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N. XXX<br />
Editoriale<br />
di Paolo Corciulo<br />
Segnali di fumo dal<br />
Consumer Technology<br />
Show<br />
Qualcosa dovrà pur significare la decisione da parte della CEA<br />
(Consumer Electronics Association) di cambiare nome… La CEA,<br />
per i non addetti ai lavori, è la potente associazione americana che,<br />
tra le altre cose, organizza il CES; da qualche mese si chiama CTA<br />
(Consumer Technology Association). A rigor di logica lo stesso CES<br />
(Consumer Electronics Show) dovrebbe mutare la sua definizione<br />
in CTS (Consumer Technology Show), sebbene cambiare nome<br />
sarebbe impopolare e ogni esperto di marketing lo sconsiglierebbe.<br />
La più grande manifestazione al mondo, fin dal 1967 dedicata<br />
all’elettronica di consumo, ha da tempo mutato pelle e sempre<br />
più lo sta facendo, come certificato dalla recente edizione 2016, a<br />
tutti gli effetti un evento che funge da spartiacque con il passato;<br />
l’enorme impatto delle tecnologie a tutto tondo per la casa e il benessere<br />
personale<br />
e di quelle, segnatamente<br />
con valenza<br />
ecologiche,<br />
relative all’automobile,<br />
hanno<br />
ridisegnato i<br />
contorni di una<br />
manifestazione<br />
che ricordo un<br />
tempo totalmente<br />
dedicata all’audio<br />
prima e all’audio<br />
video poi.<br />
Già nel 2003, con<br />
la chiusura del<br />
Comdex (manifestazione<br />
professionale<br />
dedicata<br />
all’informatica),<br />
che segnava l’inizio<br />
della progressiva commistione tra informatica e elettronica<br />
in ambito domestico, le capaci superfici del Convention Center<br />
di Las Vegas avevano aperto le porte ad “altri generi” dall’alta<br />
fedeltà, secondo un progressivo percorso condiviso anche dall’altra<br />
manifestazione monstre, l’IFA di Berlino. In entrambi i casi l’Hi-Fi<br />
era diventata prima marginale, poi “sopportata” nei piani degli<br />
organizzatori; verso la fine del primo decennio del nuovo secolo<br />
la manifestazione americana ha tentato un recupero del settore<br />
con la sezione “speciality audio”, circoscritta (confinata?) nelle<br />
camere d’albergo a cui sembra tanto abituata del Venetian Hotel.<br />
Un tentativo, un esperimento di far convivere interessi che procedono<br />
a velocità distanti l’una dall’altra, come raccontato negli<br />
anni da questa rivista, l’unica a non inebriarsi oltre misura di<br />
quella che, in effetti, è stata un’opportunità (ricollegarsi all’ampio<br />
tessuto connettivo costituito da una base potenziale molto ampia)<br />
andata perduta. Anno dopo anno lo “speciality audio” è diventato<br />
sempre più marginale fino al paradosso, nell’edizione 2016 del<br />
CES, di non venire nemmeno citato tra le opportunità offerte a<br />
chi affronta la fiera! Nonostante questo (o proprio per questo!) il<br />
CES 2016 alcune indicazioni le ha fornite anche in questo settore:<br />
innanzi tutto la conferma decisiva (degli elementi che la caratterizzano<br />
parleremo nel prossimo numero di <strong>SUONO</strong> dedicato all’analogico)<br />
che il<br />
vinile non solo<br />
è ancora vivo e<br />
vegeto ma sta<br />
tornando a essere<br />
sempre più<br />
un’opportunità<br />
commerciale.<br />
In secondo luogo<br />
la rinascita<br />
del coordinato<br />
(o meglio dire:<br />
sistema) di cui<br />
parliamo nelle<br />
pagine successive<br />
di questo<br />
numero: se,<br />
come in passato,<br />
la riproposizione<br />
di questa<br />
categoria di<br />
prodotti coincide con un rilancio dell’ascolto della musica riprodotta,<br />
forse possiamo guardare al futuro con una vena di ottimismo…<br />
In terzo luogo, ma strettamente legato agli elementi che<br />
ridefiniscono i coordinati, il frutto più importante delle decisioni<br />
strategiche del CES: le aziende Hi-end si sono definitivamente<br />
poste il problema di come abbassare il target e raggiungere la<br />
montante marea di nuovi consumatori di musica che seguono<br />
procedure e modalità lontane da quelle proposte in passato.<br />
Di certo sarà un anno interessante...<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 3
Sommario<br />
n. xxx<br />
editoriale di Paolo Corciulo .............................................................3<br />
CIAO DUCA di Guido Bellachioma e Paolo Carnelli ............................................6<br />
L’UOMO CHE CADDE SULLA TERRA di Antonio Gaudino .....................................8<br />
ANTENNA ..............................................................................12<br />
inside dentro la musica<br />
N. <strong>504</strong><br />
FEBBRAIO 2016<br />
LA PERDITA DELL’INNOCENZA L’evoluzione del concetto di Hi-end di Paolo Corciulo ...........20<br />
CIARE L’ultima dei Mohicani di Paolo Corciulo e Fabio Masia ..................................28<br />
UN MAESTRO “TUTTO A MANO” Ezio Bosso di Daniele Camerlengo ..........................32<br />
il claviorgano al centro del villaggio di AAVV ..................................32<br />
SULLE CORDE DI SHAWN Shawn Phillips di Franco Vassia ...................................36<br />
UNIVERSI PARALLELI Arti & Mestieri di Danilo Sala ........................................40<br />
AND THE OSCAR GOES TO... Morricone & Tarantino di Francesco Bonerba ....................44<br />
selector tutto il meglio in arrivo sul mercato<br />
LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE? di Paolo Corciulo ....................................48<br />
SPECIALE COORDINATI<br />
Samsung R6 a cura della redazione .......................................................54<br />
Marshall Stanmore a cura della redazione .................................................56<br />
Cambridge Audio Air200 a cura della redazione ............................................56<br />
Pioneer X-HM82 a cura della redazione ...................................................57<br />
Onkyo CS-N765 a cura della redazione ....................................................57<br />
Bluesound Pulse 2 a cura della redazione ..................................................58<br />
Naim Audio Mu-so Qb a cura della redazione ..............................................58<br />
Geneva Lab AeroSphere Large a cura della redazione ........................................59<br />
JBL Authentics L 16 a cura della redazione ................................................59<br />
Arcam Solo Bar a cura della redazione ....................................................60<br />
McIntosh RS100 a cura della redazione ...................................................60<br />
Devialet Phantom a cura della redazione ..................................................61<br />
Bang & Olufsen BeoSound 35 a cura della redazione ........................................61<br />
STREAMING PLAYER Aria Aria a cura della redazione .......................................62<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO Accuphase E 370 a cura della redazione ........................66<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO Yamaha A-S1100 a cura della redazione ........................72<br />
MINI DIFFUSORI ALLA PROVA DEL TEMPO di Emilio Paolo Forte ...........................78<br />
DIFFUSORI Elac Debut B5 by Andrew Jones a cura della redazione .............................82<br />
DIFFUSORI Russel K. Red 100 a cura della redazione .........................................86<br />
AMATO MIO LP a cura di Carlo D’Ottavi ....................................................90<br />
SECONDO NOI LA CLASSICA a cura di Pietro Acquafredda e Bruno Re ........................92<br />
UN BAULE E IL SUO QUARTETTO a cura di Tito Gray de Cristoforis ..........................96<br />
ESPERIENZE IN jazz a cura di Daniele Camerlengo ........................................98<br />
OLTRE IL ROCK a cura di Guido Bellachioma ...............................................102<br />
SOTTO LA COVER, LE STORIE di Francesco Bonerba ......................................104<br />
SPECIALE RECENSIONI a cura di Guido Bellachioma, Daniele Camerlengo e Carlo D’Ottavi .....106<br />
cut ‘n’ mix Concerti | Cinema | Libri | Società | Arte ........................116
n. xxx<br />
Ciao Duca<br />
Arrivederci,<br />
eterno ragazzo delle stelle<br />
Hello Spaceboy<br />
You’re sleepy now<br />
Your silhouette is so stationary<br />
You’re released but your custody calls<br />
And I want to be free<br />
Don’t you want to be free<br />
Do you like girls or boys<br />
It’s confusing these days<br />
But Moondust will cover you<br />
Cover you<br />
(David Bowie – Hallo Spaceboy, 1996)<br />
Ricordare Bowie non è facile, né umanamente né artisticamente:<br />
troppo zigzagante nelle sue rotte esplorative,<br />
troppo volutamente contorto o spiazzante nelle provocazioni,<br />
quasi sempre evidenti. Tali atteggiamenti spesso trovavano<br />
terreno fertile nella poca predisposizione all’apertura mentale<br />
della critica musicale, non solo<br />
italiana, anche se pure dalle<br />
nostre parti ne hanno<br />
scritte di cotte e di<br />
crude: è nazista,<br />
non è nazista,<br />
è glam, no<br />
è soul, no è<br />
post elettronico<br />
e pre junglepop,<br />
post e<br />
pre allo stesso<br />
tempo. Ma la<br />
morte, si sa, monda<br />
ogni peccato e<br />
per qualche giorno abbiamo<br />
assistito alla corte<br />
dei miracoli nelle TV,<br />
radio, quotidiani: chiunque<br />
poteva dire quanto<br />
fosse addolorato dalla<br />
sua scomparsa,<br />
quanto il<br />
mondo avesse perso con la sua scomparsa, magari gli stessi che<br />
negli anni ’70 stroncavano ogni suo disco, prima che questa<br />
diventasse operazione sacrilega. Dato che della sua malattia<br />
nessuno era al corrente, almeno tra i media, alcuni giovani eredi<br />
dei “giornalisti” italiani dei ’70 si erano divertiti a sottolineare<br />
radiofonicamente la pomposità arrogante di Blackstar. Dopodiché<br />
è stato impossibile per i media tradizionali o per chi è legato<br />
all’audience fare discorsi minimamente critici sull’artista inglese:<br />
chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, “scurdámmoce ‘oppassato,<br />
simmo ‘e Napule paisá!”. Napoli, ovviamente, è citata solo<br />
per la frase presa in prestito dalla celebre canzone partenopea<br />
del 1944. Strano paese il Mondo. Oggi sono tutti orfani di Bowie,<br />
anche quelli che non ne ascoltavano un brano da decenni e che,<br />
magari, non si sarebbero accorti dell’uscita del suo “ultimo” album<br />
se non fosse stato per l’eco mediatica di proporzioni galattiche.<br />
Bowie ha sempre lottato contro questi luoghi comuni, compreso<br />
quello della morte che deve avvenire in un certo modo, sempre<br />
prevedibile: anche in questo caso ha smentito tutti con Blackstar,<br />
di cui nessuno può negare la forza dirompente, ribadita dalla<br />
scelta “bowiana” di pubblicarlo tra un compleanno, il 69esimo,<br />
e la morte… artista fino in fondo, poco importa che fosse Ziggy<br />
Stardust, il decadente uomo elettrico della trilogia berlinese o<br />
il Lazarus dell’oggi/ieri. Musicalmente parlando Bowie ha rappresentato<br />
e ancora rappresenterà moltissimo per diverse scene<br />
musicali talvolta apertamente in contrasto tra loro. Le mille<br />
stagioni che ha attraversato, nella logica matematica delle cose,<br />
ci hanno affascinato, rapito, commosso o lasciato perplessi…<br />
mai indifferenti. Per lui sarebbe stata la peggiore delle offese…<br />
Eppure tra le tutte le sue canzoni (sparse tra dischi solisti, collaborazioni,<br />
Tin Machine, colonne sonore), alcune consumate fino<br />
a non poterne più (vedi alcune parti “berlinesi”), quella che mi<br />
“arriva” forte in testa quando penso a lui è composta da pochi<br />
accordi, molto Stones e dall’approccio rock minimale: Rebel Rebel<br />
da Diamond Dogs del 1974, dove la sua chitarra elettrica e la sua<br />
voce hanno urgenza espressiva, senza concessioni a sperimentazioni<br />
varie. Eppure, c’era già tutto!<br />
Guido Bellachioma<br />
Il Camaleonte ha cambiato pelle (forse) per l’ultima volta.<br />
Quel soprannome, uno dei tanti, Bowie se l’era guadagnato<br />
per la sua capacità di adattarsi velocemente al contesto<br />
musicale in cui viveva. In realtà l’artista inglese non si è mai<br />
limitato a rincorrere le mode. È stato lui, quasi sempre, a fare<br />
tendenza, gettando ogni volta stili e sonorità come colori su una<br />
tela nuova di zecca. Il giorno in cui si presentò negli uffici<br />
della Mercury Records, ad esempio, con una semplice<br />
chitarra acustica e uno stilofono, per far ascoltare al<br />
6 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
n. xxx<br />
produttore John Anthony l’abbozzo di una<br />
canzone intitolata… Space Oddity!!! Era il<br />
giugno del 1969. Da quel momento Bowie<br />
ha pubblicato venticinque album (oltre al<br />
debut del 1967) e venduto circa 140 milioni<br />
di dischi. Ha abbracciato il folk, il rock,<br />
il pop, la new wave, l’hard rock, il funk,<br />
il jungle. Ha sperimentato fino alla fine,<br />
regalandosi (e regalandoci) a 69 anni, per<br />
il suo ultimo compleanno, un album straordinariamente<br />
inventivo e anticonformista<br />
come Blackstar, destinato ancora una<br />
volta a segnare la rotta per le generazioni<br />
a venire. “Sono curioso di vedere stavolta<br />
chi sarà il primo a imitarlo” ha dichiarato<br />
al mensile “Rolling Stone” il produttore<br />
Tony Visconti, commentando la strana<br />
miscela di jazz e hip hop che caratterizza<br />
l’ultimo lavoro di Bowie. “L’idea era quella<br />
di buttarci dentro un po’ di tutto, senza<br />
limitazioni. L’importante era provare ad<br />
andare oltre al rock ‘n’ roll”. Andare oltre,<br />
appunto. Una costante nella produzione<br />
dell’artista inglese che ha probabilmente<br />
avuto il suo picco nelle atmosfere oscure<br />
e post moderne del concept album Outside<br />
(1996). Un disco senza tempo, perpendicolarmente<br />
sospeso sulla metà degli anni<br />
Novanta ma intriso di almeno trent’anni<br />
di musica, compresa gran parte di quella<br />
che sarebbe venuta dopo. “È indubbio che<br />
Bowie abbia insegnato a molte persone<br />
come vivere. Ma è altrettanto vero che<br />
ora ci ha insegnato anche come morire” ha<br />
dichiarato il chitarrista John Ellis. Il visionario<br />
videoclip di Blackstar ne è stata una<br />
dimostrazione lampante. Pur martoriato<br />
dalla lunga malattia, David Bowie ha voluto<br />
restare aggrappato fino all’ultimo alla sua<br />
vocazione artistica, non accontentandosi<br />
di uscire di scena in punta di piedi. Ora il<br />
significato di quelle immagini è più chiaro,<br />
quasi fossero, più che un testamento,<br />
un rituale propedeutico all’ultimo viaggio<br />
verso l’infinito. Dietro di lui rimane la scia<br />
delle radio impazzite che dalla mattina del<br />
10 gennaio hanno ripreso a suonare tutte le<br />
sue hit. Qualcuno si è svegliato pensando<br />
a un tardivo omaggio per il suo compleanno,<br />
festeggiato due giorni prima (Bowie è<br />
nato l’8 gennaio del 1947). In realtà era<br />
la colonna sonora per l’ultimo decollo del<br />
Maggiore Tom.<br />
Paolo Carnelli<br />
LA<br />
MU<br />
SI<br />
CA<br />
SI<br />
VI<br />
VE.<br />
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<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 7
n. xxx<br />
Ciao Duca<br />
L’uomo che cadde sulla terra<br />
di Antonio Gaudino<br />
Cantante pop, rocker glam, cantante soul,<br />
innovatore dell’elettronica, rockstar...<br />
Giovane fenomenale sospeso tra i generi,<br />
attore, caratterista, icona della moda...<br />
David Bowie è stato tutte queste cose e la sua grande influenza<br />
nella musica è quasi troppo vasta da poterla considerare<br />
nel dettaglio. Da Madonna a Nine Inch Nails, dai Depeche<br />
Mode a Lady Gaga, dai Blur a Marilyn Manson fino a The Arcade<br />
Fire, molti dei principali artisti di ieri e di oggi devono molto all’uomo<br />
che ha messo il make-up e cantato viaggi nello spazio. Troppo<br />
per tentarne una sintesi, persino per azzardare quel che in futuro<br />
sopravvivrà del suo lavoro, arricchito dall’ultimo capitolo costituito<br />
da quel triste ritorno che è Blackstar, 25° album ufficiale di Bowie<br />
(vedi in altra parte della rivista). Più che abbastanza per arrischiare<br />
un sguardo alla sua opera e stilare una top 24 delle sue canzoni,<br />
sparse nella ricca discografia: la venticinquesima la lasciamo a voi, al<br />
vostro personalissimo giudizio, a comporre una playlist che, una volta<br />
ascoltata, rivela – se ve ne fosse bisogno – la grandezza dell’artista...<br />
24. Modern Love (da Let’s Dance)<br />
Per molti la frase “Bowie nell’era Let’s Dance” ha le stesse connotazioni<br />
di “Dylan Goes Christian”, che è un modo per dire che ci vi<br />
attendono grandi sorprese se siete disposti a guardare oltre certi<br />
pregiudizi stabiliti. Al primo ascolto Modern Love ha un suono un po’<br />
trash anni ’80: synth, coristi, un sax piazzato su poche note, è tutto<br />
lì. In effetti, sentendo le prime note si potrebbe incorrere nell’errore<br />
di scambiarlo per l’apertura di Footloose. Il carisma di Bowie e il<br />
suo senso di esperto autore del pop trasformano però il brano in<br />
una travolgente “head bop-inducing” a cui è impossibile resistere.<br />
Twiggy e David Bowie nella foto originale scelta per la cover di Pin Ups<br />
23. Bring Me the Head of the Disco King (da Reality)<br />
Contrariamente a quanto spesso si pensa, Bowie ha pubblicato prodotti<br />
di qualità verso la seconda metà della sua carriera. Questo è evidente<br />
soprattutto in Bring Me the Head of the Disco King, la traccia finale<br />
del suo ultimo (o così credevamo) album, Reality. Suona come una<br />
registrazione fatta in qualche oscuro jazz bar e nella canzone Bowie<br />
riflette sulla sua carriera. Non è un ascolto felice. Piuttosto, è una canzone<br />
piena di rammarico e tristezza. Non c’è da meravigliarsi se la gente<br />
pensasse che Bowie avesse chiuso per sempre con la musica. Anche se<br />
il contorto, sinuoso e farneticante brano di sette minuti e più potrebbe<br />
rivelarsi un po’ faticoso per alcuni, è il tipo di canzone che se colpisce<br />
al momento giusto può perseguitarti per molto tempo dopo la sua fine.<br />
22. Cat People (Putting Out the Fire) (da Let’s Dance)<br />
Cat People è stata originariamente composta per il regista / scrittore<br />
Paul Schrader per il remake, fondamentalmente mal concepito, del<br />
classico horror Cat People (1982). Proprio come il film la canzone è<br />
stata presto dimenticata. Ci voleva un esperto di revival come Quentin<br />
Tarantino per riconoscere la grandezza di questo brano e inserirlo in<br />
una sequenza fondamentale nel suo film Bastardi senza gloria (2009).<br />
21. I’m Afraid of Americans (da Earthlings)<br />
Ogni volta che si utilizza il modello di collaborazione “il vecchio<br />
che incontra il nuovo” è possibile che il successo sia quello di un<br />
“crapshoot”, ovvero un lancio di dadi preciso. In questo caso il lancio<br />
è stato perfetto. Qualunque siano le vostre sensazioni per quanto<br />
riguarda Trent Reznor come cantautore, si deve ammirare l’abilità<br />
della sua produzione industriale. Certo, il versatile Bowie si inserisce<br />
nel panorama musicale di Reznor come un guanto comodo, sia chiaro.<br />
8 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
n. xxx<br />
20. Starman (da The Rise and Fall of Ziggy Stardust)<br />
Uno dei punti focali del Ziggy Stardust concept album è certamente<br />
Starman, che ha alcuni richiami a Hunky Dory, dato soprattutto dal<br />
suo salto di ottava durante il travolgente ritornello della canzone.<br />
Detto questo, dobbiamo dire che preferiamo ancora la versione di<br />
Dewey Cox (si scherza, ovviamente).<br />
19. Rebel Rebel (da Diamond Dogs)<br />
Se mai dovessimo pensare a una canzone di Bowie perfetta come<br />
colonna sonora di un evento sportivo, sarebbe questa. Ironica, dato<br />
che i testi contengono soprattutto riferimenti a problematiche gender<br />
come “You got your mother in a whirl / She’s not sure if you’re a<br />
boy or a girl... ”. Spesso citato come l’elegia di Bowie ai suoi giorni<br />
glam rock.<br />
Uno scatto promozionale per il gruppo dei Kon-rads, nel 1963<br />
18. Fashion (da Scary Monsters)<br />
Mentre Mick Ronson è il chitarrista più spesso associato a Bowie,<br />
Robert Fripp dei King Crimson qui, più che rivaleggiare per questa<br />
eredità, ci offre qualche riff metallico intenso che aumenta l’influenza<br />
reggae della canzone. Di assoluto valore.<br />
17. Rock and Roll Suicide (da The Rise and Fall of Ziggy<br />
Stardust)<br />
Dimenticando per un istante i suoi numerosi ed elaborati costumi,<br />
basterebbe questa canzone, il brano di chiusura di Rise and Fall of<br />
Ziggy Stardust, a far intuire che Bowie era un uomo che godeva<br />
della stravaganza e della teatralità. In meno di tre minuti il musicista<br />
progredisce da un tranquillo “strimpellamento” di chitarra acustica a<br />
un’ampollosa esplosione di corde della chitarra e di ottoni, fino alla<br />
“distruzione” della chitarra. Notevole.<br />
16. Ashes to Ashes (da Scary Monsters)<br />
Cominciando con una linea di synth wonky che suona come un effetto<br />
sonoro preso da un vecchio episodio di Doctor Who, Ashes to Ashes<br />
rivisita il personaggio di Major Tom (da un altro brano di Bowie di<br />
cui parleremo in seguito), mostrandolo come un drogato deperito.<br />
Certamente una delle canzoni di Bowie che ha venduto meno e anche,<br />
naturalmente, una delle suoi migliori.<br />
foto: Roy Ainsworth<br />
Bowie durante il periodo di Laughing Gnome nel 1968<br />
15. TVC 15 (da Station to Station)<br />
Più si ascolta la grandezza di Station to Station di Bowie (di ispirazione<br />
Kraftwerk) e più si capisce quanto la tristezza possa diventare<br />
penetrante fino ad annientare l’uomo stesso. Emotivamente depresso,<br />
Bowie a quel tempo passa attraverso una nebbia di cocaina; ricorda<br />
a malapena la registrazione e, a quanto sembra, fu ispirato da un’allucinazione<br />
avuta da Iggy Pop. TVC 15 imbastisce la semplice storia<br />
di una donna che viene risucchiata in un televisore, lasciando il suo<br />
uomo alle spalle. I testi surreali contrastano in modo stridente con<br />
l’intro honky-tonk del pianoforte. Ma, ripetiamo, che cos’è Bowie se<br />
non fantastiche contraddizioni?<br />
foto: Ray Stevenson<br />
14. Suffragette City (da The Rise and Fall of Ziggy Stardust)<br />
Wham bam thank you ma’am! Solo David Bowie può rendere<br />
un suono sconsiderato e raffazzonato (veloce) così dannatamente<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 9
n. xxx<br />
Ciao Duca<br />
Bowie con la moglie Angie e il figlio Zowie nel 1974<br />
ascolto. Con i suoi strati di consistenza del suono e testi ultra criptici<br />
manca volutamente dell’accessibilità pop di un Hunky Dory o Ziggy<br />
Stardust. Detto questo, Sound and Vision è un brano ipnotico costruito<br />
abilmente su strati di strumentazione. Quando Bowie trova<br />
tempo per cantare realmente, sembra quasi non necessario. E, sul<br />
serio, si poteva ascoltare quel riff di chitarra per tutto il giorno senza<br />
stancarsi mai.<br />
11. Queen Bitch (da Hunky Dory)<br />
Scritto in onore dei Velvet Underground e Lou Reed, Queen Bitch<br />
ha introdotto il genere trash anche grazie ai riff di chitarra di Mick<br />
Ronson che hanno contribuito non poco a caratterizzare alcuni dei<br />
migliori momenti glam-rock successivi di Bowie. Dura poco più di tre<br />
minuti, giusto il tempo di timbrare il cartellino, ma il brano è forse<br />
il più contagiosamente orecchiabile all’interno di un album pieno di<br />
canzoni facilmente ascoltabili.<br />
foto: Alamy<br />
affascinante. Naturalmente questo scalfisce (graffia) solo la superficie<br />
di un brano inesorabilmente orecchiabile, esplosione furiosa di<br />
rock che suona come un numero di alta scuola e velocità del grande<br />
Chuck Berry.<br />
13. Changes (da Hunky Dory)<br />
Il brano è primo singolo dell’album Hunky Dory. Ai tempi Bowie<br />
riferì di aver scritto questa canzone come una parodia di canzoni<br />
da discoteca. Considerando la natura camaleontica che la carriera<br />
di Bowie avrebbe preso in seguito, passando con la sua personalità<br />
musicale da un genere all’altro, frasi come “Changes are taking the<br />
pace I’m going through” (I cambiamenti stanno prendendo il passo<br />
che sto passando) rendono la canzone meno singolo pop e più simile<br />
a un manifesto artistico. Inevitabile!<br />
12. Sound and Vision (da Low)<br />
Diciamolo chiaro: Low può essere un album eccezionale e uno dei<br />
punti salienti della carriera di Bowie ma non è esattamente di facile<br />
10. Golden Years (da Station to Station)<br />
In una canzone caratterizzata principalmente da trame elettroniche<br />
e techno di influenza mitteleuropea, Golden Years si offre come piacevole<br />
stranezza nell’album. Spinto dal tipo di drumming funk/soul<br />
che non sarebbe sembrato fuori luogo nell’album Young Americans,<br />
la canzone imprime su Bowie il ruolo di cascamorto navigato ma<br />
non ruffiano, con una base musicale elegante che, con un po’ di<br />
brillante fantasia, avrebbe potuto far parte della colonna sonora<br />
di Saturday Night.<br />
9. Oh! You Pretty Things (da Hunky Dory)<br />
Nonostante fosse stata originariamente pensata per essere il primo<br />
singolo dell’album Hunky Dory, Bowie optò per Changes. Al tempo<br />
sembrò essere la decisione giusta ma, a posteriori, non si può fare a<br />
meno di pensare che questa magnifica canzone avrebbe meritato più<br />
attenzione. Ancorato a qualche pianoforte “cabarettesco”, il brano<br />
sale a un coro hooky di tale livello che probabilmente avrà fatto<br />
ingelosire Paul McCartney.<br />
8. The Jean Genie (da Aladdin Sane)<br />
David Bowie ammirava molto i Rolling Stones. Per averne una prova<br />
basta far girare sul piatto (o il lettore) questo brano. Guidato da un<br />
riff di chitarra assassino e una grande armonica blues, questo brano<br />
si pone come uno dei maggiori highlight dell’album Aladdin Sane.<br />
David Bowie e Catherine Deneuve in The Hunger Photograph David Bowie con un libro di Buster Keaton, 1975<br />
foto: Steve Schapiro<br />
10 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
David Bowie<br />
David Bowie fotografato da Anton Corbijn<br />
7. The Man Who Sold the World (da The Man Who Sold<br />
the World)<br />
The Man Who Sold the World si pone come una delle canzoni più<br />
raccapriccianti dell’opera di Bowie. Il fatto che i suoni vocali ricordino<br />
il sibilo di serpente attraverso l’erba umida non migliora le cose.<br />
Come molte canzoni di Bowie anche questa si è poi rivelata essere<br />
uno standard molto popolare. La cover più famosa rimane senza<br />
dubbio la versione inquietante e angosciata di Kurt Cobain a “MTV<br />
Unplugged” dei Nirvana.<br />
6. Ziggy Stardust (da The Rise and Fall of Ziggy Stardust)<br />
Con uno dei fraseggi di chitarra più riconoscibili di Mick Ronson,<br />
Ziggy Stardust / Bowie riassume la storia dell’album omonimo (e<br />
The Man Who Fell to Earth, se siete così pronti). Alla fine, però, la<br />
storia gioca un ruolo secondario per l’esuberanza pura che questa<br />
traccia esprime.<br />
5. Under Pressure (da Queen’s Hot Space)<br />
Sì, possiamo dire che questa canzone sia tecnicamente in un album<br />
dei Queen. E anche che è stata usata in innumerevoli trailer cinematografici<br />
e televisivi. Hai necessità di rendere intensa l’ansia di<br />
un personaggio dall’aspetto affascinante? Questa è la canzone per<br />
te. In ultima analisi, tuttavia, ciò non toglie la linea di basso di John<br />
Deacon o il modo in cui la voce di Freddie Mercury impenna o il<br />
crooning sottostimato di Bowie. Brividi. Ci sono alcune canzoni che<br />
meritavano di essere stra-cantate. Questa è una di esse.<br />
4. Heroes (da Heroes)<br />
Ogni volta che si discute la carriera di David Bowie la parola “camaleonte”<br />
torna inevitabilmente in qualsiasi discorso e da qualsiasi<br />
parte si inizi. Si, Bowie era davvero un maestro nel sapersi adattarsi<br />
a tendenze e personalità di scena sempre diverse. Eppure una tale<br />
caratterizzazione implica anche una freddezza, una disconnessione<br />
non comune. Si connota in un’artista che mantiene emozioni e sentimenti<br />
a cuore nudo a distanza. Tali sono le critiche spesso lanciate<br />
a Bowie e ad artisti del suo stampo geniale. Poi c’è Heroes. Via la<br />
teatralità. Via le regressioni musicali sovversive. Via qualsiasi senso di<br />
ironia. Tutto quello che resta è un uomo che canta consapevolmente<br />
sulle splendide, ipnotiche onde di rumori elettronici ondulanti che lo<br />
circondano. Bowie scrisse originariamente la canzone dopo aver visto<br />
una coppia di amanti incontrarsi sotto il muro di Berlino; incuriosito,<br />
immaginò e ricostruì la loro storia, come spesso fa nei suoi migliori<br />
brani. Si comincia con il sussurrato, il tubare, con il narratore che<br />
implora la sua compagna di essere la sua regina. Circa tre minuti,<br />
il tono di voce di Bowie si sposta drammaticamente in un lamento<br />
emotivo non trascurabile. Con il tempo si arriva alla frase We’re<br />
nothing / And nothing can help us (Siamo niente / E nulla ci può<br />
aiutare), la sua voce è incrinata dall’emozione. Nonostante il suo<br />
suono progressivo, Heroes si tradisce (nell’accezione positiva del<br />
termine) verso alcuni sentimenti che sanno del suo vecchio stile. È il<br />
racconto emotivamente avvincente di un uomo alla disperata ricerca<br />
del conforto dell’amore e il calore sempre effervescente della felicità,<br />
anche se solo per un giorno. Bowie aveva scritto canzoni tristi prima<br />
ma non è mai sembrato così, beh, dolorosamente umano e grandioso<br />
come in questo brano immortale.<br />
3. Young Americans (da Young Americans)<br />
Le parole “English glam rocker” e “Philly Soul” sembra che vadano<br />
sottobraccio come Morrissey e McDonald’s. Eppure non solo Bowie<br />
porta a termine il lavoro ma il risultato è una delle sue canzoni più<br />
forti di sempre. Nel fluido suono di un sax a tutto volume e coristi<br />
soul Bowie costruisce una canzone allegra su una situazione decisamente<br />
infelice. Riesce persino a far scivolare un riferimento di A Day<br />
in a Life. Se mai ci fossero stati dubbi a riguardo della poliedricità<br />
di Bowie come artista musicale, questo brano (e l’intero album) li<br />
frantuma tutti.<br />
2. Space Oddity (da Space Oddity)<br />
Si dice che oltre 45 anni dopo la sua prima uscita, Space Oddity rimane<br />
una strana, stranissima canzone. Ispirata al capolavoro del 1968 di<br />
Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio la canzone interpreta il<br />
racconto di “Major Tom”, uno sfortunato astronauta intrappolato alla<br />
deriva nello spazio. Quando si ascolta Space Oddity si ha come la<br />
sensazione di ascoltare due o tre parti diverse di canzoni fuse insieme<br />
che Bowie fa sembrare coerenti, manifestando grande maestria<br />
musicale. E chi non applaude alla geniale parte del bridge centrale?<br />
1. Life on Mars? (da Hunky Dory)<br />
Hunky Dory rimane l’album più piacevole di Bowie, sulla breve e<br />
sulla lunga distanza. E la sua inclinazione alla teatralità “cabaresque”<br />
non è mai stata più evidente che in questa surreale traccia. Partendo<br />
dalla voce di Bowie lievemente poggiata su un pianoforte solitario,<br />
la traccia sviluppa rapidamente di intensità, con l’aggiunta di un’impennata<br />
di sezione d’archi che dà al brano una punteggiatura degna<br />
di Broadway. Capolavoro!<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 11
antenna<br />
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Sony: giradischi si ma con USB Hi-Res<br />
Il ritorno al classico disco nero non sarebbe di per sé un fatto troppo eclatante<br />
visto in quanti ci si stanno buttando a pesce a fronte di quote di mercato sempre<br />
più interessanti (ne parleremo nel prossimo numero di <strong>SUONO</strong>). Se ci si riflette,<br />
però, che “approdi al vinile” Sony (il creatore, insieme a Philips, del CD e della rivoluzione<br />
digitale del 1982) fa un certo effetto! D’altronde, come affermato sempre<br />
in queste pagine, una delle poche tendenze della riproduzione sonora emerse al<br />
salone di Las Vegas è costituita dal vigoroso rafforzamento del manipolo vinilico;<br />
e allora, evviva Sony, il cui giradischi sarà in vendita in Italia da maggio 2016,<br />
anche se per ora non si conosce il prezzo del suo PS-HX500. Per l’apparecchio,<br />
molto simile concettualmente a quanto già fatto da altri costruttori nipponici<br />
come Audio-technica e Teac, Sony non ha rinunciato a un imprimatur digitale,<br />
integrando uno stadio di conversione A/D con uscita USB per il collegamento al<br />
PC e la conversione in file della musica rippata dal disco. Per distinguersi dalla<br />
maggior parte dei concorrenti tale conversione è proposta anche ad alta risoluzione<br />
sia in formato PCM che DSD, tanto per ribadire una supremazia digitale iniziata<br />
col CD e passata con il formato SACD. Lo chassis del giradischi è costituito da un<br />
telaio rigido in MDF da 30 mm di spessore su quattro piedini in gomma smorzante,<br />
piatto in pressofusione di alluminio e tappetino in gomma spessa 5 mm, braccio<br />
dritto con shell porta testina integrato e fonorilevatore MM premontato. Il sistema<br />
di trasmissione è del tipo a cinghia piatta e sono previste le classiche velocità di<br />
rotazione a 33 e 1/3 e 45 giri, con cambio elettronico. Inferiormente alla base e<br />
nella sua parte posteriore è presente una scatola metallica che racchiude la parte<br />
elettronica e i connettori del giradischi. Su una scheda unica in vetroresina sono<br />
integrati sia il circuito phono MM che quello di conversione digitale A/D che impiega<br />
un chip BB PCM4202 (consente la conversione sia in formato PCM WAV<br />
da 44,1 ai 192 kHz che in DSDa 2,8 e 5,6 Mhz).<br />
Carlo D’Ottavi<br />
Giradischi Sony PS-HX500<br />
Prezzo: € 4.675,00<br />
Dimensioni: 43 x 6,50 x 36 cm (lxaxp)<br />
Peso: 8 kg<br />
Distributore: Sony Europe Limited<br />
sede italiana<br />
Via Rizzoli 4, 20132 Milano (MI)<br />
Tel. 199.151.146 - Fax 02.6126690<br />
www.sony.it<br />
Tipo: completo di testina Telaio: rigido in MDF da 30 mm su quattro piedini in<br />
gomma smorzanti Trasmissione: a cinghia piatta Piatto: pressofusione di alluminio<br />
e tappetino in gomma da 5 mm Velocità (RPM): 33 e 45 Braccio: dritto<br />
con shell integrato Alzabraccio: idraulico Note: fonorilevatore premontato di<br />
tipo MM, scheda phono MM integrata, uscite analogiche linea e phono selezionabili,<br />
scheda A/D per conversione in WAV fino a 192 kHz e DSD 2.8 e 5.6 MHz<br />
con uscita USB per conversione in file su PC.<br />
Technics ci ripensa e<br />
torna al vinile<br />
Più che ‘l dolor poté ‘l digiuno: è proprio il caso<br />
di dirlo, anche se la decisione di sospendere la<br />
produzione del giradischi Technics SL-1200 apparve<br />
sciagurata fin dall’inizio... L’SL-1200 era il<br />
modello di punta del marchio Technics, creato da<br />
Panasonic nel 1965 e divenuto famoso proprio per<br />
i giradischi (la casa era una strenue sostenitrice<br />
della trazione diretta in tempi non sospetti... ).<br />
Lanciato nel 1969, negli anni successivi l’SL-1200<br />
venne promosso soprattutto come giradischi ad<br />
altissima qualità per il mercato privato ma, già<br />
allora, iniziò a essere usato dalle radio e nelle<br />
discoteche perché molto solido e scarsamente<br />
sensibile alle vibrazioni (i giradischi più economici<br />
erano in legno e più avanti in plastica,<br />
e molto meno stabili). Macchina innanzitutto<br />
robusta, l’SL 1200, proposto al tempo in due<br />
versioni, una con e una senza braccio (in questo<br />
caso la scelta ricadeva tipicamente sullo SME),<br />
presentava alcune innovazioni sostanziali come<br />
lo chassis in metallo pressofuso e, naturalmente,<br />
la trazione diretta, introdotta per prima proprio<br />
dalla Technics. Venne definito “The Middle Class<br />
Player System” ma, al di là dell’utilizzo nel settore<br />
domestico, grazie alla presenza del pitch control (o<br />
vari-speed) sia per i 45 che i 33, era estremamente<br />
gradito ai dj e indicato per le loro evoluzioni sul<br />
palco, tanto da diventare un vero e proprio must.<br />
In produzione dal 1972 fino al 2010 – quando<br />
Panasonic decise, con poca lungimiranza a dire<br />
il vero, di chiudere la storia del marchio e quindi<br />
anche di quel giradischi – ha inanellato in questi<br />
anni sei differenti versioni con molte varianti e<br />
ne sono stati venduti oltre tre milioni di esemplari.<br />
L’oblio, sottolineato da una petizione per<br />
la sua reintroduzione che ha spopolato sul web,<br />
è durato solo quattro anni per il marchio e cinque<br />
per il giradischi che è stato ora ripresentato, con<br />
pochissime modifiche, al CES di Las Vegas di<br />
quest’anno, in due versioni (quella più costosa<br />
dovrebbe aggirarsi sui 3.600 / 4.000 euro). Tra<br />
i pochi dati per ora rilasciati a Las Vegas c’è un<br />
telaio notevolmente appesantito, in triplo strato<br />
per la versione base, in quadrupla con l’aggiunta<br />
di un quarto superiore in alluminio pieno per<br />
12 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
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quella celebrativa, con un peso salito a 18 kg totali.<br />
Il telaio si accoppia al piano d’appoggio tramite<br />
quattro piedini smorzanti in gomma. Il motore<br />
è naturalmente a trazione diretta con doppio<br />
rotore superiore e, assieme al telaio multistrato<br />
appesantito, dovrebbe permettere una riduzione<br />
significativa della trasmissione delle vibrazioni del<br />
motore al piatto. L’elettronica che è preposta al<br />
cambio e controllo della velocità (33 e 1/3, 45 e<br />
78 giri) consente anche la regolazione del pitch<br />
control, +/-8% e +/-16% per le due più consuete<br />
velocità. Il piatto è in alluminio con tacche intorno<br />
per il controllo ottico / elettronico della velocità ed<br />
è rivestito superiormente da uno strato in ottone,<br />
realizzando così un elemento composito pesante<br />
e smorzato. Il braccio ha il classico andamento a<br />
esse della canna in alluminio nella versione standard<br />
e magnesio in quella GAE. L’articolazione<br />
rimane quella cardanica a cuscinetti. La versione<br />
a tiratura limitata (1.200 pezzi) sarà in vendita<br />
da questa estate; per quella “normale” occorrerà<br />
attendere la fine dell’anno!<br />
Carlo D’Ottavi<br />
Giradischi Technics Grand Class SL-1200G<br />
e SL-1200GAE<br />
