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SUONO n° 504

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N. XXX<br />

Editoriale<br />

di Paolo Corciulo<br />

Segnali di fumo dal<br />

Consumer Technology<br />

Show<br />

Qualcosa dovrà pur significare la decisione da parte della CEA<br />

(Consumer Electronics Association) di cambiare nome… La CEA,<br />

per i non addetti ai lavori, è la potente associazione americana che,<br />

tra le altre cose, organizza il CES; da qualche mese si chiama CTA<br />

(Consumer Technology Association). A rigor di logica lo stesso CES<br />

(Consumer Electronics Show) dovrebbe mutare la sua definizione<br />

in CTS (Consumer Technology Show), sebbene cambiare nome<br />

sarebbe impopolare e ogni esperto di marketing lo sconsiglierebbe.<br />

La più grande manifestazione al mondo, fin dal 1967 dedicata<br />

all’elettronica di consumo, ha da tempo mutato pelle e sempre<br />

più lo sta facendo, come certificato dalla recente edizione 2016, a<br />

tutti gli effetti un evento che funge da spartiacque con il passato;<br />

l’enorme impatto delle tecnologie a tutto tondo per la casa e il benessere<br />

personale<br />

e di quelle, segnatamente<br />

con valenza<br />

ecologiche,<br />

relative all’automobile,<br />

hanno<br />

ridisegnato i<br />

contorni di una<br />

manifestazione<br />

che ricordo un<br />

tempo totalmente<br />

dedicata all’audio<br />

prima e all’audio<br />

video poi.<br />

Già nel 2003, con<br />

la chiusura del<br />

Comdex (manifestazione<br />

professionale<br />

dedicata<br />

all’informatica),<br />

che segnava l’inizio<br />

della progressiva commistione tra informatica e elettronica<br />

in ambito domestico, le capaci superfici del Convention Center<br />

di Las Vegas avevano aperto le porte ad “altri generi” dall’alta<br />

fedeltà, secondo un progressivo percorso condiviso anche dall’altra<br />

manifestazione monstre, l’IFA di Berlino. In entrambi i casi l’Hi-Fi<br />

era diventata prima marginale, poi “sopportata” nei piani degli<br />

organizzatori; verso la fine del primo decennio del nuovo secolo<br />

la manifestazione americana ha tentato un recupero del settore<br />

con la sezione “speciality audio”, circoscritta (confinata?) nelle<br />

camere d’albergo a cui sembra tanto abituata del Venetian Hotel.<br />

Un tentativo, un esperimento di far convivere interessi che procedono<br />

a velocità distanti l’una dall’altra, come raccontato negli<br />

anni da questa rivista, l’unica a non inebriarsi oltre misura di<br />

quella che, in effetti, è stata un’opportunità (ricollegarsi all’ampio<br />

tessuto connettivo costituito da una base potenziale molto ampia)<br />

andata perduta. Anno dopo anno lo “speciality audio” è diventato<br />

sempre più marginale fino al paradosso, nell’edizione 2016 del<br />

CES, di non venire nemmeno citato tra le opportunità offerte a<br />

chi affronta la fiera! Nonostante questo (o proprio per questo!) il<br />

CES 2016 alcune indicazioni le ha fornite anche in questo settore:<br />

innanzi tutto la conferma decisiva (degli elementi che la caratterizzano<br />

parleremo nel prossimo numero di <strong>SUONO</strong> dedicato all’analogico)<br />

che il<br />

vinile non solo<br />

è ancora vivo e<br />

vegeto ma sta<br />

tornando a essere<br />

sempre più<br />

un’opportunità<br />

commerciale.<br />

In secondo luogo<br />

la rinascita<br />

del coordinato<br />

(o meglio dire:<br />

sistema) di cui<br />

parliamo nelle<br />

pagine successive<br />

di questo<br />

numero: se,<br />

come in passato,<br />

la riproposizione<br />

di questa<br />

categoria di<br />

prodotti coincide con un rilancio dell’ascolto della musica riprodotta,<br />

forse possiamo guardare al futuro con una vena di ottimismo…<br />

In terzo luogo, ma strettamente legato agli elementi che<br />

ridefiniscono i coordinati, il frutto più importante delle decisioni<br />

strategiche del CES: le aziende Hi-end si sono definitivamente<br />

poste il problema di come abbassare il target e raggiungere la<br />

montante marea di nuovi consumatori di musica che seguono<br />

procedure e modalità lontane da quelle proposte in passato.<br />

Di certo sarà un anno interessante...<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 3


Sommario<br />

n. xxx<br />

editoriale di Paolo Corciulo .............................................................3<br />

CIAO DUCA di Guido Bellachioma e Paolo Carnelli ............................................6<br />

L’UOMO CHE CADDE SULLA TERRA di Antonio Gaudino .....................................8<br />

ANTENNA ..............................................................................12<br />

inside dentro la musica<br />

N. <strong>504</strong><br />

FEBBRAIO 2016<br />

LA PERDITA DELL’INNOCENZA L’evoluzione del concetto di Hi-end di Paolo Corciulo ...........20<br />

CIARE L’ultima dei Mohicani di Paolo Corciulo e Fabio Masia ..................................28<br />

UN MAESTRO “TUTTO A MANO” Ezio Bosso di Daniele Camerlengo ..........................32<br />

il claviorgano al centro del villaggio di AAVV ..................................32<br />

SULLE CORDE DI SHAWN Shawn Phillips di Franco Vassia ...................................36<br />

UNIVERSI PARALLELI Arti & Mestieri di Danilo Sala ........................................40<br />

AND THE OSCAR GOES TO... Morricone & Tarantino di Francesco Bonerba ....................44<br />

selector tutto il meglio in arrivo sul mercato<br />

LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE? di Paolo Corciulo ....................................48<br />

SPECIALE COORDINATI<br />

Samsung R6 a cura della redazione .......................................................54<br />

Marshall Stanmore a cura della redazione .................................................56<br />

Cambridge Audio Air200 a cura della redazione ............................................56<br />

Pioneer X-HM82 a cura della redazione ...................................................57<br />

Onkyo CS-N765 a cura della redazione ....................................................57<br />

Bluesound Pulse 2 a cura della redazione ..................................................58<br />

Naim Audio Mu-so Qb a cura della redazione ..............................................58<br />

Geneva Lab AeroSphere Large a cura della redazione ........................................59<br />

JBL Authentics L 16 a cura della redazione ................................................59<br />

Arcam Solo Bar a cura della redazione ....................................................60<br />

McIntosh RS100 a cura della redazione ...................................................60<br />

Devialet Phantom a cura della redazione ..................................................61<br />

Bang & Olufsen BeoSound 35 a cura della redazione ........................................61<br />

STREAMING PLAYER Aria Aria a cura della redazione .......................................62<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO Accuphase E 370 a cura della redazione ........................66<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO Yamaha A-S1100 a cura della redazione ........................72<br />

MINI DIFFUSORI ALLA PROVA DEL TEMPO di Emilio Paolo Forte ...........................78<br />

DIFFUSORI Elac Debut B5 by Andrew Jones a cura della redazione .............................82<br />

DIFFUSORI Russel K. Red 100 a cura della redazione .........................................86<br />

AMATO MIO LP a cura di Carlo D’Ottavi ....................................................90<br />

SECONDO NOI LA CLASSICA a cura di Pietro Acquafredda e Bruno Re ........................92<br />

UN BAULE E IL SUO QUARTETTO a cura di Tito Gray de Cristoforis ..........................96<br />

ESPERIENZE IN jazz a cura di Daniele Camerlengo ........................................98<br />

OLTRE IL ROCK a cura di Guido Bellachioma ...............................................102<br />

SOTTO LA COVER, LE STORIE di Francesco Bonerba ......................................104<br />

SPECIALE RECENSIONI a cura di Guido Bellachioma, Daniele Camerlengo e Carlo D’Ottavi .....106<br />

cut ‘n’ mix Concerti | Cinema | Libri | Società | Arte ........................116


n. xxx<br />

Ciao Duca<br />

Arrivederci,<br />

eterno ragazzo delle stelle<br />

Hello Spaceboy<br />

You’re sleepy now<br />

Your silhouette is so stationary<br />

You’re released but your custody calls<br />

And I want to be free<br />

Don’t you want to be free<br />

Do you like girls or boys<br />

It’s confusing these days<br />

But Moondust will cover you<br />

Cover you<br />

(David Bowie – Hallo Spaceboy, 1996)<br />

Ricordare Bowie non è facile, né umanamente né artisticamente:<br />

troppo zigzagante nelle sue rotte esplorative,<br />

troppo volutamente contorto o spiazzante nelle provocazioni,<br />

quasi sempre evidenti. Tali atteggiamenti spesso trovavano<br />

terreno fertile nella poca predisposizione all’apertura mentale<br />

della critica musicale, non solo<br />

italiana, anche se pure dalle<br />

nostre parti ne hanno<br />

scritte di cotte e di<br />

crude: è nazista,<br />

non è nazista,<br />

è glam, no<br />

è soul, no è<br />

post elettronico<br />

e pre junglepop,<br />

post e<br />

pre allo stesso<br />

tempo. Ma la<br />

morte, si sa, monda<br />

ogni peccato e<br />

per qualche giorno abbiamo<br />

assistito alla corte<br />

dei miracoli nelle TV,<br />

radio, quotidiani: chiunque<br />

poteva dire quanto<br />

fosse addolorato dalla<br />

sua scomparsa,<br />

quanto il<br />

mondo avesse perso con la sua scomparsa, magari gli stessi che<br />

negli anni ’70 stroncavano ogni suo disco, prima che questa<br />

diventasse operazione sacrilega. Dato che della sua malattia<br />

nessuno era al corrente, almeno tra i media, alcuni giovani eredi<br />

dei “giornalisti” italiani dei ’70 si erano divertiti a sottolineare<br />

radiofonicamente la pomposità arrogante di Blackstar. Dopodiché<br />

è stato impossibile per i media tradizionali o per chi è legato<br />

all’audience fare discorsi minimamente critici sull’artista inglese:<br />

chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, “scurdámmoce ‘oppassato,<br />

simmo ‘e Napule paisá!”. Napoli, ovviamente, è citata solo<br />

per la frase presa in prestito dalla celebre canzone partenopea<br />

del 1944. Strano paese il Mondo. Oggi sono tutti orfani di Bowie,<br />

anche quelli che non ne ascoltavano un brano da decenni e che,<br />

magari, non si sarebbero accorti dell’uscita del suo “ultimo” album<br />

se non fosse stato per l’eco mediatica di proporzioni galattiche.<br />

Bowie ha sempre lottato contro questi luoghi comuni, compreso<br />

quello della morte che deve avvenire in un certo modo, sempre<br />

prevedibile: anche in questo caso ha smentito tutti con Blackstar,<br />

di cui nessuno può negare la forza dirompente, ribadita dalla<br />

scelta “bowiana” di pubblicarlo tra un compleanno, il 69esimo,<br />

e la morte… artista fino in fondo, poco importa che fosse Ziggy<br />

Stardust, il decadente uomo elettrico della trilogia berlinese o<br />

il Lazarus dell’oggi/ieri. Musicalmente parlando Bowie ha rappresentato<br />

e ancora rappresenterà moltissimo per diverse scene<br />

musicali talvolta apertamente in contrasto tra loro. Le mille<br />

stagioni che ha attraversato, nella logica matematica delle cose,<br />

ci hanno affascinato, rapito, commosso o lasciato perplessi…<br />

mai indifferenti. Per lui sarebbe stata la peggiore delle offese…<br />

Eppure tra le tutte le sue canzoni (sparse tra dischi solisti, collaborazioni,<br />

Tin Machine, colonne sonore), alcune consumate fino<br />

a non poterne più (vedi alcune parti “berlinesi”), quella che mi<br />

“arriva” forte in testa quando penso a lui è composta da pochi<br />

accordi, molto Stones e dall’approccio rock minimale: Rebel Rebel<br />

da Diamond Dogs del 1974, dove la sua chitarra elettrica e la sua<br />

voce hanno urgenza espressiva, senza concessioni a sperimentazioni<br />

varie. Eppure, c’era già tutto!<br />

Guido Bellachioma<br />

Il Camaleonte ha cambiato pelle (forse) per l’ultima volta.<br />

Quel soprannome, uno dei tanti, Bowie se l’era guadagnato<br />

per la sua capacità di adattarsi velocemente al contesto<br />

musicale in cui viveva. In realtà l’artista inglese non si è mai<br />

limitato a rincorrere le mode. È stato lui, quasi sempre, a fare<br />

tendenza, gettando ogni volta stili e sonorità come colori su una<br />

tela nuova di zecca. Il giorno in cui si presentò negli uffici<br />

della Mercury Records, ad esempio, con una semplice<br />

chitarra acustica e uno stilofono, per far ascoltare al<br />

6 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


n. xxx<br />

produttore John Anthony l’abbozzo di una<br />

canzone intitolata… Space Oddity!!! Era il<br />

giugno del 1969. Da quel momento Bowie<br />

ha pubblicato venticinque album (oltre al<br />

debut del 1967) e venduto circa 140 milioni<br />

di dischi. Ha abbracciato il folk, il rock,<br />

il pop, la new wave, l’hard rock, il funk,<br />

il jungle. Ha sperimentato fino alla fine,<br />

regalandosi (e regalandoci) a 69 anni, per<br />

il suo ultimo compleanno, un album straordinariamente<br />

inventivo e anticonformista<br />

come Blackstar, destinato ancora una<br />

volta a segnare la rotta per le generazioni<br />

a venire. “Sono curioso di vedere stavolta<br />

chi sarà il primo a imitarlo” ha dichiarato<br />

al mensile “Rolling Stone” il produttore<br />

Tony Visconti, commentando la strana<br />

miscela di jazz e hip hop che caratterizza<br />

l’ultimo lavoro di Bowie. “L’idea era quella<br />

di buttarci dentro un po’ di tutto, senza<br />

limitazioni. L’importante era provare ad<br />

andare oltre al rock ‘n’ roll”. Andare oltre,<br />

appunto. Una costante nella produzione<br />

dell’artista inglese che ha probabilmente<br />

avuto il suo picco nelle atmosfere oscure<br />

e post moderne del concept album Outside<br />

(1996). Un disco senza tempo, perpendicolarmente<br />

sospeso sulla metà degli anni<br />

Novanta ma intriso di almeno trent’anni<br />

di musica, compresa gran parte di quella<br />

che sarebbe venuta dopo. “È indubbio che<br />

Bowie abbia insegnato a molte persone<br />

come vivere. Ma è altrettanto vero che<br />

ora ci ha insegnato anche come morire” ha<br />

dichiarato il chitarrista John Ellis. Il visionario<br />

videoclip di Blackstar ne è stata una<br />

dimostrazione lampante. Pur martoriato<br />

dalla lunga malattia, David Bowie ha voluto<br />

restare aggrappato fino all’ultimo alla sua<br />

vocazione artistica, non accontentandosi<br />

di uscire di scena in punta di piedi. Ora il<br />

significato di quelle immagini è più chiaro,<br />

quasi fossero, più che un testamento,<br />

un rituale propedeutico all’ultimo viaggio<br />

verso l’infinito. Dietro di lui rimane la scia<br />

delle radio impazzite che dalla mattina del<br />

10 gennaio hanno ripreso a suonare tutte le<br />

sue hit. Qualcuno si è svegliato pensando<br />

a un tardivo omaggio per il suo compleanno,<br />

festeggiato due giorni prima (Bowie è<br />

nato l’8 gennaio del 1947). In realtà era<br />

la colonna sonora per l’ultimo decollo del<br />

Maggiore Tom.<br />

Paolo Carnelli<br />

LA<br />

MU<br />

SI<br />

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<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 7


n. xxx<br />

Ciao Duca<br />

L’uomo che cadde sulla terra<br />

di Antonio Gaudino<br />

Cantante pop, rocker glam, cantante soul,<br />

innovatore dell’elettronica, rockstar...<br />

Giovane fenomenale sospeso tra i generi,<br />

attore, caratterista, icona della moda...<br />

David Bowie è stato tutte queste cose e la sua grande influenza<br />

nella musica è quasi troppo vasta da poterla considerare<br />

nel dettaglio. Da Madonna a Nine Inch Nails, dai Depeche<br />

Mode a Lady Gaga, dai Blur a Marilyn Manson fino a The Arcade<br />

Fire, molti dei principali artisti di ieri e di oggi devono molto all’uomo<br />

che ha messo il make-up e cantato viaggi nello spazio. Troppo<br />

per tentarne una sintesi, persino per azzardare quel che in futuro<br />

sopravvivrà del suo lavoro, arricchito dall’ultimo capitolo costituito<br />

da quel triste ritorno che è Blackstar, 25° album ufficiale di Bowie<br />

(vedi in altra parte della rivista). Più che abbastanza per arrischiare<br />

un sguardo alla sua opera e stilare una top 24 delle sue canzoni,<br />

sparse nella ricca discografia: la venticinquesima la lasciamo a voi, al<br />

vostro personalissimo giudizio, a comporre una playlist che, una volta<br />

ascoltata, rivela – se ve ne fosse bisogno – la grandezza dell’artista...<br />

24. Modern Love (da Let’s Dance)<br />

Per molti la frase “Bowie nell’era Let’s Dance” ha le stesse connotazioni<br />

di “Dylan Goes Christian”, che è un modo per dire che ci vi<br />

attendono grandi sorprese se siete disposti a guardare oltre certi<br />

pregiudizi stabiliti. Al primo ascolto Modern Love ha un suono un po’<br />

trash anni ’80: synth, coristi, un sax piazzato su poche note, è tutto<br />

lì. In effetti, sentendo le prime note si potrebbe incorrere nell’errore<br />

di scambiarlo per l’apertura di Footloose. Il carisma di Bowie e il<br />

suo senso di esperto autore del pop trasformano però il brano in<br />

una travolgente “head bop-inducing” a cui è impossibile resistere.<br />

Twiggy e David Bowie nella foto originale scelta per la cover di Pin Ups<br />

23. Bring Me the Head of the Disco King (da Reality)<br />

Contrariamente a quanto spesso si pensa, Bowie ha pubblicato prodotti<br />

di qualità verso la seconda metà della sua carriera. Questo è evidente<br />

soprattutto in Bring Me the Head of the Disco King, la traccia finale<br />

del suo ultimo (o così credevamo) album, Reality. Suona come una<br />

registrazione fatta in qualche oscuro jazz bar e nella canzone Bowie<br />

riflette sulla sua carriera. Non è un ascolto felice. Piuttosto, è una canzone<br />

piena di rammarico e tristezza. Non c’è da meravigliarsi se la gente<br />

pensasse che Bowie avesse chiuso per sempre con la musica. Anche se<br />

il contorto, sinuoso e farneticante brano di sette minuti e più potrebbe<br />

rivelarsi un po’ faticoso per alcuni, è il tipo di canzone che se colpisce<br />

al momento giusto può perseguitarti per molto tempo dopo la sua fine.<br />

22. Cat People (Putting Out the Fire) (da Let’s Dance)<br />

Cat People è stata originariamente composta per il regista / scrittore<br />

Paul Schrader per il remake, fondamentalmente mal concepito, del<br />

classico horror Cat People (1982). Proprio come il film la canzone è<br />

stata presto dimenticata. Ci voleva un esperto di revival come Quentin<br />

Tarantino per riconoscere la grandezza di questo brano e inserirlo in<br />

una sequenza fondamentale nel suo film Bastardi senza gloria (2009).<br />

21. I’m Afraid of Americans (da Earthlings)<br />

Ogni volta che si utilizza il modello di collaborazione “il vecchio<br />

che incontra il nuovo” è possibile che il successo sia quello di un<br />

“crapshoot”, ovvero un lancio di dadi preciso. In questo caso il lancio<br />

è stato perfetto. Qualunque siano le vostre sensazioni per quanto<br />

riguarda Trent Reznor come cantautore, si deve ammirare l’abilità<br />

della sua produzione industriale. Certo, il versatile Bowie si inserisce<br />

nel panorama musicale di Reznor come un guanto comodo, sia chiaro.<br />

8 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


n. xxx<br />

20. Starman (da The Rise and Fall of Ziggy Stardust)<br />

Uno dei punti focali del Ziggy Stardust concept album è certamente<br />

Starman, che ha alcuni richiami a Hunky Dory, dato soprattutto dal<br />

suo salto di ottava durante il travolgente ritornello della canzone.<br />

Detto questo, dobbiamo dire che preferiamo ancora la versione di<br />

Dewey Cox (si scherza, ovviamente).<br />

19. Rebel Rebel (da Diamond Dogs)<br />

Se mai dovessimo pensare a una canzone di Bowie perfetta come<br />

colonna sonora di un evento sportivo, sarebbe questa. Ironica, dato<br />

che i testi contengono soprattutto riferimenti a problematiche gender<br />

come “You got your mother in a whirl / She’s not sure if you’re a<br />

boy or a girl... ”. Spesso citato come l’elegia di Bowie ai suoi giorni<br />

glam rock.<br />

Uno scatto promozionale per il gruppo dei Kon-rads, nel 1963<br />

18. Fashion (da Scary Monsters)<br />

Mentre Mick Ronson è il chitarrista più spesso associato a Bowie,<br />

Robert Fripp dei King Crimson qui, più che rivaleggiare per questa<br />

eredità, ci offre qualche riff metallico intenso che aumenta l’influenza<br />

reggae della canzone. Di assoluto valore.<br />

17. Rock and Roll Suicide (da The Rise and Fall of Ziggy<br />

Stardust)<br />

Dimenticando per un istante i suoi numerosi ed elaborati costumi,<br />

basterebbe questa canzone, il brano di chiusura di Rise and Fall of<br />

Ziggy Stardust, a far intuire che Bowie era un uomo che godeva<br />

della stravaganza e della teatralità. In meno di tre minuti il musicista<br />

progredisce da un tranquillo “strimpellamento” di chitarra acustica a<br />

un’ampollosa esplosione di corde della chitarra e di ottoni, fino alla<br />

“distruzione” della chitarra. Notevole.<br />

16. Ashes to Ashes (da Scary Monsters)<br />

Cominciando con una linea di synth wonky che suona come un effetto<br />

sonoro preso da un vecchio episodio di Doctor Who, Ashes to Ashes<br />

rivisita il personaggio di Major Tom (da un altro brano di Bowie di<br />

cui parleremo in seguito), mostrandolo come un drogato deperito.<br />

Certamente una delle canzoni di Bowie che ha venduto meno e anche,<br />

naturalmente, una delle suoi migliori.<br />

foto: Roy Ainsworth<br />

Bowie durante il periodo di Laughing Gnome nel 1968<br />

15. TVC 15 (da Station to Station)<br />

Più si ascolta la grandezza di Station to Station di Bowie (di ispirazione<br />

Kraftwerk) e più si capisce quanto la tristezza possa diventare<br />

penetrante fino ad annientare l’uomo stesso. Emotivamente depresso,<br />

Bowie a quel tempo passa attraverso una nebbia di cocaina; ricorda<br />

a malapena la registrazione e, a quanto sembra, fu ispirato da un’allucinazione<br />

avuta da Iggy Pop. TVC 15 imbastisce la semplice storia<br />

di una donna che viene risucchiata in un televisore, lasciando il suo<br />

uomo alle spalle. I testi surreali contrastano in modo stridente con<br />

l’intro honky-tonk del pianoforte. Ma, ripetiamo, che cos’è Bowie se<br />

non fantastiche contraddizioni?<br />

foto: Ray Stevenson<br />

14. Suffragette City (da The Rise and Fall of Ziggy Stardust)<br />

Wham bam thank you ma’am! Solo David Bowie può rendere<br />

un suono sconsiderato e raffazzonato (veloce) così dannatamente<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 9


n. xxx<br />

Ciao Duca<br />

Bowie con la moglie Angie e il figlio Zowie nel 1974<br />

ascolto. Con i suoi strati di consistenza del suono e testi ultra criptici<br />

manca volutamente dell’accessibilità pop di un Hunky Dory o Ziggy<br />

Stardust. Detto questo, Sound and Vision è un brano ipnotico costruito<br />

abilmente su strati di strumentazione. Quando Bowie trova<br />

tempo per cantare realmente, sembra quasi non necessario. E, sul<br />

serio, si poteva ascoltare quel riff di chitarra per tutto il giorno senza<br />

stancarsi mai.<br />

11. Queen Bitch (da Hunky Dory)<br />

Scritto in onore dei Velvet Underground e Lou Reed, Queen Bitch<br />

ha introdotto il genere trash anche grazie ai riff di chitarra di Mick<br />

Ronson che hanno contribuito non poco a caratterizzare alcuni dei<br />

migliori momenti glam-rock successivi di Bowie. Dura poco più di tre<br />

minuti, giusto il tempo di timbrare il cartellino, ma il brano è forse<br />

il più contagiosamente orecchiabile all’interno di un album pieno di<br />

canzoni facilmente ascoltabili.<br />

foto: Alamy<br />

affascinante. Naturalmente questo scalfisce (graffia) solo la superficie<br />

di un brano inesorabilmente orecchiabile, esplosione furiosa di<br />

rock che suona come un numero di alta scuola e velocità del grande<br />

Chuck Berry.<br />

13. Changes (da Hunky Dory)<br />

Il brano è primo singolo dell’album Hunky Dory. Ai tempi Bowie<br />

riferì di aver scritto questa canzone come una parodia di canzoni<br />

da discoteca. Considerando la natura camaleontica che la carriera<br />

di Bowie avrebbe preso in seguito, passando con la sua personalità<br />

musicale da un genere all’altro, frasi come “Changes are taking the<br />

pace I’m going through” (I cambiamenti stanno prendendo il passo<br />

che sto passando) rendono la canzone meno singolo pop e più simile<br />

a un manifesto artistico. Inevitabile!<br />

12. Sound and Vision (da Low)<br />

Diciamolo chiaro: Low può essere un album eccezionale e uno dei<br />

punti salienti della carriera di Bowie ma non è esattamente di facile<br />

10. Golden Years (da Station to Station)<br />

In una canzone caratterizzata principalmente da trame elettroniche<br />

e techno di influenza mitteleuropea, Golden Years si offre come piacevole<br />

stranezza nell’album. Spinto dal tipo di drumming funk/soul<br />

che non sarebbe sembrato fuori luogo nell’album Young Americans,<br />

la canzone imprime su Bowie il ruolo di cascamorto navigato ma<br />

non ruffiano, con una base musicale elegante che, con un po’ di<br />

brillante fantasia, avrebbe potuto far parte della colonna sonora<br />

di Saturday Night.<br />

9. Oh! You Pretty Things (da Hunky Dory)<br />

Nonostante fosse stata originariamente pensata per essere il primo<br />

singolo dell’album Hunky Dory, Bowie optò per Changes. Al tempo<br />

sembrò essere la decisione giusta ma, a posteriori, non si può fare a<br />

meno di pensare che questa magnifica canzone avrebbe meritato più<br />

attenzione. Ancorato a qualche pianoforte “cabarettesco”, il brano<br />

sale a un coro hooky di tale livello che probabilmente avrà fatto<br />

ingelosire Paul McCartney.<br />

8. The Jean Genie (da Aladdin Sane)<br />

David Bowie ammirava molto i Rolling Stones. Per averne una prova<br />

basta far girare sul piatto (o il lettore) questo brano. Guidato da un<br />

riff di chitarra assassino e una grande armonica blues, questo brano<br />

si pone come uno dei maggiori highlight dell’album Aladdin Sane.<br />

David Bowie e Catherine Deneuve in The Hunger Photograph David Bowie con un libro di Buster Keaton, 1975<br />

foto: Steve Schapiro<br />

10 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


David Bowie<br />

David Bowie fotografato da Anton Corbijn<br />

7. The Man Who Sold the World (da The Man Who Sold<br />

the World)<br />

The Man Who Sold the World si pone come una delle canzoni più<br />

raccapriccianti dell’opera di Bowie. Il fatto che i suoni vocali ricordino<br />

il sibilo di serpente attraverso l’erba umida non migliora le cose.<br />

Come molte canzoni di Bowie anche questa si è poi rivelata essere<br />

uno standard molto popolare. La cover più famosa rimane senza<br />

dubbio la versione inquietante e angosciata di Kurt Cobain a “MTV<br />

Unplugged” dei Nirvana.<br />

6. Ziggy Stardust (da The Rise and Fall of Ziggy Stardust)<br />

Con uno dei fraseggi di chitarra più riconoscibili di Mick Ronson,<br />

Ziggy Stardust / Bowie riassume la storia dell’album omonimo (e<br />

The Man Who Fell to Earth, se siete così pronti). Alla fine, però, la<br />

storia gioca un ruolo secondario per l’esuberanza pura che questa<br />

traccia esprime.<br />

5. Under Pressure (da Queen’s Hot Space)<br />

Sì, possiamo dire che questa canzone sia tecnicamente in un album<br />

dei Queen. E anche che è stata usata in innumerevoli trailer cinematografici<br />

e televisivi. Hai necessità di rendere intensa l’ansia di<br />

un personaggio dall’aspetto affascinante? Questa è la canzone per<br />

te. In ultima analisi, tuttavia, ciò non toglie la linea di basso di John<br />

Deacon o il modo in cui la voce di Freddie Mercury impenna o il<br />

crooning sottostimato di Bowie. Brividi. Ci sono alcune canzoni che<br />

meritavano di essere stra-cantate. Questa è una di esse.<br />

4. Heroes (da Heroes)<br />

Ogni volta che si discute la carriera di David Bowie la parola “camaleonte”<br />

torna inevitabilmente in qualsiasi discorso e da qualsiasi<br />

parte si inizi. Si, Bowie era davvero un maestro nel sapersi adattarsi<br />

a tendenze e personalità di scena sempre diverse. Eppure una tale<br />

caratterizzazione implica anche una freddezza, una disconnessione<br />

non comune. Si connota in un’artista che mantiene emozioni e sentimenti<br />

a cuore nudo a distanza. Tali sono le critiche spesso lanciate<br />

a Bowie e ad artisti del suo stampo geniale. Poi c’è Heroes. Via la<br />

teatralità. Via le regressioni musicali sovversive. Via qualsiasi senso di<br />

ironia. Tutto quello che resta è un uomo che canta consapevolmente<br />

sulle splendide, ipnotiche onde di rumori elettronici ondulanti che lo<br />

circondano. Bowie scrisse originariamente la canzone dopo aver visto<br />

una coppia di amanti incontrarsi sotto il muro di Berlino; incuriosito,<br />

immaginò e ricostruì la loro storia, come spesso fa nei suoi migliori<br />

brani. Si comincia con il sussurrato, il tubare, con il narratore che<br />

implora la sua compagna di essere la sua regina. Circa tre minuti,<br />

il tono di voce di Bowie si sposta drammaticamente in un lamento<br />

emotivo non trascurabile. Con il tempo si arriva alla frase We’re<br />

nothing / And nothing can help us (Siamo niente / E nulla ci può<br />

aiutare), la sua voce è incrinata dall’emozione. Nonostante il suo<br />

suono progressivo, Heroes si tradisce (nell’accezione positiva del<br />

termine) verso alcuni sentimenti che sanno del suo vecchio stile. È il<br />

racconto emotivamente avvincente di un uomo alla disperata ricerca<br />

del conforto dell’amore e il calore sempre effervescente della felicità,<br />

anche se solo per un giorno. Bowie aveva scritto canzoni tristi prima<br />

ma non è mai sembrato così, beh, dolorosamente umano e grandioso<br />

come in questo brano immortale.<br />

3. Young Americans (da Young Americans)<br />

Le parole “English glam rocker” e “Philly Soul” sembra che vadano<br />

sottobraccio come Morrissey e McDonald’s. Eppure non solo Bowie<br />

porta a termine il lavoro ma il risultato è una delle sue canzoni più<br />

forti di sempre. Nel fluido suono di un sax a tutto volume e coristi<br />

soul Bowie costruisce una canzone allegra su una situazione decisamente<br />

infelice. Riesce persino a far scivolare un riferimento di A Day<br />

in a Life. Se mai ci fossero stati dubbi a riguardo della poliedricità<br />

di Bowie come artista musicale, questo brano (e l’intero album) li<br />

frantuma tutti.<br />

2. Space Oddity (da Space Oddity)<br />

Si dice che oltre 45 anni dopo la sua prima uscita, Space Oddity rimane<br />

una strana, stranissima canzone. Ispirata al capolavoro del 1968 di<br />

Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio la canzone interpreta il<br />

racconto di “Major Tom”, uno sfortunato astronauta intrappolato alla<br />

deriva nello spazio. Quando si ascolta Space Oddity si ha come la<br />

sensazione di ascoltare due o tre parti diverse di canzoni fuse insieme<br />

che Bowie fa sembrare coerenti, manifestando grande maestria<br />

musicale. E chi non applaude alla geniale parte del bridge centrale?<br />

1. Life on Mars? (da Hunky Dory)<br />

Hunky Dory rimane l’album più piacevole di Bowie, sulla breve e<br />

sulla lunga distanza. E la sua inclinazione alla teatralità “cabaresque”<br />

non è mai stata più evidente che in questa surreale traccia. Partendo<br />

dalla voce di Bowie lievemente poggiata su un pianoforte solitario,<br />

la traccia sviluppa rapidamente di intensità, con l’aggiunta di un’impennata<br />

di sezione d’archi che dà al brano una punteggiatura degna<br />

di Broadway. Capolavoro!<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 11


antenna<br />

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Sony: giradischi si ma con USB Hi-Res<br />

Il ritorno al classico disco nero non sarebbe di per sé un fatto troppo eclatante<br />

visto in quanti ci si stanno buttando a pesce a fronte di quote di mercato sempre<br />

più interessanti (ne parleremo nel prossimo numero di <strong>SUONO</strong>). Se ci si riflette,<br />

però, che “approdi al vinile” Sony (il creatore, insieme a Philips, del CD e della rivoluzione<br />

digitale del 1982) fa un certo effetto! D’altronde, come affermato sempre<br />

in queste pagine, una delle poche tendenze della riproduzione sonora emerse al<br />

salone di Las Vegas è costituita dal vigoroso rafforzamento del manipolo vinilico;<br />

e allora, evviva Sony, il cui giradischi sarà in vendita in Italia da maggio 2016,<br />

anche se per ora non si conosce il prezzo del suo PS-HX500. Per l’apparecchio,<br />

molto simile concettualmente a quanto già fatto da altri costruttori nipponici<br />

come Audio-technica e Teac, Sony non ha rinunciato a un imprimatur digitale,<br />

integrando uno stadio di conversione A/D con uscita USB per il collegamento al<br />

PC e la conversione in file della musica rippata dal disco. Per distinguersi dalla<br />

maggior parte dei concorrenti tale conversione è proposta anche ad alta risoluzione<br />

sia in formato PCM che DSD, tanto per ribadire una supremazia digitale iniziata<br />

col CD e passata con il formato SACD. Lo chassis del giradischi è costituito da un<br />

telaio rigido in MDF da 30 mm di spessore su quattro piedini in gomma smorzante,<br />

piatto in pressofusione di alluminio e tappetino in gomma spessa 5 mm, braccio<br />

dritto con shell porta testina integrato e fonorilevatore MM premontato. Il sistema<br />

di trasmissione è del tipo a cinghia piatta e sono previste le classiche velocità di<br />

rotazione a 33 e 1/3 e 45 giri, con cambio elettronico. Inferiormente alla base e<br />

nella sua parte posteriore è presente una scatola metallica che racchiude la parte<br />

elettronica e i connettori del giradischi. Su una scheda unica in vetroresina sono<br />

integrati sia il circuito phono MM che quello di conversione digitale A/D che impiega<br />

un chip BB PCM4202 (consente la conversione sia in formato PCM WAV<br />

da 44,1 ai 192 kHz che in DSDa 2,8 e 5,6 Mhz).<br />

Carlo D’Ottavi<br />

Giradischi Sony PS-HX500<br />

Prezzo: € 4.675,00<br />

Dimensioni: 43 x 6,50 x 36 cm (lxaxp)<br />

Peso: 8 kg<br />

Distributore: Sony Europe Limited<br />

sede italiana<br />

Via Rizzoli 4, 20132 Milano (MI)<br />

Tel. 199.151.146 - Fax 02.6126690<br />

www.sony.it<br />

Tipo: completo di testina Telaio: rigido in MDF da 30 mm su quattro piedini in<br />

gomma smorzanti Trasmissione: a cinghia piatta Piatto: pressofusione di alluminio<br />

e tappetino in gomma da 5 mm Velocità (RPM): 33 e 45 Braccio: dritto<br />

con shell integrato Alzabraccio: idraulico Note: fonorilevatore premontato di<br />

tipo MM, scheda phono MM integrata, uscite analogiche linea e phono selezionabili,<br />

scheda A/D per conversione in WAV fino a 192 kHz e DSD 2.8 e 5.6 MHz<br />

con uscita USB per conversione in file su PC.<br />

Technics ci ripensa e<br />

torna al vinile<br />

Più che ‘l dolor poté ‘l digiuno: è proprio il caso<br />

di dirlo, anche se la decisione di sospendere la<br />

produzione del giradischi Technics SL-1200 apparve<br />

sciagurata fin dall’inizio... L’SL-1200 era il<br />

modello di punta del marchio Technics, creato da<br />

Panasonic nel 1965 e divenuto famoso proprio per<br />

i giradischi (la casa era una strenue sostenitrice<br />

della trazione diretta in tempi non sospetti... ).<br />

Lanciato nel 1969, negli anni successivi l’SL-1200<br />

venne promosso soprattutto come giradischi ad<br />

altissima qualità per il mercato privato ma, già<br />

allora, iniziò a essere usato dalle radio e nelle<br />

discoteche perché molto solido e scarsamente<br />

sensibile alle vibrazioni (i giradischi più economici<br />

erano in legno e più avanti in plastica,<br />

e molto meno stabili). Macchina innanzitutto<br />

robusta, l’SL 1200, proposto al tempo in due<br />

versioni, una con e una senza braccio (in questo<br />

caso la scelta ricadeva tipicamente sullo SME),<br />

presentava alcune innovazioni sostanziali come<br />

lo chassis in metallo pressofuso e, naturalmente,<br />

la trazione diretta, introdotta per prima proprio<br />

dalla Technics. Venne definito “The Middle Class<br />

Player System” ma, al di là dell’utilizzo nel settore<br />

domestico, grazie alla presenza del pitch control (o<br />

vari-speed) sia per i 45 che i 33, era estremamente<br />

gradito ai dj e indicato per le loro evoluzioni sul<br />

palco, tanto da diventare un vero e proprio must.<br />

In produzione dal 1972 fino al 2010 – quando<br />

Panasonic decise, con poca lungimiranza a dire<br />

il vero, di chiudere la storia del marchio e quindi<br />

anche di quel giradischi – ha inanellato in questi<br />

anni sei differenti versioni con molte varianti e<br />

ne sono stati venduti oltre tre milioni di esemplari.<br />

L’oblio, sottolineato da una petizione per<br />

la sua reintroduzione che ha spopolato sul web,<br />

è durato solo quattro anni per il marchio e cinque<br />

per il giradischi che è stato ora ripresentato, con<br />

pochissime modifiche, al CES di Las Vegas di<br />

quest’anno, in due versioni (quella più costosa<br />

dovrebbe aggirarsi sui 3.600 / 4.000 euro). Tra<br />

i pochi dati per ora rilasciati a Las Vegas c’è un<br />

telaio notevolmente appesantito, in triplo strato<br />

per la versione base, in quadrupla con l’aggiunta<br />

di un quarto superiore in alluminio pieno per<br />

12 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


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quella celebrativa, con un peso salito a 18 kg totali.<br />

Il telaio si accoppia al piano d’appoggio tramite<br />

quattro piedini smorzanti in gomma. Il motore<br />

è naturalmente a trazione diretta con doppio<br />

rotore superiore e, assieme al telaio multistrato<br />

appesantito, dovrebbe permettere una riduzione<br />

significativa della trasmissione delle vibrazioni del<br />

motore al piatto. L’elettronica che è preposta al<br />

cambio e controllo della velocità (33 e 1/3, 45 e<br />

78 giri) consente anche la regolazione del pitch<br />

control, +/-8% e +/-16% per le due più consuete<br />

velocità. Il piatto è in alluminio con tacche intorno<br />

per il controllo ottico / elettronico della velocità ed<br />

è rivestito superiormente da uno strato in ottone,<br />

realizzando così un elemento composito pesante<br />

e smorzato. Il braccio ha il classico andamento a<br />

esse della canna in alluminio nella versione standard<br />

e magnesio in quella GAE. L’articolazione<br />

rimane quella cardanica a cuscinetti. La versione<br />

a tiratura limitata (1.200 pezzi) sarà in vendita<br />

da questa estate; per quella “normale” occorrerà<br />

attendere la fine dell’anno!<br />

Carlo D’Ottavi<br />

Giradischi Technics Grand Class SL-1200G<br />

e SL-1200GAE<br />

Prezzo: prezzo non disponibile<br />

Dimensioni: 45,3 x 17 x 37,2 cm (lxaxp)<br />

Peso: 18 kg<br />

Distributore: Panasonic Italia S.p.A.<br />

Via dell’Innovazione 3 - 20126 Milano (MI)<br />

Tel. 02-67881 - Fax 02-66713316<br />

www.panasonic.it<br />

Tipo: con braccio Telaio: rigido in multistrato<br />

su piedini smorzanti Trasmissione: diretta,<br />

motore a doppio rotore superiore Piatto:<br />

ottone con tappetino in gomma Velocità<br />

(RPM): 33 1/3, 45 e, 78 Braccio: canna a esse<br />

in alluminio e articolazione cardanica Alzabraccio:<br />

idraulico Note: regolazione Pitch:<br />

+/-8%, +/-16%, finitura in alluminio. Limited<br />

Version SL-1200GAE con telaio con quarto<br />

strato in alluminio pieno e braccio con canna<br />

in magnesio.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 13


antenna<br />

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Il software che non amava Tannoy<br />

Anche i computer hanno un’anima? Forse... ma quello dedicato ad Annuario deve avere un’animo bricconcello perché al momento di “estrarre” i dati<br />

relativi al settore diffusori (per altro, oltre 1.041 prodotti e foto), si è “dimenticato” di Tannoy. Mancanza grave anche perché, esistendo un punto di<br />

demarcazione tra chi appare sull’Annuario e chi no, appartenere ai cattivi senza esserlo è come il danno oltre alla beffa. Proviamo a porre rimedio<br />

alla vicenda, chiedendo venia a lettori, al marchio stesso e pubblichiamo qui le informazioni incriminate. Cogliamo anche l’occasione per segnalare<br />

che, riprendendo un’abitudine del passato più florido, da qui a poco renderemo disponibile un’integrazione dell’Annuario che faccia giustizia ai<br />

pochi errori della versione di quest’anno e tenga conto dei nuovi prodotti immessi sul mercato dopo la sua pubblicazione.<br />

Tannoy<br />

Definition DC10T<br />

Prezzo € 7.800,00<br />

freq (Hz): 67-25.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 90<br />

Altoparlanti: 2 Wf 10 cm cellulosa e multifibra, Tw<br />

cupola morbida 25 mm e magnete in neodimio Rifinitura:<br />

Sugar maple, noce scuro Note: magneti<br />

schermati; prezzo cadauno Dimensioni (l x a x p)<br />

cm: 43 x 14 x 17 Peso (kg): 4,9<br />

Mercury VRi<br />

Prezzo € 280,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />

posteriore N. vie: 3 Potenza (W): 30-250 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz):<br />

200, 1400 Risp. in freq (Hz): 30-35.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: Wf 25cm carta<br />

trattata, Dual Concentric Wf 25cm carta trattata, Tw<br />

25mm cupola titanio con guida d'onda Tulip Rifinitura:<br />

lucida nero Griglia: rimovibile Dimensioni<br />

(l x a x p) cm: 33,9 x 112,5 x 32 Peso (kg): 34,5<br />

Kingdom Royal<br />

Prezzo € 60.000,00<br />

Risp. in freq (Hz): 45-53.000 - 6 dB Sensibilità<br />

(dB): 86 Altoparlanti: Wf 13 cm multifibra di<br />

cellulosa rivestita,Tw 25 mm cupola alluminio e<br />

magnete al neodimio Rifinitura: ciliegio e noce<br />

scuro Note: crossover del quarto ordine Linkwitz-<br />

Riley, cabinet in MDF con rinforzi interni Dimensioni<br />

(l x a x p) cm: 17 x 20 x 25,5 Peso (kg): 4,5<br />

Provato su <strong>SUONO</strong> 495 - 03/2015<br />

Mercury V4i<br />

Prezzo € 800,00<br />

Tipo: surround Caricamento: bass reflex N. vie:<br />

2 Potenza (W): 40 RMS Impedenza (Ohm): 8<br />

Frequenze di crossover (Hz): 3.200 Risp. in<br />

freq (Hz): 57-25.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 86<br />

Altoparlanti: Wf 13 cm cellulosa e multifibra, Tw<br />

cupola morbida 25 mm e magnete in neodimio<br />

Rifinitura: mela, quercia scura Note: magneti<br />

schermati Dimensioni (l x a x p) cm: 17 x 30 x<br />

12,15 Peso (kg): 2,6<br />

Precision 6.1<br />

Prezzo € 1.860,00<br />

denza (Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 34-35.000<br />

Sensibilità (dB): 89 Altoparlanti: 1 Woofer 15<br />

cm, 1 Dual Concentric 15 cm e Tw 25 mm titanio<br />

con tecnologia Tulip Waveguide Rifinitura: satinato<br />

noce Note: biwiring con connessione di massa<br />

per il cestello del woofer; versione in noce laccato<br />

e nero laccato 3.800 euro Dimensioni (l x a x p)<br />

cm: 31 x 100 x 28,3 Peso (kg): 14,7<br />

Precision 6.4<br />

Prezzo € 4.000,00<br />

Tipo: da pavimento N. vie: 4 Potenza (W): 300<br />

RMS Impedenza (Ohm): 8 Risp. in freq (Hz):<br />

24-54.000 Sensibilità (dB): 96 Altoparlanti:<br />

1 Wf 38cm, 1 unità concentrica 30 cm, SuperTw<br />

25 mm magnesio/ceramica Rifinitura: legno<br />

laccato e pelle Note: la cupola del tweeter trattata<br />

criogenicamente, Tw con magnete al neodimio.<br />

Versione rifinita in fibra di carbonio nera euro<br />

80.000 Dimensioni (l x a x p) cm: 58,5 x 127,5<br />

x 60 Peso (kg): 120<br />

Mercury V1i<br />

Prezzo € 300,00<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex frontale<br />

N. vie: 2 Potenza (W): 10-70 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 3200<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />

posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 10-140<br />

Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />

(Hz): 2600 Risp. in freq (Hz): 32-53.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 91 Altoparlanti: 2 Wf 15,2 cm<br />

multifibra di cellulosa rivestita, Tw 25 mm cupola<br />

alluminio e magnete in neodimio Rifinitura:<br />

acero o noce scuro Griglia: tela scura staccabile<br />

Dimensioni (l x a x p) cm: 20,4 x 99,5 x 28,1<br />

Peso (kg): 14,7<br />

Provato su <strong>SUONO</strong> 495 - 03/2015<br />

Mercury VCi<br />

Prezzo € 290,00<br />

Tipo: centrale Caricamento: bass reflex N. vie:<br />

2 Potenza (W): 10-70 RMS Impedenza (Ohm):<br />

8 Frequenze di crossover (Hz): 2.900 Risp. in<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex<br />

posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 20-150 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 43-35.000<br />

Sensibilità (dB): 88 Altoparlanti: 1 Dual Concentric<br />

15 cm e Tw 25 mm titanio con tecnologia<br />

Tulip Waveguide Rifinitura: laccato noce o nero<br />

Note: biwiring con connessione di massa per il<br />

cestello del woofer Dimensioni (l x a x p) cm:<br />

22,4 x 33 x 25,7 Peso (kg): 6,8<br />

Precision 6.2<br />

Prezzo € 3.000,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />

posteriore N. vie: 3 Potenza (W): 20-175 Impe<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex con<br />

doppio radiatore passivo N. vie: 3 Potenza (W):<br />

20-200 Impedenza (Ohm): 8 Risp. in freq (Hz):<br />

29-35.000 Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: 1<br />

Woofer 15 cm, 2 Radiatori passivi 15cm, 1 Dual<br />

Concentric 15 cm e Tw 25 mm titanio con tecnologia<br />

Tulip Waveguide Rifinitura: noce satinato<br />

Note: biwiring con connessione di massa per il<br />

cestello del woofer. Versione rifinita laccata noce o<br />

nera laccato euro 4.800 Dimensioni (l x a x p) cm:<br />

31 x 105 x 35,2 Peso (kg): 21,6<br />

Provato su <strong>SUONO</strong> 475 - 04/2013<br />

Precision 6C<br />

Prezzo € 2.350,00<br />

Tipo: centrale Caricamento: doppio reflex pas-<br />

14 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


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sivo N. vie: 3 Potenza (W): 20-175 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 29-35.000 Sensibilità<br />

(dB): 90 Altoparlanti: 1 Woofer 15 cm, 2<br />

Radiatori passivi 15 cm, 1 Dual Concentric 15cm e<br />

Tw 25 mm titanio con tecnologia Tulip Waveguide<br />

Rifinitura: nero laccato Note: biwiring con connessione<br />

di massa per il cestello del woofer; prezzo<br />

cadauno Dimensioni (l x a x p) cm: 58,5 x 23,7 x<br />

25,6 Peso (kg): 11,7<br />

in massello di noce Griglia: rimovibile Note:<br />

connettori doppi per biwire. Mobile con centine<br />

a croce di rinforzo interno, fortemente smorzato.<br />

Regolazione alti /-3 dB. Versione Limited Edition a<br />

13.600 € Dimensioni (l x a x p) cm: 45,6 x 95 x 33,6<br />

Prestige Westminster Gold Reference<br />

Prezzo € 44.000,00<br />

Prestige Autograph Mini<br />

Prezzo € 2.700,00<br />

Dimensioni (l x a x p) cm: 25,6 x 95 x 29,2 Peso<br />

(kg): 16,4<br />

Revolution XT 6<br />

Prezzo € 1.300,00<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N.<br />

vie: 2 Potenza (W): 20-100 Impedenza (Ohm):<br />

8 Frequenze di crossover (Hz): 2.300 Risp. in<br />

freq (Hz): 68-54.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 88<br />

Altoparlanti: 1 unità Dual Concentric da 10 cm e<br />

Tw 19 mm in titanio a guida d'onda Rifinitura:<br />

teak chiaro o scuro Griglia: rimovibile Note:<br />

cestello pressofuso Dimensioni (l x a x p) cm: 21<br />

x 34,5 x 13 Peso (kg): 4<br />

Provato su <strong>SUONO</strong> 394 - 07/2006<br />

Prestige Canterbury Gold Reference<br />

Prezzo € 28.000,00<br />

buita N. vie: 2 Potenza (W): 20-250, 125 RMS<br />

Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />

(Hz): 1100 Risp. in freq (Hz): 29-27.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 93 Altoparlanti: Dual Concentric<br />

25,4 cm in polpa di cellulosa, Tw cupola 52 mm<br />

alluminio/magnesio Rifinitura: noce con angoli<br />

in massello di noce Griglia: rimovibile Note:<br />

connettori doppi per biwire. Contollo alti /-3 dB.<br />

Mobile con rinforzi interni, fortemente smorzato.<br />

Dimensioni (l x a x p) cm: 40,6 x 110 x 33,8<br />

Prestige Sterling Gold Reference<br />

Prezzo € 6.750,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: a tromba N.<br />

vie: 2 Potenza (W): 20-350, 175 RMS Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 200<br />

(taglio acustico), 1.000 (elettrico) Risp. in freq<br />

(Hz): 18-27.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 99 Altoparlanti:<br />

Dual Concentric 38 cm in polpa di cellulosa,<br />

Tw cupola 52 mm alluminio/magnesio Rifinitura:<br />

noce con angoli in massello di noce Griglia:<br />

rimovibile Note: morsetti doppi per biwire,<br />

regolazione alti +2/-6 dB. Mobile rinforzato internamente<br />

con centine a croce e fortemente smorzato.<br />

Dimensioni (l x a x p) cm: 98 x 139,5 x 56<br />

Prestige Yorkminster SE<br />

Prezzo € 20.000,00<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex alla<br />

base N. vie: 2 Potenza (W): 25-120 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 1.800<br />

Risp. in freq (Hz): 46-32.000 - 6 dB Sensibilità<br />

(dB): 89 Altoparlanti: Dual Concentric Wf 15cm<br />

multifibra polpa di cellulosa, Tw 25mm ad anello,<br />

rifasatore a ogiva, Omnimagnet Rifinitura:<br />

espresso, medium oak Dimensioni (l x a x p)<br />

cm: 22,1 x 40 x 30,2<br />

Revolution XT 6F<br />

Prezzo € 2.000,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />

alla base N. vie: 3 Potenza (W): 25-150 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz):<br />

250 e 1800 Risp. in freq (Hz): 38-32.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: Wf 15 cm multifibra<br />

polpa cellulosa, Dual Concentric Md 15 cm<br />

multifibra polpa cellulosa, Tw 25 mm anello, ogiva<br />

Torus, Omnimagnet Rifinitura: espresso, quercia<br />

Dimensioni (l x a x p) cm: 26,9 x 100,5 x 31,7<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: porta Dual<br />

distribuita variabile N. vie: 2 Potenza (W): 20-<br />

300, 150 RMS Impedenza (Ohm): 8 Frequenze<br />

di crossover (Hz): 1.100 Risp. in freq (Hz): 28-<br />

27.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 96 Altoparlanti:<br />

Dual Concentric 38 cm in polpa di cellulosa, Tw<br />

cupola 52 mm alluminio/magnesio Rifinitura:<br />

noce con angoli in massello di noce Griglia: rimovibile<br />

Note: morsetti doppi per biwire, controllo<br />

alti +/- 3 dB. Mobile con centine a croce di rinforzo,<br />

fortemente smorzato. Dimensioni (l x a x p) cm:<br />

68 x 110 x 48<br />

Prestige Kensington Gold Reference<br />

Prezzo € 16.000,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: porta distri<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: porta Dual<br />

distribuita N. vie: 2 Potenza (W): 20-170, 85 RMS<br />

Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />

(Hz): 1.800 Risp. in freq (Hz): 39-46.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 91 Altoparlanti: Dual Concentric<br />

25,4 cm in polpa di cellulosa, Tw cupola 25 mm<br />

alluminio/magnesio Rifinitura: noce con angoli<br />

in massello di noce Note: regolazione +/- 3 dB da<br />

1,8 kHz in su. Mobile internamente rinforzato con<br />

centine a croce efortemente smorzato. Morsetti<br />

doppi per biwire Dimensioni (l x a x p) cm: 39,7<br />

x 85 x 36,8<br />

Prestige Turnberry Gold Reference<br />

Prezzo € 8.000,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: porta Dual distribuita<br />

N. vie: 2 Potenza (W): 20-200, 100 RMS<br />

Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />

(Hz): 1.300 Risp. in freq (Hz): 34-44.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 93 Altoparlanti: Dual Concentric<br />

25,4 cm in polpa di cellulosa, Tw cupola 33 mm<br />

alluminio/magnesio Rifinitura: noce con angoli<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: doppio reflex<br />

posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 50-250 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz):<br />

regolabile Risp. in freq (Hz): 23-22.000 - 6 dB<br />

Sensibilità (dB): 93 Altoparlanti: 1 dual concentric<br />

da 30 cm, Tw da 33 mm a guida d'inda Note:<br />

biamplificabile; crossover regolabile; magnete in<br />

alnico 5 Dimensioni (l x a x p) cm: 62 x 108 x<br />

44,7 Peso (kg): 61,5<br />

Revolution DC6T SE<br />

Prezzo € 1.800,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />

posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 20-180 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 30-35.000<br />

Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: Wf 15 cm, 1<br />

Dual Concentric 15 cm e Tw cupola 2 mm titanio<br />

tecnologia Tulip Waveguide Rifinitura: espresso<br />

Revolution XT 8F<br />

Prezzo € 2.600,00<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex alla<br />

base N. vie: 3 Potenza (W): 25-200 Impedenza<br />

(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 250 e<br />

1800 Risp. in freq (Hz): 34-32.000 - 6 dB Sensibilità<br />

(dB): 91 Altoparlanti: Wf 20 cm multi fibra<br />

in polpa di cellulosa, Dual Concentrico: Md 20 cm<br />

multi fibra in polpa di cellulosa e Tw 25 mm anello<br />

e ogiva Torus Rifinitura: espresso, quercia Note:<br />

dual concentrico con magnete unico Dimensioni<br />

(l x a x p) cm: 31,7 x 108 x 34,5<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 15


antenna<br />

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Liquida per tutti<br />

Un pubblico che forse non ne vuole sapere di “guerre sante”, che ama la musica<br />

ancora prima del supporto e della frequenza di risonanza; un pubblico che spesso<br />

ha un archivio musicale ampio e ben diversificato, che ascolta la traccia giusta al<br />

momento giusto, senza pensare troppo al formato, per godere del piacere della<br />

musica in quanto tale. A questo tipo di utenza Onkyo ha dedicato una macchina<br />

intelligente che riesce a mettere d’accordo un po’ tutti semplicemente riunendo<br />

in un solo telaio le funzioni di lettore di musica “solida” e quello di musica liquida,<br />

ovvero lettore CD e streamer di rete. Si tratta del C-N7050, un apparecchio le cui<br />

dimensioni e l’aspetto (profilo sottile del carrello per il disco ottico, il display e i<br />

pochi tasti per il controllo della meccanica) sono quelli di un classico lettore CD di<br />

fascia media, sottolineate anche dall’ingresso USB-A, sempre sul pannello frontale,<br />

funzione meno “nobile” di questo protocollo, che gestisce il collegamento diretto<br />

in digitale con iPhone e tutta la famiglia dei dispositivi iOS di Apple, è compatibile<br />

con pen-drive in formato FAT16<br />

e FAT32 ma non supporta hub<br />

né computer. La presenza di una<br />

connessione Ethernet, invece, ci<br />

segnala la natura polimorfa del C-N7050 e permette di inserire il lettore/streamer<br />

all’interno di una rete DLNA per gestirne i contenuti audio a bassa, standard e<br />

alta risoluzione grazie alla compatibilità con tutti i tipi di file più utilizzati. Dalla<br />

connessione Ethernet è possibile gestire file audio in alta risoluzione sia PCM che<br />

DSD: la conversione D/A è affidata al chip TI Burr-Brown PCM1795. Un DA830<br />

a 32 bit a virgola mobile è utilizzato nella sezione di DSP. L’ampio display, pur<br />

rimanendo essenziale nella grafica e nei colori, consente la visualizzazione di brani,<br />

autori e titoli degli album, mentre il telecomando e soprattutto la app dedicata<br />

garantiscono un’interfaccia di facile leggibilità e comprensione verso la completezza<br />

delle funzioni offerte. Oltre alle uscite analogiche RCA sono presenti quelle<br />

digitali coassiale e ottica che consentono il collegamento a un’unità D/A esterna.<br />

Streaming Player Onkyo C-N7050<br />

Prezzo: € 499,00<br />

Dimensioni: 43,50 x 10,20 x 30,20<br />

cm (L x A x P)<br />

Peso: 4,60 kg<br />

Distributore: Tecnofuturo S.r.l.<br />

Via Rodi, 6 - 25124 Brescia (BS)<br />

Tel. 030.2452475 - Fax 030.2475606<br />

www.tecnofuturo.it<br />

Supporti compatibili: CD, CD-R, CD-RW Formati audio compatibili: PCM,<br />

WAV, Apple Lossless, FLAC, MP3 cbr, MP3 vbr, AAC, OGG Vorbis, WMA, Web<br />

Radio Display: FL con info su traccia, artista, album Tipo: stereo Tecnologia:<br />

a stato solido Risp. in freq. (Hz): 10 Hz - 70 kHz (192 kHz / 24-bit) THD (%):<br />

0,003 S/N (dB): 115 Ingressi digitali: USB Standard (0), Ethernet (1) Uscite<br />

digitali: Ottica (0), Coassiale (0) Convertitore D/A: 1 x PCM1795 Accessori<br />

e funzionalità aggiuntive: Telecomando Note: compatibile DSD 5.6 mHz e<br />

DNLA; gapless. App per iOs e Android.<br />

Tutti guardano alla<br />

Generazione M<br />

Tra le tendenze emerse dal recente CES di Las Vegas<br />

una delle più prepotenti certifica la tendenza (e la<br />

necessità) da parte delle aziende Hi-end di “ricollocarsi”<br />

almeno in parte affrontando il mercato dei nuovi<br />

consumatori che, per comodità, usiamo definire Generazione<br />

M, intesa come quella fascia di utenza che,<br />

grazie alle nuove modalità di fruizione della musica,<br />

può usufruirne come vuole e dove vuole... Fa comunque<br />

impressione che accanto ad altri “mostri<br />

sacri” persino uno dei marchi che finora si è rivolto<br />

al gotha del gotha come Chord abbia, negli anni<br />

recenti, intensificato questo percorso vero il nuovo.<br />

D’altronde l’azienda inglese nel settore della conversione<br />

D/A (quello più contiguo alle nuove opportunità) è<br />

all’avanguardia e non da poco; così la logica evoluzione<br />

di Hugo (You Go), il dirompente convertitore portatile<br />

provato su <strong>SUONO</strong> 487 - maggio 2014, non poteva consistere<br />

in nient’altro che in un ulteriore abbassamento<br />

del prezzo. Così ora è la volta di Mojo (Mobile Joy), un<br />

convertitore portatile ancora più piccolo, a sottolineare<br />

come un nome classicissimo come quello di Chord sia<br />

abbinabile al buon ascolto in movimento, pur sempre<br />

di qualità: anche in questo caso, infatti, si è ricorsi a<br />

un’architettura (FPGA) che lascia più ampia libertà ai<br />

progettisti di interagire e personalizzare direttamente<br />

la sezione di conversione rispetto alle soluzioni di conversione<br />

D/A più comuni che sono, di fatto, blindate<br />

e non modificabili. Il Mojo, infatti, utilizza il chipset<br />

Artix-7 FPGA di Xilinx; il suo utilizzo più naturale è<br />

quello di supporto per digital audio player portatili,<br />

di smartphone e tablet iOS e Android (per questi c’è<br />

bisogno di un cavo di tipo OTG). Con iPad e dispositivi<br />

iOS in generale si può utilizzare il Camera Connection<br />

Kit e abilitare l’uscita via USB; in combinazione si può<br />

adoperare l’app Onkyo HF per abilitare la riproduzione<br />

alle massime risoluzioni sia in PCM che DSD.<br />

Naturalmente può essere abbinato anche a computer<br />

Apple e Windows; mentre per i primi non c’è bisogno<br />

di driver, per Windows (Vista, 7, 8, e 10) ce ne sono<br />

di specifici da scaricare per un uso in modalità Direct<br />

Sound, Kernel Streaming e Wasapi.<br />

Il telaio in alluminio nero ha i bordi stondati che permettono<br />

di infilare il Mojo in tasca senza possibilità<br />

16 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


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di farsi male. Sul lato lungo sono collocati i tre pulsanti a sfera, sui lati corti da una parte<br />

ci sono gli ingressi e dall’altra le uscite per cuffia in formato mini-jack (due non è una<br />

configurazione usuale, per cui un segno più in pagella). Una di queste uscite può essere<br />

configurata anche in modalità a uscita linea fissa (3 V) che ci permette di collegare il<br />

Mojo a un ingresso aux di un sistema audio o amplificatore per essere utilizzato come<br />

DAC esterno. Per l’uscita cuffia Chord dichiara una compatibilità in un range di 4-800<br />

Ohm con una potenza erogata che va da 35 a 720 mW; i dati ufficiali parlano di un tempo<br />

di ricarica di circa 4 ore per una autonomia di circa 10.<br />

Convertitore Chord Electronics Mojo<br />

Prezzo: € 599,00<br />

Dimensioni: 6 x 4 x 2 cm (lxaxp)<br />

Peso: 0,2 kg<br />

Distributore: GTO S.r.l., Via Petrarca 43/A - 40136 Bologna (BO)<br />

Tel. 051.627.14.47 - Fax 051.0337294<br />

www.gto.it<br />

Sistema di conversione: FPGA proprietario, Spartan 6<br />

Frequenza di campionamento (kHz): PCM fino a 384 kHz<br />

/ 32 bit; DSD 64 e 128x Ingressi digitali: 1 x USB 44 kHz / 192<br />

kHz, 16 / 32 bit; 1 x digitale ottico; 1 x digitale coassiale 44 kHz /<br />

384 kHz compatibile, 16 / 32 bit Uscite analogiche: 2 x 3,5 mm.<br />

Note: Compatibile con file DSD fino a 768 Khz.<br />

In onore delle<br />

capitali nordiche<br />

L’approdo di Vifa, rinomato costruttore<br />

di altoparlanti, al prodotto finito<br />

passa attraverso un omaggio alle<br />

capitali nordiche; così dopo Copenhagen<br />

(presentato su <strong>SUONO</strong> 502)<br />

è la volta di Helsinki, un sistema<br />

portatile chiaramente destinato a<br />

suscitare un W.A.F. positivo visto<br />

che l’aspetto si ispira a una borsetta<br />

femminile. Bellezza che non toglie<br />

nulla alla sostanza visto che il telaio<br />

è realizzato in un unico solido pezzo<br />

in alluminio e il sistema è caricato con<br />

due woofer da 60 mm in opposizione<br />

(force balanced configuration) che<br />

vengono supportati da due radiatori<br />

passivi che estendono e potenziano<br />

la gamma più bassa. Nell’esiguo spazio<br />

a disposizione sono stati collocati<br />

anche due full range, ospitati in volumi<br />

separati, da 50 mm con cono in<br />

alluminio e magnete al neodimio. Il<br />

rivestimento utilizzato è in Kvadrat,<br />

un tessuto idrorepellente dalle ottime<br />

proprietà acustiche, oltre all’aspetto<br />

elegante e moderno. Il sistema è<br />

compatibile Bluetooth (con aptX) e<br />

dispone di una app per iOs e Andrid<br />

per il controllo delle funzioni.<br />

Agostino Bistarelli<br />

Per info:www.gammalta.it<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 17


antenna<br />

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Entry level anche per M.F.<br />

Con il recente pre-phono MX-VYNL (MM-MC) Musical Fidelity amplia la serie MX che si<br />

colloca tra la entry level V90 e la M3 e comprende l’MX-DAC, un convertitore D/A (PCM<br />

e DSD) e l’MX-HPA, un amplificatore per cuffia. La serie gioca sul tema dei “1.000 euro”,<br />

quello che per molti è visto come un limite difficile da far convivere con le correnti spese familiari. Un limite che, per essere precisi, la serie MX<br />

non supera attribuendo a ognuno di questi tre prodotti il prezzo di listino di 990 euro.<br />

