librielogio del silenzioBoris BiancheriElogio del silenzio2011, Feltrinelli228 pagine, € 17,0010 <strong>Konrad</strong> <strong>ottobre</strong> 2011Il giorno in cui ho scoperto questo libro ero reduce da un imbarazzante incontrocon una persona prodigiosamente loquace e invadente, quel generedi individuo che, se ti chiede da che parte vai, merita una sola risposta:“Dall’altra!”. E non ti resta che sgambettare sperando che non ti segua…Con le orecchie fumanti, la testa ingombra di confidenze non richieste, nonpoteva non attrarmi quel titolo benedetto che occhieggiava dallo scaffale:Elogio del silenzio.Autore (autorevole), Boris Biancheri, classe 1930, diplomatico dalleprestigiose origini (figlio di un diplomatico e di una baronessa, nonchénipote di Giuseppe Tomasi di Lampedusa) e dalla luminosa carriera. Mortolo scorso luglio, Biancheri è stato ambasciatore italiano a Tokyo, a Londra,a Washington, e infine è stato segretario generale del Ministero degli Affariesteri, cioè la più alta carica della diplomazia italiana.Già autore di altri libri (L’ambra del Baltico: carteggio immaginario conGiuseppe Tomasi di Lampedusa, Il ritorno a Stomersee, Il quintoesilio, tutti editi da Feltrinelli, per non parlare dei saggi di politica internazionale)alla presentazione di Elogio del silenzio Biancheri aveva dichiaratoche da anni pensava a come rendere omaggio al silenzio, al suo valoremorale, al suo mistero. Gli sarebbe piaciuto scrivere un saggio, ma – loammetteva con encomiabile modestia – era un progetto superiore alle sueforze. E così, aveva optato per un romanzo, una narrazione pura che piùpura non si può: personaggi eterei, molti dei quali senza nome; un paese,forse europeo, non identificato; una città latente, diafana, che fa da sfondoleggero (ricorda certe Città invisibili di Italo Calvino); una trama trasparentecome l’ala di una farfalla, ma densa di metafore. E una fine che si presta amolte interpretazioni.Il protagonista è Felix. Lo conosciamo bambino piccolo, in quell’età in cuisarebbe naturale che iniziasse a parlare, o almeno a provarci, puntando ilditino e sillabando il nome di ciò che vede. Ma Felix, attento intelligente emite, non parla. I genitori ne sono costernati prima, e disperati poi. Temonoper lui una vita da sordomuto, chiamano i dottori. Quel bimbo troppo quietoè per loro un oggetto oscuro, che quasi li imbarazza. Dopo anni, come sefosse naturale così, Felix pronuncia finalmente una parola: “Bello”. Ne diràaltre, pian piano. Comunque poche. Parlerà sempre con avarizia, prudenza,come se sapesse che in fondo sarebbe preferibile tacere.Ma Felix ha anche delle doti eccezionali. Ha una memoria visiva e uditivastraordinarie. Negli anni del silenzio totale, ha osservato e memorizzatotutto. Ha classificato i ricordi come un archivista, attribuendo a ogni ricordoun numero. A cosa corrisponde il numero 21? Felix ormai adulto (arrivatoormai oltre le migliaia di ricordi catalogati) saprà dirlo... Il 21? Ah sì, quellavolta in cui a due anni sono entrato da solo in una vasca di ferro smaltato...Ricordi minimi, personalissimi, e per la maggior parte inutili.Solo un professore intuisce che il suo talento va indirizzato meglio, e gliinsegna a interessarsi a tutto. Se memoria dev’essere, che sia memoriadel mondo e non solo di se stesso. Discutono di politica, arte, costume.Aperta la mente, Felix si iscrive alla facoltà di filosofia, e lì conosce il GranPresidente che, oltre ad essere docente universitario, è anche Presidentedel Consiglio.Anch’egli si accorge di Felix, del suo genio stralunato e taciturno. Ne fa ilsuo assistente, segretario particolare, allievo, pupillo, confidente, erede…Il Gran Presidente ha uno strano modo di governare – non fare assolu-tamente niente – ed èapprezzato per questo. Èbonario, affabile, cortesecon tutti, i suoi discorsi nonsono decifrabili, l’obiettivoprimario è evitare chele cose accadano, che iproblemi si pongano.Esemplare è il caso che gliviene sottoposto dal capodei servizi segreti. In uncarcere sta per scoppiareuna rivolta ed è un ben determinatogruppo