Un mondo diverso è possibileLetture di fine estateIn queste giornate di fine estate mi sono dedicato alla lettura di due stimolantisaggi. Il primo, di Nunzia Penelope, Soldi rubati, descrive un’Italialevantina (tante scuse ai levantini), in cui dominano evasione ed elusionefiscali, riciclaggio di denaro sporco, illegalità, corruzione, abusi edilizi,lavoro nero, truffe, criminalità organizzata; tutti o in gran parte in qualchemodo correlati fra loro come esito di un medesimo disegno, di una gestioneperversa del Paese, in cui i concetti di etica sociale e di solidarietà nonsono un vanto di civiltà, ma un demerito da relegare a coloro che peccanodi scarsa furbizia e difettano di sagacia politica. L’altro saggio offre inveceun quadro consolatorio: di fronte al dramma della crisi globale che sconvolgeil mondo, dove il 2% della popolazione adulta si arricchisce con laspeculazione finanziaria, quanto più la crisi avanza, possedendo oltre lametà di tutta la ricchezza mondiale, potrebbe esistere una via d’uscita:l’economia dei beni comuni.Il saggio di EnricoGrazzini si intitola infattiIl bene di tutti. L’economiadella condivisioneper uscire dalla crisi.Il saggio della Penelope,che è supportato daun’ampia, dettagliata epuntuale analisi di datipubblicati da agenzieufficiali, presenta il quadrodell’area perversadell’economia del nostroPaese, in cui annualmentel’evasione fiscaleammonta a 120 miliardidi euro, vengono distribuiti60 miliardi percorrompere, cui vannoaggiunti oltre 500 miliardinascosti nei paradisifiscali (secondo la seguentefiliera: si evade,si nascondono i soldi, si corrompe per nasconderli, e poi una volta ripulitiattraverso il riciclaggio, si usano per corrompere ulteriormente), la criminalitàorganizzata fattura 100 miliardi, l’economia sommersa vale 350 miliardi,il che corrisponde al 20% della ricchezza nazionale, Solo sommandoi 120 di evasione con i 60 di corruzione e moltiplicando per 10 (10 annidi evasione e corruzione) si ottengono i 1.800 miliardi, corrispondenti allostock del debito pubblico italiano. Si chiede la Penelope se il malaffare inItalia sia ormai strutturale, se il nostro sistema economico, o almeno unasua parte consistente, abbia fatto dell’illegalità il suo asset principale. Delresto in Italia nuove leggi hanno indebolito la lotta al crimine economico efinanziario: scudi fiscali, depenalizzazione del falso in bilancio, riduzionedei tempi di prescrizione dei processi, tanto per ricordarne alcune.La tesi di Penelope è che se fosse recuperato almeno in parte questoenorme flusso di denaro, ovvero se evasione, corruzione etc. raggiungesseroun livello fisiologico tipico degli altri Paesi dell’occidente europeo,l’Italia potrebbe potenziare il trasporto su ferrovia, le infrastrutture, gliospedali, le scuole, raddoppiare l’importo della cassa integrazione, incrementarele pensioni fino a un livello dignitoso, estendere a tutti i senzalavoro un’indennità mensile paragonabile a quella degli altri Paesi europei.E noi potremmo aggiungere: risolvere i problemi dell’adeguamentoantisismico degli edifici in particolare, e quelli degli interventi sul dissestoidrogeologico del territorio, finanziare la cultura e la ricerca, per renderlacompletamente indipendente, incentivare lo sviluppo e le applicazionitecnologiche della green economy. Con 250 miliardi recuperati all’illegalitàsi potrebbe investire per il recupero economico del mezzogiorno, dotareNunzia PenelopeSoldi rubatiPonte Alle Graziepp. 335, 14,60 €Enrico GrazziniIl bene di tutti. L’economia dellacondivisione per uscire dalla crisi.Editori Internazionali Riunitipp. 