L’MX-VYNL è un apparecchio compatto (220 mm la larghezza, poco più di 50 l’altezza) ma è ben proporzionato, al punto che se lo vedi da solo<br />

puoi anche immaginare un prodotto di dimensioni standard e non mini, come è in realtà. Il telaio è in alluminio satinato con bordo inferiore e<br />

superiore del pannello frontale leggermente inclinato, caratterizzato da un elemento visivamente più forte costituito dall’unica manopola collocata<br />

all’estrema destra. Ha il compito di selezionare il guadagno dei due ingressi, uno in formato RCA e l’altro in XLR, con connettore mini a cinque<br />

poli: un piccolo switch a ridosso dei connettori permette di passare dall’uno all’altro con una piccola spia sul pannello frontale che segnala l’uso<br />

della connessione bilanciata. Allo stesso modo anche le uscite sono sdoppiate in RCA e XLR ma, in questo caso, in formato standard. I valori<br />

selezionabili riguardano il carico per MC e MM: nel primo caso possiamo scegliere nella scala 10-20-50-100-200-400-800-1,2k-47k Ohm;<br />

per la seconda 50-100-200-300-400 pF. Tutti questi valori sono riportati direttamente sulla manopola in questione. Sempre direttamente<br />

dal pannello frontale un ulteriore switch ci permette di effettuare un’ulteriore regolazione in merito al guadagno con posizione 0 e +6 dB: per<br />

una sensibilità media di 300 mV otteniamo 5 mV per MM e 0,8 mV per MC su posizione 0 dB; 2,5 mV per mm e 0,4 mV per MC su posizione<br />

+6 dB. Un ulteriore switch permette, inoltre, un piccolo controllo sulle frequenze più basse selezionando EQ su IEC o RIAA: nel secondo caso,<br />

secondo le indicazioni del produttore, sulla prima posizione si ottiene un roll-off delle frequenze molto basse, addirittura subsoniche.<br />

Agostino Bistarelli<br />

Unità phono Musical Fidelity MX-VYNL<br />

Prezzo: € 990,00<br />

Dimensioni: 22 x5,3 x 21.5 cm (lxaxp)<br />

Peso: 1,9 kg<br />

Distributore: Audiogamma S.p.A.<br />

Via Pietro Calvi, 16 - 20129 Milano (MI)<br />

Tel. 02.55.181.610 - Fax 02.55.181.961<br />

www.audiogamma.it<br />

Tipo: MM/MC Tecnologia: stato solido<br />

Sensibilità (mV): selezionabile: 2,5/5 - 70<br />

(MM) - 0,8/0,4 - 12 (MC) Note: Ingressi<br />

bilanciati e sbilanciati.<br />

18 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


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<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 19


inside dentro la musica<br />

La perdita dell’innocenza<br />

di Paolo Corciulo<br />

Dall’epoca dei “padri fondatori” almeno tre generazioni di prodotti<br />

e imprenditori si sono alternate in un mercato da allora molto<br />

mutato; localizzazione vs. globalizzazione, artigianato & industria:<br />

quale può essere, oggi, il ruolo dell’Hi-end e cosa non fa più parte<br />

di questa definizione?<br />

In alcuni ambienti imprenditoriali si dice che “i padri creano, i figli<br />

consolidano e i nipoti dilapidano”, intendendo con ciò come in sole<br />

tre generazioni ogni impero, anche il più florido e possente, si può<br />

dissolvere con una deriva che via via nel tempo diventa sempre più rapida<br />

e irrefrenabile; basta considerare in tal senso come la rendita di posizione<br />

che ha caratterizzato caste sociali ed economiche in passato oggi non<br />

“tiene” più… Lo stesso termine “rendita di posizione” sembra ora desueto,<br />

travalicato dall’incalzare di una società dove la capacità di reazione è<br />

diventata non solo un elemento fondante ma un valore primario, spesso<br />

anche ben retribuito! L’impatto di nuovi strumenti di comunicazione e di<br />

lavoro ha modificato tanto il rendimento delle aziende quanto il peso di<br />

questo aspetto in una società sempre più competitiva dove il successo è<br />

basato sull’efficienza ancor più che sulle caratteristiche di prodotto, visto<br />

che questo si è molto<br />

livellato in termini di<br />

qualità in conseguenza<br />

degli effetti della globalizzazione.<br />

Insomma: un<br />

1877 Uno strumento riproduce la voce umana che<br />

interpreta la filastrocca “Mary had a little lamb”. È<br />

nato il fonografo!<br />

panorama assai lontano da quello che si trovarono ad affrontare i cosiddetti<br />

“padri fondatori” della riproduzione sonora. Per comprendere quale<br />

sia stata la genesi del segmento di eccellenza del nostro settore occorre<br />

però tracciare comunque, se pur per sommi capi, i confini e il panorama<br />

che, allora, i “padri” si trovarono ad affrontare...<br />

Alla fine dell’Ottocento (con Edison) e all’inizio del “secolo breve” con<br />

la nascita dell’amplificazione a valvole (Lee De Frest – triodo – 1906) si<br />

gettano le prime basi della riproduzione sonora; poco dopo, tuttavia, il<br />

20 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />

A sinistra: 1936 Vede la luce il finale di potenza Quad 1. A causa dei bombardamenti che distruggono i locali della sua azienda, solo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale Peter<br />

J. Walker (1916 – 2003) riprenderà l’attività, puntando sul nascente mercato domestico (QUAD è l’acronimo di Quality Unit Amplifier Domestic). Nel 1956 Walker realizza il suo primo<br />

diffusore, il leggendario ESL57, che rimarrà in produzione per 28 anni!<br />

Al centro e a destra: 1945 Con la creazione dell’altoparlante concentrico Duplex, Altec dà vita al suo primo diffusore di dimensioni domestiche (oltre 90 cm di altezza per<br />

76 di larghezza e 40 di profondità!). Mobile in noce e versioni da parete o da incasso molto più ridotte…<br />

sopraggiungere della Grande Guerra drena risorse e interesse per cose<br />

superficiali come il futile mondo dell’intrattenimento, rimandando al<br />

dopoguerra e all’avvento del sonoro nel cinema (1926) la nascita di un’attività<br />

massiva nel campo della riproduzione sonora (merito della Western<br />

Electric che si dedica con impeto in quella “strana” impresa). Si tratta,<br />

evidentemente, dei primi instabili vagiti del settore se circa dieci anni<br />

più tardi l’azienda americana decide di dismettere l’attività: un gruppo<br />

dei suoi tecnici darà invece vita alla Altec, che ristabilisce rapidamente<br />

una sorta di monopolio nella riproduzione sonora finalizzata alla sonorizzazione<br />

dei cinema. Se gli amplificatori a valvole sono grossi e costosi,<br />

i diffusori non sono da meno: bisognerà aspettare il 1945 perché veda la<br />

luce il Duplex, un altoparlante di dimensioni compatte che consentirà la<br />

nascita del primo diffusore “domestico” della Altec!<br />

D’altronde proprio il primo dopoguerra è uno snodo cruciale per lo<br />

sviluppo dell’Hi-Fi che, in un primo periodo, trova condizioni favorevoli<br />

allo sviluppo del suo segmento Hi-end, in buona parte frutto del lavoro<br />

di piccoli artigiani più che di industrie (eccetto la stessa Altec e qualche<br />

altro). Non si tratta solo di quell’inevitabile entusiasmo e ripresa economica<br />

che hanno caratterizzato in particolare la fine della Seconda Guerra<br />

Mondiale ma anche degli effetti di una politica perseguita attraverso i<br />

programmi di training tenuti durante e subito dopo la guerra allo scopo<br />

di garantire il reinserimento dei reduci che creerà in questi veterani la<br />

conoscenza di alcune tematiche dell’elettronica. A cavallo tra gli anni<br />

’40 e ’50, infatti, nonostante buona parte dei sistemi per la riproduzione<br />

sonora fossero costituiti dalle cosiddette consolle o da sistemi completi<br />

e da pavimento, si trattava di soluzioni abbastanza costose a causa<br />

dell’ingente investimento di risorse nella “carrozzeria” (generalmente<br />

di legno, spesso sagomato) più che nei componenti, in genere gli stessi<br />

reperibili nei kit per autocostruttori. È questo il brodo di cultura che<br />

consente a svariati self-made man di muovere i primi passi nel settore,<br />

quasi univocamente motivati dalla stessa pulsione: “realizzare un sistema<br />

di riproduzione sonora di qualità soddisfacente visto che quelli in<br />

commercio non lo sono... ”. Se andate a leggere le biografie di molti dei<br />

personaggi che hanno calcato il settore dell’Hi-Fi sembrano quasi una la<br />

copia dell’altra: questa la motivazione, questi gli inizi (piccole produzioni<br />

per amici e/o compagni di università), questa la ragione di un piccolo<br />

successo che via via si allarga…<br />

La società civile sta attraversando un periodo particolarmente florido<br />

sia economicamente che in termini di ottimismo (è il periodo della ricostruzione)<br />

mentre il processo di industrializzazione cominciato agli<br />

inizi del ’900 ha raggiunto una maturità e una diffusione che consente<br />

anche a piccoli artigiani di evolvere in un curioso coacervo tra artigianato<br />

e industria, essenziale (perlomeno in questa prima fase) per lo sviluppo<br />

dell’Hi-Fi; tutt’ora il mix tra quella robustezza e la stabilità preponderanti<br />

nella produzione industriale con la sensibilità e l’attenzione alla<br />

1949 Nasce il 50W1, il primo amplificatore McIntosh. Frank H. McIntosh (1906 –<br />

1990) durante la seconda Guerra Mondiale era a capo della divisione radio e radar<br />

della War Productions Board americana; al ritorno riprende la sua attività in una<br />

piccola società di consulenza per la progettazione di stazioni radio e sistemi audio<br />

ed è proprio nella richiesta di amplificazioni di alta qualità che incontra Gordon<br />

Gow (1946), insieme a cui svilupperanno il trasformatore “Unity Coupling” (il nome<br />

verrà coniato solo a metà del 1954 in occasione di un concorso apparso sulla rivista<br />

High Fidelity).<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 21


inside<br />

1952 Saul Marantz (1911 –<br />

1997) realizza nella sua abitazione,<br />

anche grazie al contributo<br />

della moglie, il suo<br />

primo prodotto Hi-Fi.<br />

Durante gli anni Ottanta la<br />

Marantz verrà acquistata<br />

dalla Philips, poi nel 2001<br />

la Marantz Japan acquista il<br />

marchio da Philips e approda<br />

l’anno successivo insieme a<br />

Denon alla holding D&M.<br />

1952 Appare sul mercato lo Scott 99 D Scott, un amplificatore integrato mono da<br />

22 Watt. In produzione fino al 1964, consentiva il collegamento per sintonizzatore,<br />

TV e nastro (Tape Monitor) e disponeva di controlli di tono, selettore del volume e<br />

loudness (a variazione continua) e filtro subsonico. Nel 1946 Hermon Hosmer Scott<br />

(1909 – 1975), uno dei pionieri nel settore Hi-Fi, aveva fondato la HH Scott, Inc. Laureato<br />

al Massachusetts Institute of Technology ha realizzato più di cento brevetti<br />

in elettronica. Nel 1957 l’azienda si trasferisce a Maynard, Massachusetts. Nel 1966<br />

smette di operare attivamente, nel 1985 viene acquistata da Emerson Electronics.<br />

1952 Il preamplificatore Marantz Consolette utilizzava un circuito fono doppio mono<br />

ad alto livello con la possibilità di variare trentasei differenti curve per l’equalizzazione.<br />

qualità senza compromessi tipiche del buon artigiano caratterizzano,<br />

almeno nell’immaginario, il prodotto Hi-end. È un periodo di grandi<br />

trasformazioni che porta alcuni soggetti a emergere e altri, come accade<br />

in questi casi, a scomparire (e quasi nessuno se ne ricorderà in seguito),<br />

non essendo stati in grado di intuire la portata dei cambiamenti in atto.<br />

Oltreoceano è il periodo in cui emergono alcuni dei nomi storici che<br />

hanno caratterizzato l’alta fedeltà, da Frank McIntosh a Saul Marantz<br />

passando per Avery Fisher e così via.<br />

Il primo finale frutto della collaborazione tra McIntosh e Gordon Gow<br />

(che rimase poi alle redini della società fino alla fine degli anni Settanta,<br />

è infatti uno dei “padri” che ho avuto modo di conoscere) risale al<br />

1949: il 50W-1 venne creato per le necessità particolari di un cliente<br />

che aveva bisogno di un amplificatore a bassa distorsione in grado di<br />

mantenere un’elevata stabilità anche con carichi difficili… Del 1955 è<br />

il mitico Audio Consolette di Saul Marantz. In un modo o nell’altro,<br />

passando comunque per cambi di proprietà e approdo a finanziatori<br />

di media o grande dimensione, questi marchi sono giunti fino ai giorni<br />

nostri più o meno fedeli all’immagine e al “messaggio” degli esordi.<br />

Diversamente accadde ad altri due protagonisti del tempo altrettanto e<br />

forse anche più grandi: Hermon Hosmer Scott compare sul mercato nel<br />

1947; Avery Fisher, suo diretto concorrente per lunghi anni, esordisce<br />

ancora prima, nel 1945. Entrambi lo fanno con aziende e prodotti che<br />

portavano il loro nome.<br />

Ho avuto la fortuna di conoscere il mercato Hi-Fi mentre questi nomi,<br />

se pur già nelle vesti di nobili decaduti, erano ancora in auge: il mio<br />

primo amplificatore era un Fisher e anche allora nessuno avrebbe avuto<br />

da ridire se la scelta fosse caduta su questo marchio piuttosto che<br />

sull’imperante alternativa costituita dal Marantz Model 1030! Ma se la<br />

storia ha portato profondi mutamenti “genetici” nei marchi citati (ma<br />

che potremmo definire frutto di un patrimonio genetico già indirizzato<br />

verso il Mid-end), quando non li ha estromessi dal mercato, l’epopea di<br />

un marchio come Harman Kardon ci chiarisce che tali mutamenti sono<br />

in maniera preponderante il frutto dei mutamenti socio economici della<br />

società e del mercato da quei giorni ad oggi più che di una predisposizione<br />

ad affrontare questo o quel segmento di mercato. Dopo i tuner (il primo<br />

prodotto nel 1958) Sidney Harman e Bernard Kardon diedero vita nel<br />

1959 alla linea Citation; basta guardare quegli apparecchi per rendersi<br />

conto di come declinassero in maniera completa il concetto di Hi-end di<br />

allora (ma anche di oggi!). Eppure proprio la H.K. (in tempi più recenti<br />

seguita da Bose) è forse l’azienda che maggiormente ha cambiato pelle<br />

da allora ad oggi e sarebbe riduttivo considerare le nuove rotte perseguite<br />

solo come il frutto dei mutati interessi dei “nocchieri”. Certamente Sidney<br />

Harman si è rivelato più uomo d’affari che “professore”, terminando la<br />

sua carriera professionale con un tentativo di diventare tycoon e trascinando<br />

la società di elettronica che possedeva verso i lidi del consumer<br />

più puro: oggi i “separati” praticamente non esistono più nel catalogo<br />

del marchio che è ormai parte di un gruppo più grande di aziende con<br />

interessi nella riproduzione sonora a tutto tondo.<br />

Meglio così delle tante comete (se viste su un lasso di tempo lungo):<br />

una per tutte la parabola discendente, ora con ritorno di fiamma, della<br />

casa che fu di Edgar Villchur, l’inventore della sospensione pneumatica,<br />

e che vide tra le sue fila anche Henry Kloss: la Acustic Research fino ai<br />

primi anni ’80 era un autentico riferimento di qualità; poi, con il mutamento<br />

dei tempi, è stata acquistata dal colosso cinese Audiovox che ne<br />

1953 Sidney Harman (1918 – 2011) fonda insieme a Bernard Kardon (il suo capo<br />

nel precedente lavoro che si ritirerà quasi subito dall’attività), la ditta omonima di<br />

cui rimarrà al timone a lungo. Dopo aver trasformato un impero da svariati miliardi<br />

di dollari in una vera e propria galassia di aziende (di cui fanno aprte JBL, Infinity,<br />

Beker, AKG e Allen & Heath), poco prima della morte si trasformerà in un tycoon<br />

acquistando il Newsweek (e i suoi debiti!) per 1 dollaro nel 2010.<br />

22 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />

1954 Edgar Marion Villchur (1917 – 2011) realizza la sospensione pneumatica e la<br />

utilizza in Acoustic Research che dirige dal 1954 al 1967. È stato educatore, inventore<br />

e scrittore e il suo desiderio da giovane era quello di diventare sceneggiatore per il<br />

teatro. Durante la seconda Guerra Mondiale viene formato dall’esercito americano in<br />

un programma per la manutenzione e la riparazione di radio, radar e altre attrezzature.<br />

Dopo la guerra, apre un negozio nel Greenwich Village, dove ripara radio e<br />

costruisce su misura sistemi casalinghi per alta fedeltà.<br />

ha praticamente rinnegato, salvo un recente ritorno nel settore Hi-Fi, le<br />

origini. È interessante notare come in questa ottica in molti casi i “nobili<br />

natali” vengano vissuti più come un peso che come una risorsa: provate a<br />

visitare i siti di alcuni nomi altisonanti del passato ancora attivi e spesso<br />

non troverete cenno agli storici percorsi che li hanno resi famosi. Quasi<br />

che ogni legame con il passato venga vissuto, con spirito di rottamazione,<br />

come un impedimento più che una risorsa! E non si tratta di poca cultura<br />

o disorganizzazione legata ai pionieristici esordi (e chi ci pensava, allora,<br />

che per molti di loro ci sarebbe stata una storicità da preservare… ?); è<br />

una scelta che dà agio a quelle aziende di travalicare i limiti di filosofie e<br />

progetti originali, vestendo il prodotto principalmente con il marketing<br />

che, come il denaro, non ha odore!<br />

Storie simili anche al di qua dell’oceano: non molto tempo fa (<strong>SUONO</strong><br />

501 – novembre 2015) abbiamo ripercorso l’epopea di Leak dai suoi<br />

esordi (1934) fino alla consunzione avvenuta tra la fine degli anni Sessanta<br />

e gli inizi del decennio successivo. Eppure quella rapida eclissi ha<br />

tutt’oggi tantissimi estimatori, a dimostrazione che non fu il prodotto a<br />

“cedere” ma la capacità di adattarsi ai cambiamenti dei tempi… Stessa<br />

sorte per Lowther mentre le creature di Peter Walker, che fondò la Quad<br />

nel 1936, o di Gilbert Briggs, sono finite in mani orientali nei più recenti<br />

capovolgimenti del mercato, mantenendo chi più chi meno una loro<br />

“decenza”. Per quasi tutte queste storie rimangono gli inizi pionieristici:<br />

il primo prototipo di un altoparlante a sospensione pneumatica nacque<br />

nella cucina di Rosemary Vilchiur, la moglie di Ed; Briggs costruì il suo<br />

primo diffusore nella cantina della sua casa situata in una valle dello<br />

Yorkshire solcata dal fiume Wharfe, che avrebbe dato nome al marchio…<br />

Nel vissuto della maggioranza di questi personaggi c’era una genuina<br />

passione per la musica: non è un caso che sia Saul Marantz che Avery<br />

Fisher, una volta conclusa la loro “missione”, siano diventati filantropi<br />

nel settore musicale (a entrambi sono intitolate delle concert hall alla<br />

cui realizzazione contribuirono con le loro donazioni)…<br />

L’arrivo degli anni Sessanta costituisce un ulteriore spartiacque: è il<br />

momento dei registratori reel to reel, viene introdotta la tecnica stereo,<br />

il multitraccia e, soprattutto, arrivano i transistor: possedere il know<br />

how in merito stabilisce nuove “soglie di ingresso” e ridisegna la mappa<br />

Evoluzione della specie<br />

Nelle foto: prima industrializzazione alla Altec Lansing, la fabbrica modello<br />

della Linn, realizzata nel 1980 dall’architetto Richard Rogers. Alto livello<br />

di automazione (con due macchine SMD e magazzino completamente<br />

automatizzato) destinata a una produzione unicamente Hi-end!<br />

1956 La posa della prima pietra della sede di Anaheim di Altec Lansing, a lungo uno<br />

dei più grossi centri di produzione Hi-Fi.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 23


inside<br />

In alto: 1958 Se il primo diffusore a sospensione pneumatica fu l’AR-1 (1954), subito<br />

un successo, due anni più tardi è la volta degli AR-2, una versione semplificata e<br />

meno costosa del precedente modello. Negli anni successivi Vilchiur approfondisce<br />

le problematiche della gamma alta e nasce il tweeter a cupola con radiazione diretta<br />

che viene brevettato e utilizzato nel 1958 negli AR-3, considerati il capolavoro<br />

del progettista: sono in mostra al Museo Nazionale di Storia Americana presso lo<br />

Smithsonian Institute di Washington.<br />

In basso: 1959 Harman Kardon dà vita alla prima coppia di prodotti Hi-end, il<br />

pre Citation I e il finale Citation II. Il progetto è di Stewart Hegeman, uno dei grandi<br />

progettisti di apparecchi a valvole dell’epoca. L’apparecchio offriva controlli di tono<br />

separati per canale e utilizzava 9 ECC83/12AX7 e 5 ECC81/12AT7.<br />

del potere (una sorta di prova generale di quanto poi accaduto massicciamente<br />

nell’era del digitale!): è il momento di nomi come Pioneer,<br />

Yamaha, Sony, Sansui. Poi l’ingresso massiccio dei produttori giapponesi<br />

negli anni Settanta… A ben vedere il tempo che ci separa da allora è stato<br />

scandito da mini-ere che hanno ognuna sommovimenti e nuovi equilibri<br />

dove si alterna da un lato l’effetto “divide” generato dal possesso o meno<br />

del “sapere” e dall’altro la possibilità (quasi una necessità genetica) di<br />

condividerlo e renderlo disponibile in maniera massiccia! Celebri rimangono<br />

le lotte tra le aziende per imporre i loro formati; altrettanto celebri<br />

i “tonfi” eccellenti di chi rimane fuori dal gioco: Elcaset, Betacam, Video<br />

2000, Mini Disc. Nel periodo in cui veniva lanciato il compact disc ebbi<br />

la fortuna di viaggiare sovente in giro per il mondo e apprezzare i molteplici<br />

tentativi da parte di più aziende di imporre il loro formato per la<br />

lettura al laser, prima che il cartello Philips – Sony soverchiasse gli altri,<br />

non senza “rigurgiti” anche assai postumi: perché, altrimenti, proporre<br />

in tempi relativamente recenti l’alternativa SACD vs. DVD Audio che,<br />

in sostanza, non ha favorito né l’uno né l’altro?<br />

Nella road map dell’evoluzione tecnologica, caratterizzata dall’impennata<br />

rappresentata dall’approdo alle tecnologie digitali, un elemento di<br />

continuità è rappresentato dal rapporto tra industrializzazione e artigianato<br />

(anch’esso in costante evoluzione) che ha portato in massima<br />

parte i produttori a trasformarsi da piccole realtà “one man band” a<br />

più o meno piccole aziende, rendendo “periferici” gli altri quando non<br />

del tutto invisibili. Ognuno ha interpretato a suo modo e con le armi a<br />

disposizione le mutate esigenze del mercato ma fondamentalmente possiamo<br />

identificare alcune linee guida principali che hanno caratterizzato<br />

chi offriva prodotti di eccellenza: c’è ci ha “venduto l’anima al diavolo”<br />

cedendo l’azienda a finanziatori di multinazionali, spesso orientali (ma<br />

è una tendenza che attualmente sembra tornare sui suoi passi); chi ha<br />

potuto appoggiarsi a strutture industriali più grandi e “amiche” (il caso<br />

tipo è quello di Linn che non avrebbe potuto diventare quella che è se i<br />

Tiefenbrun non avessero posseduto un’azienda meccanica a più largo<br />

raggio d’azione) e chi, il più a lungo possibile, ha cercato di mantenere<br />

vivo l’aspetto artigianale del suo lavoro, pur all’interno di strutture industriali.<br />

Il caso più eclatante è molto vicino a noi ed è quello della Sonus<br />

Faber nel periodo di Franco Serblin, ma si tratta più dell’eccezione che<br />

della regola, considerando che Serblin già allora era una sorta di mosca<br />

bianca avulsa alle tematiche “seriali” che pure l’azienda affrontava e<br />

doveva affrontare.<br />

In tempi recenti abbiamo assistito al completo ribaltamento delle logiche<br />

abituali: una volta era il genio, l’artigiano, l’inventore a dare la<br />

linea che poi veniva assorbita dal processo industriale. I più grandi<br />

laboratori di ricerca affidavano agli specialisti il compito di intuire e<br />

interpretare i frutti più estremi della loro ricerca “pura”: è il caso della<br />

strana relazione tra il NatLab (il laboratorio di ricerca della Philips) e<br />

alcune aziende di ben altre dimensioni come la Micromega, al tempo<br />

di Daniel Schar. Oggi sono determinati movimenti d’opinione, frutto di<br />

ingenti risorse intraprese, a dare vita a modelli di sviluppo che solo in<br />

seguito possono essere utilizzati da piccoli produttori e artigiani! Forse<br />

è un caso, forse no, ma proprio l’avventura da costruttore di Daniel<br />

Schar si è conclusa (benché l’azienda sia stata tra le avanguardie del<br />

digitale) proprio lì dove per il rilancio, in un mondo ancor più digitale,<br />

è stato necessario appoggiarsi a patrimoni finanziari di ben altra portata!<br />

In tempi ancor più recenti (e in uno stato di crisi latente dell’Hi-end<br />

24 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />

A sinistra e al centro: 1973 Ivor Tiefenbrun fonda la Linn con lo scopo di produrre il giradischi Sondek LP 12, tutt’ora in commercio. Per farlo si appoggia alla Castle Precison,<br />

azienda meccanica di famiglia. Nel 2007 il figlio Ghilad rilancia l’azienda introducendo la linea DS, digital streamer, con il primo prodotto Hi-end di questo tipo: primo in<br />

assoluto e primo di una ampia gamma di prodotti destinati alla musica liquida.<br />

A destra: 1980 Nascono gli Snail, il primo avveniristico e utopico progetto di Franco Serblin (1939 – 2013); solo tre anni più tardi vedrà la luce Sonus Faber, azienda che riportò<br />

in auge i mini diffusori e il fascino delle essenze lignee.<br />

per cui “tutto è in vendita”) lo stesso Bob Stuart, genio e precursore nel<br />

campo digitale, ha dovuto cedere il controllo finanziario di Meridian a<br />

una cordata di grandi investitori parte della galassia che ruota attorno<br />

a giganti quali Richemont e New Regency, sebbene Bob sia tuttora in<br />

grado di sviluppare innovazioni sostanziali in questo settore (vedi in altra<br />

parte della rivista). L’attuale fase attraversata da economia e sviluppo<br />

industriale punta su un modello che, favorendo la diffusione massima<br />

dei beni, quasi inevitabilmente lo fa a danno della qualità.<br />

In un panorama così tratteggiato esiste ancora e quale può essere il ruolo<br />

del prodotto Hi-end? E il principio stesso dell’Hi-end, dell’alta fedeltà<br />

o dei prodotti di eccellenza (perlomeno<br />

quello “tradizionalmente”<br />

tramandato fino ad oggi) non è<br />

messo a repentaglio proprio perché<br />

è (o dovrebbe essere... ) un irrituale<br />

connubio di artigianato –<br />

industrializzazione dove al primo<br />

sono connessi gli assetti legati alla<br />

qualità e al secondo quelli della<br />

diffusione?<br />

Nell’arco dello scorso secolo e di<br />

quello in corso abbiamo assistito<br />

a una progressiva specializzazione<br />

produttiva durante la quale l’attività artigianale o è riuscita a trasformarsi<br />

in attività industriale o, più di frequente, ha dovuto capitolare, ricercando<br />

soggetti in grado di garantire capitali ingenti per finanziare l’aumentato<br />

fabbisogno. Non solo sono aumentate le dimensioni del mercato ma<br />

ne è cambiata la faccia: inizialmente le sorti dell’artigiano erano legate<br />

all’esistenza di una clientela fissa, di ridotte dimensioni, una sorta di<br />

“prodotto a km zero”. L’ampliamento del mercato e la sua polverizzazione<br />

(oggi assoluta, grazie alla presenza di un mercato virtuale online)<br />

rendono indispensabile per le sorti di un marchio anche di nicchia la<br />

presenza di infrastrutture costose e ad alta complicazione gestionale,<br />

elementi lontani dalla gestione del tradizionale “buon padre di famiglia”<br />

di un tempo. Non che la dimensione artigianale ne venga così completamente<br />

cancellata: da un lato essa è avvalorata dalla richiesta, da una<br />

1984 Il Meridian MCFD è stato il primo lettore CD audiofilo; l’azienda era stata anche<br />

la prima casa inglese a produrre un CD e la prima al mondo a produrre diffusori<br />

attivi, cavallo di battaglia nel passato della filosofia di Bob Stuart e Allen Boothroyd,<br />

i fondatori dell’azienda (1977).<br />

parte di utenza, di un’elevata qualità del prodotto e del servizio che lo<br />

contraddistingue; dall’altro la storia ci insegna che a una cultura monolitica<br />

centralizzata e fondata sul concetto di uniformità succede o si<br />

alterna una cultura basata sulla differenziazione e sulla specificità. Ma<br />

che cosa identifica, al giorno d’oggi, il prodotto di eccellenza (nel nostro<br />

caso il prodotto Hi-end visto che il termine, sebbene si attagli a tutti i<br />

segmenti di maggior pregio, viene utilizzato quasi esclusivamente nel<br />

settore della riproduzione musicale)? Specificità, differenziazione, aspetti<br />

di eccellenza nelle performance e nell’aspetto, servizio pre e post vendita<br />

sono probabilmente i principali aspetti da esaminare ma quanti marchi<br />

e prodotti tra quelli inseriti nell’Annuario<br />

(e più in generale presenti<br />

nel mondo) sono in grado di ottemperare<br />

questi aspetti?<br />

Una Ferrari è sicuramente scomoda,<br />

il cambio assai meno morbido<br />

di quello di una Mercedes, ma ha<br />

comunque un’accelerazione e una<br />

velocità di punta che la distinguono.<br />

Un vestito di sartoria ha la sua<br />

unicità, una teiera dell’Ottocento<br />

ha aspetti non propagabili all’omologo<br />

attuale. Quale può essere l’atout<br />

dell’Hi-end? Non sono certo le performance assolute che, soprattutto<br />

oggi, sono a ricasco della grande industria che segna, con l’introduzione<br />

o il ritiro dal mercato dei componenti, l’orizzonte nel quale muoversi,<br />

soprattutto nell’ambito del digitale. Proprio qui, se ci si attiene alle performance,<br />

assistiamo al paradosso estremo: prodotti economicissimi frutto<br />

di una logica industriale sono decisamente più performanti, più aggiornati,<br />

almeno sulla carta, dei prodotti cosiddetti “di eccellenza”. Cosa vera,<br />

maggiormente, soprattutto se ci si muove in quel crogiuolo in perenne<br />

evoluzione che è l’area di mercato caratterizzata dalla sovrapposizione<br />

tra elettronica e informatica! Non sono da meno le caratteristiche del<br />

“vestito”, perlomeno in termini di qualità e robustezza, dove i numeri<br />

della produzione industriale garantiscono logiche di efficienza sconosciute<br />

all’artigianato: i prodotti di gamma alta dei marchi consumer<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 25


inside<br />

1999 Studente al MIT, collaboratore per A.R. (dove sviluppò insieme a Vilchiur gli AR-1), KLH, Advent (che fondò) e Cambridge Sound Works, Henry Kloss (1929 – 2002) ha<br />

dato vita a quel fenomeno di costume che è stata la radio Tivoli.<br />

(in particolare quelli giapponesi) hanno livelli costruttivi, contenuti in<br />

termini di componenti e qualità dello chassis, irraggiungibili dai vari<br />

Waiss, dCS e simili che, pure, ci provano…<br />

Esistono ancora margini di manovra in termini di inventiva sebbene<br />

contingentati dai paletti costituiti da potenziali tecnologiche determinate<br />

“più in alto”: Gordon Rancking non ha certo inventato l’USB ma<br />

ne ha rivoluzionato l’utilizzo sviluppandone un’applicazione asincrona;<br />

il lavoro di Ed Meitner in merito a SACD e DSD ha fatto si che questa<br />

tecnologia non tramontasse e, come accaduto recentemente, ritornasse<br />

addirittura in auge...<br />

Discorso a parte merita, con dovuta menzione, l’intuizione di Franco<br />

Serblin con Sonus Faber che riuscì a coniugare aspetti tipici dell’artigianato<br />

a una produzione vagamente commerciale; va altresì detto che<br />

proprio i termini di quell’equilibrio<br />

furono oggetto di diatriba all’intero<br />

dell’azienda e la ragione per cui<br />

Franco si allontanò dal marchio<br />

che aveva creato. Qualcosa di<br />

quell’humus è sopravvissuto se,<br />

2001 Meteore: Slimm Device introduce per prima uno streamer, lo Sqeezebox.<br />

Il successo è immediato e l’azienda entra nelle mire di Logitech che la rileva. La gamma<br />

di prodotti si amplia ma il fenomeno si spegne.<br />

proprio il gruppo di cui fa parte l’azienda<br />

vicentina (ieri Fine Sound,<br />

oggi World of McIntosh), ha puntato<br />

forte sull’idea di luxury Hi-Fi e<br />

la sta declinando in maniera decisamente inusuale, puntando sul servizio<br />

e sul senso di appartenenza.<br />

Altri, non molti, meriterebbero di essere citati ma va detto che il panorama<br />

è lastricato di buone intenzioni perché l’asticella di ingresso<br />

nel mondo della riproduzione sonora è oggi posta più in alto che in<br />

passato, almeno se si vuole conseguire una certa rilevanza. Interessanti<br />

in tal senso i casi di Slim Device e Simple Audio, per certi versi molto<br />

simili. Agli inizi del nuovo millennio un vero e proprio “genietto”, Patrick<br />

Cosson, dette vita alla Slimm Device e al suo Squeezebox, il primo rivoluzionario<br />

streamer che si sia affacciato sul mercato. A <strong>SUONO</strong> ne fummo<br />

folgorati offrendo un saggio delle sue prestazioni in occasione di un Top<br />

dove il termine “musica liquida” non era ancora di pubblico dominio!<br />

Poi Cosson, al culmine del successo, vendette tutto alla Logitech che,<br />

dopo un iniziale entusiasmo, valutò troppo piccolo (e lo è se si pensa<br />

ai numeri di mouse e tastiere!) il suo potenziale; così, il prodotto è progressivamente<br />

sparito dal mercato. Emblematico anche il caso di Simple<br />

Audio: l’azienda nasce da un gruppo di “transfughi” di Linn, insoddisfatti<br />

dalla scelta della casa scozzese di presidiare unicamente il target più<br />

elevato nei lettori streaming, pur disponendo di know how e risorse tra<br />

le più massicce. Capitanata da Peter Murphy, Simple Audio prova a sviluppare<br />

il suo prodotto sulla base di un modello di organizzazione ormai<br />

tipico: progettazione occidentale e produzione orientale. Il riferimento<br />

è al tempo stesso Apple (a cui gli<br />

apparecchi si ispirano nell’aspetto)<br />

e il target di Sonos, una fascia di<br />

mercato dove Simple Audio conta<br />

di posizionarsi un pochino più in<br />

alto, forte anche del superamento<br />

dell’unico limite evidente dei prodotti<br />

californiani: l’impossibilità di<br />

gestire i formati ad alta risoluzione.<br />

Poi, però, le release del software<br />

tardano a essere rinnovate e per lungo tempo la lettura dei file high<br />

resolution si ferma a 24/96… Nel 2014 Simple Audio viene acquistata<br />

da Corsair, gigantesco fornitore di terze parti per PC. E Simple Audio<br />

scompare dai radar, almeno da quelli legati al mercato dell’alta fedeltà.<br />

Purtroppo non bastano le buone idee per raggiungere il successo e<br />

spesso, in mancanza pure di quelle, è soprattutto un marketing ruspante<br />

legato alle parole chiave del nostro settore, reiterate pedissequamente nel<br />

tempo, a costituire la “chiave di ingresso” di sedicenti prodotti Hi-end sul<br />

mercato. Se si analizza l’offerta sotto questa luce sussistono effettivamen-<br />

26 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />

In alto: 2016 Dal 1953, anno di fondazione in cui Joseph Grado (1924 – 2015) trasformò<br />

il negozio di frutta della propria famiglia in un atelier per la produzione di<br />

fonorivelatori, la newyorkese Grado è rimasta fedele ai suoi valori artigianali. Tutt’oggi<br />

i prodotti della casa vengono prodotti negli stessi locali di Brooklyn.<br />

In basso: 2002 Gordon Rankin (1957) comincia la ricerca che lo porterà a sviluppare<br />

per Ayre il primo DAC con USB asincrona. Nel 1981 ha dato vita alla Waveleight Audio,<br />

è stato musicista e auto-costruttore.<br />

te pochi prodotti e ancor meno marchi che si possano definire Hi-end se il<br />

termine coincide col l’appellativo “di eccellenza”! Per tornare al paragone<br />

con il mondo automobilistico, anche la Ferrari è comunque un prodotto<br />

industrializzato, sebbene offra alcune performance di vertice, l’esclusività<br />

e il servizio connaturato al prodotto d’élite e al suo immaginario.<br />

Possiamo dire altrettanto di gran parte dei prodotti similari in Hi-Fi?<br />

Probabilmente di pochissimi... e il paradosso più evidente è che quasi mai<br />

a un prodotto di questo tipo corrisponde un “servizio”, inteso in maniera<br />

la più ampia possibile, sebbene sia e sarà, almeno così la pensiamo noi,<br />

altamente strategico non solo per ciò che offre e offrirà al “cliente” ma,<br />

soprattutto, come tornasole della capacità di chi offre prodotti e servizi<br />

di fornirli in maniera efficiente. Efficienza non solo verso il cliente ma a<br />

tutto campo: oggi è possibile, visto che gli strumenti di gestione che ci<br />

vengono messi a disposizione sono inclusivi, non distinguono (entro certi<br />

limiti) tra società grandi e società piccole ma piuttosto tra società che<br />

hanno chiaro o meno il loro target; offrono grandi opportunità a patto<br />

di avere un piano chiaro delle proprie esigenze. Opportunità trasversali<br />

che prescindono le dimensioni aziendali e, in parte, persino gli investimenti<br />

necessari: ci sono piccole aziende efficientissime (Sonos è una di<br />

esse) e giganti che sembrano balene spiaggiate! L’efficienza del servizio<br />

fornito (che vuol dire customer care ma anche capacità di pensare e<br />

aggiornare il prodotto in maniera opportuna) è determinante in quelle<br />

che via via vengono definite start up di successo o killer app e, in sostanza,<br />

quell’efficienza è la grande eminenza grigia che sta dietro prodotti,<br />

specialmente quelli di nuova generazione, e ne tira i “fili”. Efficienza che<br />

si tramuta in emozioni destinate al pubblico a cui sono rivolte: in questo<br />

senso il valore che abbiamo definito “di concretezza” di un prodotto e di<br />

un marchio ne diventa un fattore ineludibile se si vogliono perseguire<br />

risultati soddisfacenti. Oggi il vero fattore discriminante tra questo e<br />

quel prodotto è proprio questo: trovare soddisfatte le proprie esigenze, a<br />

volte prima di essere coscienti di averle… Se seguite <strong>SUONO</strong> da qualche<br />

tempo avrete percepito come a volte alcuni prodotti sono dei veri fuori<br />

quota: tutto sembra semplice e scontato, peccato che “gli altri” quelle<br />

caratteristiche non le abbiano.<br />

Siamo convinti che questi elementi di demarcazione siano in grado di<br />

distinguere oggi alcuni prodotti da altri e che solo ottemperandoli si<br />

possa parlare di vero Hi-end; che, in altre parole, si sia all’alba di un<br />

nuovo concetto di Hi-end, lontano dalle polverose convinzioni del passato<br />

via via state svuotatesi delle intuizioni e colpi di genio che le avevano<br />

generate. D’altronde il mercato si è di fatto ulteriormente radicalizzato<br />

e se molti degli apparecchi e dei marchi Hi-end sentono la necessità di<br />

ricollocarsi (ed è quanto sta accadendo, ad esempio, per Naim con Muso,<br />

per Micromega con la linea My, per Audioquest con i DAC portatili, per<br />

Arcam con la rSeries e così via), esiste ancora uno spazio, probabilmente<br />

ancor più di nicchia, per l’eccellenza; perché un buon sarto, un buon<br />

calzolaio e, perché no, un eccellente prodotto per riprodurre la musica<br />

sono merce rara ma ricercata, proprio in contrapposizione al mainstream,<br />

che oggi consente di ottenere risultati di media qualità con minor<br />

sforzo che in passato. A questo tipo di cliente occorre però offrire quel<br />

registro di emozioni e performance, quell’appartenenza più che a un prodotto<br />

a una filosofia, tipici degli status symbol; una definizione, quest’ultima,<br />

che ci piace interpretare nella sua accezione più positiva, ovvero di<br />

appartenenza a una condizione d’élite come quella di chi ama davvero<br />

la musica e la sua riproduzione.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 27


inside<br />

di Rocco Mancinelli<br />

Ciare: l’ultima<br />

dei mohicani<br />

Era l’ultimo esempio di industria italiana<br />

specializzata nel settore. Ora c’è il fondato<br />

rischio che certe lavorazioni artigianali, come<br />

la produzione di coni per altoparlanti in carta,<br />

scompaiano per sempre...<br />

Il nome per esteso, Costruttrice Italiana Altoparlanti Radio Elettronica<br />

ai più non dirà niente; l’acronimo CIARE, invece, ha attraversato<br />

la storia dell’alta fedeltà, rappresentando l’eccellenza italiana,<br />

un tempo in buona compagnia, poi sempre più solitaria (perlomeno se si<br />

sta parlando di una dimensione aziendale) fino al recente triste epilogo.<br />

Nei suoi stabilimenti nascevano trasduttori per ogni tipo di applicazione:<br />

radio, TV, strumenti musicali, Hi-Fi, car e sistemi pro con la particolarità<br />

di utilizzare principalmente coni in carta, tecnologia di cui l’azienda<br />

deteneva il know how assieme a pochi altri al mondo. Nata come ditta<br />

individuale nel 1951, per volontà del fondatore Dino Giannini era rimasta<br />

un’azienda a conduzione familiare, affidata successivamente alla figlia<br />

del fondatore. Nel tempo il giro di affari era cresciuto esponenzialmente,<br />

fondato principalmente sulla produzione per terzi: il primo stabilimento,<br />

troppo piccolo, nacque già nel 1969, quando l’azienda si trasferisce in un<br />

edificio di 3.500 mq; da quel momento il personale cresce fino a quasi<br />

200 unità e la produzione arriva a toccare i due milioni e mezzo di pezzi<br />

l’anno! Molti di questi sono, però, destinati a un unico cliente (Meyer<br />

Sound): la garanzia di ordini regolari e abbondanti ha permesso all’azienda<br />

di fiorire ma nel momento in cui Meyer si allontana da CIARE diventa<br />

evidente il vuoto causato dal non aver coltivato in parallelo altri fornitori.<br />

È la prima grande crisi dell’azienda ma a entrare in crisi è, soprattutto,<br />

il modello autarchico propugnato dai Giannini. Se costruirsi tutto da<br />

soli (bobine, centratori, bordi, coni, membrane per alte frequenze, tweeter<br />

e driver a compressione ma persino le macchine per costruirli!) ha<br />

contribuito a creare un know how invidiabile, il non aver sfruttato un<br />

vantaggio competitivo di questa portata (gli altri costruttori si limitavano<br />

a formare in casa membrane per alte frequenze e a “trattare” coni e bordi)<br />

associato all’incapacità di stare al passo con i tempi è risultato decisivo:<br />

mentre altre aziende del settore si evolvevano in termini strumentazione<br />

di misura e software di modellazione, la CIARE rimaneva ferma. Se la<br />

possibilità di ideare e produrre quasi tutti i componenti chiave in casa<br />

garantiva cicli di lavorazione brevi, prima di raggiungere un risultato<br />

soddisfacente per il cliente si rendeva necessario un numero maggiore<br />

di cicli di prototipazione. In un modello di sviluppo dove il tempo è tutto,<br />

il ritardo nel riallinearsi è stato fatale. Non conosciamo i piani della<br />

Eighteen Sound che ha rilevato il marchio; certo è che se il patrimonio<br />

della CIARE, che abbiamo provato a raccontare nelle pagine che seguono,<br />

andasse perduto, sarebbe un gran peccato!<br />

28 <strong>SUONO</strong> luglio 2015


xxx xxx<br />

UN AMORE DI CELLULOSA<br />

Uno dei grandi vanti dell’azienda è stata la<br />

realizzazione delle membrana in polpa di cellulosa,<br />

lavorazione effettuata a partire dalla<br />

scelta delle materie prime più adatte per la<br />

preparazione dell’impasto iniziale. Si, perché<br />

è proprio dall’impasto che bisognava partire<br />

per ottenere un risultato soddisfacente e pregno<br />

del know how maturato in tanti anni di<br />

esperienza fatta sul campo. Un po’ come accade<br />

per i grandi chef che sono i primi a buttar<br />

giù una ricetta ma sono anche i primi a non<br />

seguirla in quanto sono i piccoli accorgimenti<br />

frutto di un affinamento progressivo che poi<br />

fanno la vera differenza sul prodotto finale.<br />

La scelta quindi inizia con il tipo di cellulosa<br />

da utilizzare per continuare sugli additivi aggiunti<br />

per ottener impasti adatti a vari scopi;<br />

poi i leganti per compattate il cono a fine lavorazione...<br />

Un altro passaggio molto importante<br />

è quello della triturazione della cellulosa<br />

per ottenere fibre lunghe oppure molto sottili,<br />

a secondo del tipo di cono da realizzare. Per<br />

questo erano state messe a punto due tipi di<br />

macchine distinte con ingranaggi e ruote dentate<br />

molto differenti fra loro, in grado di sminuzzare<br />

la cellulosa a fibre lunghe e spesse e a<br />

fibre corte e sottili. La preparazione della mescola<br />

è cruciale perché da questa derivano la<br />

qualità e le caratteristiche del prodotto finito e<br />

solo dopo la realizzazione della membrana di<br />

può verificare la bontà della preparazione. In<br />

questa fase ingredienti, dosaggi e procedure<br />

sono ben definite ma la componente umana<br />

e il tocco della persona esperta fanno sempre<br />

la differenza sopratutto in produzioni dove il<br />

controllo automatico non è garante in assoluto<br />

di risultati certi. Un po’ come il pizzico<br />

di sale aggiunto a metà cottura, quel QB che<br />

è necessario e fa la differenza!<br />

In questa come in altre occasioni o altri ambiti<br />

ci è capitato di vedere attraverso gli occhi<br />

dell’addetto esperto che, nonostante avesse<br />

seguito alla lettera un protocollo “granitico”<br />

ha la sensazione che bisogna “correggere”<br />

la mescola attuando delle piccole aggiunte.<br />

Non sapremo mai se si tratta di interventi<br />

determinanti, ma non avremmo mai prove<br />

del contrario. Comunque, ben venga il fattore<br />

umano!<br />

<strong>SUONO</strong> luglio 2015 29


inside<br />

SPIDER MEN<br />

Una delle lavorazioni tecnicamente avanzate e delicate realizzate direttamente in<br />

casa era lo stampaggio sia degli spider che delle membrane dei driver in alluminio e<br />

addirittura in titanio. Lo stampaggio non è una operazione semplice che restituisce<br />

risultati costanti, se non si dominano tutti i passaggi delle fasi lavorative.<br />

Per questo, CIARE realizzava in casa anche gran parte dei macchinari e delle matrici<br />

di stampa, anche perché certi affinamenti produttivi venivano messi a punto durante<br />

le fasi di lavorazione. La realizzazione degli spider, partendo da un tessuto ad alto<br />

spessore e utilizzando stampi riscaldati, è operazione delicata ma mai come quella<br />

della formatura delle membrane dei tweeter in cui una sottile lamina metallica viene<br />

“spremuta” lungo due matrici dallo spessore interno infinitesimale. Tuttavia anche<br />

la realizzazione degli spider e della installazione sulle membrane è operazione che<br />

viene fatta a mano su maschere di riscontro che simulano le condizioni di utilizzo e<br />

installazione finale. In pratica sono stati realizzati dei supporti con modelli di altoparlanti<br />

su cui vengono posizionate le sospensioni, incollate e trattate.<br />

Le operazioni di movimentazione e di stoccaggio in attesa dell’essiccazione dei collanti<br />

sono molto delicate e anche queste sono soggette il più delle volte alla sensibilità<br />

dell’operatore che deve tener conto di una serie di paramenti, molti anche di tipo<br />

ambientale in quanto al variare delle condizioni atmosferiche variano anche i tempi<br />

di “maturazione” dovuti ai materiali che spesso sono igroscopici o a lento rilascio<br />

di solventi.<br />

Oggi sembra anacronistico pensare a produzioni di massa così dipendenti dai fattori<br />

esterni, ma in ogni produzione di qualità le variazioni dovute a fattori esterni<br />

sono inevitabili e si possono solo apportare gli opportuni fattori correttivi che, nella<br />

maggioranza dei casi, fanno parte della sensibilità dell’operatore e della suo livello<br />

di competenza maturato con l’esperienza. E sono proprio quelli a fare la differenza!<br />

30 <strong>SUONO</strong> luglio 2015


xxx xxx<br />

ORIGAMI HI-FI<br />

La parte più delicata della realizzazione di una membrana<br />

in polpa di cellulosa con un processo produttivo<br />

di tipo a immersione, risiede nella preparazione di una<br />

amalgama e un bagno opportuno ma bisogna anche<br />

seguire passo passo tutte le fasi, ognuna delle quali<br />

ha tempi modalità e condizioni molto rigide e richiede<br />

gran manualità e sensibilità. La amalgama di fibre<br />

di cellulosa sminuzzate e mescolate ad altri materiali<br />

inerti e leganti, deve essere ben dosata e mantenuta<br />

in una sospensione omogenea e bene distribuita nella<br />

vasca di pescaggio. A questo punto un setaccio traforato<br />

con la forma a cono dell’altoparlante da realizzare<br />

viene immerso nella vasca ed estratto con decisione.<br />

In questa fase raccoglie le fibre nel suo percorso che<br />

si adagiano sulla superficie e perdono la maggior parte<br />

dell’acqua. Il “colino” viene lasciato ad asciugare<br />

un certo tempo e poi viene immesso in una macchina<br />

che comprime la cellulosa fra il colino traforato e<br />

uno stampo che darà la forma alla parte anteriore del<br />

cono, tramite un trattamento termico che asciugherà<br />

il cono e consoliderà le fibra le une con le altre. A questo<br />

punto il cono, quasi del tutto asciutto e vicino alle<br />

caratteristiche meccanico fisiche del prodotto finito,<br />

verrà analizzato con l’unico metodo certo: la misura<br />

della massa finale tramite una bilancia di precisione.<br />

Se rientra nelle specifiche allora il cono passa alla lavorazione<br />

successiva, altrimenti rientra negli scarti di<br />

lavorazione e i risultati ottenuti diventano determinanti<br />

per apportare le opportune modifiche e correzioni<br />

alle fasi produttive precedenti in modo da avere i coni<br />

successivi che rientrano all’interno delle specifiche di<br />

produzione. Ogni passaggio deve essere effettuato con<br />

estrema delicatezza ma anche con una certa celerità,<br />

basti pensare che il cono è delicatissimo prima della<br />

formatura e deve essere maneggiato senza deformare<br />

la struttura e che gli equilibri del bagno si sospensione<br />

sono molto delicati e variano con estrema facilità.<br />

CIARE ospitava spesso tecnici stagisti anche provenienti<br />

dall’estero che effettuavano periodi di formazione,<br />

in quanto era una delle poche aziende al mondo<br />

a produrre membrana in carta con questo processo<br />

produttivo, ottenendo risultati con un elevato controllo<br />

di qualità.<br />

Ci sono altri metodi per ottenere coni in cellulosa stampata:<br />

questo era uno dei più delicati ma al contempo<br />

accurati per ottenere risultati che coniugano rigidità<br />

e leggerezza dei coni. Anche se si tratta di un processo<br />

molto delicato e che deve essere mantenuto sotto<br />

controllo da personale esperto (ma anche talentuoso!),<br />

il risultato è ancora oggi un punto di riferimento almeno<br />

per quanto riguarda alcuni tipi di coni di grandi<br />

dimensioni, impiegati prevalentemente nel settore<br />

professionale.<br />

<strong>SUONO</strong> luglio 2015 31


inside<br />

di Daniele Camerlengo<br />

Un Maestro<br />

“tutto a mano”<br />

Come fa un autore particolarmente prolifico, che sfida se stesso su più piani, ad aver pubblicato un<br />

unico, se pur abbondante, lavoro su disco? Lo abbiamo chiesto al diretto interessato!<br />

Ezio Bosso è, per cosi dire, nato musicista, visto che frequenta<br />

l’arte delle sette note dall’età di quattro anni grazie agli<br />

insegnamenti di una prozia pianista e del fratello anch’egli<br />

musicista. Già a 16 anni debutta come solista in Francia e inizia<br />

a girare le orchestre di mezza Europa. Da subito si distingue<br />

per la sua notevole poliedricità che gli consente, a partire dalle<br />

composizioni classiche, scorribande tanto con le grandi orchestre<br />

sinfoniche che con quelle da camera o solistiche, con “incursioni”<br />

nel mondo del cinema (la colonna sonora di Io non ho paura di<br />

Gabriele Salvatores) e nel teatro, nella danza e nella sperimentazione<br />

con la musica contemporanea. Eppure, nonostante l’immensa<br />

mole di opere, composizioni e collaborazioni, al suo attivo vanta<br />

un unico disco solista ufficiale, The 12th Room, costituito da due<br />

parti, separate anche fisicamente in altrettanti dischi: dodici brani<br />

uno, un’unica suite da 45 minuti, senza interruzione, l’altro... Quasi<br />

a sottolineare almeno due delle anime del musicista…<br />

Come ti sei avvicinato a questo meraviglioso strumento<br />

che è il pianoforte?<br />

Quando penso alla musica la concepisco come un fattore magico<br />

della preesistenza, una vera magia, come quella delle favole; in<br />

particolare, mi piace citare quella di Harry Potter: non è il mago a<br />

scegliere la bacchetta magica ma è quest’ultima a scegliere il mago!<br />

Sono convinto che sia così: lo strumento viene da te. A volte i genitori<br />

hanno un ruolo determinante nella scelta dello strumento,<br />

altre volte è la vita che decide per te. Spesso noi uomini vogliamo<br />

relegare le cose belle, quelle magiche, a dei fattori pratici e anche<br />

un po’ cinici; nella musica, invece, è tutto diverso: da posture<br />

strane, da cose meccaniche nasce una poesia infinita.<br />

Un rapimento vicendevole… C’è stato lo zampino di qualcuno,<br />

oppure un ascolto che ti ha affascinato?<br />

Da bambino mi entusiasmavo solo per la musica: ogni volta che<br />

32 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


INTERVISTA ezio bosso<br />

vedevo uno strumento diventavo felice. Mio fratello maggiore, che<br />

è stato anche un po’ il mio papà, avendo dodici anni più di me, si<br />

accorse subito che la musica era la mia felicità e convinse il resto<br />

dei miei familiari a farmi andare avanti nel mio percorso musicale.<br />

Quindi hai iniziato gli studi… raccontaci il tuo percorso,<br />

cosa ti è piaciuto e cosa no.<br />

Appartengo all’ultima generazione di musicisti che ha studiato<br />

con metodi di studio ottocenteschi, particolarmente rigidi. All’età<br />

di quattro anni la mia insegnante era una prozia: non mi ha fatto<br />

toccare il pianoforte finché non ho imparato il solfeggio. Ho appreso<br />

prima a leggere la musica che a leggere le parole. Quando<br />

sento che le persone abbandonano la musica per colpa del solfeggio<br />

rimango stupito; è come non voler parlare più perché non si<br />

vuole imparare la grammatica. Volevo conoscere questo linguaggio<br />

meraviglioso per arrivare al piano, per me era un’urgenza. Non mi<br />

piaceva quel metodo, io volevo suonare Bach, ma lei mi insegnava<br />

solo la tecnica. Questo era un sacrificio nella sua accezione più<br />

bella nella sacralità di arrivare. Poi il mio ultimo maestro, quello<br />

vero, mi disse: “lo so che tu vuoi fare il diverso, io ho ottant’anni<br />

e so quello che faccio, tu adesso fai come faccio io e poi troverai<br />

la tua strada.”<br />

La Figura di riferimento di quel periodo, un Eroe o un<br />

periodo musicale.<br />

Da bambino il mio mito era Franz Liszt e, di nascosto, dirigevo Les<br />

Préludes di Liszt. Nel corso della mia carriera ho diretto tanta<br />

storia della musica ma mai Les Préludes di Liszt; suono Chopin,<br />

che però era protetto da Liszt, e mi piaceva molto anche Niccolò<br />

Paganini. In effetti, li vedevo come dei supereroi con i loro capelli<br />

lunghi e le basette. Anche io, da grande, ho avute le basette e mi<br />

sono accorto che vestivo ottocentesco… quei personaggi erano<br />

dentro me.<br />

C’era un Compositore più moderno che ti affascinava<br />

sempre in quel periodo…<br />

Da bambino amavo Claudio Abbado, mi sembrava di conoscerlo<br />

da sempre, era una persona gentile. Mi ricorderò sempre di un<br />

“Pierino e il lupo” con Benigni, all’epoca avevo 10 anni. Poi l’ho<br />

conosciuto a vent’anni e ho suonato con lui nella sua orchestra,<br />

la Chamber Orchestra of Europe. Col tempo ho avuto anche la<br />

fortuna di diventare suo amico. Altro personaggio per me particolarmente<br />

importante è Ludwig Streicher.<br />

amano la mia musica, la considerano un loro arricchimento. Se<br />

fossi stato un buon musicista di cinema avrei fatto tutti i film di<br />

Salvatores, ma per me è stato bello così, è stata una palestra di<br />

umiltà: infilare i tuoi pensieri nei tempi di un montatore, di un<br />

regista o di un produttore.<br />

Come vedi l’Italia dal punto di vista della musica, della<br />

cultura e delle arti, vivendo fuori dal nostro Paese?<br />

Vedo un Paese spaccato a metà: da una parte le persone hanno<br />

desiderio di arte, di bellezza, di poesia, di cultura, dall’altra chi<br />

amministra ne ha un po’ paura e questa paura li inibisce. La musica<br />

libera fa perdere il senso del tempo, un’altra magia che sottolineo<br />

sempre ai miei colleghi quando dirigo o ai miei studenti quando<br />

li ascolto; ti rendi conto di possedere uno dei più grandi poteri<br />

dell’universo che è il tempo. Si dice persino “rubare il tempo”, quel<br />

tempo possiamo farlo correre o fermalo, questo è il grande potere<br />

che abbiamo noi musicisti. Dobbiamo esserne responsabili, chi ci<br />

mette le mani, chi organizza e chi scrive, deve usare questo potere<br />

con responsabilità, come diceva lo zio di Peter Parker: “Da ogni<br />

grande potere deriva una grande responsabilità.”<br />

Qual è l’insegnamento più importante che trasmetti ai<br />

tuoi allievi?<br />

Il più grande insegnamento della musica è ascoltare… un bravo<br />

musicista sa ascoltare e quando ascolti sei generoso, non suoni mai<br />

per te, suoni sempre affinché l’altro suoni meglio di te; questi vasi<br />

che comunicano creano il “terzo suono”, quello che non è scritto.<br />

Favorire l’ascolto dell’altro, renderlo chiaro, su questo lavoro.<br />

In una tua playlist, quali brani o compositori non mancherebbero<br />

mai?<br />

Non mancherebbero mai Bach, Les Préludes di Liszt, brani di John<br />

Cage, Chet Baker, Miles Davis, Paolo Fresu… troppi da elencare.<br />

La dodicesima stanza è il tuo primo disco fisico, pertanto<br />

fino ad ora hai vissuto in un mondo musicale liquido.<br />

Cosa ne pensi?<br />

Ho varcato quel confine perché la gente me lo chiedeva. In passato<br />

nessuno mi faceva fare un disco. Per il mio lavoro ho registrato<br />

tanto, anche in luoghi importanti come Abbey Road; ho lavorato<br />

Sei famoso in Italia anche per le colonne sonore che hai<br />

realizzato per i film di Gabriele Salvatores: Io Non Ho<br />

Paura, Quo Vadis Baby? e il recentissimo Il Ragazzo<br />

Invisibile. Ti piace il ruolo del compositore di “musica<br />

per immagini”? Rifaresti la stessa esperienza?<br />

Ripeterei l’esperienza. Devo ammettere che la colonna sonora del<br />

film più famoso tutto era tranne che musica da cinema; potrei dire,<br />

anzi, che sia stata un insulto per chi fa musica da cinema. Un bravo<br />

comico romano mi disse che non facevo colonne sonore ma piccole<br />

poesie inserite poi nelle colonne sonore. Alcuni registi e coreografi<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 33


inside<br />

C’è un aneddoto della tua carriera che ricordi con molto<br />

piacere?<br />

Me ne vengono in mente due, il primo è divertente: mentre dirigevo<br />

un’orchestra, il primo violino, grandissimo strumentista russo,<br />

mi disse: “Maestro, però lei ogni volta ci chiede il massimo e finisce<br />

le prove come se avesse fatto non uno ma quattro concerti<br />

assieme, invece bisogna risparmiare le energie”. Gli risposi che<br />

solo attraverso l’energia la musica ci regala il feedback della conoscenza;<br />

e se uscendo dalla porta mi cadesse un pianoforte sulla<br />

testa? Morirei avendo come ultimo pensiero quello di aver suonato<br />

un po’ moscio. Voglio sempre suonare fino in fondo, ogni giorno,<br />

dando tutto me stesso. Il secondo riguarda la donna che amo, l’ho<br />

conosciuta proprio mentre suonavo, mi sono girato e lei era lì…<br />

con i più grandi fonici del mondo, e nessuno capiva perché le case<br />

discografiche non fossero interessate, nonostante il pubblico mondiale<br />

mi chiedesse dove poter trovare la mia musica. Per un po’ è stata<br />

una frustrazione, poi decisi di condividere un pezzo della mia storia<br />

regalando alle persone l’accesso alle mie composizioni; così, ho pubblicato<br />

tutto in modo che vi potessero accedere. A Spotify preferisco la<br />

bellezza del gesto di mettere il disco e fermarsi un attimo. Un disco è<br />

una fotografia di un momento, come quando trovi delle vecchie foto;<br />

tutte le mie registrazioni sono quasi live, mi piacciono le foto vecchie,<br />

quelle di Whitman con il difetto, mi piace il rumore della vita. Mi piace<br />

l’idea che ci sia l’imperfezione e il respiro della gente.<br />

The 12th Room rappresenta un percorso unico, dodici<br />

stanze alle quali hai dato dei nomi emblematici.<br />

Sono dodici stanze della vita di chiunque. Non pensiamo mai a<br />

quanto in realtà siano importanti le stanze. Quelle che racconto<br />

sono stanze che ho vissuto, dal cui incontro sono nati dei racconti<br />

come quello di The Tea Room, del veterano inglese che vuole apparecchiare<br />

la stanza più bella per liberarsi dell’orrore della guerra,<br />

legarsi a una stanza bella per scappare dal buio della violenza. Ho<br />

realizzato un libro fatto di piccoli racconti che portano a quella<br />

dodicesima stanza che in realtà è la tredicesima.<br />

La Sonata No.1 in G minor è colore ed emozione. Perché<br />

hai scelto questa forma musicale?<br />

La forma sonata è arrivata da sola e allo stesso tempo sono legato<br />

ad essa. Le mie composizioni derivano quasi tutte da quella forma<br />

ancora da esplorare e da cambiare, proprio come ha fatto il mio<br />

papà Beethoven. La sonata è un percorso. La forma è importante<br />

nella musica perché è una responsabilità: io vivo, non è solamente<br />

espressione di cuore e amore, essa pervade le nostre cellule, entra<br />

nel cuore ma deve farci pensare. Split Postcards From Far Away<br />

(The Tea Room) è una piccola sonata, dove c’è un’ introduzione<br />

che diventa movimento veloce, un trio e poi la coda.<br />

Hai avuto una brutta esperienza di salute e attraverso<br />

di essa sei riuscito ad apprezzare la bellezza della vita.<br />

Penso sia molto importante ridere e gioire della propria vita;<br />

spesso cercano di farmi fare “il testimonial della sfiga”, vogliono<br />

stigmatizzare la mia malattia a scopi mediatici. Sono un uomo<br />

che ha una disabilità evidente in mezzo a un’umanità che ha altri<br />

gravissimi disagi interiori che non si vedono, tristezze varie. Dico<br />

sempre che sorridere avvicina più dei passi, fa andare molto più<br />

lontano, apre molte più porte.<br />

Come nascono le tue composizioni?<br />

Attraverso lo studio: faccio tante ricerche, sono probabilmente un<br />

esploratore di ciò che gli uomini danno per scontato. Ho scritto sul<br />

respiro, sui cartelli stradali, sul mare, sugli alberi. Suono tutto a<br />

memoria, dirigo tutto a memoria, ricordo tutto ciò che ho suonato<br />

nella vita e questo crea in me, probabilmente, una tecnica per<br />

scrivere di cui io sono inconsapevole. Non chiedetemi come si fa,<br />

non lo so, però bisogna innanzitutto studiare.<br />

Dirigere cosa significa, come lo spiegheresti a un<br />

profano?<br />

Dirigere è la dimostrazione della magia. Con una bacchetta si<br />

scatenano il paradiso e l’inferno, la forza e la delicatezza, dirigere<br />

è stare insieme agli altri, è motivare, è essere mentore. In inglese<br />

è una delle parole più belle: conducting, condurre come un filo<br />

tra tutti, condurre l’elettricità come fa il rame. Alle volte vorrei<br />

stare seduto, aspettare l’orchestra che arriva e prende l’applauso.<br />

Descrivici il tuo rapporto con le arti.<br />

Mi piace molto leggere ma adoro tutte le arti. Spesso mi etichettano<br />

come minimalista, forse perché ho un cognome a cinque lettere<br />

come tutti gli esponenti ufficiali: Glass, Young, Reich, Riley. Il mio<br />

rapporto con il minimalismo nasce grazie alle idee di Sol LeWitt<br />

e David Tremlett: ho avuto la fortuna di ispirarmi alla ricerca<br />

dell’essenza che ti stupisce. Mi piace tutto ciò che arricchisce e<br />

migliora le nostre vite.<br />

Il libro Le dodici stanze di Monsieur Hannibal dello scrittore<br />

Hervé Jaouen sembra avere delle vicinanze concettuali<br />

con il tuo lavoro discografico.<br />

Come direbbe Goethe, si tratta di un’affinità elettiva; probabilmente<br />

anche lui si ispirò a questa teoria misteriosa, la vita non è un<br />

tempo ma essa è uno spazio e lo spazio è infinito, basta viverlo…<br />

Adesso cosa ti aspetta?<br />

Ora inizia questa tournee mista di presentazioni ma sicuramente<br />

tornerò a suonare con il mio amico Mario (Brunello) e avrò tanto<br />

altro da fare...<br />

34 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


inside<br />

di Franco Vassia<br />

Sulle corde<br />

di Shawn<br />

Nato a Fort Worth, in Texas, il 3 febbraio 1943, Shawn Phillips può essere considerato un totem della<br />

musica senza confini, una vera e propria leggenda vivente.<br />

Il cantautore americano ha attraversato stili ed epoche musicali, ha<br />

partecipato da protagonista al Festival dell’Isola di Wight (dove<br />

nelle tre edizioni iniziali, 1968-1970, salgono sul palco anche Bob<br />

Dylan, Jimi Hendrix, Joe Cocker, Free, Who, Miles Davis, Jethro Tull,<br />

Ten Years After, Moody Blues, Leonard Cohen), ha collaborato con<br />

tutti i migliori artisti dell’epoca: da Donovan a Joni Mitchell, da Eric<br />

Clapton a Van Morrison, dai Juicy Lucy a Stevie Winwood. Prima d’intraprendere<br />

la strada del folk, Shawn muove i primi passi all’ombra del<br />

poeta / scrittore Jack Kerouac e nei circuiti della Beat Generation. Successivamente,<br />

influenzato dalle nuove sonorità indiane che appaiono<br />

all’orizzonte verso la metà degli anni Sessanta, si avvicina alle filosofie<br />

orientali e al sitar di Ravi Shankar. Studia la tecnica del respiro che gli<br />

servirà per modulare la voce in modo personalissimo. Miscelando le<br />

sonorità apprese in India con il folk di chiaro stampo americano e a<br />

testi non convenzionali, Shawn Phillips si trasferisce a Londra per dar<br />

vita a I’m a Loner, edito nel 1964 per la Columbia, album fortemente<br />

innovativo per quel periodo; Shawn, titolo del secondo lavoro nel 1965,<br />

si dedica invece alla rilettura di classici, da Pete Seeger a Barry McGuire<br />