di detenuti a soffiare sul fuoco. Che fare? Ebbene, il GranPresidente suggerisce che questi vengano trasferiti, che vicino alla frontierasi finga un incidente stradale, che le guardie voltino opportunamente lespalle... I carcerati certamente fuggiranno, oltrepassando il confine, ed eccoche il problema sarà risolto!Un giorno, il Gran Presidente viene ucciso da un pazzo. Si pone il problemadella successione. Felix, che ha fama di esserne l’erede morale e intellettuale,è subito designato. La sua impassibilità, la sua pacatezza, il modo diascoltare, piacciono.Ma questo modo di governare lo mette a disagio. Felix non è poi così nullafacentecome il defunto presidente, ritiene che i problemi vadano almeno affrontatise non risolti. Felix, insomma, sente un insopprimibile bisogno di verità.La verità doveva essere messa al centro di ogni azione degli uomini e di chi ligoverna, perché veniva prima della sicurezza, prima della libertà, prima dellalegge stessa. E la verità era questa: che il paese stava affondando, insiemealle infinite piccole macerie di cose ignorate, rinviate e non fatte, tra il disprezzodi molti e l’indifferenza dei più. A questo lui avrebbe cercato di porre rimediocon una energica azione del suo Governo. Occorreva risvegliare gli spiritisonnolenti per dare maggior giustizia a tutti e maggior benessere a chi lomeritava. Sapeva di correre il rischio di commettere sbagli, ma aveva fiducianei mezzi che la sorte gli aveva dato e nel sostegno dei presenti.Presenti che, invece, non hanno mai sentito nulla di simile, e delle intenzionidi Felix capiscono poco...Felix si ritira nella casa del padre, per scrivere in pace un discorso cheabbia forza, rigore e prospettive. Il giorno fissato, si reca alla sede delParlamento, dove tutti attendono di ascoltarlo. Ma a Felix non esce parola.Muove la bocca, agita le mani, ma dalla sua gola non proviene alcun suono.L’imbarazzo è generale. Viene accompagnato fuori, si pensa o si vuolpensare a un malore. Sarebbe l’unica spiegazione onorevole.Ma Felix non sta male. In lui è scattato qualcosa di profondo e autentico. Sirende conto che non potrà continuare a fare politica, men che meno come presidente.Prende un treno, va alla frontiera, in un bar beve un cognac e chiededove si trova. Gli risponde un uomo, vago e sapiente. Chi può dire esattamentedove si trova, in ogni momento della sua vita? Quel che posso dire è che qui lacittà finisce. [...] Un piccolo muro. Al di là di quello, non c’è nulla.Solo il mare, verso il quale Felix si incammina sereno, deciso, mentre dietrodi lui rimane il paese, la città, putridi di parole bugiarde. Decide di morire?Potrebbe sembrare, ma la domanda resta intatta. Le domande dopotuttosono intriganti quanto il silenzio.Qual è il messaggio di questo romanzo elegante e incorporeo, elusivo emisterioso? Che cosa voleva dirci, della politica, un uomo come Biancheriche l’ha vista da una prospettiva così delicata e profonda come quelladiplomatica?Forse, che in politica non c’è spazio per la verità. Se si volesse dirla - madirla davvero - mancherebbero le parole, i suoni. La politica non ha nulla ache vedere con la verità. Il Gran Presidente, buon’anima, era lì per non diree non fare nulla di vero, ed era questo che lo rendeva, paradossalmente, unpolitico perfetto...Luisella Pacco
giovaniUn articolo per Giuseppe"Peppino" ImpastatoIl giornalino della mia scuola tende ad autocensurarsi, ovvero sonogli studenti stessi ad evitare il dialogo e la discussione, ma nonè solo paura. Parlare di mafia infatti è definito “troppo di parte”,parlare di razzismo è definito “troppo di parte”, criticare la scuola èdefinito “troppo di parte”. Pensare è “troppo di parte”.Ecco perché mi sono rifugiata in <strong>Konrad</strong> per poter pubblicare un articolosulla mafia, un semplice scritto, niente di più, ma che almenopossa ricordare un eroe.Sognai, in una notte qualsiasi, di ritrovarmi seduta ad un bar diCinisi, vicino a Palermo. Sorseggiare il solito caffè, leggere il consuetogiornale e mentre ammiravo il sole cocente del Mezzogiornouna voce carismatica catturò la mia attenzione. Battute, imitavanoqualcuno, ma io non riuscivo a capire cosa stessero dicendo quellevoci finchè non riconobbi la sigla: “Radio Aut”.Mi svegliai. Purtroppo.Per un secondo provai unasensazione terribile: una fitta alcuore, le lacrime che pulsavanonegli occhi, la testa che bruciava eurlava: “Non è possibile lui è morto!Morto, non tornerà mai più! Lohanno ucciso, ucciso!”