Prezzo: prezzo non disponibile<br />
Dimensioni: 45,3 x 17 x 37,2 cm (lxaxp)<br />
Peso: 18 kg<br />
Distributore: Panasonic Italia S.p.A.<br />
Via dell’Innovazione 3 - 20126 Milano (MI)<br />
Tel. 02-67881 - Fax 02-66713316<br />
www.panasonic.it<br />
Tipo: con braccio Telaio: rigido in multistrato<br />
su piedini smorzanti Trasmissione: diretta,<br />
motore a doppio rotore superiore Piatto:<br />
ottone con tappetino in gomma Velocità<br />
(RPM): 33 1/3, 45 e, 78 Braccio: canna a esse<br />
in alluminio e articolazione cardanica Alzabraccio:<br />
idraulico Note: regolazione Pitch:<br />
+/-8%, +/-16%, finitura in alluminio. Limited<br />
Version SL-1200GAE con telaio con quarto<br />
strato in alluminio pieno e braccio con canna<br />
in magnesio.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 13
antenna<br />
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Il software che non amava Tannoy<br />
Anche i computer hanno un’anima? Forse... ma quello dedicato ad Annuario deve avere un’animo bricconcello perché al momento di “estrarre” i dati<br />
relativi al settore diffusori (per altro, oltre 1.041 prodotti e foto), si è “dimenticato” di Tannoy. Mancanza grave anche perché, esistendo un punto di<br />
demarcazione tra chi appare sull’Annuario e chi no, appartenere ai cattivi senza esserlo è come il danno oltre alla beffa. Proviamo a porre rimedio<br />
alla vicenda, chiedendo venia a lettori, al marchio stesso e pubblichiamo qui le informazioni incriminate. Cogliamo anche l’occasione per segnalare<br />
che, riprendendo un’abitudine del passato più florido, da qui a poco renderemo disponibile un’integrazione dell’Annuario che faccia giustizia ai<br />
pochi errori della versione di quest’anno e tenga conto dei nuovi prodotti immessi sul mercato dopo la sua pubblicazione.<br />
Tannoy<br />
Definition DC10T<br />
Prezzo € 7.800,00<br />
freq (Hz): 67-25.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 90<br />
Altoparlanti: 2 Wf 10 cm cellulosa e multifibra, Tw<br />
cupola morbida 25 mm e magnete in neodimio Rifinitura:<br />
Sugar maple, noce scuro Note: magneti<br />
schermati; prezzo cadauno Dimensioni (l x a x p)<br />
cm: 43 x 14 x 17 Peso (kg): 4,9<br />
Mercury VRi<br />
Prezzo € 280,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />
posteriore N. vie: 3 Potenza (W): 30-250 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz):<br />
200, 1400 Risp. in freq (Hz): 30-35.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: Wf 25cm carta<br />
trattata, Dual Concentric Wf 25cm carta trattata, Tw<br />
25mm cupola titanio con guida d'onda Tulip Rifinitura:<br />
lucida nero Griglia: rimovibile Dimensioni<br />
(l x a x p) cm: 33,9 x 112,5 x 32 Peso (kg): 34,5<br />
Kingdom Royal<br />
Prezzo € 60.000,00<br />
Risp. in freq (Hz): 45-53.000 - 6 dB Sensibilità<br />
(dB): 86 Altoparlanti: Wf 13 cm multifibra di<br />
cellulosa rivestita,Tw 25 mm cupola alluminio e<br />
magnete al neodimio Rifinitura: ciliegio e noce<br />
scuro Note: crossover del quarto ordine Linkwitz-<br />
Riley, cabinet in MDF con rinforzi interni Dimensioni<br />
(l x a x p) cm: 17 x 20 x 25,5 Peso (kg): 4,5<br />
Provato su <strong>SUONO</strong> 495 - 03/2015<br />
Mercury V4i<br />
Prezzo € 800,00<br />
Tipo: surround Caricamento: bass reflex N. vie:<br />
2 Potenza (W): 40 RMS Impedenza (Ohm): 8<br />
Frequenze di crossover (Hz): 3.200 Risp. in<br />
freq (Hz): 57-25.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 86<br />
Altoparlanti: Wf 13 cm cellulosa e multifibra, Tw<br />
cupola morbida 25 mm e magnete in neodimio<br />
Rifinitura: mela, quercia scura Note: magneti<br />
schermati Dimensioni (l x a x p) cm: 17 x 30 x<br />
12,15 Peso (kg): 2,6<br />
Precision 6.1<br />
Prezzo € 1.860,00<br />
denza (Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 34-35.000<br />
Sensibilità (dB): 89 Altoparlanti: 1 Woofer 15<br />
cm, 1 Dual Concentric 15 cm e Tw 25 mm titanio<br />
con tecnologia Tulip Waveguide Rifinitura: satinato<br />
noce Note: biwiring con connessione di massa<br />
per il cestello del woofer; versione in noce laccato<br />
e nero laccato 3.800 euro Dimensioni (l x a x p)<br />
cm: 31 x 100 x 28,3 Peso (kg): 14,7<br />
Precision 6.4<br />
Prezzo € 4.000,00<br />
Tipo: da pavimento N. vie: 4 Potenza (W): 300<br />
RMS Impedenza (Ohm): 8 Risp. in freq (Hz):<br />
24-54.000 Sensibilità (dB): 96 Altoparlanti:<br />
1 Wf 38cm, 1 unità concentrica 30 cm, SuperTw<br />
25 mm magnesio/ceramica Rifinitura: legno<br />
laccato e pelle Note: la cupola del tweeter trattata<br />
criogenicamente, Tw con magnete al neodimio.<br />
Versione rifinita in fibra di carbonio nera euro<br />
80.000 Dimensioni (l x a x p) cm: 58,5 x 127,5<br />
x 60 Peso (kg): 120<br />
Mercury V1i<br />
Prezzo € 300,00<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex frontale<br />
N. vie: 2 Potenza (W): 10-70 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 3200<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />
posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 10-140<br />
Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />
(Hz): 2600 Risp. in freq (Hz): 32-53.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 91 Altoparlanti: 2 Wf 15,2 cm<br />
multifibra di cellulosa rivestita, Tw 25 mm cupola<br />
alluminio e magnete in neodimio Rifinitura:<br />
acero o noce scuro Griglia: tela scura staccabile<br />
Dimensioni (l x a x p) cm: 20,4 x 99,5 x 28,1<br />
Peso (kg): 14,7<br />
Provato su <strong>SUONO</strong> 495 - 03/2015<br />
Mercury VCi<br />
Prezzo € 290,00<br />
Tipo: centrale Caricamento: bass reflex N. vie:<br />
2 Potenza (W): 10-70 RMS Impedenza (Ohm):<br />
8 Frequenze di crossover (Hz): 2.900 Risp. in<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex<br />
posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 20-150 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 43-35.000<br />
Sensibilità (dB): 88 Altoparlanti: 1 Dual Concentric<br />
15 cm e Tw 25 mm titanio con tecnologia<br />
Tulip Waveguide Rifinitura: laccato noce o nero<br />
Note: biwiring con connessione di massa per il<br />
cestello del woofer Dimensioni (l x a x p) cm:<br />
22,4 x 33 x 25,7 Peso (kg): 6,8<br />
Precision 6.2<br />
Prezzo € 3.000,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />
posteriore N. vie: 3 Potenza (W): 20-175 Impe<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex con<br />
doppio radiatore passivo N. vie: 3 Potenza (W):<br />
20-200 Impedenza (Ohm): 8 Risp. in freq (Hz):<br />
29-35.000 Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: 1<br />
Woofer 15 cm, 2 Radiatori passivi 15cm, 1 Dual<br />
Concentric 15 cm e Tw 25 mm titanio con tecnologia<br />
Tulip Waveguide Rifinitura: noce satinato<br />
Note: biwiring con connessione di massa per il<br />
cestello del woofer. Versione rifinita laccata noce o<br />
nera laccato euro 4.800 Dimensioni (l x a x p) cm:<br />
31 x 105 x 35,2 Peso (kg): 21,6<br />
Provato su <strong>SUONO</strong> 475 - 04/2013<br />
Precision 6C<br />
Prezzo € 2.350,00<br />
Tipo: centrale Caricamento: doppio reflex pas-<br />
14 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
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sivo N. vie: 3 Potenza (W): 20-175 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 29-35.000 Sensibilità<br />
(dB): 90 Altoparlanti: 1 Woofer 15 cm, 2<br />
Radiatori passivi 15 cm, 1 Dual Concentric 15cm e<br />
Tw 25 mm titanio con tecnologia Tulip Waveguide<br />
Rifinitura: nero laccato Note: biwiring con connessione<br />
di massa per il cestello del woofer; prezzo<br />
cadauno Dimensioni (l x a x p) cm: 58,5 x 23,7 x<br />
25,6 Peso (kg): 11,7<br />
in massello di noce Griglia: rimovibile Note:<br />
connettori doppi per biwire. Mobile con centine<br />
a croce di rinforzo interno, fortemente smorzato.<br />
Regolazione alti /-3 dB. Versione Limited Edition a<br />
13.600 € Dimensioni (l x a x p) cm: 45,6 x 95 x 33,6<br />
Prestige Westminster Gold Reference<br />
Prezzo € 44.000,00<br />
Prestige Autograph Mini<br />
Prezzo € 2.700,00<br />
Dimensioni (l x a x p) cm: 25,6 x 95 x 29,2 Peso<br />
(kg): 16,4<br />
Revolution XT 6<br />
Prezzo € 1.300,00<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N.<br />
vie: 2 Potenza (W): 20-100 Impedenza (Ohm):<br />
8 Frequenze di crossover (Hz): 2.300 Risp. in<br />
freq (Hz): 68-54.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 88<br />
Altoparlanti: 1 unità Dual Concentric da 10 cm e<br />
Tw 19 mm in titanio a guida d'onda Rifinitura:<br />
teak chiaro o scuro Griglia: rimovibile Note:<br />
cestello pressofuso Dimensioni (l x a x p) cm: 21<br />
x 34,5 x 13 Peso (kg): 4<br />
Provato su <strong>SUONO</strong> 394 - 07/2006<br />
Prestige Canterbury Gold Reference<br />
Prezzo € 28.000,00<br />
buita N. vie: 2 Potenza (W): 20-250, 125 RMS<br />
Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />
(Hz): 1100 Risp. in freq (Hz): 29-27.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 93 Altoparlanti: Dual Concentric<br />
25,4 cm in polpa di cellulosa, Tw cupola 52 mm<br />
alluminio/magnesio Rifinitura: noce con angoli<br />
in massello di noce Griglia: rimovibile Note:<br />
connettori doppi per biwire. Contollo alti /-3 dB.<br />
Mobile con rinforzi interni, fortemente smorzato.<br />
Dimensioni (l x a x p) cm: 40,6 x 110 x 33,8<br />
Prestige Sterling Gold Reference<br />
Prezzo € 6.750,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: a tromba N.<br />
vie: 2 Potenza (W): 20-350, 175 RMS Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 200<br />
(taglio acustico), 1.000 (elettrico) Risp. in freq<br />
(Hz): 18-27.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 99 Altoparlanti:<br />
Dual Concentric 38 cm in polpa di cellulosa,<br />
Tw cupola 52 mm alluminio/magnesio Rifinitura:<br />
noce con angoli in massello di noce Griglia:<br />
rimovibile Note: morsetti doppi per biwire,<br />
regolazione alti +2/-6 dB. Mobile rinforzato internamente<br />
con centine a croce e fortemente smorzato.<br />
Dimensioni (l x a x p) cm: 98 x 139,5 x 56<br />
Prestige Yorkminster SE<br />
Prezzo € 20.000,00<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex alla<br />
base N. vie: 2 Potenza (W): 25-120 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 1.800<br />
Risp. in freq (Hz): 46-32.000 - 6 dB Sensibilità<br />
(dB): 89 Altoparlanti: Dual Concentric Wf 15cm<br />
multifibra polpa di cellulosa, Tw 25mm ad anello,<br />
rifasatore a ogiva, Omnimagnet Rifinitura:<br />
espresso, medium oak Dimensioni (l x a x p)<br />
cm: 22,1 x 40 x 30,2<br />
Revolution XT 6F<br />
Prezzo € 2.000,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />
alla base N. vie: 3 Potenza (W): 25-150 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz):<br />
250 e 1800 Risp. in freq (Hz): 38-32.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: Wf 15 cm multifibra<br />
polpa cellulosa, Dual Concentric Md 15 cm<br />
multifibra polpa cellulosa, Tw 25 mm anello, ogiva<br />
Torus, Omnimagnet Rifinitura: espresso, quercia<br />
Dimensioni (l x a x p) cm: 26,9 x 100,5 x 31,7<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: porta Dual<br />
distribuita variabile N. vie: 2 Potenza (W): 20-<br />
300, 150 RMS Impedenza (Ohm): 8 Frequenze<br />
di crossover (Hz): 1.100 Risp. in freq (Hz): 28-<br />
27.000 - 6 dB Sensibilità (dB): 96 Altoparlanti:<br />
Dual Concentric 38 cm in polpa di cellulosa, Tw<br />
cupola 52 mm alluminio/magnesio Rifinitura:<br />
noce con angoli in massello di noce Griglia: rimovibile<br />
Note: morsetti doppi per biwire, controllo<br />
alti +/- 3 dB. Mobile con centine a croce di rinforzo,<br />
fortemente smorzato. Dimensioni (l x a x p) cm:<br />
68 x 110 x 48<br />
Prestige Kensington Gold Reference<br />
Prezzo € 16.000,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: porta distri<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: porta Dual<br />
distribuita N. vie: 2 Potenza (W): 20-170, 85 RMS<br />
Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />
(Hz): 1.800 Risp. in freq (Hz): 39-46.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 91 Altoparlanti: Dual Concentric<br />
25,4 cm in polpa di cellulosa, Tw cupola 25 mm<br />
alluminio/magnesio Rifinitura: noce con angoli<br />
in massello di noce Note: regolazione +/- 3 dB da<br />
1,8 kHz in su. Mobile internamente rinforzato con<br />
centine a croce efortemente smorzato. Morsetti<br />
doppi per biwire Dimensioni (l x a x p) cm: 39,7<br />
x 85 x 36,8<br />
Prestige Turnberry Gold Reference<br />
Prezzo € 8.000,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: porta Dual distribuita<br />
N. vie: 2 Potenza (W): 20-200, 100 RMS<br />
Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover<br />
(Hz): 1.300 Risp. in freq (Hz): 34-44.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 93 Altoparlanti: Dual Concentric<br />
25,4 cm in polpa di cellulosa, Tw cupola 33 mm<br />
alluminio/magnesio Rifinitura: noce con angoli<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: doppio reflex<br />
posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 50-250 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz):<br />
regolabile Risp. in freq (Hz): 23-22.000 - 6 dB<br />
Sensibilità (dB): 93 Altoparlanti: 1 dual concentric<br />
da 30 cm, Tw da 33 mm a guida d'inda Note:<br />
biamplificabile; crossover regolabile; magnete in<br />
alnico 5 Dimensioni (l x a x p) cm: 62 x 108 x<br />
44,7 Peso (kg): 61,5<br />
Revolution DC6T SE<br />
Prezzo € 1.800,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex<br />
posteriore N. vie: 2 Potenza (W): 20-180 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Risp. in freq (Hz): 30-35.000<br />
Sensibilità (dB): 90 Altoparlanti: Wf 15 cm, 1<br />
Dual Concentric 15 cm e Tw cupola 2 mm titanio<br />
tecnologia Tulip Waveguide Rifinitura: espresso<br />
Revolution XT 8F<br />
Prezzo € 2.600,00<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex alla<br />
base N. vie: 3 Potenza (W): 25-200 Impedenza<br />
(Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 250 e<br />
1800 Risp. in freq (Hz): 34-32.000 - 6 dB Sensibilità<br />
(dB): 91 Altoparlanti: Wf 20 cm multi fibra<br />
in polpa di cellulosa, Dual Concentrico: Md 20 cm<br />
multi fibra in polpa di cellulosa e Tw 25 mm anello<br />
e ogiva Torus Rifinitura: espresso, quercia Note:<br />
dual concentrico con magnete unico Dimensioni<br />
(l x a x p) cm: 31,7 x 108 x 34,5<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 15
antenna<br />
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Liquida per tutti<br />
Un pubblico che forse non ne vuole sapere di “guerre sante”, che ama la musica<br />
ancora prima del supporto e della frequenza di risonanza; un pubblico che spesso<br />
ha un archivio musicale ampio e ben diversificato, che ascolta la traccia giusta al<br />
momento giusto, senza pensare troppo al formato, per godere del piacere della<br />
musica in quanto tale. A questo tipo di utenza Onkyo ha dedicato una macchina<br />
intelligente che riesce a mettere d’accordo un po’ tutti semplicemente riunendo<br />
in un solo telaio le funzioni di lettore di musica “solida” e quello di musica liquida,<br />
ovvero lettore CD e streamer di rete. Si tratta del C-N7050, un apparecchio le cui<br />
dimensioni e l’aspetto (profilo sottile del carrello per il disco ottico, il display e i<br />
pochi tasti per il controllo della meccanica) sono quelli di un classico lettore CD di<br />
fascia media, sottolineate anche dall’ingresso USB-A, sempre sul pannello frontale,<br />
funzione meno “nobile” di questo protocollo, che gestisce il collegamento diretto<br />
in digitale con iPhone e tutta la famiglia dei dispositivi iOS di Apple, è compatibile<br />
con pen-drive in formato FAT16<br />
e FAT32 ma non supporta hub<br />
né computer. La presenza di una<br />
connessione Ethernet, invece, ci<br />
segnala la natura polimorfa del C-N7050 e permette di inserire il lettore/streamer<br />
all’interno di una rete DLNA per gestirne i contenuti audio a bassa, standard e<br />
alta risoluzione grazie alla compatibilità con tutti i tipi di file più utilizzati. Dalla<br />
connessione Ethernet è possibile gestire file audio in alta risoluzione sia PCM che<br />
DSD: la conversione D/A è affidata al chip TI Burr-Brown PCM1795. Un DA830<br />
a 32 bit a virgola mobile è utilizzato nella sezione di DSP. L’ampio display, pur<br />
rimanendo essenziale nella grafica e nei colori, consente la visualizzazione di brani,<br />
autori e titoli degli album, mentre il telecomando e soprattutto la app dedicata<br />
garantiscono un’interfaccia di facile leggibilità e comprensione verso la completezza<br />
delle funzioni offerte. Oltre alle uscite analogiche RCA sono presenti quelle<br />
digitali coassiale e ottica che consentono il collegamento a un’unità D/A esterna.<br />
Streaming Player Onkyo C-N7050<br />
Prezzo: € 499,00<br />
Dimensioni: 43,50 x 10,20 x 30,20<br />
cm (L x A x P)<br />
Peso: 4,60 kg<br />
Distributore: Tecnofuturo S.r.l.<br />
Via Rodi, 6 - 25124 Brescia (BS)<br />
Tel. 030.2452475 - Fax 030.2475606<br />
www.tecnofuturo.it<br />
Supporti compatibili: CD, CD-R, CD-RW Formati audio compatibili: PCM,<br />
WAV, Apple Lossless, FLAC, MP3 cbr, MP3 vbr, AAC, OGG Vorbis, WMA, Web<br />
Radio Display: FL con info su traccia, artista, album Tipo: stereo Tecnologia:<br />
a stato solido Risp. in freq. (Hz): 10 Hz - 70 kHz (192 kHz / 24-bit) THD (%):<br />
0,003 S/N (dB): 115 Ingressi digitali: USB Standard (0), Ethernet (1) Uscite<br />
digitali: Ottica (0), Coassiale (0) Convertitore D/A: 1 x PCM1795 Accessori<br />
e funzionalità aggiuntive: Telecomando Note: compatibile DSD 5.6 mHz e<br />
DNLA; gapless. App per iOs e Android.<br />
Tutti guardano alla<br />
Generazione M<br />
Tra le tendenze emerse dal recente CES di Las Vegas<br />
una delle più prepotenti certifica la tendenza (e la<br />
necessità) da parte delle aziende Hi-end di “ricollocarsi”<br />
almeno in parte affrontando il mercato dei nuovi<br />
consumatori che, per comodità, usiamo definire Generazione<br />
M, intesa come quella fascia di utenza che,<br />
grazie alle nuove modalità di fruizione della musica,<br />
può usufruirne come vuole e dove vuole... Fa comunque<br />
impressione che accanto ad altri “mostri<br />
sacri” persino uno dei marchi che finora si è rivolto<br />
al gotha del gotha come Chord abbia, negli anni<br />
recenti, intensificato questo percorso vero il nuovo.<br />
D’altronde l’azienda inglese nel settore della conversione<br />
D/A (quello più contiguo alle nuove opportunità) è<br />
all’avanguardia e non da poco; così la logica evoluzione<br />
di Hugo (You Go), il dirompente convertitore portatile<br />
provato su <strong>SUONO</strong> 487 - maggio 2014, non poteva consistere<br />
in nient’altro che in un ulteriore abbassamento<br />
del prezzo. Così ora è la volta di Mojo (Mobile Joy), un<br />
convertitore portatile ancora più piccolo, a sottolineare<br />
come un nome classicissimo come quello di Chord sia<br />
abbinabile al buon ascolto in movimento, pur sempre<br />
di qualità: anche in questo caso, infatti, si è ricorsi a<br />
un’architettura (FPGA) che lascia più ampia libertà ai<br />
progettisti di interagire e personalizzare direttamente<br />
la sezione di conversione rispetto alle soluzioni di conversione<br />
D/A più comuni che sono, di fatto, blindate<br />
e non modificabili. Il Mojo, infatti, utilizza il chipset<br />
Artix-7 FPGA di Xilinx; il suo utilizzo più naturale è<br />
quello di supporto per digital audio player portatili,<br />
di smartphone e tablet iOS e Android (per questi c’è<br />
bisogno di un cavo di tipo OTG). Con iPad e dispositivi<br />
iOS in generale si può utilizzare il Camera Connection<br />
Kit e abilitare l’uscita via USB; in combinazione si può<br />
adoperare l’app Onkyo HF per abilitare la riproduzione<br />
alle massime risoluzioni sia in PCM che DSD.<br />
Naturalmente può essere abbinato anche a computer<br />
Apple e Windows; mentre per i primi non c’è bisogno<br />
di driver, per Windows (Vista, 7, 8, e 10) ce ne sono<br />
di specifici da scaricare per un uso in modalità Direct<br />
Sound, Kernel Streaming e Wasapi.<br />
Il telaio in alluminio nero ha i bordi stondati che permettono<br />
di infilare il Mojo in tasca senza possibilità<br />
16 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
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di farsi male. Sul lato lungo sono collocati i tre pulsanti a sfera, sui lati corti da una parte<br />
ci sono gli ingressi e dall’altra le uscite per cuffia in formato mini-jack (due non è una<br />
configurazione usuale, per cui un segno più in pagella). Una di queste uscite può essere<br />
configurata anche in modalità a uscita linea fissa (3 V) che ci permette di collegare il<br />
Mojo a un ingresso aux di un sistema audio o amplificatore per essere utilizzato come<br />
DAC esterno. Per l’uscita cuffia Chord dichiara una compatibilità in un range di 4-800<br />
Ohm con una potenza erogata che va da 35 a 720 mW; i dati ufficiali parlano di un tempo<br />
di ricarica di circa 4 ore per una autonomia di circa 10.<br />
Convertitore Chord Electronics Mojo<br />
Prezzo: € 599,00<br />
Dimensioni: 6 x 4 x 2 cm (lxaxp)<br />
Peso: 0,2 kg<br />
Distributore: GTO S.r.l., Via Petrarca 43/A - 40136 Bologna (BO)<br />
Tel. 051.627.14.47 - Fax 051.0337294<br />
www.gto.it<br />
Sistema di conversione: FPGA proprietario, Spartan 6<br />
Frequenza di campionamento (kHz): PCM fino a 384 kHz<br />
/ 32 bit; DSD 64 e 128x Ingressi digitali: 1 x USB 44 kHz / 192<br />
kHz, 16 / 32 bit; 1 x digitale ottico; 1 x digitale coassiale 44 kHz /<br />
384 kHz compatibile, 16 / 32 bit Uscite analogiche: 2 x 3,5 mm.<br />
Note: Compatibile con file DSD fino a 768 Khz.<br />
In onore delle<br />
capitali nordiche<br />
L’approdo di Vifa, rinomato costruttore<br />
di altoparlanti, al prodotto finito<br />
passa attraverso un omaggio alle<br />
capitali nordiche; così dopo Copenhagen<br />
(presentato su <strong>SUONO</strong> 502)<br />
è la volta di Helsinki, un sistema<br />
portatile chiaramente destinato a<br />
suscitare un W.A.F. positivo visto<br />
che l’aspetto si ispira a una borsetta<br />
femminile. Bellezza che non toglie<br />
nulla alla sostanza visto che il telaio<br />
è realizzato in un unico solido pezzo<br />
in alluminio e il sistema è caricato con<br />
due woofer da 60 mm in opposizione<br />
(force balanced configuration) che<br />
vengono supportati da due radiatori<br />
passivi che estendono e potenziano<br />
la gamma più bassa. Nell’esiguo spazio<br />
a disposizione sono stati collocati<br />
anche due full range, ospitati in volumi<br />
separati, da 50 mm con cono in<br />
alluminio e magnete al neodimio. Il<br />
rivestimento utilizzato è in Kvadrat,<br />
un tessuto idrorepellente dalle ottime<br />
proprietà acustiche, oltre all’aspetto<br />
elegante e moderno. Il sistema è<br />
compatibile Bluetooth (con aptX) e<br />
dispone di una app per iOs e Andrid<br />
per il controllo delle funzioni.<br />
Agostino Bistarelli<br />
Per info:www.gammalta.it<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 17
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Entry level anche per M.F.<br />
Con il recente pre-phono MX-VYNL (MM-MC) Musical Fidelity amplia la serie MX che si<br />
colloca tra la entry level V90 e la M3 e comprende l’MX-DAC, un convertitore D/A (PCM<br />
e DSD) e l’MX-HPA, un amplificatore per cuffia. La serie gioca sul tema dei “1.000 euro”,<br />
quello che per molti è visto come un limite difficile da far convivere con le correnti spese familiari. Un limite che, per essere precisi, la serie MX<br />
non supera attribuendo a ognuno di questi tre prodotti il prezzo di listino di 990 euro.<br />
L’MX-VYNL è un apparecchio compatto (220 mm la larghezza, poco più di 50 l’altezza) ma è ben proporzionato, al punto che se lo vedi da solo<br />
puoi anche immaginare un prodotto di dimensioni standard e non mini, come è in realtà. Il telaio è in alluminio satinato con bordo inferiore e<br />
superiore del pannello frontale leggermente inclinato, caratterizzato da un elemento visivamente più forte costituito dall’unica manopola collocata<br />
all’estrema destra. Ha il compito di selezionare il guadagno dei due ingressi, uno in formato RCA e l’altro in XLR, con connettore mini a cinque<br />
poli: un piccolo switch a ridosso dei connettori permette di passare dall’uno all’altro con una piccola spia sul pannello frontale che segnala l’uso<br />
della connessione bilanciata. Allo stesso modo anche le uscite sono sdoppiate in RCA e XLR ma, in questo caso, in formato standard. I valori<br />
selezionabili riguardano il carico per MC e MM: nel primo caso possiamo scegliere nella scala 10-20-50-100-200-400-800-1,2k-47k Ohm;<br />
per la seconda 50-100-200-300-400 pF. Tutti questi valori sono riportati direttamente sulla manopola in questione. Sempre direttamente<br />
dal pannello frontale un ulteriore switch ci permette di effettuare un’ulteriore regolazione in merito al guadagno con posizione 0 e +6 dB: per<br />
una sensibilità media di 300 mV otteniamo 5 mV per MM e 0,8 mV per MC su posizione 0 dB; 2,5 mV per mm e 0,4 mV per MC su posizione<br />
+6 dB. Un ulteriore switch permette, inoltre, un piccolo controllo sulle frequenze più basse selezionando EQ su IEC o RIAA: nel secondo caso,<br />
secondo le indicazioni del produttore, sulla prima posizione si ottiene un roll-off delle frequenze molto basse, addirittura subsoniche.<br />
Agostino Bistarelli<br />
Unità phono Musical Fidelity MX-VYNL<br />
Prezzo: € 990,00<br />
Dimensioni: 22 x5,3 x 21.5 cm (lxaxp)<br />
Peso: 1,9 kg<br />
Distributore: Audiogamma S.p.A.<br />
Via Pietro Calvi, 16 - 20129 Milano (MI)<br />
Tel. 02.55.181.610 - Fax 02.55.181.961<br />
www.audiogamma.it<br />
Tipo: MM/MC Tecnologia: stato solido<br />
Sensibilità (mV): selezionabile: 2,5/5 - 70<br />
(MM) - 0,8/0,4 - 12 (MC) Note: Ingressi<br />
bilanciati e sbilanciati.<br />
18 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
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<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 19
inside dentro la musica<br />
La perdita dell’innocenza<br />
di Paolo Corciulo<br />
Dall’epoca dei “padri fondatori” almeno tre generazioni di prodotti<br />
e imprenditori si sono alternate in un mercato da allora molto<br />
mutato; localizzazione vs. globalizzazione, artigianato & industria:<br />
quale può essere, oggi, il ruolo dell’Hi-end e cosa non fa più parte<br />
di questa definizione?<br />
In alcuni ambienti imprenditoriali si dice che “i padri creano, i figli<br />
consolidano e i nipoti dilapidano”, intendendo con ciò come in sole<br />
tre generazioni ogni impero, anche il più florido e possente, si può<br />
dissolvere con una deriva che via via nel tempo diventa sempre più rapida<br />
e irrefrenabile; basta considerare in tal senso come la rendita di posizione<br />
che ha caratterizzato caste sociali ed economiche in passato oggi non<br />
“tiene” più… Lo stesso termine “rendita di posizione” sembra ora desueto,<br />
travalicato dall’incalzare di una società dove la capacità di reazione è<br />
diventata non solo un elemento fondante ma un valore primario, spesso<br />
anche ben retribuito! L’impatto di nuovi strumenti di comunicazione e di<br />
lavoro ha modificato tanto il rendimento delle aziende quanto il peso di<br />
questo aspetto in una società sempre più competitiva dove il successo è<br />
basato sull’efficienza ancor più che sulle caratteristiche di prodotto, visto<br />
che questo si è molto<br />
livellato in termini di<br />
qualità in conseguenza<br />
degli effetti della globalizzazione.<br />
Insomma: un<br />
1877 Uno strumento riproduce la voce umana che<br />
interpreta la filastrocca “Mary had a little lamb”. È<br />
nato il fonografo!<br />
panorama assai lontano da quello che si trovarono ad affrontare i cosiddetti<br />
“padri fondatori” della riproduzione sonora. Per comprendere quale<br />
sia stata la genesi del segmento di eccellenza del nostro settore occorre<br />
però tracciare comunque, se pur per sommi capi, i confini e il panorama<br />
che, allora, i “padri” si trovarono ad affrontare...<br />
Alla fine dell’Ottocento (con Edison) e all’inizio del “secolo breve” con<br />
la nascita dell’amplificazione a valvole (Lee De Frest – triodo – 1906) si<br />
gettano le prime basi della riproduzione sonora; poco dopo, tuttavia, il<br />
20 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />
A sinistra: 1936 Vede la luce il finale di potenza Quad 1. A causa dei bombardamenti che distruggono i locali della sua azienda, solo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale Peter<br />
J. Walker (1916 – 2003) riprenderà l’attività, puntando sul nascente mercato domestico (QUAD è l’acronimo di Quality Unit Amplifier Domestic). Nel 1956 Walker realizza il suo primo<br />
diffusore, il leggendario ESL57, che rimarrà in produzione per 28 anni!<br />
Al centro e a destra: 1945 Con la creazione dell’altoparlante concentrico Duplex, Altec dà vita al suo primo diffusore di dimensioni domestiche (oltre 90 cm di altezza per<br />
76 di larghezza e 40 di profondità!). Mobile in noce e versioni da parete o da incasso molto più ridotte…<br />
sopraggiungere della Grande Guerra drena risorse e interesse per cose<br />
superficiali come il futile mondo dell’intrattenimento, rimandando al<br />
dopoguerra e all’avvento del sonoro nel cinema (1926) la nascita di un’attività<br />
massiva nel campo della riproduzione sonora (merito della Western<br />
Electric che si dedica con impeto in quella “strana” impresa). Si tratta,<br />
evidentemente, dei primi instabili vagiti del settore se circa dieci anni<br />
più tardi l’azienda americana decide di dismettere l’attività: un gruppo<br />
dei suoi tecnici darà invece vita alla Altec, che ristabilisce rapidamente<br />
una sorta di monopolio nella riproduzione sonora finalizzata alla sonorizzazione<br />
dei cinema. Se gli amplificatori a valvole sono grossi e costosi,<br />
i diffusori non sono da meno: bisognerà aspettare il 1945 perché veda la<br />
luce il Duplex, un altoparlante di dimensioni compatte che consentirà la<br />
nascita del primo diffusore “domestico” della Altec!<br />
D’altronde proprio il primo dopoguerra è uno snodo cruciale per lo<br />
sviluppo dell’Hi-Fi che, in un primo periodo, trova condizioni favorevoli<br />
allo sviluppo del suo segmento Hi-end, in buona parte frutto del lavoro<br />
di piccoli artigiani più che di industrie (eccetto la stessa Altec e qualche<br />
altro). Non si tratta solo di quell’inevitabile entusiasmo e ripresa economica<br />
che hanno caratterizzato in particolare la fine della Seconda Guerra<br />
Mondiale ma anche degli effetti di una politica perseguita attraverso i<br />
programmi di training tenuti durante e subito dopo la guerra allo scopo<br />
di garantire il reinserimento dei reduci che creerà in questi veterani la<br />
conoscenza di alcune tematiche dell’elettronica. A cavallo tra gli anni<br />
’40 e ’50, infatti, nonostante buona parte dei sistemi per la riproduzione<br />
sonora fossero costituiti dalle cosiddette consolle o da sistemi completi<br />
e da pavimento, si trattava di soluzioni abbastanza costose a causa<br />
dell’ingente investimento di risorse nella “carrozzeria” (generalmente<br />
di legno, spesso sagomato) più che nei componenti, in genere gli stessi<br />
reperibili nei kit per autocostruttori. È questo il brodo di cultura che<br />
consente a svariati self-made man di muovere i primi passi nel settore,<br />
quasi univocamente motivati dalla stessa pulsione: “realizzare un sistema<br />
di riproduzione sonora di qualità soddisfacente visto che quelli in<br />
commercio non lo sono... ”. Se andate a leggere le biografie di molti dei<br />
personaggi che hanno calcato il settore dell’Hi-Fi sembrano quasi una la<br />
copia dell’altra: questa la motivazione, questi gli inizi (piccole produzioni<br />
per amici e/o compagni di università), questa la ragione di un piccolo<br />
successo che via via si allarga…<br />
La società civile sta attraversando un periodo particolarmente florido<br />
sia economicamente che in termini di ottimismo (è il periodo della ricostruzione)<br />
mentre il processo di industrializzazione cominciato agli<br />
inizi del ’900 ha raggiunto una maturità e una diffusione che consente<br />
anche a piccoli artigiani di evolvere in un curioso coacervo tra artigianato<br />
e industria, essenziale (perlomeno in questa prima fase) per lo sviluppo<br />
dell’Hi-Fi; tutt’ora il mix tra quella robustezza e la stabilità preponderanti<br />
nella produzione industriale con la sensibilità e l’attenzione alla<br />
1949 Nasce il 50W1, il primo amplificatore McIntosh. Frank H. McIntosh (1906 –<br />
1990) durante la seconda Guerra Mondiale era a capo della divisione radio e radar<br />
della War Productions Board americana; al ritorno riprende la sua attività in una<br />
piccola società di consulenza per la progettazione di stazioni radio e sistemi audio<br />
ed è proprio nella richiesta di amplificazioni di alta qualità che incontra Gordon<br />
Gow (1946), insieme a cui svilupperanno il trasformatore “Unity Coupling” (il nome<br />
verrà coniato solo a metà del 1954 in occasione di un concorso apparso sulla rivista<br />
High Fidelity).<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 21
inside<br />
1952 Saul Marantz (1911 –<br />
1997) realizza nella sua abitazione,<br />
anche grazie al contributo<br />
della moglie, il suo<br />
primo prodotto Hi-Fi.<br />
Durante gli anni Ottanta la<br />
Marantz verrà acquistata<br />
dalla Philips, poi nel 2001<br />
la Marantz Japan acquista il<br />
marchio da Philips e approda<br />
l’anno successivo insieme a<br />
Denon alla holding D&M.<br />
1952 Appare sul mercato lo Scott 99 D Scott, un amplificatore integrato mono da<br />
22 Watt. In produzione fino al 1964, consentiva il collegamento per sintonizzatore,<br />
TV e nastro (Tape Monitor) e disponeva di controlli di tono, selettore del volume e<br />
loudness (a variazione continua) e filtro subsonico. Nel 1946 Hermon Hosmer Scott<br />
(1909 – 1975), uno dei pionieri nel settore Hi-Fi, aveva fondato la HH Scott, Inc. Laureato<br />
al Massachusetts Institute of Technology ha realizzato più di cento brevetti<br />
in elettronica. Nel 1957 l’azienda si trasferisce a Maynard, Massachusetts. Nel 1966<br />
smette di operare attivamente, nel 1985 viene acquistata da Emerson Electronics.<br />
1952 Il preamplificatore Marantz Consolette utilizzava un circuito fono doppio mono<br />
ad alto livello con la possibilità di variare trentasei differenti curve per l’equalizzazione.<br />
qualità senza compromessi tipiche del buon artigiano caratterizzano,<br />
almeno nell’immaginario, il prodotto Hi-end. È un periodo di grandi<br />
trasformazioni che porta alcuni soggetti a emergere e altri, come accade<br />
in questi casi, a scomparire (e quasi nessuno se ne ricorderà in seguito),<br />
non essendo stati in grado di intuire la portata dei cambiamenti in atto.<br />
Oltreoceano è il periodo in cui emergono alcuni dei nomi storici che<br />
hanno caratterizzato l’alta fedeltà, da Frank McIntosh a Saul Marantz<br />
passando per Avery Fisher e così via.<br />
Il primo finale frutto della collaborazione tra McIntosh e Gordon Gow<br />
(che rimase poi alle redini della società fino alla fine degli anni Settanta,<br />
è infatti uno dei “padri” che ho avuto modo di conoscere) risale al<br />
1949: il 50W-1 venne creato per le necessità particolari di un cliente<br />
che aveva bisogno di un amplificatore a bassa distorsione in grado di<br />
mantenere un’elevata stabilità anche con carichi difficili… Del 1955 è<br />
il mitico Audio Consolette di Saul Marantz. In un modo o nell’altro,<br />
passando comunque per cambi di proprietà e approdo a finanziatori<br />
di media o grande dimensione, questi marchi sono giunti fino ai giorni<br />
nostri più o meno fedeli all’immagine e al “messaggio” degli esordi.<br />
Diversamente accadde ad altri due protagonisti del tempo altrettanto e<br />
forse anche più grandi: Hermon Hosmer Scott compare sul mercato nel<br />
1947; Avery Fisher, suo diretto concorrente per lunghi anni, esordisce<br />
ancora prima, nel 1945. Entrambi lo fanno con aziende e prodotti che<br />
portavano il loro nome.<br />
Ho avuto la fortuna di conoscere il mercato Hi-Fi mentre questi nomi,<br />
se pur già nelle vesti di nobili decaduti, erano ancora in auge: il mio<br />
primo amplificatore era un Fisher e anche allora nessuno avrebbe avuto<br />
da ridire se la scelta fosse caduta su questo marchio piuttosto che<br />
sull’imperante alternativa costituita dal Marantz Model 1030! Ma se la<br />
storia ha portato profondi mutamenti “genetici” nei marchi citati (ma<br />
che potremmo definire frutto di un patrimonio genetico già indirizzato<br />
verso il Mid-end), quando non li ha estromessi dal mercato, l’epopea di<br />
un marchio come Harman Kardon ci chiarisce che tali mutamenti sono<br />
in maniera preponderante il frutto dei mutamenti socio economici della<br />
società e del mercato da quei giorni ad oggi più che di una predisposizione<br />
ad affrontare questo o quel segmento di mercato. Dopo i tuner (il primo<br />
prodotto nel 1958) Sidney Harman e Bernard Kardon diedero vita nel<br />
1959 alla linea Citation; basta guardare quegli apparecchi per rendersi<br />
conto di come declinassero in maniera completa il concetto di Hi-end di<br />
allora (ma anche di oggi!). Eppure proprio la H.K. (in tempi più recenti<br />
seguita da Bose) è forse l’azienda che maggiormente ha cambiato pelle<br />
da allora ad oggi e sarebbe riduttivo considerare le nuove rotte perseguite<br />
solo come il frutto dei mutati interessi dei “nocchieri”. Certamente Sidney<br />
Harman si è rivelato più uomo d’affari che “professore”, terminando la<br />
sua carriera professionale con un tentativo di diventare tycoon e trascinando<br />
la società di elettronica che possedeva verso i lidi del consumer<br />
più puro: oggi i “separati” praticamente non esistono più nel catalogo<br />
del marchio che è ormai parte di un gruppo più grande di aziende con<br />
interessi nella riproduzione sonora a tutto tondo.<br />
Meglio così delle tante comete (se viste su un lasso di tempo lungo):<br />
una per tutte la parabola discendente, ora con ritorno di fiamma, della<br />
casa che fu di Edgar Villchur, l’inventore della sospensione pneumatica,<br />
e che vide tra le sue fila anche Henry Kloss: la Acustic Research fino ai<br />
primi anni ’80 era un autentico riferimento di qualità; poi, con il mutamento<br />
dei tempi, è stata acquistata dal colosso cinese Audiovox che ne<br />
1953 Sidney Harman (1918 – 2011) fonda insieme a Bernard Kardon (il suo capo<br />
nel precedente lavoro che si ritirerà quasi subito dall’attività), la ditta omonima di<br />
cui rimarrà al timone a lungo. Dopo aver trasformato un impero da svariati miliardi<br />