(autore della bellissima Eve of Destruction); nello stesso periodo conosce<br />

Tim Hardin e dà lezioni di chitarra a Joni Mitchell. Il menestrello<br />

gallese Philip Donovan Leitch (la risposta europea a Bob Dylan) lo invita<br />

a suonare il sitar nel suo terzo 33 giri, Sunshine Superman del 1966.<br />

La musica di Shawn, fortemente contaminata e internazionale, trova<br />

la giusta dimensione in Italia, a Positano, dove si trasferisce nel 1967.<br />

È un momento particolarmente creativo il cui frutto è Contribution,<br />

COLLABoration<br />

1974<br />

Second CONTRIBUtion<br />

2015<br />

opera pregevolissima, incisa a Londra per la A&M (1970) dove, oltre ad<br />

avvalersi della presenza di personaggi del calibro di Stevie Winwood,<br />

Jim Capaldi e Chris Wood dei Traffic, sono riscontrabili “profumi”<br />

Rhythm and Blues. Il lavoro successivo, Second Contribution (1970),<br />

è eccellente e il sodalizio avviato con Paul Buckmaster genera autentici<br />

capolavori. Buckmaster è un abilissimo arrangiatore (famoso per la sua<br />

collaborazione con i primi lavori di Elton John e, in Italia, con Angelo<br />

Branduardi) che tende ad armonizzare il rock con accattivanti partiture<br />

sinfoniche e classicheggianti. L’album contiene The Ballad Of Casey<br />

Deiss, l’autentico manifesto dell’artista, ballata di struggente bellezza<br />

sorretta da un testo altamente lirico: “C’era un uomo dai lineamenti<br />

giovanili / c’era un ragazzo dagli occhi tristi / che guardava al mondo<br />

36 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


INTERVISTA Shawn Phillips<br />

esterno ma scrutava dentro di sé / alto e maestoso e pieno di vita /<br />

nella sua esistenza parlava molto raramente / nella sua mente implorava<br />

luce dipingendo percezioni / cercando di catturare ciò che<br />

scorgeva nel suo conflitto dubbioso / una volta a Lisbona, due volte a<br />

Londra/vagabondando tutto il tempo / alla ricerca di una divinità /<br />

prese Diana per moglie / di bambini ne avevano chiesti / due erano<br />

morti senza conoscere la vita/e della terza non so nulla / ma se vive<br />

sarà certo gentile / Casey aveva un marchio di semplice valore / e<br />

una stella in mezzo agli occhi/nelle mani aveva una lama d’accetta<br />

/ il simbolo greco del tuono e del fuoco / una notte tra il pianger dei<br />

cieli / venne fuori e prese la sua ascia / tagliando legna per riscaldare<br />

il cuore / il fulmine cadde e mio fratello morì / non portargli vino da<br />

lontani vigneti/non raccontargli storie della potenza degli abissi /<br />

ma auguragli pace e saggezza eterna/perché morì e la morte venne<br />

dalla luce”.<br />

Altri brani degni di nota sono la monumentale She Was Waitin’ For Her<br />

Mother At The Station in Torino And You Know I Love You Baby But<br />

It’s Getting Too Heavy To Laught, Sleepwalker e Steel Eyes. L’enorme<br />

quantità di materiale accumulato con Buckmaster viene utilizzato per la<br />

realizzazione di Collaboration, che esce nello stesso anno (1971) con la<br />

partecipazione creativa di Peter Robinson, tastierista degli storici Quatermass,<br />

della versione originale di Jesus Christ Superstar e dei Brand<br />

X, già presente nei due lavori precedenti ma qui particolarmente attivo.<br />

Nei due anni successivi altrettanti dischi: Faces, 1972, che recupera<br />

materiale inutilizzato del 1968 (tra cui We, destinata a diventare un<br />

singolo di successo) e Brightwhite, 1973, registrato negli States, lavoro<br />

che risente di una maggiore innervatura rock. Nel 1974, ancora sotto la<br />

guida di Buckmaster e di Robinson, incide Furthermore, ispirato dalla<br />

figura del padre, James Atlee Phillips, poeta e scrittore. Il successivo<br />

periodo è alquanto confusionario per Shawn che, incapace di trovare<br />

la giusta dimensione, tenta continue incursioni in generi alquanto<br />

spiazzanti: Do You Wonder del 1975 è, infatti, alquanto leggero mentre<br />

tenta strade e aforismi funky; Rumplestiltskin’s Resolve (1976), invece,<br />

sembra ritrovare gli antichi fasti. Spaced, del 1977, chiude il capitolo<br />

intrapreso con la sua storica etichetta, la A&M.<br />

Nel 1978 il passaggio alla RCA e<br />

il conseguente terremoto sonoro<br />

con Trascendence, dove c’è l’ingombrante<br />

produzione di Michael<br />

Kamen (Madonna, Pink Floyd,<br />

Rush, Metallica, etc). Successivamente<br />

si concede un lungo periodo<br />

di riflessione e di letargo fino a<br />

Beyond Here Be Dragons, 1983,<br />

dove fa capolino anche la musica<br />

elettronica, dato che la produzione<br />

è di Michael Hoenig, tastierista dei<br />

bravi Agitation Free, uno dei gruppi<br />

cardine del krautrock tedesco.<br />

Ancora un lungo periodo di silenzio<br />

fino a che, nel 1994, in Canada,<br />

esce Thruth If It Kills, che non aggiunge nulla di nuovo pur contenendo<br />

belle canzoni. Shawn si ritira in buon ordine dal mondo musicale e, una<br />

volta stabilitosi ad Austin, in Texas, si occupa di volontariato nel locale<br />

corpo dei Vigili del Fuoco. Nel 1997, a oltre trent’anni dal suo esordio,<br />

ritorna in pista con un tour che tocca l’Inghilterra, il Canada e il Sud<br />

Africa. Nel 1999 ritorna in Italia. Negli anni 2000, trasferitosi a vivere<br />

a Port Elizabeth in Sud Africa, ritrova parte della grinta degli anni migliori<br />

e pubblica diversi album, tra live, nuovo materiale e canzoni mai<br />

incise prima. L’ultimo è Infinity del 2014. Si parla da qualche tempo di<br />

un suo possibile tour europeo in acustico, che dovrebbe toccare anche<br />

l’Italia. Divertente che durante la conversazione alterni parole in idioma<br />

italo-campano, frutto dei tanti anni vissuti a Positano, e nell’inglese<br />

delle sue origini.<br />

Hai lasciato il segno nella musica degli anni ’70 con album<br />

straordinari... da Contribution a Second Contribution, fino<br />

a Rumplestiltskin’s Resolve. Hai avviato collaborazioni<br />

invidiatissime e i migliori musicisti dell’epoca facevano a<br />

gara per poter suonare con te. Eri uno dei personaggi più<br />

ricercati...<br />

Sì, è vero. Con l’aggravante che, purtroppo, oggi l’industria della musica<br />

è molto cambiata. Gli anni ’80 sono stati quasi interamente occupati<br />

dalla musica dance e uno dei miei più grandi problemi è che non ho mai<br />

potuto disporre di un singolo, di un 45 giri. Anche per questo motivo<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 37


inside<br />

FavoUrite THINGS<br />

1974<br />

INFinity<br />

2015<br />

l’industria non si è più interessata a me. Dopo qualche anno trascorso a<br />

pensare ho realizzato che, alla fine, questo non è nient’altro che un gioco<br />

per l’industria musicale. Così ho continuato a fare le cose di sempre e,<br />

ogni tanto, riesco anche a trovare dei soldi per realizzare un nuovo disco.<br />

È questo il segreto che mi ha permesso di produrre altri album, come<br />

quello su cui sto lavorando adesso. Sono stato anche tra i primi nella<br />

storia della musica a chiamare i fan per produrre il disco di un artista.<br />

Ci tengo a sottolineare di non aver niente a che spartire con l’industria<br />

musicale. Per qualche anno negli Stati Uniti ho fatto un altro lavoro,<br />

molto diverso da quello di un tempo. M’interessavo veramente della<br />

vita e della morte: dove abitavo non passava giorno che non ci fossero<br />

collisioni fra auto ad alta velocità. Quasi quotidianamente dovevo praticare<br />

interventi respiratori, massaggi cardiaci, curare ferite. Ho fatto il<br />

medico (tecnico di medicina) nel corpo dei Vigili del Fuoco, in Texas.<br />

Quindi, dopo aver vissuto per lungo tempo in Italia, sei tornato<br />

in Texas...<br />

Ho vissuto per ben tredici anni a Positano. Ma, nonostante il lavoro di<br />

vigile del fuoco occupi gran parte del mio tempo, continuo a comporre e<br />

suonare, perché credo che la mia musica sia unica. Amo molto la grande<br />

musica, quella orchestrale ma, come ho avuto modo di dire prima, non<br />

scrivo quasi più di situazioni immaginarie e, soprattutto, di cose che<br />

derivano direttamente dalla quotidianità. Credo sia difficile trovare<br />

qualcuno che possa avere delle analogie con la mia immaginazione, anche<br />

se penso che siano in tanti a identificarsi con l’esperienza della vita.<br />

La tua produzione è molto variegata: dopo un inizio particolarmente<br />

folk ti sei avvicinato a quasi tutte le discipline musicali,<br />

dalla musica etnica al R&B, dal funky all’elettronica.<br />

Oggi scrivo canzoni. Non credo di essere un cantautore nel vero senso<br />

della parola quanto, piuttosto, un compositore. Sono quasi trent’anni<br />

che scrivo musica classica, sul genere di Bach. Musica complicata, con<br />

una linea che sale e un’altra che scende. Hai capito? (Ride, mentre con<br />

la voce compie alcune scale classiche). Una scala scende e va “n’coppa”<br />

all’altra, nello stesso momento.<br />

Hai detto che ti senti maggiormente un compositore. Ricordo,<br />

però, alcune tue liriche. Strofe bellissime che mantenevano<br />

degli agganci con la tradizione dell’antica Grecia, testi<br />

molto profondi con chiare attinenze con la cultura classica.<br />

Sì… sì... però era un altro periodo della mia vita.<br />

Con Dylan e con Donovan sei stato uno dei primi ad ampliare<br />

la forza del testo, contribuendo non poco a una crescita<br />

delle parole. Il testo di The Ballad Of Casey Deiss, del resto,<br />

è eloquente...<br />

Il merito è di mio padre. Lui era uno scrittore, un autore vero. Una<br />

volta ho tentato di leggergli una mia lirica. Dopo averla letta con<br />

molto trasporto, stavo soltanto aspettando che mi dicesse: “Bravo,<br />

sta bene figlio mio!”. E lui, invece, mi ha “acchiappato” per il collo<br />

dicendomi: “Stammi a sentire, o guagliò... Sto scrivendo da oltre<br />

mezzo secolo e, posso garantirti, non c’è nessuno al mondo che<br />

possa scrivere qualcosa di meglio delle cose create da Dio”. Grazie<br />

per l’incentivo! Hai capito?<br />

38 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


INTERVISTA Shawn Phillips<br />

In quali posti hai suonato nel 1999 in Italia?<br />

Sei! Questo è il quinto... Ho suonato a Sesto Calende, a Udine, a Pesina,<br />

a Verona, a Torino e a Bolzano, anzi, non era propriamente Bolzano...<br />

ci dovevi andare n’coppa alla montagna con l’auto.<br />

Hai ancora tantissimi ammiratori in Italia...<br />

Sì... sono molto sorpreso. Ricordo quando siamo andati in cima a quella<br />

montagna, dicendo “Madonna mia! Ma chi verrà a vedere questo<br />

concerto?”. Invece era pieno.<br />

Rumplestiltskin’s Resolve<br />

1974<br />

FURTHERMORE<br />

2015<br />

Penso che Second Contribution faccia parte di un patrimonio<br />

imperdibile. E Contribution? E Rumplestiltskin’s<br />

Resolve? Anche quelli erano grandi dischi...<br />

Sai perché era un capolavoro? Perché un disco è per sempre... un<br />

disco quando è fatto non si cambia più (almeno per me). Quando è<br />

fatto è fatto! Per sempre...<br />

Come hai trovato il nostro Paese? Molto diverso da quando<br />

vivevi a Positano? Allora c’erano formule, valenze ed esperienze<br />

nuove... la grande ondata sembrava non avere mai<br />

fine e, anche se erano abbastanza identificabili alcune matrici<br />

americane e inglesi, era possibile cogliere “istinti” italici.<br />

Ho sempre pensato che la musica sia essenzialmente europea, questo<br />

continente ha un’anima decisamente musicale. Prendi, per esempio,<br />

Riccardo Cocciante con Mano a Mano (cantata anche da Rino Gaetano<br />

e il New Perigeo). È una canzone bellissima. Gli italiani hanno una dote<br />

che gli altri Paesi non hanno: la consapevolezza della gioia di vivere. Hai<br />

capito? Questa gioia non c’è in nessun’altra parte del mondo! Gli Stati<br />

Uniti non hanno ancora 250 anni, sono come un bambino. Quando ero<br />

a Positano, attraversavo un ponte di legno che aveva oltre trecento anni;<br />

tutte le volte che lo attraversavo pensavo che soltanto quel ponte aveva<br />

cento anni in più degli Stati Uniti. Sono dei bambini...<br />

Hai nostalgia di Positano e di Napoli? Sei stato un testimone<br />

degli anni migliori della storia di quelle città. C’erano la<br />

N.C.C.P., il primo Alan Sorrenti...<br />

Edoardo Bennato...<br />

Sono dischi che, tra l’altro, quasi non risentono dell’usura<br />

del tempo. Possiedono componenti e caratteristiche di una<br />

modernità difficile da scalfire. Credo che The Ballad Of<br />

Casey Deiss sia una delle canzoni più belle di tutti i tempi.<br />

Ora i miei dischi sono tutti disponibili, dato che nel 2014 hanno<br />

ristampato anche Faces e Rumplestiltskin’s Resolve, gli unici che<br />

mancavano. La Polygram, che ne deteneva i diritti, è stata assorbita<br />

dalla Universal e per un anno io e Arlo (il mio manager) ci siamo<br />

sbattuti per trovare la chiave risolutiva di questo problema. C’erano<br />

problemi di diritti e, oltretutto, non sapevamo dov’erano finiti i nastri<br />

(mentre, in una personalissima fusione tra dialetto napoletano<br />

e lingua inglese, si lascia andare a colorite imprecazioni). Beyond<br />

Here Be Dragons è uno dei miei dischi preferiti perché prodotto da<br />

Michael Hoenig (solista d’elettronica e musicista con Agitation Free<br />

e Tangerine Dream).<br />

Parli ancora molto bene l’italiano, anche se sarebbe più<br />

corretto dire il dialetto napoletano...<br />

È come andare in bicicletta... una volta che lo hai imparato non lo<br />

scordi più!<br />

Quanti anni sono che manchi dall’Italia?<br />

Dal 1999. Molti anni, troppi; ormai torno, più o meno, ogni vent’anni!<br />

Si respirava un’aria particolarissima. Purtroppo, da allora,<br />

molte cose sono cambiate, e non in meglio. Sono rimasti in<br />

pochi a fare arte e musica...<br />

Oggi è soltanto una questione di affari. Esiste soltanto l’industria. Questo<br />

è il vero problema. Dopo aver partecipato a un festival musicale, a<br />

Cordville, alcune persone mi hanno chiesto d’insegnare in una piccola<br />

scuola per cantautori. Due funzionari delle edizioni Ascap e BME, avvicinandosi,<br />

si sono raccomandati:<br />

“Una canzone deve essere un<br />

verso, un coro, un verso, un verso,<br />

un coro”. Ho risposto loro che<br />

questo era il modo più sbagliato<br />

per scrivere una canzone. La cosa<br />

più importante in una canzone<br />

è che né la musica né le liriche<br />

siano prevedibili. Non devi capire<br />

dove la canzone sta andando.<br />

THE BEST OF<br />

1974<br />

Se capisci dove sta andando, la<br />

canzone non ti tocca.<br />

Una canzone non costruita ma che arriva direttamente dal<br />

cuore, senza preconcetti e programmazioni…<br />

Ecco. Questo è il punto.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 39


inside<br />

di Danilo Sala<br />

Arti & Mestieri<br />

e gli universi paralleli<br />

foto Elena Vecchi<br />

Jazz, rock, retaggi etnico-mediterranei, echi progressivi, una girandola di suoni per questo<br />

nuovo, eccellente, disco del gruppo torinese; un degno erede dei loro classici anni ’70 come Tilt<br />

(Immagini per un orecchio) del 1974 e Giro di valzer per domani del 1975 o Rumore Rosso di<br />

Venegoni & Co. del 1975.<br />

Il rientro definitivo nella formazione del chitarrista Gigi Venegoni<br />

ha fornito al batterista Furio Chirico (l’unico elemento sempre<br />

presente) il tocco ideale di classe per connettersi al meglio con la<br />

sua innata irruenza esecutiva. Oggi gli Arti & Mestieri hanno raggiunto<br />

l’equilibrio ideale per la loro musica, così complessa eppure estremamente<br />

spontanea.<br />

Universi Paralleli è un disco importante per diversi motivi:<br />

è il primo “vero” album in studio dopo 15 anni, è quello che<br />

sancisce il ritorno con la Cramps; forse, però, non tutti sanno<br />

che è figlio di un progetto live partito dal Giappone…<br />

Furio Chirico: È vero. Dopo tanti anni gli A&M hanno finalmente<br />

un vero e proprio team, formato dal management, ovvero Sfera<br />

Entertainment nella persona di Amy Ida, dalla mia direzione<br />

artistica e dalla produzione musicale di Gigi Venegoni, come era<br />

accaduto con Tilt. Solo che allora c’era Franco Mamone, grandissimo<br />

manager e artefice del contratto con la Cramps. L’attuale<br />

management, invece, ha reso possibile l’accordo con la major<br />

giapponese King Records, essenziale per uscire in maniera importante<br />

su quel territorio. Il primo obiettivo del nostro team<br />

è stato creare un paio di eventi fondamentali per rilanciare la<br />

formazione, tra cui il concerto del quarantennale a Tokyo dello<br />

scorso luglio, in cui sono stati coinvolti quanti più elementi possibili<br />

della storia degli A&M.<br />

QUinto Stato<br />

1979<br />

GIRO DI VALZer PER DOMANI<br />

1975<br />

Quanti musicisti della formazione originale erano presenti<br />

a Tokyo?<br />

F.C.: In Giappone eravamo quattro elementi sui sei della formazione<br />

storica. Oltre a me c’erano Gigi Venegoni, Arturo Vitale e Beppe Crovella.<br />

Il fatto di essere partiti proprio dal Giappone non è casuale:<br />

il rapporto tra gli A&M e il Paese del Sol Levante è da sempre<br />

molto forte, molto particolare.<br />

Gigi Venegoni: Ogni volta che andiamo lì, sembra di prendere un’astronave<br />

e scendere su un altro pianeta. Spiace un po’ dirlo, ma è così.<br />

La cosa che mi colpisce di più è che da parte loro si percepisce tutto il<br />

rispetto per il musicista in quanto donatore di emozioni e felicità. Con-<br />

40 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


INTERVISTA ARTI & MESTIERI<br />

trariamente a quanto accade nella società italiana, in Giappone come<br />

musicista sei assolutamente messo sullo stesso piano, se non preferito,<br />

ad altri professionisti come l’avvocato o il dottore, perché sei considerato<br />

in grado di donare gioia in senso spirituale ed emotivo. Al termine del<br />

concerto di Tokyo tutto il pubblico si è alzato in piedi, tributandoci tre<br />

minuti di applausi e, devo ammettere, mi sono emozionato. Non è una<br />

questione di egocentrismo, è che percepisci la vibrazione delle persone<br />

che ti ringraziano per quel tuo dono.<br />

Universi Paralleli potrebbe essere definito un concept album,<br />

in quanto tutti i brani sono legati da una sorta di filo conduttore.<br />

Come è nata l’idea?<br />

F.C.: Tornando in aereo dal Portogallo dopo il Gouveia Art Festival,<br />

aprile 2013, leggevo un articolo molto interessante su questi “universi<br />

paralleli”. È veramente un concetto che racchiude tante cose, sia dal<br />

punto di vista scientifico che psicologico, come il doppio e molte altre<br />

situazioni. Così sono andato da Gigi Venegoni e Iano Nicolò, che erano<br />

seduti lì vicino, e gli ho detto che secondo me sarebbe stato un ottimo<br />

tema per un disco nuovo, sia a livello di testi che come ispirazione musicale.<br />

È partito tutto da lì. Ci è voluto un anno di lavoro continuativo<br />

ma alla fine ce l’abbiamo fatta.<br />

Come è avvenuta la composizione dei brani?<br />

G.V.: Ho cominciato con quella che chiamo “composizione auto distruttiva”;<br />

compongo 100 pezzi e ne butto via 90, ho una specie di dissenso<br />

interiore che mi dice quando bisogna andare avanti e quando bisogna<br />

fermarsi perché non c’è niente di buono. Grazie a questo ferreo<br />

lavoro di selezione, quando ho portato i primi provini al gruppo<br />

sono stati subito accolti con un discreto entusiasmo. In questo<br />

modo ho aperto una strada affinché anche gli altri potessero metterci<br />

del loro, potendo già contare su una buona base di partenza.<br />

Il primo brano che ho salvato tra quelli composti è stato Alter Ego:<br />

l’ho fatto ascoltare a Furio e mi ha detto che secondo lui la strada era<br />

quella giusta. Da lì siamo andati avanti. È stato molto importante<br />

l’apporto di Piero Mortara perché mi ha aiutato a lavorare sugli<br />

arrangiamenti ritmici, armonici e melodici. Personalmente come<br />

chitarrista sono legato mani e piedi, anche emotivamente, alla presenza<br />

di un tastierista, un po’ come avveniva per Pat Metheny e Lyle<br />

Mays: secondo me sono stati uno dei più grandi esempi di proficua<br />

collaborazione tra un chitarrista e un pianista. Lavorare con i due<br />

strumenti è molto difficile: se non ti coordini bene ti sovrapponi<br />

e fai dei pasticci. Bisogna capire dove sta lo spazio armonico del<br />

pianoforte, che è molto più esteso rispetto alla chitarra. Poi c’è<br />

proprio un gusto di arrangiare che io e Piero abbiamo sviluppato<br />

grazie a una collaborazione che dura ormai da sette anni.<br />

Come si sono svolte le sedute di registrazione?<br />

G.V.: Il disco è stato registrato come si fa oggi. Tutto quello che necessitava<br />

di una sala di presa sonora coibentata acusticamente è stato registrato<br />

in questo studio stupendo che è Aenima Recordings. Lì abbiamo fatto<br />

la batteria, le voci, il violino e alcune parti di chitarra di Marco Roagna.<br />

Poi io mi sono portato tutto il lavoro a casa e ho cominciato a occuparmi<br />

della post produzione: ho aggiunto strumenti, ho registrato tutte<br />

le mie chitarre, in qualche situazione ho dovuto registrare anche degli<br />

altri violini. Ho lavorato in questa regia che ho portato a casa mia dove<br />

ho impiegato non meno di 60 giorni tra post produzione e mix perché<br />

andavano messe a posto tutta una serie di cose. Ma soprattutto perché<br />

tutti gli A&M, soprattutto io e Furio, seguivano questo sogno di realizzare<br />

finalmente un disco degli A&M che non desse la sensazione ai nostri fan<br />

di essere l’ennesimo disco fatto solo per far vedere che esistiamo ancora.<br />

TILT<br />

1974<br />

Sicuramente è stato sorprendente che la Cramps vi abbia consentito<br />

di realizzare un album completamente nuovo invece<br />

di puntare sulle solite e pur encomiabili ristampe, magari<br />

con bonus tracks.<br />

F.C.: È vero. La proposta, abbastanza sorprendentemente anche per noi,<br />

ci è arrivata direttamente dalla Sony, che ha rilevato la Cramps qualche<br />

Gigi Venegoni<br />

UniverSI PARALLELI<br />

2015<br />

foto Hiroyuki Yoshihama<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 41


inside<br />

anno fa. L’idea era quella di rilanciare una formazione storica ma ancora<br />

funzionante, forse l’unica assieme agli Area che continua a suonare senza<br />

cambiare direzione, non inquinandosi come purtroppo hanno dovuto<br />

fare altre formazioni per sopravvivere. In realtà alcune cose con la Sony<br />

erano già avvenute, come l’acquisizione e la ristampa di Tilt e Giro di<br />

Valzer. Probabilmente ha influito anche il successo della collana sul Prog<br />

italiano uscita in edicola con “La Repubblica”: ha venduto quattro volte<br />

di più di quella inglese. Anche i titoli della collana meno venduti hanno<br />

comunque raggiunto le otto/diecimilia copie, che sono tantissime per<br />

progetti non commerciali. Magari ora alla Sony proveranno a far fare<br />

un disco nuovo anche agli Area, chissà.<br />

Tra gli ospiti presenti nell’album spicca indubbiamente il<br />

nome di Mel Collins...<br />

F.C.: Possiamo dire che Mel sia ormai diventato un nostro collaboratore,<br />

dato che con noi aveva già fatto altre cose in passato. Tutto è nato da un<br />

incontro a Parigi con Gigi Venegoni. Mel gli ha confessato che per lui<br />

gli A&M rappresentano il modo “diverso” di fare il prog. Suonare con<br />

i King Crimson o con gli A&M per lui significa stare su due mondi differenti:<br />

uno anglosassone e uno mediterraneo. È per questo che la sua<br />

collaborazione con noi è così incisiva: sui due pezzi in cui è presente ha<br />

lavorato di brutto, non si tratta di comparsate magari limitate al classico<br />

solo. Specialmente il brano di sax soprano non è per niente facile: l’interpretazione<br />

è molto libera ma non è un solo “free” in cui puoi fare quello<br />

che vuoi, il tempo c’è e non c’è ma devi stare dentro a una struttura. Per<br />

farlo bene non ci vuole solo tecnica ma anche espressività e Mel ci ha<br />

perso del tempo prima di essere completamente soddisfatto del risultato.<br />

Noi, d’altro canto, nei concerti che facciamo insieme omaggiamo sempre<br />

i King Crimson: quando uscirà il live che abbiamo registrato in Giappone<br />

avrete modo di ascoltare la versione di Starless che abbiamo suonato.<br />

Lo stesso Mel mi diceva che è stato come suonare Starless negli anni ’70<br />

ma con dei suoni di oggi.<br />

Un’altra particolarità di Universi Paralleli è di avere in scaletta<br />

anche quattro brani cantati, con testi lunghi e articolati.<br />

Sembra che nell’economia del gruppo la voce e i testi siano<br />

diventati più importanti rispetto al passato.<br />

F.C.: Sicuramente è dipeso molto dalle tematiche dell’album, che<br />

andavano trasmesse anche attraverso la poetica, la parola. Iano<br />

Nicolò ha delle caratteristiche particolari, che in futuro riusciremo<br />

a sfruttare ancora meglio, ovvero la capacità di dare vita a “investigazioni<br />

vocali” affatto facili da gestire. Trattandosi di tecniche<br />

tibetane poi riprese da Demetrio Stratos c’è sempre il rischio che chi<br />

ascolta si faccia un’idea sbagliata. In questo album Iano ha deciso di<br />

escludere queste tecniche, cantando in modo forse più tradizionale.<br />

G.V.: Per me esiste solo un prototipo di cantante prog, che è Jon<br />

Anderson degli Yes. Lui è un cantante che non ha nulla a che vedere<br />

con la vocalità del rock, si è formato sugli stilemi del prog con una<br />

voce originalissima e un registro che quasi nessuno ha al mondo.<br />

Iano ha fatto degli sforzi enormi per entrare nella filosofia del prog,<br />

del jazz rock, della produzione originale degli A&M. Tra l’altro è<br />

molto importante dire che, a parte L’ultimo imperatore, dove ho<br />

scritto le liriche, gli altri testi sono suoi. C’è stata finalmente una<br />

collaborazione come si deve: lui mi ha mandato dei testi, io e Piero<br />

abbiamo provato a comporre delle musiche, lui ha provato a cantarle...<br />

insomma, abbiamo provato fino a quando non si è sentito<br />

a suo agio.<br />

La bonus track presente nella versione italiana dell’album<br />

sancisce anche la nascita della collaborazione con Lino Vairetti<br />

degli Osanna.<br />

F.C.: Lino aveva scritto questo testo su Francesco Di Giacomo, intitolato<br />

NATO, e a noi faceva piacere averlo come ospite nel nostro disco.<br />

G.V.: la cosa interessante è che io non sapevo che il testo fosse dedicato<br />

a Francesco. Mi sono solo trovato in mano un testo che mi ha commosso,<br />

tant’è che ho composto la musica in dieci minuti. Come diceva Lucio<br />

Battisti, un buon testo ti suggerisce sempre una buona melodia, e infatti<br />

questo era il segreto di Mogol e Battisti. Dopo aver arrangiato e suonato<br />

il nuovo brano, Lino l’ha cantato in un giorno in un modo strepitoso e poi<br />

dopo ci ha detto a chi era dedicato. In questo modo la cosa ha assunto<br />

una valenza doppia.<br />

Universi Paralleli è disponibile in diversi formati, tra cui anche<br />

in vinile, purtroppo singolo.<br />

F.C.: Per mantenere anche in vinile una qualità sonora che premiasse<br />

il lavoro di Gigi avremmo dovuto far uscire un doppio LP, cosa<br />

che purtroppo non è stata possibile per i costi troppo elevati. Così<br />

abbiamo dovuto condensare il tutto in un unico LP. Con un massimo<br />

Furio Chirico<br />

foto Yoshika Horita<br />

42 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016<br />

foto Elena Vecchi


INTERVISTA ARTI E MESTIERI<br />

foto Hiroyuki Yoshihama<br />

foto Elena Vecchi<br />

Piero Mortara<br />

di 39 o 40 minuti a disposizione, abbiamo dovuti tagliare tra i 15 e<br />

i 20 minuti rispetto al CD.<br />

Che caratteristiche ha invece la versione giapponese in CD<br />

Blu Spec?<br />

F.C.: La versione giapponese della King Records ha una bonus track<br />

differente dalla versione italiana della Sony. I Giapponesi hanno voluto,<br />

come sempre, un’esclusiva per il loro mercato e così abbiamo inserito<br />

un brano che ha una storia stranissima. È un pezzo nato da una collaborazione<br />

tra me e Gigi. Tempo fa avevo registrato un’intera sequenza di<br />

ritmiche, praticamente un brano completo solo della traccia di batteria.<br />

Quando ci hanno detto che l’etichetta Giapponese voleva una bonus<br />

track ho proposto a Gigi di completarlo. Gli ho chiesto di immergersi<br />

nel mondo degli anni ’70 contaminandoli quanto più possibile con le<br />

ricerche medio orientali, un po’ alla Mahavishnu Orchestra, perché la<br />

batteria l’avevo pensata un po’ tra il jazz rock e il medio-oriente. Gigi ha<br />

composto le parti nel giro di pochissimo e quando lo abbiamo suonato<br />

in Giappone ha avuto un successo pazzesco. S’intitola La Porta del Cielo.<br />

In realtà c’è una traccia per sola batteria anche nell’album,<br />

Comunicazione primordiale.<br />

F.C.: È una vera e propria canzone per batteria. Anche questa, come La<br />

Porta del Cielo, è nata come un percorso segnato da strumenti antichi e<br />

metallofoni, per poi avvicinarsi gradualmente alla percussione suonata a<br />

mano e alla batteria. È un’analisi storica, fisica e psicologica della musica.<br />

La mia idea era quella di far capire come la comunicazione sia nata con<br />

suoni vocali e percussioni, che poi sono state la prima forma ritmica che<br />

ha permesso di costruire strutture musicali.<br />

Facciamo un passo indietro agli anni ’80: Acquario (1983) e<br />

Children’s Blues (1985) testimoniano come per gli A&M non<br />

si sia trattato di anni bui, tutt’altro.<br />

F.C.: Quella degli anni ’80 era una formazione più jazzistica, che forse<br />

pochi conoscono, anche se in quel periodo eravamo spesso in televisione<br />

perché il gruppo piaceva molto al giornalista Gianni Minà. In quel periodo<br />

abbiamo fatto anche festival importanti come Cannes, proprio grazie<br />

all’amicizia di Gianni, e dirette su Radio Montecarlo. Però è innegabile che<br />

fosse un momento degli A&M molto distante dagli A&M originali. L’unico<br />

trait d’union era quella vena leggermente jazzistica che c’era già agli inizi e<br />

che gli A&M hanno sempre mantenuto. Ero rimasto da solo e non ho fatto<br />

altro che inserire dei musicisti che fossero più vicini a quel tipo di sound.<br />

G.V.: Quell’esperienza jazzistica è stata qualitativamente fantastica, ma<br />

il vero sound degli A&M è dato dal contrasto tra la tradizione ritmico<br />

compositiva dei modelli anglo-americani e la grandissima attenzione al<br />

contenuto mediterraneo e melodico.<br />

Dopo una pausa di quindici anni, il ritorno di A&M è poi avvenuto<br />

con Murales (2000). Un album molto interessante dove<br />

eravate di nuovo insieme anche con Beppe Crovella.<br />

F.C.: Il progetto era estremamente interessante perché finalmente potevamo<br />

lavorare con due tastiere e dare un colore differente, non essendoci<br />

più il sax e i fiati di Arturo Vitale. C’era di nuovo un bel sound, però si<br />

sentiva la mancanza di un direttore artistico.<br />

G.V.: Un gruppo è un gruppo, deve suonare insieme, deve condividere,<br />

deve partecipare agli arrangiamenti, non si può fare tutto in laboratorio.<br />

Universi Paralleli è un disco di un gruppo, Murales è un disco di alcuni<br />

compositori, che hanno scritto brani eseguiti da alcuni artisti. Universi<br />

Paralleli ha funzionato perché c’era un gruppo che ha interpretato e<br />

suonato il materiale.<br />

Due parole su Lautaro Acosta, che al violino sostituisce egregiamente<br />

Giovanni Vigliar.<br />

F.C.: Lautaro è uno dei violinisti più bravi attualmente in circolazione.<br />

Lo stesso Mel Collins, in Giappone, mi ha confidato che è stato il migliore<br />

che ha avuto modo di ascoltare negli ultimi anni. Ormai è diventato<br />

uno degli elementi importanti del suono degli A&M, anche se ha una<br />

personalità diversa rispetto a Vigliar: meno classica, più latina, unita a<br />

una grande capacità musicale.<br />

Ricordi di TILT...<br />

G.V.: All’epoca (1974) ero assolutamente vergine in ambito di industria<br />

discografica. Facendo un paragone con i nostri tempi, possiamo<br />

dire che la Cramps investì su di noi come se fossimo i Rolling<br />

Stones. Ci mandarono in un ottimo studio a Roma, lo Chantalain, di<br />

proprietà di Bobby Solo, tenendoci nella Capitale per un mese. Poi<br />

coinvolsero Paolo Tofani per farci finire il mix, dato che la registrazione<br />

era stata resa un po’ difficoltosa da un tecnico americano che<br />

dopo essere costato tantissimo si diede alla fuga (Peter Kaukonen,<br />

fratello di Jorma dei Jefferson Airplaine/Hot Tuna; ndr.). Però tutto<br />

ciò che riguardava Tilt era grandioso: la realizzazione della copertina,<br />

la registrazione del disco, il modo in cui Mamone ci inserì subito in<br />

un circuito di concerti – tra giugno e dicembre del 1974 siamo stati<br />

visti da 150 mila persone. Abbiamo fatto il Parco Lambro, i supporter<br />

per Gentle Giant, PFM, Area; con la PFM facemmo sia il concerto<br />

pomeridiano che quello serale, e nei teatri c’erano dai tremila ai<br />

quattromila spettatori al giorno. Era una realtà veramente incredibile<br />

per uno come me che fino a quel momento era stato sempre solo in<br />

casa a registrare.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 43


inside<br />

di Francesco Bonerba<br />

Foto: Kevin Mazur/Getty Images for Universal Music<br />

And the Oscar<br />

goes to...<br />

…non lo diciamo, per scaramanzia. Ma vi spieghiamo perché quest’anno Ennio Morricone ha buone<br />

possibilità di vincere la statuetta dorata più ambita al mondo. E perché, comunque vada, la sua presenza<br />

al fianco di Quentin Tarantino agli Oscar è già un successo per la musica di alta qualità.<br />

Cinque nomination e una sola statuetta (onoraria), nel 2007,<br />

“per i suoi magnifici e multi-sfaccettati contributi nell’arte<br />

della musica per film”: Morricone rischia la sorte che toccò ad<br />

altri compositori come Alex North (autore delle colonne sonore di film<br />

come Un tram chiamato desiderio, Cleopatra e Quei bravi ragazzi),<br />

nominato ben quattordici volte e premiato solo per l’insieme della sua<br />

opera. Non che un Oscar in più possa aumentare la fama mondiale di<br />

un artista già immortale (basti pensare che Kubrick non ne vinse mai<br />

neanche uno), ma di certo sarebbe un peccato se il Maestro italiano, la<br />

cui creatività sembra non risentire minimamente dei suoi ottantasette<br />

anni, non trovasse un riconoscimento unanime dell’Academy almeno<br />

su un film. Se poi il film per il quale è candidato quest’anno, The Hateful<br />

Eight di Quentin Tarantino, sia davvero quello che meglio rappresenti<br />

la carriera di una vita (ben 528 le produzioni a cui ha partecipato!), è<br />

davvero difficile dirlo e forse non così essenziale.<br />

In passato, infatti, Morricone è stato candidato all’Oscar per I giorni del<br />

cielo (Terrence Malick, 1979), Mission (Roland Joffé, 1987), Gli intoccabili<br />

(Brian De Palma, 1988), Bugsy (Barry Levinson, 1992) e Malèna<br />

(Giuseppe Tornatore, 2001), film per i quali ha spesso ottenuto altrove<br />

riconoscimenti altrettanto ambiti (Golden Globe, BAFTA, ASCAP, etc.);<br />

le musiche che lo richiamano subito alla mente, tuttavia, appartengono<br />

in larga misura alle colonne sonore realizzate per Sergio Leone: Per un<br />

pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono,<br />

il brutto, il cattivo (1966), C’era una volta il West (1968), Giù la testa<br />

(1971), C’era una volta in America (1984). Questi lavori, valsi a Morricone<br />

solo due Nastri d’argento (1965, 1985) e un BAFTA (1984), sono<br />

stati amatissimi da pubblico, compositori e registi, che continuano a<br />

utilizzarli o a trarne suggerimenti per nuovi lavori, verificandone ad<br />

ogni utilizzo l’incredibile resistenza all’usura del tempo.<br />

Lo dimostra nei fatti uno dei più grandi estimatori di Morricone (e del<br />

cinema di Leone), Quentin Tarantino, che in Kill Bill – Vol. 1 e Vol. 2,<br />

Inglorious Basterds e Django Unchained ha utilizzato oltre venti tra le<br />

musiche composte dal Maestro italiano. “Avevo otto anni”, racconta il<br />

regista a “La Repubblica”, “quando, a causa della passione insana che<br />

mia madre nutriva per Clint Eastwood, mi vidi per la prima volta la<br />

Trilogia del Dollaro di Sergio Leone con le sue musiche. Solo qualche<br />

anno dopo, però, iniziai a collezionare vinili in maniera metodica e<br />

i suoi 33 giri erano sempre tra gli album che cercavo con maggiore<br />

attenzione”. Negli scorsi anni Tarantino ha cercato a più riprese di<br />

coinvolgere il compositore nella realizzazione della colonna sonora di<br />

un suo film, senza grossi risultati: nel 2009, già al lavoro sul kolossal<br />

Baarìa, di Giuseppe Tornatore, Morricone dovette rifiutare la composizione<br />

delle musiche di Inglorious Basterds e nel 2013, per Django<br />

Unchained, si limitò alla scrittura della canzone inedita Ancora tu, cantata<br />

da Elisa. Seguirono alcune polemiche nate da un’affermazione del<br />

Maestro in cui dichiarava la sua perplessità in merito alla disinvoltura<br />

con cui Tarantino aveva abbinato in un solo film musiche provenienti<br />

da diversi lavori, poi sfumate in una riaffermazione di stima verso<br />

44 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


MORRICONE & tarantino MUSICHE DA OSCAR<br />

Morricone & Tarantino<br />

Quindici brani del compositore<br />

utilizzati dal regista americano nel<br />

suo cinema, per riscoprire i punti di<br />

intersezione tra i due artisti<br />

Kill Bill – Vol. 1 (2003)<br />

• DEATH RIDES A HORSE<br />

Da uomo a uomo (1968)<br />

Kill Bill – Vol. 2 (2003)<br />

• PER UN PUGNO DI<br />

DOLLARI (PRIMA)<br />

Per un pugno di dollari<br />

(1964)<br />

• A SILHOUETTE OF<br />

DOOM<br />

Navajo Joe (1966)<br />

Brian De Palma e Ennio Morricone al lavoro sulla colonna sonora de Gli Intoccabili (1988).<br />

il regista e nell’apertura a future collaborazioni, a<br />

patto di poter creare una soundtrack coerente.<br />

Così, quando nel 2015 Tarantino ha raggiunto Morricone<br />

a Roma per chiedergli di persona se potesse<br />

musicare il suo nuovo film, The Hateful Eight, il Maestro<br />

ha inizialmente tentennato e, infine, accettato<br />

la proposta, nonostante le riprese del film fossero già<br />

concluse e avesse da lavorare alla partitura de La<br />

corrispondenza di Tornatore. In cambio, Tarantino<br />

gli ha dato carta bianca: “Ha composto la colonna<br />

sonora solo leggendo lo script, senza abbinare i<br />

pezzi a delle scene specifiche”, ha raccontato il regista<br />

a “Variety”, “Era tutta musica d’atmosfera,<br />

era quello che pensava andasse bene per il film,<br />

che potesse funzionare in momenti diversi, ma<br />

niente di specifico. Mi ha dato la colonna sonora<br />

e basta. Era mio compito inserirla nei momenti<br />

giusti”. Per far fronte al poco tempo a disposizione,<br />

circa un mese, Morricone ha riutilizzato alcune<br />

musiche realizzate nel 1982 per il film La cosa di<br />

John Carpenter e rimaste da allora inedite, che si<br />

sposano magnificamente con i set invernali, i personaggi<br />

inquieti e le sequenze “pulp” presenti anche in<br />

The Hateful Eight; al contempo il Maestro si è immerso<br />

nell’atmosfera “tarantiniana” per realizzare<br />

qualcosa di completamente nuovo, di coerente, per<br />

l’appunto, con l’opera specifica. Alla fine il sodalizio<br />

artistico a lungo atteso si è compiuto, anche per la<br />

gioia del pubblico, e sembra aver soddisfatto a tal<br />

punto Tarantino che il regista ha già proposto al<br />

compositore di lavorare per il suo prossimo film:<br />

“Vedere il Maestro registrare negli studi di Praga”,<br />

ha raccontato, “o osservarlo provare a Londra (il 9<br />

dicembre 2015 Morricone ha eseguito una registrazione<br />

speciale della soundtrack del film allo Studio 3<br />

di Abbey Road - in foto a pag. 42 - dirigendo la Czech<br />

National Symphony Orchestra, ndr.), è stato come<br />

avere un concerto personale del mio compositore<br />

preferito”. Una definizione, quest’ultima, che Tarantino<br />

ha utilizzato anche durante la cerimonia dei<br />

Golden Globe quando, chiamato a ritirare in vece di<br />

Morricone il premio per la Migliore colonna sonora<br />

originale (terzo della sua carriera), lo ha paragonato<br />

a compositori di musica classica come Mozart, Beethoven<br />

e Schubert. E ha ribadito che, finora, l’artista<br />

italiano non ha ancora ricevuto un Oscar per uno dei<br />

film da lui musicati.<br />

La vittoria ai Golden Globe, di solito, è vista di buon<br />

auspicio per la conquista della statuetta, per la quale<br />

Morricone parte dunque favorito. Analizzando la<br />

rosa degli altri quattro contendenti al premio, inoltre,<br />

tre sembrano poco “pericolosi”: Carter Burwell è<br />

alla sua prima nomination con Carol ed è probabile,<br />

nonostante la sua ventennale carriera, che debba<br />

sudare ancora un po’ prima di ottenere un Oscar;<br />

anche Jóhann Jóhannsson, compositore islandese<br />

emerso lo scorso anno con le musiche di The Theory<br />

of Everything e quest’anno in lizza per l’ultima opera<br />

di Denis Villeneuve, Sicario, difficilmente conquisterà<br />

la statuetta. John Williams, invece, con le<br />

sue quarantaquattro nomination (più di chiunque<br />

altro nella storia) e cinque Oscar (l’ha superato solo<br />

Alfred Newman, nove statuette), è difficile venga<br />

nuovamente premiato per la colonna sonora di Star<br />

Wars: Il risveglio della Forza; la soundtrack, infatti,<br />

nonostante si destreggi con abilità nel reinventare<br />

• IL TRIELLO<br />

Il buono, il brutto e il cattivo<br />

(1966)<br />

• L’ARENA<br />

Il mercenario (1968)<br />

• IL MERCENARIO<br />

(RIPRESA)<br />

Il mercenario (1968)<br />

Grindhouse:<br />

Death Proof (2007)<br />

• PARANOIA PRIMA<br />

Il gatto a nove code (1971)<br />

Inglourious Basterds (2009)<br />

• ALGERI 1 novemBRE<br />

1954 (con Gillo Pontecorvo)<br />

La battaglia di Algeri (1966)<br />

• L’incontro CON LA<br />

FIGLIA<br />

Il ritorno di Ringo (1965)<br />

• MYSTIC AND SEVERE<br />

Da uomo a uomo (1968)<br />

• RABBIA E TARANTELLA<br />

Allonsafan (1974)<br />

Django Unchained (2012)<br />

• DOPO LA CONGIURA<br />

I crudeli (1966)<br />

• UN MONUMENTO<br />

I crudeli (1966)<br />

• RITO FINALE<br />

Città violenta (1970)<br />

• THE BRAYING MULE<br />

Two Mules for Sister Sara<br />

(1970)<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 45


inside<br />

Quentin Tarantino e il direttore della fotografia Robert Richardson sul set di The Hateful Eight. In basso, i protagonisti del film.<br />

brillantemente temi musicali cari a milioni di fan, non ha la stessa potenza<br />

evocativa di altri suoi meravigliosi lavori. Resta, dunque, Thomas<br />

Newman (figlio di Alfred), che ha realizzato le musiche dell’ultimo film<br />

di Spielberg, Il ponte delle spie. Nonostante ben undici nomination agli<br />

Oscar e tre ai Golden Globe, il bravissimo compositore sessantenne<br />

autore delle colonne sonore di film come American Beauty, Alla ricerca<br />

di Nemo e Skyfall, non ha ancora portato a casa alcun premio e,<br />

vista la sua assenza tra i candidati ai Golden Globe, rischia di restare<br />

a mani vuote anche quest’anno.<br />

Non sarebbe inoltre la prima volta che un Oscar per un film viene assegnato<br />

dopo un Oscar alla carriera: è accaduto, ad esempio, nel 1982<br />

a Henry Fonda, per la sua interpretazione nel film Sul lago dorato, e<br />

nel 1987 a Paul Newman, per Il colore dei soldi, premio che l’attore<br />

non ritirò personalmente come protesta per il numero di volte in cui<br />

era stato candidato, sette, e mai premiato. Se un evento del genere si<br />

verificasse, tuttavia, Morricone sarebbe il primo compositore a ricevere<br />

una statuetta dopo quella alla carriera, e andrebbe così ad unirsi alla<br />

ristretta famiglia dei musicisti italiani premiati dall’Academy, composta<br />

da Nino Rota (Il padrino - Parte II, 1975), Giorgio Moroder (Fuga<br />

di mezzanotte, 1979), Nicola Piovani (La vita è bella, 1999) e Dario<br />

Marianelli (Espiazione, 2008). E la statuetta si aggiungerebbe alle 75<br />

già vinte da altri straordinari talenti “made in Italy” come Vittorio De<br />

Sica, Federico Fellini, Milena Canonero, Carlo Rambaldi, Dante Ferretti,<br />

Federica Lo Schiavo, Vittorio Storaro, Lina Wertmüller, Giuseppe<br />

Tornatore, Roberto Benigni e Paolo Sorrentino. Una vittoria di Morricone,<br />

soprattutto, porrebbe ancora una volta i riflettori sull’energia<br />

inesauribile della creatività made in Italy, valore unico al mondo e<br />

non quantificabile, “marchio di fabbrica” che rappresenta i tanti<br />

italiani alla ricerca dell’eccellenza nei più<br />

disparati ambiti, dall’esplorazione<br />

spaziale (Samantha Cristoforetti)<br />

ai misteri della fisica del CERN di<br />

Ginevra (Fabiola Gianotti, sua<br />

nuova direttrice).<br />

Più in generale l’Oscar e i suoi ben<br />

quattro riconoscimenti dedicati<br />

al suono (miglior colonna sonora,<br />

canzone, missaggio e montaggio sonoro), uniti ai tanti altri premi di<br />

settore (vedi Box a pag. 45) rappresentano, anno dopo anno, una dichiarazione<br />

inequivocabile dell’importanza della componente acustica<br />

nel medium cinematografico. Senza addentrarsi nella teoria del cinema,<br />

che riconosce da decenni al suono la funzione di “coinvolgere lo<br />

spettatore acusticamente, spazialmente ed affettivamente nel tessuto<br />

filmico” (Elsaesser e Hagener), basta banalmente provare a togliere<br />

la soundtrack o i temi a film come Il Signore degli Anelli, Jurassic<br />

Park o Ritorno al futuro, o eliminare dal missaggio gli effetti sonori<br />

di capolavori della sci-fi come Terminator 2, Matrix o Gravity, per<br />

comprenderne il valore imprescindibile. L’ambito cinematografico,<br />

inoltre, offre un preziosissimo banco di prova per un suono senza<br />

limiti o compromessi; lo sapeva bene George Lucas quando, nel 1980,<br />

all’indomani dell’uscita in sala de L’Impero colpisce ancora, chiese<br />

all’ingegnere del suono Tomlinson Holman di creare un certificato di<br />

qualità che garantisse allo spettatore la certezza di trovarsi in una sala il<br />

cui audio fosse il migliore possibile nonché il più fedele alla volontà del<br />

regista. La nascita del TXH ha provocato un terremoto nel mondo degli<br />

esercenti, dando il via alla nascita di nuove sale dotate di avveniristici<br />

impianti audio; una trasformazione culminata con la recente creazione,<br />

nel 2012, del sistema Dolby Atmos, che scompone il suono in un<br />

massimo di 128 “eventi sonori” e attraverso un processore intelligente<br />

li propaga nello spazio (anche verticalmente, con diffusori collocati sul<br />

soffitto) in base alla relazione che intrattengono con le immagini, dando<br />

vita a una vera e propria “scenografia sonora”. Il fatto che i tre maggiori<br />

incassi di tutti i tempi, Avatar, Titanic e Star Wars: Il risveglio della<br />

Forza, siano film ad altissimo tasso spettacolare e pluripremiati per<br />

i loro aspetti sonori la dice lunga sia sull’attenzione prestata dalle<br />

major all’aspetto sonoro sia sul crescente riconoscimento<br />

che il pubblico conferisce, talvolta anche<br />

inconsapevolmente, a proiezioni<br />

tecnicamente ineccepibili, anche sotto<br />

il profilo audio.<br />

Lo stesso Tarantino ha compiuto per<br />

The Hateful Eight una scelta apparentemente<br />

anacronistica: quella di<br />

girare in pellicola e in formato Super<br />

46 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


MORRICONE & tarantino MUSICHE DA OSCAR<br />

Panavision 70 mm, lo stesso utilizzato in film come Ben Hur (1959) e<br />

assente sul grande schermo dal 1966. Si tratta di uno standard costosissimo<br />

che ha il doppio dello spazio della pellicola 35 mm, consentendo<br />

una qualità dell’immagine sei volte superiore e un audio con molte più<br />

tracce. Riportando in auge questo formato, che potrà essere apprezzato<br />

appieno solo in particolari sale, Tarantino ha ribadito la posizione<br />

sostenuta da registi come Scorsese, Nolan e Abrams, ovvero che la<br />

pellicola garantisce una naturalezza dell’immagine ancora irraggiungibile<br />

dal digitale e che, ad oggi, rappresenta il supporto più sicuro per<br />

la conservazione di un’opera cinematografica; cosa ancora più importante,<br />

Tarantino ha scelto di girare il proprio film nella massima qualità<br />

consentita, l’“Hi-end del cinema”, quella che, nonostante il supporto<br />

“obsoleto”, è anche la più apprezzabile nelle sale all’avanguardia dotate<br />

di impianti IMAX e Dolby Atmos (senza dimenticare che, scegliendo le<br />

pellicola per i propri film, ha consapevolmente contribuito a preservare<br />

la storia del cinema e, con essa, la sopravvivenza della Kodak e dei suoi<br />

dipendenti, in crisi da molti anni).<br />

Già da tempo l’industria del cinema, consapevole della sfida lanciata<br />

dal web e dai crescenti servizi in streaming, sta puntando tutto sulla<br />

qualità della fruizione filmica, producendo kolossal sempre più<br />

spettacolari e giustificando l’aumento del biglietto dei multisala con<br />

l’introduzione di nuovi effetti (il 3D), impianti audio iperrealistici<br />

(Dolby Atmos) e formati (come l’IMAX) che regalano una visione<br />

imparagonabile a quella domestica. Atteggiamento che, unito a un<br />

pubblico sempre meno abituato a pagare per la fruizione dei contenuti<br />

audiovisivi, sta lentamente e drammaticamente spazzando via la<br />

Morricone ritira l’Oscar alla carriera nel 2007.<br />

“terra di mezzo” delle piccole sale che, ogni anno, chiudono a decine<br />

per l’impossibilità di competere con impianti enormemente costosi.<br />

La buona notizia, però, è che questa corsa verso la qualità senza<br />

compromessi, che le masse non avrebbero mai conosciuto e stimolato<br />

senza il passaggio dai contenuti liquidi “low-fi” del web dei primordi,<br />

sta rappresentando la nascita di una nuova linea di demarcazione<br />

tra esperienza appagante e fruizione insoddisfacente, ridefinendo<br />

verso l’alto gli standard ai quali eravamo abituati. Questo “innalzamento<br />

dell’asticella”, a nostro giudizio, non potrà che giovare alla<br />

causa dell’alta fedeltà e di quanti sapranno convogliarla e soprattutto<br />

proporla nel giusto modo. Tarantino docet.<br />

<strong>SUONO</strong> & CINEMA: NON SOLO OSCAR<br />

Bob Beemer e Ben Burtt (a destra, nella foto con il<br />

regista J. J. Abrams): due nomi che forse non vi diranno<br />

niente nonostante i quattro Oscar che questi<br />

signori hanno vinto a testa, rispettivamente per il<br />

miglior missaggio (Dreamgirls, Ray, Il Gladiatore e<br />

Speed) e montaggio sonoro (Star Wars, I predatori<br />

dell’arca perduta, E.T., Indiana e l’ultima crociata). Dal<br />

1930 l’Academy assegna questi due premi a personalità<br />

di spicco del mondo dell’audio che hanno<br />

contribuito a rendere indimenticabili alcune pietre<br />

miliari della storia del cinema. Ma l’Oscar è solo una<br />

delle tante istituzioni che nel corso degli anni hanno<br />

deciso di dare un riconoscimento al lavoro dei tecnici<br />

del suono, un mestiere certosino e altamente<br />

qualificato, spesso poco valorizzato. Ecco, dunque,<br />

una rapida rassegna dei premi più prestigiosi del<br />

mondo conferiti in questo ambito.<br />

In seno agli Emmy Awards, il più importante premio<br />

televisivo internazionale nato nel 1949, vengono assegnati<br />

i Creative Arts Emmy Award, dedicati a chi<br />

lavora dietro le quinte delle serie TV e che prevedono<br />

ben otto premi per il reparto audio tra missaggio<br />

e montaggio. Un solo premio ma molto prestigioso<br />

è quello assegnato dal BAFTA (British Academy of<br />

Film and Television Arts), la massima istituzione europea<br />

in fatto di cinema che, nata nel 1947, dal 1968<br />

assegna il premio per il miglior sonoro; decisamente<br />

più giovane, invece, il Critics’ Choice Movie Award<br />

che, nonostante i vent’anni di attività, assegna un<br />

riconoscimento tecnico per il suono solo dal 2009,<br />

anno in cui vinse Avatar. Hanno invece mezzo secolo<br />

di vita i Cinema Audio Society Awards che assegnano<br />

ben sette premi a quelle personalità operanti<br />

in ambito televisivo e cinematografico distintesi per<br />

la qualità del loro lavoro sull’audio; particolarmente<br />

interessanti i “Cas Technical Achievement Award”<br />

conferiti ai dispositivi più performanti utilizzati<br />

nei contesti della produzione e post-produzione.<br />

Hanno sede rispettivamente a Barcellona e Madrid,<br />

invece, i Gaudí Awards e i Goya Awards; rivolte alle<br />

produzioni spagnole, le due istituzioni premiano<br />

dal 2009 e dal 1987 il miglior direttore del suono.<br />

Di recentissima introduzione il premio per il miglior<br />

suono / sound design conferito dal 2012 in seno ai<br />

Guldbagge Award (letteralmente, scarabeo d’oro),<br />

il più importante riconoscimento cinematografico<br />

svedese. Sono invece estremamente tecnici i premi<br />

conferiti dall’Hollywood Post Alliance, associazione<br />

specializzata nella comunicazione rivolta<br />

a chi opera nella post produzione e che dal 2006<br />

premia il miglior audio di film, televisione e spot<br />

pubblicitario. Concludiamo con il Satellite Award<br />

che dal 1996 conferisce annualmente trentadue<br />

riconoscimenti tecnici e artistici ai migliori film e<br />

serie TV dell’anno, giudicati da oltre 200 giornalisti<br />

facenti parte dell’International Press Academy (IPA);<br />

tra questi, un premio va al miglior montaggio e missaggio<br />

sonoro, che finora ha visto sul podio il lavoro<br />

svolto su film particolarmente amati dal pubblico<br />

come Whiplash, Drive, Il cavaliere oscuro e Star Wars:<br />

Episodio III - La vendetta dei Sith.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 47


selector tutto il meglio in arrivo sul mercato<br />

di Paolo Corciulo e Agostino Bistarelli<br />

Coordinati: la madre di<br />

tutte le battaglie<br />

Coordinati? Bleah... Ma se dedicate un po’ di attenzione alla lettura di questo articolo, non<br />

è escluso che quel Bleah si trasformi in Wow! Perché i coordinati sono la madre di tutte le<br />

battaglie; perché, ragionando fuori dal coro (e sapete che a noi piace), si può scoprire che…<br />