367, 16,00 €8 <strong>Konrad</strong> <strong>ottobre</strong> 2011tutta l’Italia della banda larga, raddoppiarele risorse per la scuolapubblica, impedire la fuga dei cervelli.E così via.Come è detto nella prima di copertinadel testo di Grazzini, esistonobeni che non possono e non devonoessere commercializzati . L’acqua,il territorio, internet, la cultura,le reti di trasporto e di comunicazione, le conoscenze sono commons, cioèbeni di tutti. Difenderli deve essere il compito principale delle politiche edelle economie dei Paesi di tutto il mondo sostenendo un’economia diversa,che rispetti i cittadini e le comunità e ostacoli il mondo della finanzasenza scrupoli, colpevole di averci gettato nel tunnel senza uscita dellacrisi mondiale.Nella prima parte del saggio Grazzini esamina le dinamiche della crisi, ilruolo oscuro del mondo bancario che si divide fra credito e finanza, doveil grosso delle transizioni finanziarie avviene al di fuori dei mercati regolamentaritramite derivati, credit default swap, subprime, ed altri prodotti“innovativi” venduti direttamente o indirettamente ad aziende, enti pubblicie anche al largo pubblico p.e. tramite i fondi d’investimento. I valori piùrischiosi sono collocati in società finanziarie ad hoc spesso situate neiparadisi fiscali e promosse per gestire gli affari più rischiosi da non consolidarenei bilanci. Ed è il capitalismo e in particolare il modello neoliberista,nato nella famigerata scuola di Milton Friedman all’Università di Chicago,che ormai pervade, sotto varie interpretazioni, il mondo occidentale, ma haconquistato anche la Russia, e in parte anche la Cina e l’India oltre a partedel Sud America. L’economia finanziaria soverchia l’economia produttiva ene gestisce la sorte. La crisi economica mondiale è quindi la crisi inevitabiledel capitalismo nella sua più deteriore manifestazione.Grazzini individua tre scenari di uscita dalla crisi: uno conservatore,caratterizzato dal “tutto come prima o quasi”; l’altro progressista favorevole“al capitalismo buono ed equilibrato”; e un terzo che contiene delleproposte “alternative” al sistema attuale. Viene scartato il primo scenarioperché non prospetta nessun cambiamento sostanziale a livello delladistribuzione dei redditi e del potere, ma anche il secondo perché seppurprogressista non può superare le contraddizioni del sistema, ovvero lecause che hanno generato la speculazione. Il terzo scenario invece proponesoluzioni di “economia alternativa” ed è promosso da una pluralitàdi forze sociali e culturali spesso non rappresentate o sotto-rappresentatedal sistema politico: le forze sindacali e gli intellettuali più radicali e di sinistra,gli ecologisti, le forze religiose più sensibili ai problemi della giustiziae della povertà, le organizzazioni non governative, i movimenti new global.È uno scenario che propone delle decise riforme strutturali e prevede cheaccanto al mercato e all’intervento pubblico, si sviluppi un terzo settoreeconomico basato sulla gestione dei beni comuni e sulle organizzazionino profit e forme di democrazia diretta che dovrebbero prevedere la partecipazionedei lavoratori ai boards delle aziende, perché la drammaticacrisi energetica ed ecologica richiede una sostanziale trasformazione deimodelli produttivi e di consumo. Grazzini non si illude di aver scoperto lasoluzione a tutti i problemi: la realtà è complessa e l’analisi dei tre scenarie l’interpretazione delle loro conseguenze non forniscono una soluzioneimmediatamente percorribile. Quello che si riesce a percepire è che ènecessario un cambiamento che conservazione e riformismo non sono ingrado di prospettare, mentre è necessario sviluppare sia sul piano culturalesia su quello pratico alcuni elementi di economia alternativa, ovveroun’economia della condivisione. Che si sta effettivamente realizzandonell’ambito dei beni comuni immateriali come le economie di rete, con losviluppo di relazioni sia a livello scientifico sia a livello di comunicazionegenerale attraverso la diffusione di internet, che favorisce la diffusione nonmercantile delle conoscenze. Sta facendosi strada quindi una innovativacomunità di rete, esempio di democrazia diretta che organizza la partecipazionea manifestazioni di protesta e che ha avuto un ruolo importantenei cambiamenti degli scenari geopolitici in corso, dove si assiste a unoscontro culturale fa conservazione e innovazione. Con quale esito?Lino Santoro
