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Mag. 2010 - Area Studenti - Collegio Universitario Don Nicola Mazza

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14 Nadir / <strong>Mag</strong>. <strong>2010</strong>CINEMA40 ANNI DOPOI tulipani di Haarlem: uno sguardo retrospettivoPIETRO GUARATOIn occasione dei quarant’anni dalla sua realizzazione, potrebbe risultareinteressante riscoprire uno dei numerosi film italiani che costellaronoun periodo di inaudita (se raffrontata all’epoca attuale)prolificità, con quasi mezzo migliaio di pellicole prodotte nel nostroPaese ogni anno (oggi non si arriva neppure al centinaio), spesso dirilevante qualità artistica anche in prodotti più defilati, condannati,per una serie di ragioni di carattere produttivo-distributivo, ad unarapida obnubilescenza. Si tratta del film “I tulipani di Haarlem”(1970), opus numero 4 del milanese Franco Brusati (1922-93),regista teatrale e cinematografico, personalità colta, raffinata eappartata del panorama culturale dell’epoca, in una posizione marginalerispetto alle grandi correnti artistiche ma capace di raggiungeretalvolta un vasto consenso (il successo di pubblico di “Pane ecioccolata” (1974), con Nino Manfredi; la nomination all’Oscar per ilmiglior film straniero nel 1979 con “DimenticareVenezia”), dai risultati artistici diseguali masempre interessanti e personali. “I tulipani diHaarlem” è, secondo alcuni critici, la sua operapiù riuscita, capace com’è di fondere in un originaleconnubio dramma (con punte di sconvolgentetragicità), surrealismo e commediagrottesca, amarezza e ilare umorismo, mischiandoi toni elegiaci del racconto di unamour fou appassionato e masochistico conquelli di una favola elegante e crudelissima suitemi dell’autodistruzione e dell’annientamentodell’altro. La storia inizia nella città di Bruges, inBelgio: Pierre Dominique è un giovane impiegato innamorato dellavita ma frustrato dallo squallore del suo ambiente e dalla mancanzadi rapporti con i suoi colleghi di lavoro (dediti più che altro ad organizzarescherzi crudeli ad un anziano ragioniere malato di cuore),così solo da aspettare con ansia l’unica chiamata sul suo telefono,quella del segnale orario. Un giorno salva dal suicidio una bellissimaragazza inglese, Sarah, affittuaria dell’appartamento accanto al suo,scottata da una delusione sentimentale che la porta a scrivere suglispecchi “Life is shit” e a prendere disperatamente a revolverate lafotografia del suo ex amante. Entusiasta ed appassionato, Pierre siinnamora di Sarah, che però sembra costantemente ignorarlo edapprofitta della totale bontà e sottomissione del ragazzo per sottoporload una serie di atti di umiliazione sempre più tormentosi (loobbliga a denudarsi, a seguirla per le vie della città a piedi nudi, adubriacarsi in un ristorante dilusso con grande scandalodegli altri avventori, ad assistereai suoi amori con un riccopittore incontrato per caso),finchè lo conduce ad un talegrado di disperazione da indurloa tentare il suicidio in unaspiaggia vicino ad Haarlem:allora, convintasi dell’autenticitàdel suo sentimento, decidedi ricambiarlo e di restare conlui in una capanna in riva almare. Il ragazzo, fuori di sé dallafelicità, inizia a saltare di gioia,a correre e scherzare sullaspiaggia, cominciando, comele confessa, a “guardare il modo con occhi nuovi”. Mal glieneincoglie, perché è lei stavolta ad iniziare a tormentarsi: non soffrepiù per me, non mi ama più come prima, dunque finirà per lasciarmi.“Non essere così allegro, mi rende gelosa” gli dice, e il giorno dopo,con la scusa di fargli una fotografia con una vecchia macchina allampo di magnesio, gli brucia gli occhi: “un modo come un altro perconservarselo fino alla vecchiaia, e ribadire, fuor di metafora, chel’amore è cieco” (G. Grazzini, Corriere della sera). L’ultima inquadraturaè l’immagine di un gabbiano che vola nel cielo, a simboleggiarela libertà perduta.Impreziosito dagli estri pittorici (l’omaggio a <strong>Mag</strong>ritte nei titoli di testanon è casuale) e dai colori intensi e avvolgenti della fotografia diLuciano Tovoli (poi collaboratore di Antonioni, Scola, Argento), caratterizzatada un gusto per l’immagine elegante e raffinata, e agghindatoda un suggestivo commento musicale di BenedettoGhiglia, il film riesce nell’intento di ravvivare una materiasfruttatissima modulandola secondo forme, toni e stili decisamentenuovi e non convenzionali. Anche se si può affermare che la primaparte del film è giocata maggiormente sul versante della commediamentre l’ultima parte è più virata sul drammatico (e culmina nelloscioccante finale), è tutta l’opera ad oscillare continuamente traquesti due poli espressivi, che trovano il loro punto d’incontro neifrequenti inserti grotteschi, a volte bene amalgamati nel fluire dellanarrazione, qua e là un po’ troppo scopertamente programmatici estridenti, pur nel generale eclettismo dello stile. Volendo essere piùprecisi, si potrebbe affermare che il tipo di costruzione del raccontomesso in atto dal regista è più letterario (o teatrale) che cinematografico,al punto che, malgrado le notevoli invenzioni visive (una sututte: la soggettiva di Pierre dopo l’accecamento, un tremolio disilhouettes rosa e azzurre quasi astratte), viene da pensare che lastoria potrebbe essere tranquillamente trasposta pari pari in un raccontonello stile di uno scrittore ottocentesco, ad esempio di unMaupassant (a cui il violento pessimismo che pervade la pellicolasembra insistentemente rimandare): di qui una certa mancanza disincronizzazione che a volte si avverte tra lo sviluppo dei temi dellastoria e i ritmi e i tempi del racconto cinematografico, dovuta ad unamaggiore importanza assegnata alla sceneggiatura, rispetto almontaggio, nel guidare la successione dei sintagmi narrativi. Operain ogni caso memorabile per il sentimento di dolore e di amoredenegato che la pervade, quasi un requiem per celebrare il fallimentodelle utopie della giovinezza, “I tulipani di Haarlem” si giova delleriuscite interpretazioni dei due giovani attori Frank Grimes (un attoreirlandese di teatro), a suo agio nelle gags come nelle scenedrammatiche, e Carole Andrè, “di una freschezza contraddetta daqualcosa di spietato” (T. Kezich). Attorno a loro, una piccola folla dicaricature di una società conformista completa l’inquietante dansemacabre.

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