Mario affronta il traffico<br />

del sabato pomeriggio<br />

per arrivare fino<br />

al SuperMegaTronic più grande<br />

della sua città, quello che sembra<br />

il più fornito e, per questo, adatto<br />

ai suoi bisogni. Si avvicina al ragazzo<br />

con la felpa gialla con scritto<br />

“staff” e gli lancia la sua richiesta,<br />

che somiglia molto a un vero e<br />

proprio SOS: “Vorrei acquistare<br />

un sistema wireless, sai, quelli<br />

che ti fanno sentire musica senza<br />

fili in tutta casa...”. “Allora”, gli<br />

risponde il ragazzo, “ne abbiamo<br />

di piccoli, medi e grandi, bianchi,<br />

neri e grigi, tra 200 e 600 euro,<br />

con i bordi tondi e dritti!”. “Ok,<br />

ma cosa mi serve per utilizzarne<br />

uno, che file posso usare? Vanno<br />

bene il mio computer e il tablet?<br />

Di tutti i CD che ho che me ne<br />

faccio?”. “Allora, ne abbiamo di<br />

piccoli... ”.<br />

Mario, in realtà, siamo noi, tutti<br />

noi che con un minimo di spirito<br />

critico abbiamo iniziato da tempo<br />

a guardare l’impianto “buono” in<br />

salotto con un occhio diverso dopo<br />

aver ascoltato due “scatolette” di<br />

nuova generazione che suonavano<br />

in maniera assolutamente diversa<br />

da come ci saremmo aspettati per<br />

il loro ingombro e prezzo, entrambi<br />

ridotti. Mario siamo noi che ci<br />

siamo stancati degli zeri nel valore<br />

della distorsione e della risposta<br />

in frequenza piatta che più piatta<br />

non si può ma che è piatta anche<br />

nel trasferirci l’indice delle emozioni.<br />

Mario siamo noi che stiamo<br />

imparando nomi e sigle nuove che<br />

arrivano sul mercato e che portano<br />

qualche novità, non tanto nelle<br />

prestazioni degli apparecchi ma<br />

soprattutto nel modo in cui loro<br />

si interfacciano e interagiscono<br />

con l’utente. Dietro lo stupore, in<br />

genere, si nasconde l’ignoranza o<br />

l’errata valutazione di un fenomeno,<br />

di un elemento tra quelli presi<br />

in considerazione: è quel che sta<br />

accadendo in generale per l’Hi-<br />

Fi ed è soprattutto quello che sta<br />

accadendo in un segmento strategico<br />

della riproduzione sonora<br />

48 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


SPECIALE coordinati<br />

che, udite, udite, è quello dei coordinati<br />

o, più correttamente, dei<br />

“sistemi”, da sempre riflesso di<br />

tutto il mondo storico dell’Hi-Fi.<br />

Se si ripercorre la storia dell’alta<br />

fedeltà si scopre facilmente come<br />

proprio la soluzione all-in-one sia<br />

stata quella che agli inizi degli anni<br />

’50 ha consentito alla riproduzione<br />

sonora di entrare nelle case. Ingombranti<br />

(le tecnologie del tempo<br />

non consentivano che di crearli<br />

così), opulenti, quasi sempre con<br />

pregiati cabinet in legno massello,<br />

i sistemi di allora rappresentavano<br />

la chiave di accesso alla materia<br />

per una ragione ben chiara: costituivano<br />

un modo semplice e<br />

facilmente inseribile nelle mura<br />

domestiche per ascoltare musica!<br />

Il postulato, però, “barcollava”<br />

nelle performance sonore, perché<br />

l’effetto ergonomico era vanificato<br />

da scelte di componenti a basso<br />

costo, spesso quelli che venivano<br />

venduti anche in kit. Il fatto che<br />

il singolo utente (vedi l’articolo<br />

dedicato all’Hi-end che apre questo<br />

numero di <strong>SUONO</strong>) fosse in<br />

grado, con gli stessi componenti o<br />

migliori, di ottenere performance<br />

superiori, determinò una fertile<br />

fase di sviluppo degli apparecchi<br />

per riprodurre musica e la nascita<br />

dei componenti separati. L’esigenza<br />

di base rimase... Non a caso<br />

vent’anni più tardi il coordinato<br />

torna di moda, sebbene si possa<br />

sostenere che l’idea di un sistema<br />

per la riproduzione musicale costituita<br />

da un tutt’uno non sia mai<br />

passata di moda, come testimonia<br />

l’uso di realizzare anche i separati<br />

in versione predisposta per il<br />

montaggio in rack o in un più “domestico”<br />

mobiletto ad hoc; questa<br />

soluzione, mitigata dalla presenza<br />

dei fianchetti (che, se ci pensate,<br />

oggi sono una contraddizione in<br />

termini) costituisce un retaggio<br />

del passato, svuotato completamente<br />

del suo contenuto… !<br />

L’arrivo dei coordinati giapponesi<br />

è stato comunque dirompente in<br />

quanto, almeno in teoria, propose<br />

concetti legati alla semplicità<br />

(di scelta, di uso, di compatibilità<br />

estetica e ambientale) e un’economicità<br />

prima sconosciuta, unita<br />

alla promessa di una qualità<br />

accettabile: nel momento della<br />

massima espansione commerciale<br />

dello “stereo” in molti avevano<br />

in casa un sistema a rack e questo<br />

elemento costituì, almeno a nostro<br />

giudizio, un fattore positivo che<br />

soverchia i molti aspetti negativi<br />

che pure hanno caratterizzato l’introduzione<br />

dei coordinati secondo<br />

la filosofia orientale: le troppe lucine,<br />

l’indulgenza verso una certa<br />

effettistica, la mancata ricerca di<br />

una coerenza sonora. Azzardiamo<br />

che siano state proprio queste caratteristiche<br />

a sviare l’attenzione<br />

da un elemento chiaro, concreto e<br />

essenziale, tanto da ripresentarsi<br />

costantemente: le persone hanno<br />

bisogno di inserire armonicamente<br />

l’Hi-Fi nelle proprie abitazioni,<br />

hanno bisogno di oggetti semplici<br />

e non hanno a disposizione somme<br />

illimitate…<br />

Il coordinato di un tempo era costituito<br />

da un numero sostanzialmente<br />

ben definito di elementi che<br />

lo componevano; altrettanto ben<br />

definite erano le funzioni di ognuno<br />

di essi. Di fatto si verificava una<br />

condizione molto vicina alla mono-funzione:<br />

il giradischi faceva<br />

suonare il disco in vinile, l’amplificatore<br />

provvedeva a erogare potenza<br />

e a selezionare gli ingressi,<br />

i diffusori a tramutare l’impulso<br />

elettrico in meccanico... I sistemi<br />

fondati sulle migliori conoscenze<br />

tecniche e su budget considerevoli<br />

osavano persino la separazione tra<br />

pre e finale, l’utilizzo di un braccio<br />

acquistato separatamente. Funzioni<br />

che, tuttavia, poco o nulla<br />

toglievano al concetto di monofunzione<br />

di questi prodotti; si<br />

Siamo tutti rack: la nascita dei componenti separati non affievolisce il senso e la necessità<br />

di considerare le apparecchiature per la riproduzione sonora come un sistema.<br />

trattava, piuttosto, di far aumentare<br />

il valore percepito del proprio<br />

sistema audio in termini di<br />

status symbol (come ancora oggi<br />

succede nell’ostentazione di certi<br />

nomi), a prescindere dal loro reale<br />

ed efficace funzionamento. L’inizio<br />

della disgregazione di questa<br />

condizione monolitica arriva con<br />

l’affermazione a livello popolare<br />

della musica in formato digitale,<br />

dapprima con la comparsa del CD<br />

e successivamente con la musica<br />

liquida. Fenomeni, soprattutto il<br />

secondo, che hanno provveduto a<br />

scardinare in maniera netta valori<br />

e dogmi del settore. L’approdo alle<br />

tecnologie digitali ha disgregato<br />

le tradizionali categorie utilizzate<br />

per definire i vari prodotti Hi-Fi<br />

mono-funzione dando vita a dei<br />

veri e propri “ibridi” fino a poco<br />

tempo fa, di fatto, inesistenti: il<br />

DAC che diventa spesso anche pre<br />

digitale (quando non viene integrato<br />

a uno streamer di rete o a<br />

una meccanica di lettura per dischi<br />

ottici o, ancora, a una sezione<br />

di potenza per diffusori); l’amplificatore<br />

per cuffia che, arricchendosi<br />

di uno stadio di conversione<br />

digitale, diventa quasi un sistema;<br />

i diffusori attivi che, con a bordo<br />

quello stesso stadio, vivono di<br />

vita propria. La risposta, proprio<br />

noi “addetti ai lavori”, ce la siamo<br />

ritrovata sotto il naso, sia nella<br />

gestione quotidiana della rivista<br />

che nel lavoro annuale di revisione<br />

dell’Annuario; la realizzazione,<br />

anno dopo anno, dell’Annuario ci<br />

ha, infatti, posto di fronte a un<br />

sempre maggiore numero di casi<br />

di questo genere: in che categoria<br />

rientra questo apparecchio? Sempre<br />

in Annuario c’è una sezione<br />

che da qualche tempo più di altre è<br />

oggetto di questi dubbi: quella dedicata<br />

ai sistemi coordinati. Fino<br />

a qualche anno fa qui abbiamo<br />

inserito i sistemi classicamente<br />

definiti tali, quelli di dimensioni<br />

midi e mini con tanto di amplificatore,<br />

diffusori, lettori CD o giradischi<br />

e così via. Negli ultimi anni la<br />

sezione ha pian piano cominciato<br />

ad accogliere anche altri prodotti,<br />

magari di difficile catalogazione.<br />

Da pochi elementi ci siamo accorti<br />

che il numero stava crescendo<br />

per inglobare soluzioni sempre<br />

più diverse l’una dall’altra e di catalogazione<br />

sempre più difficile. I<br />

sistemi coordinati sono diventati,<br />

alla fine, come le “varie ed eventuali”<br />

delle riunioni di condominio:<br />

tutto quello che non è chiaro<br />

e definito va a finire qui dentro!<br />

Un mix di sigle e, soprattutto,<br />

di tecnologie e funzioni che, alla<br />

fine, ci ha fatto sentire un po’ tutti<br />

come il Mario di prima, quello che<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 49


selector<br />

si trova di fronte a delle realtà che<br />

lo spaventano e incuriosiscono<br />

allo stesso tempo.<br />

Un segmento, dunque, quello dei<br />

coordinati, che sta cambiando<br />

molto; questo ci ha indotto a un<br />

lungo e articolato lavoro per la revisione<br />

che ci ha portato a elaborare<br />

nuovi metri di valutazione di<br />

quello che dovremo aspettarci da<br />

un prodotto moderno ed efficace,<br />

oggi già sotto gli occhi di tutti... Il<br />

problema più grande in questa<br />

fase di costruzione è stata elaborare<br />

nuovi punti fermi, anche alla<br />

luce del fatto che quelli vecchi non<br />

sono più in grado di fotografare la<br />

realtà attuale; il valore di un apparecchio<br />

oggi non è determinato dal<br />

suo peso e dalle sue dimensioni,<br />

elementi che al più ne suggeriscono<br />

la destinazione d’uso. Prendete<br />

un DAC definito “portatile” come<br />

il Chord Hugo (leggero e piccolo):<br />

è possibile che vada come e meglio<br />

di un DAC domestico (pesante e<br />

grosso), eludendo quei limiti che<br />

un tempo erano legati alle dimensioni:<br />

midi, mini e micro in<br />

tal senso pari sono! Altri dati di<br />

targa sono altrettanto fallaci: potenza,<br />

distorsione... non sono più<br />

elementi discriminanti laddove la<br />

globalizzazione ha livellato verso<br />

l’alto certe performance. Ma, attenzione:<br />

non stiamo affermando<br />

che tutti gli apparecchi siano<br />

uguali ma solo che gli elementi<br />

che li distinguono oggi sono anche<br />

altri, a cominciare dalla destinazione<br />

d’uso: una volta allargate<br />

le stesse modalità di ascolto alla<br />

mobilità si aggiungono nuovi<br />

elementi alla lista delle necessità.<br />

Che cosa me ne faccio di un<br />

sistema ben suonante se è troppo<br />

ingombrante per essere utilizzato<br />

in un viaggio breve dove il primo<br />

obiettivo è mantenere un bagaglio<br />

ridotto? Meglio qualcosa di più<br />

piccolo, di più adatto... L’appassionato<br />

è abituato a ragionare per<br />

assoluti ma se già questo metodo<br />

mostrava i suoi limiti in passato<br />

oggi è assolutamente inadatto. Diventa<br />

essenziale stabilire una lista<br />

delle priorità e delle caratteristiche<br />

minime indispensabili, esattamente<br />

come si farebbe dovendo<br />

scegliere tra smartphone, tablet e<br />

PC (portatile o meno) per gestire<br />

i propri dati e il proprio lavoro.<br />

Analogamente a come ci si comporta<br />

verso strumenti del genere,<br />

nel giudizio complessivo di questo<br />

e quel modello assume un’importanza<br />

vitale un elemento fino a ora<br />

quasi estraneo al settore della riproduzione<br />

musicale: l’esperienza<br />

d’uso.<br />

Interfaccia e interazione sono i<br />

nuovi elementi di sfida che i produttori<br />

di Hi-Fi devono considerare<br />

nei loro prodotti: alcuni già<br />

lo fanno, altri ancora non lo hanno<br />

capito, altri... non lo faranno<br />

mai. Interfaccia e interazione<br />

sono oggi la sostanza di un prodotto,<br />

l’elemento caratterizzante,<br />

la nota che distingue più di altri<br />

l’uno dall’altro e, soprattutto, la<br />

porta di ingresso alle possibilità<br />

offerte da quel prodotto. La commistione<br />

con l’informatica ha reso<br />

certamente i prodotti elettronici<br />

più versatili ma questa versatilità<br />

comporta una complicazione<br />

nell’utilizzo: se l’utente medio<br />

in passato trovava il timer di un<br />

videoregistratore così complicato<br />

da non utilizzarlo, come se la<br />

caverà con i prodotti odierni destinati<br />

“solo” alla riproduzione<br />

della musica ma certamente più<br />

complessi? La chiave di accesso<br />

è indubbiamente costituita<br />

dall’interfaccia (oggi, con le app,<br />

addirittura un prodotto a sé) e<br />

dal tipo di interazione possibile<br />

con quel prodotto e, credeteci, le<br />

esperienze sono tra le più varie:<br />

dall’assolutamente inaccettabile al<br />

“quasi” perfetto (quasi perché noi<br />

siamo, per vocazione e necessità,<br />

incontentabili!). Un’esperienza<br />

L’idea di predisposizione in rack condiziona tutt’ora la costruzione degli apparecchi:<br />

nessuno li monterà in un mobile ma vengono ancora forniti con fianchetti aggiuntivi<br />

che servivano per mantenere la compatibilità fra installazioni a rack e stand alone.<br />

forse non oggettiva ma tangibile<br />

il cui effetto si somma a un’altra<br />

miriade di sensazioni dovute<br />

alla natura del prodotto e che,<br />

nell’insieme, generano un metaforico<br />

bleah o un wow! Disagio o<br />

approvazione certo determinati da<br />

criteri di giudizio che si basano su<br />

elementi non soggettivi; anche tra<br />

le proprie emozioni, però, si può<br />

stabilire una scala di valori, soprattutto<br />

se proprio questo è uno<br />

dei compiti che vi siete preposti!<br />

E, soprattutto, quella “sensazione”<br />

è costante e ripetibile... Questo<br />

divario tra “bleah” e “wow!” è un<br />

importante fattore di discernimento<br />

tra prodotti, soprattutto<br />

quelli destinati alle nuove fruizioni<br />

della musica liquida: non mente<br />

mai ed è un fenomeno che, dopo<br />

averci lasciati allibiti, siamo ora in<br />

grado di affrontare con strumenti<br />

critici…<br />

Ma che succede? <strong>SUONO</strong> non<br />

parla più di “prestazioni”? Chi ci<br />

segue sa bene come e quanto siamo<br />

stati e siamo (e saremo!) attenti<br />

a proporre su queste pagine<br />

prodotti di valore, quelli che hanno<br />

dato e danno tuttora un contributo<br />

fondamentale al piacere di<br />

ascoltare la musica. Chi ci segue<br />

sa altrettanto bene come, da tempo,<br />

abbiamo integrato nel nostro<br />

paniere di valori di giudizio anche<br />

altri elementi che concorrono al<br />

piacere di possedere un oggetto:<br />

siamo stati i primi (e unici!) a parlare<br />

di “fattore di concretezza” in<br />

merito a un prodotto o addirittura<br />

a un produttore. Allo stesso modo<br />

occorre ora introdurre un elemento,<br />

l’usabilità, che si combina con<br />

l’esperienza d’uso e che, in fondo,<br />

determina la soddisfazione finale<br />

dell’utilizzatore. Abbiamo cercato<br />

un termine che lo determinasse,<br />

che fosse specifico ma allo stesso<br />

tempo comprensivo di tanti altri<br />

significati: abbiamo scelto “piacevolezza”.<br />

Piacevolezza indica quanto siamo<br />

soddisfatti nell’interagire / utilizzare<br />

/ possedere un determinato<br />

oggetto, un aspetto che va oltre<br />

quelle che sono le peculiarità<br />

specifiche della sua categoria di<br />

appartenenza. Se ampliamo il discorso<br />

ai fatti di tutti i giorni possiamo<br />

trovare “piacevole” un paio<br />

di scarpe che, pur non essendo realizzate<br />

in cuoio super selezionato,<br />

sono morbide e non ci stancano;<br />

può essere “piacevole” un film<br />

perché in quel momento solletica<br />

i nostri sentimenti, a prescindere<br />

dal suo taglio tecnico e dalla qualità<br />

della regia. Allo stesso modo,<br />

può essere piacevole un prodotto<br />

che riproduce musica senza che la<br />

tecnologia che esso utilizza sia ben<br />

nota e/o di livello riconosciuto?<br />

50 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


SPECIALE coordinati<br />

Magari per qualcuno è necessario<br />

avere qualche bella valvola in vista<br />

per il proprio amplificatore, per<br />

altri lo è annusare l’essenza pungente<br />

di vero legno dei propri diffusori.<br />

Ma è sempre così? Sonos,<br />

a suo tempo, ci ha insegnato ad<br />

apprezzare la possibilità di avere<br />

con facilità e con una spesa sostanzialmente<br />

contenuta musica<br />

in ogni angolo della nostra casa,<br />

a prescindere dalla storicità del<br />

nome e dalla consistenza delle tecnologie<br />

utilizzate. E se queste riflessioni<br />

sono valide per ogni tipo<br />

di prodotto, “l’esperienza” con i<br />

coordinati di nuova generazione<br />

è portata all’ennesima potenza in<br />

ragione della loro multifunzionalità<br />

che li fa risultare più complessi<br />

dei prodotti singoli.<br />

Esistono ovviamente anche altri<br />

indicatori per definire la qualità<br />

di un coordinato sebbene incidano<br />

anch’essi in maggiore o minore<br />

misura sull’esperienza d’uso. Uno<br />

dei più complessi e nuovi riguarda<br />

la possibilità di collegamento in<br />

rete e la misura in cui ciò accade<br />

portando il prodotto a far parte di<br />

un ecosistema. è un tema su cui<br />

si giocherà il prossimo futuro del<br />

settore e, con esso, il successo di<br />

determinati prodotti e marchi. Il<br />

tema è affrontato in maniera diversa<br />

dai diversi produttori, dove<br />

l’obiettivo comune è (o dovrebbe<br />

essere) la semplicità di realizzazione<br />

e di gestione di questa rete: il<br />

protocollo DLNA è quello che, assieme<br />

ad altri elementi, dovrebbe<br />

semplificare il tutto. DLNA vuol<br />

dire, in prima battuta, semplicità<br />

di inserimento del prodotto nella<br />

rete locale e della gestione delle<br />

sue funzioni e contenuti. Elemento<br />

fondamentale per molti, soprattutto<br />

per chi è meno abituato a un<br />

impatto “informatico”, per chi è<br />

abituato a spingere play per far<br />

partire il CD e, in genere, a usare<br />

il solo comando di start per ascoltare<br />

musica. Il tentativo di alcuni<br />

produttori più illuminati è quello<br />

Unità emozionale di misura negativa.<br />

Unità emozionale di misura positiva.<br />

di minimizzare e semplificare il<br />

set-up iniziale e le operazioni successive:<br />

arrivano così in aiuto app<br />

dedicate, procedure guidate (quelli<br />

che in genere vengono chiamati<br />

wizard) di supporto, procedure<br />

ben delineate e, soprattutto, ben<br />

scritte e ben comunicate all’utente.<br />

Un’operazione, quella di semplificazione,<br />

necessaria, visto che il<br />

mondo della rete locale e di quella<br />

esterna è in continuo divenire e<br />

crescere: dispositivi di memoria<br />

locali, remoti, servizi di streaming<br />

e di download e condivisione di<br />

chissà quanti e quali altri servizi<br />

e componenti presenti sulla rete.<br />

Operazioni complesse e delicate<br />

che solo una buona architettura<br />

tecnologica riesce a portare a<br />

compimento senza intoppi e senza<br />

errori. Semplicità ed efficacia allo<br />

stesso tempo: chi non può/potrà<br />

offrirli ai propri clienti non ha futuro!<br />

Su questo argomento Sonos<br />

è stato precursore dei tempi: ha<br />

saputo affrontare il tema della rete<br />

proprietaria in maniera netta e decisa<br />

e lo ha fatto diventare un suo<br />

punto di forza rispetto ad altre realtà<br />

che, proprio in tal senso, presentano<br />

evidenti lati negativi. Una<br />

rete locale proprietaria ha senso<br />

se è ben fatta, se è funzionale e,<br />

soprattutto, se nel corso del tempo<br />

l’azienda provvede a mantenerla<br />

“viva” e funzionale, se l’utente<br />

non ha problemi ad accedervi e,<br />

al contrario, ottiene solo benefici<br />

nell’entrare in un sistema che è sì<br />

chiuso ma completo e funzionale.<br />

Solo il tempo ci dirà se questa<br />

scommessa sarà vinta, se chi ha<br />

comprato questi prodotti si ritroverà<br />

per le mani uno scattante purosangue<br />

o un ronzino sfiancato,<br />

se l’azienda sarà in grado di sostenere<br />

adeguatamente la propria<br />

linea o se i numeri del mercato<br />

non potranno sostenere l’investimento<br />

iniziale. In questo Sonos<br />

è stato precursore e il tempo ha<br />

dato loro una risposta sicuramente<br />

positiva. Una notevole valenza<br />

è costituita anche da quella che<br />

possiamo definire “autonomia<br />

sonora”, ovvero la possibilità che<br />

il prodotto in questione riesca a<br />

suonare senza la necessità di elementi<br />

ulteriori: in passato questo<br />

è stato visto (a ragione) come un<br />

limite ma oggi l’integrazione di<br />

tecnologie ed elementi “confinanti”<br />

è in grado di fornire prestazioni<br />

vicine a quelle che in teoria erano<br />

state indicate come ideali. Grazie<br />

alla possibilità di prevedere come<br />

e quali componenti andranno<br />

“matchati”, utilizzando in modo<br />

corretto la bi-amplificazione, i<br />

benefici sono ampi ma ancora<br />

di più lo sono quelli derivanti<br />

dall’utilizzo dei DSP, oggi molto<br />

più performanti ed economici che<br />

in passato. Vi possiamo garantire<br />

che l’esperienza di un sistema ottimizzato<br />

è sorprendente rispetto<br />

ai canoni tradizionali a cui siamo<br />

abituati. Ecco perché i coordinati<br />

moderni ottemperano il postulato<br />

forse più importante (e quasi<br />

sempre travisato) del genere:<br />

assemblare più elementi insieme<br />

garantisce la possibilità di ottimizzare<br />

gli abbinamenti e, in sostanza,<br />

di migliorare il rapporto costi/<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 51


selector<br />

prestazioni! Vero anche che il ciclo<br />

vitale del prodotto chiuso è legato<br />

a doppio filo con il componente a<br />

più rapida obsolescenza! Quindi<br />

bisogna comprendere quali siano<br />

gli elementi critici o quelli che,<br />

potenzialmente, possono essere<br />

aggiornati e attualizzati.<br />

Un altro elemento (anzi: una condizione<br />

opportuna) è quello del<br />

wireless. Wireless vuole o vorrebbe<br />

dire entrare a far parte di un<br />

ecosistema in continua espansione<br />

e aderire a servizi che in parte<br />

ancora non sono stati inventati!<br />

Servizi che si appoggiano a una<br />

rete di comunicazione in rapidissima<br />

espansione. Wireless, oggi,<br />

non significa senza cavo, anzi: il<br />

paradosso è che significa “essere”<br />

cablati! Nell’accezione più profonda<br />

e “connessa” del termine. La<br />

possibilità di usufruire di servizi<br />

di streaming puro, di web-radio<br />

e di download (i primi e i terzi disponibili<br />

ormai in definizione CD<br />

e anche oltre) con diverse formule<br />

di abbonamento e acquisto accresce<br />

enormemente la versatilità di<br />

un sistema, ulteriore pilastro su<br />

cui è stato edificato il concetto di<br />

coordinato.<br />

Infine un ulteriore elemento che<br />

ricorre in questi prodotti e che,<br />

a torto o a ragione, viene citato<br />

come fattore di discrimine: la<br />

compatibilità con formati audio<br />

ad alta risoluzione. Una vera esigenza<br />

tecnica o una trovata marketing?<br />

Indubbiamente l’audio<br />

HD è un must di questi ultimi<br />

anni, un elemento tecnico che i<br />

vari prodotti (a qualunque categoria<br />

essi appartengano) ostentano<br />

con orgoglio. Rimane di fondo<br />

il tema inconfutabile che un’alta<br />

risoluzione non implica naturalmente<br />

un’elevata qualità tecnica<br />

del file audio corrispondente;<br />

per questo, se non ci aspettiamo<br />

sempre e comunque il coro degli<br />

angeli, ben venga che il sistema<br />

che andiamo ad acquistare sia in<br />

grado di farci ascoltare, eventualmente<br />

anche in modo “non” nativo,<br />

musica in PCM 192, 384 kHz<br />

e DSD che sia. È ipotizzabile in un<br />

futuro non lontano che il paradigma<br />

di Carly Fiorina (qualsiasi<br />

cosa, in qualsiasi posto e in qualsiasi<br />

momento) si arricchisca di<br />

un “qualsiasi modo”, frutto degli<br />

altri parametri descritti: se oggi è<br />

insensato riprodurre in streaming<br />

un file ad alta risoluzione su uno<br />

smartphone in movimento è anche<br />

vero che le inutili duplicazioni<br />

(di apparati e di standard in cui è<br />

codificata la musica) sono destinati<br />

a scomparire: in funzione delle<br />

nostre necessità, che si riflettono<br />

sul prodotto con cui le vogliamo<br />

attuare, ci verrà fornita la qualità<br />

migliore in quelle determinate<br />

condizioni! Se si considera, inoltre,<br />

il fatto che per loro natura i<br />

prodotti a base informatica sono<br />

upgradabili con facilità via software<br />

(quando previsto e quando<br />

possibile), gran parte del discorso<br />

sulle performance viene demandato<br />

a una scelta di fondo di apparecchiature<br />

che non abbiano<br />

vincoli eccessivamente limitanti<br />

e alla capacità organizzativa delle<br />

aziende di aggiornarne la release!<br />

Con i prodotti di nuova generazione<br />

è necessario comunque un<br />

primo approccio di set-up, una<br />

configurazione necessaria per<br />

portare la macchina a esprimere<br />

le sue massime prestazioni e/o<br />

funzionalità. Una serie di operazioni<br />

che l’audiofilo tradizionale<br />

non è abituato a fare e che in molti<br />

casi non vuole fare prima ancora<br />

di non saper fare. Un blocco mentale<br />

che lo riporta nella sua zona<br />

di comfort che arriva dal funzionamento<br />

semplice e lineare dei<br />

componenti del suo impianto<br />

storico, quello composto da prodotti<br />

mono-funzione. Lo stesso<br />

blocco mentale che impedisce a<br />

molti di accettare e ascoltare con<br />

una certa apertura e curiosità<br />

quelli che sono i nuovi prodotti<br />

Ritorno alle origini: il sistema come espressione di eccellenza. Alto artigianato e soluzioni<br />

(tra le altre un sistema che abbatte le vibrazioni interne) per Lyravox, società<br />

con sede ad Amburgo, che propone ben tre modelli. È controllabile via app, dispone<br />

di collegamento USB, ethernet e Bluetooth con aptX. Varie le essenze lignee lucidate<br />

in cui viene fornito. Davvero bellissimo!<br />

e le nuove tecnologie a essi collegati.<br />

Chi non prova ad accettare il<br />

nuovo, o quanto meno a fare un<br />

timido tentativo di conciliazione<br />

preventiva, rischia di perdere delle<br />

belle realtà. E con esse il modo<br />

di ascoltare musica, con un buon<br />

livello qualitativo, in situazioni<br />

che possono essere anche diverse<br />

dalla solita configurazione “due<br />

diffusori equidistanti e il divano<br />

in mezzo”. Possiamo ormai<br />

ascoltare musica in ogni situazione,<br />

con sorgenti differenti tra<br />

loro e ottenere un alto livello di<br />

piacevolezza, con la musica che<br />

torna al suo originario compito di<br />

espressione e supporto dei nostri<br />

sentimenti del momento e non di<br />

veicolo di stress da ansia da prestazione<br />

dell’impianto che la sta<br />

riproducendo. Recenti statistiche<br />

ci parlano di percentuali bulgare<br />

(siamo al 90% circa) di persone<br />

che ogni giorno ascoltano musica,<br />

il doppio di qualche decennio fa<br />

quando farlo era quasi un lusso<br />

e/o uno status symbol. Oggi è indubbiamente<br />

più facile ascoltare<br />

musica in qualsiasi momento e<br />

in qualsiasi luogo, basta volerlo.<br />

Venti euro al mese e Tidal, ad<br />

esempio, ci mette a disposizione<br />

tutta la musica che vogliamo/riusciamo<br />

ad ascoltare all’interno<br />

della sua libreria di 25 milioni di<br />

tracce accessibili; soprattutto, ci<br />

offre una qualità CD, lo stesso CD<br />

(singolo) che compreremmo con<br />

quei venti euro mensili. Qualcuno<br />

è già pronto a obiettare che serve<br />

sempre e comunque una connessione<br />

e anche di buona qualità,<br />

senza sapere che una delle funzioni<br />

di Tidal è di utilizzare una<br />

parte della memoria del dispositivo<br />

per ascoltare la musica scelta<br />

quando siamo obbligatoriamente<br />

offline (in aereo, ad esempio).<br />

Aggiungiamo anche la disponibilità<br />

di musica da scaricare a normale<br />

e alta risoluzione, in maniera<br />

semplice e, cercando bene, anche<br />

senza spendere troppo. Già, forse<br />

è il “non sapere” l’elemento che ci<br />

frena maggiormente dall’accettare<br />

questi nuovi prodotti e le tecnologie<br />

che li accompagnano, il “non<br />

sapere” che ce li fa immaginare<br />

difficili da configurare e gestire.<br />

Magari questo può essere (molto<br />

parzialmente) vero per quelli più<br />

smart e più net-oriented ma sicuramente<br />

non lo è per un sistema<br />

che accetta il Bluetooth o AirPlay,<br />

i due sistemi wireless più alla portata<br />

di tutti che il mercato possa<br />

presentare: uno o due pulsanti da<br />

attivare e nulla più. Tanto diverso<br />

dal play del lettore CD? Forse no<br />

(anzi, sicuramente no!); in cambio<br />

ci si apre un mondo di funzionalità<br />

e possibilità di utilizzo che vanno<br />

ben oltre il dischetto in policarbonato.<br />

Basta volerlo e saperlo.<br />

52 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


NON AVEVI<br />

SENTITO?<br />

LA QUALITÀ DEL <strong>SUONO</strong> È SEMPRE MOLTO IMPORTANTE<br />

I TUOI FILM E LA TUA<br />

MUSICA SUONERANNO<br />

MEGLIO<br />

Le Klipsch Reference Tractrix<br />

Horns ® offrono la più limpida<br />

e naturale riproduzione del<br />

suono grazie ad una precisa<br />

curvatura della tromba e a una<br />

finitura in gomma modellata<br />

a compressione per lo<br />

smorzamento delle risonanze.<br />

LA POTENZA DEL RAME<br />

I famosi woofer in rame Cerametallic TM<br />

Klipsch sono straordinariamente<br />

leggeri e al contempo rigidi,<br />

per riprodurre un’incredibile risposta<br />

alle basse frequenze con minima<br />

distorsione.<br />

ALTA EFFICIENZA =<br />

<strong>SUONO</strong> MIGLIORE<br />

Il sistema Linear Travel Suspension<br />

dei nostri tweeter al titanio,<br />

riduce la distorsione, offrendo<br />

una riproduzione estremamente<br />

naturale e cristallina delle alte<br />

frequenze.<br />

UN DESIGN<br />

STRAORDINARIO<br />

PER UN <strong>SUONO</strong><br />

STRAORDINARIO<br />

I pannelli anteriori senza<br />

giunzioni rifiniti in polimero<br />

spazzolato nero e le griglie<br />

asportabili a fissaggio magnetico<br />

della serie Reference Premiere,<br />

denotano un design molto lineare<br />

che accompagna<br />

un suono di straordinaria<br />

potenza.


selector<br />

a cura della redazione<br />

COORDINATI<br />

SAMSUNG R6<br />

Piccola ma doverosa premessa:<br />

nel 1999 Samsung<br />

introduce la gamma YEPP<br />

di lettori con memoria di<br />

massa. Solo due anni dopo<br />

(ottobre 2001) arriverà l’i-<br />

Pod... L’azienda coreana (a<br />

dire il vero anche Philips e<br />

pochi altri) aveva intuito<br />

la rivoluzione che avrebbe<br />

attraversato la musica;<br />

che per sviluppare il progetto<br />

occorresse occuparsi<br />

anche dell’aspetto software,<br />

la vera forza di Apple,<br />

è un’altra storia... Non<br />

solo: YEPP era l’acronimo<br />

per “young, energetic, passionate<br />

person”: a essere<br />

centrato fu dunque anche<br />

il target, sebbene poi il<br />

progetto si rivelò una<br />

grande opportunità<br />

incompiuta...<br />

Aben vedere la storia di<br />

Samsung nell’Hi-Fi è<br />

fatta di enormi potenzialità<br />

(il direttore di questo<br />

giornale, che l’ha visitata, parla<br />

di centri ricerca mirabolanti!)<br />

spesso incompiute, come<br />

nel caso della gamma YEEP<br />

ma anche del DA-E750 (provato<br />

su <strong>SUONO</strong> 489 – ottobre<br />

2014), rimasto una boutade per<br />

quanto eccitante (dove si è mai<br />

visto un coordinato / soundbar<br />

a valvole?).<br />

Anche per il progetto “R” sono<br />

state messe in campo ingenti<br />

risorse: nel 2013 è stato creato<br />

a Santa Clarita, in California,<br />

non lontano dagli Studios<br />

Hollywoodiani, l’Audio<br />

Lab, struttura di<br />

ricerca dove lavorano<br />

una<br />

quindicina di persone dirette<br />

da Allan Devantier; ingegnere<br />

di spicco del Canadian National<br />

Research Council prima e<br />

della Harman Industries poi,<br />

il responsabile del progetto “R”<br />

ha voluto all’interno del proprio<br />

team cinque musicisti (ma<br />

ve li immaginate gli orientali a<br />

combattere con un approccio<br />

umanistico?). Devantier ci ha<br />

spiegato: “I musicisti sono una<br />

parte attiva dello sviluppo di un<br />

nuovo dispositivo; per la creazione<br />

dell’R6 e dell’R7 abbiamo<br />

realizzato migliaia di modelli<br />

3D al computer per trovare la<br />

forma ideale in grado di gestire<br />

il miglior suono possibile, sottoponendoli<br />

di volta<br />

in volta<br />

a l l e<br />

“ottime orecchie” che avevamo<br />

a disposizione. Abbiamo ascoltato<br />

i suoni prodotti a lungo e<br />

con estrema attenzione”.<br />

Il risultato di questo sforzo è<br />

una gamma composta da due<br />

sistemi omnidirezionali caratterizzati<br />

da un originale design<br />

che ne consente (nel caso<br />

del modello maggiore R7) una<br />

sospensione “aerea”, appeso<br />

al soffitto. L’R6, l’apparecchio<br />

qui in prova, è invece un sistema<br />

di più piccole dimensioni il<br />

cui corpo principale è costituito<br />

da due gusci separati lungo<br />

la longitudine accoppiati fra<br />

loro e rifiniti con la flangia del<br />

tweeter nella parte alta e quella<br />

del woofer, collocato in posizione<br />

opposta, nella parte bassa.<br />

All’interno è contenuta anche<br />

l’elettronica di gestione e amplificazione<br />

mentre la batteria<br />

è nel basamento inferiore.<br />

Il woofer, con la membrana<br />

in carta da 12,5 cm e la<br />

sospensione in gomma rovesciata,<br />

emette verso la<br />

base, dove è stato ricavato<br />

un elemento in plastica<br />

cromata con un profilo<br />

a cuspide leggermente<br />

curvato. Sulla faccia<br />

anteriore sono collocati<br />

i comandi a sfioramento<br />

per l’accensione, la<br />

selezione degli ingressi e la<br />

regolazione del volume e il<br />

tasto play/pausa. La pressione<br />

Prezzo: € 299,00<br />

Dimensioni: 15,7 x 23,2 x 15,7 cm (lxaxp)<br />

Peso: 1,8 kg<br />

Distributore: Samsung Electronics Italia<br />

Via C. Donat Cattin, 5 - 20063 Cernusco Sul Naviglio (MI)<br />

Tel. 02.92.18.91 - Fax 02.92.141.801<br />

www.samsung.it<br />

DIFFUSORI Samsung R6<br />

Diffusori: sistema omnidirezionale con tweeter da 25 mm e woofer<br />

da 12,5 Telecomando: via app Note: Wireless e Bluetooth.<br />

Formati compatibili: AAC, MP3, OGG, AIFF, ALAC, WAV, Flac fino<br />

a 192/24 prezzo cadauno.<br />

54 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test<br />

Il tweeter a cupola morbida è collocato in<br />

alto con un diffrattore acustico e il woofer<br />

emette verso il basso attraverso una feritoia<br />

circolare che corre lungo la base al cui<br />

interno è contenuta la batteria Li-Ion da 12V<br />

e 2800mA.<br />

combinata del tasto play e degli<br />

ingressi mette l’apparecchio<br />

nella modalità “ascolto” per<br />

l’avvio delle procedure guidate<br />

tramite app di configurazione<br />

manuale della rete wireless entro<br />

cui verrà inserito il sistema.<br />

Grazie alla sua natura l’R6 è in<br />

grado di offrire una decorosa<br />

scena sonora quasi a prescindere<br />

dalla posizione; sorprende,<br />

invece, che proprio all’interno<br />

di una libreria l’apparecchio<br />

manifesti i maggiori limiti in<br />

tal senso! È inoltre possibile indirizzare<br />

un segnale stereo anche<br />

a un’unica unità, in favore<br />

di una trasportabilità maggiore<br />

ma… scordatevi la soglia minima<br />

di qualità che definiamo<br />

Hi-Fi. Utilizzando una coppia<br />

di apparecchi il costo lievita a<br />

circa 600 euro ma è ipotizzabile<br />

un confronto con un setup<br />

tradizionale (integrato più<br />

due diffusori) senza che l’R6<br />

sia perdente di default… A quel<br />

punto il fattore discriminante<br />

potrebbe essere la modalità di<br />

utilizzo da voi scelta: il collegamento<br />

Bluetooth è abbastanza<br />

“standard” mentre quello alla<br />

rete segue una procedura un po’<br />

farraginosa ma comunque favorita<br />

da una serie di indicazioni<br />

guidate abbastanza chiare ed<br />

efficaci<br />

in più<br />

situazioni e<br />

con diversi dispositivi (sebbene<br />

ci siano alcune differenze tra la<br />

gestione iOS e quella Android).<br />

Nel caso del collegamento alla<br />

rete c’è sempre bisogno di una<br />

rete Wi-Fi preesistente e già<br />

configurata e funzionante... Il<br />

sistema non è DLNA compliance<br />

e, di fatto, necessita della app<br />

per funzionare e abbinarsi con<br />

le altre risorse già presenti nelle<br />

rete domestica; per utilizzare<br />

musica presente sul computer<br />

bisogna installare un’altra applicazione<br />

per condividere i<br />

contenuti a differenza, ad esempio,<br />

del caso DLNA o ancor più<br />

dell’Airplay. Certo l’aderenza a<br />

uno dei due standard o anche<br />

a tutti e due non è di per sé garanzia<br />

di eccellenti funzionalità<br />

e usabilità (altrimenti non<br />

assisteremo a un proliferare di<br />

apparecchi e app che tentano<br />

di semplificare e ottimizzare i<br />

processi) ma consente di usare<br />

i prodotti con gran parte delle<br />

apparecchiature esistenti. Nel<br />

caso di Samsung, però, bisogna<br />

inserire “strati” intermedi che<br />

fanno<br />

da tramite<br />

solo per consentire<br />

il funzionamento del<br />

dispositivo e non per “andare<br />

oltre” le performance di base.<br />

Qual è, dunque, l’ipotetico profilo<br />

dell’utente tipo dell’R6? È<br />

evidente che non è quello di un<br />

fruitore di musica “strutturato”<br />

e verticale ma, piuttosto, di<br />

un consumatore generico a cui<br />

fornire un apparato il più possibile<br />

plug ‘n’ play, con i pregi<br />

e i limiti di questa soluzione.<br />

Da ciò si evince che la gestione<br />

della musica e, soprattutto,<br />

della collezione musicale non<br />

è uno degli obiettivi principali<br />

della funzionalità del sistema<br />

mentre vengono valorizzati i<br />

servizi di streaming. Il sistema<br />

è pensato per essere usato da un<br />

dispositivo mobile/portatile e<br />

non come un oggetto inserito in<br />

un ecosistema, quasi a mo’ di<br />

peer to peer, anche se poi sono<br />

state implementate funzioni<br />

di collegamento a televisori<br />

(gli R6 sono pensati per essere<br />

abbinati a televisori dotati di<br />

funzionalità smart o di collegamento<br />

Bluetooth, solo che la<br />

compatibilità del prodotto viene<br />

proposta per i modelli prodotti<br />

dopo il 2012 e solo in seguito a<br />

una verifica della compatibilità<br />

del televisore con la funzione<br />

SondConnect). La funzione di<br />

multiroom è molto ben implementata<br />

nella app e il sistema<br />

risponde molto rapidamente e<br />

velocemente all’abbinamento<br />

fra più dispositivi e al controllo<br />

master di tutti. Il sistema è inoltre<br />

dotato di una batteria abbastanza<br />

capiente da 12V 2800<br />

mA, indicativamente sufficiente<br />

per una durata media di sei ore<br />

di musica a livelli “medi”. L’R6<br />

sembra pensato più per essere<br />

trasportato che per essere utilizzato<br />

in portabilità: è praticamente<br />

imprendibile e bisogna<br />

stare attenti a non introdurre<br />

la punte delle dita nella feritoia<br />

del tweeter per non gravare<br />

sulla lente acustica superiore<br />

(come peraltro esplicitato nel<br />

manuale di istruzioni che, nota<br />

di servizio, presenta molte incongruità).<br />

Inoltre i comandi<br />

a sfioramento sulla parte anteriore<br />

si attivano abbastanza<br />

facilmente, rendendo ancor<br />

più complesso il trasporto del<br />

prodotto.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Soluzione complessa e originale sebbene i tweeter<br />

necessiterebbero di soluzioni più mirate.<br />

Nella media l’elettronica.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Un valore aggiunto che si scontra, però, con<br />

un design apparentemente in contrasto con le<br />

finalità del prodotto.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Limitata dalla mancata compatibilità DLNA:<br />

l’apparecchio è utilizzabile solo attraverso l’app<br />

proprietaria e mal si interfaccia con DNS in rete.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

A bassi e medi livelli la riproduzione risulta<br />

gradevole e di buon “riempimento” anche se un<br />

controllo del loudness più intelligente/reattivo<br />

avrebbe giovato.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Voto alto all’azienda ma la filosofia volta alla<br />

sostituzione più che all’aggiornamento, unita<br />

alla rapida obsolescenza della categoria, pesa!<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Nel nuovo che avanza c’è di meglio...<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 55


selector<br />

Marshall Stanmore<br />

Prezzo: € 399,00<br />

Dimensioni: 35 x 18,5 x 18,5 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5,1 kg<br />

Distributore: Marshall<br />

Marshall Stanmore<br />

Amplificatore: 2x20 + 1x40 watt Diffusori:<br />

2x Tw 1,9 cm - 1x Wf 13,5 cm<br />

Cambridge Audio<br />

Air200<br />

Più che una connettività spinta o funzioni<br />

particolari il motivo per mettere in casa<br />

uno Stanmore è il fascino del marchio e il<br />

richiamo estetico ai grandi monitor da palco<br />

della stessa Marshall. Connessioni via<br />

cavo in formato mini-jack analogico e ottico<br />

digitale; wireless con streaming Bluetooth<br />

aptX: senza funzioni di rete lo Stanmore è<br />

dedicato a chi vuole musica senza complicazioni.<br />

Ottanta watt erogati sulla coppia<br />

di tweeter e l’unico woofer: quello che otteniamo<br />

è un punch elevato, un sound avvolgente<br />

e un grande coinvolgimento. La<br />

natura “analogica” dello Stanmore è confermata<br />

dall’assenza di un’app di controllo<br />

e dalla presenza di tre manopole fisiche che<br />

regolano classicamente volume, alti e bassi.<br />

Non è come stare su un palco ma il piccolo<br />

Stanmore qualche brividino di piacere lo<br />

dà comunque.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Pesante e consistente, aggiungi pure la cura<br />

elevata dei particolari che lo assimilano ad un<br />

ampli da palco. Suggestioni!<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Per dimensioni e peso lo Stanmore è una via di<br />

mezzo tra un prodotto fisso e uno trasportabile.<br />

O forse ha i vantaggi di entrambi.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■<br />

La più bassa del lotto di prodotti presi in esame:<br />

un paio di analogici, un digitale e l’immancabile<br />

Bluetooth, senza ombra di rete.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Un pezzo rock ascoltato con lo Stanmore è coinvolgente<br />

per il nome del produttore ma anche,<br />

e soprattutto, per il sound che ne otteniamo.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Si sta ampliando velocemente la gamma prodotti<br />

di questa sezione di Marshall: speaker, cuffie e<br />

recentemente anche uno smartphone.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

399 euro (anche online, direttamente dal sito<br />

Marshall) si scontrano con prodotti dal prezzo<br />

simile ma con maggiori funzionalità, sopratutto a<br />

livello di network.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Il telaio è solido e non vibra nemmeno quando<br />

la pressione sonora è alta, grazie alla elevata<br />

potenza e al subwoofer di buone dimensioni.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

L’app è semplice e oltre le web-radio offre poco<br />

di più. Per utilizzare Spotify Connect bisogna<br />

servirsi dell’app specifica.<br />

Prezzo: € 549,00<br />

Dimensioni: 45 x 22 x 17,4 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5,1 Kg<br />

Distributore: Hi-Fi United<br />

Via Manfredi, 98 - 29122 Piacenza (PC)<br />

Tel. 0523.71.61.78 - Fax 0523.71.60.76<br />

www.hifiunited.it<br />

Air200<br />

Sintonizzatore: radio internet Amplificatore:<br />

in Classe D, 200W, ingressi<br />

Ethernet, Wifi, analogico Aux Diffusori:<br />

2 altoparlanti BMR da 6 cm,<br />

subwoofer 16,5 Componenti: integrato<br />

Telecomando: si Note: diffusore<br />

wireless con Airplay e Bluetooth aptX.<br />

Internet radio con 5 preselezioni.<br />

L’Air200 è il top della gamma destinata<br />

alle nuove generazioni in casa Cambridge.<br />

Compatibilità AirPlay, come sottolinea la<br />

sua stessa sigla, ma anche Bluetooth aptX<br />

e Wi-Fi ma senza funzionalità evolute di<br />

rete (DLNA, per esempio) e audio HD; un<br />

ingresso mini-jack per la compatibilità con<br />

sorgenti analogiche. La sezione di potenza<br />

da circa 200 watt in Classe D è dedicata a un<br />

sistema 2.1 che utilizza una coppia di speaker<br />

full-range BMR (Balanced Mode Radiator<br />

a profilo piatto) da 6 cm e un subwoofer<br />

da 16 cm. L’app dedicata permette semplicemente<br />

di selezionare e scegliere le web radio<br />

station da ascoltare; per Spotify Connect<br />

c’è bisogno dell’app specifica. Un piccolo<br />

telecomando in dotazione replica i comandi<br />

presenti sulla parte superiore dell’Air200.<br />

versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

No DLNA e audio HD; gli ingressi AirPlay e Bluetooth<br />

permettono di utilizzare le più comuni sorgenti<br />

wireless. Per quelle analogiche c’è il mini-jack.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

La gamma bassa è potente, anzi, in certi momenti<br />

diventa... prepotente. Nella parte più alta<br />

manca un po’ di presenza e precisione.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Cambridge dovrebbe pescare con meno parsimonia<br />

nelle funzioni di rete dei suoi tanti streamer<br />

e regalare qualcosa all’Air200!<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Senza DLNA e audio HD il prezzo di listino<br />

dell’Air200 risulta un po’ elevato, soprattutto<br />

perché tanti concorrenti offrono più funzionalità<br />

e versatilità.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

56 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


SPECIALE COORDINATI<br />

Pioneer X-HM82<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

In evidenza per i diffusori la fibra di vetro del<br />

midwoofer; anche l’elettronica in generale regala<br />

feedback positivi sulla sua struttura.<br />

Prezzo: € 599,00<br />

Dimensioni: Elettronica 29 x 10 x 33 -<br />

Diffusori 15,6 x 26,6 x 25,8 cm (lxaxp)<br />

Peso: 4,8+4,3 Kg<br />

Distributore: Pioneer Italia<br />

Via R. Lepetit, 8 - 20020 Lainate (MI)<br />

Tel. 02.93911 - Fax 02.9391300<br />

www.pioneer.it<br />

Pioneer X-HM82<br />

Tipo: midi Lettore CD: R/RW Sintonizzatore:<br />

AM/FM Amplificatore:<br />

2x50 @4 Ohm Diffusori: 2 vie - Tw<br />

2,5 cm - MWf 12 cm Telecomando:<br />

si Note: AirPlay, Wi-Fi, Bluetooth,<br />

Audio HD PCM (fino a 192 kHz) e DSD<br />

(2,8 MHz), Ethernet, Spotify Connect,<br />

vTuner.<br />

Elettronica multi-formato più una coppia di<br />

diffusori: il tutto in dimensioni compatte e,<br />

nel caso della prima, con buona versatilità.<br />

In evidenza la possibilità di streaming in<br />

HD: PCM fino 192 kHz (Wav, Flac, Aiff) e<br />

DSD 2,8 MHz su rete cablata e USB, PCM<br />

fino a 48 kHz su rete wireless. Funzionalità<br />

di rete: AirPlay, Wi-Fi (IEEE802.11 b/g) con<br />

due antenne, DLNA 1.5 DMR certificato,<br />

Spotify ready e web-radio su piattaforma<br />

vTuner. Meccanica di lettura CD R/RW.<br />

Connessioni: USB per collegamento in digitale<br />

per iPod / iPhone / iPad, Bluetooth<br />

3.0 aptX, ingresso digitale ottico, doppio<br />

analogico RCA, mini-jack, uscita cuffia e<br />

uscita per subwoofer attivo, porta Ethernet<br />

10/100. Display LCD sul pannello frontale;<br />

telecomando e app (iOS e Android) per la<br />

gestione delle funzioni. Firmware aggiornato<br />

all’estate 2015. Sezione di potenza da<br />

2x50 watt in Classe D.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Per un sistema compatto e relativamente poco<br />

costoso c’è tutto e di buon livello: connessioni<br />

cablate e non, audio HD e app.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

A questo prezzo c’è poco da chiedere oltre: tiri<br />

fuori dalla scatola l’impianto e poco dopo hai<br />

musica di buona qualità da tante fonti diverse.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Per stanze di dimensioni piccole e medie il sistema<br />

è sufficiente e completo; in alternativa si può ricorrere<br />

all’uscita pre-out collegando un sub.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Pioneer sta attraversando un periodo di grandi e<br />

profonde rivoluzioni societarie e di riposizionamento<br />

sul mercato; urgono news sul prossimo futuro.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Lo street price si annuncia ancora più favorevole.<br />

Disponibile il modello X-HM72 con diffusori<br />

più semplici a cento euro in meno. Comunque<br />

un buon affare.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

Onkyo CS-N765<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Nel suo piccolo (come dimensioni) la struttura è<br />

buona e con componenti di qualità; lo stile è quello<br />

asciutto tipico di molta della produzione Onkyo.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Telecomando e app permettono di gestire facilmente<br />

e intuitivamente tutte le sue funzioni principali<br />

e anche la gestione delle librerie audio da rete.<br />

Prezzo: € 599,00<br />

Dimensioni: elettronica:<br />

21,5x11x9x33x1 - diffusori:<br />

15,4x24,5x25,8 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5+3,6 Kg<br />

Distributore: Tecnofuturo S.r.l.<br />

Via Rodi, 6 - 25124 Brescia (BS)<br />

Tel. 030.2452475 - Fax 030.2475606<br />

www.tecnofuturo.it<br />

Onkyo CS-N765<br />

Tipo: midi Lettore CD: si Sintonizzatore:<br />

AM/FM Amplificatore: 2x22<br />

@ 4 Ohm Diffusori: D-055 2 vie: Mw<br />

12 cm, Tw 2,5 cm Cuffia: 150+150<br />

mW Componenti separati: sintoamplificatore<br />

/ CD e diffusori Telecomando:<br />

si Note: Sistema micro<br />

Audiophile composto da sintoampli /<br />

CD CR-N755 e diffusori a 2 vie D-055;<br />

compatibile PCM 24 bit / 192 kHz e<br />

DSD 5.6 MHz; porta di rete DLNA; ingressi<br />

analogici e digitali (USB-ottico,<br />

coassiale).<br />

Fattore-forma quanto di più vicino a un sistema<br />

audio tradizionale, con l’elettronica<br />

principale e i due diffusori. In e out analogici,<br />

l’ingresso USB e i due ottico e coassiale<br />

e la porta di rete dalla quale (con la USB)<br />

gestire file audio anche in HD: PCM fino a<br />

24 bit / 192 kHz e DSD nativo 5.6 MHz, con<br />

sezione di conversione con chip AK4490<br />

VERITA. Lo streaming Bluetooth aptX è<br />

possibile solo con l’acquisto del dongle dedicato.<br />

La porta USB sul frontale gestisce<br />

il collegamento con iPod e gli altri iDevice<br />

in digitale. L’app Onkyo Music permette<br />

di sfogliare le librerie musicali in rete (con<br />

supporto DLNA) e accedere direttamente<br />

ad alcuni servizi remoti come Spotify. Uscita<br />

cuffia da 150+150 mW utilizzabile con trasduttori<br />

tra 16 e 600 Ohm di impedenza.<br />

versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Ingressi analogici, digitale, rete DLNA, USB, audio<br />

HD PCM e DSD, meccanica CD e radio, uscita<br />

cuffia e un buon amplificatore: serve altro?<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

L’aggiunta di un subwoofer attivo (pre-out<br />

dedicato) aggiunge il giusto punch in basso;<br />

buona il resto della gamma, definita e precisa.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Azienda solida, con un catalogo ampio e ben diversificato;<br />

il firmware del sistema è aggiornabile<br />

(via rete e USB) e questo è un elemento positivo.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Poche mancanze (il dongle per il Bluetooth<br />

in primis) e tanti plus per il piccolo sistema di<br />

Onkyo: una soluzione low-cost per apprezzare<br />

la musica HD e la rete.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 57


selector<br />

Bluesound Pulse 2<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Solido ma dall’aspetto abbastanza lineare, al<br />

limite dell’anonimo. Il consistente telaio in plastica<br />

non vibra nemmeno quando la pressione<br />

sonora è elevata.<br />

Prezzo: € 799,00<br />

Dimensioni: 42 x 19,8 x 19,2 cm (lxaxp)<br />

Peso: 6,12 Kg<br />

Distributore: Pixel Engineering S.r.l.<br />

Via San Francesco 4 - 21013 Gallarate (VA)<br />

Tel. 0331.78.18.72 - Fax 0331.71.85.21<br />

www.pixelengineering.it<br />

Bluesound Pulse 2<br />

Formati audio compatibili: PCM, AIFF,<br />

WAV, Apple Lossless, FLAC, MP3 cbr, MP3<br />

vbr, AAC, WMA, Web Radio Tipo: stereo<br />

Tecnologia: a stato solido Amplificazione:<br />

3 x 80 W su 8 Ohm in<br />

classe D Risp. in freq. (Hz): 45-20k THD<br />

(%): 0,005 Ingressi digitali: Ottico (1),<br />

USB Standard (1), Ethernet (1), Wi-Fi<br />

(1) Accessori e funzionalità aggiuntive:<br />

Ingresso cuffia Note: altoparlanti 2<br />

full-range da 6 cm e 1 wf da 13 cm; Bluetooth<br />

4.0 aptX<br />

Seconda generazione dei prodotti Bluesound<br />

e del Pulse 2 nello specifico con processori<br />

di maggiore potenza (Arm A9) e una<br />

migliore connettività. Rimane la possibilità<br />

di realizzare un sistema multiroom articolato<br />

e flessibile con i diversi componenti<br />

della serie ma anche la chiusura verso il<br />

protocollo DLNA (la rete locale Bluesound<br />

è proprietaria), streaming audio 24 bit / 192<br />

kHz, la compatibilità con la maggior parte<br />

dei file audio, l’interfaccia semplificata verso<br />

un buon numero di servizi di streaming<br />

e download (Tidal in testa), il supporto a<br />

MQA. A bordo una sezione di potenza da<br />

80 watt che triamplifica un woofer e due<br />

full-range. Connessioni cablate Ethernet,<br />

USB-A, combo - Toslink 3,5 mm; wireless<br />

Wi-Fi e Bluetooth 4.0 aptX; uscita cuffia.<br />

App per mobile (iOS, Android) e fisso (OSX<br />

e Windows).<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

La non adesione al protocollo DLNA getta<br />

qualche ombra sul Pulse 2; rispetto alla prima<br />

versione spunta l’uscita cuffia e un processore<br />

più potente.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

File compressi, a pieno formato e in HD: il Pulse<br />

2 è pronto a gestire l’audio in tutte le sue forme<br />

e da diverse piattaforme, locali e remote.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Il livello sonoro è buono, così come la gamma<br />

medio-alta; quella bassa soffre un pochino se<br />

esageriamo con il volume.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Bluesound è un brand di NAD e questo è un dato<br />

rassicurante. Rimane il dubbio sul futuro di un<br />

sistema operativo chiuso verso il mondo DLNA.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Solifità e gestione HD fanno, almeno in parte, digerire<br />

un prezzo non proprio popolare<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

Naim Audio<br />

Mu-so Qb<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Alla solita elevata qualità strutturale tipica di<br />

Naim il Mu-so Qb aggiunge un design essenziale<br />

ma curato, da perfetto prodotto lifestyle.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Le dimensioni compatte permettono di collocarlo<br />

più facilmente in confronto con il Mu-so<br />

grande. Connettività semplificata.<br />

Prezzo: € 895,00<br />

Dimensioni: 21 x 21,8 x 21,2 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5,6 Kg<br />

Distributore: Green Sounds<br />

Via Manfredi 98 - 29122 Piacenza (PC)<br />

Tel. 0523.462021<br />

www.greensounds.it<br />

Naim Audio Mu-so Qb<br />

Amplificatore: 4x50 + 1x100 Diffusori:<br />

2 Tw, 2 Md, 1 Wf ellittico, 2 Radiatori<br />

passivi ellittici Note: UPnP, AirPlay,<br />

Ethernet, Wi-Fi Ingressi audio: ottico<br />

S/PDIF8 (fino a 96 kHz), USB tipo A<br />

per iPod, Bluetooth aptX. Formati<br />

supportati: WAV, FLAC e AIFF (fino a<br />

24/192), ALAC (fino a 24/96). Case in<br />

fibra di vetro e alluminio.<br />

Il nuovo Mu-so Qb prova a contenere in un<br />

case più compatto tecnologie e componenti<br />

già visti sul precedente Mu-so. Simile la<br />

sezione di controllo (DSP a 32 bit), qualche<br />

watt in meno, simili gli altoparlanti che perdono<br />

un woofer ma acquistano due radiatori<br />

passivi. Per la compattezza del frontale<br />

rispetto al Mu-so originale, le due coppie di<br />

tweeter e midrange sono state angolate di<br />

45 gradi, divergenti tra di loro, per ampliare<br />

meccanicamente il fronte sonoro. Buona<br />

compatibilità con diversi formati audio,<br />

anche in HD ma solo per PCM. UPnP e<br />

AirPlay, Bluetooth aptX, Spotify Connect e<br />

Tidal. Con l’app dedicata (iOS e Android) è<br />

possibile creare e gestire una rete con 5 unità<br />

collegabili tra di loro, sia della serie Mu-so<br />

che Uniti e Naim streaming in genere.<br />

versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Ci sono le connessioni wireless che contano, un<br />

ingresso analogico che è sempre comodo, UPnP e<br />

rete locale. Manca il supporto per DSD.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Quasi difficile credere che da un cubotto così<br />

piccolo possa venire fuori così tanta musica, di<br />

buona qualità e di adeguato livello sonoro.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Naim sta riversando nella serie Mu-so i suoi<br />

punti di forza e il forte know-how acquisito<br />

nella distribuzione in rete di contenuti audio.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Meno di 900 euro di listino per un prodotto che<br />

è un concentrato di funzionalità e tecnica, con il<br />

plus non irrilevante di un design coinvolgente.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

58 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


SPECIALE COORDINATI<br />

Geneva Lab<br />

AeroSphere Large<br />

Prezzo: € 969,00<br />

Dimensioni: 40 x 40 x 32 cm (lxaxp)<br />

Peso: 8 kg<br />

Distributore: Sounders S.r.l.<br />

Via Giovanni Bellezza, 11<br />

20136 Milano (MI)<br />

Tel. 02/4222855 - Fax 02/4232716<br />

www.sounders.it<br />

Geneva AeroSphere Large<br />

Amplificatore: cinque canali con<br />

DSP Diffusori: 2.1 - 2x Tw 2,5, 2x Mw<br />

10 cm, 1x SubWf 16 cm Note: Diffusore<br />

singolo con sistema 2.1 multiamplificato<br />

in Classe D con DSP; disponibile<br />

app di controllo per iOS e Android;<br />

collegamenti Wi-Fi DLNA, AirPlay, Bluetooth<br />

aptX.<br />

Tanta attenzione al design e alla facile connessione<br />

e gestione delle diverse sorgenti<br />

cablate e non. È il profilo sintetico dell’AeroSphere<br />

Large di Geneva dalla forma quasi<br />

circolare, che integra un sistema 2.1 a cinque<br />

altoparlanti multi-amplificato in Classe<br />

D con DSP con algoritmo proprietario.<br />

Sono preferiti e semplificati i collegamenti<br />

wireless (AirPlay, DLNA, Bluetooth 2.1 con<br />

protocollo aptX) ma è presente anche un<br />

input analogico mini-jack. Per espandere le<br />

connessioni è possibile aggiungere (in wireless)<br />

l’unità Base che integra lettore CD, sinto<br />

radio FM/Dab + e un ulteriore mini-jack.<br />

Della AeroSphere è disponibile la versione<br />

Small di dimensioni più compatte (23 cm di<br />

diametro) e solo due speaker (tweeter da 2,5<br />

cm e midwoofer da 10). Si può realizzare un<br />

piccolo sistema multiroom che conta fino a<br />

quattro AeroSphere, gestibili via app (iOS<br />

e Android).<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Alluminio e plastiche di buona qualità: il design dei<br />

prodotti Geneva è molto particolare ma ti lascia<br />

sempre una sensazione di consistenza e solidità.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

L’app (per iOS e Android) permette di gestire<br />

tutte le funzionalità del prodotto e la gestione<br />

della rete in cui è inserita; particolarmente chiara<br />

la grafica.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

AirPlay, DLNA e Bluetooth coprono le principali<br />

esigenze di collegamento wireless, l’opzione del<br />

modulo Base per CD e FM/DAB. No audio HD.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

La suggestione che sia una “lampada” o un elemento<br />

di arredo a suonare è forte; allineato allo<br />

standard Geneva (e quindi buono) il suono.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Geneva ha ormai superato ogni esame e si è ritagliato<br />

un proprio ruolo stabile e ben definito; la<br />

serie AeroSphere riflette queste caratteristiche.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Poco meno di mille euro per un sistema audio<br />

che è anche un elemento di arredo, bello da vedere<br />

e valido nelle sue funzioni di ascolto.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

JBL<br />

Authentics L 16<br />

Prezzo: € 999,99<br />

Dimensioni: n.d.<br />

Peso: n.d.<br />

Distributore: JVC Kenwood Italia<br />

Via G.Sirtori 7/9 - 20129 Milano (MI)<br />

Tel. 02.20.48.21 - Fax 02.29.516.281<br />

www.kenwood.it<br />

JBL Authentics L 16<br />

Amplificatore: 6 x 50W Note: Sistema<br />

sonoro high-end connettività<br />

wireless Bluetooth, DLNA, AirPlay, Nfc<br />

per pairing automatico Ingresso Aux<br />

per connettere il lettore MP3 o altre<br />

sorgenti musicali Porta bass-reflex.<br />

Design volutamente old-style, con finitura<br />

in legno e griglia a scacchi che richiama una<br />

certa produzione JBL di qualche anno fa<br />

(Century L100 per la precisione). Si tratta<br />

di un doppio tre vie (ma esiste anche l’L8 a<br />

due) con una sezione di amplificazione da<br />

6x50 watt in Classe D: un piccolo JBL al<br />

100%, con tanto punch e una gamma bassa<br />

potente che non ti aspetti da un prodotto<br />

di dimensioni sostanzialmente contenute.<br />

Tanta roba dentro l’L16, a cominciare da un<br />

imprevedibile ingresso phono MM, un ingresso<br />

analogico mini-jack, analogico RCA<br />

(selezionabile linea o phono), un digitale<br />

ottico (24 bit / 96 kHz) e due USB per la<br />

sola ricarica e aggiornamento firmware; per<br />

il wireless compatibilità AirPlay, Bluetooth<br />

(anche NFC), Wi-Fi con supporto DLNA.<br />

App JBL Music. Circuito Clari-Fi per l’equalizzazione<br />

dei file compressi.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Curato nei particolari e ben solido, anche nei<br />

momenti di maggior pressione sonora; non ci<br />

sono rumori e vibrazioni anomali.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Non è facilmente trasportabile per il peso non<br />

proprio piuma, per cui è adatto a un uso sostanzialmente<br />

statico. Telecomando e app per<br />

il controllo a distanza.<br />

versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Facile l’inserimento in rete, in rilievo il phono MM<br />

e una buona dotazione di ingressi cablati e non;<br />

punto negativo le USB che non gestiscono audio.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Un JBL in piccolo con la sua gamma bassa piena<br />

e potente, pressione sonora che riempie facilmente<br />

una stanza di medie dimensioni.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

JBL da tempo sta dimostrando una notevole vivacità<br />

nel settore dei diffusori / sistemi wireless, con<br />

soluzioni per diverse esigenze.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Non proprio contenuto: ma la completezza delle<br />

funzioni e il risultato sonoro sono comunque di<br />

un certo pregio.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 59


selector<br />

Arcam Solo Bar<br />

Prezzo: € 1.300,00<br />

Dimensioni: 100 x 13 x 11 cm (lxaxp)<br />

Peso: 6,4 Kg<br />

Distributore: MPI<br />

Via De Amicis, 10/12<br />

20010 Cornaredo (MI)<br />

Tel. 02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />

www.mpielectronic.com<br />

ArCAM Solo Bar<br />

Amplificatore: 100 watt in Classe<br />

D Diffusori: 4x 100 mm, 2x 25<br />

mm Note: Soundbar; ingresso HDMI<br />

compatibile 4K; ingressi digitali ottico e<br />

coassiale; ingresso analogico mini-jack;<br />

Dolby e DTS; ricevitore Bluetooth aptX;<br />

App per iOS e Android; disponibile<br />

subwoofer attivo Solo Sub da 300 watt e<br />

woofer 250 mm a 1.000 euro.<br />

Il fattore forma e la sigla ricordano una<br />

soundbar ma la soluzione offerta da Arcam<br />

aggiunge alle funzioni audio-video<br />

tipiche del genere una discreta connettività<br />

da sfruttare anche per l’audio. Quindi<br />

in/out HDMI con gestione dei formati<br />

HD audio-video, ingresso digitale ottico e<br />

coassiale, ingresso analogico, connettività<br />

Bluetooth aptX, uscita per subwoofer, uscita<br />

per microfono. La correzione ambientale<br />

assistita (con microfono e software integrato)<br />

interviene per compensare asimmetrie<br />

della stanza e zone di particolare livello di<br />

riflessioni. La sezione di potenza integrata,<br />

dichiarata da Arcam per 100 watt, è sufficiente<br />

a riempire adeguatamente una stanza<br />

anche non proprio piccola; con l’aggiunta<br />

del subwoofer wireless dedicato (Solo Sub)<br />

sale, naturalmente, la pressione e l’estensione<br />

della gamma bassa.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Telaio in alluminio di buon peso e resistenza, la<br />

massa della Solo Bar è superiore a quanto il suo<br />

stile soft lasci immaginare.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Nasce soundbar ma è utilizzabile anche come<br />

hub digitale audio. Mancano le funzioni di rete<br />

ma sono presenti ingressi audio, video, digitali e<br />

analogici e Bluetooth aptX.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Il sistema di correzione ambientale può essere<br />

d’aiuto in alcuni casi così come la possibilità di aggiungere<br />

un subwoofer (wireless dedicato o cablato<br />

generico).<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Il sound della Solo Bar è focalizzato sulla gamma media,<br />

con gli estremi alti presenti ma in secondo piano;<br />

l’aggiunta del subwoofer completa l’emissione.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Su Arcam c’è poco da aggiungere; il Solo Bar, a<br />

cavallo tra HT e audio, forse ha bisogno di una<br />

maggiore definizione dei propri obiettivi.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

1.300 euro non sono pochi, sopratutto se consideriamo<br />

le poche funzioni di rete del prodotto; il prezzo<br />

quasi raddoppia se aggiungiamo il sub dedicato.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

McIntosh RS100<br />

Prezzo: € 1.500,00<br />

Dimensioni: 20,8 x 32,3 x 20,3 cm (lxaxp)<br />

Peso: 6,8 Kg<br />

Distributore: MPI<br />

Via De Amicis, 10/12<br />

20010 Cornaredo (MI)<br />

Tel. 02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />

www.mpielectronic.com<br />

60 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016<br />

McIntosh RS100<br />

Amplificatore: 60 watt Diffusori: Tw<br />

1,9 cm - Wf 10 cm Note: Diffusore<br />

wireless attivo, streamer di rete, supporto<br />

PCM 24/192, DTS Play-Fi, DLNA,<br />

possibilità di rete fino a 16 unità,<br />

uscita subwoofer, potenziometri e<br />

vu-meter, USB per firmware, ingresso<br />

RCA e uscita subwoofer, supporto per<br />

servizi streaming.<br />

Nel suo primo sistema wireless con streamer<br />

di rete integrato McIntosh non ha<br />

rinunciato a proporre i suoi elementi estetici<br />

e strutturali più identificativi. La parte<br />

più innovativa del prodotto è il suo uso in<br />

wireless, con funzionalità di rete DLNA e<br />

supporto per DTS Play-Fi su rete Wi-Fi per<br />

streaming in multi-room semplificato (fino<br />

a otto coppie di diffusori) e wireless audio<br />

senza perdita. Sezione di potenza da 60 watt<br />

per un tweeter in titanio e woofer a lunga<br />

escursione; supporto diretto per diversi<br />

servizi di streaming e download (non tutti<br />

disponibili in Italia). La porta Ethernet è<br />

disponibile solo con un adattatore opzionale<br />

su porta USB (solo per aggiornamento<br />

firmware, no audio); un ingresso analogico<br />

RCA e uscita per subwoofer. App per iOS e<br />

Android, solo Windows per computer fissi.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Alluminio e vetro, come da tradizione dell’azienda;<br />

design forzatamente “classico” che forse<br />

si addice poco al tipo di prodotto e relativo uso.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

La collocazione verticale obbligata e il bass<br />

reflex posteriore vincolano in qualche modo il<br />

posizionamento in ambiente.<br />

versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Il DTS Play-Fi aiuta nella realizzazione di un sistema<br />

multi-room, c’è supporto per DLNA ma è<br />

scarna la dotazione di ingressi.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Gamma bassa poco incisiva, che va affinata e<br />

ottimizzata con la regolazione della distanza<br />

del reflex dal muro; altissime smussate.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Un prodotto che per il suo stile estremamente<br />

personale sembra destinato ai McIntosh addicted.<br />

E gli altri?<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

1.500 euro è più un prezzo tipicamente McIntosh<br />

che non da mercato di diffusori wireless<br />

destinati a un pubblico ampio.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.