di dollari in una vera e propria galassia di aziende (di cui fanno aprte JBL, Infinity,<br />
Beker, AKG e Allen & Heath), poco prima della morte si trasformerà in un tycoon<br />
acquistando il Newsweek (e i suoi debiti!) per 1 dollaro nel 2010.<br />
22 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />
1954 Edgar Marion Villchur (1917 – 2011) realizza la sospensione pneumatica e la<br />
utilizza in Acoustic Research che dirige dal 1954 al 1967. È stato educatore, inventore<br />
e scrittore e il suo desiderio da giovane era quello di diventare sceneggiatore per il<br />
teatro. Durante la seconda Guerra Mondiale viene formato dall’esercito americano in<br />
un programma per la manutenzione e la riparazione di radio, radar e altre attrezzature.<br />
Dopo la guerra, apre un negozio nel Greenwich Village, dove ripara radio e<br />
costruisce su misura sistemi casalinghi per alta fedeltà.<br />
ha praticamente rinnegato, salvo un recente ritorno nel settore Hi-Fi, le<br />
origini. È interessante notare come in questa ottica in molti casi i “nobili<br />
natali” vengano vissuti più come un peso che come una risorsa: provate a<br />
visitare i siti di alcuni nomi altisonanti del passato ancora attivi e spesso<br />
non troverete cenno agli storici percorsi che li hanno resi famosi. Quasi<br />
che ogni legame con il passato venga vissuto, con spirito di rottamazione,<br />
come un impedimento più che una risorsa! E non si tratta di poca cultura<br />
o disorganizzazione legata ai pionieristici esordi (e chi ci pensava, allora,<br />
che per molti di loro ci sarebbe stata una storicità da preservare… ?); è<br />
una scelta che dà agio a quelle aziende di travalicare i limiti di filosofie e<br />
progetti originali, vestendo il prodotto principalmente con il marketing<br />
che, come il denaro, non ha odore!<br />
Storie simili anche al di qua dell’oceano: non molto tempo fa (<strong>SUONO</strong><br />
501 – novembre 2015) abbiamo ripercorso l’epopea di Leak dai suoi<br />
esordi (1934) fino alla consunzione avvenuta tra la fine degli anni Sessanta<br />
e gli inizi del decennio successivo. Eppure quella rapida eclissi ha<br />
tutt’oggi tantissimi estimatori, a dimostrazione che non fu il prodotto a<br />
“cedere” ma la capacità di adattarsi ai cambiamenti dei tempi… Stessa<br />
sorte per Lowther mentre le creature di Peter Walker, che fondò la Quad<br />
nel 1936, o di Gilbert Briggs, sono finite in mani orientali nei più recenti<br />
capovolgimenti del mercato, mantenendo chi più chi meno una loro<br />
“decenza”. Per quasi tutte queste storie rimangono gli inizi pionieristici:<br />
il primo prototipo di un altoparlante a sospensione pneumatica nacque<br />
nella cucina di Rosemary Vilchiur, la moglie di Ed; Briggs costruì il suo<br />
primo diffusore nella cantina della sua casa situata in una valle dello<br />
Yorkshire solcata dal fiume Wharfe, che avrebbe dato nome al marchio…<br />
Nel vissuto della maggioranza di questi personaggi c’era una genuina<br />
passione per la musica: non è un caso che sia Saul Marantz che Avery<br />
Fisher, una volta conclusa la loro “missione”, siano diventati filantropi<br />
nel settore musicale (a entrambi sono intitolate delle concert hall alla<br />
cui realizzazione contribuirono con le loro donazioni)…<br />
L’arrivo degli anni Sessanta costituisce un ulteriore spartiacque: è il<br />
momento dei registratori reel to reel, viene introdotta la tecnica stereo,<br />
il multitraccia e, soprattutto, arrivano i transistor: possedere il know<br />
how in merito stabilisce nuove “soglie di ingresso” e ridisegna la mappa<br />
Evoluzione della specie<br />
Nelle foto: prima industrializzazione alla Altec Lansing, la fabbrica modello<br />
della Linn, realizzata nel 1980 dall’architetto Richard Rogers. Alto livello<br />
di automazione (con due macchine SMD e magazzino completamente<br />
automatizzato) destinata a una produzione unicamente Hi-end!<br />
1956 La posa della prima pietra della sede di Anaheim di Altec Lansing, a lungo uno<br />
dei più grossi centri di produzione Hi-Fi.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 23
inside<br />
In alto: 1958 Se il primo diffusore a sospensione pneumatica fu l’AR-1 (1954), subito<br />
un successo, due anni più tardi è la volta degli AR-2, una versione semplificata e<br />
meno costosa del precedente modello. Negli anni successivi Vilchiur approfondisce<br />
le problematiche della gamma alta e nasce il tweeter a cupola con radiazione diretta<br />
che viene brevettato e utilizzato nel 1958 negli AR-3, considerati il capolavoro<br />
del progettista: sono in mostra al Museo Nazionale di Storia Americana presso lo<br />
Smithsonian Institute di Washington.<br />
In basso: 1959 Harman Kardon dà vita alla prima coppia di prodotti Hi-end, il<br />
pre Citation I e il finale Citation II. Il progetto è di Stewart Hegeman, uno dei grandi<br />
progettisti di apparecchi a valvole dell’epoca. L’apparecchio offriva controlli di tono<br />
separati per canale e utilizzava 9 ECC83/12AX7 e 5 ECC81/12AT7.<br />
del potere (una sorta di prova generale di quanto poi accaduto massicciamente<br />
nell’era del digitale!): è il momento di nomi come Pioneer,<br />
Yamaha, Sony, Sansui. Poi l’ingresso massiccio dei produttori giapponesi<br />
negli anni Settanta… A ben vedere il tempo che ci separa da allora è stato<br />
scandito da mini-ere che hanno ognuna sommovimenti e nuovi equilibri<br />
dove si alterna da un lato l’effetto “divide” generato dal possesso o meno<br />
del “sapere” e dall’altro la possibilità (quasi una necessità genetica) di<br />
condividerlo e renderlo disponibile in maniera massiccia! Celebri rimangono<br />
le lotte tra le aziende per imporre i loro formati; altrettanto celebri<br />
i “tonfi” eccellenti di chi rimane fuori dal gioco: Elcaset, Betacam, Video<br />
2000, Mini Disc. Nel periodo in cui veniva lanciato il compact disc ebbi<br />
la fortuna di viaggiare sovente in giro per il mondo e apprezzare i molteplici<br />
tentativi da parte di più aziende di imporre il loro formato per la<br />
lettura al laser, prima che il cartello Philips – Sony soverchiasse gli altri,<br />
non senza “rigurgiti” anche assai postumi: perché, altrimenti, proporre<br />
in tempi relativamente recenti l’alternativa SACD vs. DVD Audio che,<br />
in sostanza, non ha favorito né l’uno né l’altro?<br />
Nella road map dell’evoluzione tecnologica, caratterizzata dall’impennata<br />
rappresentata dall’approdo alle tecnologie digitali, un elemento di<br />
continuità è rappresentato dal rapporto tra industrializzazione e artigianato<br />
(anch’esso in costante evoluzione) che ha portato in massima<br />
parte i produttori a trasformarsi da piccole realtà “one man band” a<br />
più o meno piccole aziende, rendendo “periferici” gli altri quando non<br />
del tutto invisibili. Ognuno ha interpretato a suo modo e con le armi a<br />
disposizione le mutate esigenze del mercato ma fondamentalmente possiamo<br />
identificare alcune linee guida principali che hanno caratterizzato<br />
chi offriva prodotti di eccellenza: c’è ci ha “venduto l’anima al diavolo”<br />
cedendo l’azienda a finanziatori di multinazionali, spesso orientali (ma<br />
è una tendenza che attualmente sembra tornare sui suoi passi); chi ha<br />
potuto appoggiarsi a strutture industriali più grandi e “amiche” (il caso<br />
tipo è quello di Linn che non avrebbe potuto diventare quella che è se i<br />
Tiefenbrun non avessero posseduto un’azienda meccanica a più largo<br />
raggio d’azione) e chi, il più a lungo possibile, ha cercato di mantenere<br />
vivo l’aspetto artigianale del suo lavoro, pur all’interno di strutture industriali.<br />
Il caso più eclatante è molto vicino a noi ed è quello della Sonus<br />
Faber nel periodo di Franco Serblin, ma si tratta più dell’eccezione che<br />
della regola, considerando che Serblin già allora era una sorta di mosca<br />
bianca avulsa alle tematiche “seriali” che pure l’azienda affrontava e<br />
doveva affrontare.<br />
In tempi recenti abbiamo assistito al completo ribaltamento delle logiche<br />
abituali: una volta era il genio, l’artigiano, l’inventore a dare la<br />
linea che poi veniva assorbita dal processo industriale. I più grandi<br />
laboratori di ricerca affidavano agli specialisti il compito di intuire e<br />
interpretare i frutti più estremi della loro ricerca “pura”: è il caso della<br />
strana relazione tra il NatLab (il laboratorio di ricerca della Philips) e<br />
alcune aziende di ben altre dimensioni come la Micromega, al tempo<br />
di Daniel Schar. Oggi sono determinati movimenti d’opinione, frutto di<br />
ingenti risorse intraprese, a dare vita a modelli di sviluppo che solo in<br />
seguito possono essere utilizzati da piccoli produttori e artigiani! Forse<br />
è un caso, forse no, ma proprio l’avventura da costruttore di Daniel<br />
Schar si è conclusa (benché l’azienda sia stata tra le avanguardie del<br />
digitale) proprio lì dove per il rilancio, in un mondo ancor più digitale,<br />
è stato necessario appoggiarsi a patrimoni finanziari di ben altra portata!<br />
In tempi ancor più recenti (e in uno stato di crisi latente dell’Hi-end<br />
24 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />
A sinistra e al centro: 1973 Ivor Tiefenbrun fonda la Linn con lo scopo di produrre il giradischi Sondek LP 12, tutt’ora in commercio. Per farlo si appoggia alla Castle Precison,<br />
azienda meccanica di famiglia. Nel 2007 il figlio Ghilad rilancia l’azienda introducendo la linea DS, digital streamer, con il primo prodotto Hi-end di questo tipo: primo in<br />
assoluto e primo di una ampia gamma di prodotti destinati alla musica liquida.<br />
A destra: 1980 Nascono gli Snail, il primo avveniristico e utopico progetto di Franco Serblin (1939 – 2013); solo tre anni più tardi vedrà la luce Sonus Faber, azienda che riportò<br />
in auge i mini diffusori e il fascino delle essenze lignee.<br />
per cui “tutto è in vendita”) lo stesso Bob Stuart, genio e precursore nel<br />
campo digitale, ha dovuto cedere il controllo finanziario di Meridian a<br />
una cordata di grandi investitori parte della galassia che ruota attorno<br />
a giganti quali Richemont e New Regency, sebbene Bob sia tuttora in<br />
grado di sviluppare innovazioni sostanziali in questo settore (vedi in altra<br />
parte della rivista). L’attuale fase attraversata da economia e sviluppo<br />
industriale punta su un modello che, favorendo la diffusione massima<br />
dei beni, quasi inevitabilmente lo fa a danno della qualità.<br />
In un panorama così tratteggiato esiste ancora e quale può essere il ruolo<br />
del prodotto Hi-end? E il principio stesso dell’Hi-end, dell’alta fedeltà<br />
o dei prodotti di eccellenza (perlomeno<br />
quello “tradizionalmente”<br />
tramandato fino ad oggi) non è<br />
messo a repentaglio proprio perché<br />
è (o dovrebbe essere... ) un irrituale<br />
connubio di artigianato –<br />
industrializzazione dove al primo<br />
sono connessi gli assetti legati alla<br />
qualità e al secondo quelli della<br />
diffusione?<br />
Nell’arco dello scorso secolo e di<br />
quello in corso abbiamo assistito<br />
a una progressiva specializzazione<br />
produttiva durante la quale l’attività artigianale o è riuscita a trasformarsi<br />
in attività industriale o, più di frequente, ha dovuto capitolare, ricercando<br />
soggetti in grado di garantire capitali ingenti per finanziare l’aumentato<br />
fabbisogno. Non solo sono aumentate le dimensioni del mercato ma<br />
ne è cambiata la faccia: inizialmente le sorti dell’artigiano erano legate<br />
all’esistenza di una clientela fissa, di ridotte dimensioni, una sorta di<br />
“prodotto a km zero”. L’ampliamento del mercato e la sua polverizzazione<br />
(oggi assoluta, grazie alla presenza di un mercato virtuale online)<br />
rendono indispensabile per le sorti di un marchio anche di nicchia la<br />
presenza di infrastrutture costose e ad alta complicazione gestionale,<br />
elementi lontani dalla gestione del tradizionale “buon padre di famiglia”<br />
di un tempo. Non che la dimensione artigianale ne venga così completamente<br />
cancellata: da un lato essa è avvalorata dalla richiesta, da una<br />
1984 Il Meridian MCFD è stato il primo lettore CD audiofilo; l’azienda era stata anche<br />
la prima casa inglese a produrre un CD e la prima al mondo a produrre diffusori<br />
attivi, cavallo di battaglia nel passato della filosofia di Bob Stuart e Allen Boothroyd,<br />
i fondatori dell’azienda (1977).<br />
parte di utenza, di un’elevata qualità del prodotto e del servizio che lo<br />
contraddistingue; dall’altro la storia ci insegna che a una cultura monolitica<br />
centralizzata e fondata sul concetto di uniformità succede o si<br />
alterna una cultura basata sulla differenziazione e sulla specificità. Ma<br />
che cosa identifica, al giorno d’oggi, il prodotto di eccellenza (nel nostro<br />
caso il prodotto Hi-end visto che il termine, sebbene si attagli a tutti i<br />
segmenti di maggior pregio, viene utilizzato quasi esclusivamente nel<br />
settore della riproduzione musicale)? Specificità, differenziazione, aspetti<br />
di eccellenza nelle performance e nell’aspetto, servizio pre e post vendita<br />
sono probabilmente i principali aspetti da esaminare ma quanti marchi<br />
e prodotti tra quelli inseriti nell’Annuario<br />
(e più in generale presenti<br />
nel mondo) sono in grado di ottemperare<br />
questi aspetti?<br />
Una Ferrari è sicuramente scomoda,<br />
il cambio assai meno morbido<br />
di quello di una Mercedes, ma ha<br />
comunque un’accelerazione e una<br />
velocità di punta che la distinguono.<br />
Un vestito di sartoria ha la sua<br />
unicità, una teiera dell’Ottocento<br />
ha aspetti non propagabili all’omologo<br />
attuale. Quale può essere l’atout<br />
dell’Hi-end? Non sono certo le performance assolute che, soprattutto<br />
oggi, sono a ricasco della grande industria che segna, con l’introduzione<br />
o il ritiro dal mercato dei componenti, l’orizzonte nel quale muoversi,<br />
soprattutto nell’ambito del digitale. Proprio qui, se ci si attiene alle performance,<br />
assistiamo al paradosso estremo: prodotti economicissimi frutto<br />
di una logica industriale sono decisamente più performanti, più aggiornati,<br />
almeno sulla carta, dei prodotti cosiddetti “di eccellenza”. Cosa vera,<br />
maggiormente, soprattutto se ci si muove in quel crogiuolo in perenne<br />
evoluzione che è l’area di mercato caratterizzata dalla sovrapposizione<br />
tra elettronica e informatica! Non sono da meno le caratteristiche del<br />
“vestito”, perlomeno in termini di qualità e robustezza, dove i numeri<br />
della produzione industriale garantiscono logiche di efficienza sconosciute<br />
all’artigianato: i prodotti di gamma alta dei marchi consumer<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 25
inside<br />
1999 Studente al MIT, collaboratore per A.R. (dove sviluppò insieme a Vilchiur gli AR-1), KLH, Advent (che fondò) e Cambridge Sound Works, Henry Kloss (1929 – 2002) ha<br />
dato vita a quel fenomeno di costume che è stata la radio Tivoli.<br />
(in particolare quelli giapponesi) hanno livelli costruttivi, contenuti in<br />
termini di componenti e qualità dello chassis, irraggiungibili dai vari<br />
Waiss, dCS e simili che, pure, ci provano…<br />
Esistono ancora margini di manovra in termini di inventiva sebbene<br />
contingentati dai paletti costituiti da potenziali tecnologiche determinate<br />
“più in alto”: Gordon Rancking non ha certo inventato l’USB ma<br />
ne ha rivoluzionato l’utilizzo sviluppandone un’applicazione asincrona;<br />
il lavoro di Ed Meitner in merito a SACD e DSD ha fatto si che questa<br />
tecnologia non tramontasse e, come accaduto recentemente, ritornasse<br />
addirittura in auge...<br />
Discorso a parte merita, con dovuta menzione, l’intuizione di Franco<br />
Serblin con Sonus Faber che riuscì a coniugare aspetti tipici dell’artigianato<br />
a una produzione vagamente commerciale; va altresì detto che<br />
proprio i termini di quell’equilibrio<br />
furono oggetto di diatriba all’intero<br />
dell’azienda e la ragione per cui<br />
Franco si allontanò dal marchio<br />
che aveva creato. Qualcosa di<br />
quell’humus è sopravvissuto se,<br />
2001 Meteore: Slimm Device introduce per prima uno streamer, lo Sqeezebox.<br />
Il successo è immediato e l’azienda entra nelle mire di Logitech che la rileva. La gamma<br />
di prodotti si amplia ma il fenomeno si spegne.<br />
proprio il gruppo di cui fa parte l’azienda<br />
vicentina (ieri Fine Sound,<br />
oggi World of McIntosh), ha puntato<br />
forte sull’idea di luxury Hi-Fi e<br />
la sta declinando in maniera decisamente inusuale, puntando sul servizio<br />
e sul senso di appartenenza.<br />
Altri, non molti, meriterebbero di essere citati ma va detto che il panorama<br />
è lastricato di buone intenzioni perché l’asticella di ingresso<br />
nel mondo della riproduzione sonora è oggi posta più in alto che in<br />
passato, almeno se si vuole conseguire una certa rilevanza. Interessanti<br />
in tal senso i casi di Slim Device e Simple Audio, per certi versi molto<br />
simili. Agli inizi del nuovo millennio un vero e proprio “genietto”, Patrick<br />
Cosson, dette vita alla Slimm Device e al suo Squeezebox, il primo rivoluzionario<br />
streamer che si sia affacciato sul mercato. A <strong>SUONO</strong> ne fummo<br />
folgorati offrendo un saggio delle sue prestazioni in occasione di un Top<br />
dove il termine “musica liquida” non era ancora di pubblico dominio!<br />
Poi Cosson, al culmine del successo, vendette tutto alla Logitech che,<br />
dopo un iniziale entusiasmo, valutò troppo piccolo (e lo è se si pensa<br />
ai numeri di mouse e tastiere!) il suo potenziale; così, il prodotto è progressivamente<br />
sparito dal mercato. Emblematico anche il caso di Simple<br />
Audio: l’azienda nasce da un gruppo di “transfughi” di Linn, insoddisfatti<br />
dalla scelta della casa scozzese di presidiare unicamente il target più<br />
elevato nei lettori streaming, pur disponendo di know how e risorse tra<br />
le più massicce. Capitanata da Peter Murphy, Simple Audio prova a sviluppare<br />
il suo prodotto sulla base di un modello di organizzazione ormai<br />
tipico: progettazione occidentale e produzione orientale. Il riferimento<br />
è al tempo stesso Apple (a cui gli<br />
apparecchi si ispirano nell’aspetto)<br />
e il target di Sonos, una fascia di<br />
mercato dove Simple Audio conta<br />
di posizionarsi un pochino più in<br />
alto, forte anche del superamento<br />
dell’unico limite evidente dei prodotti<br />
californiani: l’impossibilità di<br />
gestire i formati ad alta risoluzione.<br />
Poi, però, le release del software<br />
tardano a essere rinnovate e per lungo tempo la lettura dei file high<br />
resolution si ferma a 24/96… Nel 2014 Simple Audio viene acquistata<br />
da Corsair, gigantesco fornitore di terze parti per PC. E Simple Audio<br />
scompare dai radar, almeno da quelli legati al mercato dell’alta fedeltà.<br />
Purtroppo non bastano le buone idee per raggiungere il successo e<br />
spesso, in mancanza pure di quelle, è soprattutto un marketing ruspante<br />
legato alle parole chiave del nostro settore, reiterate pedissequamente nel<br />
tempo, a costituire la “chiave di ingresso” di sedicenti prodotti Hi-end sul<br />
mercato. Se si analizza l’offerta sotto questa luce sussistono effettivamen-<br />
26 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Evoluzione del concetto di Hi-end nella riproduzione sonora<br />
In alto: 2016 Dal 1953, anno di fondazione in cui Joseph Grado (1924 – 2015) trasformò<br />
il negozio di frutta della propria famiglia in un atelier per la produzione di<br />
fonorivelatori, la newyorkese Grado è rimasta fedele ai suoi valori artigianali. Tutt’oggi<br />
i prodotti della casa vengono prodotti negli stessi locali di Brooklyn.<br />
In basso: 2002 Gordon Rankin (1957) comincia la ricerca che lo porterà a sviluppare<br />
per Ayre il primo DAC con USB asincrona. Nel 1981 ha dato vita alla Waveleight Audio,<br />
è stato musicista e auto-costruttore.<br />
te pochi prodotti e ancor meno marchi che si possano definire Hi-end se il<br />
termine coincide col l’appellativo “di eccellenza”! Per tornare al paragone<br />
con il mondo automobilistico, anche la Ferrari è comunque un prodotto<br />
industrializzato, sebbene offra alcune performance di vertice, l’esclusività<br />
e il servizio connaturato al prodotto d’élite e al suo immaginario.<br />
Possiamo dire altrettanto di gran parte dei prodotti similari in Hi-Fi?<br />
Probabilmente di pochissimi... e il paradosso più evidente è che quasi mai<br />
a un prodotto di questo tipo corrisponde un “servizio”, inteso in maniera<br />
la più ampia possibile, sebbene sia e sarà, almeno così la pensiamo noi,<br />
altamente strategico non solo per ciò che offre e offrirà al “cliente” ma,<br />
soprattutto, come tornasole della capacità di chi offre prodotti e servizi<br />
di fornirli in maniera efficiente. Efficienza non solo verso il cliente ma a<br />
tutto campo: oggi è possibile, visto che gli strumenti di gestione che ci<br />
vengono messi a disposizione sono inclusivi, non distinguono (entro certi<br />
limiti) tra società grandi e società piccole ma piuttosto tra società che<br />
hanno chiaro o meno il loro target; offrono grandi opportunità a patto<br />
di avere un piano chiaro delle proprie esigenze. Opportunità trasversali<br />
che prescindono le dimensioni aziendali e, in parte, persino gli investimenti<br />
necessari: ci sono piccole aziende efficientissime (Sonos è una di<br />
esse) e giganti che sembrano balene spiaggiate! L’efficienza del servizio<br />
fornito (che vuol dire customer care ma anche capacità di pensare e<br />
aggiornare il prodotto in maniera opportuna) è determinante in quelle<br />
che via via vengono definite start up di successo o killer app e, in sostanza,<br />
quell’efficienza è la grande eminenza grigia che sta dietro prodotti,<br />
specialmente quelli di nuova generazione, e ne tira i “fili”. Efficienza che<br />
si tramuta in emozioni destinate al pubblico a cui sono rivolte: in questo<br />
senso il valore che abbiamo definito “di concretezza” di un prodotto e di<br />
un marchio ne diventa un fattore ineludibile se si vogliono perseguire<br />
risultati soddisfacenti. Oggi il vero fattore discriminante tra questo e<br />
quel prodotto è proprio questo: trovare soddisfatte le proprie esigenze, a<br />
volte prima di essere coscienti di averle… Se seguite <strong>SUONO</strong> da qualche<br />
tempo avrete percepito come a volte alcuni prodotti sono dei veri fuori<br />
quota: tutto sembra semplice e scontato, peccato che “gli altri” quelle<br />
caratteristiche non le abbiano.<br />
Siamo convinti che questi elementi di demarcazione siano in grado di<br />
distinguere oggi alcuni prodotti da altri e che solo ottemperandoli si<br />
possa parlare di vero Hi-end; che, in altre parole, si sia all’alba di un<br />
nuovo concetto di Hi-end, lontano dalle polverose convinzioni del passato<br />
via via state svuotatesi delle intuizioni e colpi di genio che le avevano<br />
generate. D’altronde il mercato si è di fatto ulteriormente radicalizzato<br />
e se molti degli apparecchi e dei marchi Hi-end sentono la necessità di<br />
ricollocarsi (ed è quanto sta accadendo, ad esempio, per Naim con Muso,<br />
per Micromega con la linea My, per Audioquest con i DAC portatili, per<br />
Arcam con la rSeries e così via), esiste ancora uno spazio, probabilmente<br />
ancor più di nicchia, per l’eccellenza; perché un buon sarto, un buon<br />
calzolaio e, perché no, un eccellente prodotto per riprodurre la musica<br />
sono merce rara ma ricercata, proprio in contrapposizione al mainstream,<br />
che oggi consente di ottenere risultati di media qualità con minor<br />
sforzo che in passato. A questo tipo di cliente occorre però offrire quel<br />
registro di emozioni e performance, quell’appartenenza più che a un prodotto<br />
a una filosofia, tipici degli status symbol; una definizione, quest’ultima,<br />
che ci piace interpretare nella sua accezione più positiva, ovvero di<br />
appartenenza a una condizione d’élite come quella di chi ama davvero<br />
la musica e la sua riproduzione.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 27
inside<br />
di Rocco Mancinelli<br />
Ciare: l’ultima<br />
dei mohicani<br />
Era l’ultimo esempio di industria italiana<br />
specializzata nel settore. Ora c’è il fondato<br />
rischio che certe lavorazioni artigianali, come<br />
la produzione di coni per altoparlanti in carta,<br />
scompaiano per sempre...<br />
Il nome per esteso, Costruttrice Italiana Altoparlanti Radio Elettronica<br />
ai più non dirà niente; l’acronimo CIARE, invece, ha attraversato<br />
la storia dell’alta fedeltà, rappresentando l’eccellenza italiana,<br />
un tempo in buona compagnia, poi sempre più solitaria (perlomeno se si<br />
sta parlando di una dimensione aziendale) fino al recente triste epilogo.<br />
Nei suoi stabilimenti nascevano trasduttori per ogni tipo di applicazione:<br />
radio, TV, strumenti musicali, Hi-Fi, car e sistemi pro con la particolarità<br />
di utilizzare principalmente coni in carta, tecnologia di cui l’azienda<br />
deteneva il know how assieme a pochi altri al mondo. Nata come ditta<br />
individuale nel 1951, per volontà del fondatore Dino Giannini era rimasta<br />
un’azienda a conduzione familiare, affidata successivamente alla figlia<br />
del fondatore. Nel tempo il giro di affari era cresciuto esponenzialmente,<br />
fondato principalmente sulla produzione per terzi: il primo stabilimento,<br />
troppo piccolo, nacque già nel 1969, quando l’azienda si trasferisce in un<br />
edificio di 3.500 mq; da quel momento il personale cresce fino a quasi<br />
200 unità e la produzione arriva a toccare i due milioni e mezzo di pezzi<br />
l’anno! Molti di questi sono, però, destinati a un unico cliente (Meyer<br />
Sound): la garanzia di ordini regolari e abbondanti ha permesso all’azienda<br />
di fiorire ma nel momento in cui Meyer si allontana da CIARE diventa<br />
evidente il vuoto causato dal non aver coltivato in parallelo altri fornitori.<br />
È la prima grande crisi dell’azienda ma a entrare in crisi è, soprattutto,<br />
il modello autarchico propugnato dai Giannini. Se costruirsi tutto da<br />
soli (bobine, centratori, bordi, coni, membrane per alte frequenze, tweeter<br />
e driver a compressione ma persino le macchine per costruirli!) ha<br />
contribuito a creare un know how invidiabile, il non aver sfruttato un<br />
vantaggio competitivo di questa portata (gli altri costruttori si limitavano<br />
a formare in casa membrane per alte frequenze e a “trattare” coni e bordi)<br />
associato all’incapacità di stare al passo con i tempi è risultato decisivo:<br />
mentre altre aziende del settore si evolvevano in termini strumentazione<br />
di misura e software di modellazione, la CIARE rimaneva ferma. Se la<br />
possibilità di ideare e produrre quasi tutti i componenti chiave in casa<br />
garantiva cicli di lavorazione brevi, prima di raggiungere un risultato<br />
soddisfacente per il cliente si rendeva necessario un numero maggiore<br />
di cicli di prototipazione. In un modello di sviluppo dove il tempo è tutto,<br />
il ritardo nel riallinearsi è stato fatale. Non conosciamo i piani della<br />
Eighteen Sound che ha rilevato il marchio; certo è che se il patrimonio<br />
della CIARE, che abbiamo provato a raccontare nelle pagine che seguono,<br />
andasse perduto, sarebbe un gran peccato!<br />
28 <strong>SUONO</strong> luglio 2015
xxx xxx<br />
UN AMORE DI CELLULOSA<br />
Uno dei grandi vanti dell’azienda è stata la<br />
realizzazione delle membrana in polpa di cellulosa,<br />
lavorazione effettuata a partire dalla<br />
scelta delle materie prime più adatte per la<br />
preparazione dell’impasto iniziale. Si, perché<br />
è proprio dall’impasto che bisognava partire<br />
per ottenere un risultato soddisfacente e pregno<br />
del know how maturato in tanti anni di<br />
esperienza fatta sul campo. Un po’ come accade<br />
per i grandi chef che sono i primi a buttar<br />
giù una ricetta ma sono anche i primi a non<br />
seguirla in quanto sono i piccoli accorgimenti<br />
frutto di un affinamento progressivo che poi<br />
fanno la vera differenza sul prodotto finale.<br />
La scelta quindi inizia con il tipo di cellulosa<br />
da utilizzare per continuare sugli additivi aggiunti<br />
per ottener impasti adatti a vari scopi;<br />
poi i leganti per compattate il cono a fine lavorazione...<br />
Un altro passaggio molto importante<br />
è quello della triturazione della cellulosa<br />
per ottenere fibre lunghe oppure molto sottili,<br />
a secondo del tipo di cono da realizzare. Per<br />
questo erano state messe a punto due tipi di<br />
macchine distinte con ingranaggi e ruote dentate<br />
molto differenti fra loro, in grado di sminuzzare<br />
la cellulosa a fibre lunghe e spesse e a<br />
fibre corte e sottili. La preparazione della mescola<br />
è cruciale perché da questa derivano la<br />
qualità e le caratteristiche del prodotto finito e<br />
solo dopo la realizzazione della membrana di<br />
può verificare la bontà della preparazione. In<br />
questa fase ingredienti, dosaggi e procedure<br />
sono ben definite ma la componente umana<br />
e il tocco della persona esperta fanno sempre<br />
la differenza sopratutto in produzioni dove il<br />
controllo automatico non è garante in assoluto<br />
di risultati certi. Un po’ come il pizzico<br />
di sale aggiunto a metà cottura, quel QB che<br />
è necessario e fa la differenza!<br />
In questa come in altre occasioni o altri ambiti<br />
ci è capitato di vedere attraverso gli occhi<br />
dell’addetto esperto che, nonostante avesse<br />
seguito alla lettera un protocollo “granitico”<br />
ha la sensazione che bisogna “correggere”<br />
la mescola attuando delle piccole aggiunte.<br />
Non sapremo mai se si tratta di interventi<br />
determinanti, ma non avremmo mai prove<br />
del contrario. Comunque, ben venga il fattore<br />
umano!<br />
<strong>SUONO</strong> luglio 2015 29
inside<br />
SPIDER MEN<br />
Una delle lavorazioni tecnicamente avanzate e delicate realizzate direttamente in<br />
casa era lo stampaggio sia degli spider che delle membrane dei driver in alluminio e<br />
addirittura in titanio. Lo stampaggio non è una operazione semplice che restituisce<br />
risultati costanti, se non si dominano tutti i passaggi delle fasi lavorative.<br />
Per questo, CIARE realizzava in casa anche gran parte dei macchinari e delle matrici<br />
di stampa, anche perché certi affinamenti produttivi venivano messi a punto durante<br />
le fasi di lavorazione. La realizzazione degli spider, partendo da un tessuto ad alto<br />
spessore e utilizzando stampi riscaldati, è operazione delicata ma mai come quella<br />
della formatura delle membrane dei tweeter in cui una sottile lamina metallica viene<br />
“spremuta” lungo due matrici dallo spessore interno infinitesimale. Tuttavia anche<br />
la realizzazione degli spider e della installazione sulle membrane è operazione che<br />
viene fatta a mano su maschere di riscontro che simulano le condizioni di utilizzo e<br />
installazione finale. In pratica sono stati realizzati dei supporti con modelli di altoparlanti<br />
su cui vengono posizionate le sospensioni, incollate e trattate.<br />
Le operazioni di movimentazione e di stoccaggio in attesa dell’essiccazione dei collanti<br />
sono molto delicate e anche queste sono soggette il più delle volte alla sensibilità<br />
dell’operatore che deve tener conto di una serie di paramenti, molti anche di tipo<br />
ambientale in quanto al variare delle condizioni atmosferiche variano anche i tempi<br />
di “maturazione” dovuti ai materiali che spesso sono igroscopici o a lento rilascio<br />
di solventi.<br />
Oggi sembra anacronistico pensare a produzioni di massa così dipendenti dai fattori<br />
esterni, ma in ogni produzione di qualità le variazioni dovute a fattori esterni<br />
sono inevitabili e si possono solo apportare gli opportuni fattori correttivi che, nella<br />
maggioranza dei casi, fanno parte della sensibilità dell’operatore e della suo livello<br />
di competenza maturato con l’esperienza. E sono proprio quelli a fare la differenza!<br />
30 <strong>SUONO</strong> luglio 2015
xxx xxx<br />
ORIGAMI HI-FI<br />
La parte più delicata della realizzazione di una membrana<br />
in polpa di cellulosa con un processo produttivo<br />
di tipo a immersione, risiede nella preparazione di una<br />
amalgama e un bagno opportuno ma bisogna anche<br />
seguire passo passo tutte le fasi, ognuna delle quali<br />
ha tempi modalità e condizioni molto rigide e richiede<br />
gran manualità e sensibilità. La amalgama di fibre<br />
di cellulosa sminuzzate e mescolate ad altri materiali<br />
inerti e leganti, deve essere ben dosata e mantenuta<br />
in una sospensione omogenea e bene distribuita nella<br />
vasca di pescaggio. A questo punto un setaccio traforato<br />
con la forma a cono dell’altoparlante da realizzare<br />
viene immerso nella vasca ed estratto con decisione.<br />
In questa fase raccoglie le fibre nel suo percorso che<br />
si adagiano sulla superficie e perdono la maggior parte<br />
dell’acqua. Il “colino” viene lasciato ad asciugare<br />
un certo tempo e poi viene immesso in una macchina<br />
che comprime la cellulosa fra il colino traforato e<br />
uno stampo che darà la forma alla parte anteriore del<br />
cono, tramite un trattamento termico che asciugherà<br />
il cono e consoliderà le fibra le une con le altre. A questo<br />
punto il cono, quasi del tutto asciutto e vicino alle<br />
caratteristiche meccanico fisiche del prodotto finito,<br />
verrà analizzato con l’unico metodo certo: la misura<br />
della massa finale tramite una bilancia di precisione.<br />
Se rientra nelle specifiche allora il cono passa alla lavorazione<br />
successiva, altrimenti rientra negli scarti di<br />
lavorazione e i risultati ottenuti diventano determinanti<br />
per apportare le opportune modifiche e correzioni<br />
alle fasi produttive precedenti in modo da avere i coni<br />
successivi che rientrano all’interno delle specifiche di<br />
produzione. Ogni passaggio deve essere effettuato con<br />
estrema delicatezza ma anche con una certa celerità,<br />
basti pensare che il cono è delicatissimo prima della<br />
formatura e deve essere maneggiato senza deformare<br />
la struttura e che gli equilibri del bagno si sospensione<br />
sono molto delicati e variano con estrema facilità.<br />
CIARE ospitava spesso tecnici stagisti anche provenienti<br />
dall’estero che effettuavano periodi di formazione,<br />
in quanto era una delle poche aziende al mondo<br />
a produrre membrana in carta con questo processo<br />
produttivo, ottenendo risultati con un elevato controllo<br />
di qualità.<br />
Ci sono altri metodi per ottenere coni in cellulosa stampata:<br />
questo era uno dei più delicati ma al contempo<br />
accurati per ottenere risultati che coniugano rigidità<br />
e leggerezza dei coni. Anche se si tratta di un processo<br />
molto delicato e che deve essere mantenuto sotto<br />
controllo da personale esperto (ma anche talentuoso!),<br />
il risultato è ancora oggi un punto di riferimento almeno<br />
per quanto riguarda alcuni tipi di coni di grandi<br />
dimensioni, impiegati prevalentemente nel settore<br />
professionale.<br />
<strong>SUONO</strong> luglio 2015 31
inside<br />
di Daniele Camerlengo<br />
Un Maestro<br />
“tutto a mano”<br />
Come fa un autore particolarmente prolifico, che sfida se stesso su più piani, ad aver pubblicato un<br />
unico, se pur abbondante, lavoro su disco? Lo abbiamo chiesto al diretto interessato!<br />
Ezio Bosso è, per cosi dire, nato musicista, visto che frequenta<br />
l’arte delle sette note dall’età di quattro anni grazie agli<br />
insegnamenti di una prozia pianista e del fratello anch’egli<br />
musicista. Già a 16 anni debutta come solista in Francia e inizia<br />
a girare le orchestre di mezza Europa. Da subito si distingue<br />
per la sua notevole poliedricità che gli consente, a partire dalle<br />
composizioni classiche, scorribande tanto con le grandi orchestre<br />
sinfoniche che con quelle da camera o solistiche, con “incursioni”<br />
nel mondo del cinema (la colonna sonora di Io non ho paura di<br />
Gabriele Salvatores) e nel teatro, nella danza e nella sperimentazione<br />
con la musica contemporanea. Eppure, nonostante l’immensa<br />
mole di opere, composizioni e collaborazioni, al suo attivo vanta<br />
un unico disco solista ufficiale, The 12th Room, costituito da due<br />
parti, separate anche fisicamente in altrettanti dischi: dodici brani<br />
uno, un’unica suite da 45 minuti, senza interruzione, l’altro... Quasi<br />
a sottolineare almeno due delle anime del musicista…<br />
Come ti sei avvicinato a questo meraviglioso strumento<br />
che è il pianoforte?<br />
Quando penso alla musica la concepisco come un fattore magico<br />
della preesistenza, una vera magia, come quella delle favole; in<br />
particolare, mi piace citare quella di Harry Potter: non è il mago a<br />
scegliere la bacchetta magica ma è quest’ultima a scegliere il mago!<br />
Sono convinto che sia così: lo strumento viene da te. A volte i genitori<br />
hanno un ruolo determinante nella scelta dello strumento,<br />
altre volte è la vita che decide per te. Spesso noi uomini vogliamo<br />
relegare le cose belle, quelle magiche, a dei fattori pratici e anche<br />
un po’ cinici; nella musica, invece, è tutto diverso: da posture<br />
strane, da cose meccaniche nasce una poesia infinita.<br />
Un rapimento vicendevole… C’è stato lo zampino di qualcuno,<br />
oppure un ascolto che ti ha affascinato?<br />
Da bambino mi entusiasmavo solo per la musica: ogni volta che<br />
32 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
INTERVISTA ezio bosso<br />
vedevo uno strumento diventavo felice. Mio fratello maggiore, che<br />
è stato anche un po’ il mio papà, avendo dodici anni più di me, si<br />
accorse subito che la musica era la mia felicità e convinse il resto<br />
dei miei familiari a farmi andare avanti nel mio percorso musicale.<br />
Quindi hai iniziato gli studi… raccontaci il tuo percorso,<br />
cosa ti è piaciuto e cosa no.<br />
Appartengo all’ultima generazione di musicisti che ha studiato<br />
con metodi di studio ottocenteschi, particolarmente rigidi. All’età<br />
di quattro anni la mia insegnante era una prozia: non mi ha fatto<br />
toccare il pianoforte finché non ho imparato il solfeggio. Ho appreso<br />
prima a leggere la musica che a leggere le parole. Quando<br />
sento che le persone abbandonano la musica per colpa del solfeggio<br />
rimango stupito; è come non voler parlare più perché non si<br />
vuole imparare la grammatica. Volevo conoscere questo linguaggio<br />
meraviglioso per arrivare al piano, per me era un’urgenza. Non mi<br />
