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Anno III - n. 1 in formato pdf - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ...

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28dottr<strong>in</strong>a marzo 200629marzo 2006Op<strong>in</strong>ionia Confrontodi Maria Coppolanecessaria di determ<strong>in</strong>ati soggetti, che potrebbeessere <strong>in</strong>terpretata come una «sorta di condizionelegale di efficacia: un atto di tipo autorizzatorioche <strong>in</strong>cide sul profilo <strong>degli</strong> effetti e non su quellodella validità del negozio 6 ».Tuttavia, ciò sembrerebbe, poi, contraddetto siadal nomen juris, e cioè “patti di famiglia”, nel sensodi contratto plurilaterale, sia dal ruolo sostanzialedelle parti e dalla partecipazione essenziale diogni avente diritto, per cui il patto di famiglianon può stipularsi se uno dei soggetti sopra menzionat<strong>in</strong>on vi prenda parte.Il patto, poi, deve compensare (a meno che non vir<strong>in</strong>unc<strong>in</strong>o) i legittimari diversi da quelli cheottengono la trasmissione dell’azienda o dellepartecipazioni: «gli assegnatari dell’azienda odelle partecipazioni societarie, <strong>in</strong>fatti, devonoliquidare gli altri partecipanti al contratto con ilpagamento di una somma (o trasferendo beni <strong>in</strong>natura), corrispondente al valore delle quote ereditarieriservate ai legittimari 7 », e «i beni assegnaticon lo stesso contratto agli altri partecipant<strong>in</strong>on assegnatari dell’azienda, secondo il valoreattribuito <strong>in</strong> contratto, sono imputati alle quotedi legittima loro spettanti… 8 », nel senso che ilpatto deve costituire il terreno di scambio didiverse prestazioni, volte a riprist<strong>in</strong>are gli equilibrieconomici e giuridici scossi dal disponente.Tuttavia, la nuova norma presuppone che, chiriceve l’azienda, abbia anche i mezzi per soddisfaregli altri familiari, anche se spesso l’unico patrimonioper att<strong>in</strong>gere sostanze per poter soddisfaregli altri familiari, è proprio quello dell’imprenditore.Qu<strong>in</strong>di, dalla lettera dell’art. 768 quater si può cercaredi identificare e differenziare gli assegnataricontraenti,coloro a cui viene assegnata dal dantecausa, (imprenditore o titolare di partecipazionisocietarie), l’azienda o la quota e che devonoliquidare gli altri partecipanti al contratto con ilpagamento di una somma corrispondente al valoredelle quote previste dagli artt. 536 e ss. c.c., da<strong>in</strong>on assegnatari-partecipanti, coloro a cui vieneversata una somma corrispondente al valore dellequote previste dagli artt. 536 e ss., oppure vieneloro assegnata una quantità di beni equivalentialla somma spettante.Con riferimento ai legittimari sopravvenuti, ledisposizioni <strong>in</strong> esame, precisano che se all’aperturadella successione ci sono soggetti che nonabbiano partecipato al patto di famiglia, costoropossono chiedere ai beneficiari del patto il pagamentodi una somma pari al valore della quota dilegittima loro spettante, aumentata <strong>degli</strong> <strong>in</strong>teressilegali.Inf<strong>in</strong>e l’art. 768 septies prevede i casi di scioglimentodel patto 9 , e l’art. 768 octies regolamenta leipotesi di controversie 10 nascenti dallo stesso.In conclusione, superato l’antistorico divieto checontrastava la nostra economia centrata fortementesulle aziende familiari, la risposta legislativaè nella direzione del patto di famiglia chedovrebbe rispondere ad una serie di esigenze:primo, la necessità di condividere un patrimoniocomune, quando vi è un passaggio generazionaleche comporti un ampliamento dei soci co<strong>in</strong>volti;secondo, la necessità di comunicare una visionecondivisa, nel senso di tramandare dei valori,delle tradizioni proprie di quella