SPECIALE COORDINATI<br />

Devialet Phantom<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Devialet assicura che il suo Phantom può raggiungere<br />

i 16 Hz in soli 20 litri per una pressione interna<br />

equivalente a 174 db! Diremmo solido...<br />

Prezzo: € 1.690,00<br />

Dimensioni: 25,3 x 25,5 x 34,3 cm (lxaxp)<br />

Peso: 11 Kg<br />

Distributore: Devialet<br />

10, place Vendome - 75001 Parigi<br />

Tel. +33-616-753904<br />

www.devialet.com<br />

Devialet Phantom<br />

Amplificatore: 750 watt Note: processore<br />

800 MHz dual-core ARM Cortex;<br />

DAC TI PCM1798; tecnologie proprietarie;<br />

utilizzabile singolo, stereo o<br />

multiroom; disponibile hub proprietario,<br />

pressione max 99 db; Disponibile<br />

versione Silver Phantom da 3.000 watt<br />

a 1.990 euro.<br />

Stile, costruzione e funzionalità assolutamente<br />

peculiari per il Phantom: diffusore<br />

attivo wireless gestito da computer, come<br />

da tradizione dei prodotti Devialet. Compatibile<br />

con tutti i formati audio, chiaramente<br />

anche in HD, così come è pronto a gestire<br />

la maggior parte dei servizi di streaming e<br />

download. Connettività Wi-Fi dual band<br />

(a/b/g/n 2.4 GHz & 5 GHz), Ethernet Gigabit,<br />

Homeplug AV2, ingresso ottico. Componenti<br />

custom e tecnologie proprietarie.<br />

Sistema a due vie sul frontale, due subwoofer<br />

ai lati in grado di generare fino a 99<br />

db di pressione sonora con amplificazione<br />

proprietaria (ADH Analog Digital Hybrid)<br />

da 750 watt (disponibile versione Silver<br />

Phantom da 3.000 watt). Disponibile hub<br />

dedicato per realizzare una rete proprietaria<br />

per multiroom fino a 24 unità collegare<br />

in wireless e gestita da app dedicata (per<br />

dispositivi mobili e computer fissi).<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Forma, peso e aspetto molto poco comuni che<br />

influenzano la stessa collocazione in ambiente<br />

del prodotto. Un apripista!<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Da un vero e proprio computer è lecito aspettarsi<br />

versatilità e flessibilità elevatissime: le premesse ci<br />

sono tutte, aspettiamo il prossimo futuro.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Gamma bassa molto incisiva anche se, a seconda<br />

dell’ambiente e del posizionamento, non sempre<br />

a fuoco; voci in secondo piano.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Come azienda Devialet ha dimostrato di poter dire<br />

delle cose nuove in merito all’amplificazione, e il<br />

Phantom apre un’ulteriore strada.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

Quasi 4.000 euro per due diffusori e relativo hub<br />

(configurazione minima consigliata) sono tanti<br />

soldi: l’originalità e le tecnologie proprietarie<br />

costano...<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

Bang & Olufsen<br />

BeoSound 35<br />

Prezzo: € 2.295,00<br />

Dimensioni: 100 x 13 x 12,5 cm (lxaxp)<br />

Peso: 6,5 kg<br />

Distributore: Bang & Olufsen Italia<br />

Via Santa Maria Valle, 3<br />

20123 Milano (MI)<br />

Tel. 02.72.74.001 - Fax 02-89.01.05.20<br />

www.bang-olufsen.it<br />

B&O BeoSound 35<br />

Amplificatore: 4 x 80 watt Diffusori:<br />

2 Tw 1,9 cm - 2 Wf 10 cm Note: Air-<br />

Play, Bluetooth, DLNA (DMR), Spotify<br />

Connect, Deezer. File supportati MP3,<br />

WMA, AAC, ALAC, FLAC, WAV, AIFF<br />

fino a 24 bit / 192 kHz.<br />

Disegno lineare ed elegante, case in alluminio<br />

dal profilo ottagonale, elevata connettività<br />

wireless: il BeoSound 35 si pone come<br />

interfaccia audio per la casa moderna per<br />

sorgenti mobili e in rete. AirPlay, Bluetooth<br />

4.0, DLNA (DMR), Wi-Fi (2.4 e 5 GHz),<br />

compatibilità con la maggior parte dei file<br />

audio anche in HD, fino a 24 bit / 192 kHz<br />

per le connessioni Ethernet e ottico, 24 bit<br />

/ 48 kHz per quelle wireless. È presente anche<br />

un ingresso analogico RCA. Utilizzando<br />

l’app BeoMusic o il telecomando BeoRemote<br />

One possiamo utilizzare il BeoSound 35<br />

in un sistema BeoLink Multiroom. La stessa<br />

app diventa l’interfaccia diretta per i servizi<br />

(Spotify e Deezer in testa) che il BeoSound<br />

35 gestisce direttamente. Agli estremi del<br />

telaio i due tweeter, verso il centro i due<br />

midwoofer: il DSP di bordo provvede ad<br />

ampliare il fronte sonoro. La sezione di potenza<br />

eroga 80 watt (in Classe D) su ognuno<br />

dei quattro speaker.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

L’alluminio di buon spessore utilizzato per il<br />

telaio dona al tutto un’elevata solidità e rigidità,<br />

nonostante il metro di lunghezza.<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Facile da utilizzare in rete, sia con altri prodotti<br />

B&O che con soluzioni esterne. Il display integrato<br />

è piccolo ma l’app sopperisce anche a<br />

questo.<br />

versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Le connessioni sono quelle universali; la gestione<br />

della rete tutta B&O è semplificata dal software<br />

proprietario; manca il supporto per il DSD.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Il DSP, tra le altre, interviene nel boost in gamma<br />

bassa e nell’ampliamento del fronte sonoro<br />

con un risultato convincente per entrambi.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

B&O sta ampliando il catalogo con prodotti di diverso<br />

prezzo e funzionalità, con l’ulteriore plus di<br />

una versatilità sempre più spinta.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

50% design e 50% tecnologia: i prodotti di B&O<br />

sfuggono ai classici parametri di valutazione del<br />

prezzo.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 61


selector<br />

a cura della redazione<br />

Streaming Player<br />

Aria Aria<br />

Il vero fattore di demarcazione<br />

nel settore della<br />

musica liquida è il profilo<br />

utente, radicalmente separato<br />

tra chi è intenzionato<br />

(ed è in grado) a sfruttare<br />

tutte le enormi potenzialità<br />

della commistione informatico<br />

– elettronica e<br />

chi, per capacità o scelta,<br />

il computer dopo il lavoro<br />

non vorrebbe vederlo<br />

neanche in fotografia. A<br />

questi ultimi è destinato un<br />

prodotto come l’Aria anche<br />

se, sotto sotto, in maniera<br />

palese o meno, sotto il cofano<br />

troverete in un caso e<br />

nell’altro le stesse cose!<br />

Le rivoluzioni, anche<br />

quelle piccole, sono tali<br />

anche perché rimescolano<br />

le carte in tavola, gli equilibri,<br />

le rendite di potere... E infatti<br />

chi se lo sarebbe immaginato un<br />

Made in Spain nell’olimpo della<br />

riproduzione musicale? Può accadere<br />

se il “campo di gioco” è<br />

costituito dalla musica liquida,<br />

una sorta di punto zero del settore.<br />

E se si hanno cose da dire...<br />

In questa luce va letto l’excursus<br />

della DigiBit, azienda proprietaria<br />

del marchio Aria, fondata nel<br />

2007 come start-up con base a<br />

Madrid e reparto ricerca & sviluppo<br />

“diffuso” tra la Spagna e<br />

l’Inghilterra, un vero riferimento<br />

a livello europeo per il software<br />

informatico. Il primo frutto<br />

della casa (2008) è Sonata, un<br />

music server “incapsulato” in<br />

un touch screen principalmente<br />

dedicato all’archiviazione della<br />

musica classica. Non a caso, visto<br />

che il ripping e la gestione<br />

dei metadati legati alla musica<br />

classica costituiscono una problematica<br />

quasi unica nel suo<br />

genere: anche considerando situazioni<br />

di ripping e di editing<br />

dei metadati fatti a mano nei<br />

modi tradizionali, un sistema<br />

in automatico offre un servizio<br />

al di sopra delle aspettative con<br />

risultati migliorabili o meglio<br />

personalizzabili da utenti dotati<br />

di competenza e dedizione. Con<br />

l’assenza di uno solo di questi<br />

requisiti, in genere, si ottengono<br />

risultati poco soddisfacenti...<br />

Nel 2013 vedono la luce un’implementazione<br />

del sistema per<br />

l’Oppo che consente di trasformarlo<br />

in un music server e il<br />

primo prodotto hardware della<br />

casa, l’Aria, un music server<br />

che funge anche da player e<br />

consente di rippare i dischi con<br />

una gestione particolarmente<br />

ricca dei metadati, orientata<br />

alla classificazione dei titoli del<br />

genere “classica”. Per la “scatola”<br />

dell’Aria, l’apparecchio qui in<br />

prova, viene “scomodata” la penna<br />

del designer Ochoa & Diaz-<br />

Llanos che sviluppa l’originale<br />

design dell’apparecchio sotto<br />

un preciso input: deve sembrare<br />

un prodotto Hi-Fi, non deve<br />

sembrare un prodotto Hi-Fi<br />

tradizionale… !<br />

Prezzo: € 4.675,00<br />

Dimensioni: 43 x 6,50 x 36 cm (lxaxp)<br />

Peso: 8 Kg<br />

Distributore: Audio Reference S.r.l.<br />

Via Giuseppe Abamonti, 4 - 20129 Milano (MI)<br />

Tel. 02.29.404.989 - Fax 02.29.404.311<br />

www.audioreference.it<br />

STREAMING PLAYERT ARIA ARIA<br />

Supporti compatibili: CD, CD Text, CD-R, CD-RW, DVD Audio,<br />

DVD Video, DVD-R, DVD-RW, DVD+R, DVD+RW, DVD Ram,<br />

DVD Ram Formati audio compatibili: PCM, AIFF, WAV, Apple<br />

Lossless, FLAC Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Ingressi<br />

digitali: USB Standard (2), Ethernet (1), WiFi (1) Uscite digitali:<br />

Coassiale (2), XLR (1) Convertitore D/A: opzion32/192 con USB<br />

2.0 compatibile DSD) Note: Legge i formati DXD (32bit/352,8<br />

kHz), DSD1/2, bit perfect. Ripping con DVD-R Teac. 2 HDD da 2<br />

TB (versione base); versione con DAC euro 5.475, con trasformatore<br />

toroidale 5.415, con entrambi 6.150. Anche versioni con<br />

SSD 2TB a prezzo maggiorato.<br />

62 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test<br />

La principale chiave di lettura<br />

dell’apparecchio è proprio nella<br />

destinazione d’uso stabilita dal<br />

costruttore che, al netto dei luoghi<br />

comuni, delle idiosincrasie e<br />

delle tenaci convinzioni (a volte<br />

sbagliate) del consumatore,<br />

è quella della persona che non<br />

vuole avere niente a che fare con<br />

un computer, ascolta prevalentemente<br />

musica classica che<br />

vuole anche rippare e dispone<br />

di un impianto Hi-Fi magari<br />

datato ma certamente di alta<br />

qualità. Bell’obiettivo visto che,<br />

comunque la si legga, la gestione<br />

della musica classica avviene<br />

per via informatica! Da qui ogni<br />

genere di barbarie e nonsense<br />

che stanno costellando le scelte<br />

di chi imbocca questa strada<br />

e, sostanzialmente “maschera”<br />

un computer da apparecchio<br />

Hi-Fi, andando incontro a varie<br />

complicazioni.<br />

Al tempo stesso va detto che<br />

questo profilo viene “drammaticamente”<br />

soddisfatto in ogni sua<br />

parte e in ogni piccolo aspetto<br />

dall’Aria che, naturalmente, non<br />

può però essere esente dall’equivoco<br />

di base. Un piccolo assaggio?<br />

Il mobile dell’apparecchio,<br />

così attentamente studiato da<br />

Ochoa & Diaz-Llanos e reso<br />

compatibile con il taglio medio<br />

degli apparecchi Hi-Fi da 43<br />

cm è ampiamente ridondante<br />

rispetto al contenuto interno!<br />

Poco male, si dirà, visto che l’Aria<br />

è pensato per essere poggiato<br />

in orizzontale su un mobile<br />

piano, non fa rumore, dispone<br />

di un design magari ardito ma<br />

che lo allontana il più possibile<br />

dalle apparenze di un personal<br />

computer. Le caratteristiche di<br />

“utilità” meccanica delle costose<br />

implementazioni dello chassis<br />

non hanno comunque nessuna<br />

correlazione con prestazioni o<br />

necessità; anche quella della<br />

dissipazione del calore è di secondaria<br />

importanza in quanto<br />

l’energia in gioco è veramente<br />

poca cosa. Certamente l’assenza<br />

di ventole o di cose rumorose fa<br />

solo piacere sia agli appassionati<br />

sia a quanti tengono apparecchi<br />

accesi nella zona living domestica:<br />

rumori molesti, fischi o<br />

altro non sono mai piacevoli, a<br />

prescindere dal fatto che provengano<br />

da computer o da altri<br />

“aggeggi”. Per contro, naturalmente,<br />

il fatto che non è possibile<br />

un modo alternativo per<br />

impilare l’apparecchio...<br />

Per il funzionamento non sono<br />

necessari particolari settaggi<br />

da parte dell’utente, anzi, se si<br />

pensa all’utilizzo come<br />

una sorgente digitale<br />

spdif lo<br />

start up è semplicissimo, rapido<br />

e alla portata di chiunque.<br />

In ogni caso, è descritto addirittura<br />

nel manuale di istruzioni, il<br />

dealer è l’unico referente abilitato<br />

ad “aprire” il cofano e mettere<br />

le mani nel “gruppo motore”,<br />

soluzione che rappresenta<br />

il pregio (la semplicità nell’utilizzo<br />

standard) dell’apparecchio<br />

ma anche la sua massima controindicazione:<br />

l’utente standard<br />

non può intervenire sulle<br />

configurazioni (tutto ciò che<br />

non è standard) se non attraverso<br />

il dealer; pertanto, se da<br />

un lato questa soluzione garantisce<br />

una stabilità delle prestazioni<br />

a differenza di quanto<br />

accade costantemente<br />

con i “computer”,<br />

dall’altro si perde<br />

in versatilità e ricchezza<br />

offerte dal<br />

L’apparecchio<br />

è adagiato in uno<br />

chassis “a componenti<br />

discreti” che utilizza una<br />

serie di lastre in alluminio<br />

sagomate e fissate fra loro tramite tiranti e<br />

distanziali. Se da un lato questa soluzione<br />

risulta molto dispendiosa in termini di materiali<br />

e lavorazioni, per contro per piccole tirature risulta<br />

molto efficace e flessibile in quanto la produzione<br />

si basa esclusivamente sulla lavorazione di lastre piane in<br />

alluminio tramite frese verticali a controllo numerico.<br />

La versione con solo le uscite<br />

digitali dispone di due connettori<br />

coassiali, uno RCA e l’altro BNC,<br />

una di tipo bilanciato AES/<br />

EBU e infine una I2S tramite<br />

connettore RJ-45. A fianco è<br />

presente il connettore USB per<br />

il collegamento di DAC audio<br />

a patto di installare i driver<br />

necessari per Windows. All’altro<br />

connettore USB si può collegare<br />

una memoria esterna. Infine il<br />

collegamento di rete RJ-45 e la<br />

vaschetta IEC di alimentazione<br />

con interruttore generale.<br />

sistema, in quanto utilizza software<br />

e soluzioni ampiamente<br />

rodate (Jriver e Windows server<br />

2011). Anche i driver per l’eventuale<br />

DAC esterno da collegare<br />

(a meno che non si scelga l’addon<br />

della casa) devono essere<br />

messi a disposizione dal fornitore…<br />

In sostanza la semplicità e<br />

l’immediatezza di alcune fazioni<br />

preco-<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 63


selector<br />

1<br />

2<br />

La scheda di conversione<br />

DD è un’interfaccia<br />

Hi Face 1.0.3 USB<br />

2Spdif custom che<br />

deriva direttamente<br />

dalla M2tech Evo,<br />

caratterizzata da<br />

uscite multiple<br />

digitali tutte<br />

indipendenti (isolate<br />

galvanicamente) e da<br />

clock ad alta precisione e<br />

stabilità.<br />

I vari elementi<br />

che compongono<br />

la struttura sono<br />

stati pensati in modo<br />

modulare e ad incastro tali<br />

da essere abbastanza flessibili<br />

nell’implementazione e nella<br />

disposizione degli elementi interni. Il sistema di chiusura superiore,<br />

per evitare viti di fissaggio a vista e lasciare solo il marchio scavato<br />

sull’alluminio, è dotato di una imbragatura, anch’essa in alluminio,<br />

ripiegata con due innesti a slitta e due alette di fissaggio poste sul retro.<br />

3<br />

La CPU è collegata<br />

al dissipatore in<br />

alluminio che a sua<br />

volta è a contatto con<br />

la parete inferiore<br />

che favorisce la<br />

dissipazione del<br />

calore, comunque<br />

ridotto in seguito<br />

all’utilizzo di una CPU<br />

a basso consumo.<br />

fattore di forma<br />

All’interno di un pianale piatto Aria<br />

può offrire alcune soluzioni versatili<br />

di configurazioni accessorie come, ad<br />

esempio, l’alimentazione lineare, uno<br />

stadio di uscita analogico al posto di<br />

quello solo digitale e varie soluzioni di<br />

capacità di archiviazione in funzione<br />

dei dischi di memoria utilizzati.<br />

L’apparecchio è realizzato intorno a<br />

un computer di tipo industriale compatto<br />

che monta una CPU Intel Atom<br />

N2600 e un disco mSATA Kingston<br />

da 30 GB su cui è installato il sistema<br />

operativo. Il minicomputer è collegato<br />

al DVD-RW Teac e ai due dischi<br />

Toshiba da 2.5 pollici da 2 TB ciascuno<br />

tramite connessione SATA. Sono<br />

presenti inoltre due collegamenti USB<br />

riportati sul pannello posteriore per<br />

la connessione di un disco esterno e<br />

per un dispositivo USB Audio in aggiunta<br />

a quello presente a bordo che,<br />

in questo caso, è un adattatore DD<br />

Hi Face del tipo OEM implementato<br />

ad hoc con alimentazione dedicata e<br />

collegamento USB alla motherboard.<br />

L’alimentatore standard è un Mean<br />

Well RD-65A con uscite a +5VDC a<br />

6A e +12VDC a 3A. Tutti i componenti<br />

sono fissati saldamente al<br />

pianale in alluminio con supporti<br />

ad hoc per sfruttare anche l’effetto<br />

dissipante in quanto non sono<br />

presenti ventole per la circolazione<br />

forzata dell’aria.<br />

64 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test ARIA ARIA<br />

L’opinione<br />

Per audiofili non<br />

audiofili. Nel mare<br />

del nonsense che<br />

caratterizza la<br />

liquida (perché<br />

mai mascherare un<br />

computer come se<br />

non fosse un computer quando<br />

serve un computer? boh...),<br />

la definizione si attaglia bene<br />

all’Aria: se lo si affronta come ci si<br />

aspetterebbe dal classico cliché<br />

audiofilo, l’esperienza sarà tutta<br />

un “ma perché questo non lo fa<br />

visto che potrebbe farlo?” ecc. ecc.<br />

Vista la chiara destinazione d’uso<br />

dell’apparecchio, interrogatevi<br />

sulle vostre esigenze, domandatevi<br />

se siete interessati a intervenire<br />

pesantemente sull’editing di ogni<br />

disco che rippate. Se la risposta è<br />

“si” ci sono molte altre (complesse)<br />

soluzioni più performanti.<br />

Altrimenti sappiate che la<br />

strada per il paradiso non deve<br />

necessariamente passare per il<br />

purgatorio!<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Molto ben dimensionati gli elementi all’interno<br />

del progetto sia a livello hardware che software.<br />

Il sistema si basa su una versione personalizzata di Jriver Media Center MC19 e la app di controllo iOS Jremote,<br />

anch’essa ottimizzata e personalizzata soprattutto per la gestione remota delle funzioni basilari del server.<br />

In questo modo è possibile anche copiare file sulla memoria collegata in USB oppure in rete senza ricorrere<br />

a un computer ma solo attraverso la app. È presente anche una versione per Android dotata delle stesse<br />

funzionalità ma con un’estetica differente e meno intuitiva e piacevole di quella per IOS.<br />

stituite si pagano in termini di<br />

complicazione nella gestione<br />

nel momento in cui il sistema<br />

“automatico” richiede un intervento<br />

“umano”. Se si acquista<br />

musica liquida in formato digitale<br />

il sistema non “arricchisce”<br />

i metadati, operazione che deve<br />

essere fatta a mano o attraverso<br />

una sezione della app, oppure<br />

intervenendo direttamente sui<br />

file che sono raggiungibili in<br />

rete (ma a questo punto decade<br />

l’immediatezza d’uso offerta da<br />

aria e ogni “allontanamento” di<br />

computer, uno dei presupposti<br />

del progetto).<br />

La fruizione dei servizi di musica<br />

in streaming, inoltre, dipende in<br />

modo diretto dagli accordi commerciali<br />

fra il fornitore di servizi<br />

e il gestore della piattaforma<br />

media server (in questo caso<br />

non Aria ma JRiver, quindi un<br />

terzo; si tratta di un case history<br />

in quanto JRiver ha interrotto<br />

per ora le trattative con Tidal:<br />

uno dei servizi più gettonati del<br />

momento, pertanto, non è ancora<br />

disponibile per via di una<br />

scelta non di Aria ma del suo fornitore).<br />

I servizi di multi zona<br />

e di trasmissione ethernet della<br />

musica, infine, non sono stati né<br />

pensati da Aria né tanto meno<br />

ancora implementati (si suppone<br />

perché il progetto iniziale di<br />

Aria era diverso, ovvero quello<br />

di un server dedicato e macchina<br />

monolitica). In compenso, per<br />

quella che può essere la nostra<br />

esperienza in merito (e la difficoltà<br />

nel determinare differenze<br />

con un delta assoluto assai risibile)<br />

la macchina, per quanto<br />

possa “suonare” un oggetto che<br />

non suona (o il cui suono dipende<br />

in grande parte dal DAC<br />

collegato), suona molto bene, al<br />

vertice tra quelle di questo genere<br />

fino ad ora testate!<br />

usabilità<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

ll connubio fra hardware, piattaforma media,<br />

server e app rappresenta uno dei più potenti,<br />

flessibili strumenti per ascoltare musica liquida.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Ottimamente strutturato per soddisfare molteplici<br />

esigenze, soprattutto quando non si richiede<br />

interventi particolari da parte dell’utente.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

L’uscita digitale a bordo e il collegamento di un<br />

DAC esterno USB, considerando anche il pieno<br />

supporto dei formati ad alta risoluzione, restituiscono<br />

risultati di tutto rilievo.<br />

fatt. concretezza n n n.c.<br />

Destinato a essere “aggiornato”, ma non ci dovrebbero<br />

essere problemi se il costruttore manterrà<br />

una policy di upgrading e manutenzione.<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

La fascia in cui si colloca è abbastanza alta ma<br />

in specifiche condizioni soddisfa pienamente le<br />

esigenze dell’utente.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 65


selector<br />

a cura della redazione<br />

Amplificatore integrato<br />

Accuphase E 370<br />

Se si prendono tutte<br />

le brochure dei prodotti,<br />

dalle prime a quelle più<br />

recenti, è facile notare<br />

come l’approccio di Accuphase<br />

sia rimasto pressoché<br />

invariato, anche se<br />

sono trascorsi circa 40<br />

anni dal primo prodotto!<br />

Una gestione oculata dei<br />

cambiamenti, che si riflette<br />

anche sul ciclo vitale dei<br />

prodotti, che non equivale<br />

ad immobilismo, anzi! .<br />

Difficile distinguere tra<br />

un modello e l’altro<br />

quando si tratta di integrati<br />

Accuphase visto che il design,<br />

pur non avendo la forza iconica<br />

di un McIntosh, è comunque<br />

tradizionalmente ancorato<br />

a certi stilemi. Eppure “sotto al<br />

cofano” qualcosa, anzi molto,<br />

bolle, anche nel caso di un marchio<br />

tradizionalmente considerato<br />

conservatore come questo!<br />

Piccola parentesi aggiuntiva:<br />

Accuphase poi tanto conservatore<br />

non è se si considera che è<br />

uno dei fautori della correzione<br />

a m -<br />

bientale<br />

(total-<br />

mente<br />

trascurata dal mercato italiano),<br />

che è stata all’avanguardia nel<br />

campo della conversione digitale<br />

(addirittura antesignana nel<br />

dotare i suoi lettori CD di un<br />

ingresso digitale!) e controcorrente<br />

nel promuovere con forza<br />

la multiamplificazione passiva<br />

proprio attraverso i sui integrati.<br />

Ma i luoghi comuni sono duri<br />

a morire… Ne beneficia il look<br />

d’antan (neanche troppo fuori<br />

moda: che allora i progettisti<br />

della casa fossero all’avanguardia?),<br />

rassicurante e profumato<br />

dell’Hi-Fi di una volta, inclusa<br />

l’incongruenza, così tipica<br />

però, dei fianchetti presenti per<br />

mascherare una predisposizione<br />

a rack che non viene praticata da<br />

anni (dell’argomento parliamo<br />

in altra parte di questo numero).<br />

Insomma: prendi Accuphase e<br />

sai cosa prendi, cosa ancor più<br />

vera se si considerano i pilastri<br />

filosofici con cui la casa ha affrontato,<br />

senza più rinunciarvi,<br />

il settore degli amplificatori<br />

integrati. Innanzitutto il taglio:<br />

al di là delle<br />

sigle gli<br />

integrati<br />

Ac-<br />

Prezzo: € 7.900,00<br />

Dimensioni: 46,50 x 17,10 x 42,20 cm (lxaxp)<br />

Peso: 22,70 Kg<br />

Distributore: High Fidelity Italia S.r.l.<br />

Via Collodi - 20010 Cornaredo (MI)<br />

Tel.02-93611024 - Fax 02-93647770<br />

http://www.h-fidelity.com<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO ACCUPhase E 370<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 100 W su<br />

8 Ohm in classe AB Accessori e funzionalità aggiuntive: Telecomando,<br />

Ingresso cuffia, Controlli di tono, Loudness Risp. in<br />

freq. (Hz): 20 - 20.000 -0.5dB THD (%): 0.05 Ingressi analogici:<br />

2 RCA (142 mV/20 kOhm) 2 XLR (142 mV/40 kOhm) Uscite analogiche:<br />

2 RCA (1.13 mV/50 kOhm) Note: uscita cuffia supporta<br />

impedenza di carico fino a 8 Ohm<br />

66 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test<br />

Le connessioni di segnale<br />

sono concentrare nella parte<br />

centrale dell’apparecchio, con<br />

una disposizione ergonomica<br />

e comoda da raggiungere. I<br />

connettori XLR sono posti in<br />

basso e non sono di intralcio<br />

alle altre connessioni RCA, più<br />

snelle e flessibili. I morsetti di<br />

potenza con doppia connessione<br />

per due coppie di diffusori o<br />

per collegamenti in bi-wiring<br />

sono poste al lato destro<br />

dell’apparecchio in posizione<br />

molto ravvicinata anche se al<br />

sicuro da cortocircuito.<br />

cuphase si dividono in “poco al<br />

di sotto dei 100 watt e poco al<br />

di sopra dei 100 watt”, con una<br />

new entry relativamente recente<br />

(1989, l’introduzione dell’E<br />

405 - 170 Watt), che sancisce la<br />

classe del “quasi 200” o, meglio,<br />

del raddoppio rispetto a quella<br />

precedente. Attualmente quattro<br />

sono i modelli che in un arco<br />

di prezzo compreso tra i 5.500<br />

euro (E 260) e i 12.900 (E 600)<br />

declinano differenze che, evidentemente,<br />

vanno ben al di là<br />

della potenza di ciascun prodotto:<br />

anche tra l’apparecchio “appena<br />

sotto i 100 watt” e quello<br />

“appena sopra”, il 370 in prova,<br />

la differenza di prezzo è di oltre<br />

2.000 euro. Eppure un altro<br />

caposaldo della casa è quello<br />

di lavorare per affinamenti più<br />

che per rivoluzioni, determinando<br />

anche un ciclo di vita<br />

del prodotto abbastanza lungo;<br />

affinamenti che se da un lato<br />

certamente rispondono a logiche<br />

industriali (ricordiamo che<br />

l’azienda opera a cavallo tra una<br />

dimensione artigianale e quella<br />

industriale), dall’altro sono<br />

indirizzate al costante<br />

miglioramento<br />

del<br />

prodotto. Esattamente come accade<br />

nel 2002 con il sistema di<br />

regolazione del volume AAVA,<br />

introdotto nel pre C2800 e poi<br />

approdato nel 2005 all’integrato<br />

E 550 e utilizzato in seguito<br />

anche negli apparecchi che<br />

gradualmente rimpiazzavano i<br />

precedenti modelli.<br />

Le sigle degli apparecchi, invece,<br />

ci aiutano a capire le “generazioni”<br />

di prodotto e quali cambiamenti<br />

comportano: la presenza<br />

della cifra “70”, quella della generazione<br />

di prodotti “odierna”,<br />

sembra contraddistinguere un<br />

approccio progettuale che punta<br />

su una trasformazione sostanziale<br />

dello stadio di potenza in<br />

quanto, nonostante materiali,<br />

componenti e architettura siano<br />

rimasti abbastanza costanti<br />

nel tempo, cambia in modo significativo<br />

il damping factor dichiarato<br />

e rilevato che, da valori<br />

sostanzialmente bassi e “costanti”<br />

nel tempo, si impenna<br />

in modo verticale:<br />

oscillava<br />

intorno a<br />

un valore 100, un<br />

po’ come elemento comune<br />

a tutti gli ampli della casa, per<br />

innalzarsi a circa 200 nella serie<br />

“60” (almeno per gli integrati)<br />

e arrivare infine al 400/500 di<br />

oggi! Una curiosità: il primissimo<br />

E 202 aveva la possibilità di<br />

selezionare tre livelli di regolazione<br />

del fattore di smorzamento<br />

fra soft (1, un bel po’ basso!)<br />

medium (5, comunque ben peggiore<br />

di un asfittico monotriodo<br />

non controreazionato) e normal<br />

(50, ancora basso per uno stato<br />

solido)… Un secondo elemento<br />

di cambiamento è costituito<br />

dall’enfasi riservata al comando<br />

del loudness: la funzione è presente<br />

praticamente con le stesse<br />

impostazioni, quelle dichiarate<br />

nelle brochure e rimaste identiche<br />

in quarant’anni di storia<br />

del marchio. Ciononostante il<br />

pulsante che in precedenza era<br />

“occultato” dietro il pannello in<br />

cui si trovano i comandi accessori<br />

è stato ora portato fuori e collocato<br />

in posizione decisamente<br />

molto importante, a fianco della<br />

manopola del volume e del tasto<br />

mute.<br />

In termini di interfaccia di comunicazione<br />

l’elemento più<br />

evidente è la ridefinizione di<br />

alcuni aspetti, soprattutto<br />

nel modo di “chiamare le cose”:<br />

il tasto “ext pre2”, ad esempio,<br />

ora è “power in”, e sono comparsi<br />

a fianco del display informazioni<br />

accessorie inerenti al<br />

funzionamento del DAC e alla<br />

selezione dell’ingresso specifico.<br />

In altri termini, il pannello<br />

frontale dell’E 370 sembra una<br />

ridefinizione di quello del E460<br />

e ha molto meno in comune<br />

con quello utilizzato nel suo<br />

predecessore E 350. Rimane la<br />

considerazione che le scelte effettuate<br />

in modo “hardware” sul<br />

pannello frontale collidono con<br />

una certa necessità di flessibilità<br />

nella gestione delle informazioni<br />

restituite all’utente (vedi anche<br />

le considerazioni del display, più<br />

avanti nel testo). Ci chiediamo<br />

anche quanto le indicazioni “option<br />

1” e “option 2” siano al limite<br />

dell’anacronistico, considerando<br />

per giunta che il sistema è<br />

servocontrollato e non azionato<br />

con rinvii meccanici. Con queste<br />

premesse sarebbe stato più<br />

“flessibile” effettuare altre scelte<br />

e non man mano appiccicare<br />

“pezze” posticce che tolgono un<br />

po’ di magia ed esclusività ad Accuphase<br />

nell’ambito dell’estetica<br />

e del rispetto della tradizione.<br />

In termini qualitativi non abbiamo<br />

mai avuto alcun dubbio<br />

nell’affermare l’assoluto livello<br />

della sezione di preamplificazione<br />

presente anche nelle serie<br />

economiche degli integrati<br />

Accuphase ma, con l’E 370, ora<br />

la parte più pregiata della sezione<br />

pre presente sui sistemi di<br />

alta gamma arricchisce anche<br />

prodotti più abbordabili come<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 67


selector<br />

I moduli di potenza<br />

sono realizzati con un<br />

layout uguale e non<br />

simmetrico per ogni<br />

canale, per ottenere<br />

gli stessi risultati di<br />

ottimizzazione del<br />

percorso del segnale<br />

sui due canali.<br />

A ridosso dei<br />

morsetti di<br />

uscita il circuito<br />

di protezione a<br />

rapido intervento<br />

è realizzato con<br />

MOSFET ad alta<br />

velocità e bassa<br />

impedenza.<br />

La regolazione del volume avviene<br />

con il sistema AAVA realizzato<br />

con una rete di partitori resistivi<br />

attivati tramite commutatori<br />

a stato solido controllati da<br />

mircoprocessore.<br />

La sezione di controllo dei toni è realizzata<br />

con un circuito indipendente e analogico<br />

e “alla vecchia maniera”, che si inserisce o<br />

disinserisce tramite un tasto che attiva i<br />

commutatori a stato solido.<br />

L’ingresso cuffia è collegato<br />

all’uscita della sezione di<br />

preamplifcazione e consente il<br />

pilotaggio di cuffie anche a bassa<br />

impedenza.<br />

rassicurante<br />

Lo chassis è realizzato con la tipica<br />

struttura a controtelaio portante sul<br />

quale sono fissati i vari componenti. In<br />

questo modo è possibile accedere anche<br />

alla parte sottostante rimuovendo<br />

il coperchio inferiore. Quello superiore<br />

è fissato al telaio e sono presenti due<br />

fiancate in alluminio estruso con la<br />

funzione principalmente estetica di<br />

raccordo. Al centro è presente la sezione<br />

di alimentazione costituita da<br />

un trasformatore toroidale incapsulato<br />

dotato di secondari separati per le varie<br />

sezioni e un filtro per la sezione di<br />

amplificazione con due condensatori<br />

da 30.000 µF ciascuno. La sezione di<br />

preamplificazione è implementata in<br />

un grande PCB collocato proprio dietro<br />

il pannello frontale, in cui è sviluppato<br />

anche il sofisticato sistema di regolazione<br />

del volume di Accuphase, l’AAVA,<br />

realizzato con un sistema di commutazione<br />

a stato solido che impiega una<br />

serie di CMOS HC4053A e reti resistive<br />

di attenuazione implementate con resistori<br />

SMD ad alta precisione. Gli stadi<br />

di amplificazione e di implementazione<br />

dei controlli di tono e del loudness<br />

impiegano circuiti integrati della serie<br />

4580P. I segnali provengono dalla sezione<br />

posteriore tramite cavi schermati<br />

collegati alle morsettiere di ingresso<br />

realizzate con connettori saldati sui<br />

PCB. Nella parte posteriore è presente<br />

inoltre il vano per l’alloggiamento<br />

68 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test Accuphase E 370<br />

2<br />

Anche se i contatti sono di quelli<br />

saldati sullo stampato, la meccanica<br />

e il contatto elettrico sono<br />

eccellenti. I morsetti di potenza<br />

sono molto funzionali e accettano<br />

ogni tipo di connessione anche se<br />

sono abbastanza vicini fra loro.<br />

Lo slot per le due schede opzionali impiega due<br />

connettori multipolari per la connessione di un<br />

DAC, un pre fono o in alternativa un ulteriore<br />

ingresso linea.<br />

La sezione di<br />

preamplificazione utilizza<br />

una linea di alimentazione<br />

dedicata e indipendente.<br />

Le manopole del volume<br />

e del commutatore sono<br />

di alluminio pieno e<br />

offrono una sensazione<br />

di azionamento molto<br />

“old style”, anche se<br />

i controlli poi sono<br />

servoassistiti.<br />

delle schede opzionali che sfrutta due<br />

sedi a scorrimento e un innesto rapido<br />

posteriore a 32 poli, anch’essi collegati<br />

tramite cavi schermati al PCB principale<br />

di preamplificazione. Nel pannello<br />

anteriore, al centro dei due Vu Meter, è<br />

posto il display a segmenti che indica<br />

la regolazione del volume e, in questa<br />

nuova serie, anche l’informazione<br />

accessoria della frequenza di campionamento<br />

del segnale in ingresso della<br />

scheda DAC, collegata come optional.<br />

Un altro passo avanti nella sempre più<br />

complessa gestione delle informazioni<br />

e del modo di presentarle all’utente.<br />

Indubbiamente una funzione utile sia<br />

per quanto riguarda il livello di attenuazione,<br />

scarsamente leggibile dal<br />

riferimento sulla manopola del volume,<br />

sia per la sezione digitale.<br />

Le due sezioni finali sono implementate<br />

ciascuna sul proprio dissipatore<br />

con i transistor di potenza Sanken<br />

A1186 e C2837 disposti in modo da<br />

ottimizzare il percorso del segnale.<br />

Si nota sulle alette la disposizione di<br />

un nastro telato adesivo che riduce il<br />

fastidioso rumore tipico dei dissipatori<br />

di alluminio di grande spessore. I<br />

circuiti di protezione dei diffusori ad<br />

alta velocità di intervento sono stati<br />

implementati direttamente sul PCB<br />

a ridosso dei morsetti di potenza e<br />

impiegano mosfet ad alta velocità<br />

e circuiti di rilevamento di anomalie<br />

gestite dal circuito di controllo.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 69


selector<br />

al banco di misura<br />

suonogramma<br />

1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 2<br />

2 Messa a fuoco e corposità................................ 2<br />

3 Ricostruzione scenica altezza......................... 2<br />

4 Ricostruzione scenica larghezza................... 2<br />

5 Ricostruzione scenica profondità.................. 2<br />

6 Escursioni micro-dinamiche............................ 1<br />

7 Escursioni macro-dinamiche........................... 1<br />

8 Risposta ai transienti........................................ 1<br />

9 Velocità................................................................ 1<br />

10 Frequenze medie e voci...................................... 3<br />

11 Frequenze alte.................................................... 2<br />

12 Frequenze medio-basse..................................... 2<br />

13 Frequenze basse.................................................. 2<br />

14 Timbrica................................................................ 2<br />

15 Coerenza............................................................... 2<br />

16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />

La risposta in frequenza è decisamente estesa e del tutto<br />

insensibile alla regolazione del livello. La sensibilità della<br />

sezione di preamplificazione è abbastanza alta ma in<br />

nessuna condizione, nemmeno con regolazioni molto alte<br />

del livello, si nota un innalzamento del rumore di fondo.<br />

In condizioni di utilizzo standard, con una sorgente da<br />

2Vrms in ingresso, la risposta si estende fino a 80 kHz a<br />

-3 dB su 8R con variazioni minime in funzione del carico,<br />

evidenti prevalentemente all’estremo superiore anche<br />

se con discostamenti decisamente minimi a seconda del<br />

carico. La sezione di potenza evidenzia l’elevato fattore<br />

questo. Inoltre anche le funzionalità<br />

aggiuntive arricchiscono<br />

l’usabilità del prodotto in quanto<br />

adesso il display al centro dei Vu<br />

Meter, oltre a indicare il livello<br />

di regolazione del volume,<br />

consente anche di visualizzare<br />

informazioni del formato digitale<br />

in ingresso della scheda<br />

opzionale DAC-40. D’altronde<br />

nelle precedenti versione della<br />

scheda, prima dell’introduzione<br />

dell’ingresso USB, il digitale<br />

veniva pensato come una connessione<br />

“unica”; anche con<br />

il DAC-30, in cui l’USB supportava<br />

formati fino a 96 kHz,<br />

le cose non erano mutate. Ora,<br />

invece, i tre ingressi sono distinti<br />

e differenziati, possono essere<br />

selezionati singolarmente e costituiscono<br />

di fatto tre ingressi<br />

digitali indipendenti con quello<br />

USB che supporta segnali PCM<br />

fino a 192 kHz. Non potendo più<br />

servirsi solo della scelta singola<br />

“Option 1” tramite la manopola<br />

di selezione, Accuphase ha dovuto<br />

implementare un ulteriore<br />

tasto di selezione e tre led che<br />

indicano quale dei tre ingressi<br />

(ottico, coassiale e USB) è stato<br />

selezionato.<br />

C’è da chiedersi se e quando<br />

di smorzamento in seguito a un’insensibilità al carico,<br />

in particolar modo nel range della banda audio. La potenza<br />

rilevata supera quella dichiarata raggiungendo i<br />

121Wrms su 8R con una THD+N dell’1%, valore che si<br />

raggiunge in modo abbastanza repentino all’approssimarsi<br />

del clipping e rimane in tutto il range operativo a<br />

livelli estremamente contenuti. Anche la distorsione da<br />

intermodulazione è priva di componenti sia di ordine<br />

pari che dispari e sono assenti frequenze spurie in banda<br />

e fuori banda, attestando un’esecuzione e implementazione<br />

esemplare del prodotto.<br />

uscirà un’ulteriore scheda DAC<br />

con supporto a DSD oltre che a<br />

PCM e come interverranno in<br />

Accuphase; certo è che, avendo<br />

fatto scelte di comunicazione<br />

prevalentemente di tipo hardware,<br />

sarà complicato attualizzarle.<br />

La sezione di potenza,<br />

invece, ha acquistato una sorta<br />

di verve in più rispetto alla precedenti<br />

produzioni, con un’impostazione<br />

più viva ma al contempo<br />

composta e compassata,<br />

con un livello di godibilità elevato<br />

e nessun accenno di fatica<br />

di ascolto. Al top, come al solito;<br />

e that’s it!<br />

Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />

-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />

esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />

analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Grande profusione di mezzi risorse e grande<br />

accuratezza nella realizzazione, al limite del<br />

manicale e, talvolta, quasi ridondante.<br />

banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Dati eccellenti per quanto riguarda l’accuratezza<br />

a livello elettrico e funzionale, pur senza spiccare<br />

per quanto riguarda la sezione di potenza.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Tanti ingressi, molte soluzioni in “uscita”, facilità<br />

di interfacciameto elevata. Che altro può<br />

servire? E quel che non c’è (DAC e fono) si può<br />

aggiungere...<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Nel solco della tradizione... ed è un bene! In<br />

grado di soddisfare ogni genere di aspettativa<br />

in linea con la classe dell’apparecchio<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Monolitico! Una certezza che è di buon auspicio<br />

per il futuro dei prodotti non troppo industriali<br />

ne troppo artigianali<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Se la potenza non è sufficiente, la qualità si allinea<br />

alla serie superiore.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

70 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


40 ANNI DI INNOVAZIONE<br />

TECNOLOGICA DEDICATI A VOI<br />

UNA NUOVA GENERAZIONE,<br />

UNA CLASSE DIFFERENTE.<br />

Dotata della tecnologia delle premiate serie Platinum,<br />

Gold e Silver per un’inimitabile performance musicale e audio/video.<br />

La nuova generazione Bronze è la ragione perfetta per migliorare.


selector<br />

a cura della redazione<br />

Amplificatore integrato<br />

Yamaha A-S1100<br />

Da molti punti di vista<br />

la serie di amplificatori<br />

integrati Yamaha rappresenta<br />

un case studio<br />

in grado di contraddire<br />

alcuni dei luoghi comuni<br />

del settore. Nell’ottica<br />

evidenziata dall’articolo<br />

che apre questo numero di<br />

<strong>SUONO</strong> (dedicato alle “fortune”<br />

dell’Hi-end) l’analisi<br />

di questo apparecchio<br />

risulta complementare a<br />

quello che lo precede per<br />

analizzare il modo in cui le<br />

aziende hanno affrontato<br />

la contraddizione artigianato<br />

- massificazione.<br />

Il tema di fondo trattato in<br />

questo numero di <strong>SUONO</strong><br />

riguarda l’eccellenza nella<br />

riproduzione sonora e come essa<br />

sia stata interpretata nei modi<br />

più disparati (e come possa esserlo<br />

in futuro… ) in un ambito<br />

che per sua stessa natura risulta<br />

a cavallo tra artigianale e industriale.<br />

Se nelle pagine che avete<br />

appena letto o sfogliato si parla<br />

di un prodotto che rappresenta<br />

un buon esempio dell’approccio<br />

artigianale alla materia non c’è<br />

dubbio che la multinazionale<br />

Yamaha, impegnata su più<br />

fronti (dalle moto agli strumenti<br />

musicali passando per l’Hi-Fi)<br />

rappresenta l’altra faccia della<br />

medaglia. Più di altri costruttori<br />

consumer, inoltre,<br />

Yamaha, per scelta e per vocazione,<br />

ha sempre cercato di<br />

offrire quel qualcosa in più per<br />

ergersi al di sopra del prodotto<br />

di massa, atteggiamento assai<br />

raro soprattutto in passato, nelle<br />

logiche delle aziende orientali.<br />

Una sorta di “contrappeso” ad<br />

Accuphase, dunque, dove le<br />

percentuali dell’approccio artigianale<br />

e di quello industriale<br />

sono invertite… Sarà anche per<br />

questo, forse non è un caso,<br />

che i due integrati presentati<br />

in queste pagine si assomigliano<br />

molto? Di certo negli ultimi<br />

anni abbiamo assistito a un particolare<br />

ritorno di fiamma per<br />

l’Hi-Fi pura a due canali della<br />

casa del diapason che dopo aver<br />

quasi monopolizzato con i suoi<br />

prodotti il mercato audio video<br />

è tornata alle origini… Accade<br />

non molti anni fa, a metà del<br />

2013, in occasione del 125mo<br />

anniversario, quando venne<br />

presentato l’A-S3000, l’integrato<br />

(provato su <strong>SUONO</strong> 480<br />

– ottobre 2013) che per contenuti<br />

tecnologici costituisce la<br />

flagship dell’azienda e ha dato<br />

vita a una linea di amplificatori<br />

di taglio alto costituita inizialmente<br />

dall’A-S1000 (2013) e<br />

l’A-S2000 (2014), sostituiti poi<br />

dagli attuali A-S2100 (provato<br />

su <strong>SUONO</strong> 497 – maggio 2015)<br />

e A-S1100, l’apparecchio attualmente<br />

in prova. Una delle prime<br />

Prezzo: € 1.699,00<br />

Dimensioni: 43,5 x 15,7 x 46,3 cm (lxaxp)<br />

Peso: 23,3 Kg<br />

Distributore: Yamaha Music Europe GmbH - Branch Italy<br />

Viale Italia, 88 - 20020 Lainate (MI)<br />

Tel.02.935771 - Fax 02.9370956<br />

http://www.yamaha.it<br />

Amplificatore integrato Yamaha A-S1100<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 160 W su 8<br />

Ohm in classe A Risp. in freq. (Hz): 20 - 20.000 THD (%): 0,025<br />

S/N (dB): 100 Phono: MM ( mV/ KOhm) Ingressi analogici: 3<br />

RCA (200 mV/47435 kOhm) Note: pre out, biwiring<br />

72 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test<br />

al centro dell’apparecchio<br />

sono collocati i connettori di<br />

ingresso e uscita del segnale,<br />

mentre ai lati sono disposte<br />

le due coppie di morsetti di<br />

potenza per una doppia coppia<br />

di diffusori o, ancor meglio, per<br />

un collegamento in bi-wiring. I<br />

morsetti di potenza sono molto<br />

efficienti e consentono un ottimo<br />

serraggio in sicurezza di qualsiasi<br />

tipo di cavo<br />

considerazioni che si può fare<br />

su questa linea è proprio quella<br />

relativa al top di gamma che,<br />

non a caso, abbiamo definito<br />

flagship: non ha subìto mutamenti<br />

e sembra rappresentare<br />

più un esercizio di stile che un<br />

segmento davvero da presenziare.<br />

Sulla gamma medio alta, invece,<br />

Yamaha ci crede davvero,<br />

tant’è che nel lasso di due anni<br />

si è provveduto ad alcuni affinamenti<br />

che, tra l’altro, hanno dato<br />

luogo a un riscontro sostanziale<br />

nelle prestazioni delle ultime<br />

versioni, non così evidente dal<br />

punto di vista strumentale ma<br />

particolarmente evidente nei<br />

test di ascolto.<br />

La seconda considerazione (che<br />

a caduta ne porta molte altre)<br />

deriva da uno sguardo un po’<br />

più approfondito alla gamma<br />

che, udite udite, è composta da<br />

tre prodotti di potenza molto<br />

simile (attorno ai 100 W, esattamente<br />

come accade in casa<br />

Accuphase!), anche se la forbice<br />

tra il prezzo del modello più<br />

economico e quello più costoso è<br />

di circa 3.000 euro, pari a un incremento<br />

del 200% sul modello<br />

più economico. La potenza non<br />

più come valore discriminante?<br />

Da tempo ci affanniamo a dirlo,<br />

esattamente come nel caso di<br />

peso e dimensioni (a proposito:<br />

i tre integrati di punta Yamaha<br />

pesano tutti attorno ai 24 kg…<br />

). Accade qui, come nel caso del<br />

concorrente citato, perché entrambi<br />

hanno adottato un approccio<br />

volto all’ottimizzazione<br />

produttiva: una soluzione tipica<br />

della grande azienda ma, in questo<br />

caso, una scelta valida anche<br />

per un costruttore relativamente<br />

piccolo come Accuphase! In altre<br />

parole si parte da un unico<br />

progetto e lo si reinterpreta,<br />

spesso per sottrazione, nelle varie<br />

fasce di mercato in cui si vuole<br />

operare. Quel che conta per<br />

il consumatore è che gran parte<br />

delle potenzialità di un progetto<br />

vengano declinate in tutti i<br />

prodotti della gamma mentre<br />

le differenze (e le reason why?)<br />

andranno ricercate in elementi<br />

spesso destinati ad aumentare<br />

o indirizzare la versatilità di un<br />

apparecchio: all’utente stabilire<br />

se necessarie per lui o meno e,<br />

conseguentemente, determinare<br />

come ottimizzare i suoi investimenti.<br />

Nel caso dell’A-S1100<br />

(come sapete ci piace a volte<br />

svelare il nome dell’assassino in<br />

anticipo) questa logica è portata<br />

al suo apice consentendo all’apparecchio<br />

di ottenere un bilanciamento<br />

tra costi e prestazioni<br />

elevatissimo!<br />

A fronte di un delta di circa 500<br />

euro (abbastanza importante visto<br />

che rappresenta circa il 25%<br />

del costo del prodotto) l’A-S1100<br />

deve rinunciare per riduzione<br />

all’ingresso bilanciato (comunque<br />

uno solo nel 2100), dispone<br />

di un’uscita cuffia semplificata<br />

e di componentistica leggermente<br />

più commerciale rispetto<br />

a un apparecchio, l’A-S2100,<br />

che a sua volta è una demoltiplica<br />

“conveniente” del top di<br />

gamma! In compenso la sezione<br />

di potenza è identica, con finali<br />

e trasformatore uguali (solo i<br />

condensatori di filtro hanno una<br />

capacità di poco inferiore) e le<br />

prestazioni, sia quelle dichiarate<br />

che quelle ottenute al banco di<br />

misura, sono sostanzialmente le<br />

stesse. La presenza di una sezione<br />

fono sia MM che MC è a sua<br />

volta una chicca non comune in<br />

questa fascia di prezzo e, in assoluto,<br />

negli integrati attuali; per<br />

di più è quasi la stessa di quella<br />

implementata nell’A-S2100 che<br />

era stata a sua volta ottimizzata<br />

rispetto a quella installata nel<br />

flagship A-S3000. L’A-S1100<br />

beneficia anche, sempre a fronte<br />

di un’ottimizzazione produttiva,<br />

della presenza dei Vu Meter: il<br />

predecessore (A-S1000) non li<br />

aveva e difficilmente si troveranno<br />

su un apparecchio di questo<br />

prezzo... Che poi i Vu Meter siano<br />

utili o meno è un’altra questione:<br />

di certo contribuiscono<br />

al fascino di questo apparecchio,<br />

davvero notevole! Il look vintage<br />

beneficia anche della tipica<br />

costruzione a rack del mobile,<br />

“tamponata” poi dalla presenza<br />

dei fianchetti. A ben vedere<br />

una contraddizione in un apparecchio<br />

che si affida a moderni<br />

criteri costruttivi visto che è il<br />

frutto di un errato retaggio del<br />

passato: chi mai inserirebbe<br />

oggi un apparecchio di questo<br />

genere in un rack?<br />

Un ulteriore aspetto di quel<br />

retaggio duro ad evolvere (ma<br />

per tanti versi ancora molto<br />

piacevole da utilizzare… ) sono<br />

gli “organismi” di comando e<br />

controllo, come ad esempio levette,<br />

manopole e selettori che<br />

fanno parte, almeno nella fattura<br />

e nella sensazione al tatto,<br />

della vecchia scuola, quella in<br />

cui i leveraggi meccanici e gli<br />

azionamenti dovevano essere<br />

robusti, precisi e duraturi. Tuttavia<br />

oggi gli azionamenti e le<br />

regolazioni sono servoassistiti<br />

e gestiti da un microcontrollore.<br />

In pratica tanta robustezza<br />

aziona dei micro commutatori<br />

oppure, per quanto riguarda il<br />

volume, il potenziometro agisce<br />

come un riferimento per la<br />

regolazione, effettuata comunque<br />

tramite un chip. Tutto ciò<br />

non ha particolari ripercussioni<br />

se non sui costi di produzione<br />

e su una latenza di risposta alle<br />

regolazioni che a volte può essere<br />

fastidiosa: quando si ruota il<br />

selettore degli ingressi, ad esempio,<br />

l’ingresso viene commutato<br />

con un attimo di ritardo. Stessa<br />

cosa accade per il selettore degli<br />

altoparlanti in cui i relè scattano<br />

molto dopo la rotazione del<br />

commutatore. Nella regolazione<br />

dei toni, invece, appena si sposta<br />

uno dei potenziometri degli alti<br />

o dei bassi si sente chiaramente<br />

lo scatto del relè che commuta<br />

dal circuito diretto a quello con<br />

la sezione dei toni inserita. Anche<br />

se certe soluzioni potevano<br />

essere implementate in altro<br />

modo e in certi casi la latenza<br />

può risultare fastidiosa il risultato<br />

è indubbiamente fra i più<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 73


selector<br />

La sezione di alimentazione impiega<br />

condensatori di filtro ad alta capacita e<br />

condensatori distribuiti lungo le linee di<br />

alimentazione per abbassare ulteriormente<br />

l’impedenza. In prossimità dei dispositivi di<br />

potenza sono presenti delle barre di rame ad alto<br />

spessore.<br />

La scheda phono è collocata nella parte più in basso<br />

delle connessioni, all’interno di un contenitore in<br />

lamiera di schermatura. Il selettore per la scelta di<br />

fonorilevatori MM/MC è posto a fianco dei connettori<br />

RCA. Il circuito di preamplificazione è realizzato a<br />

componenti discreti e deriva direttamente da quello<br />

installato sui prodotti di punta nel catalogo Yamaha..<br />

di “serie” ma ottimo<br />

Lo chassis è realizzato con una<br />

doppia intelaiatura portante a più<br />

elementi, fissati a loro volta al pannello<br />

posteriore e a quello anteriore,<br />

realizzati in lamiera ripiegata e<br />

zincata. Il pannello frontale, in cui<br />

sono collocati gran parte dei circuiti<br />

logici di controllo e i comandi meccanici<br />

e i Vu-Meter, è realizzato con<br />

un pannello in alluminio fissato allo<br />

chassis e, in un certo senso, isolato<br />

dal resto dell’apparecchio dal pannello<br />

in lamiera anteriore.<br />

A ridosso del pannello posteriore<br />

sono fissati i tre PCB disposti su tre<br />

livelli dove sono collocati i connettori<br />

di ingresso e i circuiti di commutazione<br />

e preamplificazione. Sulla<br />

scheda superiore sono presenti il<br />

microcontrollore per la gestione dei<br />

segnali in ingresso e uscita (che si<br />

occupa della ricezione dei comandi<br />

e della regolazione fisica del livello<br />

del volume in cui ha un sensore di<br />

posizione analogico del potenziometro)<br />

e la sezione di preamplificazione,<br />

che adotta tre regolatori di<br />

livello NJU72321 della NJR, gli stessi<br />

utilizzati nell’A-S3000 per la regolazione<br />

del volume e dei controlli<br />

di tono. Nell’utilizzo si percepisce<br />

sempre un certo ritardo fra l’azionamento<br />

di un comando e l’effettiva<br />

attuazione: lo scatto del relè in<br />

ingresso avviene dopo la rotazione<br />

74 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test Yamaha A-S1100<br />

La regolazione del volume avviene tramite l’azionamento<br />

di un potenziometro motorizzato ALPS che agisce su un<br />

controllore a stato solido del volume. Il tasto mute attiva<br />

una procedura di rotazione della manopola del volume con<br />

memorizzazione della posizione iniziale. Togliendo il mute la<br />

manopola ritorna alla posizione di origine..<br />

Gli ingressi e le uscite sono disposti su un PCB di commutazione<br />

collegato alla sezione di preamplificazione tramite cavi coassiali<br />

per il segnale e monopolari per alimentazione e comandi.<br />

I morsetti sono realizzati<br />

direttamente da<br />

Yamaha e mostrano<br />

una meccanica molto<br />

efficiente e funzionale<br />

per la connessione di cavi<br />

terminati in qualsiasi modo<br />

e in particolare per quelli<br />

spellati.<br />

del selettore e dopo l’accensione del<br />

led, anch’essa lievemente ritardata.<br />

La scheda phono è posizionata<br />

in fondo alla sezione di ingresso,<br />

chiusa in un contenitore metallico<br />

schermante. Il circuito è realizzato a<br />

componenti discreti distintamente<br />

per la sezione MM e MC, con due alimentazioni<br />

duali separate e distinte<br />

da ±20 per l’una e ±18V per l’altra. Le<br />

commutazioni avvengono tramite<br />

relè attivati dal circuito di controllo<br />

servoassistito. I componenti attivi<br />

sono prevalentemente a tecnologia<br />

SMD con l’utilizzo, però, di condensatori<br />

tradizionali sia a film che elettrolitici,<br />

opportunamente distribuiti<br />

lungo le linee di alimentazione di<br />

segnale; si nota anche l’impiego di<br />

microinduttori sull’ingresso ad alta<br />

compattazione. I due finali sono installati<br />

su dissipatori in alluminio<br />

posti all’interno dello chassis con<br />

i dispositivi di potenza assemblati<br />

sul PCB in modo da minimizzare il<br />

percorso del segnale e da sfruttare<br />

al massimo la lunghezza dei reofori<br />

per le connessioni.<br />

L’alimentazione utilizza un solo<br />

trasformatore di rete dotato di più<br />

uscite separate per i canali di potenza,<br />

alimentati indipendentemente<br />

uno dall’altro con una filtratura con<br />

quattro condensatori da 18.000 µF<br />

ciascuno per le sezioni di preamplificazione<br />

e di gestione.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 75


selector<br />

al banco di misura<br />

suonogramma<br />

1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 2<br />

2 Messa a fuoco e corposità................................ 3<br />

3 Ricostruzione scenica altezza......................... 2<br />

4 Ricostruzione scenica larghezza................... 2<br />

5 Ricostruzione scenica profondità.................. 2<br />

6 Escursioni micro-dinamiche............................ 2<br />

7 Escursioni macro-dinamiche........................... 2<br />

8 Risposta ai transienti........................................ 2<br />

9 Velocità................................................................ 2<br />

10 Frequenze medie e voci...................................... 2<br />

11 Frequenze alte.................................................... 2<br />

12 Frequenze medio-basse..................................... 2<br />

13 Frequenze basse.................................................. 2<br />

14 Timbrica................................................................ 2<br />

15 Coerenza............................................................... 2<br />

16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />

La risposta in frequenza è molto estesa e per nulla condizionata<br />

dal carico o dalla regolazione del livello tramite<br />

il potenziometro del volume. La distorsione è solo lievemente<br />

accennata con una prevalenza di componenti<br />

di ordine dispari ma con un decadimento armonico abbastanza<br />

rapido. Le componenti da intermodulazione<br />

simmetriche sono lievemente accennate e assenti le altre.<br />

Nonostante la sensibilità dell’apparecchio sia piuttosto<br />

alta il tappeto di rumore si mantiene a livelli molto bassi<br />

nelle normali condizioni di utilizzo ipotizzate con livelli<br />

piacevoli e old style, pressoché<br />

sconosciuto in questa fascia di<br />

prezzo.<br />

Dal punto di vista sonoro quasi<br />

ogni parametro eccede la media<br />

della categoria e la rappresentazione<br />

offerta è caratterizzata da<br />

un’omogeneità su ogni parametro<br />

degna di nota, con una particolare<br />

menzione per la capacità<br />

di messa a fuoco dei protagonisti<br />

dello stage, particolarmente credibili<br />

e materici. Una segnalazione<br />

a parte per lo stadio fono,<br />

che eccede decisamente la classe<br />

di appartenenza del prodotto<br />

risultando definitivo se non<br />

si hanno esigenze particolari o<br />

front end tanto problematici da<br />

richiedere un’elettronica ad hoc.<br />

Nella media lo stadio cuffia che,<br />

comunque, garantisce buone<br />

performance con buona parte<br />

delle cuffie in circolazione. Se<br />

in termini di performance sonore<br />

probabilmente qualcuno<br />

dei concorrenti (circa 60 nella<br />

fascia tra 1.200 e 2.000 euro)<br />

può competere con l’A-S1100,<br />

quasi nessuno ha i numeri per<br />

confrontarsi sugli altri parametri<br />

selettivi. La semplificazione<br />

circuitale e l’assenza della sezione<br />

bilanciata in ingresso pur<br />

riducendo in parte la componentistica<br />

e le sezioni circuitali<br />

di ingresso intorno a 2Vrms, in cui si ottengono le massime<br />

prestazioni dell’apparecchio in termini di rumore<br />

e spurie in banda e fuori banda, evidenziando una cura<br />

dell’alimentazione e delle filtrature notevole.<br />

La distorsione si mantiene molto bassa in tutto il range<br />

di amplificazione con una prevalenza di terza armonica<br />

e la totale assenza della seconda, conseguentemente<br />

alle scelte di configurazione. Al clipping si arriva in modo<br />

abbastanza repentino raggiungendo una potenza di<br />

uscita di circa 105 Wrms su 8R per una THD+n all’1%.<br />

non giustificherebbero una riduzione<br />

dei costi al pubblico così<br />

importante; dobbiamo tuttavia<br />

abituarci (soprattutto nei casi in<br />

cui questo va a favore del consumatore)<br />

al fatto che sempre più<br />

spesso il prezzo al pubblico viene<br />

determinato non tanto dai costi<br />

di produzione ma dall’analisi e<br />

da tutte le valutazioni effettuate<br />

sulla fascia di destinazione! In<br />

tale ottica l’A-S1100 in prova dimostra<br />

il miglior rapporto Q/P<br />

della categoria (e una versatilità<br />

ai vertici) risultando l’apparecchio<br />

a minor fattore di obsolescenza<br />

rispetto ai consimili nel<br />

catalogo Yamaha.<br />

Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />

-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />

esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />

analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

UN lavoro di ottimizzazione per affinameto del<br />

progetto originale che qui viene declinato rinunicando<br />

ad orpelli ma mantenendo la sostanza.<br />

banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Quasi la fotocopia dei modelli maggiori; dunque<br />

ottimo visto l’abbattimento del costo.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Ampia dotazione di ingressi che non trascura<br />

ogni tipo di utilizzo. Non si sente la mancanza<br />

dell’ingresso XLR, unica differenza con i modelli<br />

maggiori<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

La trasparenza è la dote principale di un apparecchio<br />

che non vuole imporsi ma non concede<br />

spazio alle colorazioni.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Passo dopo pass, una conferma dopo l’altra.<br />

Occorrerà inventare una nuova scala valoriale<br />

solo per Yamaha?<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Come cogliere due piccioni con una fava o, per<br />

meglio dire, questo è il frutto di un lavorodi razionalizzazione<br />

ben fatto.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

76 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


selector<br />

di Emilio Paolo Forte<br />

Kef LS50, Sonus faber<br />

Minima Vintage e LS3/5a:<br />

Mini diffusori alla prova<br />

del tempo<br />

La scuola inglese è stata un riferimento assoluto per la produzione di diffusori da stand di qualità, anche<br />

grazie agli investimenti nella ricerca della BBC, l’ente radiotelevisivo di stato britannico principale<br />

sviluppatore di progetti e committente per la realizzazione di diffusori di qualità.<br />