piaceva quel metodo, io volevo suonare Bach, ma lei mi insegnava<br />
solo la tecnica. Questo era un sacrificio nella sua accezione più<br />
bella nella sacralità di arrivare. Poi il mio ultimo maestro, quello<br />
vero, mi disse: “lo so che tu vuoi fare il diverso, io ho ottant’anni<br />
e so quello che faccio, tu adesso fai come faccio io e poi troverai<br />
la tua strada.”<br />
La Figura di riferimento di quel periodo, un Eroe o un<br />
periodo musicale.<br />
Da bambino il mio mito era Franz Liszt e, di nascosto, dirigevo Les<br />
Préludes di Liszt. Nel corso della mia carriera ho diretto tanta<br />
storia della musica ma mai Les Préludes di Liszt; suono Chopin,<br />
che però era protetto da Liszt, e mi piaceva molto anche Niccolò<br />
Paganini. In effetti, li vedevo come dei supereroi con i loro capelli<br />
lunghi e le basette. Anche io, da grande, ho avute le basette e mi<br />
sono accorto che vestivo ottocentesco… quei personaggi erano<br />
dentro me.<br />
C’era un Compositore più moderno che ti affascinava<br />
sempre in quel periodo…<br />
Da bambino amavo Claudio Abbado, mi sembrava di conoscerlo<br />
da sempre, era una persona gentile. Mi ricorderò sempre di un<br />
“Pierino e il lupo” con Benigni, all’epoca avevo 10 anni. Poi l’ho<br />
conosciuto a vent’anni e ho suonato con lui nella sua orchestra,<br />
la Chamber Orchestra of Europe. Col tempo ho avuto anche la<br />
fortuna di diventare suo amico. Altro personaggio per me particolarmente<br />
importante è Ludwig Streicher.<br />
amano la mia musica, la considerano un loro arricchimento. Se<br />
fossi stato un buon musicista di cinema avrei fatto tutti i film di<br />
Salvatores, ma per me è stato bello così, è stata una palestra di<br />
umiltà: infilare i tuoi pensieri nei tempi di un montatore, di un<br />
regista o di un produttore.<br />
Come vedi l’Italia dal punto di vista della musica, della<br />
cultura e delle arti, vivendo fuori dal nostro Paese?<br />
Vedo un Paese spaccato a metà: da una parte le persone hanno<br />
desiderio di arte, di bellezza, di poesia, di cultura, dall’altra chi<br />
amministra ne ha un po’ paura e questa paura li inibisce. La musica<br />
libera fa perdere il senso del tempo, un’altra magia che sottolineo<br />
sempre ai miei colleghi quando dirigo o ai miei studenti quando<br />
li ascolto; ti rendi conto di possedere uno dei più grandi poteri<br />
dell’universo che è il tempo. Si dice persino “rubare il tempo”, quel<br />
tempo possiamo farlo correre o fermalo, questo è il grande potere<br />
che abbiamo noi musicisti. Dobbiamo esserne responsabili, chi ci<br />
mette le mani, chi organizza e chi scrive, deve usare questo potere<br />
con responsabilità, come diceva lo zio di Peter Parker: “Da ogni<br />
grande potere deriva una grande responsabilità.”<br />
Qual è l’insegnamento più importante che trasmetti ai<br />
tuoi allievi?<br />
Il più grande insegnamento della musica è ascoltare… un bravo<br />
musicista sa ascoltare e quando ascolti sei generoso, non suoni mai<br />
per te, suoni sempre affinché l’altro suoni meglio di te; questi vasi<br />
che comunicano creano il “terzo suono”, quello che non è scritto.<br />
Favorire l’ascolto dell’altro, renderlo chiaro, su questo lavoro.<br />
In una tua playlist, quali brani o compositori non mancherebbero<br />
mai?<br />
Non mancherebbero mai Bach, Les Préludes di Liszt, brani di John<br />
Cage, Chet Baker, Miles Davis, Paolo Fresu… troppi da elencare.<br />
La dodicesima stanza è il tuo primo disco fisico, pertanto<br />
fino ad ora hai vissuto in un mondo musicale liquido.<br />
Cosa ne pensi?<br />
Ho varcato quel confine perché la gente me lo chiedeva. In passato<br />
nessuno mi faceva fare un disco. Per il mio lavoro ho registrato<br />
tanto, anche in luoghi importanti come Abbey Road; ho lavorato<br />
Sei famoso in Italia anche per le colonne sonore che hai<br />
realizzato per i film di Gabriele Salvatores: Io Non Ho<br />
Paura, Quo Vadis Baby? e il recentissimo Il Ragazzo<br />
Invisibile. Ti piace il ruolo del compositore di “musica<br />
per immagini”? Rifaresti la stessa esperienza?<br />
Ripeterei l’esperienza. Devo ammettere che la colonna sonora del<br />
film più famoso tutto era tranne che musica da cinema; potrei dire,<br />
anzi, che sia stata un insulto per chi fa musica da cinema. Un bravo<br />
comico romano mi disse che non facevo colonne sonore ma piccole<br />
poesie inserite poi nelle colonne sonore. Alcuni registi e coreografi<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 33
inside<br />
C’è un aneddoto della tua carriera che ricordi con molto<br />
piacere?<br />
Me ne vengono in mente due, il primo è divertente: mentre dirigevo<br />
un’orchestra, il primo violino, grandissimo strumentista russo,<br />
mi disse: “Maestro, però lei ogni volta ci chiede il massimo e finisce<br />
le prove come se avesse fatto non uno ma quattro concerti<br />
assieme, invece bisogna risparmiare le energie”. Gli risposi che<br />
solo attraverso l’energia la musica ci regala il feedback della conoscenza;<br />
e se uscendo dalla porta mi cadesse un pianoforte sulla<br />
testa? Morirei avendo come ultimo pensiero quello di aver suonato<br />
un po’ moscio. Voglio sempre suonare fino in fondo, ogni giorno,<br />
dando tutto me stesso. Il secondo riguarda la donna che amo, l’ho<br />
conosciuta proprio mentre suonavo, mi sono girato e lei era lì…<br />
con i più grandi fonici del mondo, e nessuno capiva perché le case<br />
discografiche non fossero interessate, nonostante il pubblico mondiale<br />
mi chiedesse dove poter trovare la mia musica. Per un po’ è stata<br />
una frustrazione, poi decisi di condividere un pezzo della mia storia<br />
regalando alle persone l’accesso alle mie composizioni; così, ho pubblicato<br />
tutto in modo che vi potessero accedere. A Spotify preferisco la<br />
bellezza del gesto di mettere il disco e fermarsi un attimo. Un disco è<br />
una fotografia di un momento, come quando trovi delle vecchie foto;<br />
tutte le mie registrazioni sono quasi live, mi piacciono le foto vecchie,<br />
quelle di Whitman con il difetto, mi piace il rumore della vita. Mi piace<br />
l’idea che ci sia l’imperfezione e il respiro della gente.<br />
The 12th Room rappresenta un percorso unico, dodici<br />
stanze alle quali hai dato dei nomi emblematici.<br />
Sono dodici stanze della vita di chiunque. Non pensiamo mai a<br />
quanto in realtà siano importanti le stanze. Quelle che racconto<br />
sono stanze che ho vissuto, dal cui incontro sono nati dei racconti<br />
come quello di The Tea Room, del veterano inglese che vuole apparecchiare<br />
la stanza più bella per liberarsi dell’orrore della guerra,<br />
legarsi a una stanza bella per scappare dal buio della violenza. Ho<br />
realizzato un libro fatto di piccoli racconti che portano a quella<br />
dodicesima stanza che in realtà è la tredicesima.<br />
La Sonata No.1 in G minor è colore ed emozione. Perché<br />
hai scelto questa forma musicale?<br />
La forma sonata è arrivata da sola e allo stesso tempo sono legato<br />
ad essa. Le mie composizioni derivano quasi tutte da quella forma<br />
ancora da esplorare e da cambiare, proprio come ha fatto il mio<br />
papà Beethoven. La sonata è un percorso. La forma è importante<br />
nella musica perché è una responsabilità: io vivo, non è solamente<br />
espressione di cuore e amore, essa pervade le nostre cellule, entra<br />
nel cuore ma deve farci pensare. Split Postcards From Far Away<br />
(The Tea Room) è una piccola sonata, dove c’è un’ introduzione<br />
che diventa movimento veloce, un trio e poi la coda.<br />
Hai avuto una brutta esperienza di salute e attraverso<br />
di essa sei riuscito ad apprezzare la bellezza della vita.<br />
Penso sia molto importante ridere e gioire della propria vita;<br />
spesso cercano di farmi fare “il testimonial della sfiga”, vogliono<br />
stigmatizzare la mia malattia a scopi mediatici. Sono un uomo<br />
che ha una disabilità evidente in mezzo a un’umanità che ha altri<br />
gravissimi disagi interiori che non si vedono, tristezze varie. Dico<br />
sempre che sorridere avvicina più dei passi, fa andare molto più<br />
lontano, apre molte più porte.<br />
Come nascono le tue composizioni?<br />
Attraverso lo studio: faccio tante ricerche, sono probabilmente un<br />
esploratore di ciò che gli uomini danno per scontato. Ho scritto sul<br />
respiro, sui cartelli stradali, sul mare, sugli alberi. Suono tutto a<br />
memoria, dirigo tutto a memoria, ricordo tutto ciò che ho suonato<br />
nella vita e questo crea in me, probabilmente, una tecnica per<br />
scrivere di cui io sono inconsapevole. Non chiedetemi come si fa,<br />
non lo so, però bisogna innanzitutto studiare.<br />
Dirigere cosa significa, come lo spiegheresti a un<br />
profano?<br />
Dirigere è la dimostrazione della magia. Con una bacchetta si<br />
scatenano il paradiso e l’inferno, la forza e la delicatezza, dirigere<br />
è stare insieme agli altri, è motivare, è essere mentore. In inglese<br />
è una delle parole più belle: conducting, condurre come un filo<br />
tra tutti, condurre l’elettricità come fa il rame. Alle volte vorrei<br />
stare seduto, aspettare l’orchestra che arriva e prende l’applauso.<br />
Descrivici il tuo rapporto con le arti.<br />
Mi piace molto leggere ma adoro tutte le arti. Spesso mi etichettano<br />
come minimalista, forse perché ho un cognome a cinque lettere<br />
come tutti gli esponenti ufficiali: Glass, Young, Reich, Riley. Il mio<br />
rapporto con il minimalismo nasce grazie alle idee di Sol LeWitt<br />
e David Tremlett: ho avuto la fortuna di ispirarmi alla ricerca<br />
dell’essenza che ti stupisce. Mi piace tutto ciò che arricchisce e<br />
migliora le nostre vite.<br />
Il libro Le dodici stanze di Monsieur Hannibal dello scrittore<br />
Hervé Jaouen sembra avere delle vicinanze concettuali<br />
con il tuo lavoro discografico.<br />
Come direbbe Goethe, si tratta di un’affinità elettiva; probabilmente<br />
anche lui si ispirò a questa teoria misteriosa, la vita non è un<br />
tempo ma essa è uno spazio e lo spazio è infinito, basta viverlo…<br />
Adesso cosa ti aspetta?<br />
Ora inizia questa tournee mista di presentazioni ma sicuramente<br />
tornerò a suonare con il mio amico Mario (Brunello) e avrò tanto<br />
altro da fare...<br />
34 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
inside<br />
di Franco Vassia<br />
Sulle corde<br />
di Shawn<br />
Nato a Fort Worth, in Texas, il 3 febbraio 1943, Shawn Phillips può essere considerato un totem della<br />
musica senza confini, una vera e propria leggenda vivente.<br />
Il cantautore americano ha attraversato stili ed epoche musicali, ha<br />
partecipato da protagonista al Festival dell’Isola di Wight (dove<br />
nelle tre edizioni iniziali, 1968-1970, salgono sul palco anche Bob<br />
Dylan, Jimi Hendrix, Joe Cocker, Free, Who, Miles Davis, Jethro Tull,<br />
Ten Years After, Moody Blues, Leonard Cohen), ha collaborato con<br />
tutti i migliori artisti dell’epoca: da Donovan a Joni Mitchell, da Eric<br />
Clapton a Van Morrison, dai Juicy Lucy a Stevie Winwood. Prima d’intraprendere<br />
la strada del folk, Shawn muove i primi passi all’ombra del<br />
poeta / scrittore Jack Kerouac e nei circuiti della Beat Generation. Successivamente,<br />
influenzato dalle nuove sonorità indiane che appaiono<br />
all’orizzonte verso la metà degli anni Sessanta, si avvicina alle filosofie<br />
orientali e al sitar di Ravi Shankar. Studia la tecnica del respiro che gli<br />
servirà per modulare la voce in modo personalissimo. Miscelando le<br />
sonorità apprese in India con il folk di chiaro stampo americano e a<br />
testi non convenzionali, Shawn Phillips si trasferisce a Londra per dar<br />
vita a I’m a Loner, edito nel 1964 per la Columbia, album fortemente<br />
innovativo per quel periodo; Shawn, titolo del secondo lavoro nel 1965,<br />
si dedica invece alla rilettura di classici, da Pete Seeger a Barry McGuire<br />
(autore della bellissima Eve of Destruction); nello stesso periodo conosce<br />
Tim Hardin e dà lezioni di chitarra a Joni Mitchell. Il menestrello<br />
gallese Philip Donovan Leitch (la risposta europea a Bob Dylan) lo invita<br />
a suonare il sitar nel suo terzo 33 giri, Sunshine Superman del 1966.<br />
La musica di Shawn, fortemente contaminata e internazionale, trova<br />
la giusta dimensione in Italia, a Positano, dove si trasferisce nel 1967.<br />
È un momento particolarmente creativo il cui frutto è Contribution,<br />
COLLABoration<br />
1974<br />
Second CONTRIBUtion<br />
2015<br />
opera pregevolissima, incisa a Londra per la A&M (1970) dove, oltre ad<br />
avvalersi della presenza di personaggi del calibro di Stevie Winwood,<br />
Jim Capaldi e Chris Wood dei Traffic, sono riscontrabili “profumi”<br />
Rhythm and Blues. Il lavoro successivo, Second Contribution (1970),<br />
è eccellente e il sodalizio avviato con Paul Buckmaster genera autentici<br />
capolavori. Buckmaster è un abilissimo arrangiatore (famoso per la sua<br />
collaborazione con i primi lavori di Elton John e, in Italia, con Angelo<br />
Branduardi) che tende ad armonizzare il rock con accattivanti partiture<br />
sinfoniche e classicheggianti. L’album contiene The Ballad Of Casey<br />
Deiss, l’autentico manifesto dell’artista, ballata di struggente bellezza<br />
sorretta da un testo altamente lirico: “C’era un uomo dai lineamenti<br />
giovanili / c’era un ragazzo dagli occhi tristi / che guardava al mondo<br />
36 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
INTERVISTA Shawn Phillips<br />
esterno ma scrutava dentro di sé / alto e maestoso e pieno di vita /<br />
nella sua esistenza parlava molto raramente / nella sua mente implorava<br />
luce dipingendo percezioni / cercando di catturare ciò che<br />
scorgeva nel suo conflitto dubbioso / una volta a Lisbona, due volte a<br />
Londra/vagabondando tutto il tempo / alla ricerca di una divinità /<br />
prese Diana per moglie / di bambini ne avevano chiesti / due erano<br />
morti senza conoscere la vita/e della terza non so nulla / ma se vive<br />
sarà certo gentile / Casey aveva un marchio di semplice valore / e<br />
una stella in mezzo agli occhi/nelle mani aveva una lama d’accetta<br />
/ il simbolo greco del tuono e del fuoco / una notte tra il pianger dei<br />
cieli / venne fuori e prese la sua ascia / tagliando legna per riscaldare<br />
il cuore / il fulmine cadde e mio fratello morì / non portargli vino da<br />
lontani vigneti/non raccontargli storie della potenza degli abissi /<br />
ma auguragli pace e saggezza eterna/perché morì e la morte venne<br />
dalla luce”.<br />
Altri brani degni di nota sono la monumentale She Was Waitin’ For Her<br />
Mother At The Station in Torino And You Know I Love You Baby But<br />
It’s Getting Too Heavy To Laught, Sleepwalker e Steel Eyes. L’enorme<br />
quantità di materiale accumulato con Buckmaster viene utilizzato per la<br />
realizzazione di Collaboration, che esce nello stesso anno (1971) con la<br />
partecipazione creativa di Peter Robinson, tastierista degli storici Quatermass,<br />
della versione originale di Jesus Christ Superstar e dei Brand<br />
X, già presente nei due lavori precedenti ma qui particolarmente attivo.<br />
Nei due anni successivi altrettanti dischi: Faces, 1972, che recupera<br />
materiale inutilizzato del 1968 (tra cui We, destinata a diventare un<br />
singolo di successo) e Brightwhite, 1973, registrato negli States, lavoro<br />
che risente di una maggiore innervatura rock. Nel 1974, ancora sotto la<br />
guida di Buckmaster e di Robinson, incide Furthermore, ispirato dalla<br />
figura del padre, James Atlee Phillips, poeta e scrittore. Il successivo<br />
periodo è alquanto confusionario per Shawn che, incapace di trovare<br />
la giusta dimensione, tenta continue incursioni in generi alquanto<br />
spiazzanti: Do You Wonder del 1975 è, infatti, alquanto leggero mentre<br />
tenta strade e aforismi funky; Rumplestiltskin’s Resolve (1976), invece,<br />
sembra ritrovare gli antichi fasti. Spaced, del 1977, chiude il capitolo<br />
intrapreso con la sua storica etichetta, la A&M.<br />
Nel 1978 il passaggio alla RCA e<br />
il conseguente terremoto sonoro<br />
con Trascendence, dove c’è l’ingombrante<br />
produzione di Michael<br />
Kamen (Madonna, Pink Floyd,<br />
Rush, Metallica, etc). Successivamente<br />
si concede un lungo periodo<br />
di riflessione e di letargo fino a<br />
Beyond Here Be Dragons, 1983,<br />
dove fa capolino anche la musica<br />
elettronica, dato che la produzione<br />
è di Michael Hoenig, tastierista dei<br />
bravi Agitation Free, uno dei gruppi<br />
cardine del krautrock tedesco.<br />
Ancora un lungo periodo di silenzio<br />
fino a che, nel 1994, in Canada,<br />
esce Thruth If It Kills, che non aggiunge nulla di nuovo pur contenendo<br />
belle canzoni. Shawn si ritira in buon ordine dal mondo musicale e, una<br />
volta stabilitosi ad Austin, in Texas, si occupa di volontariato nel locale<br />
corpo dei Vigili del Fuoco. Nel 1997, a oltre trent’anni dal suo esordio,<br />
ritorna in pista con un tour che tocca l’Inghilterra, il Canada e il Sud<br />
Africa. Nel 1999 ritorna in Italia. Negli anni 2000, trasferitosi a vivere<br />
a Port Elizabeth in Sud Africa, ritrova parte della grinta degli anni migliori<br />
e pubblica diversi album, tra live, nuovo materiale e canzoni mai<br />
incise prima. L’ultimo è Infinity del 2014. Si parla da qualche tempo di<br />
un suo possibile tour europeo in acustico, che dovrebbe toccare anche<br />
l’Italia. Divertente che durante la conversazione alterni parole in idioma<br />
italo-campano, frutto dei tanti anni vissuti a Positano, e nell’inglese<br />
delle sue origini.<br />
Hai lasciato il segno nella musica degli anni ’70 con album<br />
straordinari... da Contribution a Second Contribution, fino<br />
a Rumplestiltskin’s Resolve. Hai avviato collaborazioni<br />
invidiatissime e i migliori musicisti dell’epoca facevano a<br />
gara per poter suonare con te. Eri uno dei personaggi più<br />
ricercati...<br />
Sì, è vero. Con l’aggravante che, purtroppo, oggi l’industria della musica<br />
è molto cambiata. Gli anni ’80 sono stati quasi interamente occupati<br />
dalla musica dance e uno dei miei più grandi problemi è che non ho mai<br />
potuto disporre di un singolo, di un 45 giri. Anche per questo motivo<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 37
inside<br />
FavoUrite THINGS<br />
1974<br />
INFinity<br />
2015<br />
l’industria non si è più interessata a me. Dopo qualche anno trascorso a<br />
pensare ho realizzato che, alla fine, questo non è nient’altro che un gioco<br />
per l’industria musicale. Così ho continuato a fare le cose di sempre e,<br />
ogni tanto, riesco anche a trovare dei soldi per realizzare un nuovo disco.<br />
È questo il segreto che mi ha permesso di produrre altri album, come<br />
quello su cui sto lavorando adesso. Sono stato anche tra i primi nella<br />
storia della musica a chiamare i fan per produrre il disco di un artista.<br />
Ci tengo a sottolineare di non aver niente a che spartire con l’industria<br />
musicale. Per qualche anno negli Stati Uniti ho fatto un altro lavoro,<br />
molto diverso da quello di un tempo. M’interessavo veramente della<br />
vita e della morte: dove abitavo non passava giorno che non ci fossero<br />
collisioni fra auto ad alta velocità. Quasi quotidianamente dovevo praticare<br />
interventi respiratori, massaggi cardiaci, curare ferite. Ho fatto il<br />
medico (tecnico di medicina) nel corpo dei Vigili del Fuoco, in Texas.<br />
Quindi, dopo aver vissuto per lungo tempo in Italia, sei tornato<br />
in Texas...<br />
Ho vissuto per ben tredici anni a Positano. Ma, nonostante il lavoro di<br />
vigile del fuoco occupi gran parte del mio tempo, continuo a comporre e<br />
suonare, perché credo che la mia musica sia unica. Amo molto la grande<br />
musica, quella orchestrale ma, come ho avuto modo di dire prima, non<br />
scrivo quasi più di situazioni immaginarie e, soprattutto, di cose che<br />
derivano direttamente dalla quotidianità. Credo sia difficile trovare<br />
qualcuno che possa avere delle analogie con la mia immaginazione, anche<br />
se penso che siano in tanti a identificarsi con l’esperienza della vita.<br />
La tua produzione è molto variegata: dopo un inizio particolarmente<br />
folk ti sei avvicinato a quasi tutte le discipline musicali,<br />
dalla musica etnica al R&B, dal funky all’elettronica.<br />
Oggi scrivo canzoni. Non credo di essere un cantautore nel vero senso<br />
della parola quanto, piuttosto, un compositore. Sono quasi trent’anni<br />
che scrivo musica classica, sul genere di Bach. Musica complicata, con<br />
una linea che sale e un’altra che scende. Hai capito? (Ride, mentre con<br />
la voce compie alcune scale classiche). Una scala scende e va “n’coppa”<br />
all’altra, nello stesso momento.<br />
Hai detto che ti senti maggiormente un compositore. Ricordo,<br />
però, alcune tue liriche. Strofe bellissime che mantenevano<br />
degli agganci con la tradizione dell’antica Grecia, testi<br />
molto profondi con chiare attinenze con la cultura classica.<br />
Sì… sì... però era un altro periodo della mia vita.<br />
Con Dylan e con Donovan sei stato uno dei primi ad ampliare<br />
la forza del testo, contribuendo non poco a una crescita<br />
delle parole. Il testo di The Ballad Of Casey Deiss, del resto,<br />
è eloquente...<br />
Il merito è di mio padre. Lui era uno scrittore, un autore vero. Una<br />
volta ho tentato di leggergli una mia lirica. Dopo averla letta con<br />
molto trasporto, stavo soltanto aspettando che mi dicesse: “Bravo,<br />
sta bene figlio mio!”. E lui, invece, mi ha “acchiappato” per il collo<br />
dicendomi: “Stammi a sentire, o guagliò... Sto scrivendo da oltre<br />
mezzo secolo e, posso garantirti, non c’è nessuno al mondo che<br />
possa scrivere qualcosa di meglio delle cose create da Dio”. Grazie<br />
per l’incentivo! Hai capito?<br />
38 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
INTERVISTA Shawn Phillips<br />
In quali posti hai suonato nel 1999 in Italia?<br />
Sei! Questo è il quinto... Ho suonato a Sesto Calende, a Udine, a Pesina,<br />
a Verona, a Torino e a Bolzano, anzi, non era propriamente Bolzano...<br />
ci dovevi andare n’coppa alla montagna con l’auto.<br />
Hai ancora tantissimi ammiratori in Italia...<br />
Sì... sono molto sorpreso. Ricordo quando siamo andati in cima a quella<br />
montagna, dicendo “Madonna mia! Ma chi verrà a vedere questo<br />
concerto?”. Invece era pieno.<br />
Rumplestiltskin’s Resolve<br />
1974<br />
FURTHERMORE<br />
2015<br />
Penso che Second Contribution faccia parte di un patrimonio<br />
imperdibile. E Contribution? E Rumplestiltskin’s<br />
Resolve? Anche quelli erano grandi dischi...<br />
Sai perché era un capolavoro? Perché un disco è per sempre... un<br />
disco quando è fatto non si cambia più (almeno per me). Quando è<br />
fatto è fatto! Per sempre...<br />
Come hai trovato il nostro Paese? Molto diverso da quando<br />
vivevi a Positano? Allora c’erano formule, valenze ed esperienze<br />
nuove... la grande ondata sembrava non avere mai<br />
fine e, anche se erano abbastanza identificabili alcune matrici<br />
americane e inglesi, era possibile cogliere “istinti” italici.<br />
Ho sempre pensato che la musica sia essenzialmente europea, questo<br />
continente ha un’anima decisamente musicale. Prendi, per esempio,<br />
Riccardo Cocciante con Mano a Mano (cantata anche da Rino Gaetano<br />
e il New Perigeo). È una canzone bellissima. Gli italiani hanno una dote<br />
che gli altri Paesi non hanno: la consapevolezza della gioia di vivere. Hai<br />
capito? Questa gioia non c’è in nessun’altra parte del mondo! Gli Stati<br />
Uniti non hanno ancora 250 anni, sono come un bambino. Quando ero<br />
a Positano, attraversavo un ponte di legno che aveva oltre trecento anni;<br />
tutte le volte che lo attraversavo pensavo che soltanto quel ponte aveva<br />
cento anni in più degli Stati Uniti. Sono dei bambini...<br />
Hai nostalgia di Positano e di Napoli? Sei stato un testimone<br />
degli anni migliori della storia di quelle città. C’erano la<br />
N.C.C.P., il primo Alan Sorrenti...<br />
Edoardo Bennato...<br />
Sono dischi che, tra l’altro, quasi non risentono dell’usura<br />
del tempo. Possiedono componenti e caratteristiche di una<br />
modernità difficile da scalfire. Credo che The Ballad Of<br />
Casey Deiss sia una delle canzoni più belle di tutti i tempi.<br />
Ora i miei dischi sono tutti disponibili, dato che nel 2014 hanno<br />
ristampato anche Faces e Rumplestiltskin’s Resolve, gli unici che<br />
mancavano. La Polygram, che ne deteneva i diritti, è stata assorbita<br />
dalla Universal e per un anno io e Arlo (il mio manager) ci siamo<br />
sbattuti per trovare la chiave risolutiva di questo problema. C’erano<br />
problemi di diritti e, oltretutto, non sapevamo dov’erano finiti i nastri<br />
(mentre, in una personalissima fusione tra dialetto napoletano<br />
e lingua inglese, si lascia andare a colorite imprecazioni). Beyond<br />
Here Be Dragons è uno dei miei dischi preferiti perché prodotto da<br />
Michael Hoenig (solista d’elettronica e musicista con Agitation Free<br />
e Tangerine Dream).<br />
Parli ancora molto bene l’italiano, anche se sarebbe più<br />
corretto dire il dialetto napoletano...<br />
È come andare in bicicletta... una volta che lo hai imparato non lo<br />
scordi più!<br />
Quanti anni sono che manchi dall’Italia?<br />
Dal 1999. Molti anni, troppi; ormai torno, più o meno, ogni vent’anni!<br />
Si respirava un’aria particolarissima. Purtroppo, da allora,<br />
molte cose sono cambiate, e non in meglio. Sono rimasti in<br />
pochi a fare arte e musica...<br />
Oggi è soltanto una questione di affari. Esiste soltanto l’industria. Questo<br />
è il vero problema. Dopo aver partecipato a un festival musicale, a<br />
Cordville, alcune persone mi hanno chiesto d’insegnare in una piccola<br />
scuola per cantautori. Due funzionari delle edizioni Ascap e BME, avvicinandosi,<br />
si sono raccomandati:<br />
“Una canzone deve essere un<br />
verso, un coro, un verso, un verso,<br />
un coro”. Ho risposto loro che<br />
questo era il modo più sbagliato<br />
per scrivere una canzone. La cosa<br />
più importante in una canzone<br />
è che né la musica né le liriche<br />
siano prevedibili. Non devi capire<br />
dove la canzone sta andando.<br />
THE BEST OF<br />
1974<br />
Se capisci dove sta andando, la<br />
canzone non ti tocca.<br />
Una canzone non costruita ma che arriva direttamente dal<br />
cuore, senza preconcetti e programmazioni…<br />
Ecco. Questo è il punto.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 39
inside<br />
di Danilo Sala<br />
Arti & Mestieri<br />
e gli universi paralleli<br />
foto Elena Vecchi<br />
Jazz, rock, retaggi etnico-mediterranei, echi progressivi, una girandola di suoni per questo<br />
nuovo, eccellente, disco del gruppo torinese; un degno erede dei loro classici anni ’70 come Tilt<br />
(Immagini per un orecchio) del 1974 e Giro di valzer per domani del 1975 o Rumore Rosso di<br />
Venegoni & Co. del 1975.<br />
Il rientro definitivo nella formazione del chitarrista Gigi Venegoni<br />
ha fornito al batterista Furio Chirico (l’unico elemento sempre<br />
presente) il tocco ideale di classe per connettersi al meglio con la<br />
sua innata irruenza esecutiva. Oggi gli Arti & Mestieri hanno raggiunto<br />
l’equilibrio ideale per la loro musica, così complessa eppure estremamente<br />
spontanea.<br />
Universi Paralleli è un disco importante per diversi motivi:<br />
è il primo “vero” album in studio dopo 15 anni, è quello che<br />
sancisce il ritorno con la Cramps; forse, però, non tutti sanno<br />
che è figlio di un progetto live partito dal Giappone…<br />
Furio Chirico: È vero. Dopo tanti anni gli A&M hanno finalmente<br />
un vero e proprio team, formato dal management, ovvero Sfera<br />
Entertainment nella persona di Amy Ida, dalla mia direzione<br />
artistica e dalla produzione musicale di Gigi Venegoni, come era<br />
accaduto con Tilt. Solo che allora c’era Franco Mamone, grandissimo<br />
manager e artefice del contratto con la Cramps. L’attuale<br />
management, invece, ha reso possibile l’accordo con la major<br />
giapponese King Records, essenziale per uscire in maniera importante<br />
su quel territorio. Il primo obiettivo del nostro team<br />
è stato creare un paio di eventi fondamentali per rilanciare la<br />
formazione, tra cui il concerto del quarantennale a Tokyo dello<br />
scorso luglio, in cui sono stati coinvolti quanti più elementi possibili<br />
della storia degli A&M.<br />
QUinto Stato<br />
1979<br />
GIRO DI VALZer PER DOMANI<br />
1975<br />
Quanti musicisti della formazione originale erano presenti<br />
a Tokyo?<br />
F.C.: In Giappone eravamo quattro elementi sui sei della formazione<br />
storica. Oltre a me c’erano Gigi Venegoni, Arturo Vitale e Beppe Crovella.<br />
Il fatto di essere partiti proprio dal Giappone non è casuale:<br />
il rapporto tra gli A&M e il Paese del Sol Levante è da sempre<br />
molto forte, molto particolare.<br />
Gigi Venegoni: Ogni volta che andiamo lì, sembra di prendere un’astronave<br />
e scendere su un altro pianeta. Spiace un po’ dirlo, ma è così.<br />
La cosa che mi colpisce di più è che da parte loro si percepisce tutto il<br />
rispetto per il musicista in quanto donatore di emozioni e felicità. Con-<br />
40 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
INTERVISTA ARTI & MESTIERI<br />
trariamente a quanto accade nella società italiana, in Giappone come<br />
musicista sei assolutamente messo sullo stesso piano, se non preferito,<br />
ad altri professionisti come l’avvocato o il dottore, perché sei considerato<br />
in grado di donare gioia in senso spirituale ed emotivo. Al termine del<br />
concerto di Tokyo tutto il pubblico si è alzato in piedi, tributandoci tre<br />
minuti di applausi e, devo ammettere, mi sono emozionato. Non è una<br />
questione di egocentrismo, è che percepisci la vibrazione delle persone<br />
che ti ringraziano per quel tuo dono.<br />
Universi Paralleli potrebbe essere definito un concept album,<br />
in quanto tutti i brani sono legati da una sorta di filo conduttore.<br />
Come è nata l’idea?<br />
F.C.: Tornando in aereo dal Portogallo dopo il Gouveia Art Festival,<br />
aprile 2013, leggevo un articolo molto interessante su questi “universi<br />
paralleli”. È veramente un concetto che racchiude tante cose, sia dal<br />
punto di vista scientifico che psicologico, come il doppio e molte altre<br />
situazioni. Così sono andato da Gigi Venegoni e Iano Nicolò, che erano<br />
seduti lì vicino, e gli ho detto che secondo me sarebbe stato un ottimo<br />
tema per un disco nuovo, sia a livello di testi che come ispirazione musicale.<br />
È partito tutto da lì. Ci è voluto un anno di lavoro continuativo<br />
ma alla fine ce l’abbiamo fatta.<br />
Come è avvenuta la composizione dei brani?<br />
G.V.: Ho cominciato con quella che chiamo “composizione auto distruttiva”;<br />
compongo 100 pezzi e ne butto via 90, ho una specie di dissenso<br />
interiore che mi dice quando bisogna andare avanti e quando bisogna<br />
fermarsi perché non c’è niente di buono. Grazie a questo ferreo<br />
lavoro di selezione, quando ho portato i primi provini al gruppo<br />
sono stati subito accolti con un discreto entusiasmo. In questo<br />
modo ho aperto una strada affinché anche gli altri potessero metterci<br />
del loro, potendo già contare su una buona base di partenza.<br />
Il primo brano che ho salvato tra quelli composti è stato Alter Ego:<br />
l’ho fatto ascoltare a Furio e mi ha detto che secondo lui la strada era<br />
quella giusta. Da lì siamo andati avanti. È stato molto importante<br />
l’apporto di Piero Mortara perché mi ha aiutato a lavorare sugli<br />
arrangiamenti ritmici, armonici e melodici. Personalmente come<br />
chitarrista sono legato mani e piedi, anche emotivamente, alla presenza<br />
di un tastierista, un po’ come avveniva per Pat Metheny e Lyle<br />
Mays: secondo me sono stati uno dei più grandi esempi di proficua<br />
collaborazione tra un chitarrista e un pianista. Lavorare con i due<br />
strumenti è molto difficile: se non ti coordini bene ti sovrapponi<br />
e fai dei pasticci. Bisogna capire dove sta lo spazio armonico del<br />
pianoforte, che è molto più esteso rispetto alla chitarra. Poi c’è<br />
proprio un gusto di arrangiare che io e Piero abbiamo sviluppato<br />
grazie a una collaborazione che dura ormai da sette anni.<br />
Come si sono svolte le sedute di registrazione?<br />
G.V.: Il disco è stato registrato come si fa oggi. Tutto quello che necessitava<br />
di una sala di presa sonora coibentata acusticamente è stato registrato<br />
in questo studio stupendo che è Aenima Recordings. Lì abbiamo fatto<br />
la batteria, le voci, il violino e alcune parti di chitarra di Marco Roagna.<br />
Poi io mi sono portato tutto il lavoro a casa e ho cominciato a occuparmi<br />
della post produzione: ho aggiunto strumenti, ho registrato tutte<br />
le mie chitarre, in qualche situazione ho dovuto registrare anche degli<br />
altri violini. Ho lavorato in questa regia che ho portato a casa mia dove<br />
ho impiegato non meno di 60 giorni tra post produzione e mix perché<br />
andavano messe a posto tutta una serie di cose. Ma soprattutto perché<br />
tutti gli A&M, soprattutto io e Furio, seguivano questo sogno di realizzare<br />
finalmente un disco degli A&M che non desse la sensazione ai nostri fan<br />
di essere l’ennesimo disco fatto solo per far vedere che esistiamo ancora.<br />
TILT<br />
1974<br />
Sicuramente è stato sorprendente che la Cramps vi abbia consentito<br />
di realizzare un album completamente nuovo invece<br />
di puntare sulle solite e pur encomiabili ristampe, magari<br />
con bonus tracks.<br />
F.C.: È vero. La proposta, abbastanza sorprendentemente anche per noi,<br />
ci è arrivata direttamente dalla Sony, che ha rilevato la Cramps qualche<br />
Gigi Venegoni<br />
UniverSI PARALLELI<br />
2015<br />
foto Hiroyuki Yoshihama<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 41
inside<br />
anno fa. L’idea era quella di rilanciare una formazione storica ma ancora<br />
funzionante, forse l’unica assieme agli Area che continua a suonare senza<br />
cambiare direzione, non inquinandosi come purtroppo hanno dovuto<br />
fare altre formazioni per sopravvivere. In realtà alcune cose con la Sony<br />
erano già avvenute, come l’acquisizione e la ristampa di Tilt e Giro di<br />
Valzer. Probabilmente ha influito anche il successo della collana sul Prog<br />
italiano uscita in edicola con “La Repubblica”: ha venduto quattro volte<br />
di più di quella inglese. Anche i titoli della collana meno venduti hanno<br />
comunque raggiunto le otto/diecimilia copie, che sono tantissime per<br />
progetti non commerciali. Magari ora alla Sony proveranno a far fare<br />
un disco nuovo anche agli Area, chissà.<br />
Tra gli ospiti presenti nell’album spicca indubbiamente il<br />
nome di Mel Collins...<br />
F.C.: Possiamo dire che Mel sia ormai diventato un nostro collaboratore,<br />
dato che con noi aveva già fatto altre cose in passato. Tutto è nato da un<br />
incontro a Parigi con Gigi Venegoni. Mel gli ha confessato che per lui<br />
gli A&M rappresentano il modo “diverso” di fare il prog. Suonare con<br />
i King Crimson o con gli A&M per lui significa stare su due mondi differenti:<br />
uno anglosassone e uno mediterraneo. È per questo che la sua<br />
collaborazione con noi è così incisiva: sui due pezzi in cui è presente ha<br />
lavorato di brutto, non si tratta di comparsate magari limitate al classico<br />
solo. Specialmente il brano di sax soprano non è per niente facile: l’interpretazione<br />
è molto libera ma non è un solo “free” in cui puoi fare quello<br />
che vuoi, il tempo c’è e non c’è ma devi stare dentro a una struttura. Per<br />
farlo bene non ci vuole solo tecnica ma anche espressività e Mel ci ha<br />
perso del tempo prima di essere completamente soddisfatto del risultato.<br />
Noi, d’altro canto, nei concerti che facciamo insieme omaggiamo sempre<br />
i King Crimson: quando uscirà il live che abbiamo registrato in Giappone<br />
avrete modo di ascoltare la versione di Starless che abbiamo suonato.<br />
Lo stesso Mel mi diceva che è stato come suonare Starless negli anni ’70<br />
ma con dei suoni di oggi.<br />
Un’altra particolarità di Universi Paralleli è di avere in scaletta<br />
anche quattro brani cantati, con testi lunghi e articolati.<br />
Sembra che nell’economia del gruppo la voce e i testi siano<br />
diventati più importanti rispetto al passato.<br />
F.C.: Sicuramente è dipeso molto dalle tematiche dell’album, che<br />
andavano trasmesse anche attraverso la poetica, la parola. Iano<br />
Nicolò ha delle caratteristiche particolari, che in futuro riusciremo<br />
a sfruttare ancora meglio, ovvero la capacità di dare vita a “investigazioni<br />
vocali” affatto facili da gestire. Trattandosi di tecniche<br />
tibetane poi riprese da Demetrio Stratos c’è sempre il rischio che chi<br />
ascolta si faccia un’idea sbagliata. In questo album Iano ha deciso di<br />
escludere queste tecniche, cantando in modo forse più tradizionale.<br />
G.V.: Per me esiste solo un prototipo di cantante prog, che è Jon<br />
Anderson degli Yes. Lui è un cantante che non ha nulla a che vedere<br />
con la vocalità del rock, si è formato sugli stilemi del prog con una<br />
voce originalissima e un registro che quasi nessuno ha al mondo.<br />
Iano ha fatto degli sforzi enormi per entrare nella filosofia del prog,<br />
del jazz rock, della produzione originale degli A&M. Tra l’altro è<br />
molto importante dire che, a parte L’ultimo imperatore, dove ho<br />
scritto le liriche, gli altri testi sono suoi. C’è stata finalmente una<br />
collaborazione come si deve: lui mi ha mandato dei testi, io e Piero<br />
abbiamo provato a comporre delle musiche, lui ha provato a cantarle...<br />
insomma, abbiamo provato fino a quando non si è sentito<br />
a suo agio.<br />
La bonus track presente nella versione italiana dell’album<br />
sancisce anche la nascita della collaborazione con Lino Vairetti<br />
degli Osanna.<br />
F.C.: Lino aveva scritto questo testo su Francesco Di Giacomo, intitolato<br />
NATO, e a noi faceva piacere averlo come ospite nel nostro disco.<br />
G.V.: la cosa interessante è che io non sapevo che il testo fosse dedicato<br />
a Francesco. Mi sono solo trovato in mano un testo che mi ha commosso,<br />
tant’è che ho composto la musica in dieci minuti. Come diceva Lucio<br />
Battisti, un buon testo ti suggerisce sempre una buona melodia, e infatti<br />
questo era il segreto di Mogol e Battisti. Dopo aver arrangiato e suonato<br />
il nuovo brano, Lino l’ha cantato in un giorno in un modo strepitoso e poi<br />
dopo ci ha detto a chi era dedicato. In questo modo la cosa ha assunto<br />