. Ora che ciripenso mi metto a ridere, appenami svegliai dal sogno mi sembrò diessere stata catapultata in un’altrarealtà, non ero più a Cinisi e Peppinoera stato ucciso anni e annifa, eppure mi sembrava tutto cosìreale, mi era apparso per davverodi sorseggiare quel capuccino, nesentivo l’amarezza impressa trale labbra, percapivo concreta trale mie mani la carta del giornale,provavo veramente il calore sullamia pelle del sole estivo, comela voce di Peppino nelle orecchie Giuseppe "Peppino" Impastatosembrava così vicina a me.Peppino Impastato fu, ed è ancora, un punto fermo, una certezzaassoluta, un dogma indiscutibile. Sarà per sempre uno degli eroiche più ammiro e rispetto. Averlo percepito vivo per un solo secondoanche in sogno mi spezzò il cuore. E come se s’immaginassead occhi aperti il proprio idolo che ti abbraccia, ti bacia, ti protegge,chiacchiera con te e dopo in un momento di chiarezza, in cui i pieditoccano di nuovo terra, rendersi conto che questo mito non esistepiù fa male. Sarà perché a 15 si divinizza tutti e tutto, ma io Peppinol’ho fatto anche diventare la mia stessa forza: se ho un problemaripenso a lui e tutto mi sembra così stupido.Fu lo Stato ad ucciderlo non solo la mafia. Lo ammazzarono conviolenza e una ferocia disumana solo perché parlava. La libertà èuno dei nostri pochi diritti, lui fu uno dei pochi ad avere il coraggio dicombattere per ricordare agli Italiani che questo diritto non ci deveessere tolto. Fu lo Stato ad ucciderlo perché gli fu resa giustiziasolo nel 2002 (Peppino fu assassinato nel 9 maggio del 1978). Lamadre aspettò 24 anni per vedere Tano Badalamenti condannatodalla corte italiana. 24 anni di lotta senza tregua. Sopravvisse alfiglio e gli diede giustizia dopo che Peppino sopravvisse alla mafia erimase nel cuore di moltissimi italiani.Quello che ho scritto non mi è mai apparso “troppo di parte” ma miinchino a cotanto giudizio se si ritiene che le mie parole abbiano ilsolo scopo di propaganda politica.tre canti per lucianoCon Luciano Comida c’era molto non detto che aspettava di dirsi pian piano,di scoprirsi, ma il tempo preferì fermarsi a una primavera acerba. Unacoincidenza però può forse rendere l’idea di questo inespresso: chiacchierandoprima ancora che andasse in ospedale, credo fosse fine novembre,scoprimmo che stavamo facendo la stessa identica cosa e ce lascambiammo subito: tutti e due stavamo lavorando contemporaneamentea un racconto-cornice (di quello scambio mi rimangono i suoi appunti, lesue correzioni e i suoi suggerimenti, che conservo come tesori).Da tre lustri ormai sono solito scrivere poesie, che non leggo mai al difuori della piccola cerchia del mio cuore. Ne ho scritto una (il cui nucleorisale al 25 maggio) in tre tempi, per Luciano, forse neppure delle piùbelle, ma estremamente sentita. Insomma, la sua incerta bellezza vienebattuta dall’intensità della sua stesura. Per lui ora la trascrivo a voi, per laprima volta oltre il mio cuore. Mi si perdoni la voce.Riccardo RedivoI. Trasformazioni dell'’altroveSe esisti in qualche consapevolezzaalleggerisci il dolore ai tuoi noi.Se la tua volontà ha una formae può volare, le fiamme placadella lontananza e rigarrisci,rondine emigrata a primavera,lettera illuminata dal sole.Superiore all'’esplosioneè il silenzio che ne seguema il ricordo del boatoporta il vento oltre il desertoverso il mondo che occupiamo.II. RecisioneIl prato del futuro ha un fiore in meno,tocca allargarci il passatoin un diverso orizzonte.III. LeggerezzaLo sappiamo tutti che Idefixlo nascondevi dentro la barbaperché a lui piaceva quella stoffa,giocare del ventofra nuvole e inchiostro.Beatrice Achille