Ancora oggi il massimo<br />

esponente della scuola<br />

inglese nonché archetipo<br />

di tutti i diffusori da stand è<br />

l’LS3/5a, un progetto della BBC<br />

di quarant’anni fa, un due vie in<br />

cassa chiusa equipaggiato con<br />

trasduttori della Kef (T27 e B110,<br />

rispettivamente tweeter da 27<br />

mm e midwoofer da 110 mm),<br />

nato per le esigenze interne del<br />

servizio BBC e poi dato in licenza<br />

a partire dal 1975 alla Rogers<br />

per la produzione su larga scala<br />

e vendita sul mercato, nel rispetto<br />

delle specifiche del progetto<br />

(quindi, con obbligo di impiego<br />

dei trasduttori Kef). Nel 1982 anche<br />

la Spendor ottenne la licenza<br />

di produrre e vendere gli LS3/5a<br />

con proprio marchio e successivamente,<br />

nel 1988, si aggiunsero<br />

la Harbeth e poi altri licenziatari<br />

minori (Chartwell, Goodmans,<br />

Audiomaster, Decca, Ram, Stirling<br />

e la stessa Kef che fino ad allora<br />

si era limitata a fornire i suoi<br />

trasduttori ai vari licenziatari del<br />

progetto). Nel 1987 sono intervenute<br />

alcune piccole migliorie ai<br />

trasduttori e crossover che hanno<br />

portato la versione nativa da<br />

15 Ohm alla versione conosciuta<br />

come LS3/5a 11 Ohm (cosa che<br />

rende incompatibili le componentistiche<br />

delle due versioni). Infine<br />

dal 1991 la BBC ha introdotto<br />

un’ultima variazione al progetto<br />

originario, approvando la versione<br />

biwiring.<br />

La brevissima sintesi serve a tracciare<br />

un minimo di linee guida per<br />

uno dei modelli più longevi e di<br />

successo nella storia dell’alta fedeltà<br />

(è stato in produzione per<br />

circa vent’anni) e con le quotazioni<br />

più alte mai raggiunte rispetto<br />

al prezzo di vendita originario e<br />

in continua ascesa per la forte richiesta<br />

dell’usato, soprattutto dai<br />

mercati asiatici. Parlare di diffusore<br />

da stand, esprimere giudizi<br />

senza aver mai ascoltato nelle<br />

condizioni migliori una coppia<br />

di LS3/5a significa un po’ parlare<br />

senza piena cognizione di causa:<br />

i pregi e i difetti di un mini diffusore<br />

sono stati già scritti in quella<br />

pagina di storia. E non è un caso<br />

se ancora oggi quel progetto venga<br />

preso come riferimento da tutti i<br />

costruttori che vogliano cimentarsi<br />

nella realizzazione di un diffusore<br />

grande quanto una “scatola<br />

da scarpe”.<br />

Una recentissima e apertamente<br />

dichiarata sfida è venuta dalla Kef<br />

con l’LS50, un diffusore caratterizzato<br />

da un trasduttore “dual<br />

concetric” in bass reflex che,<br />

secondo il “white paper” (documento<br />

interno che pubblica i dati<br />

sulle finalità del progetto, le fasi<br />

dello sviluppo, le misure e i risultati<br />

ottenuti prima di passare<br />

alla fase realizzativa e di commercializzazione)<br />

non solo è ispirato<br />

all’LS3/5a ma ne migliorerebbe significativamente<br />

le prestazioni in<br />

termini di trasparenza, tenuta in<br />

potenza e dispersione in ambiente.<br />

Il miracolo Kef sarebbe stato<br />

consentito dagli attuali potenti<br />

mezzi informatici a disposizione,<br />

un robusto investimento nella ricerca<br />

e dalle economie di scala che<br />

solo la Gold Peak, il colosso asiatico<br />

attuale proprietario del glorioso<br />

marchio inglese, poteva permettersi,<br />

immettendo sul mercato<br />

l’LS50 a poco più di 1.000 euro<br />

la coppia, prezzo decisamente<br />

inferiore rispetto alle quotazioni<br />

raggiunte su eBay per una coppia<br />

di vecchie LS3/5a originali.<br />

Un prodotto che si colloca nel<br />

mezzo è invece il Sonus faber<br />

Minima Vintage. Si tratta della<br />

riedizione del celebre Minima<br />

del 1984, il capolavoro di Franco<br />

Serblin. Il progetto è rimasto<br />

esattamente identico rispetto alla<br />

versione originale, sempre col<br />

tweeter Dynaudio D28, mentre il<br />

woofer Seas si avvantaggia di piccoli<br />

aggiornamenti nel disegno del<br />

cestello che consentono ora una<br />

maggiore escursione dinamica,<br />

pur preservando l’equilibrio e la<br />

trasparenza di sempre. Questo<br />

diffusore può essere considerato<br />

come il classico colpo di genio<br />

italico, nato senza il supporto dei<br />

potenti mezzi della BBC o di una<br />

holding asiatica ma grazie all’intuizione<br />

e maestria di uno dei massimi<br />

progettisti italiani.<br />

Quante cose sono cambiate nel<br />

mondo dei mini diffusori nel lasso<br />

di questi quarant’anni? Una<br />

risposta almeno parziale deriva<br />

dalla possibilità che ho avuto di<br />

ascoltare e confrontare in diversi<br />

setup gli LS50, i KEF LS3/5a<br />

Raymond Cook Special Edition,<br />

i Rogers LS3/5a Limited Edition<br />

(parliamo in entrambi i casi di<br />

LS3/5a 11 Ohm biwiring, ovvero<br />

degli esemplari più recenti e, si<br />

spera, più performanti del celebre<br />

progetto BBC) e i Sonus faber Minima<br />

Vintage. Le amplificazioni<br />

principali con cui sono stati ascoltati<br />

i diffusori sono state: Audio<br />

Research Ref. 3 e Ref. 110; McIntosh<br />

C2500 e MC302. Sorgenti<br />

Marantz SA11s3 e Thorens TD124<br />

con SME4 e Benz LP collegato al<br />

pre phono interno del McIntosh<br />

C2500 oppure al pre phono Benz<br />

PP1-T9. Cablaggi vari e linee elettriche<br />

dedicate.<br />

I Kef LS50 hanno bisogno di un<br />

rodaggio estenuante prima che i<br />

78 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


mini dffusori alla prova del tempo<br />

trasduttori concentrici inizino a<br />

sciogliersi e a lavorare a dovere.<br />

Si tratta di un equipaggio mobile<br />

estremamente rigido e leggero in<br />

lega di alluminio e magnesio. La<br />

prima evidenza che si coglie all’ascolto<br />

è che si tratta di un diffusore<br />

che necessita più corrente di<br />

quanto non richiedano gli LS3/5a,<br />

restituendo in cambio escursioni<br />

dinamiche e impatto (nel vero<br />

senso fisico di movimento di aria)<br />

sconosciute agli altri protagonisti<br />

di questo approfondimento. Il<br />

suono è grande, potente, inimmaginabile<br />

per un diffusore di<br />

questa taglia, perlomeno nella<br />

sua accezione classica (altra cosa<br />

sono le new entry dove convivono<br />

l’utilizzo della soluzione attiva, la<br />

multiamplificazione e l’uso dei<br />

DSP). Attenzione, però, a non<br />

farsi prendere la mano altrimenti,<br />

a volumi realistici e in ambienti<br />

eccessivi (oltre i 20 mq), il bellissimo<br />

equilibrio timbrico rischia di<br />

essere alterato dall’indurimento<br />

della gamma medio-alta. In effetti<br />

nessuno si sognerebbe mai di<br />

strapazzare con bordate di watt un<br />

LS3/5a che fa della raffinatezza di<br />

emissione il suo punto forte: ecco,<br />

bisogna ricordare che l’LS50 nasce<br />

dichiaratamente come erede<br />

degli LS3/5a, con il plus di dare<br />

qualche soddisfazione in più in<br />

termini di estensione in basso (è<br />

pur sempre una cassa in bass reflex)<br />

e dinamica. Come accennavo<br />

queste caratteristiche del progetto<br />

si pagano in termini di osticità<br />

nel pilotaggio: ho ascoltato i Kef<br />

LS3/5a Raymond Cook SE andare<br />

divinamente (e in un ambiente<br />

ben oltre i 20 mq) pilotati da soli<br />

8 watt di un Air Tight 300B; mi<br />

sono commosso di fronte ai Rogers<br />

LS3/5a 15 Ohm pilotati da 12<br />

watt di un Marantz 8B originale.<br />

Un Kef LS50 con questi watt nemmeno<br />

si muove, o meglio, resta<br />

anemico e poco contrastato...<br />

L’impostazione timbrica dell’LS50<br />

è di quelle che il breviario<br />

audiofilo riconosce come neutra e<br />

trasparente, è un progetto molto<br />

solido d’impostazione moderna<br />

che non aggiunge note di calore/<br />

colore allo spettro sonoro non<br />

dovendo enfatizzare o camuffare<br />

nulla, anche grazie all’ottima<br />

estensione e tenuta in potenza su<br />

cui può contare. Al confronto gli<br />

LS3/5a, un sistema a sospensione<br />

pneumatica in gamma medio<br />

bassa fanno quel che possono,<br />

rinunciando a ogni tentativo di<br />

enfatizzazione che se da un lato<br />

avrebbe aiutato a scandire meglio<br />

il giro di basso rischia, dall’altro,<br />

di insidiare la purezza della magnifica<br />

gamma media. La macrodinamica,<br />

per scelta progettuale,<br />

resta decisamente sacrificata<br />

mentre tutto il lavoro del woofer<br />

è ottimizzato per la microdinamica<br />

della gamma media. In gamma<br />

media, con le voci umane in particolare,<br />

gli LS3/5a stabiliscono un<br />

mirabile equilibrio di ricchezza<br />

di sfumature, calore, credibilità e<br />

corposità che nessun altro diffusore<br />

da me ascoltato è riuscito ad<br />

oggi a eguagliare. Non fa eccezione<br />

l’LS50 che nella sua maggiore<br />

neutralità, nettezza e trasparenza<br />

sbilancia la resa musicale verso<br />

toni piuttosto radiografanti che<br />

svelano la mediazione microfonica,<br />

facendo scivolare l’ascoltatore<br />

dall’illusione di una voce incarnata<br />

e palpabile a una voce riprodotta,<br />

per quanto magnificamente<br />

riprodotta.<br />

Molte realizzazioni, o meglio, molti<br />

set-up degli audiofili, perseguono<br />

pervicacemente la trasparenza,<br />

chiarezza e intellegibilità ad ogni<br />

costo (quante volte abbiamo sentito<br />

dire: “Finalmente è caduto un<br />

altro velo”). Ma con le voci, in particolare,<br />

se cade un velo di troppo<br />

siamo arrivati alle tonsille, la voce<br />

non è più credibile, prevalgono<br />

toni androidi e metallici sull’incarnato<br />

che il nostro orecchio<br />

ben conosce. E la magia di vedere<br />

materializzata nella nostra stanza<br />

l’artista di turno svanisce irrimediabilmente.<br />

Quando con gli<br />

LS3/5a si parla di mirabile equilibrio<br />

è proprio perché questo diffusore<br />

non persegue alcun record,<br />

anzi, sembra proprio ottimizzato<br />

per la voce umana, al punto che<br />

con altri programmi musicali può<br />

apparire meno contrastato e coinvolgente<br />

degli LS50 e, addirittura,<br />

la scarsa consistenza in basso può<br />

richiamare l’impressione di una<br />

certa nasalità. Eppure gli LS3/5a,<br />

quando correttamente interfacciati<br />

e valorizzati con pochi watt<br />

di qualità, hanno qualcosa di magico<br />

e irripetibile che ancora oggi<br />

li rende nella comunità audiofila<br />

uno dei più ambìti oggetti del desiderio<br />

oltre che un oggetto da collezione.<br />

Per me l’LS3/5a resta una<br />

insostituibile pietra di paragone<br />

su cui “rifarmi le orecchie” prima<br />

di analizzare gli altri diffusori da<br />

stand.<br />

L’LS50, come accennato prima, è<br />

un diffusore moderno votato alla<br />

trasparenza e neutralità ad ogni<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 79


selector<br />

costo. Eccessivo per le voci ma<br />

con strumenti acustici e software<br />

più complessi, questa analiticità<br />

consente di ottenere un effetto<br />

monitor spietato. Dal punto di<br />

vista della ricostruzione scenica,<br />

altro punto di forza di questa tipologia<br />

di diffusore, l’LS50 sembra<br />

privilegiare stand almeno da 70<br />

cm e una forte angolazione rispetto<br />

al punto di ascolto con incrocio<br />

appena avanti o appena dietro il<br />

punto di ascolto, se si vuole ottenere<br />

una prospettiva ottimale. Occorre,<br />

infatti, tener presente che<br />

il tweeter è collocato al centro del<br />

woofer (è un “dual concentric”) e<br />

quindi resta molto più in basso rispetto<br />

a un tweeter tradizionale.<br />

Con l’LS50 si deve quindi lavorare<br />

molto più rispetto agli altri mini<br />

diffusori per riuscire a ottenere un<br />

palcoscenico credibile, soprattutto<br />

in altezza.<br />

Il Minima Vintage si inserisce invece<br />

in questo summit prendendo<br />

il buono di entrambi i concorrenti.<br />

Sa essere dinamico e contrastato<br />

come l’LS50 mantenendo<br />

la morbidezza dell’incarnato<br />

delle voci propria dell’LS3/5a. È<br />

un diffusore più ostico rispetto<br />

all’LS3/5a ma non così esigente<br />

come l’LS50, sapendo adattarsi<br />

meglio di quest’ultimo a pilotaggi<br />

di differente potenza, rendendo<br />

ogni volta risultati comunque piacevoli.<br />

Il tweeter Dynaudio D28 ha<br />

una marcia in più rispetto ai driver<br />

degli altri concorrenti, e si sente.<br />

Il Minima Vintage tende a portare<br />

un po’ più in avanti i protagonisti<br />

sul palcoscenico ideale illuminandoli<br />

e conferendo loro una<br />

plasticità e uno stacco sul resto<br />

dell’evento come è raro ascoltare.<br />

L’LS3/5a ha un’impostazione più<br />

arretrata mantenendo comunque<br />

un significativo stacco tra protagonisti<br />

e comprimari. L’LS50<br />

è quello che valorizza di più la<br />

resa dei comprimari, rendendo<br />

intellegibile in maniera omogenea<br />

l’intero messaggio musicale<br />

senza indulgere nell’effetto magnificazione<br />

della gamma media,<br />

più evidente sull’LS3/5a e molto<br />

evidente sul Minima Vintage. Ovviamente<br />

il risvolto della medaglia<br />

è che con l’LS50 si apprezza una<br />

definizione eccellente su tutto il<br />

palcoscenico ma si perde la suggestione<br />

della plasticità dei protagonisti<br />

sul palcoscenico che gli altri<br />

due diffusori riescono a rendere.<br />

In sintesi, relativizzando questa<br />

esperienza d’ascolto posso dire<br />

che il Kef LS50 è il diffusore più<br />

completo e versatile del gruppo.<br />

Esteso, coerente, con un basso<br />

e una dinamica significativi e<br />

un’ottima ricostruzione scenica,<br />

può essere una scelta definitiva<br />

a prescindere dal lignaggio delle<br />

elettroniche a monte, potendo<br />

tranquillamente onorare set-up<br />

importanti in ambienti di dimensioni<br />

contenute (entro i 20 mq).<br />

Fortemente consigliato anche per<br />

gli appassionati di musica classica<br />

e sinfonica in particolare, essendo<br />

in grado di ricreare enormi sale<br />

da concerto nel vostro ambiente<br />

e riuscendo a mettere ben a fuoco<br />

ciascuno strumento, anche i più<br />

defilati e gregari.<br />

Il Sonus faber Minima Vintage<br />

è il diffusore più caratterizzato<br />

tra quelli presi in esame: si avverte<br />

una leggera enfasi presente<br />

in gamma medio-alta e sul<br />

medio-basso, però all’ascolto è<br />

dannatamente piacevole, riesce<br />

a illuminare letteralmente alcune<br />

partiture (in particolare i software<br />

intimistici ma anche la classica,<br />

da un punto di vista strettamente<br />

“visivo”, è molto appagante) esaltando<br />

molto il parametro della<br />

profondità. Voci e strumenti, infatti,<br />

sono collocati tra il fronte<br />

dei diffusori e la parete di fondo<br />

secondo una sequenza in 3D<br />

molto suggestiva proprio perché<br />

i protagonisti si materializzano in<br />

mezzo alla stanza e non restano<br />

proiettati oltre la parete di fondo<br />

(per cui fondamentale è lasciare<br />

più spazio possibile tra diffusori<br />

e parete di fondo per apprezzare<br />

questa dote peculiare: se possibile,<br />

meglio disporre i diffusori<br />

sul lato stretto della stanza, visto<br />

che i Minima Vintage sono<br />

poco sensibili, se inclinati molto<br />

verso il punto di ascolto, alla vicinanza<br />

della parete laterale). La<br />

suggestione della scena sonora<br />

virtuale è senza dubbio la più intensa<br />

percepibile all’ascolto dei tre<br />

modelli. Rogers e Kef LS3/5a offrono<br />

un ascolto apparentemente<br />

più dimesso e meno contrastato.<br />

Tuttavia, quando in campo entra<br />

una voce, questa viene scolpita a<br />

tutto tondo tre passi avanti alla<br />

parete di fondo. L’equilibrio tonale,<br />

pur se non caratterizzato da<br />

escursioni particolarmente spinte,<br />

è meravigliosamente ricco, morbido<br />

e credibile anche se i bianchi<br />

non sono abbaglianti e i neri non<br />

ricordano delle voragini. Proprio<br />

questo modo di porgere il messaggio<br />

musicale le rende ancora oggi<br />

predilette da numerosi appassionati<br />

in tutto il mondo.<br />

Per quanto riguarda gli accoppiamenti<br />

con le elettroniche, sia i<br />

McIntosh (che beneficiano anche<br />

80 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


mini dffusori alla prova del tempo<br />

della possibiità di uscite a varie<br />

impedenze) che gli Audio Research<br />

a disposizione si sono confermati<br />

ottimi interfacciamenti,<br />

anche se il primo mi è parso<br />

egualmente a suo agio con i tre<br />

è particolarmente piaciuto con gli<br />

LS3/5a, forse un po’ troppo snaturati<br />

dal rigore dei Reference. In<br />

ambienti entro i 20 mq gli LS3/5a<br />

sono una delizia anche con piccole<br />

amplificazioni di qualità, come gli<br />

8 watt dell’Air Tight 300B, i Leben<br />

CS300 e CS600, i Sugden in classe<br />

A “and so on…”. Per i Minima<br />

Vintage consiglio almeno 30 watt<br />

buoni. Per gli LS50 ci vuole della<br />

corrente: i 110 watt del Reference<br />

110 se li è bevuti tranquillamente<br />

restituendo in più di qualche<br />

occasione un impatto dinamico<br />

notevole!<br />

Malgrado i quarant’anni che dividono<br />

idealmente i tre progetti,<br />

nonostante nuovi materiali e nuove<br />

tecnologie, i tre mini - protagonisti<br />

sembrano tutti nati ieri a<br />

conferma del fatto che gli oggetti<br />

dell’alta fedeltà particolarmente<br />

riusciti non temono una rapida<br />

obsolescenza (ma anche di una<br />

certa staticità del progresso tecnologico<br />

in materia..!).<br />

Stabilire quale di questi progetti<br />

sia il più riuscito diventa allora il<br />

risultato di una preferenza personale<br />

piuttosto che il sintomo<br />

dell’essere riusciti a individuare<br />

la reale superiorità di un progetto<br />

sull’altro. Questo anche perché la<br />

regola della coperta corta vuole<br />

che l’inevitabile ottimizzazione insita<br />

nel compromesso di diffusori<br />

così piccoli vada a valorizzare, laddove<br />

non ad esaltare, alcune cose<br />

su altre: tutto non si può avere.<br />

Meglio lasciar spazio all’ascolto<br />

per capire se la vostra musica<br />

preferita riesce ancora ad emozionarvi,<br />

lasciando al cuore la scelta<br />

giusta...<br />

Clavimania<br />

diffusori mentre il secondo non mi<br />

Uno strumento unico<br />

(uno dei pochi claviorgani al mondo)<br />

Un ensemble unico<br />

(Massimiliano Muzzi of Strichen &<br />

Orchestra da camera del Maggio Musicale Fiorentino)<br />

Un programma unico<br />

(per la prima volta i brani per claviorgano eseguiti con un claviorgano e registrati)<br />

Un’occasione unica<br />

(Villa Rondinelli a Fiesole)<br />

Una registrazione allo stato dell’arte<br />

(realizzato in DXD con la supervisione di <strong>SUONO</strong>)<br />

<strong>SUONO</strong>records<br />

Per info: http://www.suono.it/E-Shop/<strong>SUONO</strong>records/Claviorganum-n-SR012


selector<br />

a cura della redazione<br />

Diffusori<br />

Elac Debut B5 by Andrew Jones<br />

“La sfida massima per<br />

un costruttore sta, più<br />

che nel realizzare un modello<br />

no limits, nel creare<br />

un prodotto dall’ottimo<br />

rapporto qualità/prezzo”.<br />

L’affermazione è di un progettista<br />

ed è ancor più valida<br />

in una fase del mercato<br />

come questa in cui i marchi<br />

di pregio cercano di riposizionarsi<br />

andando a “pescare”<br />

nell’ampio bacino<br />

dei nuovi fruitori di musica<br />

riprodotta che si è venuto<br />

a creare. La linea Debut<br />

è stata creata con questo<br />

target bene in mente...<br />

Debut è una linea di<br />

diffusori della tedesca<br />

Elac che appartiene a<br />

una fascia di prezzo tra le più<br />

basse in Hi-Fi: si parte dal singolo<br />

canale centrale C5 da 275<br />

euro per passare ai tre modelli<br />

da piedistallo o ripiano (A4, B5<br />

e B6), rispettivamente da 350<br />

euro i primi due e 430 euro il<br />

terzo, e finire con l’unico modello<br />

da pavimento previsto per<br />

ora, l’F5, proposto a 830 euro.<br />

Il fatto che dal modello C si passi<br />

al modello F ci fa immaginare,<br />

inoltre, che siano in arrivo<br />

altri modelli intermedi oltre a<br />

una linea di tre subwoofer.<br />

La gamma è stata realizzata<br />

da Andrew Jones: entrato<br />

come vicepresidente nel reparto<br />

americano d’ingegneria<br />

del costruttore tedesco, Jones<br />

è uno dei più esperti progettisti<br />

nel settore, vantando una lunga<br />

esperienza in merito. Le sue<br />

prime collaborazioni furono<br />

con l’inglese Kef, poi l’americana<br />

Infinity e, infine, la sua<br />

partecipazione al sorprendente<br />

ritorno in campo audio di alto<br />

livello di Pioneer con la progettazione<br />

dei diffusori della<br />

linea esclusiva TAD, diventata<br />

poi un marchio a sé. Potrebbe<br />

sorprendere che la sua prima<br />

collaborazione con Elac non<br />

avvenga, come si sarebbe potuto<br />

immaginare, con una linea<br />

di punta, visto anche il grande<br />

successo di critica dei prodotti<br />

TAD; probabilmente, però, anche<br />

Jones deve aver condiviso<br />

la convinzione secondo cui la<br />

vera scommessa sia quella di<br />

realizzare un prodotto economico<br />

ma di alto valore: non a<br />

caso la gamma creata da Jones<br />

si chiama Debut e costituisce<br />

l’entry level del costruttore tedesco.<br />

Scopi e target di questa<br />

linea dal prezzo contenuto e le<br />

linee semplici li ha esplicitati<br />

lo stesso Jones: “L’abbiamo<br />

progettata pensando ai nuovi<br />

audiofili, tenendo bene a<br />

mente l’effetto che volevamo<br />

ottenere: Wow! Un ascolto<br />

che tocchi il cuore più che la<br />

testa… Il target sono i nuovi<br />

appassionati di musica ma anche<br />

chi voglia semplicemente<br />

trovare una soluzione per il<br />

secondo impianto a un costo<br />

più che ragionevole”.<br />

L’ambiziosa strada è stata<br />

aperta con il modello in prova,<br />

il B5. Si tratta di un diffusore<br />

da piedistallo o libreria<br />

compatto, progettato, stando<br />

a quanto dichiarato dal progettista,<br />

cercando di ottenere una<br />

buona estensione alle basse<br />

frequenze, sacrificando giusto<br />

un po’ l’efficienza. L’impiego<br />

di una bobina e un magnete<br />

Prezzo: € 350,00<br />

Dimensioni: 20 × 34,2 x 22,2 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5,2 kg<br />

Distributore: LP Audio di Luca Parlato<br />

Via della Tesa, 20 - 34138 Trieste (TS)<br />

Tel. 040.56.98.24<br />

www.lpaudio.it<br />

DIFFUSORI Elac Debut B5 by Andrew Jones<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N. vie: 2 Potenza<br />

(W): 20-120 Impedenza (Ohm): 6 Frequenze di crossover<br />

(Hz): 3000 Risp. in freq (Hz): 44 - 20.000 Sensibilità (dB): 87 Altoparlanti:<br />

Wf 13 cm; Tw cupola 25 mm Rifinitura: Nero vinilico<br />

satinato Griglia: sì.<br />

82 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test<br />

più grandi del solito, sempre<br />

secondo Jones, dovrebbero<br />

aiutare il diffusore a produrre<br />

un impatto e una dinamica superiori<br />

alle previsioni. E se non<br />

bastasse, per ottenere risultati<br />

ancora più significativi in questo<br />

ambito, ci si può rivolgere<br />

al modello immediatamente<br />

superiore (B6) o a quello da<br />

pavimento (F6). In realtà Jones<br />

non è nuovo alla sfida di<br />

progettare diffusori di costo<br />

contenuto, avendola affrontata<br />

già ai tempi di Pioneer prima<br />

di TAD. Se nella progettazione<br />

di diffusori senza compromessi<br />

come i TAD la sfida era quella<br />

di realizzare diffusori, non<br />

ottimi ma semplicemente straordinari,<br />

per ottenere risultati<br />

da best buy nella categoria economica<br />

l’esame di ogni componente<br />

e lo studio dei tempi<br />

di realizzazione hanno il loro<br />

peso. D’altro canto ci sono caratteristiche<br />

meccaniche di un<br />

altoparlante che hanno una<br />

certa influenza da un punto di<br />

vista sonoro e molto meno sul<br />

fronte dei costi; in questo senso<br />

Jones ritiene che la possibilità<br />

di progettare altoparlanti<br />

personalizzati, gli altoparlanti<br />

realizzati da terzi “su specifiche<br />

del cliente”, può risultare<br />

decisivo per fare la differenza.<br />

Il condotto presenta ampie<br />

svasature ai bordi e risulta<br />

ben raccordato con il<br />

pannello. Nonostante<br />

l’emissione posteriore,<br />

il sistema è facilmente<br />

collocabile vicino alla<br />

parte di fondo.<br />

I morsetti, di fascia<br />

economica, sono<br />

in posizione molto<br />

ravvicinata e bisogna<br />

fare attenzione a<br />

cortocircuiti con cavi<br />

spellati multi trefolo.<br />

Nessuna controindicazione<br />

per terminazioni a banana o<br />

a forcella.<br />

In termini di messa a punto, se<br />

per dei piccoli ma non minuscoli<br />

diffusori come questi la<br />

condizione ideale sembra essere<br />

quella del tradizionale collocamento<br />

su piedistalli da 60<br />

cm di altezza, può sorprendere<br />

il fatto che non sia necessario<br />

porli a ridosso della parete di<br />

fondo per rinforzare la risposta<br />

alle basse frequenze. Se possibile,<br />

dunque, meglio collocarli<br />

ad almeno mezzo metro o più<br />

di distanza, visto che è proprio<br />

la loro generosità (ma anche la<br />

qualità dei bassi) a sorprendere<br />

sin da subito: chi si aspetta un<br />

suono magari valido e corretto<br />

ma piccolo e scarso sul basso,<br />

rimarrà alquanto sorpreso dal<br />

carattere di questi B5! Fin dalle<br />

prime impressioni l’equilibrio<br />

timbrico sembra favorire proprio<br />

questa gamma di frequenze<br />

rispetto alle alte. Vero ma<br />

non in assoluto... Man mano<br />

che si procede con gli ascolti si<br />

apprezza infatti un’apertura di<br />

tutto rispetto, con una pulizia<br />

e limpidezza eccellenti. Non ci<br />

si può aspettare un’estensione<br />

da primato ma l’impressione<br />

è quella di un delicato decadimento<br />

oltre un certo livello.<br />

Probabilmente il tweeter è stato<br />

scelto proprio per le sue prestazioni<br />

che mediano una certa<br />

raffinatezza e una buona sottigliezza<br />

di grana con l’estensione:<br />

stiamo parlando pur sempre<br />

di un prodotto entry level e<br />

pazienza se non percepiremo i<br />

30 kHz; quello che viene riprodotto<br />

non solo risulta piacevole<br />

ma anche ben controllato e<br />

corretto. Tanto meglio se musicalità,<br />

dettaglio e scioltezza<br />

sembrano quelli di prodotti di<br />

una fascia di mercato più elevata.<br />

La generosità del basso<br />

aiuta la ricostruzione di un’immagine<br />

quanto mai ampia, ricreando<br />

un vero piccolo grande<br />

muro del suono davanti a noi.<br />

Si può giocare con il volume<br />

con molta più libertà di quanto<br />

si potrebbe immaginare e<br />

il passaggio dall’abbinamento<br />

con due finali monofonici,<br />

chiaramente esagerati come<br />

categoria ma non per l’eccellente<br />

risultato, a un integrato<br />

comunque ben potente come<br />

lo Yamaha A-S1100 non è risultato<br />

per niente traumatico.<br />

I B5 continuano a suonare<br />

sorprendentemente<br />

bene,<br />

corretti, producendo<br />

una<br />

massa sonora<br />

di tutto rispetto.<br />

La sensibilità<br />

dichiarata è media<br />

ma abbiamo notato<br />

come per arrivare a<br />

certi livelli di pressione<br />

occorra spingere<br />

un po’ sull’acceleratore<br />

e fornire un’adeguata<br />

manciata di watt. Il<br />

dato positivo è che anche<br />

ad alti volumi non sembrano<br />

insorgere compressioni<br />

udibili: niente indurimenti<br />

e il lavoro degli altoparlanti,<br />

a cui contribuisce<br />

sicuramente un crossover<br />

ben realizzato e dedicato<br />

alle loro caratteristiche,<br />

mantiene un’apprezzabile<br />

morbidezza di fondo visto che<br />

eventuali durezze appaiono un<br />

elemento sconosciuto a questi<br />

diffusori. Tutto è molto equilibrato<br />

dove vivacità e dinamica<br />

abbondante non si traducono<br />

mai in una rappresentazione<br />

sguaiata della musica (cosa<br />

frequente negli entry level).<br />

Per contro, a bassi livelli i B5<br />

mantengono la capacità di riprodurre<br />

un suono pieno, caldo<br />

e al contempo equilibrato.<br />

L’obiettivo del progettista di<br />

introdurre diffusori piuttosto<br />

economici (costano quanto<br />

mezzo smartphone di ultima<br />

generazione) ma nettamente<br />

più validi di quelli dei computer<br />

o flat TV per attrarre anche<br />

utenti che neanche sospettano<br />

l’esistenza dell’Hi-Fi sembra<br />

essere stato centrato; stessa<br />

cosa dicasi per “l’obiettivo di<br />

riserva”: fornire agli audiofili<br />

un prodotto che senza stravolgere<br />

i canoni tradizionali<br />

offra molto a poco. Semmai<br />

Ad una realizzazione<br />

apparentemente economica<br />

si contrappongono numerosi<br />

accorgimenti che valorizzano<br />

la produzione e le prestazioni<br />

dell’altoparlante, i magneti<br />

sono accoppiati e incollati<br />

con gran cura e le lavorazioni<br />

meccaniche mostrano una<br />

precisione sconosciuta<br />

in questa fascia di prezzo.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 83


selector<br />

Nonostante l’esiguo spessore delle pareti<br />

del mobile e una sensazione di esilità nel<br />

maneggiamento del sistema, i componenti<br />

sono fissati in modo molto robusto e inseriti<br />

quasi a pressione nelle sedi ricavate nel<br />

pannello.<br />

Il corpo è in ottone dorato e lo<br />

scivolamento non è dei più fluidi. Il<br />

corpo esterno non consente una presa<br />

efficace per serrare cavi non terminati<br />

che non beneficiano della ghiera<br />

antifrizione.<br />

Il tweerer è dotato di una griglia<br />

di protezione in lamiera traforata<br />

tenuta in sede dalla ghiera in<br />

plastica di raccordo che copre le<br />

viti di fissaggio degli altoparlanti.<br />

La cupola del tweeter è in seta trattata, si<br />

nota l’ampio foro di comunicazione fra la<br />

parte posteriore della membrana e la camera<br />

interna che offre un carico acustico smorzato<br />

e con una bassa frequenza di risonanza.<br />

tutto quel che si può<br />

l mobile è realizzato con pannelli in<br />

mdf di basso spessore, poco sopra i<br />

dieci millimetri, ricoperti da un rivestimento<br />

in vinile con finitura spazzolata<br />

molto spessa, resistente ai graffi e che,<br />

tramite un tenace incollaggio, conferisce<br />

alla esile struttura una rigidità<br />

fuori dal comune.<br />

Le pareti interne sono rivestite con<br />

materiale fonoassorbente abbastanza<br />

efficace nel controllo delle riflessioni<br />

interne. Il cestello del woofer,<br />

in lamiera stampata, è incassato in<br />

una sede molto precisa con un foro<br />

estremamente ampio che non costituisce<br />

un impedimento all’emissione<br />

posteriore della membrana ma solo<br />

lo spazio necessario a un accoppiamento<br />

meccanico stabile e a tenuta.<br />

L’attenzione ai dettagli si apprezza<br />

anche nella realizzazione del<br />

filtro crossover che presenta uno<br />

schema abbastanza semplificato,<br />

anche grazie alle caratteristiche<br />

elettriche degli altoparlanti, e impiega<br />

componenti di elevata qualità<br />

con due dei tre induttori avvolti in<br />

aria e condensatori a film da 100<br />

Volt. È presente una resistenza di<br />

attenuazione in serie al tweeter<br />

che riduce di quasi 10 dB il livello<br />

di emissione per allinearlo a quello<br />

del woofer sensibilmente più basso<br />

e senza escamotage per l’aumento<br />

dell’emissione.<br />

84 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test Elac Debut B5 by Andrew Jones<br />

al banco di misura<br />

suonogramma<br />

1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 3<br />

2 Messa a fuoco e corposità................................ 3<br />

3 Ricostruzione scenica altezza......................... 2<br />

4 Ricostruzione scenica larghezza................... 3<br />

5 Ricostruzione scenica profondità.................. 2<br />

6 Escursioni micro-dinamiche............................ 2<br />

7 Escursioni macro-dinamiche........................... 2<br />

8 Risposta ai transienti........................................ 2<br />

9 Velocità................................................................ 2<br />

10 Frequenze medie e voci...................................... 3<br />

11 Frequenze alte.................................................... 2<br />

12 Frequenze medio-basse..................................... 3<br />

13 Frequenze basse.................................................. 2<br />

14 Timbrica................................................................ 2<br />

15 Coerenza............................................................... 2<br />

16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />

La risposta in frequenza risulta molto lineare e priva di<br />

perturbazioni dovute e risonanze e riflessioni particolari,<br />

considerata la realizzazione del sistema impostata<br />

su una linea estremamente economica. Tuttavia alcune<br />

soluzioni sembrano essere state abbastanza proficue,<br />

in particolar modo riguardo alla dispersione angolare<br />

all’estremo superiore e per le risonanze del mobile e<br />

gli effetti diffrattivi degli spigoli ai bordi. Sono molto<br />

ridotte anche le frequenze spurie che fuoriescono dal<br />

condotto di accordo, a riprova di una buona attenuazione<br />

all’interno del mobile e di ridotti fenomeni di turbolenza<br />

all’interno del tubo reflex.<br />

La particolare conformazione del tweeter, arretrato rispetto<br />

alla flangia e con un profilo di raccordo, sembra<br />

concentrare la risposta entro i 30 gradi di angolazione<br />

per ridursi repentinamente al di là.<br />

il difficile sarà comunicare<br />

l’esistenza di questo prodotto<br />

al suo potenziale pubblico, soprattutto<br />

quello più giovane.<br />

Elac è un marchio forte, da<br />

poco tempo passato da una<br />

gestione padronale a quella<br />

di un’azienda di medie-grandi<br />

dimensioni e viene qui ripercorsa,<br />

magari in un’ulteriore<br />

e originale chiave di lettura,<br />

la problematica che pone<br />

aziende come questa a cavallo<br />

tra l’artigianato e l’industriale.<br />

Le prime risposte del marchio<br />

tedesco sono costituite proprio<br />

dall’assunzione di Andrew Jones,<br />

uno dei primi atti della<br />

nuova direzione e, a ben vedere,<br />

un segnale significativo: tra<br />

i meriti di Andrew (che abbiamo<br />

intervistato qualche tempo<br />

fa, vedi <strong>SUONO</strong> 451 – aprile<br />

2011) c’è sicuramente quello<br />

Questa caratteristica, unita anche a una buona estensione<br />

in basso ma senza particolari enfasi, facilita l’inserimento<br />

in ambienti anche abbastanza riflettenti con un campo<br />

sonoro concentrato nel punto di ascolto abbastanza<br />

ampio. L’impedenza degli altoparlanti è stata pensata<br />

per la realizzazione di un filtro abbastanza semplice e<br />

al contempo efficace impiegando un ridotto numero<br />

di componenti. Si ottiene un incrocio con una pendenza<br />

abbastanza decisa e con il modulo dell’impedenza<br />

complessivo che non scende mai sotto i 5 Ohm, anche<br />

se in prossimità della frequenza di accordo e di quella di<br />

crossover i valori si innalzano notevolmente. Il modulo<br />

tuttavia, nonostante la scarsa linearità, non costituisce<br />

un carico difficile da pilotare ma potrebbe dar luogo a<br />

qualche variazione timbrica abbinando il diffusore ad<br />

amplificatori a basso fattore di smorzamento.<br />

di aver adottato un metodo<br />

olistico nella progettazione,<br />

affiancando sensibilità umanistica<br />

(quella che gli consente<br />

di essere uno dei migliori nella<br />

messa a punto di un sistema) a<br />

conoscenza tecnica.<br />

Elac, inoltre, ha risorse per<br />

trovare la chiave marketing<br />

giusta; vedremo se avrà anche<br />

le idee. Questo mercato ne ha<br />

un grande bisogno...<br />

Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />

-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />

esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />

analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

I risultati ottenuti con un dispiego di mezzi così<br />

contingentato fanno ben sperare anche sulle<br />

prossime serie di fascia più alta.<br />

banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Eccellenti risultati, frutto di requisti ben definiti<br />

e di un progetto ottimamente eseguito.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

Ottima l’interfacciabilità con l’ambiente e con<br />

partner anche di bassa potenza, nonostante la<br />

sensibilità non sia delle più alte.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Una piacevole rivelazione un po’ in tutti i parametri,<br />

di quelle che nonostante tutto ti fanno<br />

tornare la voglia di ascoltare musica incondizionatamente<br />

a costi un tempo impossibili!<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />

L’unico neo del marchio è non avere la fama che<br />

merita. Tutto lascia supporre che rimedieranno...<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Da oggi un nuovo riferimento nell’entry level,<br />

a riprova del rinnovato interessamento delle<br />

grandi aziende per il settore.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 85


selector<br />

a cura della redazione<br />

Diffusori<br />

RUSSEL K. Red 100<br />

Un classico, anzi una<br />

puetra miliare della storia<br />

hi-fi può essere declinato<br />

oggi in maniera originale?<br />

Russell Kaufman, che ha<br />

vissutto l’epopea dei piccoli<br />

monitor BBC, pensa di si<br />

e propone la sua versione<br />

della “specie”. Profuma di<br />

vintage ma non disdegna<br />

soluzioni atipiche per il genere<br />

e anche un look che in<br />

alcune finiture strizza l’occhio<br />

al nuovo che avanza.<br />

Sliding doors, ovvero:<br />

può il caso determinare,<br />

a caduta, fatti e sorti<br />

delle persone? O, ancora: che<br />

cosa sarebbe successo a Russell<br />

Kauffman se, a fronte della<br />

precisa richiesta della madre,<br />

avesse accettato l’impiego da<br />

agente immobiliare? Se il Russell<br />

Kaufmann tredicenne obbligato<br />

a trovarsi un lavoretto,<br />

non avesse optato per il ruolo<br />

di commesso da Lasky’s (uno<br />

dei più famosi negozi londinesi<br />

di elettronica, una vera mecca<br />

dell’Hi-Fi di allora) a Tottenham<br />

Court Road? Comincia<br />

così, in parte per caso in parte<br />

per passione, la carriera di questo<br />

protagonista dell’Hi-Fi inglese<br />

che negli ultimi trent’anni<br />

ha attraversato il mercato con i<br />

più svariati compiti: commesso<br />

di Lansky’s, per l’appunto (con<br />

il compito di vendere cuffie e<br />

fonorivelatori); membro dei<br />

panel d’ascolto delle riviste<br />

inglesi; importatore, all’inizio<br />

del nuovo secolo, di Nordost<br />

e Densen; progettista (durante<br />

l’intero arco di<br />

tempo preso in considerazione)<br />

presso<br />

buona parte dei costruttori<br />

inglesi di<br />

diffusori; e, in ultimo,<br />

consulente per<br />

l’israeliana Morel,<br />

per la quale ha realizzato<br />

la flagship<br />

“Fat lady”, un colosso<br />

da 32.000 dollari<br />

a tre vie e quattro<br />

altoparlanti...<br />

Ultimo atto delle sue<br />

avventure? No, solo<br />

penultimo, perché<br />

Mr. Kauffman ha recentemente<br />

deciso<br />

di creare un proprio<br />

marchio, Russell K., che ha<br />

già partorito la serie Red, costituita<br />

da tre diffusori: Red<br />

50, Red 100 e Red 150. I primi<br />

due sono da supporto o scaffale<br />

(piuttosto grande e robusto per<br />

le 100), il terzo da pavimento a<br />

tre vie. Kauffman li disegna e<br />

progetta nel Regno Unito per<br />

farli poi realizzare in Polonia<br />

dove, sembra, ci sia ancora un<br />

cospicuo numero di fabbricanti<br />

di altoparlanti. Si aggiungano<br />

le convinzioni del progettista<br />

in merito alla costruzione del<br />

cabinet: secondo Kauffman,<br />

infatti, la presenza di pannelli<br />

smorzanti finisce per essere<br />

più controproducente che utile<br />

in quanto assorbirebbe anche<br />

molti micro dettagli, riducendo<br />

la dinamica e rendendo il<br />

suono di un altoparlante meno<br />

“pronto”; senza pannelli assorbenti,<br />

sempre secondo le<br />

dichiarazioni del progettista, le<br />

pareti del mobile si muovono in<br />

accordo con il driver, mentre la<br />

robustezza delle pareti sarebbe<br />

sufficiente per non indebolire<br />

la risposta alle basse frequenze<br />

e, contemporaneamente, così<br />

leggere da smettere di vibrare<br />

rapidamente... Condivisibile o<br />

meno questa visione, unita alla<br />

Prezzo: € 1.690,00<br />

Dimensioni: 40 x 26 x 27 cm (lxaxp)<br />

Peso: 8 Kg<br />

Distributore: MondoAudio<br />

via Provinciale, 59/J - 24060 Cenate Sopra (BG)<br />

Tel.035.561554 - Fax<br />

http://www.mondoaudio.it<br />

DIFFUSORI RUSSEL K. Red 100<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex accordato a 35Hz<br />

N. vie: 2 Potenza (W): 100 Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di<br />

crossover (Hz): 2.200 Risp. in freq (Hz): 30 - 22.000 Sensibilità<br />

(dB): 88 Altoparlanti: Unità bassa da 6,5’’ in carta trattata, tweerer<br />

da 25 mm a cupola morbida Rifinitura: in legno naturale o<br />

laccatura lucida Griglia: su richiesta Note: progetto personale<br />

realizzato da Russell Kauffman, progettista storico di Morel e<br />

B&W. Cabinet in MDF da 16 mm, frontale 19 mm. Senza materiale<br />

assorbente. Realizzata a mano in Europa. Finitura legno 1.990<br />

€, laccata 2.290 €<br />

86 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test<br />

scelta di altoparlanti “fuori dal<br />

coro” e realizzati, almeno a detta<br />

del costruttore, su specifiche,<br />

allontana i prodotti Russell K.<br />

da quel marasma di discendenti<br />

dei progetti BBC che, pure,<br />

avendo fatto scuola, rappresentano<br />

l’humus in cui Kauffman<br />

è cresciuto professionalmente.<br />

Il Red 100 oggetto di questa<br />

prova è stato il primo prodotto<br />

commercializzato dalla casa e,<br />

a conferma di quel legame in<br />

gran parte indissolubile rappresentato<br />

dalla scuola inglese,<br />

a prima vista appare come l’ennesimo<br />

diffusore a due vie in<br />

una scatola (magari un po’ più<br />

grande di quella per le scarpe!)<br />

che ricorda alcuni classici diffusori<br />

soprattutto del passato,<br />

alcuni dei quali sono tornati in<br />

voga, vedi i Graham LS-5/9 o<br />

alcuni Harbeth.<br />

In questo modo, pur appartenendo<br />

formalmente alla categoria<br />

dei cosiddetti bookshelf,<br />

il Red 100, considerando la<br />

trentina di centimetri di profondità,<br />

terminali compresi, e<br />

la loro altezza, difficilmente potrà<br />

trovare posto in una libreria<br />

dovendo essere collocato, piuttosto,<br />

su piedistalli robusti e<br />

alti almeno una cinquantina di<br />

centimetri. Giova ricordare ancora<br />

una volta, tuttavia, che in<br />

La morsetteria, singola<br />

(niente bi-wire o bi-amp),<br />

prevede l’impiego di due<br />

robusti morsetti universali<br />

che sporgono dal<br />

pannello posteriore, non<br />

essendo stato previsto<br />

l’utilizzo di una vaschetta<br />

incassata nel mobile. Se<br />

questo da un lato facilita<br />

il collegamento anche<br />

con cavi di grossa sezione,<br />

dall’altro, visto che sono<br />

stati posizionati in maniera<br />

ravvicinata (e il corpo del<br />

morsetto è in metallo non<br />

isolato), aumenta il rischio di<br />

un corto circuito.<br />

questo modo alla fine l’ingombro<br />

è uguale a quello di un diffusore<br />

a torre, magari gli stessi<br />

Red 150, con un impatto visivo<br />

appena meno invadente...<br />

In termini di installazione,<br />

come spesso accade con diffusori<br />

di questa taglia, occorre<br />

una maggiore attenzione che in<br />

altri casi nel posizionamento:<br />

meglio optare per una certa<br />

distanza dalle pareti laterali<br />

“compensando” l’eventuale<br />

perdita di vigore nella porzione<br />

bassa dello spettro, avvicinando<br />

più del solito il diffusore<br />

alla parete posteriore: in questo<br />

modo si ripristina un apprezzabile<br />

equilibrio tonale mentre<br />

viene mantenuta un’apprezzabile<br />

sensazione di veridicità<br />

della scena sonora in profondità<br />

e larghezza.<br />

In termini di performance sonore<br />

va notato come il pianoforte,<br />

da sempre considerato<br />

come uno degli strumenti musicali<br />

più difficile da riprodurre<br />

per la sua timbrica, la sua ricchezza<br />

armonica, l’estensione<br />

della sua risposta in frequenza,<br />

la dinamica (in pratica per tutti<br />

i parametri!), venga riproposto<br />

dal diffusore – che abbiamo<br />

messo alla prova sfruttando<br />

due CD, uno Hyperion e l’altro<br />

Deutsche Grammophone,<br />

dedicati espressamente a questo<br />

strumento – in maniera<br />

decisamente soddisfacente nonostante<br />

la filosofia di registrazione<br />

di questi due dischi non<br />

potrebbe essere più differente.<br />

Nel CD dell’etichetta inglese,<br />

dedicato a brani di Debussy,<br />

il suono appare delicato, soffuso,<br />

quasi ovattato, riproponendo<br />

elementi comuni anche<br />

ad altra produzione di questa<br />

casa. La DG, invece, fedele alla<br />

sua filosofia sonora, ci propone<br />

un suono molto più presente,<br />

brillante, dinamico e in primo<br />

piano.<br />

Tutto ciò viene puntualmente<br />

riproposto dai Red 100 che<br />

rende riconoscibili le due diverse<br />

registrazioni veramente<br />

ad occhi chiusi: non ci si può<br />

sbagliare tra quale sia un DG<br />

e quale un Hyperion... Non si<br />

tratta solo di un fatto di timbrica,<br />

più delicata per l’Hyperion,<br />

più dinamica, con un’immagine<br />

più piena, nel CD tedesco; in<br />

entrambi i casi ritroviamo una<br />

scena ampia tale da occupare<br />

tutto o quasi l’ambiente davanti<br />

a noi sebbene, nel caso<br />

Hyperion, tenda a svuotarsi un<br />

po’ al centro. In poche parole i<br />

Red 100 sembrano essere<br />

una perfetta<br />

lente d’ingrandimento,<br />

trasparente<br />

e<br />

lucida, di<br />

quanto gli<br />

viene proposto.<br />

Passando a un disco<br />

ECM, con il polistrumentista<br />

Terje Rypdal,<br />

ritroviamo la cristallina<br />

pulizia e trasparenza tipiche<br />

di questa etichetta. Il silenzio,<br />

le pause, rendono ancora<br />

più impressionanti gli<br />

sbalzi dinamici che seguono.<br />

I colpi di basso elettrico, in<br />

questo caso, sono meno imponenti<br />

che con diffusori di<br />

altra stazza ma il basso, se non<br />

profondissimo, fin dove arriva<br />

è così netto, pulito, stretto nel<br />

senso di articolato che quasi<br />

sembra rimbalzare tra una<br />

nota e l’altra. Un basso così<br />

facile da seguire nei saliscendi<br />

da non porre mai una nota sopra<br />

l’altra (leggi: privo di code<br />

indebite). Il suono si libera e<br />

diffonde ben oltre i diffusori e<br />

la scelta del loro posizionamento<br />

non appare così vincolante.<br />

La piccola orchestra, in una<br />

vecchia registrazione Decca,<br />

dei Waltz – Jazz Suite N.1 di<br />

Shostakovich è un autentico<br />

piacere per le orecchie con gli<br />

strumenti facilmente riconoscibili<br />

per timbro e posizione. Le<br />

voci, soprattutto quelle femminili,<br />

appaiono molto gradevoli,<br />

i cantanti solisti sono in primo<br />

piano senza eccesso di protagonismo<br />

ma molto presenti,<br />

quasi tangibili e naturali; chissà<br />

se questo è un retaggio dei<br />

monitor BBC...<br />

Negli abbinamenti con l’elettronica<br />

il diffusore è sembrato<br />

alquanto esigente;<br />

persino il potente integrato<br />

Yamaha A-S1100 non sembra<br />

Il woofer, anche se di fascia<br />

economica, è stato realizzato<br />

su specifiche con alcuni<br />

accorgimenti sull’equipaggio<br />

mobile, le espansioni polari e<br />

l’accoppiamento fra la membrana<br />

e la bobina.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 87


selector<br />

I morsetti hanno<br />

una ottima<br />

meccanica di<br />

serraggio con una<br />

buona presa e una<br />

efficace ghiera<br />

antifrizione.<br />

La basetta è in vetronite con componentistica<br />

di ottima qualità e con uno schema abbastanza<br />

semplice. Non sono impiegati resistori di<br />

attenuazione nemmeno sulla linea del tweeter.<br />

La flangia del tweeter è in<br />

materiale termoplastico<br />

caricato con agglomerati inerti<br />

e la piastra di supposto della<br />

membrana è in vetronite.<br />

La parte centrale in<br />

piano del cestello<br />

poggia sul mobile<br />

grazie alla fresatura<br />

che accetta il risvolto in<br />

lamiera.<br />

L’equipaggio mobile a lunga escursione del woofer beneficia di una espansione polare<br />

forgiata che ingloba il polo centrale, la cavità di allungamento della corsa e il foro<br />

centrale di decompressione della cavità dietro il parapolvere. Le espansioni polari sono<br />

fissate e incollate molto accuratamente al magnete e al cestello.<br />

old style con garbo<br />

Il progetto è stato pensato appositamente<br />

per evitare l’utilizzo di assorbente<br />

all’interno del volume di carico e per<br />

ridurre il più possibile qualsiasi impedimento<br />

alla radiazione posteriore della<br />

membrana del woofer. Si nota infatti un<br />

foro molto ampio e una svasatura al bordo<br />

che allontana lo spigolo del mobile<br />

in prossimità della sospensione. Inoltre,<br />

tra le soluzioni “estreme” del costruttore<br />

si nota anche l’installazione degli altoparlanti<br />

direttamente a contatto con il<br />

pannello, senza interposizione di sigillante<br />

fra flangia e piano in legno. Questa<br />

scelta ha generato una complicazione<br />

non indifferente dovuta alla forma del<br />

cestello in lamiera stampata che non<br />

è in piano nella parte di contatto con<br />

il mobile.<br />

Si è reso necessario effettuare una fresatura<br />

in modo da far penetrare il risvolto<br />

di lamiera nel pannello anteriore e far<br />

aderire la parte interna al supporto. Il<br />

volume interno del mobile è suddiviso<br />

in tre vani separata da due pannelli in<br />

MDF che presentano una serie di piccoli<br />

fori molto distanziati fra loro per mettere<br />

in comunicazione le tre cavità. La soluzione<br />

tende sicuramente a irrobustire<br />

la struttura ma al contempo innesca<br />

riflessioni interne a frequenze molto<br />

alte in seguito all’assenza di materiale<br />

fonoassorbente e anche in concomitanza<br />

con l’interazione della serie di fori e<br />

del volume delle cavità.<br />

88 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


test RUSSEL K. Red 100<br />

al banco di misura<br />

suonogramma<br />

1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 3<br />

2 Messa a fuoco e corposità................................ 2<br />

3 Ricostruzione scenica altezza......................... 0<br />

4 Ricostruzione scenica larghezza................... 2<br />

5 Ricostruzione scenica profondità.................. 1<br />

6 Escursioni micro-dinamiche............................ 2<br />

7 Escursioni macro-dinamiche........................... 2<br />

8 Risposta ai transienti........................................ 2<br />

9 Velocità................................................................ 2<br />

10 Frequenze medie e voci...................................... 3<br />

11 Frequenze alte.................................................... 1<br />

12 Frequenze medio-basse..................................... 2<br />

13 Frequenze basse.................................................. 1<br />

14 Timbrica................................................................ 2<br />

15 Coerenza............................................................... 2<br />

16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />

La risposta in frequenza denota una marcata interazione<br />

delle risonanze interne al mobile e l’emissione della<br />

membrana del woofer. l’andamento oltre a non essere<br />

particolarmente lineare (presentando un avvallamento<br />

in gamma media caratterizzato dall’emissione del woofer)<br />

è condizionato anche da due emissioni di elevata<br />

intensità collocate intorno a 200, 300 e 750 Hz che hanno<br />

riscontro anche nella curva dell’impedenza.<br />

Le risonanze fuoriescono a livelli significativi anche<br />

dal condotto di accordo posto nella cavità in basso.<br />

All’estremo superiore si nota una marcata irregolarità<br />

dell’emissione a circa 8.500 Hz anch’essa con un riscontro<br />

sulla curva di impedenza dell’altoparlante che, tuttavia,<br />

presenta un modulo costante compensato all’estremo<br />

superiore e una risonanza a circa 1200 hz, collocata abbastanza<br />

lontana dalla frequenza di incrocio.<br />

accordarglisi pienamente, in<br />

quanto esalta i limiti dei Russell<br />

K., segnatamente dal punto<br />

di vista dell’estensione e potenza<br />

in basso o di una certa grana<br />

sugli alti, aspetti che con prodotti<br />

di maggior costo e qualità<br />

(vedi i “sempreverdi” Pass rispetto<br />

allo Yamaha), sono assai<br />

meno marcati.<br />

L’aspetto un po’ retrò nella<br />

versione legno, più audace in<br />

quella laccata con frontale rosso<br />

e corpo nero, è certamente<br />

un elemento distintivo per originalità<br />

e ha, al tempo stesso,<br />

radici ben piantate nel passato;<br />

a ben vedere riflette il carattere<br />

sonoro che se non ne fa il diffusore<br />

più corretto nel timbro,<br />

dinamicamente potente o dalla<br />

ricostruzione scenica gigantesca,<br />

ha dalla sua trasparenza<br />

e naturalezza, piacevolezza e<br />

Anche il modulo dell’impedenza del woofer evidenzia<br />

una compensazione dell’induttanza della bobina mobile<br />

con un lieve innalzamento al crescere della frequenza,<br />

comunque molto contenuto. Ciò ha favorito il costruttore<br />

nella scelta di filtri con un minor numero di componenti,<br />

in particolar modo quelli dedicati alla compensazione.<br />

Infatti, sulla linea del woofer è utilizzato un solo induttore<br />

e una rete RLC, mentre sulla linea del tweeter è applicata<br />

una cella del secondo ordine e comunque una rete RC<br />

di compensazione.<br />

L’impedenza complessiva, anche se decisamente poco<br />

lineare, non scende al di sotto dei 7 Ohm nella banda utile,<br />

ad eccezione dei circa 3 Ohm a 20 kHz e non costituisce un<br />

carico difficile da interfacciare, in considerazione di una<br />

sensibilità non eccessivamente bassa e della mancanza di<br />

partitori resistivi di attenuazione sulla linea del tweeter.<br />

definizione che non possono<br />

lasciare indifferenti e che colpiscono<br />

per una sorta di “bellezza<br />

originale”. Il prezzo, infine,<br />

considerando anche la sterlina<br />

in perenne salita sull’euro, non<br />

appare scandalosamente alto,<br />

specie se lo si confronta con<br />

quello di tanti conterranei, tra<br />

i più celebrati, tutti discendenti<br />

di quel marchio di fabbrica costituito<br />

dai progetti BBC.<br />

Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />

-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />

esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />

analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />

il voto della redazione<br />

Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Impostazione economica ma con soluzioni mirate<br />

sia all’ottimizzazione che all’ottenimento di<br />

obiettivi molto precisi.<br />

banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />

La risposta è fortemente caratterizzata dagli<br />

effetti collaterali delle soluzioni adottate.<br />

Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Buona abbinabilità con varie amplificazioni,<br />

preferibilmente quelle con adeguata potenza,<br />

e pochi limiti nel posizionamento in ambiente.<br />

Ascolto<br />

■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />

Una verve inaspettata per la scuola inglese che<br />

fa dimenticare qualche caratterizzazione, per<br />

altro in linea con il progetto originale.<br />

fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Valutazione riferita al personaggio più che<br />

all’azienda che muove i suoi primi passi. Tutto<br />

in divenire...<br />

qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />

Un giusto equilibrio tra echi del passato e possibilità<br />

del presente con una realizzazione che<br />

beneficia di costi di produzione ridotti.<br />

I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />

rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />

prodotto, del marchio e del distributore.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 89


selector<br />

di Carlo D’Ottavi<br />

I grandi dischi dell’età dell’oro di RCA<br />

Verso la metà degli anni<br />

Cinquanta del secolo<br />

scorso viene definita la<br />

tecnica di registrazione stereofonica<br />

che richiede, per la sua fruizione<br />

a livello domestico, l’utilizzo di<br />

sistemi ad alta fedeltà a due canali.<br />

Un sistema audio di qualità costava<br />

molto anche allora, figurarsi un<br />

sistema a due canali che richiedeva<br />

il raddoppio di amplificatori e<br />

diffusori, oltre che nuovi fonorilevatori<br />

con un diverso cavo fono!<br />

Per questo motivo i destinatari dei<br />

primi dischi stereofonici – quasi<br />

esclusivamente incisioni di musica<br />

classica e, in particolare, del<br />

genere sinfonico, che valorizzava<br />

appieno il potenziale del nuovo<br />

formato – furono pochi e benestanti<br />

appassionati dal fine palato<br />

musicale e audiofilo. Tra le case<br />

che più si distinsero in quest’epoca<br />

rientra sicuramente la RCA<br />

con i dischi della serie LSC, tutti di<br />

grande qualità artistica e sonora.<br />

Il periodo d’oro è quello che va dal<br />

1958 al 1965. La cosa buffa è che<br />

la qualità sonora di questi dischi<br />

andava ben oltre le potenzialità<br />

dei sistemi audio del tempo. Per<br />

questo motivo non vennero particolarmente<br />

apprezzati per l’aspetto<br />

strettamente audiofilo più<br />

di quanto non lo fossero altre produzioni<br />

della concorrenza meno<br />

curate. Dopo il 1965 la serie LSC<br />

esce dal catalogo RCA; la produzione<br />

di dischi di musica classica<br />

della casa americana proseguirà,<br />

spesso con i migliori artisti in circolazione,<br />

ma la qualità dei dischi,<br />

dal punto di vista delle registrazioni,<br />

andrà progressivamente calando.<br />

Una corsa al ribasso spinta<br />

dalla crescita esponenziale delle<br />

vendite di dischi 33 giri in campo<br />

pop e rock, fino a poco tempo<br />

prima legati molto più al formato<br />

45 giri. Il volume d’affari possibile<br />

con il pop si dimostra ovviamente<br />

di altre dimensioni rispetto a quello<br />

realizzabile con la classica o il<br />

jazz; per questo motivo le etichette,<br />

talvolta anche major come la<br />

RCA, adeguarono ben presto tutti<br />

i propri generi allo standard pop.<br />

Si dice che il tempo è galantuomo<br />

e forse è vero almeno per quei<br />

dischi capostipiti della stereofonia<br />

come gli RCA LSC. In piena<br />

ascesa del digitale gli appassionati<br />

analogici hanno riscoperto alcuni<br />

dischi in vinile di quella che è stata<br />

chiamata a posteriori “The Golden<br />

Age”; ormai da tempo fuori catalogo,<br />

si potevano trovare ancora<br />

in qualche scaffale di piccoli rivenditori,<br />

soprattutto negli USA<br />

e a Londra. Una volta esplosa la<br />

riscoperta, grazie anche alla rivista<br />

americana “The Absolute Sound”<br />

e il suo mentore, H. Pearson, ci fu<br />

una specie di corsa all’accaparramento,<br />

a volte compulsivo a volte<br />

dettato dal business del collezionismo,<br />

delle prime stampe originali<br />

di questi dischi, che oggi sono<br />

dunque scomparsi definitivamente<br />

dai negozi. Chi li ha o se li tiene<br />

ben stretti o li vende a carissimo<br />

prezzo, spesso anche esagerato. Se<br />

le quotazioni dei vinili originali di<br />

RCA LSC, così come quelle dei<br />

Mercury SR, li rendono praticamente<br />

intoccabili, per nostra fortuna<br />

sono intervenute negli ultimi<br />

tempo alcune piccole ditte che si<br />

sono incaricate di recuperare, là<br />

dove possibile, i nastri originali di<br />

quei dischi, per ristamparne nuovi<br />

in vinile pregiato e con copertine il<br />

più fedele possibile agli originali.<br />

Subito si è presentato il problema,<br />

prima di tutto filosofico, della<br />

fedeltà sonora delle ristampe,<br />

LSC - 1934<br />

Bartok Concerto per<br />

Orchestra<br />

Reiner/ Chicago SO<br />

tenendo anche presente le ben<br />

maggiori possibilità di riproduzione<br />

dei giradischi attuali. Le rimasterizzazioni<br />

sono qualcosa di<br />

affascinante e, specie nella musica<br />

pop, possono avere un senso laddove<br />

vi sia anche l’approvazione<br />

dell’artista, creatore dell’opera<br />

Un suono naturale e rilassante, non appariscente; aggettivo,<br />

quest’ultimo, che fa riferimento alle recensioni del disco originale,<br />

probabilmente legato a certe interpretazioni stile tour<br />

de force che alcuni direttori, anche di grande livello, hanno<br />

dato di questa pagina bartokiana, per non parlare delle registrazioni digitali ugualmente<br />

spettacolarizzate a forza. Se si ascolta questo lavoro dal vivo ci si accorgerà benissimo<br />

come non ci sia alcun bisogno di tali enfatizzazioni. Al punto che anche la ristampa AP<br />

appare molto più vicina al reale di quanto non facciano tanti presunti dischi audiophile.<br />

Il rilassante fa riferimento ai movimenti centrali nei quali dominano l’ironia e la mestizia,<br />

mentre la conclusione è letteralmente un immaginario volo sopra la pianura ungherese, con<br />

richiami alle melodie di quelle terre ormai lontane per il compositore esule in una New York<br />

e un’America mai del tutto amata (siamo nei tremendi anni Quaranta del ventesimo secolo).<br />

originale. Quando, però, si tratta<br />

di dischi così lontani, dove è assai<br />

improbabile che musicisti e compositori<br />

siano ancora vivi, l’argomento<br />

diventa ancor più delicato<br />

e arbitrario. In alcuni casi, però,<br />

ci si è potuti avvalere dei tecnici<br />

e ingegneri del suono dell’epoca<br />

per avere una testimonianza concreta<br />

sul suono reale di quelle orchestre,<br />

in quelle sale da concerto,<br />

con quegli esecutori. In tal caso è<br />

giustificato il tentativo di migliorare,<br />

senza stravolgere, il suono da<br />

trasferire su vinile, anche in virtù<br />

del superiore potenziale nella<br />

stampa, a tiratura limitata, di cui<br />

sono in grado alcune piccole ditte<br />

coinvolte in questa impresa.<br />

È certamente il caso della Analogue<br />

Productions che, tra gli altri,<br />

ha puntato da tempo le sue attenzioni<br />

proprio ai dischi RCA LSC.<br />

Della Living Stereo Classic la Analogue<br />

Productions ha nel tempo<br />

pubblicato 25 titoli che comprendono<br />

alcuni dei dischi originali più<br />

quotati. Tutta la produzione, replicata<br />

anche in SACD, fa ricorso a<br />

stampe su vinile originale da 200<br />

grammi realizzati presso la Quality<br />

Record Pressing di Salina negli<br />

USA. Si sono mantenute le qualità<br />

soniche tipiche di quei dischi,<br />

caratteristiche che distinguono<br />

piuttosto chiaramente la diversa<br />

filosofia sonora degli RCA LSC<br />

rispetto, ad esempio, alla “rivale”<br />

Mercury SR. La forza commer-<br />

90 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Amato mio LP<br />

ciale di RCA le permise in quegli<br />

anni di impiegare le migliori orchestre,<br />

grandi direttori e solisti e<br />

tecnici del suono. Se non bastasse,<br />

gli accordi con altre grandi label,<br />

come la Decca, permisero a RCA<br />

di usufruire anche di alcuni tra i<br />

più grandi ingegneri del suono<br />

come K. Wilkinson.<br />

Ma cosa hanno di speciale questi<br />

dischi RCA serie LSC? In generale<br />

sembra di assistere a un concerto<br />

dalla decima fila dell’auditorium:<br />

il suono, dunque, non è diretto,<br />

squillante e vivace come nei migliori<br />

Mercury ma, in compenso,<br />

sono ariosi, eterei e concreti allo<br />

stesso tempo. Alcuni li definiscono<br />

sensuali. Meno diretti dei<br />

Mercury, non sono comunque<br />

asettici, cercando di conquistare<br />

l’ascoltatore più con il cuore<br />

che con il cervello. Per esempio<br />

il violino solista, pensiamo ad<br />

Heifetz, Sibelius o Szeryngs nella<br />

Sinfonia Spagnola di Lalo, risulta<br />

lucido, avvolgente, fa sognare, è<br />

vivo, davvero capace di toccare<br />

tutte le corde sentimentali. In un<br />

Mercury tutto appare più diretto,<br />

corposo e scattante. Come in ogni<br />

tipica questione audiofila a volte<br />

si fa preferire l’interpretazione di<br />

LSC-2111<br />

Debussy La Mer/ Ibert Escales<br />

Munch/ Boston SO<br />

Principali elementi caratterizzanti sono la dinamica e l’ampiezza del soundstage.<br />