una valenza doppia.<br />
Universi Paralleli è disponibile in diversi formati, tra cui anche<br />
in vinile, purtroppo singolo.<br />
F.C.: Per mantenere anche in vinile una qualità sonora che premiasse<br />
il lavoro di Gigi avremmo dovuto far uscire un doppio LP, cosa<br />
che purtroppo non è stata possibile per i costi troppo elevati. Così<br />
abbiamo dovuto condensare il tutto in un unico LP. Con un massimo<br />
Furio Chirico<br />
foto Yoshika Horita<br />
42 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016<br />
foto Elena Vecchi
INTERVISTA ARTI E MESTIERI<br />
foto Hiroyuki Yoshihama<br />
foto Elena Vecchi<br />
Piero Mortara<br />
di 39 o 40 minuti a disposizione, abbiamo dovuti tagliare tra i 15 e<br />
i 20 minuti rispetto al CD.<br />
Che caratteristiche ha invece la versione giapponese in CD<br />
Blu Spec?<br />
F.C.: La versione giapponese della King Records ha una bonus track<br />
differente dalla versione italiana della Sony. I Giapponesi hanno voluto,<br />
come sempre, un’esclusiva per il loro mercato e così abbiamo inserito<br />
un brano che ha una storia stranissima. È un pezzo nato da una collaborazione<br />
tra me e Gigi. Tempo fa avevo registrato un’intera sequenza di<br />
ritmiche, praticamente un brano completo solo della traccia di batteria.<br />
Quando ci hanno detto che l’etichetta Giapponese voleva una bonus<br />
track ho proposto a Gigi di completarlo. Gli ho chiesto di immergersi<br />
nel mondo degli anni ’70 contaminandoli quanto più possibile con le<br />
ricerche medio orientali, un po’ alla Mahavishnu Orchestra, perché la<br />
batteria l’avevo pensata un po’ tra il jazz rock e il medio-oriente. Gigi ha<br />
composto le parti nel giro di pochissimo e quando lo abbiamo suonato<br />
in Giappone ha avuto un successo pazzesco. S’intitola La Porta del Cielo.<br />
In realtà c’è una traccia per sola batteria anche nell’album,<br />
Comunicazione primordiale.<br />
F.C.: È una vera e propria canzone per batteria. Anche questa, come La<br />
Porta del Cielo, è nata come un percorso segnato da strumenti antichi e<br />
metallofoni, per poi avvicinarsi gradualmente alla percussione suonata a<br />
mano e alla batteria. È un’analisi storica, fisica e psicologica della musica.<br />
La mia idea era quella di far capire come la comunicazione sia nata con<br />
suoni vocali e percussioni, che poi sono state la prima forma ritmica che<br />
ha permesso di costruire strutture musicali.<br />
Facciamo un passo indietro agli anni ’80: Acquario (1983) e<br />
Children’s Blues (1985) testimoniano come per gli A&M non<br />
si sia trattato di anni bui, tutt’altro.<br />
F.C.: Quella degli anni ’80 era una formazione più jazzistica, che forse<br />
pochi conoscono, anche se in quel periodo eravamo spesso in televisione<br />
perché il gruppo piaceva molto al giornalista Gianni Minà. In quel periodo<br />
abbiamo fatto anche festival importanti come Cannes, proprio grazie<br />
all’amicizia di Gianni, e dirette su Radio Montecarlo. Però è innegabile che<br />
fosse un momento degli A&M molto distante dagli A&M originali. L’unico<br />
trait d’union era quella vena leggermente jazzistica che c’era già agli inizi e<br />
che gli A&M hanno sempre mantenuto. Ero rimasto da solo e non ho fatto<br />
altro che inserire dei musicisti che fossero più vicini a quel tipo di sound.<br />
G.V.: Quell’esperienza jazzistica è stata qualitativamente fantastica, ma<br />
il vero sound degli A&M è dato dal contrasto tra la tradizione ritmico<br />
compositiva dei modelli anglo-americani e la grandissima attenzione al<br />
contenuto mediterraneo e melodico.<br />
Dopo una pausa di quindici anni, il ritorno di A&M è poi avvenuto<br />
con Murales (2000). Un album molto interessante dove<br />
eravate di nuovo insieme anche con Beppe Crovella.<br />
F.C.: Il progetto era estremamente interessante perché finalmente potevamo<br />
lavorare con due tastiere e dare un colore differente, non essendoci<br />
più il sax e i fiati di Arturo Vitale. C’era di nuovo un bel sound, però si<br />
sentiva la mancanza di un direttore artistico.<br />
G.V.: Un gruppo è un gruppo, deve suonare insieme, deve condividere,<br />
deve partecipare agli arrangiamenti, non si può fare tutto in laboratorio.<br />
Universi Paralleli è un disco di un gruppo, Murales è un disco di alcuni<br />
compositori, che hanno scritto brani eseguiti da alcuni artisti. Universi<br />
Paralleli ha funzionato perché c’era un gruppo che ha interpretato e<br />
suonato il materiale.<br />
Due parole su Lautaro Acosta, che al violino sostituisce egregiamente<br />
Giovanni Vigliar.<br />
F.C.: Lautaro è uno dei violinisti più bravi attualmente in circolazione.<br />
Lo stesso Mel Collins, in Giappone, mi ha confidato che è stato il migliore<br />
che ha avuto modo di ascoltare negli ultimi anni. Ormai è diventato<br />
uno degli elementi importanti del suono degli A&M, anche se ha una<br />
personalità diversa rispetto a Vigliar: meno classica, più latina, unita a<br />
una grande capacità musicale.<br />
Ricordi di TILT...<br />
G.V.: All’epoca (1974) ero assolutamente vergine in ambito di industria<br />
discografica. Facendo un paragone con i nostri tempi, possiamo<br />
dire che la Cramps investì su di noi come se fossimo i Rolling<br />
Stones. Ci mandarono in un ottimo studio a Roma, lo Chantalain, di<br />
proprietà di Bobby Solo, tenendoci nella Capitale per un mese. Poi<br />
coinvolsero Paolo Tofani per farci finire il mix, dato che la registrazione<br />
era stata resa un po’ difficoltosa da un tecnico americano che<br />
dopo essere costato tantissimo si diede alla fuga (Peter Kaukonen,<br />
fratello di Jorma dei Jefferson Airplaine/Hot Tuna; ndr.). Però tutto<br />
ciò che riguardava Tilt era grandioso: la realizzazione della copertina,<br />
la registrazione del disco, il modo in cui Mamone ci inserì subito in<br />
un circuito di concerti – tra giugno e dicembre del 1974 siamo stati<br />
visti da 150 mila persone. Abbiamo fatto il Parco Lambro, i supporter<br />
per Gentle Giant, PFM, Area; con la PFM facemmo sia il concerto<br />
pomeridiano che quello serale, e nei teatri c’erano dai tremila ai<br />
quattromila spettatori al giorno. Era una realtà veramente incredibile<br />
per uno come me che fino a quel momento era stato sempre solo in<br />
casa a registrare.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 43
inside<br />
di Francesco Bonerba<br />
Foto: Kevin Mazur/Getty Images for Universal Music<br />
And the Oscar<br />
goes to...<br />
…non lo diciamo, per scaramanzia. Ma vi spieghiamo perché quest’anno Ennio Morricone ha buone<br />
possibilità di vincere la statuetta dorata più ambita al mondo. E perché, comunque vada, la sua presenza<br />
al fianco di Quentin Tarantino agli Oscar è già un successo per la musica di alta qualità.<br />
Cinque nomination e una sola statuetta (onoraria), nel 2007,<br />
“per i suoi magnifici e multi-sfaccettati contributi nell’arte<br />
della musica per film”: Morricone rischia la sorte che toccò ad<br />
altri compositori come Alex North (autore delle colonne sonore di film<br />
come Un tram chiamato desiderio, Cleopatra e Quei bravi ragazzi),<br />
nominato ben quattordici volte e premiato solo per l’insieme della sua<br />
opera. Non che un Oscar in più possa aumentare la fama mondiale di<br />
un artista già immortale (basti pensare che Kubrick non ne vinse mai<br />
neanche uno), ma di certo sarebbe un peccato se il Maestro italiano, la<br />
cui creatività sembra non risentire minimamente dei suoi ottantasette<br />
anni, non trovasse un riconoscimento unanime dell’Academy almeno<br />
su un film. Se poi il film per il quale è candidato quest’anno, The Hateful<br />
Eight di Quentin Tarantino, sia davvero quello che meglio rappresenti<br />
la carriera di una vita (ben 528 le produzioni a cui ha partecipato!), è<br />
davvero difficile dirlo e forse non così essenziale.<br />
In passato, infatti, Morricone è stato candidato all’Oscar per I giorni del<br />
cielo (Terrence Malick, 1979), Mission (Roland Joffé, 1987), Gli intoccabili<br />
(Brian De Palma, 1988), Bugsy (Barry Levinson, 1992) e Malèna<br />
(Giuseppe Tornatore, 2001), film per i quali ha spesso ottenuto altrove<br />
riconoscimenti altrettanto ambiti (Golden Globe, BAFTA, ASCAP, etc.);<br />
le musiche che lo richiamano subito alla mente, tuttavia, appartengono<br />
in larga misura alle colonne sonore realizzate per Sergio Leone: Per un<br />
pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono,<br />
il brutto, il cattivo (1966), C’era una volta il West (1968), Giù la testa<br />
(1971), C’era una volta in America (1984). Questi lavori, valsi a Morricone<br />
solo due Nastri d’argento (1965, 1985) e un BAFTA (1984), sono<br />
stati amatissimi da pubblico, compositori e registi, che continuano a<br />
utilizzarli o a trarne suggerimenti per nuovi lavori, verificandone ad<br />
ogni utilizzo l’incredibile resistenza all’usura del tempo.<br />
Lo dimostra nei fatti uno dei più grandi estimatori di Morricone (e del<br />
cinema di Leone), Quentin Tarantino, che in Kill Bill – Vol. 1 e Vol. 2,<br />
Inglorious Basterds e Django Unchained ha utilizzato oltre venti tra le<br />
musiche composte dal Maestro italiano. “Avevo otto anni”, racconta il<br />
regista a “La Repubblica”, “quando, a causa della passione insana che<br />
mia madre nutriva per Clint Eastwood, mi vidi per la prima volta la<br />
Trilogia del Dollaro di Sergio Leone con le sue musiche. Solo qualche<br />
anno dopo, però, iniziai a collezionare vinili in maniera metodica e<br />
i suoi 33 giri erano sempre tra gli album che cercavo con maggiore<br />
attenzione”. Negli scorsi anni Tarantino ha cercato a più riprese di<br />
coinvolgere il compositore nella realizzazione della colonna sonora di<br />
un suo film, senza grossi risultati: nel 2009, già al lavoro sul kolossal<br />
Baarìa, di Giuseppe Tornatore, Morricone dovette rifiutare la composizione<br />
delle musiche di Inglorious Basterds e nel 2013, per Django<br />
Unchained, si limitò alla scrittura della canzone inedita Ancora tu, cantata<br />
da Elisa. Seguirono alcune polemiche nate da un’affermazione del<br />
Maestro in cui dichiarava la sua perplessità in merito alla disinvoltura<br />
con cui Tarantino aveva abbinato in un solo film musiche provenienti<br />
da diversi lavori, poi sfumate in una riaffermazione di stima verso<br />
44 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
MORRICONE & tarantino MUSICHE DA OSCAR<br />
Morricone & Tarantino<br />
Quindici brani del compositore<br />
utilizzati dal regista americano nel<br />
suo cinema, per riscoprire i punti di<br />
intersezione tra i due artisti<br />
Kill Bill – Vol. 1 (2003)<br />
• DEATH RIDES A HORSE<br />
Da uomo a uomo (1968)<br />
Kill Bill – Vol. 2 (2003)<br />
• PER UN PUGNO DI<br />
DOLLARI (PRIMA)<br />
Per un pugno di dollari<br />
(1964)<br />
• A SILHOUETTE OF<br />
DOOM<br />
Navajo Joe (1966)<br />
Brian De Palma e Ennio Morricone al lavoro sulla colonna sonora de Gli Intoccabili (1988).<br />
il regista e nell’apertura a future collaborazioni, a<br />
patto di poter creare una soundtrack coerente.<br />
Così, quando nel 2015 Tarantino ha raggiunto Morricone<br />
a Roma per chiedergli di persona se potesse<br />
musicare il suo nuovo film, The Hateful Eight, il Maestro<br />
ha inizialmente tentennato e, infine, accettato<br />
la proposta, nonostante le riprese del film fossero già<br />
concluse e avesse da lavorare alla partitura de La<br />
corrispondenza di Tornatore. In cambio, Tarantino<br />
gli ha dato carta bianca: “Ha composto la colonna<br />
sonora solo leggendo lo script, senza abbinare i<br />
pezzi a delle scene specifiche”, ha raccontato il regista<br />
a “Variety”, “Era tutta musica d’atmosfera,<br />
era quello che pensava andasse bene per il film,<br />
che potesse funzionare in momenti diversi, ma<br />
niente di specifico. Mi ha dato la colonna sonora<br />
e basta. Era mio compito inserirla nei momenti<br />
giusti”. Per far fronte al poco tempo a disposizione,<br />
circa un mese, Morricone ha riutilizzato alcune<br />
musiche realizzate nel 1982 per il film La cosa di<br />
John Carpenter e rimaste da allora inedite, che si<br />
sposano magnificamente con i set invernali, i personaggi<br />
inquieti e le sequenze “pulp” presenti anche in<br />
The Hateful Eight; al contempo il Maestro si è immerso<br />
nell’atmosfera “tarantiniana” per realizzare<br />
qualcosa di completamente nuovo, di coerente, per<br />
l’appunto, con l’opera specifica. Alla fine il sodalizio<br />
artistico a lungo atteso si è compiuto, anche per la<br />
gioia del pubblico, e sembra aver soddisfatto a tal<br />
punto Tarantino che il regista ha già proposto al<br />
compositore di lavorare per il suo prossimo film:<br />
“Vedere il Maestro registrare negli studi di Praga”,<br />
ha raccontato, “o osservarlo provare a Londra (il 9<br />
dicembre 2015 Morricone ha eseguito una registrazione<br />
speciale della soundtrack del film allo Studio 3<br />
di Abbey Road - in foto a pag. 42 - dirigendo la Czech<br />
National Symphony Orchestra, ndr.), è stato come<br />
avere un concerto personale del mio compositore<br />
preferito”. Una definizione, quest’ultima, che Tarantino<br />
ha utilizzato anche durante la cerimonia dei<br />
Golden Globe quando, chiamato a ritirare in vece di<br />
Morricone il premio per la Migliore colonna sonora<br />
originale (terzo della sua carriera), lo ha paragonato<br />
a compositori di musica classica come Mozart, Beethoven<br />
e Schubert. E ha ribadito che, finora, l’artista<br />
italiano non ha ancora ricevuto un Oscar per uno dei<br />
film da lui musicati.<br />
La vittoria ai Golden Globe, di solito, è vista di buon<br />
auspicio per la conquista della statuetta, per la quale<br />
Morricone parte dunque favorito. Analizzando la<br />
rosa degli altri quattro contendenti al premio, inoltre,<br />
tre sembrano poco “pericolosi”: Carter Burwell è<br />
alla sua prima nomination con Carol ed è probabile,<br />
nonostante la sua ventennale carriera, che debba<br />
sudare ancora un po’ prima di ottenere un Oscar;<br />
anche Jóhann Jóhannsson, compositore islandese<br />
emerso lo scorso anno con le musiche di The Theory<br />
of Everything e quest’anno in lizza per l’ultima opera<br />
di Denis Villeneuve, Sicario, difficilmente conquisterà<br />
la statuetta. John Williams, invece, con le<br />
sue quarantaquattro nomination (più di chiunque<br />
altro nella storia) e cinque Oscar (l’ha superato solo<br />
Alfred Newman, nove statuette), è difficile venga<br />
nuovamente premiato per la colonna sonora di Star<br />
Wars: Il risveglio della Forza; la soundtrack, infatti,<br />
nonostante si destreggi con abilità nel reinventare<br />
• IL TRIELLO<br />
Il buono, il brutto e il cattivo<br />
(1966)<br />
• L’ARENA<br />
Il mercenario (1968)<br />
• IL MERCENARIO<br />
(RIPRESA)<br />
Il mercenario (1968)<br />
Grindhouse:<br />
Death Proof (2007)<br />
• PARANOIA PRIMA<br />
Il gatto a nove code (1971)<br />
Inglourious Basterds (2009)<br />
• ALGERI 1 novemBRE<br />
1954 (con Gillo Pontecorvo)<br />
La battaglia di Algeri (1966)<br />
• L’incontro CON LA<br />
FIGLIA<br />
Il ritorno di Ringo (1965)<br />
• MYSTIC AND SEVERE<br />
Da uomo a uomo (1968)<br />
• RABBIA E TARANTELLA<br />
Allonsafan (1974)<br />
Django Unchained (2012)<br />
• DOPO LA CONGIURA<br />
I crudeli (1966)<br />
• UN MONUMENTO<br />
I crudeli (1966)<br />
• RITO FINALE<br />
Città violenta (1970)<br />
• THE BRAYING MULE<br />
Two Mules for Sister Sara<br />
(1970)<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 45
inside<br />
Quentin Tarantino e il direttore della fotografia Robert Richardson sul set di The Hateful Eight. In basso, i protagonisti del film.<br />
brillantemente temi musicali cari a milioni di fan, non ha la stessa potenza<br />
evocativa di altri suoi meravigliosi lavori. Resta, dunque, Thomas<br />
Newman (figlio di Alfred), che ha realizzato le musiche dell’ultimo film<br />
di Spielberg, Il ponte delle spie. Nonostante ben undici nomination agli<br />
Oscar e tre ai Golden Globe, il bravissimo compositore sessantenne<br />
autore delle colonne sonore di film come American Beauty, Alla ricerca<br />
di Nemo e Skyfall, non ha ancora portato a casa alcun premio e,<br />
vista la sua assenza tra i candidati ai Golden Globe, rischia di restare<br />
a mani vuote anche quest’anno.<br />
Non sarebbe inoltre la prima volta che un Oscar per un film viene assegnato<br />
dopo un Oscar alla carriera: è accaduto, ad esempio, nel 1982<br />
a Henry Fonda, per la sua interpretazione nel film Sul lago dorato, e<br />
nel 1987 a Paul Newman, per Il colore dei soldi, premio che l’attore<br />
non ritirò personalmente come protesta per il numero di volte in cui<br />
era stato candidato, sette, e mai premiato. Se un evento del genere si<br />
verificasse, tuttavia, Morricone sarebbe il primo compositore a ricevere<br />
una statuetta dopo quella alla carriera, e andrebbe così ad unirsi alla<br />
ristretta famiglia dei musicisti italiani premiati dall’Academy, composta<br />
da Nino Rota (Il padrino - Parte II, 1975), Giorgio Moroder (Fuga<br />
di mezzanotte, 1979), Nicola Piovani (La vita è bella, 1999) e Dario<br />
Marianelli (Espiazione, 2008). E la statuetta si aggiungerebbe alle 75<br />
già vinte da altri straordinari talenti “made in Italy” come Vittorio De<br />
Sica, Federico Fellini, Milena Canonero, Carlo Rambaldi, Dante Ferretti,<br />
Federica Lo Schiavo, Vittorio Storaro, Lina Wertmüller, Giuseppe<br />
Tornatore, Roberto Benigni e Paolo Sorrentino. Una vittoria di Morricone,<br />
soprattutto, porrebbe ancora una volta i riflettori sull’energia<br />
inesauribile della creatività made in Italy, valore unico al mondo e<br />
non quantificabile, “marchio di fabbrica” che rappresenta i tanti<br />
italiani alla ricerca dell’eccellenza nei più<br />
disparati ambiti, dall’esplorazione<br />
spaziale (Samantha Cristoforetti)<br />
ai misteri della fisica del CERN di<br />
Ginevra (Fabiola Gianotti, sua<br />
nuova direttrice).<br />
Più in generale l’Oscar e i suoi ben<br />
quattro riconoscimenti dedicati<br />
al suono (miglior colonna sonora,<br />
canzone, missaggio e montaggio sonoro), uniti ai tanti altri premi di<br />
settore (vedi Box a pag. 45) rappresentano, anno dopo anno, una dichiarazione<br />
inequivocabile dell’importanza della componente acustica<br />
nel medium cinematografico. Senza addentrarsi nella teoria del cinema,<br />
che riconosce da decenni al suono la funzione di “coinvolgere lo<br />
spettatore acusticamente, spazialmente ed affettivamente nel tessuto<br />
filmico” (Elsaesser e Hagener), basta banalmente provare a togliere<br />
la soundtrack o i temi a film come Il Signore degli Anelli, Jurassic<br />
Park o Ritorno al futuro, o eliminare dal missaggio gli effetti sonori<br />
di capolavori della sci-fi come Terminator 2, Matrix o Gravity, per<br />
comprenderne il valore imprescindibile. L’ambito cinematografico,<br />
inoltre, offre un preziosissimo banco di prova per un suono senza<br />
limiti o compromessi; lo sapeva bene George Lucas quando, nel 1980,<br />
all’indomani dell’uscita in sala de L’Impero colpisce ancora, chiese<br />
all’ingegnere del suono Tomlinson Holman di creare un certificato di<br />
qualità che garantisse allo spettatore la certezza di trovarsi in una sala il<br />
cui audio fosse il migliore possibile nonché il più fedele alla volontà del<br />
regista. La nascita del TXH ha provocato un terremoto nel mondo degli<br />
esercenti, dando il via alla nascita di nuove sale dotate di avveniristici<br />
impianti audio; una trasformazione culminata con la recente creazione,<br />
nel 2012, del sistema Dolby Atmos, che scompone il suono in un<br />
massimo di 128 “eventi sonori” e attraverso un processore intelligente<br />
li propaga nello spazio (anche verticalmente, con diffusori collocati sul<br />
soffitto) in base alla relazione che intrattengono con le immagini, dando<br />
vita a una vera e propria “scenografia sonora”. Il fatto che i tre maggiori<br />
incassi di tutti i tempi, Avatar, Titanic e Star Wars: Il risveglio della<br />
Forza, siano film ad altissimo tasso spettacolare e pluripremiati per<br />
i loro aspetti sonori la dice lunga sia sull’attenzione prestata dalle<br />
major all’aspetto sonoro sia sul crescente riconoscimento<br />
che il pubblico conferisce, talvolta anche<br />
inconsapevolmente, a proiezioni<br />
tecnicamente ineccepibili, anche sotto<br />
il profilo audio.<br />
Lo stesso Tarantino ha compiuto per<br />
The Hateful Eight una scelta apparentemente<br />
anacronistica: quella di<br />
girare in pellicola e in formato Super<br />
46 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
MORRICONE & tarantino MUSICHE DA OSCAR<br />
Panavision 70 mm, lo stesso utilizzato in film come Ben Hur (1959) e<br />
assente sul grande schermo dal 1966. Si tratta di uno standard costosissimo<br />
che ha il doppio dello spazio della pellicola 35 mm, consentendo<br />
una qualità dell’immagine sei volte superiore e un audio con molte più<br />
tracce. Riportando in auge questo formato, che potrà essere apprezzato<br />
appieno solo in particolari sale, Tarantino ha ribadito la posizione<br />
sostenuta da registi come Scorsese, Nolan e Abrams, ovvero che la<br />
pellicola garantisce una naturalezza dell’immagine ancora irraggiungibile<br />
dal digitale e che, ad oggi, rappresenta il supporto più sicuro per<br />
la conservazione di un’opera cinematografica; cosa ancora più importante,<br />
Tarantino ha scelto di girare il proprio film nella massima qualità<br />
consentita, l’“Hi-end del cinema”, quella che, nonostante il supporto<br />
“obsoleto”, è anche la più apprezzabile nelle sale all’avanguardia dotate<br />
di impianti IMAX e Dolby Atmos (senza dimenticare che, scegliendo le<br />
pellicola per i propri film, ha consapevolmente contribuito a preservare<br />
la storia del cinema e, con essa, la sopravvivenza della Kodak e dei suoi<br />
dipendenti, in crisi da molti anni).<br />
Già da tempo l’industria del cinema, consapevole della sfida lanciata<br />
dal web e dai crescenti servizi in streaming, sta puntando tutto sulla<br />
qualità della fruizione filmica, producendo kolossal sempre più<br />
spettacolari e giustificando l’aumento del biglietto dei multisala con<br />
l’introduzione di nuovi effetti (il 3D), impianti audio iperrealistici<br />
(Dolby Atmos) e formati (come l’IMAX) che regalano una visione<br />
imparagonabile a quella domestica. Atteggiamento che, unito a un<br />
pubblico sempre meno abituato a pagare per la fruizione dei contenuti<br />
audiovisivi, sta lentamente e drammaticamente spazzando via la<br />
Morricone ritira l’Oscar alla carriera nel 2007.<br />
“terra di mezzo” delle piccole sale che, ogni anno, chiudono a decine<br />
per l’impossibilità di competere con impianti enormemente costosi.<br />
La buona notizia, però, è che questa corsa verso la qualità senza<br />
compromessi, che le masse non avrebbero mai conosciuto e stimolato<br />
senza il passaggio dai contenuti liquidi “low-fi” del web dei primordi,<br />
sta rappresentando la nascita di una nuova linea di demarcazione<br />
tra esperienza appagante e fruizione insoddisfacente, ridefinendo<br />
verso l’alto gli standard ai quali eravamo abituati. Questo “innalzamento<br />
dell’asticella”, a nostro giudizio, non potrà che giovare alla<br />
causa dell’alta fedeltà e di quanti sapranno convogliarla e soprattutto<br />
proporla nel giusto modo. Tarantino docet.<br />
<strong>SUONO</strong> & CINEMA: NON SOLO OSCAR<br />
Bob Beemer e Ben Burtt (a destra, nella foto con il<br />
regista J. J. Abrams): due nomi che forse non vi diranno<br />
niente nonostante i quattro Oscar che questi<br />
signori hanno vinto a testa, rispettivamente per il<br />
miglior missaggio (Dreamgirls, Ray, Il Gladiatore e<br />
Speed) e montaggio sonoro (Star Wars, I predatori<br />
dell’arca perduta, E.T., Indiana e l’ultima crociata). Dal<br />
1930 l’Academy assegna questi due premi a personalità<br />
di spicco del mondo dell’audio che hanno<br />
contribuito a rendere indimenticabili alcune pietre<br />
miliari della storia del cinema. Ma l’Oscar è solo una<br />
delle tante istituzioni che nel corso degli anni hanno<br />
deciso di dare un riconoscimento al lavoro dei tecnici<br />
del suono, un mestiere certosino e altamente<br />
qualificato, spesso poco valorizzato. Ecco, dunque,<br />
una rapida rassegna dei premi più prestigiosi del<br />
mondo conferiti in questo ambito.<br />
In seno agli Emmy Awards, il più importante premio<br />
televisivo internazionale nato nel 1949, vengono assegnati<br />
i Creative Arts Emmy Award, dedicati a chi<br />
lavora dietro le quinte delle serie TV e che prevedono<br />
ben otto premi per il reparto audio tra missaggio<br />
e montaggio. Un solo premio ma molto prestigioso<br />
è quello assegnato dal BAFTA (British Academy of<br />
Film and Television Arts), la massima istituzione europea<br />
in fatto di cinema che, nata nel 1947, dal 1968<br />
assegna il premio per il miglior sonoro; decisamente<br />
più giovane, invece, il Critics’ Choice Movie Award<br />
che, nonostante i vent’anni di attività, assegna un<br />
riconoscimento tecnico per il suono solo dal 2009,<br />
anno in cui vinse Avatar. Hanno invece mezzo secolo<br />
di vita i Cinema Audio Society Awards che assegnano<br />
ben sette premi a quelle personalità operanti<br />
in ambito televisivo e cinematografico distintesi per<br />
la qualità del loro lavoro sull’audio; particolarmente<br />
interessanti i “Cas Technical Achievement Award”<br />
conferiti ai dispositivi più performanti utilizzati<br />
nei contesti della produzione e post-produzione.<br />
Hanno sede rispettivamente a Barcellona e Madrid,<br />
invece, i Gaudí Awards e i Goya Awards; rivolte alle<br />
produzioni spagnole, le due istituzioni premiano<br />
dal 2009 e dal 1987 il miglior direttore del suono.<br />
Di recentissima introduzione il premio per il miglior<br />
suono / sound design conferito dal 2012 in seno ai<br />
Guldbagge Award (letteralmente, scarabeo d’oro),<br />
il più importante riconoscimento cinematografico<br />
svedese. Sono invece estremamente tecnici i premi<br />
conferiti dall’Hollywood Post Alliance, associazione<br />
specializzata nella comunicazione rivolta<br />
a chi opera nella post produzione e che dal 2006<br />
premia il miglior audio di film, televisione e spot<br />
pubblicitario. Concludiamo con il Satellite Award<br />
che dal 1996 conferisce annualmente trentadue<br />
riconoscimenti tecnici e artistici ai migliori film e<br />
serie TV dell’anno, giudicati da oltre 200 giornalisti<br />
facenti parte dell’International Press Academy (IPA);<br />
tra questi, un premio va al miglior montaggio e missaggio<br />
sonoro, che finora ha visto sul podio il lavoro<br />
svolto su film particolarmente amati dal pubblico<br />
come Whiplash, Drive, Il cavaliere oscuro e Star Wars:<br />
Episodio III - La vendetta dei Sith.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 47
selector tutto il meglio in arrivo sul mercato<br />
di Paolo Corciulo e Agostino Bistarelli<br />
Coordinati: la madre di<br />
tutte le battaglie<br />
Coordinati? Bleah... Ma se dedicate un po’ di attenzione alla lettura di questo articolo, non<br />
è escluso che quel Bleah si trasformi in Wow! Perché i coordinati sono la madre di tutte le<br />
battaglie; perché, ragionando fuori dal coro (e sapete che a noi piace), si può scoprire che…<br />
Mario affronta il traffico<br />
del sabato pomeriggio<br />
per arrivare fino<br />
al SuperMegaTronic più grande<br />
della sua città, quello che sembra<br />
il più fornito e, per questo, adatto<br />
ai suoi bisogni. Si avvicina al ragazzo<br />
con la felpa gialla con scritto<br />
“staff” e gli lancia la sua richiesta,<br />
che somiglia molto a un vero e<br />
proprio SOS: “Vorrei acquistare<br />
un sistema wireless, sai, quelli<br />
che ti fanno sentire musica senza<br />
fili in tutta casa...”. “Allora”, gli<br />
risponde il ragazzo, “ne abbiamo<br />
di piccoli, medi e grandi, bianchi,<br />
neri e grigi, tra 200 e 600 euro,<br />
con i bordi tondi e dritti!”. “Ok,<br />
ma cosa mi serve per utilizzarne<br />
uno, che file posso usare? Vanno<br />
bene il mio computer e il tablet?<br />
Di tutti i CD che ho che me ne<br />
faccio?”. “Allora, ne abbiamo di<br />
piccoli... ”.<br />
Mario, in realtà, siamo noi, tutti<br />
noi che con un minimo di spirito<br />
critico abbiamo iniziato da tempo<br />
a guardare l’impianto “buono” in<br />
salotto con un occhio diverso dopo<br />
aver ascoltato due “scatolette” di<br />
nuova generazione che suonavano<br />
in maniera assolutamente diversa<br />
da come ci saremmo aspettati per<br />
il loro ingombro e prezzo, entrambi<br />
ridotti. Mario siamo noi che ci<br />
siamo stancati degli zeri nel valore<br />
della distorsione e della risposta<br />
in frequenza piatta che più piatta<br />
non si può ma che è piatta anche<br />
nel trasferirci l’indice delle emozioni.<br />
Mario siamo noi che stiamo<br />
imparando nomi e sigle nuove che<br />
arrivano sul mercato e che portano<br />
qualche novità, non tanto nelle<br />
prestazioni degli apparecchi ma<br />
soprattutto nel modo in cui loro<br />
si interfacciano e interagiscono<br />
con l’utente. Dietro lo stupore, in<br />
genere, si nasconde l’ignoranza o<br />
l’errata valutazione di un fenomeno,<br />
di un elemento tra quelli presi<br />
in considerazione: è quel che sta<br />
accadendo in generale per l’Hi-<br />
Fi ed è soprattutto quello che sta<br />
accadendo in un segmento strategico<br />
della riproduzione sonora<br />
48 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
SPECIALE coordinati<br />
che, udite, udite, è quello dei coordinati<br />
o, più correttamente, dei<br />
“sistemi”, da sempre riflesso di<br />
tutto il mondo storico dell’Hi-Fi.<br />
Se si ripercorre la storia dell’alta<br />
fedeltà si scopre facilmente come<br />
proprio la soluzione all-in-one sia<br />
stata quella che agli inizi degli anni<br />
’50 ha consentito alla riproduzione<br />
sonora di entrare nelle case. Ingombranti<br />
(le tecnologie del tempo<br />
non consentivano che di crearli<br />
così), opulenti, quasi sempre con<br />
pregiati cabinet in legno massello,<br />
i sistemi di allora rappresentavano<br />
la chiave di accesso alla materia<br />
per una ragione ben chiara: costituivano<br />
un modo semplice e<br />
facilmente inseribile nelle mura<br />
domestiche per ascoltare musica!<br />
Il postulato, però, “barcollava”<br />
nelle performance sonore, perché<br />
l’effetto ergonomico era vanificato<br />
da scelte di componenti a basso<br />
costo, spesso quelli che venivano<br />
venduti anche in kit. Il fatto che<br />
il singolo utente (vedi l’articolo<br />
dedicato all’Hi-end che apre questo<br />
numero di <strong>SUONO</strong>) fosse in<br />
grado, con gli stessi componenti o<br />
migliori, di ottenere performance<br />
superiori, determinò una fertile<br />
fase di sviluppo degli apparecchi<br />
per riprodurre musica e la nascita<br />
dei componenti separati. L’esigenza<br />
di base rimase... Non a caso<br />
vent’anni più tardi il coordinato<br />
torna di moda, sebbene si possa<br />
sostenere che l’idea di un sistema<br />
per la riproduzione musicale costituita<br />
da un tutt’uno non sia mai<br />
passata di moda, come testimonia<br />
l’uso di realizzare anche i separati<br />
in versione predisposta per il<br />
montaggio in rack o in un più “domestico”<br />
mobiletto ad hoc; questa<br />
soluzione, mitigata dalla presenza<br />
dei fianchetti (che, se ci pensate,<br />
oggi sono una contraddizione in<br />
termini) costituisce un retaggio<br />
del passato, svuotato completamente<br />
del suo contenuto… !<br />
L’arrivo dei coordinati giapponesi<br />
è stato comunque dirompente in<br />
quanto, almeno in teoria, propose<br />
concetti legati alla semplicità<br />
(di scelta, di uso, di compatibilità<br />
estetica e ambientale) e un’economicità<br />
prima sconosciuta, unita<br />
alla promessa di una qualità<br />
accettabile: nel momento della<br />
massima espansione commerciale<br />
dello “stereo” in molti avevano<br />
in casa un sistema a rack e questo<br />
elemento costituì, almeno a nostro<br />
giudizio, un fattore positivo che<br />
soverchia i molti aspetti negativi<br />
che pure hanno caratterizzato l’introduzione<br />
dei coordinati secondo<br />
la filosofia orientale: le troppe lucine,<br />
l’indulgenza verso una certa<br />
effettistica, la mancata ricerca di<br />
una coerenza sonora. Azzardiamo<br />
che siano state proprio queste caratteristiche<br />
a sviare l’attenzione<br />
da un elemento chiaro, concreto e<br />
essenziale, tanto da ripresentarsi<br />
costantemente: le persone hanno<br />
bisogno di inserire armonicamente<br />
l’Hi-Fi nelle proprie abitazioni,<br />
hanno bisogno di oggetti semplici<br />
e non hanno a disposizione somme<br />
illimitate…<br />
Il coordinato di un tempo era costituito<br />
da un numero sostanzialmente<br />
ben definito di elementi che<br />
lo componevano; altrettanto ben<br />
definite erano le funzioni di ognuno<br />
di essi. Di fatto si verificava una<br />
condizione molto vicina alla mono-funzione:<br />
il giradischi faceva<br />
suonare il disco in vinile, l’amplificatore<br />
provvedeva a erogare potenza<br />
e a selezionare gli ingressi,<br />
i diffusori a tramutare l’impulso<br />
elettrico in meccanico... I sistemi<br />
fondati sulle migliori conoscenze<br />
tecniche e su budget considerevoli<br />
osavano persino la separazione tra<br />
pre e finale, l’utilizzo di un braccio<br />
acquistato separatamente. Funzioni<br />
che, tuttavia, poco o nulla<br />
toglievano al concetto di monofunzione<br />
di questi prodotti; si<br />
Siamo tutti rack: la nascita dei componenti separati non affievolisce il senso e la necessità<br />
di considerare le apparecchiature per la riproduzione sonora come un sistema.<br />
trattava, piuttosto, di far aumentare<br />
il valore percepito del proprio<br />
sistema audio in termini di<br />
status symbol (come ancora oggi<br />
succede nell’ostentazione di certi<br />
nomi), a prescindere dal loro reale<br />
ed efficace funzionamento. L’inizio<br />
della disgregazione di questa<br />
condizione monolitica arriva con<br />
l’affermazione a livello popolare<br />
della musica in formato digitale,<br />
dapprima con la comparsa del CD<br />
e successivamente con la musica<br />
liquida. Fenomeni, soprattutto il<br />
secondo, che hanno provveduto a<br />
scardinare in maniera netta valori<br />
e dogmi del settore. L’approdo alle<br />
tecnologie digitali ha disgregato<br />
le tradizionali categorie utilizzate<br />
per definire i vari prodotti Hi-Fi<br />
mono-funzione dando vita a dei<br />
veri e propri “ibridi” fino a poco<br />
tempo fa, di fatto, inesistenti: il<br />
DAC che diventa spesso anche pre<br />
digitale (quando non viene integrato<br />
a uno streamer di rete o a<br />
una meccanica di lettura per dischi<br />
ottici o, ancora, a una sezione<br />
di potenza per diffusori); l’amplificatore<br />
per cuffia che, arricchendosi<br />
di uno stadio di conversione<br />
digitale, diventa quasi un sistema;<br />
i diffusori attivi che, con a bordo<br />
quello stesso stadio, vivono di<br />
vita propria. La risposta, proprio<br />
noi “addetti ai lavori”, ce la siamo<br />
ritrovata sotto il naso, sia nella<br />
gestione quotidiana della rivista<br />
che nel lavoro annuale di revisione<br />
dell’Annuario; la realizzazione,<br />
anno dopo anno, dell’Annuario ci<br />
ha, infatti, posto di fronte a un<br />
sempre maggiore numero di casi<br />
di questo genere: in che categoria<br />
rientra questo apparecchio? Sempre<br />
in Annuario c’è una sezione<br />
che da qualche tempo più di altre è<br />
oggetto di questi dubbi: quella dedicata<br />
ai sistemi coordinati. Fino<br />
a qualche anno fa qui abbiamo<br />
inserito i sistemi classicamente<br />
definiti tali, quelli di dimensioni<br />
midi e mini con tanto di amplificatore,<br />
diffusori, lettori CD o giradischi<br />
e così via. Negli ultimi anni la<br />
sezione ha pian piano cominciato<br />
ad accogliere anche altri prodotti,<br />
magari di difficile catalogazione.<br />
Da pochi elementi ci siamo accorti<br />
che il numero stava crescendo<br />
per inglobare soluzioni sempre<br />
più diverse l’una dall’altra e di catalogazione<br />
sempre più difficile. I<br />
sistemi coordinati sono diventati,<br />
alla fine, come le “varie ed eventuali”<br />
delle riunioni di condominio:<br />
tutto quello che non è chiaro<br />
e definito va a finire qui dentro!<br />
Un mix di sigle e, soprattutto,<br />
di tecnologie e funzioni che, alla<br />
fine, ci ha fatto sentire un po’ tutti<br />
come il Mario di prima, quello che<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 49
selector<br />
si trova di fronte a delle realtà che<br />
lo spaventano e incuriosiscono<br />
allo stesso tempo.<br />
Un segmento, dunque, quello dei<br />
coordinati, che sta cambiando<br />
molto; questo ci ha indotto a un<br />
lungo e articolato lavoro per la revisione<br />
che ci ha portato a elaborare<br />
nuovi metri di valutazione di<br />
quello che dovremo aspettarci da<br />
un prodotto moderno ed efficace,<br />
oggi già sotto gli occhi di tutti... Il<br />
problema più grande in questa<br />
fase di costruzione è stata elaborare<br />
nuovi punti fermi, anche alla<br />
luce del fatto che quelli vecchi non<br />
sono più in grado di fotografare la<br />
realtà attuale; il valore di un apparecchio<br />
oggi non è determinato dal<br />
suo peso e dalle sue dimensioni,<br />
elementi che al più ne suggeriscono<br />
la destinazione d’uso. Prendete<br />
un DAC definito “portatile” come<br />
il Chord Hugo (leggero e piccolo):<br />
è possibile che vada come e meglio<br />
di un DAC domestico (pesante e<br />
grosso), eludendo quei limiti che<br />
un tempo erano legati alle dimensioni:<br />
midi, mini e micro in<br />
tal senso pari sono! Altri dati di<br />
targa sono altrettanto fallaci: potenza,<br />
distorsione... non sono più<br />
elementi discriminanti laddove la<br />
globalizzazione ha livellato verso<br />
l’alto certe performance. Ma, attenzione:<br />
non stiamo affermando<br />
che tutti gli apparecchi siano<br />
uguali ma solo che gli elementi<br />
che li distinguono oggi sono anche<br />
altri, a cominciare dalla destinazione<br />
d’uso: una volta allargate<br />
le stesse modalità di ascolto alla<br />
mobilità si aggiungono nuovi<br />
elementi alla lista delle necessità.<br />
Che cosa me ne faccio di un<br />
sistema ben suonante se è troppo<br />
ingombrante per essere utilizzato<br />
in un viaggio breve dove il primo<br />
obiettivo è mantenere un bagaglio<br />
ridotto? Meglio qualcosa di più<br />
piccolo, di più adatto... L’appassionato<br />
è abituato a ragionare per<br />