famiglia; terzo,la necessità di def<strong>in</strong>ire a monte le modalità dirisoluzione di eventuali situazioni di conflitto trai soci.Tuttavia, è bene sottol<strong>in</strong>eare che se da un lato lanovità va salutata con favore <strong>in</strong> quanto rappresentasenza dubbio un passo <strong>in</strong> avanti <strong>in</strong> un percorsodi civiltà giuridica, dall’altro lato il testonormativo, almeno a prima lettura, presentanumerosi aspetti critici che ne rendono complicatala lettura e l’applicazione............................................1 Cfr. sul punto M.R. Marella, Il divieto dei patti successori e le alternativeconvenzionali al testamento.2 Tali patti sono vietati per il votum captandae mortis che essi determ<strong>in</strong>ano.Si dist<strong>in</strong>guono tre specie di patti successori: confermativi oistitutivi (con cui tizio conviene con caio di lasciargli la propria eredità);dispositivi (vendo a caio i beni che dovrebbero pervenirmi dall’ereditàdi x); r<strong>in</strong>unciativi (convengo con caio di r<strong>in</strong>unciare all’ereditàdi x non ancora devoluta). I patti istitutivi, v<strong>in</strong>colando il decuius, gli toglierebbero quella libertà di disporre, che la legge riconoscead ogni persona f<strong>in</strong>o al momento della morte, mentre quellir<strong>in</strong>unciativi e dispositivi darebbero la possibilità ad un soggetto dipoter disporre con leggerezza, sottovalutandole, di sostanze chenon sarebbero ancora sue e del cui acquisto non potrebbe essere deltutto sicuro.3 Art. 768 bis.4 Esso «a pena di nullità… deve essere concluso per atto pubblico» art.768 ter c.c., nel senso che esso deve rivestire la forma solenne agaranzia <strong>degli</strong> <strong>in</strong>teressi co<strong>in</strong>volti.5 V. sul punto www.AIdAf.it6 V. sul punto Giuseppe Buffone <strong>in</strong> www. Altalex.com.7 II comma art. 768 quater.8 Ult. comma art. 768 quater.9 “Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime personeche hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti: 1)mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e imedesimi presupposti di cui al presente capo; 2) mediante recesso,se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente,attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da unnotaio”.10 “Le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente caposono devolute prelim<strong>in</strong>armente a uno <strong>degli</strong> organismi di conciliazioneprevisti dall’art. 38 del Decreto Legislativo 17 gennaio 2003,n. 5”.Donne vittime di violenza e,a volte, di una giustiziapoco giusta.Nel nuovo numero della nostra rivista abbiamo ritenutoopportuno proporre <strong>in</strong> questa rubrica, sempre attentaalle novità del mondo giuridico, una sentenza dellaCorte di Cassazione che ha sollevato numerose polemiche.Per tale motivo, pur dando un taglio un po’ anomalorispetto al solito stile di “Op<strong>in</strong>ioni a confronto”, l’articolodell’avvocato Maria Coppola è presentato comeun’op<strong>in</strong>ione discordante dalla decisione dei giudici,anche con l’<strong>in</strong>tento di dare il via ad un dibattito.Tuttavia chi volesse <strong>in</strong>tervenire per illustrare una ulterioreprospettiva sullo stesso argomento, potrà farlo per ilprossimo numero della rivista.Donne vittime di violenza e, a volte, di una giustiziapoco giusta.La violenza sessuale può essere meno grave secompiuta ai danni di una m<strong>in</strong>ore che abbia giàavuto esperienze sessuali.Questa, <strong>in</strong> estrema s<strong>in</strong>tesi, la tesi della <strong>III</strong> sezionedella Cassazione penale, che, con la sentenza n.6329 del 17.02.2006, ha, appunto, ritenuto di piùmodeste proporzioni le ripercussioni di una violenzasessuale subita da una ragazz<strong>in</strong>a