L’ascolto della versione AP conferma una larghezza e pienezza della scena che fa<br />

veramente scomparire i diffusori, anche da pavimento (come nel nostro caso);<br />

sono soprattutto gli archi a farsi onore con il loro timbro distintivo, occupando<br />

a tutta larghezza la sala. In fatto di dinamica Mercury faceva forse meglio ma al<br />

costo di qualche asprezza e lucidità di troppo. Se poi pensiamo che siamo nel<br />

1958, è tutto veramente impressionante.<br />

LSC-2471<br />

Rapsodie di Liszt ed Enescu<br />

Stokowsky/ RCA SO<br />

un tipo, altre volte l’altra visione,<br />

ma entrambe risultano particolarmente<br />

affascinanti e legittime.<br />

Uno dei maggiori punti di forza<br />

dei dischi RCA è nella riproduzione<br />

degli archi, dai violini ai<br />

contrabbassi. L’immagine è ampia<br />

e si estende ben al di qua dei<br />

diffusori, con un suono generale<br />

morbido ma, al contempo, nitido<br />

al punto da distinguere facilmente<br />

le varie famiglie di archi sia per<br />

timbro che per posizione sul palco.<br />

Distinzione e insieme riempiono<br />

la sala d’ascolto di vibrazioni e fremiti<br />

come poche altre volte capita<br />

di ascoltare. Fiati e percussioni<br />

mantengono quella prospettiva<br />

arretrata, proprio come dal vivo.<br />

Rispetto a quanto siamo abituati<br />

ad ascoltare nelle registrazioni più<br />

spettacolari il risultato di questa<br />

scelta tecnica si traduce in suoni<br />

meno aggressivi e in una dinamica<br />

leggermente ammorbidita.<br />

L’impatto non è dunque dei più<br />

violenti e, per esempio, la Sagra<br />

della Primavera di Stravinsky<br />

sarà più convincente ed esaltante<br />

in una registrazione digitale. Ma<br />

la correttezza timbrica e il fascino<br />

complessivo dei dischi RCA fa sì<br />

che quello che forse manca si lasci<br />

Suono incredibile per la sua maestosità: c’è<br />

apprezzamento unanime per la bellezza delle<br />

grandi ondate musicali che si riversano nella sala<br />

d’ascolto. In questo caso diciamo che la Analogue<br />

Productions ha potuto giocare facile data la bellezza del programma; l’istinto del<br />

direttore è stato quello di rendere queste pagine, specie quelle di Liszt, ancor più<br />

trascinanti, con trattenute e accelerazioni che non possono che attirare sia il neofita<br />

che l’esperto conoscitore di queste musiche. La registrazione, soprattutto, conferma<br />

le parole entusiastiche dedicate alla prima stampa originale di questo disco. C’è poi<br />

talmente tanta finezza e delicatezza nei timbri e nei suoni dei vari strumenti che mai,<br />

neppure nei passaggi più complessi, si ha l’impressione di forzature e aggressività.<br />

Una vera goduria.<br />

facilmente immaginare senza far<br />

soffrire l’ascoltatore. Tra i titoli più<br />

interessanti della serie Analogue<br />

Productions dedicati ai dischi<br />

RCA dell’età dell’oro abbiamo testato<br />

l’AAPC 1934 con Fritz Reiner<br />

alla testa della Chicago Symphony<br />

Orchestra, che eseguono il<br />

Concerto per Orchestra di Bela<br />

Bartók, l’AAPC 2111 con Munch<br />

e la Boston Symphony Orchestra,<br />

dedicato al tema del mare e con<br />

La Mer di Claude Debussy come<br />

titolo principale e, infine, l’AAPC<br />

2471 con Stokowsky e la RCA Victory<br />

Orchestra, che esegue alcune<br />

Rapsodie di Liszt ed Enesco.<br />

Come tutti gli altri dischi della serie<br />

AP si possono facilmente trovare<br />

da Sound and Music a prezzi<br />

tutto sommato ragionevoli, certo<br />

lontani dai prezzi da collezione<br />

degli originali che, in quanto tali,<br />

hanno un altissimo valore; queste<br />

ristampe, però, musicalmente<br />

parlando non sono da meno e possiedono<br />

il vantaggio della silenziosità<br />

dei dischi nuovi, fatti con le<br />

tecnologie e l’accuratezza migliori<br />

possibile, pur rispettandone le<br />

splendide caratteristiche sonore<br />

che hanno fatto grandi i dischi di<br />

quel periodo.<br />

pillole<br />

Roger Waters<br />

Amused to Death<br />

Analogue Productions – 2 LP 200 g<br />

Terzo album solista<br />

dell’anima dei Pink<br />

Floyd, l’artista ci<br />

racconta come i<br />

media, televisione<br />

in particolare, abbiano<br />

condizionato le ultime generazioni;<br />

non a caso in copertina troviamo<br />

un bambino ipnotizzato da uno<br />

schermo televisivo. È il vero<br />

successore di The Wall.<br />

Air<br />

Moon Safari<br />

Parlophone Records – 1 LP 180 g<br />

Acclamato debutto,<br />

1998, del duo<br />

electro postmoderno<br />

francese. Fu<br />

originariamente<br />

registrato su un Fostex D80 mentre<br />

gli archi furono arrangiati dalla<br />

leggenda della musica David<br />

Whitaker presso gli studi Abbey<br />

Road a Londra. Analogico nell’anima.<br />

Miles Davis<br />

Vol. 1<br />

Blue Note Records – 1 LP Mono Standard<br />

Primo di due volumi<br />

con i quali la Blue<br />

Note presentava un<br />

giovanissimo Davis<br />

accompagnato da<br />

due quintetti di spicco. Registrato tra<br />

il 1952 e il 1953, Davis reinterpreta<br />

classici in chiave Hard Bop<br />

mostrando la via ai suoi epigoni<br />

prima della svolta di Kind of Blue.<br />

Bill Evans<br />

Trio 64<br />

Verve – 1 LP Standard<br />

Evans al piano con<br />

Gary Peacock al<br />

basso e Paul Motian<br />

alla batteria.<br />

Semplice, elegante<br />

e democratico, in questo disco si<br />

trova il più grande virtuoso del piano<br />

jazz della sua generazione dialogare<br />

con i suoi compagni in un modo<br />

che avrebbe stabilito un criterio<br />

standard del jazz.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 91


selector<br />

a cura di Tito Gray de Cristoforis<br />

Lunga vita al Costanzi<br />

Con l’andata in scena della<br />

quindicesima e ultima replica<br />

de Lo schiaccianoci per la coreografia<br />

di Giuliano Peparini<br />

(nella foto) si abbatte un record<br />

assoluto per le produzioni<br />

di balletto nella storia del<br />

Teatro dell’Opera di Roma. La<br />

produzione, infatti, ha segnato<br />

il tutto esaurito dalla prima<br />

all’ultima rappresentazione,<br />

nessuna esclusa, con oltre<br />

900.000 euro di incasso e più<br />

di 20.000 spettatori. Secondo<br />

il Sovrintendente Carlo Fuortes<br />

“Il nuovo allestimento de<br />

Lo schiaccianoci è stata una<br />

scommessa che il Teatro ha<br />

vinto. La forza di questa produzione<br />

è nella pluralità stilistica<br />

e la grande capacità di<br />

parlare a pubblici diversi, incuriosire<br />

e portare in sala i più<br />

giovani. Il Teatro crede nella<br />

danza, nel suo Corpo di Ballo e<br />

nel suo futuro. Per questo vorrei<br />

ringraziare la Direttrice<br />

Eleonora Abbagnato, i Primi<br />

Ballerini, i Solisti e il Corpo di<br />

Ballo per il grande impegno e<br />

il lavoro che stanno facendo”.<br />

L’Orchestra, i Primi Ballerini,<br />

i Solisti e il Corpo di Ballo del<br />

Teatro dell’Opera di Roma<br />

possono andare fieri di questo<br />

successo; il teatro, come è<br />

facile ricordare pensando solo<br />

a quello che succedeva un anno<br />

fa, è un organismo fragile, ancora<br />

convalescente. Questa<br />

produzione potrebbe segnare<br />

una svolta nel rapporto fra il<br />

Costanzi e Roma.<br />

Va detto che le condizioni erano<br />

sicuramente favorevoli: Lo<br />

schiacchianoci è una scelta tipica<br />

– e particolarmente poco<br />

originale – per il periodo natalizio.<br />

Inoltre la partecipazione<br />

di un coreografo di fama internazionale<br />

come Peparini e di<br />

uno dei più importanti direttori<br />

per balletto, David Coleman,<br />

avrà sicuramente attirato<br />

il pubblico straniero presente<br />

a Roma in occasione del giubileo.<br />

Ma quali che siano i motivi<br />

del successo di questa produzione<br />

il risultato non cambia: il<br />

Costanzi non è morto, è ancora<br />

in grado di dare un servizio<br />

alla città e di farlo al meglio. Il<br />

prossimo appuntamento della<br />

Stagione di Balletto 2015 - 16<br />

Giuliano Peparini<br />

del Teatro dell’Opera di Roma<br />

è con Grandi Coreografi: Balanchine,<br />

Millepied, Forsythe,<br />

Nureyev dal 26 febbraio al 2<br />

marzo 2016.<br />

Minore delle maggiori o<br />

maggiore delle minori?<br />

Les pêcheurs de perles (I pescatori<br />

di perle), opera lirica in tre<br />

atti di Georges Bizet su un libret-<br />

92<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Secondo noi la classica<br />

to di Michel Carré ed Eugène<br />

Cormon, non è certo uno degli<br />

spettacoli più frequenti sui cartelloni<br />

dei grandi teatri. L’Opera<br />

di Firenze non si è lasciata scoraggiare<br />

dalla tiepida reputazione<br />

dell’opera francese e ha deciso<br />

di rappresentarla dal 24 al 28<br />

febbraio, in un allestimento del<br />

Teatro Verdi di Trieste.<br />

I pescatori di perle non gode<br />

certo della fama delle sue sorelle<br />

maggiori (Carmen e L’Arlesienne)<br />

ma, pur non essendo<br />

considerata uno dei capolavori<br />

di Bizet, è un’opera dall’indubbio<br />

valore artistico; il libretto,<br />

ambientato a Ceylon, fu proposto<br />

a Bizet da Léon Carvalho,<br />

impresario dell’indipendente<br />

Théâtre Lyrique di Parigi, nel<br />

1862. Nonostante l’intreccio<br />

fosse male architettato e i<br />

versi del libretto non fossero<br />

di grande qualità il compositore<br />

accettò l’incarico e, il 30<br />

settembre dell’anno successivo,<br />

l’opera andò in scena nel<br />

teatro di Carvalho, riscuotendo<br />

un buon successo. La<br />

critica parigina commentò<br />

positivamente la prima de Les<br />

pêcheurs de perles sebbene<br />

diverse testate insinuarono<br />

che in sala ci fosse una nutrita<br />

claque piazzata strategicamente<br />

in platea dallo stesso<br />

Bizet, e che le chiamate sul<br />

palco al compositore non fossero<br />

affatto genuine ma merito<br />

esclusivo della partigianeria<br />

che si era portato appresso. Ad<br />

ogni modo, l’opera rimase in<br />

cartellone al Théâtre Lyrique<br />

con 18 rappresentazioni fino<br />

al 1863; dopodiché non venne<br />

più rappresentata fino a quando,<br />

nel 1886, dopo la morte di<br />

Bizet, non ci fu la prima esecuzione<br />

italiana alla Scala. Da<br />

allora Les pêcheurs de perles<br />

entrò a far parte del repertorio,<br />

seguendo più in piccolo lo<br />

stesso destino della Carmen e<br />

venendo spesso rappresentata<br />

nella traduzione italiana e con<br />

un gran finale composto per la<br />

versione scaligera. A Firenze<br />

va in scena il testo originale di<br />

Bizet con l’Orchestra e il Coro<br />

del Maggio Musicale Fiorentino<br />

e un cast internazionale che<br />

comprende Eva Mei e Ekaterina<br />

Sadovnikova nel ruolo di<br />

Leïla, la protagonista femminile,<br />

Francesco Demuro e Jesus<br />

Il tempo è galatuomo?<br />

È una delle più famose violiniste europee,<br />

un’interprete poliedrica il cui<br />

repertorio spazia dal barocco al pieno<br />

Novecento. È stata anche la protagonista<br />

di un famoso caso editoriale quando,<br />

nel 2005, i download da iTunes del<br />

suo primo disco – contenente le Quattro<br />

Stagioni di Vivaldi – superarono di<br />

gran lunga tutti i record di ascolti per<br />

un disco di una semisconosciuta violinista<br />

classica. È Janine Jansen, e suona<br />

uno Stradivari Barrere del 1727.<br />

La giovane violinista olandese, che ha<br />

un contratto in esclusiva con la Decca,<br />

pubblica ora il suo nuovo disco, contenente<br />

il Concerto per violino op. 77 di<br />

Brahms e il Concerto per violino e orchestra<br />

n. 1 di Bartòk, due fra le più importanti<br />

pagine della musica per violino.<br />

In particolare, il Concerto di Brahms è<br />

sempre stato una pietra di paragone<br />

per i violinisti che intendono praticare<br />

il grande repertorio; scritto nel 1878, il<br />

Concerto venne dedicato da Brahms al<br />

grande violinista Joseph Joachim, che<br />

aiutò il compositore nella stesura della<br />

parte di violino e che fu l’interprete della<br />

prima esecuzione a Lipsia nel 1879. Il<br />

concerto di Brahms nacque con la precisa<br />

intenzione di essere un punto di<br />

svolta nella scrittura violinistica, sino a<br />

quel momento dominata dal concerto<br />

di Beethoven; l’autore si rivolse a Joachim<br />

durante la stesura dell’opera per<br />

avere i suoi autorevoli pareri in materia<br />

strumentale. Lo sforzo congiunto<br />

dei due portò alla creazione di questo<br />

concerto che, sebbene fosse stato giudicato<br />

tecnicamente ineseguibile per<br />

un violinista vivente, divenne subito<br />

un pezzo di fondamentale riferimento<br />

per il violinismo romantico.<br />

Ben diverso dalla profonda intesa artistica<br />

che legò Brahms a Joachim fu il<br />

rapporto fra Bartók e Stefi Geyer, la dedicataria<br />

del secondo concerto per violino<br />

del compositore ungherese. Nel<br />

1908 Bartók, profondamente innamorato<br />

della Geyer, le consegnò l’opera in<br />

segno del suo affetto; tuttavia la Geyer,<br />

non ricambiando il sentimento del<br />

compositore, rifiutò la partitura, che<br />

restò chiusa in un cassetto sino a molti<br />

anni dopo la morte di Bartók, avvenuta<br />

nel 1945. Il concerto fu pubblicato col<br />

nome di Concerto per violino e orchestra<br />

n. 1 op. postuma solo nel 1959,<br />

sebbene fosse stato riesumato per la<br />

prima esecuzione l’anno precedente.<br />

Strutturato in forma di rapsodia in due<br />

movimenti (lento – veloce), il concerto<br />

Leon come Nadir e Luca Grassi<br />

e Stefano Antonucci come Zurga,<br />

i protagonisti maschili; dirige<br />

Ryan McAdams.<br />

è presto diventato un passo obbligato<br />

per comprendere l’opera di Bartók<br />

e in generale il solismo nel Novecento<br />

storico, soprattutto dopo la prima storica<br />

incisione a opera di David Oistrakh.<br />

Il tempo, i gusti e la fama separano<br />

talmente la Jansen da Oistrakh che un<br />

confronto fra le due esecuzioni non sarebbe<br />

possibile neanche volendo.<br />

Certo è che la violinista olandese ci<br />

regala una pagina godibilissima, in<br />

cui il dialogo fra il solista e l’orchestra<br />

è reso possibile anche dall’Orchestra<br />

dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia<br />

e dalla London Symphony Orchestra<br />

dirette da Antonio Pappano, che la<br />

accompagnano passo passo nella sua<br />

personale ricerca sonora su queste due<br />

grandi pagine.


selector<br />

di Bruno Re<br />

La musica si ascolta…<br />

ma si vede anche!<br />

La possibilità di vedere le interpretazioni dal vivo dà nuove emozioni, amplifica l’ascolto, si traduce<br />

in un modo per condividere quella meravigliosa esperienza che si chiama “suonare”.<br />

Il discorso è valido per la musica da camera, certo, ma soprattutto per i grandi complessi orchestrali: poter vedere gli input che un direttore<br />

riesce a trasmettere a tutta l’orchestra è, a mio avviso, impagabile! Le performance di una grande orchestra, soprattutto se famosa e quindi<br />

con un carnet di impegni nutritissimo, sono nella maggior parte dei casi molto “routinières”: considerate che a fronte di un’ora e mezza/due di<br />

concerto (media per tutte le formazioni, con poche eccezioni), il direttore ha a disposizione mediamente quindici ore di prove, se va bene. Davvero<br />

pochine se si vuole lavorare di fino. In una mia passata intervista il violoncellista responsabile dei celeberrimi Wiener Philharmoniker mi ha candidamente<br />

confessato: “In orchestra siamo tanti, il direttore è uno. Secondo lei chi vince tra i due?”. Capirete, quindi, di quale statura musicale un<br />

direttore abbia bisogno per imporre la sua visione (interpretazione) della musica. È per questo che abbiamo deciso di presentarvi per primo Sir Roger<br />

Norrington, direttore che fa storcere la bocca a molti ma che, se visto a lavoro, lascia a bocca aperta. Avremo modo di spiegarvi il perché in seguito...<br />

I vantaggi dei video live non si esauriscono qui. Le registrazioni discografiche di molti blasonati solisti non sono certo esenti dai famigerati<br />

“tagli”; col digitale, oggi, tutto è possibile, o quasi. Due notine fuori posto? Niente paura, una paio di “francobolli” appiccicati ad arte dei<br />

maghi dell’editing risolvono tutti i problemi. Live è invece sinonimo di risultati reali, privi di artifizi, senza possibilità di replicare quanto<br />

fatto. Onore al merito di chi supera la prova proponendo risultati di grande rilievo. Intendiamoci: non ci si deve mettere a cercare il pelo<br />

nell’uovo con la lente di ingrandimento. Questo è il metodo più sbagliato che si possa immaginare per approcciarsi a un’interpretazione. Si<br />

deve ricercare la coerenza del discorso musicale, lo svolgimento della frase, la presentazione al pubblico del materiale musicale. Anche io<br />

posso declamare una poesia in pubblico in un italiano “pulito” e senza sbagliare la pronuncia nonostante le mie orgogliosamente vantate<br />

ascendenze romane. Di certo, però, il mio risultato sarà di gran lunga inferiore (e voglio essere ottimista!) a quello di un Albertazzi o di un<br />

Foà. Come vedete il discorso è un po’ complesso. Non vi preoccupate, lo riprenderemo in seguito...<br />

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE<br />

BEETHOVEN<br />

https://www.youtube.com/watch?v=MRyzOVLq2BE<br />

La Primavera<br />

Isabelle Faust, Alexander Melnikov<br />

Durata 23 m 06 s<br />

Siamo di fronte a un CD premiato dalla rivista francese “Diapason”<br />

con il Diapason d’or nel 2012. A un primo ascolto si rimane incantati<br />

dalla coerenza del discorso musicale, dai dettagli perfetti. Chapeau!<br />

Non è facile sentire tanta sensibilità da parte di strumenti moderni!<br />

Perché, ovviamente, qui non siamo di fronte a un’esecuzione “filologica”. Il timbro del pianoforte parla con accento Steinway o Boesendorfer, quello del violino parla di corde<br />

in metallo nonostante sia un autentico Stradivari (ovviamente montato alla moderna). Non siamo certo di fronte a quegli strumenti di “transizione” (montati originali o copie<br />

che dir si voglia) che queste pagine richiederebbero. Ma quanta grazia, quanta sapienza nel dosare il suono! Raro sentire dei veri “piano” con strumenti moderni: oggi tutti<br />

tendono a strillare a più non posso, alla faccia della musica che hanno davanti sul leggio! E la celeberrima sonata beethoveniana è un capolavoro di detto e non detto, di mezze<br />

tinte e chiaroscuri che solo i più raffinati sanno cogliere. Proprio come la stagione foriera dell’esplosione estiva che dà il titolo a questa meravigliosa sonata. Ovviamente i<br />

miei colleghi “puristi della filologia” troveranno qualche dettaglio fuori posto in questa lettura, soprattutto negli ultimi due movimenti. Non date retta, loro di certo non sanno<br />

fare di meglio. Ancora tanto di cappello di fronte a questi due giovani artisti che incantano con la loro poesia. E cos’è la Musica se non Poesia?<br />

94 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Secondo noi la classica<br />

HAYDN<br />

https://www.youtube.com/watch?v=GR5F0nAYFXU<br />

Le Stagioni<br />

Solisti di canto: Haydn Society of Boston dir: Norrington<br />

Durata 2h 35m 53s<br />

Sontuosa produzione targata BBC Proms, Oedipus Coloneus.<br />

Video realizzato in occasione di un concerto pubblico tenuto<br />

in una grande sala non specificata nelle note di copertina. Una<br />

produzione che certo non ha lesinato sulla massa orchestrale<br />

e corale, sui solisti e sul direttore. Le Stagioni è un Oratorio profano concepito da Haydn negli ultimi anni della sua attività, sul solco dei grandi Oratori haendeliani.<br />

Ricordo che, dopo la musica di Palestrina salvaguardata dalla Santa Romana Chiesa, il Messiah è stata la prima opera a essere stata regolarmente<br />

eseguita per tutto il Settecento, anche dopo la morte dell’autore. A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento la musica apprezzata era ancora solamente quella<br />

contemporanea (le beffe del destino!); la riscoperta della musica antica avverrà buoni trent’anni più tardi. È quindi evidente che il vecchio Haydn, che nella sua<br />

lunga vita aveva già sperimentato tutti i generi musicali, sia stato irresistibilmente attratto dall’Oratorio: grandiosi affreschi uniti da un filo rosso (una storia,<br />

un argomento, sacro o profano che sia) che si dipanano tra ampie pagine orchestrali, recitativi e arie accompagnate per lo più dall’orchestra. Un’attendibile<br />

ricostruzione storica degli Oratori di Haydn pone oggettivi problemi di strumentazione: strumenti barocchi o moderni? Qui i bostoniani mettono in campo<br />

quanto di meglio la ricerca organologica ha scoperto fino ad ora: corni naturali, oboi, clarinetti e fagotti “di transizione” (con poche chiavi), oltre all’immancabile<br />

fortepiano, accordatura con il la = 430 Hz.<br />

Dopo i dettagli mi sembra doveroso passare al vero protagonista, Sir Roger Norrington. Il baronetto è passato all’onore delle cronache per la sua integrale delle<br />

Sinfonie beethoveniane, eseguite rispettando i metronomi originali (il metronomo fu brevettato da Mälzel nel 1816). Un’operazione niente affatto gradita dalla<br />

maggior parte dei nostri contemporanei, direttori o meno. Tempi troppo veloci rispetto a quelli ai quali siamo abituati (sic!). Ma li ha scritti lo stesso Beethoven,<br />

di suo pugno, e lui il metronomo l’aveva appena conosciuto e apprezzato! Avremo modo di parlare di questo nei prossimi numeri. Per farla breve, Norrington<br />

ha approfittato di questa esperienza per presentare uno stile di direzione molto essenziale, quasi minimalista. Non gesticola come un forsennato neanche nei<br />

passaggi più veloci, triste spettacolo al quale ci hanno abituato troppi direttori, ma scandisce serafico il “tactus”, la pulsazione base del ritmo, come si conviene<br />

a questa musica. Non dubitate, chi suona in orchestra sa benissimo come andare a tempo anche senza un mulino a vento davanti e i bostoniani sono svegli e<br />

raffinati. Il risultato è sorprendete: una frase fluida, scorrevole, che accarezza le orecchie. Godetevi, ad esempio, lo splendo ternario (in realtà è un tempo composto,<br />

ma non voglio andare sul difficile... ) che inizia circa a 1h 58 m: pura libidine! Bravissimi tutti, coro e orchestra, ma soprattutto guardate lui, Norrington.<br />

Gesti essenziali, calati nella musica, che farebbero danzare anche le sedie della vostra cucina! La prestazione davvero eccellente dei cantanti solisti è la ciliegina<br />

sulla torta che rende piena giustizia a questo sublime capolavoro haydniano. Provare per credere! Per quanti non lo conoscono sarà un’esperienza davvero<br />

entusiasmante!<br />

SCHUBERT<br />

https://www.youtube.com/watch?v=O52r9_bXWBw<br />

Ottetto<br />

Janine Jansen “e i suoi amici”<br />

Durata 1h 06m 13s<br />

Quando i Conti erano anche mecenati oltre che “nobili amatori”<br />

della musica! Correva l’anno 1824 e il Conte Ferdinand<br />

Troyer, clarinettista “amatore”, commissionò a Schubert questo<br />

Ottetto (quintetto d’archi con contrabbasso, clarinetto, fagotto<br />

e corno). Lo scopo evidente era quello di avere buona musica da suonare con i suoi amici mantenendo un ruolo di primo piano. La struttura è molto classica:<br />

gli archi sono contrapposti ai fiati, tra i quali il clarinetto ha una parte di notevole rilievo. Risultato: una piccola orchestra da camera, assai gestibile e in grado<br />

di proporre risultati musicali più che piacevoli, nella quale i due gruppi strumentali dialogano amenamente tra di loro guidati per lo più dalle loro prime parti,<br />

primo violino e clarinetto, per l’appunto. Le grandi dimensioni di questo lavoro schubertiano (guardate il minutaggio, decisamente inusuale per un lavoro<br />

cameristico) sono ampiamente giustificate dai suoi contenuti: sei ampi movimenti che propongono tutta la tavolozza di colori ed emozioni che faceva vibrare<br />

la gaudente Vienna del primo ’800.<br />

Decisamente di ottimo livello questa ripresa live della Avrotros Klassiek ambientata in un concerto dal vivo del Festival di Utrecht di quest’anno. Sulla scena<br />

troviamo Janine Jansen “e i suoi amici” (sic!). La Jansen è una violinista olandese emergente che ha già mietuto successi come solista sui più prestigiosi palcoscenici<br />

del mondo con importanti orchestre e direttori, ma che ama molto il repertorio cameristico. Onore al merito! È nella musica da camera, ben più che<br />

nei grandi lavori con orchestra, che si apprezzano le doti di raffinatezza musicale e di eleganza dello stile. E qui la Jansen non si risparmia, incantandoci con la<br />

sua bravura di camerista e di concertatrice. Di pari livello i suoi “amici”, anch’essi veri virtuosi dei loro strumenti oltre che ottimi musicisti. L’intesa è eccellente,<br />

come confermato dagli sguardi che l’intelligente regia coglie spesso, e la musica scorre via veloce con un fraseggio agile e raffinato. Davvero un bel concerto!<br />

La ripresa del suono è multi-microfonica (come si può ben constatare dal video) ma molto equilibrata e naturale.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 95


selector<br />

di Tito Gray de Cristoforis<br />

Un baule e il suo quartetto<br />

Il 22 giugno 1943 la giovane Elisa Pegreffi, dopo aver terminato gli studi all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, salì su<br />

un treno alla stazione Termini per tornare a casa, a Novellara. Portava con sé un baule che, probabilmente, conteneva<br />

tutti i suoi effetti personali che andavano portati via dalla capitale. Dovevano stare, come la loro proprietaria, al sicuro.<br />

Elisa Pegreffi, secondo<br />

violino del Quartetto<br />

Italiano e moglie di<br />

Paolo Borciani, è morta a Milano<br />

agli inizi di questo nuovo<br />

anno; aveva alle spalle 93 anni<br />

di età e una delle più strabilianti<br />

carriere nella musica da<br />

camera della storia del nostro<br />

Paese. Nata il 10 giugno 1922<br />

a Genova, Elisa Pegreffi incontra<br />

Paolo Borciani all’Accademia<br />

Chigiana di Siena nel<br />

’42; insieme a Franco Rossi e<br />

a Lionello Forzanti cominciano<br />

a studiare il Quartetto di<br />

Debussy, che resterà per sempre<br />

il loro cavallo di battaglia.<br />

Con l’armistizio i quattro sono<br />

costretti a separarsi – chi sui<br />

monti e chi sfollato, come Elisa<br />

– ma, appena finita la guerra,<br />

si cercano per tornare a suonare<br />

insieme. Così nell’estate<br />

del 1945 si trovano a casa di<br />

Borciani, a Reggio Emilia, e<br />

iniziano ad accordarsi: il primo<br />

concerto del Quartetto Italiano<br />

si tiene a Carpi in quello<br />

stesso anno. Il lavoro di ricerca<br />

del Quartetto prosegue a ritmi<br />

serratissimi, anche dopo che<br />

Forzanti lascia il gruppo nel<br />

’47 e viene sostituito da Piero<br />

Farulli. I quattro raggiungono<br />

un’intesa musicale che nessun<br />

altro gruppo aveva mai toccato<br />

in Italia. Diventano, insomma,<br />

una famiglia, una famiglia di<br />

quelle in cui si litiga, si hanno<br />

idee diverse e discussioni accese,<br />

ma sempre una famiglia...<br />

Poi Pegreffi e Borciani mettono<br />

letteralmente su una famiglia,<br />

sposandosi nel gennaio<br />

del ’53; in quello stesso anno<br />

nasce Mario. Nonostante le<br />

difficoltà per tenere unito il<br />

Quartetto, continuano a suonare:<br />

è il piacere di suonare<br />

insieme, derivato dalla consapevolezza<br />

che farlo con le persone<br />

che si ama apre la porta<br />

a un’intimità altrimenti inaccessibile,<br />

a spingerli a perseguire<br />

quella strada che pochi,<br />

forse nessuno, aveva mai intrapreso<br />

in Italia. L’amore per<br />

quella famiglia, per quella musica,<br />

non finisce col Quartetto,<br />

sciolto nel 1980. Elisa e Paolo<br />

hanno conservato tutto il loro<br />

amore e tutta la loro musica,<br />

e l’hanno consegnata a coloro<br />

che li hanno conosciuti, che li<br />

hanno ascoltati, che a loro si<br />

sono ispirati.<br />

Il baule della giovane violinista<br />

oggi è al sicuro, ed è riempito<br />

da quanto di più prezioso Elisa<br />

avesse mai avuto. Il vecchio<br />

baule della nonna Lisa è diventato<br />

un oggetto di scena, il più<br />

amato dalla compagnia di famiglia<br />

Borciani, e contiene la<br />

sua famiglia, suo figlio Mario,<br />

i suoi nipoti e tutta quella tribù<br />

di musicisti, cantanti e attori<br />

che è germinata dalla vita di<br />

Elisa Pegreffi e di suo marito, e<br />

che farà musica e teatro insieme<br />

ancora per molti anni.<br />

96 <strong>SUONO</strong> settembre 2014


selector<br />

a cura di Daniele Camerlengo<br />

Se son rose…<br />

Sono sicuro che questo nuovo<br />

anno da poco iniziato porterà<br />

numerosi piaceri musicali,<br />

scoperte straordinarie di interpreti<br />

e formazioni, nuovi<br />

luoghi e spazi dove fruire il<br />

jazz ma soprattutto ci invita<br />

a impegnarci nella promozione<br />

e nella diffusione di questo<br />

linguaggio a noi caro cercando<br />

di sostenerlo in ogni modo<br />

e di trasferire alle nuove generazioni<br />

quel fuoco che brucia<br />

dentro noi, ci cambia e rende<br />

migliore la qualità del vivere su<br />

questo nostro martoriato pianeta.<br />

Lodevole l’iniziativa della<br />

selezione nazionale per una<br />

residenza destinata a giovani<br />

jazzisti di età compresa tra 18<br />

e 30 anni da trascorrere presso<br />

l’ambasciata d’Italia a Copenaghen<br />

nel periodo 15 giugno –<br />

15 settembre 2016, nata dalla<br />

collaborazione tra Ambasciata<br />

d’Italia, IIC – Istituto italiano<br />

di Cultura e MIDJ – Associazione<br />

Nazionale di Musicisti di<br />

Jazz, per motivare i giovani<br />

jazzisti italiani verso la realtà<br />

e la scena internazionale<br />

grazie a un processo di scambio<br />

e a un percorso di crescita<br />

professionale e umana. Potete<br />

trovare maggiori info sulle attività<br />

dell’Associazione MIDJ<br />

cliccando questo indirizzo web:<br />

www.musicisti-jazz.it. Qualcuno<br />

direbbe chi ben comincia…<br />

Ospite della rubrica lo scrittore,<br />

critico, insegnante e pianista<br />

jazz Sergio Pasquandrea.<br />

Da oltre dieci anni si occupa di<br />

critica musicale per la rivista<br />

“Jazzit”. Ha collaborato anche<br />

con il “Giornale della musica”,<br />

“Jam Session”(magazine<br />

pubblicato dalla Sidma) e con<br />

i blog “Nazione Indiana”, “La<br />

poesia e lo spirito”, “Jazz nel<br />

pomeriggio”e “World Social<br />

Forum”.<br />

Daniele Camerlengo<br />

Josh Shpak<br />

Astatic<br />

Interrobang Records<br />

Josh Shpak<br />

Cromoestatica<br />

Il futuro è nei gesti e nelle intenzioni<br />

di chi lo sa ascoltare, riempie<br />

i polmoni, stimola l’audacia<br />

compositiva e guida le dinamiche<br />

creative lungo un percorso sconosciuto<br />

ai molti ma che porta a una<br />

destinazione di sublime piacere.<br />

Un debutto che scorre veloce e<br />

sintetizza una saggezza e una<br />

brillantezza che rendono Josh<br />

Shpak un predestinato. Astatic,<br />

licenziato dalla bostoniana Interrobang<br />

Records, è il suo Ep di debutto<br />

e lo ha realizzato mettendo<br />

assieme un collettivo di giovani<br />

talenti che hanno saputo integrare<br />

le loro visioni musicali realizzando<br />

un poderoso intero/sonoro<br />

che vive nella bellezza del cangiante<br />

domani. Le costruzioni<br />

ritmiche di Aaron Liao e Patrick<br />

Simard sono di inaudita<br />

intensità, soggiogano le geniali<br />

sonorità elettroniche ed esaltano<br />

il suono originale e melodico della<br />

tromba di Shpak. Il jazz è spinto<br />

al limiti del proprio potenziale comunicativo<br />

e vive nel complesso<br />

dinamismo degli arrangiamenti.<br />

La copertina realizzata dall’artista<br />

Leigh McCloskey e il<br />

feedback immaginifico delle sei<br />

tracce, favorito dal contributo della<br />

sezione d’archi e dell’armonica<br />

di Roni Eytan,dona meraviglia a<br />

tutto il lavoro discografico.<br />

Felice Clemente & Javier Pérez Forte<br />

songs<br />

Daniele Camerlengo<br />

1 Lazarus<br />

David Bowie<br />

2016<br />

2 Gaïa<br />

Lionel Loueke<br />

2015<br />

3 Tyrannis<br />

No BS! Brass Band<br />

2015<br />

4 I Hate<br />

Luca Nostro Quintet<br />

2015<br />

5 3+2<br />

Sam Sadigursky<br />

2015<br />

6 Quiso<br />

Kenny Wheeler &<br />

John Taylor<br />

2015<br />

7 Novelho<br />

Clare Fischer<br />

2015<br />

8 Proximity<br />

Enrico Pieranunzi<br />

2015<br />

9 The Stalker<br />

Mauro Gioia<br />

2015<br />

10 Push<br />

Roxy Coss<br />

2016<br />

11 The Seeker<br />

David Gilmore<br />

2015<br />

12 Up!<br />

Mack Avenue<br />

SuperBand<br />

2016<br />

13 Farewell<br />

Lucian Ban &<br />

Elevation<br />

2016<br />

14 Soul Provider<br />

Brian Andres & The<br />

Afro-Cuban Jazz<br />

Cartel<br />

2013<br />

15 Enfant<br />

John Zorn<br />

1988<br />

Camminare in versi<br />

Testimoniare un legame di<br />

amicizia fraterna attraverso le<br />

coloriture musicali di due ricchezze<br />

artistiche e strumentali<br />

porta con sé un fascino e una<br />

gioia difficili da descrivere. Dieci<br />

anni di intese, di fusioni sonore,<br />

98 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Esperienze in jazz<br />

di poesia d’anima e di melodie<br />

femminee. Il chitarrista Felice<br />

Clemente e il sassofonista/<br />

clarinettista Javier Pérez Forte<br />

hanno voluto celebrare questo<br />

tempo assieme con Evoluciòn,<br />

la loro terza uscita discografica<br />

edita dalla etichetta Crocevia<br />

di Suoni Records. Un disco che<br />

racconta ciò che li ha avvicinati e<br />

come durante il loro percorso di<br />

suoni siano riusciti a identificare<br />

e prendersi cura di uno spazio<br />

di musica dove stili e linguaggi<br />

cercano di abbellirsi vicendevolmente,<br />

dove la scoperta di nuove<br />

possibilità creative rende il loro<br />

camminamento in versi piacevole<br />

e duraturo. Intensità e dialogo<br />

emozionale fanno sì che l’ascolto<br />

delle nove tracce sia uno straordinario<br />

e avvincente respiro<br />

di vite in equilibrio tra ciò che<br />

è stato e l’inaspettato abbraccio<br />

della scoperta.<br />

Battling Siki<br />

suite FOR Battling SIKI<br />

Gaya Music<br />

Piombo e guantoni ribelli<br />

Momenti di vita travagliata che<br />

attraversano il Vecchio Continente<br />

e portano con sé sangue<br />

e speranze; il protagonista di<br />

questo precario nomadismo<br />

è Battling Siki, esponente<br />

della storia della boxe mondiale,<br />

e il contrabbassista Mauro<br />

Gargano ha voluto raccontarlo<br />

con l’album Suite for Battling<br />

Siki, attraverso preziosi suoni e<br />

voluttuosi costrutti compositivi<br />

che provengono dalla sua “voce<br />

di dentro”, quella consapevole<br />

di cosa voglia dire abbracciare e<br />

portare avanti la missione dura<br />

del boxeur. Il Jazz veste i panni<br />

del narratore e lo fa mostrando<br />

tutta la sua cangiante bellezza.<br />

Le fasi salienti della vita del pugile<br />

senegalese vengono scandite<br />

dalle immagini melodiche<br />

e dalle sferzanti idee ritmiche<br />

di una formazione (Jason Palmer<br />

tromba, Ricardo Izquierdo<br />

sax tenore e contralto, Manu<br />

Codjia chitarra, Bojan Z piano<br />

e fender rhodes, Jeff Ballard<br />

batteria) che oltre a mettere su<br />

musica edifica geniali maschere<br />

noir, diversificando i respiri e le<br />

aspettative dei round, grazie anche<br />

alle voci recitanti di Adama<br />

Mauro Gargano<br />

Adepoju e Frederic Pierrot che<br />

fanno rivivere i frammenti di<br />

conversazione in cui l’allenatore<br />

motiva e sprona il suo pugile alla<br />

vittoria finale.<br />

Frutto dell’ispirazione<br />

Da poco ho fatto delle ristrutturazioni<br />

in casa e i lavori hanno<br />

interessato anche la stanza che<br />

uso come studio. E che ci azzecca?,<br />

direte voi. Ci azzecca perché<br />

ho dovuto spostare i dichi,<br />

inscatolarli e poi rimetterli a<br />

posto a lavori conclusi. Ne ho<br />

dunque approfittato per fare<br />

una cernita e dare una bella<br />

sistemata. E ho pensato che il<br />

lavoro del critico musicale ha<br />

i suoi indubbi pro. Il principale<br />

è che si viene in contatto con<br />

tanti musicisti, si entra ai concerti<br />

gratis e si ascolta, sempre<br />

gratis, tanta bellissima musica.<br />

Il contro è che di musica<br />

bellissima, o anche solo bella,<br />

ce n’è tanta, ma proprio tanta:<br />

talmente tanta da riuscire soverchiante.<br />

Per inciso: il jazz<br />

non è affatto in crisi. Anzi, se<br />

una crisi c’è, è una crisi di sovrapproduzione.<br />

C’è molta più<br />

musica – e intendo: buona musica,<br />

spesso ottima musica – di<br />

quanta persino un ascoltatore<br />

professionale come me riesca<br />

a gestire. Figuriamoci il pubblico<br />

di semplici appassionati.<br />

Risultato: la maggior parte di<br />

quella musica passa ignorata.<br />

Non so bene quale possa essere<br />

la soluzione ma il problema<br />

c’è, e secondo me è grave.<br />

Comunque, tutto ciò per dire<br />

che capita, come è capitato a<br />

me, che rimettendo in ordine<br />

gli scaffali ci si imbatta in una<br />

pila di CD dei quali si era rimossa<br />

l’esistenza. Sono i dischi<br />

arrivati, ascoltati magari una<br />

volta (certe volte – lo ammetto<br />

– mezza volta) e messi da parte<br />

perché mi parevano meritevoli<br />

di maggior attenzione. Sono i<br />

buoni propositi, quelli che “appena<br />

ho un attimo lo ascolto<br />

meglio”. A volte l’attimo diventa<br />

settimane, mesi. A volte, sad<br />

but true, anni. Lo so, non è bello<br />

da ammettere, ma per quanto<br />

mi riguarda è un problema di<br />

coscienza. Un disco è frutto di<br />

studio e impegno: i musicisti<br />

hanno impiegato ore per registrarlo,<br />

settimane per le prove,<br />

mesi per trovare lo studio e il<br />

produttore, anni per sviluppare<br />

le proprie abilità e raggiungere<br />

un livello professionale. Liquidare<br />

tutto ciò con un ascolto<br />

distratto mi pare ingiusto. Bisogna<br />

riflettere, riascoltare,<br />

ripensare. E serve tempo, che<br />

spesso non ho. Dunque, quando<br />

l’amico Daniele Camerlengo mi<br />

ha proposto di scrivere questo<br />

pezzo, ho pensato: ecco, è il<br />

momento di rimettere mano a<br />

quella pila ed espiare, almeno<br />

in parte, la dimenticanza. I tre<br />

dischi che seguono non sono<br />

affatto “i migliori”, ammesso<br />

che una simile classifica abbia<br />

senso. Sono semplicemente<br />

quelli che, in quel particolare<br />

momento, mi hanno più ispirato<br />

a scriverne.A posteriori mi<br />

sono reso conto di aver scelto<br />

tre dischi che sono parecchio<br />

distanti da ciò che comunemente<br />

si intende per “jazz” ma<br />

non fraintendiamoci: adoro il<br />

jazz, amo alla follia l’hardbop<br />

e mi piace la musica che mi fa<br />

schioccare le dita e battere il<br />

piede. Però ci sono più cose in<br />

terra (lasciamo perdere il cielo)<br />

di quante possa vederne chi tira<br />

su uno steccato e decide che da<br />

questa parte c’è il jazz, dall’altra<br />

i barbari. Da buon agnostico,<br />

sono convinto che le certezze<br />

assolute somiglino pericolosamente<br />

ai paraocchi. E io, invece,<br />

preferisco avere il campo visivo<br />

il più sgombro possibile.<br />

Sergio Pasquandrea<br />

Dino Betti Van Der Noot<br />

Notes Are But Wind<br />

Stradivarius<br />

Risolvete l’enigma<br />

Cominciamo da Dino Betti<br />

Van Der Noot e dal suo Notes<br />

Are But Wind e cominciamo con<br />

il dire che Dino Betti Van Der<br />

Noot rimane per me un enigma.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 99


selector<br />

O meglio, rimane un enigma<br />

come un compositore (compositore<br />

puro, ossia non strumentista:<br />

già per questo una mosca<br />

bianca nel jazz) di tale originalità<br />

e pregnanza espressiva sia<br />

rimasto per molto tempo praticamente<br />

ignorato. Betti, per inciso,<br />

è del 1936, quindi non certo<br />

un esordiente. Dopo un silenzio<br />

discografico più che decennale,<br />

durato per tutti gli anni Novanta,<br />

ha ricominciato a incidere e<br />

ha prodotto alcuni dischi uno<br />

più bello dell’altro, tutti lodati<br />

dalla critica e premiati dalle riviste<br />

di settore. Ma nonostante<br />

ciò non c’è stato, almeno a mia<br />

notizia, uno solo dei maggiori<br />

festival italiani che si sia degnato<br />

di invitarlo. Notes Are But<br />

Wind è un perfetto ritratto della<br />

sua musica. I cinque lunghi<br />

brani che lo compongono (il più<br />

breve sfiora i nove minuti) sono<br />

vere e proprie narrazioni in musica,<br />

nelle quali si fonde un materiale<br />

all’apparenza eterogeneo:<br />

jazz, fusion, echi rock, tecniche<br />

compositive eurocolte, sonorità<br />

etniche (il primo brano ha come<br />

solisti un flauto cinese e un’arpa<br />

celtica), citazioni di canzonette<br />

popolari. Dico “all’apparenza”<br />

perché poi, all’ascolto, risulta<br />

miracolosamente unitario. E<br />

il merito va condiviso fra gli<br />

ottimi solisti – non li cito tutti<br />

per motivi di spazio, né ne cito<br />

solo alcuni per non far torto a<br />

nessuno – e il compositore, che<br />

ha tagliato le partiture su misura<br />

per loro. E torno a pormi la<br />

domanda iniziale: come mai un<br />

compositore di tale originalità e<br />

pregnanza rimane defilato dalla<br />

scena? Forse la risposta è già<br />

contenuta nella domanda.<br />

Fuori da certi giri o fuori giri?<br />

Se vogliamo continuare a parlare<br />

di musicisti fuori da – diciamo<br />

così – certi giri, ebbene<br />

ecco a voi Uomo invisibile,<br />

Odwalla<br />

Uomo invisibile<br />

Autoprodotto<br />

l’ultima creatura auto-prodotta<br />

dagli Odwalla, il gruppo di<br />

percussioni fondato nel 1989<br />

dal musicista eporediese (non è<br />

una malattia genetica, significa<br />

che è di Ivrea) Massimo Barbiero.<br />

Per questo decimo CD<br />

la band accoglie al suo interno<br />

due musicisti africani, più altri<br />

ospiti come il batterista Israel<br />

Varela e ben quattro voci:<br />

Marta raviglia, Gaia Mattiuzzi,<br />

Sabrina Olivieri e Manuel Attanasio.<br />

La musica degli Odwalla<br />

(così come quella dell’altra formazione<br />

storica di Barbiero,<br />

gli Enten Eller) si è sempre<br />

mossa tra vertici distanti: il<br />

jazz, in particolare quello più<br />

orientato verso la ricerca e la<br />

sperimentazione di nuovi linguaggi;<br />

la musica europea contemporanea;<br />

la musica africana.<br />

A questo si è unito un interesse<br />

costante per la performance e in<br />

particolare per la danza. Qui, i<br />

punti di partenza sono due:<br />

Uomo invisibile, il capolavoro<br />

di Ralph Ellison che è una<br />

grande metafora della condizione<br />

esistenziale afroamericana<br />

contemporanea, e le favole, a<br />

loro volta grandi metafore del<br />

reale. Attorno ad essi il gruppo<br />

costruisce sette affreschi sonori<br />

brulicanti di colori cangianti,<br />

(poli)ritmi, voci cantanti e<br />

narranti. E danza, che nel CD<br />

non si vede ma nell’originale,<br />

registrato dal vivo, c’era. Spirito<br />

e terra, intelletto e corpo, senza<br />

soluzioni di continuità...<br />

Per finire in bellezza<br />

Pop Corn Reflections del Rosario<br />

Di Rosa Trio, con il leader<br />

al pianoforte, Paolo Dassi a contrabbasso<br />

ed elettronica e Riccardo<br />

Tosi alla batteria e anche<br />

lui all’elettronica, è composto da<br />

nove brani tutti costruiti su ostinati<br />

ritmici e serie melodiche, al<br />

Rosario Di Rosa<br />

Rosario Di Rosa Trio<br />

Pop Corn Reflections<br />

Nau<br />

di fuori di quella che è la logica<br />

improvvisativa corrente in un<br />

gruppo jazz, vale a dire l’improvvisazione<br />

su chorus armonico.<br />

Qui, piuttosto, siamo nei pressi<br />

dell’elettronica, o del minimalismo<br />

(uno dei pezzi è esplicitamente<br />

dedicato a Steve Reich),<br />

o del serialismo (un altro brano<br />

è basato su uno dei Klavierstücke<br />

Op. 19 di Arnold Schoenberg).<br />

Ognuno dei pezzi parte da un’idea<br />

compositiva – per lo più un<br />

songs<br />

Sergio Pasquandrea<br />

1 Nick Drake<br />

FIVE LEAVES LEFT<br />

1969<br />

2 Beethoven<br />

klaVIERSONATEN<br />

(Arthur Schnabel)<br />

1932-1935<br />

3 Sainte Colombe<br />

CONCERTS A DEUX<br />

VIOLES ESGALES (J.<br />

Savall/W. Kujken)<br />

1992<br />

4 Joni Mitchell<br />

BLUE<br />

1971<br />

5 Fabrizio De Andrè<br />

RIMINI<br />

1978<br />

6 Marisa Monte<br />

rose AND CHARCHOAL<br />

1994<br />

7 Miles Davis<br />

SKETCHES OF SPAIN<br />

1960<br />

8 Chico Buarque<br />

ConstruÇÃO<br />

1971<br />

9 Bill Evans<br />

sunday at THE VILLAGE<br />

Vanguard<br />

1961<br />

10 Sonny Clark<br />

COOL STRUTTIN’<br />

1958<br />

11 Eric Dolphy<br />

OUT TO lunCH<br />

1964<br />

12 J. S. Bach<br />

GOLDBERG Variations<br />

(Glenn Gould)<br />

1981<br />

13 Charles Mingus<br />

THE BLACK SAINT AND<br />

THE SINNER LADY<br />

1963<br />

14 Ornette Coleman<br />

THE SHAPE OF JAZZ to<br />

COME<br />

1959<br />

15 Keith Jarrett<br />

faCING YOU<br />

1971<br />

pattern ritmico o melodico – che<br />

fa da mattone costruttivo e da<br />

collante strutturale. Con, in più,<br />

un uso costante del live electronics<br />

che aggiunge un ulteriore livello<br />

di complessità sonora.<br />

100 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


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50008<br />

Esclusivo! AbbIAmO pROvATO lA pRImA CUFFIA DI sonus faBEr<br />

9 771721 576006<br />

ANTE...<br />

Pryma<br />

501<br />

microlusso: l’orgoglio italiano!<br />

riflEttEndo<br />

su B&W, dali<br />

E tEchnics<br />

la rinascita dEllE<br />

ElEttroacustichE<br />

lEak<br />

storia di un succEsso<br />

non complEtato<br />

mario Biondi<br />

<strong>SUONO</strong> | 502 | DICEMBRE 2015 In RICoRDo DI ValERIa E glI altRI DEl BataClan<br />

50009<br />

9 771721 576006<br />

502<br />

“La cultura, la musica, il teatro , le emozioni profonde<br />

dell’uomo sono ciò che ha fatto grande l’Italia e sono<br />

esattamente quello che vogliono distruggere…<br />

E noi non permetteremo loro di avere una<br />

generazione che possa odiare la musica”<br />

Matteo Renzi, 29/11/2015<br />

suono annuario 2016<br />

annuario 2016<br />

TUTTE LE NOVITà HI-FI | HI-END<br />

€ 12,00<br />

.<br />

www.suono.it


selector<br />

a cura di Guido Bellachioma<br />

Dal blues bianco<br />

al jazz rock<br />

Le playlist di <strong>SUONO</strong>, sorta<br />

di guida all’ascolto in pillole,<br />

continuano a proporre artisti,<br />

canzoni, album o stili che hanno<br />

contribuito ad arricchire il<br />

pentagramma contemporaneo.<br />

Questa volta tocca a un artista<br />

che viene considerato una vera<br />

e propria università del blues<br />

bianco: John Mayall, armonicista,<br />

cantante, chitarrista, pianista<br />

e soprattutto guida spirituale<br />

di quei Bluesbrakers che nelle<br />

loro fila hanno visto la crema<br />

della scena americana e, soprattutto,<br />

britannica: Eric Clapton,<br />

Peter Green, Mick Taylor, Harvey<br />

Mandel, Freddy Robinso,<br />

Dick Heckstall Smith, Jack<br />

Bruce, Keef Hartley, Aynsley<br />

Dumbar, Jon Hiseman, Mick<br />

Fleetwood, Dr. John, Paul Butterfield<br />

e tanti altri. Dal 1966<br />

al 1972, il suo periodo più creativo,<br />

stellare, anche se ancora<br />

oggi gira il mondo in concerto<br />

con buoni risultati, sebbene sia<br />

nato il 29 novembre 1933… 82<br />

anni! Allora è vero che il blues è<br />

una musica senza tempo!<br />

L’altra playlist è dedicata ai<br />

migliori album del jazz-rock<br />

europeo, àmbito nel quale l’Italia<br />

produsse lavori notevoli,<br />

subito dopo la lezione del jazzelettrico<br />

di marca davisiana e<br />

prima della trasformazione in<br />

fusion. Una sola eccezione alla<br />

completa appartenenza europea:<br />

la Mahavishnu Orchestra<br />

che, in realtà, è una multinazionale<br />

della musica visto che<br />

John McLauglin alla chitarra<br />

è inglese, Billy Cobham alla<br />

batteria è panamense, Jerry<br />

Goodman al violino è americano,<br />

Jan Hammer alle tastiere è<br />

nato nell’allora Cecoslovacchia<br />

e Rick Lair al basso è irlandese…<br />

ma il compositore unico<br />

dei brani di Inner Mounting<br />

Flame è McLauglin.<br />

songs<br />

European ’70 Jazz Rock LP<br />

1 Inner Mounting Flame<br />

Mahavishnu<br />

orchestra<br />

1971<br />

The Mahavishnu Orchestra<br />

the INNER MOUNTING FLAME<br />

2 Perigeo<br />

Perigeo<br />

1972<br />

Perigeo<br />

azimut<br />

3 Six<br />

Soft Machine<br />

1973<br />

4 Maledetti<br />

Area<br />

1976<br />

5 Expresso II<br />

Pierre Moerlen’s Gong<br />

1978<br />

Expresso II<br />

pierre MOERLEN’S GONG<br />

6 Unorthodox Behaviour<br />

Brand X<br />

1976<br />

Unorthodox Behaviour<br />

brand x<br />

7 Septober Energy<br />

Centipede<br />

1971<br />

8 2<br />

Agorà<br />

1976<br />

2<br />

agorà<br />

9 Tilt (Immagini per un orecchio)<br />

Arti e Mestieri<br />

1974<br />

Tilt<br />

arti E MESTIERI<br />

10 We’ll Talk About It Later<br />

Nucleus<br />

1970<br />

11 Sconcerto<br />

Baricentro<br />

1976<br />

Sconcerto<br />

BariCentro<br />

12 One of a Kind<br />

Bruford<br />

1979<br />

One of a Kind<br />

Bruford<br />

13 Of Queues and Cures<br />

National Health<br />

1978<br />

14 2<br />

If<br />

1970<br />

2<br />

if<br />

15 Illusion<br />

Isotope<br />

1974<br />

102 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Oltre il rock<br />

In arrivo<br />

The Mute Gods<br />

Do Nothing Till You<br />

Hear From Me<br />

Inside Out<br />

Do Nothing Till You Hear From Me, in uscita a gennaio,<br />

è il disco di esordio dei Mute Gods, nuovo, ennesimo<br />

super gruppo sospeso tra i generi, composto da<br />

tre artisti che in questo periodo collaborano spesso<br />

tra loro: Nick Beggs (basso, chitarra, Chapman Stick,<br />

tastiere, programmazione e voce – Kajagoogoo,<br />

Steve Hackett, Steven Wilson), Roger King (tastiere,<br />

programmazione, chitarra, cori, produzione e<br />

masterizzazione – Gary Brooker dei Procol Harum,<br />

Steve Hackett) e Marco Minnemann (batteria, chitarre<br />

– Aristocrats, Steven Wilson, Joe Satriani).<br />

Anche qualche ospite è della partita: il tastierista<br />

Adam Holzman (Miles Davis, Steven Wilson), il polistrumentista<br />

Rob Reed (Magenta), il batterista Gary<br />

O’Toole (Steve Hackett, China Crisis, Kyle Minougue),<br />

il batterista Nick D’Virgilio (Spock’s Beard) e altri.<br />

“Viviamo in un momento di accresciuto fondamentalismo<br />

religioso; le persone mettono davanti<br />

ai propri proclami l’ira di Dio e parlano a<br />

suo nome. Ma Dio ha mai indicato questi cattivi<br />

profeti come suoi PR? Le persone che in questo<br />

mondo dovrebbero realmente essere ascoltate<br />

sono, purtroppo, quelle che più spesso sono<br />

messe a tacere. La voce delle persone ragionevoli<br />

sembra essere troppo silenziosa rispetto<br />

all’aggressività di questi uomini. The Mute<br />

Gods vuole affrontare proprio questo squilibrio”.<br />

Il disco, musicalmente parlando, risente<br />

dei trascorsi di Beggs, vero leader della band,<br />

in stili eterogenei (progressive rock, pop, Celtic,<br />

funk, soul) miscelati piuttosto bene. Incisione<br />

equilibrata. Pubblicato dalla Inside Out<br />

che, insieme alla casa madre Century Media,<br />

è stata acquistata dalla Sony Music.<br />

songs<br />

John Mayall’s Songs ’66 - ’72<br />

1 Room to Move<br />

The Turning Point<br />

1969<br />

6 Walking On Sunset<br />

Blues From Laurel<br />

Canyon<br />

1968<br />

7 The Laws Must Change<br />

The Turning Point<br />

1969<br />

8 California<br />

The Turning Point<br />

1969<br />

12 Someday After A While<br />

(You’ll Be Sorry)<br />

A Hard Road<br />

1967<br />

13 The Bear<br />

Blues from Laurel<br />

Canyon<br />

1968<br />

14 Accidental Suicide<br />

Back To The Roots<br />

1971<br />

John Mayall<br />

theturning POINT<br />

2 Good Time Boogie<br />

Jazz Blues Fusion<br />

1972<br />

John Mayall<br />

Blues Breakers WITH Clapton<br />

4 Bare Wires Suite<br />

Bare Wires<br />

1968<br />

5 The Death Of J.B. Lenoir<br />

Crusade<br />

1967<br />

9 Memories<br />

Memories<br />

1971<br />

John Mayall<br />

BACK TO THE ROOTS<br />

15 Nature’s Disappearing<br />

USA Union<br />

1970<br />

John Mayall<br />

memories<br />

John Mayall<br />

Jazz Blues FUSION<br />

10 The Supernatural<br />

A Hard Road<br />

1967<br />

3 Hideaway<br />

Blues Breakers with<br />

Eric Clapton<br />

1966<br />

John Mayall<br />

Crusade<br />

11 Have You Heard<br />

Blues Breakers with<br />

Eric Clapton<br />

1966<br />

John Mayall<br />

usa UNION<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 103


selector<br />

di Francesco Bonerba<br />

Nothing has<br />

changed...<br />

...anche ora che non c’è più, nulla è cambiato: il<br />

camaleontico David Bowie è sempre tra noi. La sua<br />

scomparsa è solo un’ennesima trasformazione che questa<br />

volta segna il passaggio da presenza in carne ed ossa a<br />

icona impalpabile e immortale della musica mondiale.<br />

Fino all’ultimo istante della propria vita David Bowie ha con<br />

coerenza ribadito l’inesistenza di un grado di separazione tra<br />

la propria essenza e la sua immagine di artista; con l’estrema<br />

umiltà e discrezione che appartiene solo ai grandi ha nascosto la sua<br />

malattia a tutti non resistendo, al contempo, all’impulso di raccontarla a<br />

milioni di persone nel videoclip della canzone Lazarus. Perché quando<br />

sei un artista autentico, totale, l’arte si nutre inevitabilmente della tua<br />

vita e viceversa, in un circolo virtuoso o vizioso che magnifica o uccide.<br />

David Bowie ha assecondato il fato avverso per scegliere di andarsene<br />

come desiderava, pubblicando il suo ultimo album, Blackstar, tra<br />

il giorno della sua nascita e quello della sua morte: una metafora, ci<br />

piace immaginare, del fatto che l’arte sia stata il vero riempitivo della<br />

sua esistenza.<br />

Anche la stella nera che fa da cover alla sua ultima opera diventa, chissà,<br />

l’ultimo riferimento alla più famosa tra le maschere indossate da Bowie<br />

lungo la sua carriera, quella di Ziggy Stardust, alieno approdato sulla<br />

Terra nel 1972 e ora finalmente ritornato al suo pianeta natale, un astro<br />

oscuro collocato chissà dove nell’infinità del cosmo. “Alcuni sostengono<br />

che sia una cover “semplice”, realizzata in cinque minuti”, ha affermato<br />

Jonathan Barnbrook, designer che ha curato cinque copertine di Bowie<br />

negli ultimi quindici anni, “Penso che oggi ci sia un fraintendimento<br />

in merito alla semplicità. L’immagine contiene l’idea della mortalità:<br />

evoca un buco nero che risucchia qualsiasi cosa, il Big Bang, l’inizio<br />

dell’universo, ammesso che ci sia una fine. Anche la scelta di rendere<br />

il disco un oggetto che dall’immaterialità assume lentamente una<br />

sua dimensione fisica e contemporaneamente dei graffi sulla sua<br />

superficie è a sua volta un commento alla mortalità umana”. Concetto<br />

reso ancora più spettacolarmente nell’edizione in vinile, in cui la cover<br />

presenta un ritaglio a forma di stella che rende visibile il disco nero, il<br />

cui colore va progressivamente sbiadendo. Quella di Blackstar è solo<br />

una delle cover emblematiche che hanno caratterizzato la carriera<br />

dell’artista inglese e che hanno contribuito ad alimentare la mitologia<br />

del suo personaggio.<br />

Ne è un fulgido esempio Nothing has changed, raccolta dei suoi<br />

brani migliori uscita nel 2014, per la quale sono state scelte tre diverse<br />

immagini, una per ogni edizione dell’album: il triplo CD deluxe/digitale<br />

presenta uno scatto di Jimmy King del 2013, l’edizione doppio CD/<br />

digitale una (meravigliosa) foto di Steve Schapiro del 1975 e il doppio<br />

vinile un’immagine di Mick Rock scattata nella casa dell’artista, ad<br />

Haddon Hall, Beckenham, nel 1972. “Bowie che guarda se stesso in uno<br />

specchio”, ha raccontato Barnbrook, “è un archetipo abbastanza forte<br />

per comunicare al pubblico che si tratta di una raccolta di musiche<br />

entro cui è racchiuso l’intero percorso artistico di Bowie e non uno<br />

specifico periodo. Il riferimento delle immagini è ovviamente a Oscar<br />

Wilde e al suo Il ritratto di Dorian Gray”. A cosa starà pensando, Bowie,<br />

mentre si specchia? Alla sua giovinezza? Alla propria identità? Al tempo<br />

che avanza? Qualsiasi cosa gli passi per la testa, nonostante i 42 anni<br />

che separano il primo e l’ultimo scatto, lui è ancora lì, più vecchio<br />

ma sempre intento a riflettere la propria arte/immagine nel mondo e<br />

viceversa. Nulla, in effetti, è cambiato: declinata attraverso le passione<br />

la vita assume una propria rassicurante circolarità. Eppure, il flusso<br />

degli eventi non è arrestabile, il tempo scorre in una direzione univoca.<br />

104 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Sotto la cover, le storie<br />

Come mostra magistralmente la cover di The Next Day, un semplice<br />

quadrato bianco con una scritta nera che si sovrappone all’immagine<br />

del 1977 di Masayoshi Sukita scelta come cover all’album capolavoro<br />

Heroes. “Non ha importanza quanto ci proviamo, non potremo mai<br />

liberarci dal passato. Ci muoviamo al rallentatore verso il giorno successivo,<br />

abbandonando il passato perché non abbiamo altra scelta”:<br />

queste le parole, sempre di Barnbrook, che racchiudono il senso dell’insolita<br />

scelta. Quanti artisti continuano ad essere associati all’immagine<br />

polverosa che il pubblico ne conserva, magari risalente all’epoca d’oro<br />

dei loro primi successi? Anche per Bowie Heroes ha rappresentato un<br />

punto di svolta e un’inevitabile “àncora mentale” per lui e i suoi milioni<br />

di fan; trentasei anni dopo, è giunto il momento di andare avanti, non<br />

rinnegando il passato ma celebrandolo e al contempo oscurandolo<br />

parzialmente con qualcosa di nuovo.<br />

Tornando all’immagine di Sukita e compiendo un balzo di un quarto<br />

di secolo, la foto si ispira al quadro Roquairol dell’artista tedesco Erich<br />