assoluti ma se già questo metodo<br />
mostrava i suoi limiti in passato<br />
oggi è assolutamente inadatto. Diventa<br />
essenziale stabilire una lista<br />
delle priorità e delle caratteristiche<br />
minime indispensabili, esattamente<br />
come si farebbe dovendo<br />
scegliere tra smartphone, tablet e<br />
PC (portatile o meno) per gestire<br />
i propri dati e il proprio lavoro.<br />
Analogamente a come ci si comporta<br />
verso strumenti del genere,<br />
nel giudizio complessivo di questo<br />
e quel modello assume un’importanza<br />
vitale un elemento fino a ora<br />
quasi estraneo al settore della riproduzione<br />
musicale: l’esperienza<br />
d’uso.<br />
Interfaccia e interazione sono i<br />
nuovi elementi di sfida che i produttori<br />
di Hi-Fi devono considerare<br />
nei loro prodotti: alcuni già<br />
lo fanno, altri ancora non lo hanno<br />
capito, altri... non lo faranno<br />
mai. Interfaccia e interazione<br />
sono oggi la sostanza di un prodotto,<br />
l’elemento caratterizzante,<br />
la nota che distingue più di altri<br />
l’uno dall’altro e, soprattutto, la<br />
porta di ingresso alle possibilità<br />
offerte da quel prodotto. La commistione<br />
con l’informatica ha reso<br />
certamente i prodotti elettronici<br />
più versatili ma questa versatilità<br />
comporta una complicazione<br />
nell’utilizzo: se l’utente medio<br />
in passato trovava il timer di un<br />
videoregistratore così complicato<br />
da non utilizzarlo, come se la<br />
caverà con i prodotti odierni destinati<br />
“solo” alla riproduzione<br />
della musica ma certamente più<br />
complessi? La chiave di accesso<br />
è indubbiamente costituita<br />
dall’interfaccia (oggi, con le app,<br />
addirittura un prodotto a sé) e<br />
dal tipo di interazione possibile<br />
con quel prodotto e, credeteci, le<br />
esperienze sono tra le più varie:<br />
dall’assolutamente inaccettabile al<br />
“quasi” perfetto (quasi perché noi<br />
siamo, per vocazione e necessità,<br />
incontentabili!). Un’esperienza<br />
L’idea di predisposizione in rack condiziona tutt’ora la costruzione degli apparecchi:<br />
nessuno li monterà in un mobile ma vengono ancora forniti con fianchetti aggiuntivi<br />
che servivano per mantenere la compatibilità fra installazioni a rack e stand alone.<br />
forse non oggettiva ma tangibile<br />
il cui effetto si somma a un’altra<br />
miriade di sensazioni dovute<br />
alla natura del prodotto e che,<br />
nell’insieme, generano un metaforico<br />
bleah o un wow! Disagio o<br />
approvazione certo determinati da<br />
criteri di giudizio che si basano su<br />
elementi non soggettivi; anche tra<br />
le proprie emozioni, però, si può<br />
stabilire una scala di valori, soprattutto<br />
se proprio questo è uno<br />
dei compiti che vi siete preposti!<br />
E, soprattutto, quella “sensazione”<br />
è costante e ripetibile... Questo<br />
divario tra “bleah” e “wow!” è un<br />
importante fattore di discernimento<br />
tra prodotti, soprattutto<br />
quelli destinati alle nuove fruizioni<br />
della musica liquida: non mente<br />
mai ed è un fenomeno che, dopo<br />
averci lasciati allibiti, siamo ora in<br />
grado di affrontare con strumenti<br />
critici…<br />
Ma che succede? <strong>SUONO</strong> non<br />
parla più di “prestazioni”? Chi ci<br />
segue sa bene come e quanto siamo<br />
stati e siamo (e saremo!) attenti<br />
a proporre su queste pagine<br />
prodotti di valore, quelli che hanno<br />
dato e danno tuttora un contributo<br />
fondamentale al piacere di<br />
ascoltare la musica. Chi ci segue<br />
sa altrettanto bene come, da tempo,<br />
abbiamo integrato nel nostro<br />
paniere di valori di giudizio anche<br />
altri elementi che concorrono al<br />
piacere di possedere un oggetto:<br />
siamo stati i primi (e unici!) a parlare<br />
di “fattore di concretezza” in<br />
merito a un prodotto o addirittura<br />
a un produttore. Allo stesso modo<br />
occorre ora introdurre un elemento,<br />
l’usabilità, che si combina con<br />
l’esperienza d’uso e che, in fondo,<br />
determina la soddisfazione finale<br />
dell’utilizzatore. Abbiamo cercato<br />
un termine che lo determinasse,<br />
che fosse specifico ma allo stesso<br />
tempo comprensivo di tanti altri<br />
significati: abbiamo scelto “piacevolezza”.<br />
Piacevolezza indica quanto siamo<br />
soddisfatti nell’interagire / utilizzare<br />
/ possedere un determinato<br />
oggetto, un aspetto che va oltre<br />
quelle che sono le peculiarità<br />
specifiche della sua categoria di<br />
appartenenza. Se ampliamo il discorso<br />
ai fatti di tutti i giorni possiamo<br />
trovare “piacevole” un paio<br />
di scarpe che, pur non essendo realizzate<br />
in cuoio super selezionato,<br />
sono morbide e non ci stancano;<br />
può essere “piacevole” un film<br />
perché in quel momento solletica<br />
i nostri sentimenti, a prescindere<br />
dal suo taglio tecnico e dalla qualità<br />
della regia. Allo stesso modo,<br />
può essere piacevole un prodotto<br />
che riproduce musica senza che la<br />
tecnologia che esso utilizza sia ben<br />
nota e/o di livello riconosciuto?<br />
50 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
SPECIALE coordinati<br />
Magari per qualcuno è necessario<br />
avere qualche bella valvola in vista<br />
per il proprio amplificatore, per<br />
altri lo è annusare l’essenza pungente<br />
di vero legno dei propri diffusori.<br />
Ma è sempre così? Sonos,<br />
a suo tempo, ci ha insegnato ad<br />
apprezzare la possibilità di avere<br />
con facilità e con una spesa sostanzialmente<br />
contenuta musica<br />
in ogni angolo della nostra casa,<br />
a prescindere dalla storicità del<br />
nome e dalla consistenza delle tecnologie<br />
utilizzate. E se queste riflessioni<br />
sono valide per ogni tipo<br />
di prodotto, “l’esperienza” con i<br />
coordinati di nuova generazione<br />
è portata all’ennesima potenza in<br />
ragione della loro multifunzionalità<br />
che li fa risultare più complessi<br />
dei prodotti singoli.<br />
Esistono ovviamente anche altri<br />
indicatori per definire la qualità<br />
di un coordinato sebbene incidano<br />
anch’essi in maggiore o minore<br />
misura sull’esperienza d’uso. Uno<br />
dei più complessi e nuovi riguarda<br />
la possibilità di collegamento in<br />
rete e la misura in cui ciò accade<br />
portando il prodotto a far parte di<br />
un ecosistema. è un tema su cui<br />
si giocherà il prossimo futuro del<br />
settore e, con esso, il successo di<br />
determinati prodotti e marchi. Il<br />
tema è affrontato in maniera diversa<br />
dai diversi produttori, dove<br />
l’obiettivo comune è (o dovrebbe<br />
essere) la semplicità di realizzazione<br />
e di gestione di questa rete: il<br />
protocollo DLNA è quello che, assieme<br />
ad altri elementi, dovrebbe<br />
semplificare il tutto. DLNA vuol<br />
dire, in prima battuta, semplicità<br />
di inserimento del prodotto nella<br />
rete locale e della gestione delle<br />
sue funzioni e contenuti. Elemento<br />
fondamentale per molti, soprattutto<br />
per chi è meno abituato a un<br />
impatto “informatico”, per chi è<br />
abituato a spingere play per far<br />
partire il CD e, in genere, a usare<br />
il solo comando di start per ascoltare<br />
musica. Il tentativo di alcuni<br />
produttori più illuminati è quello<br />
Unità emozionale di misura negativa.<br />
Unità emozionale di misura positiva.<br />
di minimizzare e semplificare il<br />
set-up iniziale e le operazioni successive:<br />
arrivano così in aiuto app<br />
dedicate, procedure guidate (quelli<br />
che in genere vengono chiamati<br />
wizard) di supporto, procedure<br />
ben delineate e, soprattutto, ben<br />
scritte e ben comunicate all’utente.<br />
Un’operazione, quella di semplificazione,<br />
necessaria, visto che il<br />
mondo della rete locale e di quella<br />
esterna è in continuo divenire e<br />
crescere: dispositivi di memoria<br />
locali, remoti, servizi di streaming<br />
e di download e condivisione di<br />
chissà quanti e quali altri servizi<br />
e componenti presenti sulla rete.<br />
Operazioni complesse e delicate<br />
che solo una buona architettura<br />
tecnologica riesce a portare a<br />
compimento senza intoppi e senza<br />
errori. Semplicità ed efficacia allo<br />
stesso tempo: chi non può/potrà<br />
offrirli ai propri clienti non ha futuro!<br />
Su questo argomento Sonos<br />
è stato precursore dei tempi: ha<br />
saputo affrontare il tema della rete<br />
proprietaria in maniera netta e decisa<br />
e lo ha fatto diventare un suo<br />
punto di forza rispetto ad altre realtà<br />
che, proprio in tal senso, presentano<br />
evidenti lati negativi. Una<br />
rete locale proprietaria ha senso<br />
se è ben fatta, se è funzionale e,<br />
soprattutto, se nel corso del tempo<br />
l’azienda provvede a mantenerla<br />
“viva” e funzionale, se l’utente<br />
non ha problemi ad accedervi e,<br />
al contrario, ottiene solo benefici<br />
nell’entrare in un sistema che è sì<br />
chiuso ma completo e funzionale.<br />
Solo il tempo ci dirà se questa<br />
scommessa sarà vinta, se chi ha<br />
comprato questi prodotti si ritroverà<br />
per le mani uno scattante purosangue<br />
o un ronzino sfiancato,<br />
se l’azienda sarà in grado di sostenere<br />
adeguatamente la propria<br />
linea o se i numeri del mercato<br />
non potranno sostenere l’investimento<br />
iniziale. In questo Sonos<br />
è stato precursore e il tempo ha<br />
dato loro una risposta sicuramente<br />
positiva. Una notevole valenza<br />
è costituita anche da quella che<br />
possiamo definire “autonomia<br />
sonora”, ovvero la possibilità che<br />
il prodotto in questione riesca a<br />
suonare senza la necessità di elementi<br />
ulteriori: in passato questo<br />
è stato visto (a ragione) come un<br />
limite ma oggi l’integrazione di<br />
tecnologie ed elementi “confinanti”<br />
è in grado di fornire prestazioni<br />
vicine a quelle che in teoria erano<br />
state indicate come ideali. Grazie<br />
alla possibilità di prevedere come<br />
e quali componenti andranno<br />
“matchati”, utilizzando in modo<br />
corretto la bi-amplificazione, i<br />
benefici sono ampi ma ancora<br />
di più lo sono quelli derivanti<br />
dall’utilizzo dei DSP, oggi molto<br />
più performanti ed economici che<br />
in passato. Vi possiamo garantire<br />
che l’esperienza di un sistema ottimizzato<br />
è sorprendente rispetto<br />
ai canoni tradizionali a cui siamo<br />
abituati. Ecco perché i coordinati<br />
moderni ottemperano il postulato<br />
forse più importante (e quasi<br />
sempre travisato) del genere:<br />
assemblare più elementi insieme<br />
garantisce la possibilità di ottimizzare<br />
gli abbinamenti e, in sostanza,<br />
di migliorare il rapporto costi/<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 51
selector<br />
prestazioni! Vero anche che il ciclo<br />
vitale del prodotto chiuso è legato<br />
a doppio filo con il componente a<br />
più rapida obsolescenza! Quindi<br />
bisogna comprendere quali siano<br />
gli elementi critici o quelli che,<br />
potenzialmente, possono essere<br />
aggiornati e attualizzati.<br />
Un altro elemento (anzi: una condizione<br />
opportuna) è quello del<br />
wireless. Wireless vuole o vorrebbe<br />
dire entrare a far parte di un<br />
ecosistema in continua espansione<br />
e aderire a servizi che in parte<br />
ancora non sono stati inventati!<br />
Servizi che si appoggiano a una<br />
rete di comunicazione in rapidissima<br />
espansione. Wireless, oggi,<br />
non significa senza cavo, anzi: il<br />
paradosso è che significa “essere”<br />
cablati! Nell’accezione più profonda<br />
e “connessa” del termine. La<br />
possibilità di usufruire di servizi<br />
di streaming puro, di web-radio<br />
e di download (i primi e i terzi disponibili<br />
ormai in definizione CD<br />
e anche oltre) con diverse formule<br />
di abbonamento e acquisto accresce<br />
enormemente la versatilità di<br />
un sistema, ulteriore pilastro su<br />
cui è stato edificato il concetto di<br />
coordinato.<br />
Infine un ulteriore elemento che<br />
ricorre in questi prodotti e che,<br />
a torto o a ragione, viene citato<br />
come fattore di discrimine: la<br />
compatibilità con formati audio<br />
ad alta risoluzione. Una vera esigenza<br />
tecnica o una trovata marketing?<br />
Indubbiamente l’audio<br />
HD è un must di questi ultimi<br />
anni, un elemento tecnico che i<br />
vari prodotti (a qualunque categoria<br />
essi appartengano) ostentano<br />
con orgoglio. Rimane di fondo<br />
il tema inconfutabile che un’alta<br />
risoluzione non implica naturalmente<br />
un’elevata qualità tecnica<br />
del file audio corrispondente;<br />
per questo, se non ci aspettiamo<br />
sempre e comunque il coro degli<br />
angeli, ben venga che il sistema<br />
che andiamo ad acquistare sia in<br />
grado di farci ascoltare, eventualmente<br />
anche in modo “non” nativo,<br />
musica in PCM 192, 384 kHz<br />
e DSD che sia. È ipotizzabile in un<br />
futuro non lontano che il paradigma<br />
di Carly Fiorina (qualsiasi<br />
cosa, in qualsiasi posto e in qualsiasi<br />
momento) si arricchisca di<br />
un “qualsiasi modo”, frutto degli<br />
altri parametri descritti: se oggi è<br />
insensato riprodurre in streaming<br />
un file ad alta risoluzione su uno<br />
smartphone in movimento è anche<br />
vero che le inutili duplicazioni<br />
(di apparati e di standard in cui è<br />
codificata la musica) sono destinati<br />
a scomparire: in funzione delle<br />
nostre necessità, che si riflettono<br />
sul prodotto con cui le vogliamo<br />
attuare, ci verrà fornita la qualità<br />
migliore in quelle determinate<br />
condizioni! Se si considera, inoltre,<br />
il fatto che per loro natura i<br />
prodotti a base informatica sono<br />
upgradabili con facilità via software<br />
(quando previsto e quando<br />
possibile), gran parte del discorso<br />
sulle performance viene demandato<br />
a una scelta di fondo di apparecchiature<br />
che non abbiano<br />
vincoli eccessivamente limitanti<br />
e alla capacità organizzativa delle<br />
aziende di aggiornarne la release!<br />
Con i prodotti di nuova generazione<br />
è necessario comunque un<br />
primo approccio di set-up, una<br />
configurazione necessaria per<br />
portare la macchina a esprimere<br />
le sue massime prestazioni e/o<br />
funzionalità. Una serie di operazioni<br />
che l’audiofilo tradizionale<br />
non è abituato a fare e che in molti<br />
casi non vuole fare prima ancora<br />
di non saper fare. Un blocco mentale<br />
che lo riporta nella sua zona<br />
di comfort che arriva dal funzionamento<br />
semplice e lineare dei<br />
componenti del suo impianto<br />
storico, quello composto da prodotti<br />
mono-funzione. Lo stesso<br />
blocco mentale che impedisce a<br />
molti di accettare e ascoltare con<br />
una certa apertura e curiosità<br />
quelli che sono i nuovi prodotti<br />
Ritorno alle origini: il sistema come espressione di eccellenza. Alto artigianato e soluzioni<br />
(tra le altre un sistema che abbatte le vibrazioni interne) per Lyravox, società<br />
con sede ad Amburgo, che propone ben tre modelli. È controllabile via app, dispone<br />
di collegamento USB, ethernet e Bluetooth con aptX. Varie le essenze lignee lucidate<br />
in cui viene fornito. Davvero bellissimo!<br />
e le nuove tecnologie a essi collegati.<br />
Chi non prova ad accettare il<br />
nuovo, o quanto meno a fare un<br />
timido tentativo di conciliazione<br />
preventiva, rischia di perdere delle<br />
belle realtà. E con esse il modo<br />
di ascoltare musica, con un buon<br />
livello qualitativo, in situazioni<br />
che possono essere anche diverse<br />
dalla solita configurazione “due<br />
diffusori equidistanti e il divano<br />
in mezzo”. Possiamo ormai<br />
ascoltare musica in ogni situazione,<br />
con sorgenti differenti tra<br />
loro e ottenere un alto livello di<br />
piacevolezza, con la musica che<br />
torna al suo originario compito di<br />
espressione e supporto dei nostri<br />
sentimenti del momento e non di<br />
veicolo di stress da ansia da prestazione<br />
dell’impianto che la sta<br />
riproducendo. Recenti statistiche<br />
ci parlano di percentuali bulgare<br />
(siamo al 90% circa) di persone<br />
che ogni giorno ascoltano musica,<br />
il doppio di qualche decennio fa<br />
quando farlo era quasi un lusso<br />
e/o uno status symbol. Oggi è indubbiamente<br />
più facile ascoltare<br />
musica in qualsiasi momento e<br />
in qualsiasi luogo, basta volerlo.<br />
Venti euro al mese e Tidal, ad<br />
esempio, ci mette a disposizione<br />
tutta la musica che vogliamo/riusciamo<br />
ad ascoltare all’interno<br />
della sua libreria di 25 milioni di<br />
tracce accessibili; soprattutto, ci<br />
offre una qualità CD, lo stesso CD<br />
(singolo) che compreremmo con<br />
quei venti euro mensili. Qualcuno<br />
è già pronto a obiettare che serve<br />
sempre e comunque una connessione<br />
e anche di buona qualità,<br />
senza sapere che una delle funzioni<br />
di Tidal è di utilizzare una<br />
parte della memoria del dispositivo<br />
per ascoltare la musica scelta<br />
quando siamo obbligatoriamente<br />
offline (in aereo, ad esempio).<br />
Aggiungiamo anche la disponibilità<br />
di musica da scaricare a normale<br />
e alta risoluzione, in maniera<br />
semplice e, cercando bene, anche<br />
senza spendere troppo. Già, forse<br />
è il “non sapere” l’elemento che ci<br />
frena maggiormente dall’accettare<br />
questi nuovi prodotti e le tecnologie<br />
che li accompagnano, il “non<br />
sapere” che ce li fa immaginare<br />
difficili da configurare e gestire.<br />
Magari questo può essere (molto<br />
parzialmente) vero per quelli più<br />
smart e più net-oriented ma sicuramente<br />
non lo è per un sistema<br />
che accetta il Bluetooth o AirPlay,<br />
i due sistemi wireless più alla portata<br />
di tutti che il mercato possa<br />
presentare: uno o due pulsanti da<br />
attivare e nulla più. Tanto diverso<br />
dal play del lettore CD? Forse no<br />
(anzi, sicuramente no!); in cambio<br />
ci si apre un mondo di funzionalità<br />
e possibilità di utilizzo che vanno<br />
ben oltre il dischetto in policarbonato.<br />
Basta volerlo e saperlo.<br />
52 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
NON AVEVI<br />
SENTITO?<br />
LA QUALITÀ DEL <strong>SUONO</strong> È SEMPRE MOLTO IMPORTANTE<br />
I TUOI FILM E LA TUA<br />
MUSICA SUONERANNO<br />
MEGLIO<br />
Le Klipsch Reference Tractrix<br />
Horns ® offrono la più limpida<br />
e naturale riproduzione del<br />
suono grazie ad una precisa<br />
curvatura della tromba e a una<br />
finitura in gomma modellata<br />
a compressione per lo<br />
smorzamento delle risonanze.<br />
LA POTENZA DEL RAME<br />
I famosi woofer in rame Cerametallic TM<br />
Klipsch sono straordinariamente<br />
leggeri e al contempo rigidi,<br />
per riprodurre un’incredibile risposta<br />
alle basse frequenze con minima<br />
distorsione.<br />
ALTA EFFICIENZA =<br />
<strong>SUONO</strong> MIGLIORE<br />
Il sistema Linear Travel Suspension<br />
dei nostri tweeter al titanio,<br />
riduce la distorsione, offrendo<br />
una riproduzione estremamente<br />
naturale e cristallina delle alte<br />
frequenze.<br />
UN DESIGN<br />
STRAORDINARIO<br />
PER UN <strong>SUONO</strong><br />
STRAORDINARIO<br />
I pannelli anteriori senza<br />
giunzioni rifiniti in polimero<br />
spazzolato nero e le griglie<br />
asportabili a fissaggio magnetico<br />
della serie Reference Premiere,<br />
denotano un design molto lineare<br />
che accompagna<br />
un suono di straordinaria<br />
potenza.
selector<br />
a cura della redazione<br />
COORDINATI<br />
SAMSUNG R6<br />
Piccola ma doverosa premessa:<br />
nel 1999 Samsung<br />
introduce la gamma YEPP<br />
di lettori con memoria di<br />
massa. Solo due anni dopo<br />
(ottobre 2001) arriverà l’i-<br />
Pod... L’azienda coreana (a<br />
dire il vero anche Philips e<br />
pochi altri) aveva intuito<br />
la rivoluzione che avrebbe<br />
attraversato la musica;<br />
che per sviluppare il progetto<br />
occorresse occuparsi<br />
anche dell’aspetto software,<br />
la vera forza di Apple,<br />
è un’altra storia... Non<br />
solo: YEPP era l’acronimo<br />
per “young, energetic, passionate<br />
person”: a essere<br />
centrato fu dunque anche<br />
il target, sebbene poi il<br />
progetto si rivelò una<br />
grande opportunità<br />
incompiuta...<br />
Aben vedere la storia di<br />
Samsung nell’Hi-Fi è<br />
fatta di enormi potenzialità<br />
(il direttore di questo<br />
giornale, che l’ha visitata, parla<br />
di centri ricerca mirabolanti!)<br />
spesso incompiute, come<br />
nel caso della gamma YEEP<br />
ma anche del DA-E750 (provato<br />
su <strong>SUONO</strong> 489 – ottobre<br />
2014), rimasto una boutade per<br />
quanto eccitante (dove si è mai<br />
visto un coordinato / soundbar<br />
a valvole?).<br />
Anche per il progetto “R” sono<br />
state messe in campo ingenti<br />
risorse: nel 2013 è stato creato<br />
a Santa Clarita, in California,<br />
non lontano dagli Studios<br />
Hollywoodiani, l’Audio<br />
Lab, struttura di<br />
ricerca dove lavorano<br />
una<br />
quindicina di persone dirette<br />
da Allan Devantier; ingegnere<br />
di spicco del Canadian National<br />
Research Council prima e<br />
della Harman Industries poi,<br />
il responsabile del progetto “R”<br />
ha voluto all’interno del proprio<br />
team cinque musicisti (ma<br />
ve li immaginate gli orientali a<br />
combattere con un approccio<br />
umanistico?). Devantier ci ha<br />
spiegato: “I musicisti sono una<br />
parte attiva dello sviluppo di un<br />
nuovo dispositivo; per la creazione<br />
dell’R6 e dell’R7 abbiamo<br />
realizzato migliaia di modelli<br />
3D al computer per trovare la<br />
forma ideale in grado di gestire<br />
il miglior suono possibile, sottoponendoli<br />
di volta<br />
in volta<br />
a l l e<br />
“ottime orecchie” che avevamo<br />
a disposizione. Abbiamo ascoltato<br />
i suoni prodotti a lungo e<br />
con estrema attenzione”.<br />
Il risultato di questo sforzo è<br />
una gamma composta da due<br />
sistemi omnidirezionali caratterizzati<br />
da un originale design<br />
che ne consente (nel caso<br />
del modello maggiore R7) una<br />
sospensione “aerea”, appeso<br />
al soffitto. L’R6, l’apparecchio<br />
qui in prova, è invece un sistema<br />
di più piccole dimensioni il<br />
cui corpo principale è costituito<br />
da due gusci separati lungo<br />
la longitudine accoppiati fra<br />
loro e rifiniti con la flangia del<br />
tweeter nella parte alta e quella<br />
del woofer, collocato in posizione<br />
opposta, nella parte bassa.<br />
All’interno è contenuta anche<br />
l’elettronica di gestione e amplificazione<br />
mentre la batteria<br />
è nel basamento inferiore.<br />
Il woofer, con la membrana<br />
in carta da 12,5 cm e la<br />
sospensione in gomma rovesciata,<br />
emette verso la<br />
base, dove è stato ricavato<br />
un elemento in plastica<br />
cromata con un profilo<br />
a cuspide leggermente<br />
curvato. Sulla faccia<br />
anteriore sono collocati<br />
i comandi a sfioramento<br />
per l’accensione, la<br />
selezione degli ingressi e la<br />
regolazione del volume e il<br />
tasto play/pausa. La pressione<br />
Prezzo: € 299,00<br />
Dimensioni: 15,7 x 23,2 x 15,7 cm (lxaxp)<br />
Peso: 1,8 kg<br />
Distributore: Samsung Electronics Italia<br />
Via C. Donat Cattin, 5 - 20063 Cernusco Sul Naviglio (MI)<br />
Tel. 02.92.18.91 - Fax 02.92.141.801<br />
www.samsung.it<br />
DIFFUSORI Samsung R6<br />
Diffusori: sistema omnidirezionale con tweeter da 25 mm e woofer<br />
da 12,5 Telecomando: via app Note: Wireless e Bluetooth.<br />
Formati compatibili: AAC, MP3, OGG, AIFF, ALAC, WAV, Flac fino<br />
a 192/24 prezzo cadauno.<br />
54 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test<br />
Il tweeter a cupola morbida è collocato in<br />
alto con un diffrattore acustico e il woofer<br />
emette verso il basso attraverso una feritoia<br />
circolare che corre lungo la base al cui<br />
interno è contenuta la batteria Li-Ion da 12V<br />
e 2800mA.<br />
combinata del tasto play e degli<br />
ingressi mette l’apparecchio<br />
nella modalità “ascolto” per<br />
l’avvio delle procedure guidate<br />
tramite app di configurazione<br />
manuale della rete wireless entro<br />
cui verrà inserito il sistema.<br />
Grazie alla sua natura l’R6 è in<br />
grado di offrire una decorosa<br />
scena sonora quasi a prescindere<br />
dalla posizione; sorprende,<br />
invece, che proprio all’interno<br />
di una libreria l’apparecchio<br />
manifesti i maggiori limiti in<br />
tal senso! È inoltre possibile indirizzare<br />
un segnale stereo anche<br />
a un’unica unità, in favore<br />
di una trasportabilità maggiore<br />
ma… scordatevi la soglia minima<br />
di qualità che definiamo<br />
Hi-Fi. Utilizzando una coppia<br />
di apparecchi il costo lievita a<br />
circa 600 euro ma è ipotizzabile<br />
un confronto con un setup<br />
tradizionale (integrato più<br />
due diffusori) senza che l’R6<br />
sia perdente di default… A quel<br />
punto il fattore discriminante<br />
potrebbe essere la modalità di<br />
utilizzo da voi scelta: il collegamento<br />
Bluetooth è abbastanza<br />
“standard” mentre quello alla<br />
rete segue una procedura un po’<br />
farraginosa ma comunque favorita<br />
da una serie di indicazioni<br />
guidate abbastanza chiare ed<br />
efficaci<br />
in più<br />
situazioni e<br />
con diversi dispositivi (sebbene<br />
ci siano alcune differenze tra la<br />
gestione iOS e quella Android).<br />
Nel caso del collegamento alla<br />
rete c’è sempre bisogno di una<br />
rete Wi-Fi preesistente e già<br />
configurata e funzionante... Il<br />
sistema non è DLNA compliance<br />
e, di fatto, necessita della app<br />
per funzionare e abbinarsi con<br />
le altre risorse già presenti nelle<br />
rete domestica; per utilizzare<br />
musica presente sul computer<br />
bisogna installare un’altra applicazione<br />
per condividere i<br />
contenuti a differenza, ad esempio,<br />
del caso DLNA o ancor più<br />
dell’Airplay. Certo l’aderenza a<br />
uno dei due standard o anche<br />
a tutti e due non è di per sé garanzia<br />
di eccellenti funzionalità<br />
e usabilità (altrimenti non<br />
assisteremo a un proliferare di<br />
apparecchi e app che tentano<br />
di semplificare e ottimizzare i<br />
processi) ma consente di usare<br />
i prodotti con gran parte delle<br />
apparecchiature esistenti. Nel<br />
caso di Samsung, però, bisogna<br />
inserire “strati” intermedi che<br />
fanno<br />
da tramite<br />
solo per consentire<br />
il funzionamento del<br />
dispositivo e non per “andare<br />
oltre” le performance di base.<br />
Qual è, dunque, l’ipotetico profilo<br />
dell’utente tipo dell’R6? È<br />
evidente che non è quello di un<br />
fruitore di musica “strutturato”<br />
e verticale ma, piuttosto, di<br />
un consumatore generico a cui<br />
fornire un apparato il più possibile<br />
plug ‘n’ play, con i pregi<br />
e i limiti di questa soluzione.<br />
Da ciò si evince che la gestione<br />
della musica e, soprattutto,<br />
della collezione musicale non<br />
è uno degli obiettivi principali<br />
della funzionalità del sistema<br />
mentre vengono valorizzati i<br />
servizi di streaming. Il sistema<br />
è pensato per essere usato da un<br />
dispositivo mobile/portatile e<br />
non come un oggetto inserito in<br />
un ecosistema, quasi a mo’ di<br />
peer to peer, anche se poi sono<br />
state implementate funzioni<br />
di collegamento a televisori<br />
(gli R6 sono pensati per essere<br />
abbinati a televisori dotati di<br />
funzionalità smart o di collegamento<br />
Bluetooth, solo che la<br />
compatibilità del prodotto viene<br />
proposta per i modelli prodotti<br />
dopo il 2012 e solo in seguito a<br />
una verifica della compatibilità<br />
del televisore con la funzione<br />
SondConnect). La funzione di<br />
multiroom è molto ben implementata<br />
nella app e il sistema<br />
risponde molto rapidamente e<br />
velocemente all’abbinamento<br />
fra più dispositivi e al controllo<br />
master di tutti. Il sistema è inoltre<br />
dotato di una batteria abbastanza<br />
capiente da 12V 2800<br />
mA, indicativamente sufficiente<br />
per una durata media di sei ore<br />
di musica a livelli “medi”. L’R6<br />
sembra pensato più per essere<br />
trasportato che per essere utilizzato<br />
in portabilità: è praticamente<br />
imprendibile e bisogna<br />
stare attenti a non introdurre<br />
la punte delle dita nella feritoia<br />
del tweeter per non gravare<br />
sulla lente acustica superiore<br />
(come peraltro esplicitato nel<br />
manuale di istruzioni che, nota<br />
di servizio, presenta molte incongruità).<br />
Inoltre i comandi<br />
a sfioramento sulla parte anteriore<br />
si attivano abbastanza<br />
facilmente, rendendo ancor<br />
più complesso il trasporto del<br />
prodotto.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Soluzione complessa e originale sebbene i tweeter<br />
necessiterebbero di soluzioni più mirate.<br />
Nella media l’elettronica.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Un valore aggiunto che si scontra, però, con<br />
un design apparentemente in contrasto con le<br />
finalità del prodotto.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Limitata dalla mancata compatibilità DLNA:<br />
l’apparecchio è utilizzabile solo attraverso l’app<br />
proprietaria e mal si interfaccia con DNS in rete.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
A bassi e medi livelli la riproduzione risulta<br />
gradevole e di buon “riempimento” anche se un<br />
controllo del loudness più intelligente/reattivo<br />
avrebbe giovato.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Voto alto all’azienda ma la filosofia volta alla<br />
sostituzione più che all’aggiornamento, unita<br />
alla rapida obsolescenza della categoria, pesa!<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Nel nuovo che avanza c’è di meglio...<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 55
selector<br />
Marshall Stanmore<br />
Prezzo: € 399,00<br />
Dimensioni: 35 x 18,5 x 18,5 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5,1 kg<br />
Distributore: Marshall<br />
Marshall Stanmore<br />
Amplificatore: 2x20 + 1x40 watt Diffusori:<br />
2x Tw 1,9 cm - 1x Wf 13,5 cm<br />
Cambridge Audio<br />
Air200<br />
Più che una connettività spinta o funzioni<br />
particolari il motivo per mettere in casa<br />
uno Stanmore è il fascino del marchio e il<br />
richiamo estetico ai grandi monitor da palco<br />
della stessa Marshall. Connessioni via<br />
cavo in formato mini-jack analogico e ottico<br />
digitale; wireless con streaming Bluetooth<br />
aptX: senza funzioni di rete lo Stanmore è<br />
dedicato a chi vuole musica senza complicazioni.<br />
Ottanta watt erogati sulla coppia<br />
di tweeter e l’unico woofer: quello che otteniamo<br />
è un punch elevato, un sound avvolgente<br />
e un grande coinvolgimento. La<br />
natura “analogica” dello Stanmore è confermata<br />
dall’assenza di un’app di controllo<br />
e dalla presenza di tre manopole fisiche che<br />
regolano classicamente volume, alti e bassi.<br />
Non è come stare su un palco ma il piccolo<br />
Stanmore qualche brividino di piacere lo<br />
dà comunque.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Pesante e consistente, aggiungi pure la cura<br />
elevata dei particolari che lo assimilano ad un<br />
ampli da palco. Suggestioni!<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Per dimensioni e peso lo Stanmore è una via di<br />
mezzo tra un prodotto fisso e uno trasportabile.<br />
O forse ha i vantaggi di entrambi.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■<br />
La più bassa del lotto di prodotti presi in esame:<br />
un paio di analogici, un digitale e l’immancabile<br />
Bluetooth, senza ombra di rete.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Un pezzo rock ascoltato con lo Stanmore è coinvolgente<br />
per il nome del produttore ma anche,<br />
e soprattutto, per il sound che ne otteniamo.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Si sta ampliando velocemente la gamma prodotti<br />
di questa sezione di Marshall: speaker, cuffie e<br />
recentemente anche uno smartphone.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
399 euro (anche online, direttamente dal sito<br />
Marshall) si scontrano con prodotti dal prezzo<br />
simile ma con maggiori funzionalità, sopratutto a<br />
livello di network.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Il telaio è solido e non vibra nemmeno quando<br />
la pressione sonora è alta, grazie alla elevata<br />
potenza e al subwoofer di buone dimensioni.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
L’app è semplice e oltre le web-radio offre poco<br />
di più. Per utilizzare Spotify Connect bisogna<br />
servirsi dell’app specifica.<br />
Prezzo: € 549,00<br />
Dimensioni: 45 x 22 x 17,4 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5,1 Kg<br />
Distributore: Hi-Fi United<br />
Via Manfredi, 98 - 29122 Piacenza (PC)<br />
Tel. 0523.71.61.78 - Fax 0523.71.60.76<br />
www.hifiunited.it<br />
Air200<br />
Sintonizzatore: radio internet Amplificatore:<br />
in Classe D, 200W, ingressi<br />
Ethernet, Wifi, analogico Aux Diffusori:<br />
2 altoparlanti BMR da 6 cm,<br />
subwoofer 16,5 Componenti: integrato<br />
Telecomando: si Note: diffusore<br />
wireless con Airplay e Bluetooth aptX.<br />
Internet radio con 5 preselezioni.<br />
L’Air200 è il top della gamma destinata<br />
alle nuove generazioni in casa Cambridge.<br />
Compatibilità AirPlay, come sottolinea la<br />
sua stessa sigla, ma anche Bluetooth aptX<br />
e Wi-Fi ma senza funzionalità evolute di<br />
rete (DLNA, per esempio) e audio HD; un<br />
ingresso mini-jack per la compatibilità con<br />
sorgenti analogiche. La sezione di potenza<br />
da circa 200 watt in Classe D è dedicata a un<br />
sistema 2.1 che utilizza una coppia di speaker<br />
full-range BMR (Balanced Mode Radiator<br />
a profilo piatto) da 6 cm e un subwoofer<br />
da 16 cm. L’app dedicata permette semplicemente<br />
di selezionare e scegliere le web radio<br />
station da ascoltare; per Spotify Connect<br />
c’è bisogno dell’app specifica. Un piccolo<br />
telecomando in dotazione replica i comandi<br />
presenti sulla parte superiore dell’Air200.<br />
versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
No DLNA e audio HD; gli ingressi AirPlay e Bluetooth<br />
permettono di utilizzare le più comuni sorgenti<br />
wireless. Per quelle analogiche c’è il mini-jack.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
La gamma bassa è potente, anzi, in certi momenti<br />
diventa... prepotente. Nella parte più alta<br />
manca un po’ di presenza e precisione.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Cambridge dovrebbe pescare con meno parsimonia<br />
nelle funzioni di rete dei suoi tanti streamer<br />
e regalare qualcosa all’Air200!<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Senza DLNA e audio HD il prezzo di listino<br />
dell’Air200 risulta un po’ elevato, soprattutto<br />
perché tanti concorrenti offrono più funzionalità<br />
e versatilità.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
56 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
SPECIALE COORDINATI<br />
Pioneer X-HM82<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
In evidenza per i diffusori la fibra di vetro del<br />
midwoofer; anche l’elettronica in generale regala<br />
feedback positivi sulla sua struttura.<br />
Prezzo: € 599,00<br />
Dimensioni: Elettronica 29 x 10 x 33 -<br />
Diffusori 15,6 x 26,6 x 25,8 cm (lxaxp)<br />
Peso: 4,8+4,3 Kg<br />
Distributore: Pioneer Italia<br />
Via R. Lepetit, 8 - 20020 Lainate (MI)<br />
Tel. 02.93911 - Fax 02.9391300<br />
www.pioneer.it<br />
Pioneer X-HM82<br />
Tipo: midi Lettore CD: R/RW Sintonizzatore:<br />
AM/FM Amplificatore:<br />
2x50 @4 Ohm Diffusori: 2 vie - Tw<br />
2,5 cm - MWf 12 cm Telecomando:<br />
si Note: AirPlay, Wi-Fi, Bluetooth,<br />
Audio HD PCM (fino a 192 kHz) e DSD<br />
(2,8 MHz), Ethernet, Spotify Connect,<br />
vTuner.<br />
Elettronica multi-formato più una coppia di<br />
diffusori: il tutto in dimensioni compatte e,<br />
nel caso della prima, con buona versatilità.<br />
In evidenza la possibilità di streaming in<br />
HD: PCM fino 192 kHz (Wav, Flac, Aiff) e<br />
DSD 2,8 MHz su rete cablata e USB, PCM<br />
fino a 48 kHz su rete wireless. Funzionalità<br />
di rete: AirPlay, Wi-Fi (IEEE802.11 b/g) con<br />
due antenne, DLNA 1.5 DMR certificato,<br />
Spotify ready e web-radio su piattaforma<br />
vTuner. Meccanica di lettura CD R/RW.<br />
Connessioni: USB per collegamento in digitale<br />
per iPod / iPhone / iPad, Bluetooth<br />
3.0 aptX, ingresso digitale ottico, doppio<br />
analogico RCA, mini-jack, uscita cuffia e<br />
uscita per subwoofer attivo, porta Ethernet<br />
10/100. Display LCD sul pannello frontale;<br />
telecomando e app (iOS e Android) per la<br />
gestione delle funzioni. Firmware aggiornato<br />
all’estate 2015. Sezione di potenza da<br />
2x50 watt in Classe D.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Per un sistema compatto e relativamente poco<br />
costoso c’è tutto e di buon livello: connessioni<br />
cablate e non, audio HD e app.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
A questo prezzo c’è poco da chiedere oltre: tiri<br />
fuori dalla scatola l’impianto e poco dopo hai<br />
musica di buona qualità da tante fonti diverse.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Per stanze di dimensioni piccole e medie il sistema<br />
è sufficiente e completo; in alternativa si può ricorrere<br />
all’uscita pre-out collegando un sub.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Pioneer sta attraversando un periodo di grandi e<br />
profonde rivoluzioni societarie e di riposizionamento<br />
sul mercato; urgono news sul prossimo futuro.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Lo street price si annuncia ancora più favorevole.<br />
Disponibile il modello X-HM72 con diffusori<br />
più semplici a cento euro in meno. Comunque<br />
un buon affare.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
Onkyo CS-N765<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Nel suo piccolo (come dimensioni) la struttura è<br />
buona e con componenti di qualità; lo stile è quello<br />
asciutto tipico di molta della produzione Onkyo.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Telecomando e app permettono di gestire facilmente<br />
e intuitivamente tutte le sue funzioni principali<br />
e anche la gestione delle librerie audio da rete.<br />
Prezzo: € 599,00<br />
Dimensioni: elettronica:<br />
21,5x11x9x33x1 - diffusori:<br />
15,4x24,5x25,8 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5+3,6 Kg<br />