9 <strong>Konrad</strong> <strong>ottobre</strong> 2011Trieste la bella addormentataBeniamino PagliaroTrieste. La bella addormentataEdizioni Biblioteca dell’immagine,pp. 148, € 12,00Chi sono i destinatari di un libro dedicato all’analisi degli ultimi eventi politici esociali di una città? In generale i cittadini stessi, ma se Trieste è la città in questione,allora la curiosità può toccare un campo di lettori più esteso. Non moltopiù esteso, ovviamente, si parla sempre dello sparuto plotone di lettori italiani.Stiamo parlando del libro Trieste, la bella addormentata, di BeniaminoPagliaro, giovanissimo giornalista con collaborazioni all’Ansa, MessaggeroVeneto e La Stampa e vogliamo affrontare il punto di vista di due tipi dilettore: di chi certi fatti li conosce bene perché a Trieste vive e lavora, emagari di alcuni episodi è stato attore, anche se di secondo ordine, e di chidi Trieste ha solo un ricordo.Come infatti scrive lo stesso autore molti che ci sono nati o che ci hannoabitato ora si sono spostati altrove per lavoro. Pur non potendo essere consideratia pieno titolo cittadini, sono comunque avidi di notizie: scrutano trale righe il ritratto della città amata come si farebbe nel cercare di riconoscereda una foto recente i tratti di una persona che non s’incontra da tempo.Inoltre, specie nell’anniversario dei centocinquant’anni d’Italia, questa città,che è stata uno dei luoghi sacri della costruzione di un’identità nazionale,può costituire un caso esemplare per chi voglia esplorare l’evoluzione delnostro Paese.Dei modi per accostarsi al libro, pertanto, quello di quest’ultimi è farsi raccontarela città com’è oggi; l’altro, quello dei cittadini, ascoltare un’altra vocedel dibattito in corso, per capire, concordare o negare. Non a caso nellapresentazione del libro, per quello che si può intendere dalla cronaca, si èparlato, più che del libro stesso, della protagonista: Trieste.Per chi si accosta al libro nel primo modo, per curiosità intellettuale onostalgia, la prima cosa che salta agli occhi è ancora il carattere arcaicodella città, un piccolo paradiso terrestre dove la qualità di vita è altissima puressendoci, a detta dei triestini, tantissimi problemi.Una città il cui scenario politico è ancora la pagina cittadina de “Il Piccolo”,il quotidiano locale, in anni in cui altre prestigiose testate fronteggiano unfuturo buio per la scomparsa dei lettori.Una città dove la pausa pranzo, che altrove basta appena per guadagnareun bar affollato e trangugiare un panino, qui permette di raggiungere Barcolae fare un tuffo in mare.Dove l’aria è mondata da un vento estroso ma immancabile, e comunqueè rinnovata da due polmoni naturali, tra i quali l’area abitata è racchiusa: ilmare e il Carso.Certo, il senso di colpa italiano per le offese e le amnesie del dopoguerrahanno viziato l’economia che oggi è in grande maggioranza dipendentedallo Stato. Con vicini industriosi come veneti e “furlani”, per contrastoquesto sembra un male. Che il vecchio ruolo di porto dell’Est sia sempre piùlontano così come molti giovani debbano lasciare la città in mano a vecchilongevi e in salute, anche.Tuttavia, a chi vive afflitto dalla nebbia, dall’inquinamento, dal traffico, dairitmi ossessivi delle industrie in crisi appare così criticabile il ruolo di una“bella addormentata”?La risposta è no e l’analisi di Pagliaro, peraltro mai prolissa ma precisa edesauriente, lo conferma, anche se da triestino avanza tutte