Heckel, da cui attinse anche Iggy Pop che,<br />

nella cover del suo album The Idiot, compare<br />

in una posa simile. Non è un riferimento<br />

pittorico, invece, l’immagine che<br />

campeggia sull’album Low (1977), in cui<br />

Bowie compare “travestito” da Thomas<br />

Jerome Newton, alieno che interpreta nel<br />

film The Man Who Fell to Earth (1976),<br />

per il quale erano inizialmente previste le<br />

musiche dell’album, poi scartate dal regista<br />

Nicolas Roeg. L’immagine fu pensata<br />

dal musicista per creare un rimando visivo<br />

al titolo, dove low sta in realtà per<br />

“low profile”.<br />

provenienza aliena, sembra anticipare di due decenni la composizione<br />

liquida del micidiale androide polimorfo T-1000 in Terminator 2.<br />

Il suo aspetto, secondo il giornalista Peter Doggett, è “l’archetipo<br />

dell’artificialità – glitterato, pitturato, tinto, decorato con un fulmine,<br />

la carne di freddo marmo, deformato da una lacrima d’argento,<br />

scolpito, emaciato, fiero, vulnerabile e fondamentalmente alieno”. Nel<br />

secondo album, invece, Ziggy appare più defilato, ritratto in posa vicino<br />

al 23 di Heddon Street, Londra. L’effetto pittorico della copertina, che la<br />

rende contemporaneamente così realistica e così sfuggente, fu ottenuto<br />

dal grafico Terry Pastor colorando i 17 scatti in bianco e nero realizzati<br />

dal fotografo Brian Ward, il cui studio era proprio in Heddon Street.<br />

Sul significato dell’insegna K. West – in molti pensarono che fosse una<br />

sorta di codice segreto che stesse a indicare “quest” (ricerca) – Bowie<br />

ha lasciato che fioccassero le più stravaganti interpretazioni; si trattava,<br />

in realtà, del nome di una società di distribuzione di pellicce al primo<br />

piano dell’edificio, di cui oggi è scomparsa ogni traccia.<br />

Fu sempre Brian Ward a fotografare il<br />

“Duca Bianco” (dal personaggio comparso<br />

per la prima volta in Station to<br />

Station, ricalcato sulla sua biografia) per<br />

l’immagine della copertina di Hunky<br />

Dory (1971), che si rifà ad alcune pose<br />

di Marlene Dietrich e mostra il volto di<br />

Bowie rivolto verso l’alto, con l’aria persa<br />

tra i suoi pensieri. L’artwork della foto<br />

fu curato da George Underwood (che<br />

collaborò anche alla copertina di Ziggy<br />

Stardust and the Spiders from Mars),<br />

amico d’infanzia dell’artista che, all’età di<br />

quattordici anni, a causa di una discus-<br />

È ugualmente di origine extraterrestre<br />

Ziggy Stardust, l’alter-ego che ha accompagnato<br />

Bowie lungo tutta la sua<br />

Alcuni degli scatti che il fotografo Masayoshi Sukita realizzò nel<br />

1977 per la cover di Heroes, con la scelta finale evidenziata in rosso.<br />

sione su una ragazza, lo colpì nell’occhio;<br />

da allora, Bowie ha sempre avuto una<br />

pupilla più aperta dell’altra (in medicina,<br />

carriera e che è protagonista delle cover di due dei suoi album più<br />

celebri e amati: Aladdin Sane (1973) e The Rise and Fall of<br />

Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972). Nel primo,<br />

nell’immagine forse più iconica della sua intera carriera, realizzata<br />

dal fotografo Brian Duffy con la collaborazione del make-up artist<br />

Pierre Laroche, l’artista compare a torso nudo, con i capelli ramati, gli<br />

occhi chiusi, l’incarnato rosato sul volto privo di sopracciglia e attraversato<br />

da fulmine rosso e blu (in una dichiarazione, Duffy affermò di<br />

essersi ispirato al simbolo presente sul suo fornello elettrico!); su una<br />

scapola, sospesa, una goccia di un fluido che, oltre a enfatizzarne la<br />

anisocoria), difformità che dà l’impressione che i due occhi siano di<br />

colore diverso. Da quel momento in poi i due sono diventati inseparabili,<br />

tanto che il cantante scrisse per lui la canzone Song for Bob Dylan,<br />

tributo a Bob Dylan, di cui l’amico era appassionatissimo. “In seguito<br />

mi disse di avergli fatto un favore”, ammette Underwood, intervistato<br />

recentemente, dopo la scomparsa del musicista, “Ha dato tanta felicità<br />

e gioia a moltissime persone, questa è la magnifica eredità che lascia<br />

alle sue spalle. Passerà alla storia. Era una persona adorabile. Mi<br />

faceva ridere… mi mancherà”. Mancherà a molti, l’alieno trasformista<br />

Bowie, di ritorno finalmente sul pianeta Anthea.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 105


selector<br />

Yuja Wang<br />

Ravel<br />

Deutsche Grammophone<br />

2015<br />

Avvicinandosi alla soglia dei trent’anni<br />

la pianista cinese si sta progressivamente<br />

liberando dalle vesti di ragazza<br />

prodigio di ferro e sexy, immagine sulla<br />

quale anche le case discografiche hanno<br />

insistito sin troppo. Con la maturità anche le<br />

pagine pianistiche più virtuosistiche, come<br />

quelle di Ravel, si mostrano nei colori e nelle<br />

sfumature di cui abbondano. La sua collaborazione<br />

con l’orchestra zurighese è ormai<br />

di lunga data (iniziò nel 2003), per cui non<br />

sorprende la grande intesa che ha con essa e<br />

il fatto che il direttore la definisca una della<br />

loro famiglia. Nel concerto in sol maggiore<br />

di Ravel la pianista riesce a mantenersi in<br />

un saggio equilibrio tra sentimentalismo e<br />

chiarezza, come si evince già dal primo movimento:<br />

qui la Wang parte delicatamente<br />

e poi si lancia senza freni verso vertiginose<br />

scale, mantenendo tuttavia una lettura netta<br />

e pulitissima. L’adagio centrale scorre con<br />

le sue tenui sonorità; si vorrebbe, forse, un<br />

pizzico di intensità interpretativa in più ma<br />

è la linea dell’equilibrio quella scelta e forse<br />

la più vicina proprio a Ravel. Nel terzo<br />

movimento, quello nel quale i riferimenti<br />

jazzistici sono più evidenti, la velocità non<br />

mette certo in difficoltà la pianista cinese<br />

che, però, riesce a unire grazia e dolcezza,<br />

evitando un tour de force fine a se stesso.<br />

Anche il secondo concerto, quello per la<br />

mano sinistra, viene affrontato nello stesso<br />

stile interpretativo. Chiarezza nel fraseggio,<br />

freschezza e sicurezza che non vengono mai<br />

meno, anche nei momenti più concitati. In<br />

realtà è un brano più oscuro, specie nell’inizio,<br />

rispetto allo scoppiettio quasi continuo<br />

che Ravel propone nel suo primo concerto<br />

pianistico. Ma il contrasto tra la fase più meditativa<br />

e l’esplosione finale è forse ancor<br />

più eccitante. Probabilmente la voglia di non<br />

apparire una macchina da guerra e di limita-<br />

106 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />

Classica<br />

Identikit<br />

TK DR Titolo<br />

Maurice Ravel - Piano Concerto in G<br />

Major, M. 83<br />

1 17 1. 1. Allegramente<br />

2 16 2. 2. Adagio assai<br />

3 16 3. 3. Presto<br />

Gabriel Fauré<br />

4 14 4. Ballade In F Sharp, Op.19<br />

Maurice Ravel - Piano Concerto For The<br />

Left Hand In D, M. 82<br />

5 16 5. 1. Lento<br />

6 15 6. 2. Allegro<br />

7 15 7. 3. Tempo I<br />

re l’esuberanza l’ha condotta verso una lettura<br />

più tranquilla di quanto ci si potrebbe<br />

aspettare, confermando comunque la sua<br />

voglia di crescere per affrontare un repertorio<br />

più ampio e completo. Bella lettura della<br />

Ballade per pianoforte solo di Fauré. Wang<br />

cattura il flusso della musica in un lavoro in<br />

cui la sottigliezza del ritmo e la capacità di<br />

andar fuori quelle lunghe linee melodiche<br />

senza soluzione di continuità è tutto.<br />

Ottima la ripresa in perfetto stile Deutsche<br />

Grammophon dove chiaramente spicca il<br />

pianoforte della giovane (anche se non più<br />

giovanissima) Yuja Wang. L’intera esecuzione<br />

è godibilissima; l’orchestra è magicamente<br />

integrata con i passaggi pianistici<br />

che, per cause di forza maggiore, vengono<br />

percepiti come se fossero ascoltati dalla<br />

quinta fila di un auditorium. Non da troppo<br />

lontano e neanche eccessivamente da vicino.<br />

Il giusto equilibrio a cui l’etichetta tedesca<br />

ci ha abituati negli anni.<br />

Il valore di dinamica media (DR15) rilevato<br />

dal software Algorithmix ci tranquillizza<br />

circa un trattamento da manuale e anche<br />

le figure di Lissajous risultano molto ben<br />

proporzionate, definite e quasi circolari;<br />

quest’ultima caratteristica denota un ottimo<br />

equilibrio tra dinamica e spazialità stereofonica.<br />

Brava Deutsche Grammophon,<br />

da molti criticata negli anni scorsi per la<br />

relativa “staticità” delle registrazioni dal<br />

sapore “antico”; oggi da considerare come<br />

un esempio a cui tendere.<br />

In sintesi, un programma nel quale l’artista<br />

si mostra a suo agio, al pari dell’orchestra.<br />

Registrazione limpida e chiara in sintonia<br />

con l’interpretazione.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

Yuja Wang: pianoforte<br />

Lionel Bringuier: direttore<br />

Tonhalle-Orchester Zurich<br />

traccia 1 -Piano Concerto In G, M. 83 1. Allegramente<br />

traccia 4 - Ballade In F Sharp, Op.19<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 107


selector<br />

David Bowie<br />

BLACkSTAR<br />

ISO Records / Columbia /<br />

Sony Music - 2016<br />

Non è semplice scrivere a così pochi<br />

giorni dalla scomparsa di David<br />

Bowie. Troppi eventi si sono<br />

accavallati in troppo poco tempo: l’uscita<br />

del nuovo album, il ventiseiesimo nella discografia<br />

dell’artista inglese, nel giorno del<br />

suo sessantanovesimo compleanno, seguito<br />

appena due giorni dopo dalla notizia della<br />

sua morte per una lunga malattia di cui in<br />

pochi erano a conoscenza. Qualcuno, appena<br />

un mese prima, lo aveva descritto in gran<br />

forma a New York alla prima del musical<br />

Lazarus, scritto insieme a Enda Walsh e<br />

diretto da Ivo van Hove. In realtà Bowie<br />

stava lottando da tempo con un tumore al<br />

fegato. Inevitabile che il calvario personale<br />

si riflettesse anche nella composizione<br />

e nelle atmosfere del nuovo disco, ciononostante<br />

lontanissimo da una monocorde<br />

elegia: chi aveva avuto modo di ascoltarlo in<br />

anteprima, infatti, aveva parlato di un lavoro<br />

affascinante, sperimentale, un ulteriore<br />

salto in avanti in una carriera piena di evoluzioni<br />

e scarti improvvisi, anche se velato<br />

da una luce strana. Il video promozionale<br />

di Blackstar aveva mostrato Bowie nelle<br />

vesti di un profeta cieco, il volto coperto<br />

da bende e gli occhi sostituiti da due pietre<br />

nere. Una donna caudata apriva l’elmetto<br />

di una tuta spaziale per prelevare il teschio<br />

dell’astronauta defunto (il Major Tom di<br />

Space Oddity?). Immagini che facevano<br />

intendere come Bowie avesse iniziato a interrogarsi,<br />

più che su un ipotetico futuro,<br />

sul momento preciso del trapasso dalla vita<br />

alla morte. Ancora più espliciti erano stati i<br />

fotogrammi girati per il clip di Lazarus, con<br />

l’artista inglese sofferente in un letto, poi<br />

intento a scrivere il suo testamento prima<br />

di scomparire all’interno di un armadio.<br />

Musicalmente, il contenuto di Blackstar è<br />

abbagliante. Come sa esserlo solo una stella<br />

mentre si trasforma in una supernova,<br />

prima di spegnersi per sempre. La voglia di<br />

sperimentare è confermata anche dal cast<br />

dei musicisti, completamente inedito. Si<br />

tratta, infatti, della band di Donny McCaslin,<br />

sassofonista della scena di New York,<br />

un quartetto formato anche dal batterista<br />

Mark Giuliana, dal bassista Tim Lefebvre<br />

e dal tastierista Jason Lindner. Bowie li<br />

ha “scoperti” in un piccolo jazz club della<br />

Grande Mela nella primavera del 2014. Su<br />

consiglio di una sua amica ha prenotato<br />

un tavolo davanti al palco e ha assistito al<br />

loro concerto fino alla fine, andandosene<br />

senza dire una parola. Il contatto ufficiale<br />

è avvenuto via email qualche giorno dopo.<br />

Inizialmente sono stati solo McCaslin e Giuliana<br />

ad essere coinvolti nella registrazione<br />

di un nuovo brano, Sue (Or in a Season of<br />

Crime), poi pubblicato nella compilation<br />

Nothing Has Changed. Ma nel gennaio del<br />

2015 tutti e quattro i musicisti sono stati<br />

convocati al Magic Shop Studio di New York<br />

per iniziare a lavorare, insieme al produttore<br />

Tony Visconti, a quello che sarebbe<br />

diventato l’ultimo album del Duca Bianco.<br />

Rispetto al precedente e dignitosissimo The<br />

Next Day (2013) si avverte chiaramente la<br />

voglia di Bowie di lanciarsi senza rete in<br />

territori completamente nuovi. “I musicisti<br />

di Donny McCaslin sono stati straordinari”,<br />

ha ammesso Visconti in un’intervista su<br />

“Rolling Stone”, “Sono stati in grado di suonare<br />

praticamente qualsiasi cosa gli chiedessimo,<br />

dal Krautrock all’hip-hop al jazz.<br />

Il risultato è un’incredibile fusione sonora<br />

108 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />

Rock<br />

Identikit<br />

TK DR Titolo<br />

1 6 Blackstar<br />

2 5 ‘Tis A Pity She Was A Whore<br />

3 5 Lazarus<br />

4 5 Sue (Or In A Season Of Crime)<br />

che non è possibile ricondurre ad alcun genere<br />

musicale in particolare”. Sicuramente<br />

grande attenzione è stata riservata alle ritmiche:<br />

il drumming di Giuliana è spesso<br />

scivoloso e frammentario, altre volte scarno<br />

ed essenziale, ma sempre ingegnoso nel posizionamento<br />

degli accenti e nell’interazione<br />

con gli altri strumenti. In questo senso<br />

la nuova, tagliente versione di Sue (Or in<br />

a Season of Crime) sembra riprendere le<br />

suggestioni jungle di Earthlings (1997), ma<br />

la contaminazione è comunque a più ampio<br />

spettro, come dimostrano le ultime tre tracce<br />

dell’album: canzoni apparentemente più<br />

canoniche eppure avvinghiate a una bolla di<br />

creatività palpabile e per certi versi disperata.<br />

Vitale. Come sa essere chi è consapevole<br />

di non avere più molto tempo da vivere e<br />

troppe cose ancora da dire…<br />

Dal punto di vista tecnico invece (purtroppo!)<br />

Blackstar rappresenta alla perfezione<br />

tutto ciò contro cui stiamo combattendo da<br />

anni. Il volume di uscita è esageratamente<br />

e inutilmente alto e tutti gli strumenti sono<br />

impastati, in special modo sulle medio basse.<br />

La voce, ad esempio, molto equilibrata<br />

dal punto di vista tonale, non riesce a uscire<br />

adeguatamente dal magma ritmico. Senza<br />

dubbio il Duca avrà previsto un sound con<br />

una base “piatta” su cui far viaggiare il sax<br />

5 6 Girl Loves Me<br />

6 6 Dollar Days<br />

7 6 I Can’t Give Everything Away<br />

che la fa da padrone su tutto il disco, però il<br />

risultato è troppo confuso per apprezzare le<br />

innumerevoli varianti armoniche nel senso<br />

che intendiamo in Hi-Fi. Peccato perché<br />

Blackstar è un album musicalmente coraggioso<br />

e poteva esserlo anche dal punto<br />

di vista tecnico. Il valore dinamico medio<br />

complessivo (DR5) riportato dal software<br />

Algorithmix la dice lunga...<br />

Paolo Carnelli<br />

traccia 1 -Blackstar_L<br />

traccia 7 - I Can’t Give Everything Away_L<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 109


selector<br />

Le pagine pianistiche presenti<br />

in questa raccolta<br />

contengono molta della<br />

migliore scrittura del genere non<br />

solo di Debussy ma del Novecento<br />

storico tutto. Le Images e i Préludes<br />

furono suddivisi dall’autore<br />

in due parti; i secondi, in particolare,<br />

costituendo un lavoro più<br />

corposo, di ben ventiquattro pezzi,<br />

furono raccolti in due libri: Livre<br />

I e Livre II. Proprio i Preludi,<br />

già nel nome, ricordano Chopin<br />

per l’opera omonima fino a risalire<br />

al Clavicembalo Ben Temperato<br />

di Bach. A differenza di<br />

questi grandi predecessori, però,<br />

Debussy non realizzò una raccolta<br />

sistematica seguendo un certo<br />

ordine in base, ad esempio, alla<br />

tonalità. In questo caso c’è una<br />

grande libertà formale, con alcuni<br />

brani più complessi e altri decisamente<br />

più scorrevoli e lineari.<br />

Comune anche alle sei Images è<br />

la difficoltà tecnica e interpretativa<br />

richiesta all’interprete, e una<br />

forte suggestione extra-musicale,<br />

naturalistica, dalla quale discende<br />

poi, come per il suo grande<br />

contemporaneo Ravel, la definizione<br />

di compositori impressionisti.<br />

Sebbene tale accostamento<br />

sia semplicistico e non di rado<br />

fuorviante, i titoli dati a questi<br />

brani suggeriscono spesso, piuttosto<br />

che delle immagini ben precise,<br />

delle impressioni, sfumate,<br />

degli stati d’animo. Difficile non<br />

trovare corrispondenza tra titoli<br />

come Nebbie, Foglie Morte, Brughiere<br />

o Fuochi d’Artificio e ciò<br />

che si ascolta. Tutti pezzi raccolti<br />

nel secondo libro dei Préludes. Le<br />

Images sono costituite da sei brani<br />

divisi equamente in due serie<br />

e scritte un decennio prima, tra il<br />

1901 e il 1907. Sono stati definiti<br />

“evocazioni di stati interiori” ma,<br />

anche in questi, non mancano le<br />

suggestioni naturalistiche esterne.<br />

Hyperion presenta le Images<br />

al completo e il secondo libro dei<br />

Préludes nella raffinata interpretazione<br />

di Marc André Hamelin,<br />

pianista e compositore canadese.<br />

Virtuoso dello strumento, tanto<br />

da aver interpretato tutte le più<br />

impegnative pagine romantiche,<br />

come quelle dei contemporanei,<br />

affrontando spesso pagine poco<br />

esplorate. Da qui nasce la sua una<br />

sensibilità fuori dal comune che,<br />

proprio in queste composizioni,<br />

gli permette di cogliere la loro<br />

anima ed essenza.<br />

Marc-André Hamelin<br />

Hyperion (CDA67920) - 2014<br />

Dal punto di vista tecnico assolutamente<br />

nessun problema<br />

per ciò che concerne la dinamica.<br />

Tutti i picchi musicali<br />

sono molto liberi di estendersi<br />

e risolversi naturalmente e non<br />

sembrano essere pilotati artificialmente<br />

da compressori o<br />

limiter di sorta. Per la musica<br />

classica non è un comportamento<br />

atipico ma vale sempre<br />

la pena sottolinearlo. La ripresa<br />

microfonica sembra essere<br />

stata effettuata abbastanza da<br />

lontano, così che chi ascolta<br />

la registrazione abbia la sensazione<br />

di trovarsi in mezzo a<br />

un ipotetico pubblico e non di<br />

fronte al pianoforte; una scelta<br />

importante e decisamente<br />

caratterizzante che però non<br />

ci sentiamo di giudicare. Dal<br />

punto di vista strettamente sonoro<br />

l’effetto è molto realistico<br />

e anche coraggiosamente poco<br />

“spettacolare”. In sintesi una<br />

registrazione estremamente<br />

pulita, silenziosa, calda e ben<br />

dettagliata, come da tradizione<br />

dell’etichetta Hyperion.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

traccia 3 - Images - Mouvement_L<br />

Classica<br />

DebuSSY:<br />

IMAges &<br />

Préludes II<br />

Identikit<br />

TK DR Titolo<br />

1 15 Reflets dans l’eau<br />

2 18 Hommage à<br />

Rameau<br />

3 14 Mouvement<br />

4 16 Cloches à travers les<br />

feuilles<br />

5 16 Et la lune descend<br />

sur le temple qui fut<br />

6 14 Poissons d’or<br />

7 19 Brouillards<br />

8 15 Feuilles mortes<br />

9 17 La Puerta del Vino<br />

10 14 Les fées sont<br />

d’exquises danseuses<br />

11 12 Bruyères<br />

12 15 General Lavine.<br />

Excentric<br />

13 18 La terrasse des<br />

audiences du clair<br />

de lune<br />

14 13 Ondine<br />

15 14 Hommage à S.<br />

Pickwick Esq<br />

16 15 Canope<br />

17 15 Les tierces alternées<br />

18 14 Feux d’artifice<br />

traccia 11 - PrÇludes - Bruyäres_L<br />

110 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />

Dewa Budjana<br />

Rock<br />

HASTA Karma<br />

Moonjune Records - 2015<br />

Il chitarrista indonesiano<br />

Dewa Budjana torna a far<br />

parlare di sé. È trascorso<br />

appena un anno dall’eccezionale<br />

Surya Namaskar<br />

ed eccolo di nuovo in pista,<br />

che strizza l’occhio al jazz<br />

acustico e alla world music,<br />

grazie anche alla presenza<br />

del leggendario vibrafonista<br />

newyorchese Joe Locke e alla<br />

sezione ritmica della Unity<br />

Band di Pat Metheny (Ben<br />

Williams al contrabbasso e<br />

Antonio Sanchez alla batteria).<br />

La performance di Dewa<br />

è ancora una volta stellare, con<br />

un’attenzione maggiore per la<br />

chitarra acustica; in questo<br />

caso, però, l’“extra vibration”<br />

è soprattutto merito dei legni<br />

di Locke. Fortunata è stata<br />

l’intuizione di sostituire il più<br />

canonico pianoforte acustico<br />

con il vibrafono.<br />

Come al solito tutti i brani<br />

sono stati incisi in una sola<br />

giornata, in questo caso ai<br />

Kaleidoscope Sound Studios<br />

di New York, con i quattro<br />

musicisti chiamati a eseguire il<br />

repertorio rigorosamente live,<br />

privilegiando la freschezza<br />

traccia 1 - Saniscara_L<br />

Identikit<br />

TK DR Titolo<br />

1 8 Saniscara<br />

2 9 Desember<br />

3 8 Jayaprana<br />

4 8 Ruang Dialisis<br />

5 8 Just Kidung<br />

6 7 Payogan Rain<br />

dell’interplay scaturito dall’incontro<br />

in sala di registrazione.<br />

Eppure in termini tecnici il<br />

disco è relativamente rispettoso<br />

delle dinamiche anche<br />

se di fondo rimane un po’ di<br />

confusione generale tra gli<br />

strumenti; più che un problema<br />

derivante dall’operazione<br />

di mastering (come spesso<br />

accade), potrebbe trattarsi di<br />

scelte effettuate in sede di mix.<br />

In ogni caso è un lavoro abbastanza<br />

godibile dal punto di<br />

vista tecnico e per gli amanti<br />

del jazz rock “vecchia scuola”.<br />

Una volta tornato a Giacarta<br />

Dewa ha poi incaricato il fido<br />

Indra Lesmana di effettuare<br />

alcune sovraincisioni di tastiera<br />

e melodica, confezionando<br />

l’ennesimo gioiello musicale.<br />

Paolo Carnelli<br />

traccia 2 - Desember_L<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 111


selector<br />

Continua l’evoluzione,<br />

apparentemente senza<br />

fine, del quartetto di<br />

Varsavia. Se nel lontano 2003<br />

il debut album Out of Myself<br />

aveva definito a grandi linee il<br />

sound del gruppo – prog a tinte<br />

dure caratterizzato da forti infiltrazioni<br />

gotiche e da uno spiccato<br />

senso della melodia, atmosfere<br />

claustrofobiche ma anche<br />

oniriche, in linea con quanto già<br />

prodotto da band come Porcupine<br />

Tree e Opeth – nel corso<br />

degli anni il corpus artistico dei<br />

Riverside si è via via arricchito<br />

di elementi presi in prestito dal<br />

metal, dalla psichedelia e dal<br />

progressive rock sinfonico degli<br />

anni ’70. Love, Fear and the<br />

Time Machine rappresenta un<br />

ulteriore momento di discontinuità:<br />

tutto suona, infatti, più<br />

ovattato e distante, anche nei<br />

momenti più energici. Il focus è<br />

posto in maniera evidente sulla<br />

voce del leader Mariusz Duda,<br />

sulle melodie vocali e sui testi,<br />

anche a costo di dover abbassare<br />

sensibilmente il volume<br />

Riverside<br />

Inside Out - 2015<br />

Rock<br />

Love, FeAR<br />

AND the TIMe<br />

MACHINe<br />

Identikit<br />

TK DR Titolo<br />

1 8 Lost (Why Should I<br />

Be Frightened by a<br />

Hat?)<br />

2 8 Under the Pillow<br />

3 7 #Addicted<br />

4 7 Caterpillar and the<br />

Barbed Wire<br />

5 8 Saturate Me<br />

6 10 Afloat<br />

7 7 Discard Your Fear<br />

8 7 Towards the Blue<br />

Horizon<br />

9 9 Time Travellers<br />

10 8 Found (The<br />

Unexpected Flaw of<br />

Searching)<br />

degli amplificatori. L’ingegnere<br />

del suono ha avuto il buon<br />

gusto di alzare il volume di<br />

uscita senza le inutili esagerazioni<br />

del mainstream. Il sound<br />

è moderno, con voce piuttosto<br />

poco riverberate e una sezione<br />

ritmica composta e poco<br />

“graffiante” ma ben presente.<br />

In sostanza un lavoro godibile<br />

con un risultato tecnico non disprezzabile<br />

in assoluto e molto<br />

buono considerando il genere.<br />

Abbiamo preso in considerazione<br />

il secondo e il sesto brano<br />

della raccolta. Il primo dei due,<br />

abbastanza vario nella propria<br />

evoluzione e quindi ben rappresentativo<br />

dell’intero album,<br />

riporta le chitarre e gli organi in<br />

buona evidenza ma sempre in<br />

modo controllato (forse troppo).<br />

La seconda traccia che abbiamo<br />

analizzato, Afloat, è invece una<br />

canzone con solo voce, chitarra<br />

elettrica e organo dall’atmosfera<br />

abbastanza tranquilla. In questo<br />

caso si è raggiunto il valore<br />

massimo rilevato dal software<br />

Algoritmix: DR10.<br />

Il risultato complessivo è un<br />

ibrido malinconico, un heavy<br />

rock depotenziato in salsa<br />

new wave dove il basso e<br />

la chitarra pulita si ritagliano<br />

spazi importanti accanto alle<br />

elettriche. Tanti anni fa gli<br />

svedesi Landberk provarono a<br />

fare qualcosa di simile ma non<br />

furono capiti. Speriamo per i<br />

Riverside che il loro tentativo<br />

abbia maggiore fortuna.<br />

Paolo Carnelli<br />

traccia 2 - Under the Pillow_L<br />

traccia 6 - Afloat_L<br />

112 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />

Provate a inserire la parola<br />

“juggernaut” in un<br />

motore di ricerca: la<br />

definizione che otterrete, ovvero<br />

quella di “forza inarrestabile,<br />

reale o metaforica”, calza<br />

a pennello per questo quartetto<br />

romano formato da Andrea<br />

Carletti (chitarre), Roberto<br />

Cippitelli (basso), Matteo D’Amicis<br />

(batteria) e Luigi Farina<br />

(chitarre). La band muove i<br />

suoi primi passi nell’inverno<br />

del 2006. La ricerca artistica<br />

si indirizza verso un suono poderoso<br />

e grave che possa sintetizzare<br />

il linguaggio del metal,<br />

la violenza dell’hardcore e un<br />

immaginario gotico. Dopo la<br />

realizzazione del debut album<br />

...Where Mountains Walk<br />

(2009), però, le coordinate<br />

Juggernaut<br />

TRAMA!<br />

Subsound Records - 2014<br />

cambiano: pur mantenendo le<br />

sue caratteristiche minacciose<br />

e viscerali, la musica della<br />

band ha sviluppato un gusto<br />

cinematografico e una propensione<br />

a evocare scenari più<br />

grotteschi e surreali. Il lavoro<br />

delle due chitarre, lo spirito<br />

selvaggio ma rigoroso della<br />

batteria e l’aggiunta di un’ampia<br />

varietà di altri strumenti<br />

come glockenspiel, trombone,<br />

flicorno e tastiere vintage<br />

(Fender Rhodes e Mellotron)<br />

innalzano Trama! alle vette<br />

zheul e RIO di band apocalittiche<br />

come Present e Univers<br />

Zero, finora senza eguali nel<br />

nostro paese.<br />

In termini di qualità di ascolto<br />

va effettuata una premessa:<br />

una delle cose che più ci<br />

emoziona nel rock duro è il<br />

colpo allo stomaco, la “botta”.<br />

Quest’ultima è data dall’alternanza<br />

di piano e forte musicale<br />

o anche da colpi netti di batteria<br />

e percussioni in genere.<br />

Ecco, qui non l’abbiamo. Signori<br />

Juggernaut ringraziate<br />

Rock<br />

Identikit<br />

TK DR Titolo<br />

1 9 Via del Serpente 13,<br />

ore 20<br />

2 5 Pietra Grezza<br />

3 5 Ballo Excelsior<br />

4 5 Egregoro<br />

5 5 Crapula<br />

6 4 V.I.T.R.I.O.L.<br />

7 5 Tenet<br />

il vostro tecnico del suono che<br />

per tutta la durata dei momenti<br />

“incazzati” del vostro disco<br />

ha fatto sì che non ci sia neanche<br />

1 dB (no, dico, uno!) di<br />

dinamica. Complimenti. Ora<br />

avete un disco che suona fortissimo;<br />

peccato che in quei<br />

momenti non si percepisca<br />

bene neanche cosa diavolo<br />

stia facendo il batterista. Wow,<br />

molto trendy. Nelle parti dove<br />

la musica è più quieta si lascia<br />

apprezzare un buon mix e un<br />

discreto equilibrio timbrico.<br />

Pensavamo che il disastro perpetrato<br />

(e anche stupidamente<br />

desiderato) dai Metallica per il<br />

loro Death Magnetic del 2008,<br />

per il quale migliaia di fan si<br />

sono lamentati ufficialmente<br />

dello scempio, avesse insegnato<br />

qualcosa. Pare di no.<br />

Paolo Carnelli<br />

traccia 4 - Egregoro_L<br />

traccia 7 - Tenet_L<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 113


selector<br />

Classica<br />

Phantasm<br />

William LAWes:<br />

The ROYAL CONSORT<br />

Linn Records (CKD 470) - 2015<br />

Verso la metà del Seicento,<br />

alla corte inglese di Carlo<br />

I, uno dei più apprezzati<br />

musicisti di corte, William Lawes<br />

(1602-1645) compose, organizzò<br />

e infine raccolse una corposa collezione<br />

di musiche da danza per<br />

allietare i ricevimenti nei palazzi<br />

reali londinesi. Nessuna casa discografica<br />

o musicista si era, fino<br />

ad oggi, spinta verso una registrazione<br />

integrale di questo genere;<br />

ci ha pensato adesso il gruppo<br />

Phantasm, diretto da Laurence<br />

Dreyfus e composto da quattro<br />

violisti, Dreyfus compreso, e da<br />

una tiorbista. L’integrale è talmente<br />

corposo da non entrare in<br />

un solo CD o SACD; pertanto il<br />

secondo disco impiegato contiene<br />

anche una raccolta di Consort,<br />

ovvero di composizioni per organo<br />

positivo, suonato da Daniel Haley,<br />

il cui suono si lega perfettamente<br />

con il gruppo Phantasm a organico<br />

variabile, a cinque o sei viole<br />

o con la tiorba al posto di una<br />

di queste. Alla fine sono ben 145<br />

minuti di musica che sorprende<br />

per il suo fascino e complessità,<br />

variando a tal punto da essere, a<br />

dispetto dalla sua originaria funzione,<br />

poco ideale per danzare.<br />

In realtà ballare questi pezzi sarebbe<br />

in molti casi impossibile:<br />

le frasi composte da Lawes sono<br />

di lunghezza spesso irregolare e<br />

il ritmo cambia sovente in modo<br />

inaspettato. Tra l’altro questa caratteristica<br />

fa apparire molte delle<br />

composizioni ancora più moderne<br />

e audaci. Il suono è ricco di colori<br />

e sfumature, qualcosa da assaporare,<br />

con la tiorba di Elizabeth<br />

Kenny che dona ai ritmi una definizione<br />

supplementare. In alcuni<br />

momenti la musica si fa trascinante<br />

con le dinamiche marcate, rendendo<br />

più brillanti le sonorità. Le<br />

progressioni degli accordi vanno<br />

in direzioni inaspettate e c’è una<br />

scioltezza contrappuntistica che<br />

abbaglia nei movimenti più veloci.<br />

Una raccolta ben documentata,<br />

incredibilmente ben suonata e<br />

ben registrata. Non sarà musica<br />

propriamente danzabile ma la<br />

musicalità estroversa favorirà il<br />

buon umore dell’ascoltatore. La<br />

registrazione risulta una giusta<br />

miscela tra vivacità e sonorità<br />

più delicate e raffinate, gli archi si<br />

distribuiscono sulla scena, pure<br />

ampia, della chiesa oxfordiana,<br />

in modo ordinato e distinto, con<br />

l’entrata dell’organo positivo mai<br />

invadente ma comunque puntuale<br />

e presente nei suoi interventi.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

Scottish Chamber Orchestra<br />

MOZART: DiveRTIMeNTI<br />

Linn Records (CKD 479) - 2015<br />

IDivertimenti e le Serenate<br />

hanno un posto solitamente<br />

di secondo piano tra le composizioni<br />

del periodo classico e<br />

romantico. Nella memoria collettiva<br />

non rivestono certo, per importanza,<br />

il ruolo ricoperto dalla<br />

musica strumentale più alta (sinfonie,<br />

concerti per strumento solista,<br />

ecc.) o rispetto al repertorio<br />

operistico. La prospettiva cambia<br />

non di poco quando si tratta di<br />

composizioni di Mozart la cui<br />

inventiva e il sentimento sono<br />

presenti in quantità producendo<br />

qualcosa di molto più gratificante<br />

di un semplice intrattenimento.<br />

Anche la selezione effettuata per<br />

la produzione di questo doppio<br />

disco pare particolarmente curata<br />

e intelligente. Nella serenata<br />

K375 è stata scelta una versione<br />

successiva, del 1781, nella quale<br />

gli oboi sono sostituiti da clarinetti<br />

ma il dialogo con i corni e<br />

fagotti è semplicemente mirabile.<br />

I rapporti di volume sono ben<br />

ponderati in modo che rimanga<br />

chiaro e senza prevaricazioni l’intreccio<br />

tra le varie voci. I quattro<br />

divertimenti furono composti<br />

come musiche d’occasione da<br />

essere eseguite durante feste e<br />

banchetti nei giardini del Palazzo<br />

Arcivescovile di Salisburgo;<br />

più leggeri e lineari, rispettano<br />

comunque la classica forma sonata,<br />

risultando però delle brevi<br />

sequenze di variazioni, minuetti e<br />

così via, anche qui con clarinetti<br />

al posto di oboi, corni e fagotti a<br />

farla da padrone su brillanti tonalità<br />

maggiori. Va detto che un’alternanza<br />

nell’uso dei clarinetti<br />

con gli oboi, delle prime versioni,<br />

avrebbe reso il tutto più vario<br />

nei timbri. Ma queste scelte sono<br />

anche quelle che più distinguono<br />

questo doppio disco dalle versioni<br />

storiche registrate molti anni fa<br />

dalla Decca in mono e stereo, eseguite<br />

dai Wiener sotto la direzione<br />

di Boskovsky. Rispetto a quelle<br />

versioni antiche l’interpretazione<br />

attuale appare molto più spigliata<br />

ed esuberante, per alcuni forse<br />

persino un po’ fuori dallo stile<br />

classico. La registrazione è molto<br />

dettagliata, in Hi-Res 24/192 per<br />

catturare anche i 30 kHz delle armoniche<br />

superiori dei clarinetti<br />

ed estendere la dinamica in modo<br />

generoso. Ciononostante la brillantezza<br />

si fonde perfettamente<br />

con la dolcezza e delicatezza del<br />

programma, giusto per ricordare<br />

che sempre di musica d’intrattenimento<br />

si trattava.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

114 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />

Jazz<br />

La capacità di accostare<br />

realtà e consuetudini<br />

stilistiche distanti e di<br />

Racha Fora<br />

RACHA S’MILes:<br />

TRIBute To MILes<br />

Jazz Tokyo - 2015<br />

percorrere le loro esistenze artistiche,<br />

misteriose e affascinanti<br />

ha, nel corso della storia del jazz,<br />

identificato e reso celebri grandi<br />

musicisti e l’irrequietezza del<br />

loro genio creativo. Miles Davis è<br />

stato uno dei padri di questa metodologia<br />

sperimentale che era<br />

sinonimo di rottura e astrazione<br />

da ciò che per i jazzofili, i critici<br />

e i tanti colleghi era la normale<br />

conduzione e conservazione di<br />

un linguaggio già di per sé ricco<br />

di fioriture culturali. Il quartetto<br />

Racha Fora (composto da una<br />

sezione ritmica brasiliana e restanti<br />

giapponesi) ha raccolto<br />

ed elaborato l’insegnamento<br />

del trombettista statunitense<br />

facendo migrare i suoi grandi<br />

capolavori in una dimensione<br />

ignota ma dalle grandi potenzialità<br />

espressive. Racha S’Miles:<br />

Tribute To Miles è un progetto<br />

discografico che ha come scopo<br />

quello di far rinascere il repertorio<br />

degli anni ’50 – ’60 di Miles<br />

attraverso un nuovo suono che<br />

fonda il jazz con i ritmi brasiliani<br />

nativi e che vede la straordinaria<br />

partecipazione del NEA Jazz<br />

Master Dave Liebman. Hiroaki<br />

Honshuku esprime in questo<br />

album tutto il suo amore per<br />

la “tromba di Alton” regalando<br />

otto reinterpretazioni dei brani<br />

di Miles Davis e quattro composizioni<br />

originali, dove si percepisce<br />

l’influenza degli studi avuti con il<br />

pianista e teorico George Russell.<br />

Daniele Camerlengo<br />

Hiroaki Honshuku: flute/<br />

EWI<br />

Rika Ikeda: violin<br />

Mauricio Andrade: nylon<br />

guitar<br />

Rafael Russi: electric bass<br />

Benhur Oliveira: pandeiro<br />

Special Guest: Dave Liebman<br />

- soprano sax<br />

Banda del Bukó<br />

Rosmarinus<br />

Riverberi - 2015<br />

Un esperimento sociale<br />

di attrazione di corpi<br />

sonanti, nessuna patente<br />

da esibire che li autorizzasse a<br />

esercitare il mestiere più bello del<br />

mondo, o almeno tra i più gratificanti;<br />

solo la voglia, la passione,<br />

il comune obiettivo di formare<br />

un ensemble musicale che regali<br />

gioia e sana distrazione al popolo.<br />

Il risultato è stato a dir poco sbalorditivo:<br />

appassionati neofiti,<br />

musicisti amatoriali, maestri di<br />

conservatorio, di età diverse, giovani,<br />

meno giovani, teste bianche,<br />

insieme a far musica con un’energia<br />

pazzesca, un nuovo concetto<br />

di ordine… prima la grandezza<br />

dell’uomo poi la gratificazione dei<br />

suoni e delle note. Rosmarinus è<br />

il titolo del disco d’esordio della<br />

Banda del Bukò, prima produzione<br />

di Riverberi presentata in<br />

occasione della serata inaugurale<br />

dell’edizione 2015 del prestigioso<br />

festival beneventano diretto<br />

dal trombettista Luca Aquino.<br />

Proprio il “soffiatore di ottone<br />

sannita” ha voluto scommettere<br />

su questa masnada di trenta elementi<br />

senza guida e con l’unico<br />

folle intento di trovarsi nella dimensione<br />

musicale. Un album<br />

realizzato per ricordare l’odore<br />

dei sentimenti del primo anno<br />

vissuto assieme e che contiene la<br />

dedica a Emanuele Vicerè, uno dei<br />

fondatori della banda scomparso<br />

prematuramente. Le otto tracce<br />

passano in rassegna brani tradizionali<br />

della tradizione klezmer,<br />

araba, balcanica e campana interpretati<br />

con energia, miscelando<br />

suoni e umori contagiosi a ritmi<br />

ancestrali. Difficile stare fermi,<br />

bisogna ballare, muoversi senza<br />

sosta. Alé la musique!<br />

Daniele Camerlengo<br />

Giampaolo Vicerè: Fisarmonica<br />

Fabrizio De Cunto: Tromba<br />

Stefano Cocca: Sax soprano/tenore<br />

Domenico Panella: Percussioni<br />

Giovanni Serena: Percussioni<br />

Emanuele Pontoni: Sax baritono<br />

Antonietta Rossi: Trombone<br />

Dario Spulzo: Chitarra acustica<br />

Vincenzo Sessa: Chitarra<br />

Francesco De Luca Basso: elettrico<br />

Edoardo De Cunto: Sax contralto<br />

Antonio De Luca: Sax tenore<br />

Vincenzo De Ianni: Alto sax<br />

Carlo Corso: Batteria<br />

Luca Lonardo: Percussioni<br />

Dario De Mercurio: Percussioni<br />

Mauro Terracciano: Tromba<br />

Danilo Romano: Voce-armonica<br />

Davide Zarrelli: Oboe<br />

Daniela Zuzzolo: Voce-percussioni<br />

Emanuele Vicerè: Percussioni<br />

Cristina Visconti: Voce-percussioni<br />

Sara Barbara Iengo: Voce e percuss.<br />

Francesca Mazzoni: voce e percuss.<br />

Roberta Zollo: Clarinetto e percussioni<br />

Luana Preziuso: Voce e tromba<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 115


cut ‘n’ mix concerti | cinema | libri | società | arte<br />

LAGUNA BRU di<br />

Federico Geremei<br />

A febbraio Venezia si mette in mostra e in maschera, noi ci teniamo<br />

lontani da frizzi & lazzi e vi portiamo in una cittadella della musica<br />

ottocentesca. Antichissima e moderna<br />

San Polo è il più piccolo dei quartieri<br />

– ops, sestieri – e quello<br />

in cui l’oleografia di Venezia si<br />

distilla più densa di presìdi iconografici:<br />

il ponte di Rialto sul<br />

Canal Grande, i tanti bacari, due<br />

delle Scuole Grandi. Ospita la<br />

piazza – ops (bis), il campo – con<br />

più metri quadri della città (dopo<br />

San Marco) e la chiesa con più<br />

metri cubi di tutte, la basilica dei<br />

Frari. A due passi da quest’enorme<br />

totem tridimensionale d’arte,<br />

fede e mattoni si apre una corte<br />

raccolta e silenziosa, sul campo<br />

San Stin. Alle spalle scorre<br />

il canale San Giacomo dall’Orio<br />

e in mezzo si trova il Palazzetto<br />

Bru Zane.<br />

Il contenitore è un edificio di<br />

fine Seicento, il contenuto è ricco<br />

ed il suo nucleo – immanente,<br />

tangibile, ideale e reale – è il patrimonio<br />

musicale francese del<br />

Grande Ottocento. Nato subito<br />

dopo la rivoluzione, è esploso nel<br />

1830 e s’è affievolito col primo<br />

conflitto mondiale. Un secolo<br />

abbondante di fermenti creativi<br />

con due fulcri, Parigi e Venezia.<br />

Al Palazzetto Bru Zane, Centre<br />

de Musique Romantique<br />

Française la Fondazione Bru<br />

ha affidato un compito delicato<br />

e prezioso, la riscoperta e la<br />

valorizzazione di quell’universo<br />

espressivo. Il cuore delle attività<br />

è la ricerca musicologica: si mette<br />

sulle tracce di partiture inedite<br />

o dimenticate – spulciando e<br />

confrontando archivi, contattando<br />

i discendenti dei compositori,<br />

vagliando fonti diverse – e le fa<br />

“rivivere”. Idem per libretti da<br />

116 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


catalogare e digitalizzare e altro<br />

ancora con rigorosi “cantieri di<br />

ricerca” tematici. Non compie<br />

soltanto, si fa per dire, un’opera<br />

di rinvenimento e sistematizzazione<br />

analitica, stimola il confronto<br />

tra esperti. E, soprattutto,<br />

ne rende fruibili i risultati a<br />

specialisti e non. Soddisfacendo<br />

i primi e incuriosendo i secondi<br />

con la produzione editoriale su<br />

supporti tradizionali, con l’arricchimento<br />

della mediabase e<br />

col calendario di appuntamenti:<br />

esecuzioni live al Palazzetto<br />

e fuori (una ogni dieci giorni, in<br />

media), incontri (uno al mese) e<br />

sessioni di guida all’ascolto (per<br />

i più piccoli, la domenica).<br />

Sono passati tre secoli da quando<br />

gli Zane, una delle ventiquattro<br />

famiglie tribunizie che amministravano<br />

la neonata Serenissima,<br />

vollero dotarsi di un casino nobile<br />

per l’intrattenimento colto. Tra<br />

gli antenati forse non vantavano<br />

– a dispetto degli slanci autopromozionali<br />

di alcune antiche<br />

pergamene – Vipsanio Agrippa<br />

(oui, quello del Pantheon) ma<br />

l’opulenza ha rincorso il blasone<br />

e non s’è badato a spese per le<br />

maestranze. Hanno chiamato tre<br />

star dell’epoca, talentuose e ricercate<br />

da nobili, dogi & co.: Antonio<br />

Gaspari per gli ambienti,<br />

Abbondio Stazio per gli stucchi e<br />

Sebastiano Ricci per gli affreschi.<br />

Le pitture di quest’ultimo – uno<br />

dei pionieri del barocchetto, attivo<br />

anche al Palazzo Colonna di<br />

Roma – hanno steso allegorie su<br />

pareti e volte col tema del doppio<br />

che ricorre ovunque. Nelle<br />

quattro coppie dei medaglioni<br />

(Giunone e Pan, Ercole e Giove,<br />

Mercurio e Diana, Nettuno e Anfitrite),<br />

nel Tempo che rapisce<br />

la Verità e in Ercole tra Gloria<br />

e Virtù. Dualità che riverberano<br />

quelle tra la Francia e la laguna<br />

e che fanno di questa cittadella<br />

di ricerca applicata un “corpo<br />

esterno” (ma non estraneo) nel<br />

cuore di Venezia. Locale e internazionale,<br />

discreta e iperattiva<br />

dal primo giorno. Dieci anni fa gli<br />

ultimi proprietari l’hanno ceduta<br />

e nell’autunno del 2009 ha riaperto<br />

le porte dopo un complesso<br />

restauro. Le nuove fondamenta,<br />

per esempio (e per farsi un’idea),<br />

sono state poste seguendo i dettami<br />

della Soprintendenza per<br />

rispettare le tecniche tradizionali:<br />

solo pali di larice e doppio<br />

strato di tavole. Il passato rinasce<br />

così al Palazzetto, evocato ma<br />

non ingessato. Come nelle intenzioni<br />

del regista del “Cavalier<br />

Hervé alla conquista dei Bouffes-<br />

Parisiens”, prima collaborazione<br />

tra il Palazzetto e il Teatro La<br />

Fenice: “La storia si svolge tra<br />

il Medioevo e i nostri giorni.<br />

Un sabato sera. O un martedì<br />

mattina. Ma in nessun caso il<br />

giovedì pomeriggio (perché il<br />

giovedì c’è La piste aux étoiles, lo<br />

sanno tutti). Dunque, in costume<br />

d’epoca, armatura e scarpe da<br />

ginnastica”.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 117


cut ‘n’ mix<br />

LIBRI<br />

Antonino Fontana<br />

Cane Crudo<br />

Robin Editore 264 pp. – 14 euro<br />

John Lee è un giovane artista<br />

italo-americano che,<br />

una volta ritornato in Italia,<br />

scopre nella casa della madre<br />

una foto in cui sono<br />

raffigurate quattro persone,<br />

una delle quali gli assomiglia<br />

moltissimo; gli altri<br />

tre, invece, sembrano essere<br />

Ringo Starr, Paul Mc-<br />

Cartney e George Harrison. Nella ricerca della soluzione<br />

al mistero della foto Lee intraprenderà un<br />

viaggio da Milano alla Bovesia, cuore dell’Aspromonte,<br />

tra misteri, reticoli affettivi e inspiegabili<br />

accadimenti. Il racconto, un filo ad altissima tensione,<br />

si svolge nella Calabria grecanica, a Bova, piccolo<br />

e arroccato borgo dove sono nati i “Cani Neri”,<br />

band che negli anni ’60 si esibisce a Milano cantando<br />

in cover i successi dei Beatles e che con il quartetto<br />

di Liverpool condivide irrisolti misteri. Un<br />

viaggio tra musica, ’ndrangheta e altri poteri occulti<br />

sullo sfondo declinato con ritmo incalzante dall’esordiente<br />

Antonino Fontana, personaggio polivalente<br />

che si divide tra l’attività di ebanista praticata<br />

in gioventù, quella di architetto (abbracciata, ripudiata<br />

e di nuovo abbracciata) e la scrittura…<br />

Agostino Bistarelli<br />

Robert Wyatt<br />

Different EVERY Time<br />

Giunti 448 pp. – 29 euro<br />

Robert Wyatt, nato a Bristol<br />

il 28 gennaio 1945, è uno<br />

degli artisti più rappresentativi<br />

e al tempo stesso<br />

amati dell’ormai lunga<br />

storia della musica moderna,<br />

quella uscita fuori dagli<br />

orrori della Seconda Guerra<br />

Mondiale e che, dopo la<br />

nascita del R ‘n’ R, ha saputo<br />

creare un territorio di frontiera senza rigide<br />

barriere a livello stilistico: jazz, rock, poesia, suoni<br />

d’avanguardia, rivisitazione di origine classica,<br />

blues, fremiti etnici. Insomma: un caleidoscopio in<br />

cui si ricreava un nuovo universo sonoro. Robert<br />

Wyatt, batterista/voce dei Soft Machine nei primi<br />

tre album (nel terzo c’è il capolavoro Moon in June;<br />

fu poi estromesso per l’accentuata diversità rispetto<br />

al desiderato nuovo corso, più dichiaratamente<br />

post-jazzistico), dal primo giugno 1973 è costretto<br />

sulla sedia a rotelle a causa di un incidente. Nonostante<br />

ciò ha prodotto dischi leggendari come Rock<br />

Bottom e ha cantato splendide canzoni di altri, per<br />

esempio Shipbuilding di Elvis Costello, senza mai<br />

perdere la sua connotazione di appartenenza culturale<br />

profonda, lontana dagli schemi rigidi della<br />

società britannica. La Giunti ha da poco pubblicato<br />

la sua biografia autorizzata, Different Every Time,<br />

opera di Marcus O’Dair, che ha scritto di musica per<br />

il “Guardian”, l’“Independent”, il “Financial Times” e<br />

“Jazzwise”, ed è un collaboratore regolare di BBC 6<br />

Music e BBC Radio 3. Il titolo è stato ricavato dalle<br />

prime parole della struggente Sea Song, uno dei<br />

brani manifesto del capolavoro Rock Bottom, edito<br />

il 26 luglio 1974. Lungo la strada Wyatt ha lavorato<br />

con musicisti come Brian Eno, Björk, Jerry Dammers,<br />

Charlie Haden, David Gilmour, Paul Weller, Nick<br />

Mason, Michael Mantler, Carla Bley. L’autore ha<br />

intervistato tutti loro e quasi chiunque abbia avuto<br />

un ruolo nella vita di Wyatt (o viceversa) da cinquant’anni<br />

a questa parte. Questa è la prima biografia<br />

di Robert Wyatt ed è stata scritta con la sua<br />

piena collaborazione. Così ricorda Chris Cutler,<br />

batterista degli Henry Cow: “A renderlo unico non<br />

era tanto la sua tecnica – comunque formidabile –<br />

quanto il suo approccio allo strumento e la capacità<br />

di generare parti. Robert sembrava pensare in termini<br />

di riff e melodie, il che è un pochino insolito tra i<br />

batteristi, specialmente nel rock. E poi aveva una<br />

tecnica impressionante. E i suoi assoli! Sempre qualcosa<br />

di diverso”.<br />

Comprende illustrazioni della moglie Alfreda Benge<br />

e fotografie tratte dall’archivio privato di Wyatt e<br />

Benge. Tradotto da Alessandro Achilli, giornalista<br />

e grande conoscitore dei suoni canterburyani, e<br />

con prefazione di Jonathan Coe.<br />

Guido Bellachioma<br />

Reinhard Kleist<br />

CASH - I SEE A DARKNESS<br />

BAO Publishing 224 pp. – 19 euro<br />

Esce il 18 febbraio, a distanza<br />

di dieci anni dalla sua<br />

prima pubblicazione e in<br />

una nuova edizione riveduta<br />

e corretta, con un’appendice<br />

a colori, Cash - I See<br />

A Darkness, graphic novel<br />

firmata da uno dei più originali<br />

autori di biografie a<br />

fumetti d’Europa, Reinhard<br />

Kleist. Il disegnatore e scrittore tedesco, infatti, non<br />

è nuovo a questo genere e ha realizzato diversi libri<br />

nei quali ha dato vita con le sue matite a personaggi<br />

come Lovecraft, Elvis Presley e Fidel Castro. In<br />

particolare, ha raccontato la storia di Hertzko Haft<br />

e Samia Yusuf Omar nei volumi The Boxer e Der<br />

Traum von Olympia; il primo è stato un boxeur che<br />

all’età di sedici anni riuscì a sopravvivere ai nazisti<br />

e a scappare da Auschwitz, la seconda una velocista<br />

africana che, dopo aver rappresentato la Somalia<br />

ai giochi olimpici di Beijing del 2008, è annegata<br />

nel 2012 nel tentativo di raggiungere le coste di<br />

Malta su una “carretta del mare”, in fuga dagli<br />

estremisti islamici del suo paese. La stessa sensibilità<br />

e bravura che caratterizza questi lavori è presente<br />

anche in Cash - I See A Darkness, che prende<br />

il nome dall’omonimo brano di Will Oldham, inserito<br />

da Cash nell’album American III: Solitary Man<br />

del 2000. Autentico “western dell’anima”, come<br />

qualcuno l’ha definito sul web, il libro prende le<br />

mosse dal Johnny Cash Live at Folsom Prison del<br />

1968, punto di partenza anche del film di James<br />

Mangold, Walk the Line (2006), rispetto al quale la<br />

graphic novel di Kleist si distingue per una maggiore<br />

intensità della narrazione e fedeltà ai fatti. Il<br />

libro è diviso in tre capitoli cronologici (1935 – 1956;<br />

1957 – 1967; inverno del 1968) incorniciati da una<br />

cornice circolare; il tratto di Kleist, preciso e attentissimo<br />

ai volti, accompagna ed emoziona il lettore<br />

pagina dopo pagina, sostenuto da un uso della<br />

gabbia meticoloso, ricco ma sempre intellegibile,<br />

geometrico ma affatto privo di godibili evasioni,<br />

sempre funzionali alla storia. Un’opera unica, vibrante<br />

e fascinosa, imperdibile sia per gli appassionati<br />

di Cash che per quanti desiderino scoprire<br />

per la prima volta l’affascinante storia della sua vita.<br />

Un’anteprima sfogliabile del libro è visionabile<br />

all’indirizzo http://issuu.com/baopublishing/docs/<br />

preview_cash.<br />

Francesco Bonerba<br />

118 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


L’avventuriero del Rio delle Amazzoni<br />

con la passione per il jazz<br />

Dal 25 al 28 febbraio 2016, al<br />

Cinema Massimo di Torino, va<br />

in scena la seconda edizione del<br />

Seeyousound International<br />

Music Film Festival, primo<br />

evento italiano ad essere interamente<br />

dedicato al connubio<br />

tra musica e immagini declinato<br />

attraverso il cinema e il video<br />

d’autore. “Music is the weapon”<br />

è il titolo della rassegna di film<br />

internazionali che gli organizzatori<br />

hanno selezionato per raccontare<br />

“la forza della musica<br />

come arma di aggregazione di<br />

massa”. Tra le opere presentate<br />

Don’t think I’ve Forgotten:<br />

Cambodia’s Lost Rock and Roll<br />

(2014) e They Will Have to Kill<br />

Us First, dedicati rispettivamente<br />

alla resistenza musicale che i<br />

cambogiani opposero alla furia<br />

assassina dei Khmer Rossi negli<br />

anni Settanta e alla lotta dei musicisti<br />

del Mali contro il divieto<br />

di fare musica imposto dagli<br />

islamisti radicali nel loro paese.<br />

The Night James Brown Saved<br />

Boston celebra invece il mitico<br />

concerto tenutosi a Boston il 5<br />

aprile 1968 che sedò la minaccia<br />

di un’imminente rivolta popolare<br />

dopo l’assassinio di Martin Luther<br />

King. Oltre a questa rassegna,<br />

il programma si articolerà<br />

in tre categorie – lungometraggi,<br />

cortometraggi e videoclip – che<br />

raccolgono una selezione di lavori<br />

provenienti da tutto il mondo<br />

e sempre all’insegna della mescolanza<br />

tra cinema e musica.<br />

Ulteriori informazioni su www.<br />

seeyousound.org.<br />

Francesco Bonerba<br />

“Con il jazz ho conosciuto il più<br />

grande amore della mia vita”.<br />

Una dichiarazione che ad alcuni<br />

potrebbe apparire enfatica e perfino<br />

un po’ snob. Ma se a farla è un<br />

dongiovanni come Mister No, l’eroe<br />

dei fumetti di casa Bonelli che<br />

ha spezzato il cuore a una schiera<br />

interminabile di donne meravigliose,<br />

c’è proprio da prenderla<br />

sul serio. Il famoso avventuriero,<br />

statunitense di origine ma trapiantato<br />

nella foresta amazzonica, non<br />

ha mai nascosto la sua passione<br />

viscerale per gli standard del jazz, i<br />

locali fumosi di Harlem in cui negli<br />

anni Trenta si sviluppò questo genere musicale e,<br />

naturalmente, le belle cantanti bluesche che ondeggiando<br />

davanti al microfono ti fanno sognare.<br />

A celebrare il mito di Mister No e il suo stretto<br />

legame con la musica di matrice afroamericana<br />

sono arrivati due volumi che faranno la gioia dei<br />

suoi ammiratori. Il primo è Come un romanzo.<br />

La vita spericolata di un eroe ribelle, 288 pagine<br />

a colori, un mix fra pagine in prosa e sequenze a<br />

fumetti per far raccontare al diretto protagonista la<br />

propria storia. Si comincia dagli albori, da quando<br />

cioè il nostro era un ragazzino scapestrato che vagabondava<br />

per le strade della Grande Mela e andava<br />

ad ascoltare jazz dalle uscite di<br />

servizio dei locali notturni: “Non<br />

mi stancavo mai di ascoltarlo”,<br />

ricorda Mister No, “anche frequentando<br />

quartieri dove un “fiocco di<br />

neve” come me non era ammesso”.<br />

Ed è stringendo amicizia con un<br />

certo Pete Du Bois che apprese<br />

il significato della sua canzone<br />

preferita:“mettiamo che vivi una<br />

vita da schifo, senza un lavoro né<br />

un futuro. Cioè, mettiamo che sei<br />

un nero come me. Beh, passeggiare<br />

cantando Oh When the Saints<br />

Go Marching In non risolve i tuoi<br />

guai, ma aiuta a sopportarli... ”.<br />

Il secondo libro è il monumentale Il tempio dei<br />

maya, 334 pagine, riedizione a colori in maxi formato<br />

e copertina rigida di quella che, forse, è la più<br />

avvincente avventura di Mister No. Sicuramente<br />

la più classica, visto che non manca nessuno dei<br />

suoi ingredienti tipici: l’ambientazione affascinante<br />

nell’inferno verde della foresta del Brasile,<br />

la lotta fra mille peripezie con i cattivi di<br />

turno, la difesa della cultura, della libertà<br />

e dell’ecosistema del popolo indio e le<br />

divagazioni romantiche con una ragazza<br />

incantevole, in questo caso l’archeologa<br />

Patricia Rowland. Il tutto nelle splendide<br />

tavole del miglior disegnatore di Mister<br />

No, Roberto Diso, con una colorazione<br />

che esalta il fascino variopinto della fauna<br />

e flora amazzoniche. Ad aprire la storia è<br />

proprio l’incontro con il pianista jazz Dana<br />

Winter, venuto ad esibirsi in una squallida<br />

bettola di Manaus. I Only Have Eyes for<br />

You di Harry Warren (la cui interpretazione<br />

dei Flamingos’ fu inserita nella colonna<br />

sonora del film American Graffiti) fa da<br />

prologo e chiusura al racconto. Sì, perché<br />

nel suo eterno girovagare per il mondo,<br />

Mister No, eroe cinico dal cuore tenero sul<br />

modello del Bogart di Casablanca, ha sempre avuto<br />

un punto di riferimento: le canzoni e le musiche con<br />

cui nei momenti di gioia ha espresso la sua vitalità<br />

esuberante e che, nei momenti di maggior difficoltà,<br />

lo hanno confortato riportandolo con la memoria<br />

alla sua città natale.<br />

Massimo Bargna<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 119


cut ‘n’ mix<br />

Pillole da 3000 Mcg<br />

Se lo dite VOI…<br />

Il mio regno per una scarpa o toglietemi tutto ma non la mia scarpa. O, ancora: dietro un grande uomo c’è sempre una<br />

grande scarpa. Boh… Così sembra, però, visto che il connubio tra Kendrick Lamar (due Grammy Awards nel 2015 e undici<br />

nomination nel 2016) e Reebok sarebbe “portatore sano” di “un messaggio di pace e unità” (così recita il comunicato stampa),<br />

per ricondurre alla quiete le strade di Compton e di tutte le altre città che vivono conflitti tra gang rivali. Come possa la tomaia<br />

grigia in Premium Suede e la suola Gum di una Classic Leather (la scarpa unisex di Reebok) rappresentare un simbolo di unità<br />

tra culture è cosa che rimando a chi legge, a patto di scoprire che cosa è un “premium suede” e un “gum”!<br />

Ci pensa ROCCO<br />

Ricevo (e non voglio domandarmi perché sono inserito in questa mailing listi) il seguente appello: “I ragazzi hanno<br />

il diritto di ricevere formazione su una delle cose più importanti nella vita: il sesso. Unisciti a Rocco affinché i giovani non<br />

cerchino informazione nella pornografia”. Il “Rocco” in questione è Rocco Siffredi o, come dire, una grande minchia<br />

che dà del minchione… Boh.<br />

Com’è che non riesco più a VOLARE?<br />

“Con tua moglie che lavava i piatti in cucina e non capiva, con tua figlia che provava il suo vestito nuovo e sorrideva,<br />

con la radio che ronzava, per il mondo cose strane, e il respiro del tuo cane che dormivaaaaaa!”.Secondo<br />

Red Bull (ti mette le aaaaliii) “Tutti possono provare a volare” o, almeno, è quel che sperano le squadre più creative,<br />

fantasiose e spericolate d’Italia che potranno sfidare la forza di gravità durante il Red Bull Flugtag. A me pare il volo<br />

del tacchino ma chi vuole partecipare può iscriversi fino al 13 marzo sul sito www.redbullflugtag.it.<br />

Identità e riscatto<br />

All’interno del complesso di Città della Scienza ha aperto i battenti AlmaFlegrea, la brasserie birrerie più grande di Napoli,<br />

un punto di incontro dove la musica vuole essere la vera protagonista. Il nome Alma (anima) Flegrea si riferisce ad una zona,<br />

quella Flegrea appunto, e in particolare a Bagnoli, il quartiere legato alle acciaierie, dove attraverso la musica si tenta una<br />

sorta di rinascita dopo il degrado post industriale e soprattutto dopo il grave episodio dell’incendio del 4 marzo 2013. Non<br />

solo musica, però: a parte la buona programmazione musicale si potranno gustare specialità alla brace (bracerie a carbone<br />

ecologico) accompagnate da birre spillate e artigianali di abbazia.<br />

Originali però!<br />

Il portale Aristofonte è, recito pedissequamente, “Il sito di incontri online dedicato agli uomini che cercano relazioni<br />

con donne più giovani e alle donne che prediligono gli uomini più grandi di loro”. Chi l’avrebbe mai detto? E chi meglio<br />

della protagonista dell’ultima versione cinematografica di Biancaneve può incarnare il top della virginea icona sexy<br />

nell’immaginario dei vecchi lumaconi? Per la cronaca lei è Lily Collins, mi ricorda mia nipote e questo, a mio parere,<br />

non favorisce la libido…<br />

DATEVE foco<br />

“Divo Nerone – Opera rock”(Giugno 2016) promette di essere il più sensazionale spettacolo d’intrattenimento made<br />

in Italy mai realizzato, dove i fasti dell’Impero romano rivivranno attraverso scenari tridimensionali che riprodurranno<br />

fedelmente le sontuosità architettoniche dell’epoca, ricreate nei luoghi esatti del passato dove l’imperatore<br />

visse e agì. Proiezioni immersive con spettatori e attori avvolti dall’atmosfera del periodo favoriranno un viaggio<br />

nel tempo che racconterà quattordici anni di vita del tiranno, costellato da tutti i protagonisti di allora. Un kolossal<br />

musicale messo in scena in due lingue, italiano e inglese, frutto del lavoro del vincitore di due Grammy Awards<br />

Franco Migliacci, del regista e coreografo dei più acclamati musical italiani, Gino Landi, del tre volte Premio Oscar<br />

Dante Ferretti, scenografo di grandi produzioni hollywoodiane, e della costumista Premio Oscar Gabriella Pescucci.<br />

Si accettano scommesse sulle scelte musicali, improbabile una colonna sonora di Lando Fiorini… !<br />

120 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016


Yvette Vickers miss luglio 1959 Playboy<br />

I magIcI tempI della glorIosa<br />

golden era stanno tornando!<br />

potremo non avere lo stesso carIsma<br />

dI Yvette…<br />

… Ma sapREMO EccITaRVI UgUaLMENTE!<br />

suono 505<br />

VINILE VOLUME TERZO<br />

in edicola a metà marzo – prenotalo su www.suono.it


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Hanno collaborato<br />

Agostino Bistarelli, Antonio Gaudino, Bruno Re, Carlo D’Ottavi, Daniele Camerlengo, Danilo Sala, Emilio,<br />

Paolo Forte, Federico Geremei, Francesco Bonerba, Franco Vassia, Guido Bellachioma, Massimo Bargna,<br />

Paolo Carnelli, Tito Gray de Cristoforis<br />

Edizione digitale<br />

Copia singola: 4,75 euro<br />

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Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di febbraio 2016.<br />

INDICE INSERZIONISTI<br />

Audio Reference - SME 97 Mpi - Klipsch 53<br />

Cooperativa Giornalistica Mondo Nuovo 81, 101, 121 Mpi - Monitor Audio 71<br />

High Fidelity Italia - Accuphase 77 Mpi - Sonus Faber<br />

IV Cop.<br />

Stampa<br />

Tiber S.p.A.<br />

Via Della Volta 179 - 25124 Brescia (BS)<br />

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High Fidelity Italia - Roksan<br />

III Cop.<br />

Laboratorium 35<br />

Lp Audio<br />

II Cop.<br />

Mpi - McIntosh 17<br />

Pixel Engineering 11<br />

Soundissimo 7<br />

Troniteck Distribuzione 16<br />

Yamaha Music Europe - Branch Italy 5

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