Distributore: Tecnofuturo S.r.l.<br />
Via Rodi, 6 - 25124 Brescia (BS)<br />
Tel. 030.2452475 - Fax 030.2475606<br />
www.tecnofuturo.it<br />
Onkyo CS-N765<br />
Tipo: midi Lettore CD: si Sintonizzatore:<br />
AM/FM Amplificatore: 2x22<br />
@ 4 Ohm Diffusori: D-055 2 vie: Mw<br />
12 cm, Tw 2,5 cm Cuffia: 150+150<br />
mW Componenti separati: sintoamplificatore<br />
/ CD e diffusori Telecomando:<br />
si Note: Sistema micro<br />
Audiophile composto da sintoampli /<br />
CD CR-N755 e diffusori a 2 vie D-055;<br />
compatibile PCM 24 bit / 192 kHz e<br />
DSD 5.6 MHz; porta di rete DLNA; ingressi<br />
analogici e digitali (USB-ottico,<br />
coassiale).<br />
Fattore-forma quanto di più vicino a un sistema<br />
audio tradizionale, con l’elettronica<br />
principale e i due diffusori. In e out analogici,<br />
l’ingresso USB e i due ottico e coassiale<br />
e la porta di rete dalla quale (con la USB)<br />
gestire file audio anche in HD: PCM fino a<br />
24 bit / 192 kHz e DSD nativo 5.6 MHz, con<br />
sezione di conversione con chip AK4490<br />
VERITA. Lo streaming Bluetooth aptX è<br />
possibile solo con l’acquisto del dongle dedicato.<br />
La porta USB sul frontale gestisce<br />
il collegamento con iPod e gli altri iDevice<br />
in digitale. L’app Onkyo Music permette<br />
di sfogliare le librerie musicali in rete (con<br />
supporto DLNA) e accedere direttamente<br />
ad alcuni servizi remoti come Spotify. Uscita<br />
cuffia da 150+150 mW utilizzabile con trasduttori<br />
tra 16 e 600 Ohm di impedenza.<br />
versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Ingressi analogici, digitale, rete DLNA, USB, audio<br />
HD PCM e DSD, meccanica CD e radio, uscita<br />
cuffia e un buon amplificatore: serve altro?<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
L’aggiunta di un subwoofer attivo (pre-out<br />
dedicato) aggiunge il giusto punch in basso;<br />
buona il resto della gamma, definita e precisa.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Azienda solida, con un catalogo ampio e ben diversificato;<br />
il firmware del sistema è aggiornabile<br />
(via rete e USB) e questo è un elemento positivo.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Poche mancanze (il dongle per il Bluetooth<br />
in primis) e tanti plus per il piccolo sistema di<br />
Onkyo: una soluzione low-cost per apprezzare<br />
la musica HD e la rete.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 57
selector<br />
Bluesound Pulse 2<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Solido ma dall’aspetto abbastanza lineare, al<br />
limite dell’anonimo. Il consistente telaio in plastica<br />
non vibra nemmeno quando la pressione<br />
sonora è elevata.<br />
Prezzo: € 799,00<br />
Dimensioni: 42 x 19,8 x 19,2 cm (lxaxp)<br />
Peso: 6,12 Kg<br />
Distributore: Pixel Engineering S.r.l.<br />
Via San Francesco 4 - 21013 Gallarate (VA)<br />
Tel. 0331.78.18.72 - Fax 0331.71.85.21<br />
www.pixelengineering.it<br />
Bluesound Pulse 2<br />
Formati audio compatibili: PCM, AIFF,<br />
WAV, Apple Lossless, FLAC, MP3 cbr, MP3<br />
vbr, AAC, WMA, Web Radio Tipo: stereo<br />
Tecnologia: a stato solido Amplificazione:<br />
3 x 80 W su 8 Ohm in<br />
classe D Risp. in freq. (Hz): 45-20k THD<br />
(%): 0,005 Ingressi digitali: Ottico (1),<br />
USB Standard (1), Ethernet (1), Wi-Fi<br />
(1) Accessori e funzionalità aggiuntive:<br />
Ingresso cuffia Note: altoparlanti 2<br />
full-range da 6 cm e 1 wf da 13 cm; Bluetooth<br />
4.0 aptX<br />
Seconda generazione dei prodotti Bluesound<br />
e del Pulse 2 nello specifico con processori<br />
di maggiore potenza (Arm A9) e una<br />
migliore connettività. Rimane la possibilità<br />
di realizzare un sistema multiroom articolato<br />
e flessibile con i diversi componenti<br />
della serie ma anche la chiusura verso il<br />
protocollo DLNA (la rete locale Bluesound<br />
è proprietaria), streaming audio 24 bit / 192<br />
kHz, la compatibilità con la maggior parte<br />
dei file audio, l’interfaccia semplificata verso<br />
un buon numero di servizi di streaming<br />
e download (Tidal in testa), il supporto a<br />
MQA. A bordo una sezione di potenza da<br />
80 watt che triamplifica un woofer e due<br />
full-range. Connessioni cablate Ethernet,<br />
USB-A, combo - Toslink 3,5 mm; wireless<br />
Wi-Fi e Bluetooth 4.0 aptX; uscita cuffia.<br />
App per mobile (iOS, Android) e fisso (OSX<br />
e Windows).<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
La non adesione al protocollo DLNA getta<br />
qualche ombra sul Pulse 2; rispetto alla prima<br />
versione spunta l’uscita cuffia e un processore<br />
più potente.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
File compressi, a pieno formato e in HD: il Pulse<br />
2 è pronto a gestire l’audio in tutte le sue forme<br />
e da diverse piattaforme, locali e remote.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Il livello sonoro è buono, così come la gamma<br />
medio-alta; quella bassa soffre un pochino se<br />
esageriamo con il volume.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Bluesound è un brand di NAD e questo è un dato<br />
rassicurante. Rimane il dubbio sul futuro di un<br />
sistema operativo chiuso verso il mondo DLNA.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Solifità e gestione HD fanno, almeno in parte, digerire<br />
un prezzo non proprio popolare<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
Naim Audio<br />
Mu-so Qb<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Alla solita elevata qualità strutturale tipica di<br />
Naim il Mu-so Qb aggiunge un design essenziale<br />
ma curato, da perfetto prodotto lifestyle.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Le dimensioni compatte permettono di collocarlo<br />
più facilmente in confronto con il Mu-so<br />
grande. Connettività semplificata.<br />
Prezzo: € 895,00<br />
Dimensioni: 21 x 21,8 x 21,2 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5,6 Kg<br />
Distributore: Green Sounds<br />
Via Manfredi 98 - 29122 Piacenza (PC)<br />
Tel. 0523.462021<br />
www.greensounds.it<br />
Naim Audio Mu-so Qb<br />
Amplificatore: 4x50 + 1x100 Diffusori:<br />
2 Tw, 2 Md, 1 Wf ellittico, 2 Radiatori<br />
passivi ellittici Note: UPnP, AirPlay,<br />
Ethernet, Wi-Fi Ingressi audio: ottico<br />
S/PDIF8 (fino a 96 kHz), USB tipo A<br />
per iPod, Bluetooth aptX. Formati<br />
supportati: WAV, FLAC e AIFF (fino a<br />
24/192), ALAC (fino a 24/96). Case in<br />
fibra di vetro e alluminio.<br />
Il nuovo Mu-so Qb prova a contenere in un<br />
case più compatto tecnologie e componenti<br />
già visti sul precedente Mu-so. Simile la<br />
sezione di controllo (DSP a 32 bit), qualche<br />
watt in meno, simili gli altoparlanti che perdono<br />
un woofer ma acquistano due radiatori<br />
passivi. Per la compattezza del frontale<br />
rispetto al Mu-so originale, le due coppie di<br />
tweeter e midrange sono state angolate di<br />
45 gradi, divergenti tra di loro, per ampliare<br />
meccanicamente il fronte sonoro. Buona<br />
compatibilità con diversi formati audio,<br />
anche in HD ma solo per PCM. UPnP e<br />
AirPlay, Bluetooth aptX, Spotify Connect e<br />
Tidal. Con l’app dedicata (iOS e Android) è<br />
possibile creare e gestire una rete con 5 unità<br />
collegabili tra di loro, sia della serie Mu-so<br />
che Uniti e Naim streaming in genere.<br />
versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Ci sono le connessioni wireless che contano, un<br />
ingresso analogico che è sempre comodo, UPnP e<br />
rete locale. Manca il supporto per DSD.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Quasi difficile credere che da un cubotto così<br />
piccolo possa venire fuori così tanta musica, di<br />
buona qualità e di adeguato livello sonoro.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Naim sta riversando nella serie Mu-so i suoi<br />
punti di forza e il forte know-how acquisito<br />
nella distribuzione in rete di contenuti audio.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Meno di 900 euro di listino per un prodotto che<br />
è un concentrato di funzionalità e tecnica, con il<br />
plus non irrilevante di un design coinvolgente.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
58 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
SPECIALE COORDINATI<br />
Geneva Lab<br />
AeroSphere Large<br />
Prezzo: € 969,00<br />
Dimensioni: 40 x 40 x 32 cm (lxaxp)<br />
Peso: 8 kg<br />
Distributore: Sounders S.r.l.<br />
Via Giovanni Bellezza, 11<br />
20136 Milano (MI)<br />
Tel. 02/4222855 - Fax 02/4232716<br />
www.sounders.it<br />
Geneva AeroSphere Large<br />
Amplificatore: cinque canali con<br />
DSP Diffusori: 2.1 - 2x Tw 2,5, 2x Mw<br />
10 cm, 1x SubWf 16 cm Note: Diffusore<br />
singolo con sistema 2.1 multiamplificato<br />
in Classe D con DSP; disponibile<br />
app di controllo per iOS e Android;<br />
collegamenti Wi-Fi DLNA, AirPlay, Bluetooth<br />
aptX.<br />
Tanta attenzione al design e alla facile connessione<br />
e gestione delle diverse sorgenti<br />
cablate e non. È il profilo sintetico dell’AeroSphere<br />
Large di Geneva dalla forma quasi<br />
circolare, che integra un sistema 2.1 a cinque<br />
altoparlanti multi-amplificato in Classe<br />
D con DSP con algoritmo proprietario.<br />
Sono preferiti e semplificati i collegamenti<br />
wireless (AirPlay, DLNA, Bluetooth 2.1 con<br />
protocollo aptX) ma è presente anche un<br />
input analogico mini-jack. Per espandere le<br />
connessioni è possibile aggiungere (in wireless)<br />
l’unità Base che integra lettore CD, sinto<br />
radio FM/Dab + e un ulteriore mini-jack.<br />
Della AeroSphere è disponibile la versione<br />
Small di dimensioni più compatte (23 cm di<br />
diametro) e solo due speaker (tweeter da 2,5<br />
cm e midwoofer da 10). Si può realizzare un<br />
piccolo sistema multiroom che conta fino a<br />
quattro AeroSphere, gestibili via app (iOS<br />
e Android).<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Alluminio e plastiche di buona qualità: il design dei<br />
prodotti Geneva è molto particolare ma ti lascia<br />
sempre una sensazione di consistenza e solidità.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
L’app (per iOS e Android) permette di gestire<br />
tutte le funzionalità del prodotto e la gestione<br />
della rete in cui è inserita; particolarmente chiara<br />
la grafica.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
AirPlay, DLNA e Bluetooth coprono le principali<br />
esigenze di collegamento wireless, l’opzione del<br />
modulo Base per CD e FM/DAB. No audio HD.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
La suggestione che sia una “lampada” o un elemento<br />
di arredo a suonare è forte; allineato allo<br />
standard Geneva (e quindi buono) il suono.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Geneva ha ormai superato ogni esame e si è ritagliato<br />
un proprio ruolo stabile e ben definito; la<br />
serie AeroSphere riflette queste caratteristiche.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Poco meno di mille euro per un sistema audio<br />
che è anche un elemento di arredo, bello da vedere<br />
e valido nelle sue funzioni di ascolto.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
JBL<br />
Authentics L 16<br />
Prezzo: € 999,99<br />
Dimensioni: n.d.<br />
Peso: n.d.<br />
Distributore: JVC Kenwood Italia<br />
Via G.Sirtori 7/9 - 20129 Milano (MI)<br />
Tel. 02.20.48.21 - Fax 02.29.516.281<br />
www.kenwood.it<br />
JBL Authentics L 16<br />
Amplificatore: 6 x 50W Note: Sistema<br />
sonoro high-end connettività<br />
wireless Bluetooth, DLNA, AirPlay, Nfc<br />
per pairing automatico Ingresso Aux<br />
per connettere il lettore MP3 o altre<br />
sorgenti musicali Porta bass-reflex.<br />
Design volutamente old-style, con finitura<br />
in legno e griglia a scacchi che richiama una<br />
certa produzione JBL di qualche anno fa<br />
(Century L100 per la precisione). Si tratta<br />
di un doppio tre vie (ma esiste anche l’L8 a<br />
due) con una sezione di amplificazione da<br />
6x50 watt in Classe D: un piccolo JBL al<br />
100%, con tanto punch e una gamma bassa<br />
potente che non ti aspetti da un prodotto<br />
di dimensioni sostanzialmente contenute.<br />
Tanta roba dentro l’L16, a cominciare da un<br />
imprevedibile ingresso phono MM, un ingresso<br />
analogico mini-jack, analogico RCA<br />
(selezionabile linea o phono), un digitale<br />
ottico (24 bit / 96 kHz) e due USB per la<br />
sola ricarica e aggiornamento firmware; per<br />
il wireless compatibilità AirPlay, Bluetooth<br />
(anche NFC), Wi-Fi con supporto DLNA.<br />
App JBL Music. Circuito Clari-Fi per l’equalizzazione<br />
dei file compressi.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Curato nei particolari e ben solido, anche nei<br />
momenti di maggior pressione sonora; non ci<br />
sono rumori e vibrazioni anomali.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Non è facilmente trasportabile per il peso non<br />
proprio piuma, per cui è adatto a un uso sostanzialmente<br />
statico. Telecomando e app per<br />
il controllo a distanza.<br />
versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Facile l’inserimento in rete, in rilievo il phono MM<br />
e una buona dotazione di ingressi cablati e non;<br />
punto negativo le USB che non gestiscono audio.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Un JBL in piccolo con la sua gamma bassa piena<br />
e potente, pressione sonora che riempie facilmente<br />
una stanza di medie dimensioni.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
JBL da tempo sta dimostrando una notevole vivacità<br />
nel settore dei diffusori / sistemi wireless, con<br />
soluzioni per diverse esigenze.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Non proprio contenuto: ma la completezza delle<br />
funzioni e il risultato sonoro sono comunque di<br />
un certo pregio.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 59
selector<br />
Arcam Solo Bar<br />
Prezzo: € 1.300,00<br />
Dimensioni: 100 x 13 x 11 cm (lxaxp)<br />
Peso: 6,4 Kg<br />
Distributore: MPI<br />
Via De Amicis, 10/12<br />
20010 Cornaredo (MI)<br />
Tel. 02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />
www.mpielectronic.com<br />
ArCAM Solo Bar<br />
Amplificatore: 100 watt in Classe<br />
D Diffusori: 4x 100 mm, 2x 25<br />
mm Note: Soundbar; ingresso HDMI<br />
compatibile 4K; ingressi digitali ottico e<br />
coassiale; ingresso analogico mini-jack;<br />
Dolby e DTS; ricevitore Bluetooth aptX;<br />
App per iOS e Android; disponibile<br />
subwoofer attivo Solo Sub da 300 watt e<br />
woofer 250 mm a 1.000 euro.<br />
Il fattore forma e la sigla ricordano una<br />
soundbar ma la soluzione offerta da Arcam<br />
aggiunge alle funzioni audio-video<br />
tipiche del genere una discreta connettività<br />
da sfruttare anche per l’audio. Quindi<br />
in/out HDMI con gestione dei formati<br />
HD audio-video, ingresso digitale ottico e<br />
coassiale, ingresso analogico, connettività<br />
Bluetooth aptX, uscita per subwoofer, uscita<br />
per microfono. La correzione ambientale<br />
assistita (con microfono e software integrato)<br />
interviene per compensare asimmetrie<br />
della stanza e zone di particolare livello di<br />
riflessioni. La sezione di potenza integrata,<br />
dichiarata da Arcam per 100 watt, è sufficiente<br />
a riempire adeguatamente una stanza<br />
anche non proprio piccola; con l’aggiunta<br />
del subwoofer wireless dedicato (Solo Sub)<br />
sale, naturalmente, la pressione e l’estensione<br />
della gamma bassa.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Telaio in alluminio di buon peso e resistenza, la<br />
massa della Solo Bar è superiore a quanto il suo<br />
stile soft lasci immaginare.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Nasce soundbar ma è utilizzabile anche come<br />
hub digitale audio. Mancano le funzioni di rete<br />
ma sono presenti ingressi audio, video, digitali e<br />
analogici e Bluetooth aptX.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Il sistema di correzione ambientale può essere<br />
d’aiuto in alcuni casi così come la possibilità di aggiungere<br />
un subwoofer (wireless dedicato o cablato<br />
generico).<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Il sound della Solo Bar è focalizzato sulla gamma media,<br />
con gli estremi alti presenti ma in secondo piano;<br />
l’aggiunta del subwoofer completa l’emissione.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Su Arcam c’è poco da aggiungere; il Solo Bar, a<br />
cavallo tra HT e audio, forse ha bisogno di una<br />
maggiore definizione dei propri obiettivi.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
1.300 euro non sono pochi, sopratutto se consideriamo<br />
le poche funzioni di rete del prodotto; il prezzo<br />
quasi raddoppia se aggiungiamo il sub dedicato.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
McIntosh RS100<br />
Prezzo: € 1.500,00<br />
Dimensioni: 20,8 x 32,3 x 20,3 cm (lxaxp)<br />
Peso: 6,8 Kg<br />
Distributore: MPI<br />
Via De Amicis, 10/12<br />
20010 Cornaredo (MI)<br />
Tel. 02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />
www.mpielectronic.com<br />
60 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016<br />
McIntosh RS100<br />
Amplificatore: 60 watt Diffusori: Tw<br />
1,9 cm - Wf 10 cm Note: Diffusore<br />
wireless attivo, streamer di rete, supporto<br />
PCM 24/192, DTS Play-Fi, DLNA,<br />
possibilità di rete fino a 16 unità,<br />
uscita subwoofer, potenziometri e<br />
vu-meter, USB per firmware, ingresso<br />
RCA e uscita subwoofer, supporto per<br />
servizi streaming.<br />
Nel suo primo sistema wireless con streamer<br />
di rete integrato McIntosh non ha<br />
rinunciato a proporre i suoi elementi estetici<br />
e strutturali più identificativi. La parte<br />
più innovativa del prodotto è il suo uso in<br />
wireless, con funzionalità di rete DLNA e<br />
supporto per DTS Play-Fi su rete Wi-Fi per<br />
streaming in multi-room semplificato (fino<br />
a otto coppie di diffusori) e wireless audio<br />
senza perdita. Sezione di potenza da 60 watt<br />
per un tweeter in titanio e woofer a lunga<br />
escursione; supporto diretto per diversi<br />
servizi di streaming e download (non tutti<br />
disponibili in Italia). La porta Ethernet è<br />
disponibile solo con un adattatore opzionale<br />
su porta USB (solo per aggiornamento<br />
firmware, no audio); un ingresso analogico<br />
RCA e uscita per subwoofer. App per iOS e<br />
Android, solo Windows per computer fissi.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Alluminio e vetro, come da tradizione dell’azienda;<br />
design forzatamente “classico” che forse<br />
si addice poco al tipo di prodotto e relativo uso.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
La collocazione verticale obbligata e il bass<br />
reflex posteriore vincolano in qualche modo il<br />
posizionamento in ambiente.<br />
versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Il DTS Play-Fi aiuta nella realizzazione di un sistema<br />
multi-room, c’è supporto per DLNA ma è<br />
scarna la dotazione di ingressi.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Gamma bassa poco incisiva, che va affinata e<br />
ottimizzata con la regolazione della distanza<br />
del reflex dal muro; altissime smussate.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Un prodotto che per il suo stile estremamente<br />
personale sembra destinato ai McIntosh addicted.<br />
E gli altri?<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
1.500 euro è più un prezzo tipicamente McIntosh<br />
che non da mercato di diffusori wireless<br />
destinati a un pubblico ampio.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.
SPECIALE COORDINATI<br />
Devialet Phantom<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Devialet assicura che il suo Phantom può raggiungere<br />
i 16 Hz in soli 20 litri per una pressione interna<br />
equivalente a 174 db! Diremmo solido...<br />
Prezzo: € 1.690,00<br />
Dimensioni: 25,3 x 25,5 x 34,3 cm (lxaxp)<br />
Peso: 11 Kg<br />
Distributore: Devialet<br />
10, place Vendome - 75001 Parigi<br />
Tel. +33-616-753904<br />
www.devialet.com<br />
Devialet Phantom<br />
Amplificatore: 750 watt Note: processore<br />
800 MHz dual-core ARM Cortex;<br />
DAC TI PCM1798; tecnologie proprietarie;<br />
utilizzabile singolo, stereo o<br />
multiroom; disponibile hub proprietario,<br />
pressione max 99 db; Disponibile<br />
versione Silver Phantom da 3.000 watt<br />
a 1.990 euro.<br />
Stile, costruzione e funzionalità assolutamente<br />
peculiari per il Phantom: diffusore<br />
attivo wireless gestito da computer, come<br />
da tradizione dei prodotti Devialet. Compatibile<br />
con tutti i formati audio, chiaramente<br />
anche in HD, così come è pronto a gestire<br />
la maggior parte dei servizi di streaming e<br />
download. Connettività Wi-Fi dual band<br />
(a/b/g/n 2.4 GHz & 5 GHz), Ethernet Gigabit,<br />
Homeplug AV2, ingresso ottico. Componenti<br />
custom e tecnologie proprietarie.<br />
Sistema a due vie sul frontale, due subwoofer<br />
ai lati in grado di generare fino a 99<br />
db di pressione sonora con amplificazione<br />
proprietaria (ADH Analog Digital Hybrid)<br />
da 750 watt (disponibile versione Silver<br />
Phantom da 3.000 watt). Disponibile hub<br />
dedicato per realizzare una rete proprietaria<br />
per multiroom fino a 24 unità collegare<br />
in wireless e gestita da app dedicata (per<br />
dispositivi mobili e computer fissi).<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Forma, peso e aspetto molto poco comuni che<br />
influenzano la stessa collocazione in ambiente<br />
del prodotto. Un apripista!<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Da un vero e proprio computer è lecito aspettarsi<br />
versatilità e flessibilità elevatissime: le premesse ci<br />
sono tutte, aspettiamo il prossimo futuro.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Gamma bassa molto incisiva anche se, a seconda<br />
dell’ambiente e del posizionamento, non sempre<br />
a fuoco; voci in secondo piano.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Come azienda Devialet ha dimostrato di poter dire<br />
delle cose nuove in merito all’amplificazione, e il<br />
Phantom apre un’ulteriore strada.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
Quasi 4.000 euro per due diffusori e relativo hub<br />
(configurazione minima consigliata) sono tanti<br />
soldi: l’originalità e le tecnologie proprietarie<br />
costano...<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
Bang & Olufsen<br />
BeoSound 35<br />
Prezzo: € 2.295,00<br />
Dimensioni: 100 x 13 x 12,5 cm (lxaxp)<br />
Peso: 6,5 kg<br />
Distributore: Bang & Olufsen Italia<br />
Via Santa Maria Valle, 3<br />
20123 Milano (MI)<br />
Tel. 02.72.74.001 - Fax 02-89.01.05.20<br />
www.bang-olufsen.it<br />
B&O BeoSound 35<br />
Amplificatore: 4 x 80 watt Diffusori:<br />
2 Tw 1,9 cm - 2 Wf 10 cm Note: Air-<br />
Play, Bluetooth, DLNA (DMR), Spotify<br />
Connect, Deezer. File supportati MP3,<br />
WMA, AAC, ALAC, FLAC, WAV, AIFF<br />
fino a 24 bit / 192 kHz.<br />
Disegno lineare ed elegante, case in alluminio<br />
dal profilo ottagonale, elevata connettività<br />
wireless: il BeoSound 35 si pone come<br />
interfaccia audio per la casa moderna per<br />
sorgenti mobili e in rete. AirPlay, Bluetooth<br />
4.0, DLNA (DMR), Wi-Fi (2.4 e 5 GHz),<br />
compatibilità con la maggior parte dei file<br />
audio anche in HD, fino a 24 bit / 192 kHz<br />
per le connessioni Ethernet e ottico, 24 bit<br />
/ 48 kHz per quelle wireless. È presente anche<br />
un ingresso analogico RCA. Utilizzando<br />
l’app BeoMusic o il telecomando BeoRemote<br />
One possiamo utilizzare il BeoSound 35<br />
in un sistema BeoLink Multiroom. La stessa<br />
app diventa l’interfaccia diretta per i servizi<br />
(Spotify e Deezer in testa) che il BeoSound<br />
35 gestisce direttamente. Agli estremi del<br />
telaio i due tweeter, verso il centro i due<br />
midwoofer: il DSP di bordo provvede ad<br />
ampliare il fronte sonoro. La sezione di potenza<br />
eroga 80 watt (in Classe D) su ognuno<br />
dei quattro speaker.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
L’alluminio di buon spessore utilizzato per il<br />
telaio dona al tutto un’elevata solidità e rigidità,<br />
nonostante il metro di lunghezza.<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Facile da utilizzare in rete, sia con altri prodotti<br />
B&O che con soluzioni esterne. Il display integrato<br />
è piccolo ma l’app sopperisce anche a<br />
questo.<br />
versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Le connessioni sono quelle universali; la gestione<br />
della rete tutta B&O è semplificata dal software<br />
proprietario; manca il supporto per il DSD.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Il DSP, tra le altre, interviene nel boost in gamma<br />
bassa e nell’ampliamento del fronte sonoro<br />
con un risultato convincente per entrambi.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
B&O sta ampliando il catalogo con prodotti di diverso<br />
prezzo e funzionalità, con l’ulteriore plus di<br />
una versatilità sempre più spinta.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
50% design e 50% tecnologia: i prodotti di B&O<br />
sfuggono ai classici parametri di valutazione del<br />
prezzo.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 61
selector<br />
a cura della redazione<br />
Streaming Player<br />
Aria Aria<br />
Il vero fattore di demarcazione<br />
nel settore della<br />
musica liquida è il profilo<br />
utente, radicalmente separato<br />
tra chi è intenzionato<br />
(ed è in grado) a sfruttare<br />
tutte le enormi potenzialità<br />
della commistione informatico<br />
– elettronica e<br />
chi, per capacità o scelta,<br />
il computer dopo il lavoro<br />
non vorrebbe vederlo<br />
neanche in fotografia. A<br />
questi ultimi è destinato un<br />
prodotto come l’Aria anche<br />
se, sotto sotto, in maniera<br />
palese o meno, sotto il cofano<br />
troverete in un caso e<br />
nell’altro le stesse cose!<br />
Le rivoluzioni, anche<br />
quelle piccole, sono tali<br />
anche perché rimescolano<br />
le carte in tavola, gli equilibri,<br />
le rendite di potere... E infatti<br />
chi se lo sarebbe immaginato un<br />
Made in Spain nell’olimpo della<br />
riproduzione musicale? Può accadere<br />
se il “campo di gioco” è<br />
costituito dalla musica liquida,<br />
una sorta di punto zero del settore.<br />
E se si hanno cose da dire...<br />
In questa luce va letto l’excursus<br />
della DigiBit, azienda proprietaria<br />
del marchio Aria, fondata nel<br />
2007 come start-up con base a<br />
Madrid e reparto ricerca & sviluppo<br />
“diffuso” tra la Spagna e<br />
l’Inghilterra, un vero riferimento<br />
a livello europeo per il software<br />
informatico. Il primo frutto<br />
della casa (2008) è Sonata, un<br />
music server “incapsulato” in<br />
un touch screen principalmente<br />
dedicato all’archiviazione della<br />
musica classica. Non a caso, visto<br />
che il ripping e la gestione<br />
dei metadati legati alla musica<br />
classica costituiscono una problematica<br />
quasi unica nel suo<br />
genere: anche considerando situazioni<br />
di ripping e di editing<br />
dei metadati fatti a mano nei<br />
modi tradizionali, un sistema<br />
in automatico offre un servizio<br />
al di sopra delle aspettative con<br />
risultati migliorabili o meglio<br />
personalizzabili da utenti dotati<br />
di competenza e dedizione. Con<br />
l’assenza di uno solo di questi<br />
requisiti, in genere, si ottengono<br />
risultati poco soddisfacenti...<br />
Nel 2013 vedono la luce un’implementazione<br />
del sistema per<br />
l’Oppo che consente di trasformarlo<br />
in un music server e il<br />
primo prodotto hardware della<br />
casa, l’Aria, un music server<br />
che funge anche da player e<br />
consente di rippare i dischi con<br />
una gestione particolarmente<br />
ricca dei metadati, orientata<br />
alla classificazione dei titoli del<br />
genere “classica”. Per la “scatola”<br />
dell’Aria, l’apparecchio qui in<br />
prova, viene “scomodata” la penna<br />
del designer Ochoa & Diaz-<br />
Llanos che sviluppa l’originale<br />
design dell’apparecchio sotto<br />
un preciso input: deve sembrare<br />
un prodotto Hi-Fi, non deve<br />
sembrare un prodotto Hi-Fi<br />
tradizionale… !<br />
Prezzo: € 4.675,00<br />
Dimensioni: 43 x 6,50 x 36 cm (lxaxp)<br />
Peso: 8 Kg<br />
Distributore: Audio Reference S.r.l.<br />
Via Giuseppe Abamonti, 4 - 20129 Milano (MI)<br />
Tel. 02.29.404.989 - Fax 02.29.404.311<br />
www.audioreference.it<br />
STREAMING PLAYERT ARIA ARIA<br />
Supporti compatibili: CD, CD Text, CD-R, CD-RW, DVD Audio,<br />
DVD Video, DVD-R, DVD-RW, DVD+R, DVD+RW, DVD Ram,<br />
DVD Ram Formati audio compatibili: PCM, AIFF, WAV, Apple<br />
Lossless, FLAC Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Ingressi<br />
digitali: USB Standard (2), Ethernet (1), WiFi (1) Uscite digitali:<br />
Coassiale (2), XLR (1) Convertitore D/A: opzion32/192 con USB<br />
2.0 compatibile DSD) Note: Legge i formati DXD (32bit/352,8<br />
kHz), DSD1/2, bit perfect. Ripping con DVD-R Teac. 2 HDD da 2<br />
TB (versione base); versione con DAC euro 5.475, con trasformatore<br />
toroidale 5.415, con entrambi 6.150. Anche versioni con<br />
SSD 2TB a prezzo maggiorato.<br />
62 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test<br />
La principale chiave di lettura<br />
dell’apparecchio è proprio nella<br />
destinazione d’uso stabilita dal<br />
costruttore che, al netto dei luoghi<br />
comuni, delle idiosincrasie e<br />
delle tenaci convinzioni (a volte<br />
sbagliate) del consumatore,<br />
è quella della persona che non<br />
vuole avere niente a che fare con<br />
un computer, ascolta prevalentemente<br />
musica classica che<br />
vuole anche rippare e dispone<br />
di un impianto Hi-Fi magari<br />
datato ma certamente di alta<br />
qualità. Bell’obiettivo visto che,<br />
comunque la si legga, la gestione<br />
della musica classica avviene<br />
per via informatica! Da qui ogni<br />
genere di barbarie e nonsense<br />
che stanno costellando le scelte<br />
di chi imbocca questa strada<br />
e, sostanzialmente “maschera”<br />
un computer da apparecchio<br />
Hi-Fi, andando incontro a varie<br />
complicazioni.<br />
Al tempo stesso va detto che<br />
questo profilo viene “drammaticamente”<br />
soddisfatto in ogni sua<br />
parte e in ogni piccolo aspetto<br />
dall’Aria che, naturalmente, non<br />
può però essere esente dall’equivoco<br />
di base. Un piccolo assaggio?<br />
Il mobile dell’apparecchio,<br />
così attentamente studiato da<br />
Ochoa & Diaz-Llanos e reso<br />
compatibile con il taglio medio<br />
degli apparecchi Hi-Fi da 43<br />
cm è ampiamente ridondante<br />
rispetto al contenuto interno!<br />
Poco male, si dirà, visto che l’Aria<br />
è pensato per essere poggiato<br />
in orizzontale su un mobile<br />
piano, non fa rumore, dispone<br />
di un design magari ardito ma<br />
che lo allontana il più possibile<br />
dalle apparenze di un personal<br />
computer. Le caratteristiche di<br />
“utilità” meccanica delle costose<br />
implementazioni dello chassis<br />
non hanno comunque nessuna<br />
correlazione con prestazioni o<br />
necessità; anche quella della<br />
dissipazione del calore è di secondaria<br />
importanza in quanto<br />
l’energia in gioco è veramente<br />
poca cosa. Certamente l’assenza<br />
di ventole o di cose rumorose fa<br />
solo piacere sia agli appassionati<br />
sia a quanti tengono apparecchi<br />
accesi nella zona living domestica:<br />
rumori molesti, fischi o<br />
altro non sono mai piacevoli, a<br />
prescindere dal fatto che provengano<br />
da computer o da altri<br />
“aggeggi”. Per contro, naturalmente,<br />
il fatto che non è possibile<br />
un modo alternativo per<br />
impilare l’apparecchio...<br />
Per il funzionamento non sono<br />
necessari particolari settaggi<br />
da parte dell’utente, anzi, se si<br />
pensa all’utilizzo come<br />
una sorgente digitale<br />
spdif lo<br />
start up è semplicissimo, rapido<br />
e alla portata di chiunque.<br />
In ogni caso, è descritto addirittura<br />
nel manuale di istruzioni, il<br />
dealer è l’unico referente abilitato<br />
ad “aprire” il cofano e mettere<br />
le mani nel “gruppo motore”,<br />
soluzione che rappresenta<br />
il pregio (la semplicità nell’utilizzo<br />
standard) dell’apparecchio<br />
ma anche la sua massima controindicazione:<br />
l’utente standard<br />
non può intervenire sulle<br />
configurazioni (tutto ciò che<br />
non è standard) se non attraverso<br />
il dealer; pertanto, se da<br />
un lato questa soluzione garantisce<br />
una stabilità delle prestazioni<br />
a differenza di quanto<br />
accade costantemente<br />
con i “computer”,<br />
dall’altro si perde<br />
in versatilità e ricchezza<br />
offerte dal<br />
L’apparecchio<br />
è adagiato in uno<br />
chassis “a componenti<br />
discreti” che utilizza una<br />
serie di lastre in alluminio<br />
sagomate e fissate fra loro tramite tiranti e<br />
distanziali. Se da un lato questa soluzione<br />
risulta molto dispendiosa in termini di materiali<br />
e lavorazioni, per contro per piccole tirature risulta<br />
molto efficace e flessibile in quanto la produzione<br />
si basa esclusivamente sulla lavorazione di lastre piane in<br />
alluminio tramite frese verticali a controllo numerico.<br />
La versione con solo le uscite<br />
digitali dispone di due connettori<br />
coassiali, uno RCA e l’altro BNC,<br />
una di tipo bilanciato AES/<br />
EBU e infine una I2S tramite<br />
connettore RJ-45. A fianco è<br />
presente il connettore USB per<br />
il collegamento di DAC audio<br />
a patto di installare i driver<br />
necessari per Windows. All’altro<br />
connettore USB si può collegare<br />
una memoria esterna. Infine il<br />
collegamento di rete RJ-45 e la<br />
vaschetta IEC di alimentazione<br />
con interruttore generale.<br />
sistema, in quanto utilizza software<br />
e soluzioni ampiamente<br />
rodate (Jriver e Windows server<br />
2011). Anche i driver per l’eventuale<br />
DAC esterno da collegare<br />
(a meno che non si scelga l’addon<br />
della casa) devono essere<br />
messi a disposizione dal fornitore…<br />
In sostanza la semplicità e<br />
l’immediatezza di alcune fazioni<br />
preco-<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 63
selector<br />
1<br />
2<br />
La scheda di conversione<br />
DD è un’interfaccia<br />
Hi Face 1.0.3 USB<br />
2Spdif custom che<br />
deriva direttamente<br />
dalla M2tech Evo,<br />
caratterizzata da<br />
uscite multiple<br />
digitali tutte<br />
indipendenti (isolate<br />
galvanicamente) e da<br />
clock ad alta precisione e<br />
stabilità.<br />
I vari elementi<br />
che compongono<br />
la struttura sono<br />
stati pensati in modo<br />
modulare e ad incastro tali<br />
da essere abbastanza flessibili<br />
nell’implementazione e nella<br />
disposizione degli elementi interni. Il sistema di chiusura superiore,<br />
per evitare viti di fissaggio a vista e lasciare solo il marchio scavato<br />
sull’alluminio, è dotato di una imbragatura, anch’essa in alluminio,<br />
ripiegata con due innesti a slitta e due alette di fissaggio poste sul retro.<br />
3<br />
La CPU è collegata<br />
al dissipatore in<br />
alluminio che a sua<br />
volta è a contatto con<br />
la parete inferiore<br />
che favorisce la<br />
dissipazione del<br />
calore, comunque<br />
ridotto in seguito<br />
all’utilizzo di una CPU<br />
a basso consumo.<br />
fattore di forma<br />
All’interno di un pianale piatto Aria<br />
può offrire alcune soluzioni versatili<br />
di configurazioni accessorie come, ad<br />
esempio, l’alimentazione lineare, uno<br />
stadio di uscita analogico al posto di<br />
quello solo digitale e varie soluzioni di<br />
capacità di archiviazione in funzione<br />
dei dischi di memoria utilizzati.<br />
L’apparecchio è realizzato intorno a<br />
un computer di tipo industriale compatto<br />
che monta una CPU Intel Atom<br />
N2600 e un disco mSATA Kingston<br />
da 30 GB su cui è installato il sistema<br />
operativo. Il minicomputer è collegato<br />
al DVD-RW Teac e ai due dischi<br />
Toshiba da 2.5 pollici da 2 TB ciascuno<br />
tramite connessione SATA. Sono<br />
presenti inoltre due collegamenti USB<br />
riportati sul pannello posteriore per<br />
la connessione di un disco esterno e<br />
per un dispositivo USB Audio in aggiunta<br />
a quello presente a bordo che,<br />
in questo caso, è un adattatore DD<br />
Hi Face del tipo OEM implementato<br />
ad hoc con alimentazione dedicata e<br />
collegamento USB alla motherboard.<br />
L’alimentatore standard è un Mean<br />
Well RD-65A con uscite a +5VDC a<br />
6A e +12VDC a 3A. Tutti i componenti<br />
sono fissati saldamente al<br />
pianale in alluminio con supporti<br />
ad hoc per sfruttare anche l’effetto<br />
dissipante in quanto non sono<br />
presenti ventole per la circolazione<br />
forzata dell’aria.<br />
64 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test ARIA ARIA<br />
L’opinione<br />
Per audiofili non<br />
audiofili. Nel mare<br />
del nonsense che<br />
caratterizza la<br />
liquida (perché<br />
mai mascherare un<br />
computer come se<br />
non fosse un computer quando<br />
serve un computer? boh...),<br />
la definizione si attaglia bene<br />
all’Aria: se lo si affronta come ci si<br />
aspetterebbe dal classico cliché<br />
audiofilo, l’esperienza sarà tutta<br />
un “ma perché questo non lo fa<br />
visto che potrebbe farlo?” ecc. ecc.<br />
Vista la chiara destinazione d’uso<br />
dell’apparecchio, interrogatevi<br />
sulle vostre esigenze, domandatevi<br />
se siete interessati a intervenire<br />
pesantemente sull’editing di ogni<br />
disco che rippate. Se la risposta è<br />
“si” ci sono molte altre (complesse)<br />
soluzioni più performanti.<br />
Altrimenti sappiate che la<br />
strada per il paradiso non deve<br />
necessariamente passare per il<br />
purgatorio!<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Molto ben dimensionati gli elementi all’interno<br />
del progetto sia a livello hardware che software.<br />
Il sistema si basa su una versione personalizzata di Jriver Media Center MC19 e la app di controllo iOS Jremote,<br />
anch’essa ottimizzata e personalizzata soprattutto per la gestione remota delle funzioni basilari del server.<br />
In questo modo è possibile anche copiare file sulla memoria collegata in USB oppure in rete senza ricorrere<br />
a un computer ma solo attraverso la app. È presente anche una versione per Android dotata delle stesse<br />
funzionalità ma con un’estetica differente e meno intuitiva e piacevole di quella per IOS.<br />
stituite si pagano in termini di<br />
complicazione nella gestione<br />
nel momento in cui il sistema<br />
“automatico” richiede un intervento<br />
“umano”. Se si acquista<br />
musica liquida in formato digitale<br />
