br />
supremi abbattimenti / <strong>del</strong> piacere io<br />
m’irrigidisco e manco” (da Intermezzo),<br />
ecc.<br />
Venendo più prossimi a noi, si possono<br />
leggere i testi diversamente intonati<br />
di Giovanni Raboni e di Giovanni<br />
Giudici: il primo, in “Supina” da Cadenza<br />
d’inganno, ferma un momento di<br />
dolcezza e di abbandono non più sensuale<br />
ma quasi sororale nell’amata; il<br />
secondo nella bellissima “Alla beatrice”<br />
(dal volume <strong>del</strong> 1972 O beatrice)<br />
dà una prova altissima <strong>del</strong> suo ‘gergo’<br />
all’incrocio tra memoria letteraria e<br />
lingua comune, tra oggettualità e onirismo<br />
<strong>del</strong>la visione, trasfigurando i seni<br />
– oltre tutto nella “beatrice” <strong>del</strong>la tradizione<br />
e in un Leitmotiv da filastrocca<br />
colta – in ‘luoghi’ antropologici e allusivi,<br />
forme infinite e irriducibili <strong>del</strong>la<br />
bellezza e <strong>del</strong> suo consistere nel grigiore<br />
quotidiano.<br />
Daniele Piccini