le preoccupazionied i dubbi del caso.A Trieste d’altra parte il libro non è passato inosservato. Ha suscitato interesseed è andata subito esaurita la sua prima edizione. I lettori triestini, nonmolti ma notoriamente voraci, non erano abituati agli instant book o ai librisulla storia più recente della città. Mancava un’analisi degli ultimi vent’annidi governo della città. Pagliaro disegna i ritratti personali dei tre sindaci,Riccardo Illy, Roberto Dipiazza e Roberto Cosolini. Il momento da cui il libroparte è quello dell’uscita della democrazia italiana dal sistema dei partiti checoincise con l’elezione diretta dei sindaci da parte dei cittadini. In assenzadi un rapporto con le forze politiche che li espressero, essendo questeultime a loro volte entrate in crisi quali enti esponenziali degli interessi deicittadini, Illy e Dipiazza operarono in apparente autonomia. Dietro il secondosi stagliava l’ombra del senatore, Giulio Camber. Il libro include un’intervistaa questo personaggio, certamente atipico nell’odierno panorama politico,che molti hanno voluto mitizzare forse non avendo mai avuto l’interesse, ilcoraggio o la statura per affrontarlo.Pagliaro, di questi personaggi, tratteggia le origini, il carattere, i vezzi. Lapenna scorre veloce sul taccuino dell’intervistatore. Non è quella del giornalistad’inchiesta, non si intrufola in quella palude intricata di piccoli interessiimprenditoriali, professionali e di bottega che in questi anni hanno strizzatol’occhio all’uno e all’altro sindaco, che ne hanno sostenuto le campagneelettorali con l’aspettativa di favori ed incarichi.Quello che fa bene è l’analisi spigliata e intelligente di dati demografici estatistici ben noti. Pagliaro confronta questi numeri con l’assioma: Trieste sipiace troppo per cambiare.Ecco che “la bella addormentata” si trasforma in un Narciso che si specchianella sua immagine dorata, quella che la fa amare da chi ci vive, da chi ci havissuto e da chi l’ha visitata e compresa.Roberto Cosolini nel libro trova poco spazio. È al futuro che vogliamo guardare,ed è forse questo limitarsi all’analisi della dinamica del momento chefrena l’autore a cercare una risposta diversa.Per esempio quella di una cittadinanza assai più moderna e matura rispettoad altre, che non si fa abbindolare dalle proposte che le organizzazioniimprenditoriali triestine sono state sempre pronte a sostenere, senza unminimo di autonomia di giudizio. Se fosse per loro dovremmo compiacerci diavere una Ferriera che associazioni e comitati sostengono ammorbi la città,accogliere felici due rigassificatori nel Golfo, far finta di non aver contaminatola zona industriale e di aver realizzato due discariche a mare di rifiutipericolosi, a pochi passi dai più frequentati stabilimenti balneari.I triestini certamente sono preoccupati per il futuro della città. Constatanol’inesistenza di una classe politica, contestano gli enti incapaci di gestireanche la manutenzione del loro patrimonio immobiliare (un esempio sono lescuole), vedono la città sprofondare nelle classifiche nazionali sulla qualitàdella vita quando si tratta dei temi della raccolta differenziata, dell’uso delleenergie alternative e delle piste ciclabili.Chi vive a Trieste sa che basta qualche scelta sbagliata per rendere Triestemeno bella con la soddisfazione di aver sacrificato il proprio appeal turisticoad esempio per assumere la funzione di polo energetico nazionale.Un buon governo, invece, potrà rendere questa città “bellissima” o conservarla“nobilissima” secondo la definizione che Croce volle per la sua Napoli.Roberto Cosolini ha ricevuto dai cittadini il mandato di amministrare Trieste.Per ottenere degli ottimi risultati non è necessario essere il principe chesveglia la “bella addormentata”: basta volerla ben amministrare.Mauro Mollo – Alessandro Giadrossi