quattordicenneche <strong>in</strong> precedenza aveva già avuto rapportisessuali. Tanto, perché “la sua personalità, dal puntodi vista sessuale” sarebbe “molto più sviluppata diquanto ci si può normalmente aspettare da una ragazzadella sua età” 1 . Sentenza che <strong>in</strong>quieta, nel suo tentativodi riprendere un penoso, oltre che raccapricciante,ritorno al passato, quasi che lo stupronon sia un reato grave <strong>in</strong> sé, quasi che i danni psicologicie fisici di una violenza possano essere <strong>in</strong>qualche modo attutiti dal fatto che una donnaabbia già avuto rapporti sessuali <strong>in</strong> precedenza,quasi che trent’anni di impegno femm<strong>in</strong>ista controla violenza sulle donne non abbiano avutosenso alcuno.Sì, perché appena f<strong>in</strong>o agli anni Settanta lo stuproera <strong>in</strong> un certo senso giustificato nella mentalitàcomune: se una donna veniva violentata eraperché “ci stava” o, quantomeno, aveva dato l’impressionedi starci.E, magari, fosse stata solo una conv<strong>in</strong>zione“popolare”...La stessa legge (per cui lo stupro rientrava nientealtro che nel novero dei reati “contro la moralitàpubblica e il buon costume” 2 ), gli stessi magistrati(per i quali non era considerata violenza quellanecessaria a v<strong>in</strong>cere “la naturale ritrosia femm<strong>in</strong>ile”o per i quali, peggio ancora, il semplice fattoche una donna non fosse accompagnata da unuomo significava un <strong>in</strong>vito all’aggressione 3 ), lastessa forza pubblica (che, piuttosto che cercare ilcolpevole dello stupro, prima e soprattutto mettevasotto accusa la vittima) avallavano questa“tesi”. In questo clima generale (<strong>in</strong> cui una donnaviolentata era vista come complice, se non colpevole)non stupisce che il numero delle denuncefosse bassissimo. Perché, d’altronde, aggiungere auna violenza un’altra violenza? Prima quella dellostupratore, poi quella <strong>degli</strong> <strong>in</strong>quirenti e dell’op<strong>in</strong>ionepubblica.Fu il processo che seguì al “massacro” del Circeo,nel 1975, a segnare un cambio di rotta <strong>in</strong> questoscenario surreale.Nella notte tra il 29 ed il 30 settembre 1975,Rosaria Lopez e Donatella Colasanti furono stupratee seviziate da tre ragazzi della Roma “bene”,Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira.Rosaria morì. Donatella sopravvisse solo perché sif<strong>in</strong>se morta sotto il cadavere dell’amica.Sdegno e orrore f<strong>in</strong>almente svegliarono lecoscienze. Le donne vittime di violenze com<strong>in</strong>ciaronoad essere viste non più come complici macome vittime. L’avvocato difensore di Izzo colse alvolo il cambiamento e, piuttosto che articolare ladifesa “classica” di quei tempi (quella di colpevolizzarele due ragazze perché avevano accettatol’<strong>in</strong>vito dei violentatori per la gita al Circeo), optòper la tesi dell’<strong>in</strong>fermità mentale del proprio assistito.Il dado era tratto. La rivoluzione aveva avuto <strong>in</strong>izio.Quel processo, tristemente noto 4 , si concluse contre condanne per omicidio volontario pluriaggravatoe tentato omicidio.Poco tempo dopo, esattamente nel 1976, Veronavide celebrare un altro processo per violenza carnale,quello ai danni di Crist<strong>in</strong>a Simeoni, pocopiù che una ragazz<strong>in</strong>a, violentata da due ragazzimentre tornava a casa con un amico. L’amico, colpitoalla testa dai due, perse i sensi e non poté raccontarenulla al processo di quella violenza.Nessun testimone, dunque, e Crist<strong>in</strong>a venne letteralmentetartassata prima, dopo e durante il processo.Negli <strong>in</strong>terrogatori le si chiedeva se avesse reagitoa quella violenza (quasi fosse lei ad essere sotto

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