il sistema non “arricchisce”<br />
i metadati, operazione che deve<br />
essere fatta a mano o attraverso<br />
una sezione della app, oppure<br />
intervenendo direttamente sui<br />
file che sono raggiungibili in<br />
rete (ma a questo punto decade<br />
l’immediatezza d’uso offerta da<br />
aria e ogni “allontanamento” di<br />
computer, uno dei presupposti<br />
del progetto).<br />
La fruizione dei servizi di musica<br />
in streaming, inoltre, dipende in<br />
modo diretto dagli accordi commerciali<br />
fra il fornitore di servizi<br />
e il gestore della piattaforma<br />
media server (in questo caso<br />
non Aria ma JRiver, quindi un<br />
terzo; si tratta di un case history<br />
in quanto JRiver ha interrotto<br />
per ora le trattative con Tidal:<br />
uno dei servizi più gettonati del<br />
momento, pertanto, non è ancora<br />
disponibile per via di una<br />
scelta non di Aria ma del suo fornitore).<br />
I servizi di multi zona<br />
e di trasmissione ethernet della<br />
musica, infine, non sono stati né<br />
pensati da Aria né tanto meno<br />
ancora implementati (si suppone<br />
perché il progetto iniziale di<br />
Aria era diverso, ovvero quello<br />
di un server dedicato e macchina<br />
monolitica). In compenso, per<br />
quella che può essere la nostra<br />
esperienza in merito (e la difficoltà<br />
nel determinare differenze<br />
con un delta assoluto assai risibile)<br />
la macchina, per quanto<br />
possa “suonare” un oggetto che<br />
non suona (o il cui suono dipende<br />
in grande parte dal DAC<br />
collegato), suona molto bene, al<br />
vertice tra quelle di questo genere<br />
fino ad ora testate!<br />
usabilità<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
ll connubio fra hardware, piattaforma media,<br />
server e app rappresenta uno dei più potenti,<br />
flessibili strumenti per ascoltare musica liquida.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Ottimamente strutturato per soddisfare molteplici<br />
esigenze, soprattutto quando non si richiede<br />
interventi particolari da parte dell’utente.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
L’uscita digitale a bordo e il collegamento di un<br />
DAC esterno USB, considerando anche il pieno<br />
supporto dei formati ad alta risoluzione, restituiscono<br />
risultati di tutto rilievo.<br />
fatt. concretezza n n n.c.<br />
Destinato a essere “aggiornato”, ma non ci dovrebbero<br />
essere problemi se il costruttore manterrà<br />
una policy di upgrading e manutenzione.<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
La fascia in cui si colloca è abbastanza alta ma<br />
in specifiche condizioni soddisfa pienamente le<br />
esigenze dell’utente.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 65
selector<br />
a cura della redazione<br />
Amplificatore integrato<br />
Accuphase E 370<br />
Se si prendono tutte<br />
le brochure dei prodotti,<br />
dalle prime a quelle più<br />
recenti, è facile notare<br />
come l’approccio di Accuphase<br />
sia rimasto pressoché<br />
invariato, anche se<br />
sono trascorsi circa 40<br />
anni dal primo prodotto!<br />
Una gestione oculata dei<br />
cambiamenti, che si riflette<br />
anche sul ciclo vitale dei<br />
prodotti, che non equivale<br />
ad immobilismo, anzi! .<br />
Difficile distinguere tra<br />
un modello e l’altro<br />
quando si tratta di integrati<br />
Accuphase visto che il design,<br />
pur non avendo la forza iconica<br />
di un McIntosh, è comunque<br />
tradizionalmente ancorato<br />
a certi stilemi. Eppure “sotto al<br />
cofano” qualcosa, anzi molto,<br />
bolle, anche nel caso di un marchio<br />
tradizionalmente considerato<br />
conservatore come questo!<br />
Piccola parentesi aggiuntiva:<br />
Accuphase poi tanto conservatore<br />
non è se si considera che è<br />
uno dei fautori della correzione<br />
a m -<br />
bientale<br />
(total-<br />
mente<br />
trascurata dal mercato italiano),<br />
che è stata all’avanguardia nel<br />
campo della conversione digitale<br />
(addirittura antesignana nel<br />
dotare i suoi lettori CD di un<br />
ingresso digitale!) e controcorrente<br />
nel promuovere con forza<br />
la multiamplificazione passiva<br />
proprio attraverso i sui integrati.<br />
Ma i luoghi comuni sono duri<br />
a morire… Ne beneficia il look<br />
d’antan (neanche troppo fuori<br />
moda: che allora i progettisti<br />
della casa fossero all’avanguardia?),<br />
rassicurante e profumato<br />
dell’Hi-Fi di una volta, inclusa<br />
l’incongruenza, così tipica<br />
però, dei fianchetti presenti per<br />
mascherare una predisposizione<br />
a rack che non viene praticata da<br />
anni (dell’argomento parliamo<br />
in altra parte di questo numero).<br />
Insomma: prendi Accuphase e<br />
sai cosa prendi, cosa ancor più<br />
vera se si considerano i pilastri<br />
filosofici con cui la casa ha affrontato,<br />
senza più rinunciarvi,<br />
il settore degli amplificatori<br />
integrati. Innanzitutto il taglio:<br />
al di là delle<br />
sigle gli<br />
integrati<br />
Ac-<br />
Prezzo: € 7.900,00<br />
Dimensioni: 46,50 x 17,10 x 42,20 cm (lxaxp)<br />
Peso: 22,70 Kg<br />
Distributore: High Fidelity Italia S.r.l.<br />
Via Collodi - 20010 Cornaredo (MI)<br />
Tel.02-93611024 - Fax 02-93647770<br />
http://www.h-fidelity.com<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO ACCUPhase E 370<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 100 W su<br />
8 Ohm in classe AB Accessori e funzionalità aggiuntive: Telecomando,<br />
Ingresso cuffia, Controlli di tono, Loudness Risp. in<br />
freq. (Hz): 20 - 20.000 -0.5dB THD (%): 0.05 Ingressi analogici:<br />
2 RCA (142 mV/20 kOhm) 2 XLR (142 mV/40 kOhm) Uscite analogiche:<br />
2 RCA (1.13 mV/50 kOhm) Note: uscita cuffia supporta<br />
impedenza di carico fino a 8 Ohm<br />
66 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test<br />
Le connessioni di segnale<br />
sono concentrare nella parte<br />
centrale dell’apparecchio, con<br />
una disposizione ergonomica<br />
e comoda da raggiungere. I<br />
connettori XLR sono posti in<br />
basso e non sono di intralcio<br />
alle altre connessioni RCA, più<br />
snelle e flessibili. I morsetti di<br />
potenza con doppia connessione<br />
per due coppie di diffusori o<br />
per collegamenti in bi-wiring<br />
sono poste al lato destro<br />
dell’apparecchio in posizione<br />
molto ravvicinata anche se al<br />
sicuro da cortocircuito.<br />
cuphase si dividono in “poco al<br />
di sotto dei 100 watt e poco al<br />
di sopra dei 100 watt”, con una<br />
new entry relativamente recente<br />
(1989, l’introduzione dell’E<br />
405 - 170 Watt), che sancisce la<br />
classe del “quasi 200” o, meglio,<br />
del raddoppio rispetto a quella<br />
precedente. Attualmente quattro<br />
sono i modelli che in un arco<br />
di prezzo compreso tra i 5.500<br />
euro (E 260) e i 12.900 (E 600)<br />
declinano differenze che, evidentemente,<br />
vanno ben al di là<br />
della potenza di ciascun prodotto:<br />
anche tra l’apparecchio “appena<br />
sotto i 100 watt” e quello<br />
“appena sopra”, il 370 in prova,<br />
la differenza di prezzo è di oltre<br />
2.000 euro. Eppure un altro<br />
caposaldo della casa è quello<br />
di lavorare per affinamenti più<br />
che per rivoluzioni, determinando<br />
anche un ciclo di vita<br />
del prodotto abbastanza lungo;<br />
affinamenti che se da un lato<br />
certamente rispondono a logiche<br />
industriali (ricordiamo che<br />
l’azienda opera a cavallo tra una<br />
dimensione artigianale e quella<br />
industriale), dall’altro sono<br />
indirizzate al costante<br />
miglioramento<br />
del<br />
prodotto. Esattamente come accade<br />
nel 2002 con il sistema di<br />
regolazione del volume AAVA,<br />
introdotto nel pre C2800 e poi<br />
approdato nel 2005 all’integrato<br />
E 550 e utilizzato in seguito<br />
anche negli apparecchi che<br />
gradualmente rimpiazzavano i<br />
precedenti modelli.<br />
Le sigle degli apparecchi, invece,<br />
ci aiutano a capire le “generazioni”<br />
di prodotto e quali cambiamenti<br />
comportano: la presenza<br />
della cifra “70”, quella della generazione<br />
di prodotti “odierna”,<br />
sembra contraddistinguere un<br />
approccio progettuale che punta<br />
su una trasformazione sostanziale<br />
dello stadio di potenza in<br />
quanto, nonostante materiali,<br />
componenti e architettura siano<br />
rimasti abbastanza costanti<br />
nel tempo, cambia in modo significativo<br />
il damping factor dichiarato<br />
e rilevato che, da valori<br />
sostanzialmente bassi e “costanti”<br />
nel tempo, si impenna<br />
in modo verticale:<br />
oscillava<br />
intorno a<br />
un valore 100, un<br />
po’ come elemento comune<br />
a tutti gli ampli della casa, per<br />
innalzarsi a circa 200 nella serie<br />
“60” (almeno per gli integrati)<br />
e arrivare infine al 400/500 di<br />
oggi! Una curiosità: il primissimo<br />
E 202 aveva la possibilità di<br />
selezionare tre livelli di regolazione<br />
del fattore di smorzamento<br />
fra soft (1, un bel po’ basso!)<br />
medium (5, comunque ben peggiore<br />
di un asfittico monotriodo<br />
non controreazionato) e normal<br />
(50, ancora basso per uno stato<br />
solido)… Un secondo elemento<br />
di cambiamento è costituito<br />
dall’enfasi riservata al comando<br />
del loudness: la funzione è presente<br />
praticamente con le stesse<br />
impostazioni, quelle dichiarate<br />
nelle brochure e rimaste identiche<br />
in quarant’anni di storia<br />
del marchio. Ciononostante il<br />
pulsante che in precedenza era<br />
“occultato” dietro il pannello in<br />
cui si trovano i comandi accessori<br />
è stato ora portato fuori e collocato<br />
in posizione decisamente<br />
molto importante, a fianco della<br />
manopola del volume e del tasto<br />
mute.<br />
In termini di interfaccia di comunicazione<br />
l’elemento più<br />
evidente è la ridefinizione di<br />
alcuni aspetti, soprattutto<br />
nel modo di “chiamare le cose”:<br />
il tasto “ext pre2”, ad esempio,<br />
ora è “power in”, e sono comparsi<br />
a fianco del display informazioni<br />
accessorie inerenti al<br />
funzionamento del DAC e alla<br />
selezione dell’ingresso specifico.<br />
In altri termini, il pannello<br />
frontale dell’E 370 sembra una<br />
ridefinizione di quello del E460<br />
e ha molto meno in comune<br />
con quello utilizzato nel suo<br />
predecessore E 350. Rimane la<br />
considerazione che le scelte effettuate<br />
in modo “hardware” sul<br />
pannello frontale collidono con<br />
una certa necessità di flessibilità<br />
nella gestione delle informazioni<br />
restituite all’utente (vedi anche<br />
le considerazioni del display, più<br />
avanti nel testo). Ci chiediamo<br />
anche quanto le indicazioni “option<br />
1” e “option 2” siano al limite<br />
dell’anacronistico, considerando<br />
per giunta che il sistema è<br />
servocontrollato e non azionato<br />
con rinvii meccanici. Con queste<br />
premesse sarebbe stato più<br />
“flessibile” effettuare altre scelte<br />
e non man mano appiccicare<br />
“pezze” posticce che tolgono un<br />
po’ di magia ed esclusività ad Accuphase<br />
nell’ambito dell’estetica<br />
e del rispetto della tradizione.<br />
In termini qualitativi non abbiamo<br />
mai avuto alcun dubbio<br />
nell’affermare l’assoluto livello<br />
della sezione di preamplificazione<br />
presente anche nelle serie<br />
economiche degli integrati<br />
Accuphase ma, con l’E 370, ora<br />
la parte più pregiata della sezione<br />
pre presente sui sistemi di<br />
alta gamma arricchisce anche<br />
prodotti più abbordabili come<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 67
selector<br />
I moduli di potenza<br />
sono realizzati con un<br />
layout uguale e non<br />
simmetrico per ogni<br />
canale, per ottenere<br />
gli stessi risultati di<br />
ottimizzazione del<br />
percorso del segnale<br />
sui due canali.<br />
A ridosso dei<br />
morsetti di<br />
uscita il circuito<br />
di protezione a<br />
rapido intervento<br />
è realizzato con<br />
MOSFET ad alta<br />
velocità e bassa<br />
impedenza.<br />
La regolazione del volume avviene<br />
con il sistema AAVA realizzato<br />
con una rete di partitori resistivi<br />
attivati tramite commutatori<br />
a stato solido controllati da<br />
mircoprocessore.<br />
La sezione di controllo dei toni è realizzata<br />
con un circuito indipendente e analogico<br />
e “alla vecchia maniera”, che si inserisce o<br />
disinserisce tramite un tasto che attiva i<br />
commutatori a stato solido.<br />
L’ingresso cuffia è collegato<br />
all’uscita della sezione di<br />
preamplifcazione e consente il<br />
pilotaggio di cuffie anche a bassa<br />
impedenza.<br />
rassicurante<br />
Lo chassis è realizzato con la tipica<br />
struttura a controtelaio portante sul<br />
quale sono fissati i vari componenti. In<br />
questo modo è possibile accedere anche<br />
alla parte sottostante rimuovendo<br />
il coperchio inferiore. Quello superiore<br />
è fissato al telaio e sono presenti due<br />
fiancate in alluminio estruso con la<br />
funzione principalmente estetica di<br />
raccordo. Al centro è presente la sezione<br />
di alimentazione costituita da<br />
un trasformatore toroidale incapsulato<br />
dotato di secondari separati per le varie<br />
sezioni e un filtro per la sezione di<br />
amplificazione con due condensatori<br />
da 30.000 µF ciascuno. La sezione di<br />
preamplificazione è implementata in<br />
un grande PCB collocato proprio dietro<br />
il pannello frontale, in cui è sviluppato<br />
anche il sofisticato sistema di regolazione<br />
del volume di Accuphase, l’AAVA,<br />
realizzato con un sistema di commutazione<br />
a stato solido che impiega una<br />
serie di CMOS HC4053A e reti resistive<br />
di attenuazione implementate con resistori<br />
SMD ad alta precisione. Gli stadi<br />
di amplificazione e di implementazione<br />
dei controlli di tono e del loudness<br />
impiegano circuiti integrati della serie<br />
4580P. I segnali provengono dalla sezione<br />
posteriore tramite cavi schermati<br />
collegati alle morsettiere di ingresso<br />
realizzate con connettori saldati sui<br />
PCB. Nella parte posteriore è presente<br />
inoltre il vano per l’alloggiamento<br />
68 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test Accuphase E 370<br />
2<br />
Anche se i contatti sono di quelli<br />
saldati sullo stampato, la meccanica<br />
e il contatto elettrico sono<br />
eccellenti. I morsetti di potenza<br />
sono molto funzionali e accettano<br />
ogni tipo di connessione anche se<br />
sono abbastanza vicini fra loro.<br />
Lo slot per le due schede opzionali impiega due<br />
connettori multipolari per la connessione di un<br />
DAC, un pre fono o in alternativa un ulteriore<br />
ingresso linea.<br />
La sezione di<br />
preamplificazione utilizza<br />
una linea di alimentazione<br />
dedicata e indipendente.<br />
Le manopole del volume<br />
e del commutatore sono<br />
di alluminio pieno e<br />
offrono una sensazione<br />
di azionamento molto<br />
“old style”, anche se<br />
i controlli poi sono<br />
servoassistiti.<br />
delle schede opzionali che sfrutta due<br />
sedi a scorrimento e un innesto rapido<br />
posteriore a 32 poli, anch’essi collegati<br />
tramite cavi schermati al PCB principale<br />
di preamplificazione. Nel pannello<br />
anteriore, al centro dei due Vu Meter, è<br />
posto il display a segmenti che indica<br />
la regolazione del volume e, in questa<br />
nuova serie, anche l’informazione<br />
accessoria della frequenza di campionamento<br />
del segnale in ingresso della<br />
scheda DAC, collegata come optional.<br />
Un altro passo avanti nella sempre più<br />
complessa gestione delle informazioni<br />
e del modo di presentarle all’utente.<br />
Indubbiamente una funzione utile sia<br />
per quanto riguarda il livello di attenuazione,<br />
scarsamente leggibile dal<br />
riferimento sulla manopola del volume,<br />
sia per la sezione digitale.<br />
Le due sezioni finali sono implementate<br />
ciascuna sul proprio dissipatore<br />
con i transistor di potenza Sanken<br />
A1186 e C2837 disposti in modo da<br />
ottimizzare il percorso del segnale.<br />
Si nota sulle alette la disposizione di<br />
un nastro telato adesivo che riduce il<br />
fastidioso rumore tipico dei dissipatori<br />
di alluminio di grande spessore. I<br />
circuiti di protezione dei diffusori ad<br />
alta velocità di intervento sono stati<br />
implementati direttamente sul PCB<br />
a ridosso dei morsetti di potenza e<br />
impiegano mosfet ad alta velocità<br />
e circuiti di rilevamento di anomalie<br />
gestite dal circuito di controllo.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 69
selector<br />
al banco di misura<br />
suonogramma<br />
1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 2<br />
2 Messa a fuoco e corposità................................ 2<br />
3 Ricostruzione scenica altezza......................... 2<br />
4 Ricostruzione scenica larghezza................... 2<br />
5 Ricostruzione scenica profondità.................. 2<br />
6 Escursioni micro-dinamiche............................ 1<br />
7 Escursioni macro-dinamiche........................... 1<br />
8 Risposta ai transienti........................................ 1<br />
9 Velocità................................................................ 1<br />
10 Frequenze medie e voci...................................... 3<br />
11 Frequenze alte.................................................... 2<br />
12 Frequenze medio-basse..................................... 2<br />
13 Frequenze basse.................................................. 2<br />
14 Timbrica................................................................ 2<br />
15 Coerenza............................................................... 2<br />
16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />
La risposta in frequenza è decisamente estesa e del tutto<br />
insensibile alla regolazione del livello. La sensibilità della<br />
sezione di preamplificazione è abbastanza alta ma in<br />
nessuna condizione, nemmeno con regolazioni molto alte<br />
del livello, si nota un innalzamento del rumore di fondo.<br />
In condizioni di utilizzo standard, con una sorgente da<br />
2Vrms in ingresso, la risposta si estende fino a 80 kHz a<br />
-3 dB su 8R con variazioni minime in funzione del carico,<br />
evidenti prevalentemente all’estremo superiore anche<br />
se con discostamenti decisamente minimi a seconda del<br />
carico. La sezione di potenza evidenzia l’elevato fattore<br />
questo. Inoltre anche le funzionalità<br />
aggiuntive arricchiscono<br />
l’usabilità del prodotto in quanto<br />
adesso il display al centro dei Vu<br />
Meter, oltre a indicare il livello<br />
di regolazione del volume,<br />
consente anche di visualizzare<br />
informazioni del formato digitale<br />
in ingresso della scheda<br />
opzionale DAC-40. D’altronde<br />
nelle precedenti versione della<br />
scheda, prima dell’introduzione<br />
dell’ingresso USB, il digitale<br />
veniva pensato come una connessione<br />
“unica”; anche con<br />
il DAC-30, in cui l’USB supportava<br />
formati fino a 96 kHz,<br />
le cose non erano mutate. Ora,<br />
invece, i tre ingressi sono distinti<br />
e differenziati, possono essere<br />
selezionati singolarmente e costituiscono<br />
di fatto tre ingressi<br />
digitali indipendenti con quello<br />
USB che supporta segnali PCM<br />
fino a 192 kHz. Non potendo più<br />
servirsi solo della scelta singola<br />
“Option 1” tramite la manopola<br />
di selezione, Accuphase ha dovuto<br />
implementare un ulteriore<br />
tasto di selezione e tre led che<br />
indicano quale dei tre ingressi<br />
(ottico, coassiale e USB) è stato<br />
selezionato.<br />
C’è da chiedersi se e quando<br />
di smorzamento in seguito a un’insensibilità al carico,<br />
in particolar modo nel range della banda audio. La potenza<br />
rilevata supera quella dichiarata raggiungendo i<br />
121Wrms su 8R con una THD+N dell’1%, valore che si<br />
raggiunge in modo abbastanza repentino all’approssimarsi<br />
del clipping e rimane in tutto il range operativo a<br />
livelli estremamente contenuti. Anche la distorsione da<br />
intermodulazione è priva di componenti sia di ordine<br />
pari che dispari e sono assenti frequenze spurie in banda<br />
e fuori banda, attestando un’esecuzione e implementazione<br />
esemplare del prodotto.<br />
uscirà un’ulteriore scheda DAC<br />
con supporto a DSD oltre che a<br />
PCM e come interverranno in<br />
Accuphase; certo è che, avendo<br />
fatto scelte di comunicazione<br />
prevalentemente di tipo hardware,<br />
sarà complicato attualizzarle.<br />
La sezione di potenza,<br />
invece, ha acquistato una sorta<br />
di verve in più rispetto alla precedenti<br />
produzioni, con un’impostazione<br />
più viva ma al contempo<br />
composta e compassata,<br />
con un livello di godibilità elevato<br />
e nessun accenno di fatica<br />
di ascolto. Al top, come al solito;<br />
e that’s it!<br />
Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />
-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />
esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />
analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Grande profusione di mezzi risorse e grande<br />
accuratezza nella realizzazione, al limite del<br />
manicale e, talvolta, quasi ridondante.<br />
banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Dati eccellenti per quanto riguarda l’accuratezza<br />
a livello elettrico e funzionale, pur senza spiccare<br />
per quanto riguarda la sezione di potenza.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Tanti ingressi, molte soluzioni in “uscita”, facilità<br />
di interfacciameto elevata. Che altro può<br />
servire? E quel che non c’è (DAC e fono) si può<br />
aggiungere...<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Nel solco della tradizione... ed è un bene! In<br />
grado di soddisfare ogni genere di aspettativa<br />
in linea con la classe dell’apparecchio<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Monolitico! Una certezza che è di buon auspicio<br />
per il futuro dei prodotti non troppo industriali<br />
ne troppo artigianali<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Se la potenza non è sufficiente, la qualità si allinea<br />
alla serie superiore.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
70 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
40 ANNI DI INNOVAZIONE<br />
TECNOLOGICA DEDICATI A VOI<br />
UNA NUOVA GENERAZIONE,<br />
UNA CLASSE DIFFERENTE.<br />
Dotata della tecnologia delle premiate serie Platinum,<br />
Gold e Silver per un’inimitabile performance musicale e audio/video.<br />
La nuova generazione Bronze è la ragione perfetta per migliorare.
selector<br />
a cura della redazione<br />
Amplificatore integrato<br />
Yamaha A-S1100<br />
Da molti punti di vista<br />
la serie di amplificatori<br />
integrati Yamaha rappresenta<br />
un case studio<br />
in grado di contraddire<br />
alcuni dei luoghi comuni<br />
del settore. Nell’ottica<br />
evidenziata dall’articolo<br />
che apre questo numero di<br />
<strong>SUONO</strong> (dedicato alle “fortune”<br />
dell’Hi-end) l’analisi<br />
di questo apparecchio<br />
risulta complementare a<br />
quello che lo precede per<br />
analizzare il modo in cui le<br />
aziende hanno affrontato<br />
la contraddizione artigianato<br />
- massificazione.<br />
Il tema di fondo trattato in<br />
questo numero di <strong>SUONO</strong><br />
riguarda l’eccellenza nella<br />
riproduzione sonora e come essa<br />
sia stata interpretata nei modi<br />
più disparati (e come possa esserlo<br />
in futuro… ) in un ambito<br />
che per sua stessa natura risulta<br />
a cavallo tra artigianale e industriale.<br />
Se nelle pagine che avete<br />
appena letto o sfogliato si parla<br />
di un prodotto che rappresenta<br />
un buon esempio dell’approccio<br />
artigianale alla materia non c’è<br />
dubbio che la multinazionale<br />
Yamaha, impegnata su più<br />
fronti (dalle moto agli strumenti<br />
musicali passando per l’Hi-Fi)<br />
rappresenta l’altra faccia della<br />
medaglia. Più di altri costruttori<br />
consumer, inoltre,<br />
Yamaha, per scelta e per vocazione,<br />
ha sempre cercato di<br />
offrire quel qualcosa in più per<br />
ergersi al di sopra del prodotto<br />
di massa, atteggiamento assai<br />
raro soprattutto in passato, nelle<br />
logiche delle aziende orientali.<br />
Una sorta di “contrappeso” ad<br />
Accuphase, dunque, dove le<br />
percentuali dell’approccio artigianale<br />
e di quello industriale<br />
sono invertite… Sarà anche per<br />
questo, forse non è un caso,<br />
che i due integrati presentati<br />
in queste pagine si assomigliano<br />
molto? Di certo negli ultimi<br />
anni abbiamo assistito a un particolare<br />
ritorno di fiamma per<br />
l’Hi-Fi pura a due canali della<br />
casa del diapason che dopo aver<br />
quasi monopolizzato con i suoi<br />
prodotti il mercato audio video<br />
è tornata alle origini… Accade<br />
non molti anni fa, a metà del<br />
2013, in occasione del 125mo<br />
anniversario, quando venne<br />
presentato l’A-S3000, l’integrato<br />
(provato su <strong>SUONO</strong> 480<br />
– ottobre 2013) che per contenuti<br />
tecnologici costituisce la<br />
flagship dell’azienda e ha dato<br />
vita a una linea di amplificatori<br />
di taglio alto costituita inizialmente<br />
dall’A-S1000 (2013) e<br />
l’A-S2000 (2014), sostituiti poi<br />
dagli attuali A-S2100 (provato<br />
su <strong>SUONO</strong> 497 – maggio 2015)<br />
e A-S1100, l’apparecchio attualmente<br />
in prova. Una delle prime<br />
Prezzo: € 1.699,00<br />
Dimensioni: 43,5 x 15,7 x 46,3 cm (lxaxp)<br />
Peso: 23,3 Kg<br />
Distributore: Yamaha Music Europe GmbH - Branch Italy<br />
Viale Italia, 88 - 20020 Lainate (MI)<br />
Tel.02.935771 - Fax 02.9370956<br />
http://www.yamaha.it<br />
Amplificatore integrato Yamaha A-S1100<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 160 W su 8<br />
Ohm in classe A Risp. in freq. (Hz): 20 - 20.000 THD (%): 0,025<br />
S/N (dB): 100 Phono: MM ( mV/ KOhm) Ingressi analogici: 3<br />
RCA (200 mV/47435 kOhm) Note: pre out, biwiring<br />
72 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test<br />
al centro dell’apparecchio<br />
sono collocati i connettori di<br />
ingresso e uscita del segnale,<br />
mentre ai lati sono disposte<br />
le due coppie di morsetti di<br />
potenza per una doppia coppia<br />
di diffusori o, ancor meglio, per<br />
un collegamento in bi-wiring. I<br />
morsetti di potenza sono molto<br />
efficienti e consentono un ottimo<br />
serraggio in sicurezza di qualsiasi<br />
tipo di cavo<br />
considerazioni che si può fare<br />
su questa linea è proprio quella<br />
relativa al top di gamma che,<br />
non a caso, abbiamo definito<br />
flagship: non ha subìto mutamenti<br />
e sembra rappresentare<br />
più un esercizio di stile che un<br />
segmento davvero da presenziare.<br />
Sulla gamma medio alta, invece,<br />
Yamaha ci crede davvero,<br />
tant’è che nel lasso di due anni<br />
si è provveduto ad alcuni affinamenti<br />
che, tra l’altro, hanno dato<br />
luogo a un riscontro sostanziale<br />
nelle prestazioni delle ultime<br />
versioni, non così evidente dal<br />
punto di vista strumentale ma<br />
particolarmente evidente nei<br />
test di ascolto.<br />
La seconda considerazione (che<br />
a caduta ne porta molte altre)<br />
deriva da uno sguardo un po’<br />
più approfondito alla gamma<br />
che, udite udite, è composta da<br />
tre prodotti di potenza molto<br />
simile (attorno ai 100 W, esattamente<br />
come accade in casa<br />
Accuphase!), anche se la forbice<br />
tra il prezzo del modello più<br />
economico e quello più costoso è<br />
di circa 3.000 euro, pari a un incremento<br />
del 200% sul modello<br />
più economico. La potenza non<br />
più come valore discriminante?<br />
Da tempo ci affanniamo a dirlo,<br />
esattamente come nel caso di<br />
peso e dimensioni (a proposito:<br />
i tre integrati di punta Yamaha<br />
pesano tutti attorno ai 24 kg…<br />
). Accade qui, come nel caso del<br />
concorrente citato, perché entrambi<br />
hanno adottato un approccio<br />
volto all’ottimizzazione<br />
produttiva: una soluzione tipica<br />
della grande azienda ma, in questo<br />
caso, una scelta valida anche<br />
per un costruttore relativamente<br />
piccolo come Accuphase! In altre<br />
parole si parte da un unico<br />
progetto e lo si reinterpreta,<br />
spesso per sottrazione, nelle varie<br />
fasce di mercato in cui si vuole<br />
operare. Quel che conta per<br />
il consumatore è che gran parte<br />
delle potenzialità di un progetto<br />
vengano declinate in tutti i<br />
prodotti della gamma mentre<br />
le differenze (e le reason why?)<br />
andranno ricercate in elementi<br />
spesso destinati ad aumentare<br />
o indirizzare la versatilità di un<br />
apparecchio: all’utente stabilire<br />
se necessarie per lui o meno e,<br />
conseguentemente, determinare<br />
come ottimizzare i suoi investimenti.<br />
Nel caso dell’A-S1100<br />
(come sapete ci piace a volte<br />
svelare il nome dell’assassino in<br />
anticipo) questa logica è portata<br />
al suo apice consentendo all’apparecchio<br />
di ottenere un bilanciamento<br />
tra costi e prestazioni<br />
elevatissimo!<br />
A fronte di un delta di circa 500<br />
euro (abbastanza importante visto<br />
che rappresenta circa il 25%<br />
del costo del prodotto) l’A-S1100<br />
deve rinunciare per riduzione<br />
all’ingresso bilanciato (comunque<br />
uno solo nel 2100), dispone<br />
di un’uscita cuffia semplificata<br />
e di componentistica leggermente<br />
più commerciale rispetto<br />
a un apparecchio, l’A-S2100,<br />
che a sua volta è una demoltiplica<br />
“conveniente” del top di<br />
gamma! In compenso la sezione<br />
di potenza è identica, con finali<br />
e trasformatore uguali (solo i<br />
condensatori di filtro hanno una<br />
capacità di poco inferiore) e le<br />
prestazioni, sia quelle dichiarate<br />
che quelle ottenute al banco di<br />
misura, sono sostanzialmente le<br />
stesse. La presenza di una sezione<br />
fono sia MM che MC è a sua<br />
volta una chicca non comune in<br />
questa fascia di prezzo e, in assoluto,<br />
negli integrati attuali; per<br />
di più è quasi la stessa di quella<br />
implementata nell’A-S2100 che<br />
era stata a sua volta ottimizzata<br />
rispetto a quella installata nel<br />
flagship A-S3000. L’A-S1100<br />
beneficia anche, sempre a fronte<br />
di un’ottimizzazione produttiva,<br />
della presenza dei Vu Meter: il<br />
predecessore (A-S1000) non li<br />
aveva e difficilmente si troveranno<br />
su un apparecchio di questo<br />
prezzo... Che poi i Vu Meter siano<br />
utili o meno è un’altra questione:<br />
di certo contribuiscono<br />
al fascino di questo apparecchio,<br />
davvero notevole! Il look vintage<br />
beneficia anche della tipica<br />
costruzione a rack del mobile,<br />
“tamponata” poi dalla presenza<br />
dei fianchetti. A ben vedere<br />
una contraddizione in un apparecchio<br />
che si affida a moderni<br />
criteri costruttivi visto che è il<br />
frutto di un errato retaggio del<br />
passato: chi mai inserirebbe<br />
oggi un apparecchio di questo<br />
genere in un rack?<br />
Un ulteriore aspetto di quel<br />
retaggio duro ad evolvere (ma<br />
per tanti versi ancora molto<br />
piacevole da utilizzare… ) sono<br />
gli “organismi” di comando e<br />
controllo, come ad esempio levette,<br />
manopole e selettori che<br />
fanno parte, almeno nella fattura<br />
e nella sensazione al tatto,<br />
della vecchia scuola, quella in<br />
cui i leveraggi meccanici e gli<br />
azionamenti dovevano essere<br />
robusti, precisi e duraturi. Tuttavia<br />
oggi gli azionamenti e le<br />
regolazioni sono servoassistiti<br />
e gestiti da un microcontrollore.<br />
In pratica tanta robustezza<br />
aziona dei micro commutatori<br />
oppure, per quanto riguarda il<br />
volume, il potenziometro agisce<br />
come un riferimento per la<br />
regolazione, effettuata comunque<br />
tramite un chip. Tutto ciò<br />
non ha particolari ripercussioni<br />
se non sui costi di produzione<br />
e su una latenza di risposta alle<br />
regolazioni che a volte può essere<br />
fastidiosa: quando si ruota il<br />
selettore degli ingressi, ad esempio,<br />
l’ingresso viene commutato<br />
con un attimo di ritardo. Stessa<br />
cosa accade per il selettore degli<br />
altoparlanti in cui i relè scattano<br />
molto dopo la rotazione del<br />
commutatore. Nella regolazione<br />
dei toni, invece, appena si sposta<br />
uno dei potenziometri degli alti<br />
o dei bassi si sente chiaramente<br />
lo scatto del relè che commuta<br />
dal circuito diretto a quello con<br />
la sezione dei toni inserita. Anche<br />
se certe soluzioni potevano<br />
essere implementate in altro<br />
modo e in certi casi la latenza<br />
può risultare fastidiosa il risultato<br />
è indubbiamente fra i più<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 73
selector<br />
La sezione di alimentazione impiega<br />
condensatori di filtro ad alta capacita e<br />
condensatori distribuiti lungo le linee di<br />
alimentazione per abbassare ulteriormente<br />
l’impedenza. In prossimità dei dispositivi di<br />
potenza sono presenti delle barre di rame ad alto<br />
spessore.<br />
La scheda phono è collocata nella parte più in basso<br />
delle connessioni, all’interno di un contenitore in<br />
lamiera di schermatura. Il selettore per la scelta di<br />
fonorilevatori MM/MC è posto a fianco dei connettori<br />
RCA. Il circuito di preamplificazione è realizzato a<br />
componenti discreti e deriva direttamente da quello<br />
installato sui prodotti di punta nel catalogo Yamaha..<br />
di “serie” ma ottimo<br />
Lo chassis è realizzato con una<br />
doppia intelaiatura portante a più<br />
elementi, fissati a loro volta al pannello<br />
posteriore e a quello anteriore,<br />
realizzati in lamiera ripiegata e<br />
zincata. Il pannello frontale, in cui<br />
sono collocati gran parte dei circuiti<br />
logici di controllo e i comandi meccanici<br />
e i Vu-Meter, è realizzato con<br />
un pannello in alluminio fissato allo<br />
chassis e, in un certo senso, isolato<br />
dal resto dell’apparecchio dal pannello<br />
in lamiera anteriore.<br />
A ridosso del pannello posteriore<br />
sono fissati i tre PCB disposti su tre<br />
livelli dove sono collocati i connettori<br />
di ingresso e i circuiti di commutazione<br />
e preamplificazione. Sulla<br />
scheda superiore sono presenti il<br />
microcontrollore per la gestione dei<br />
segnali in ingresso e uscita (che si<br />
occupa della ricezione dei comandi<br />
e della regolazione fisica del livello<br />
del volume in cui ha un sensore di<br />
posizione analogico del potenziometro)<br />
e la sezione di preamplificazione,<br />
che adotta tre regolatori di<br />
livello NJU72321 della NJR, gli stessi<br />
utilizzati nell’A-S3000 per la regolazione<br />
del volume e dei controlli<br />
di tono. Nell’utilizzo si percepisce<br />
sempre un certo ritardo fra l’azionamento<br />
di un comando e l’effettiva<br />
attuazione: lo scatto del relè in<br />
ingresso avviene dopo la rotazione<br />
74 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test Yamaha A-S1100<br />
La regolazione del volume avviene tramite l’azionamento<br />
di un potenziometro motorizzato ALPS che agisce su un<br />
controllore a stato solido del volume. Il tasto mute attiva<br />
una procedura di rotazione della manopola del volume con<br />
memorizzazione della posizione iniziale. Togliendo il mute la<br />
manopola ritorna alla posizione di origine..<br />
Gli ingressi e le uscite sono disposti su un PCB di commutazione<br />
collegato alla sezione di preamplificazione tramite cavi coassiali<br />
per il segnale e monopolari per alimentazione e comandi.<br />
I morsetti sono realizzati<br />
direttamente da<br />
Yamaha e mostrano<br />
una meccanica molto<br />
efficiente e funzionale<br />
per la connessione di cavi<br />
terminati in qualsiasi modo<br />
e in particolare per quelli<br />
spellati.<br />
del selettore e dopo l’accensione del<br />
led, anch’essa lievemente ritardata.<br />
La scheda phono è posizionata<br />
in fondo alla sezione di ingresso,<br />
chiusa in un contenitore metallico<br />
schermante. Il circuito è realizzato a<br />
componenti discreti distintamente<br />
per la sezione MM e MC, con due alimentazioni<br />
duali separate e distinte<br />
da ±20 per l’una e ±18V per l’altra. Le<br />
commutazioni avvengono tramite<br />
relè attivati dal circuito di controllo<br />
servoassistito. I componenti attivi<br />
sono prevalentemente a tecnologia<br />
SMD con l’utilizzo, però, di condensatori<br />
tradizionali sia a film che elettrolitici,<br />
opportunamente distribuiti<br />
lungo le linee di alimentazione di<br />
segnale; si nota anche l’impiego di<br />
microinduttori sull’ingresso ad alta<br />
compattazione. I due finali sono installati<br />
su dissipatori in alluminio<br />
posti all’interno dello chassis con<br />
i dispositivi di potenza assemblati<br />
sul PCB in modo da minimizzare il<br />
percorso del segnale e da sfruttare<br />
al massimo la lunghezza dei reofori<br />
per le connessioni.<br />
L’alimentazione utilizza un solo<br />
trasformatore di rete dotato di più<br />
uscite separate per i canali di potenza,<br />
alimentati indipendentemente<br />
uno dall’altro con una filtratura con<br />
quattro condensatori da 18.000 µF<br />
ciascuno per le sezioni di preamplificazione<br />
e di gestione.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 75
selector<br />
al banco di misura<br />
suonogramma<br />
1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 2<br />
2 Messa a fuoco e corposità................................ 3<br />
3 Ricostruzione scenica altezza......................... 2<br />
4 Ricostruzione scenica larghezza................... 2<br />
5 Ricostruzione scenica profondità.................. 2<br />
6 Escursioni micro-dinamiche............................ 2<br />
7 Escursioni macro-dinamiche........................... 2<br />
8 Risposta ai transienti........................................ 2<br />
9 Velocità................................................................ 2<br />
10 Frequenze medie e voci...................................... 2<br />
11 Frequenze alte.................................................... 2<br />
12 Frequenze medio-basse..................................... 2<br />
13 Frequenze basse.................................................. 2<br />
14 Timbrica................................................................ 2<br />
15 Coerenza............................................................... 2<br />
16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />
La risposta in frequenza è molto estesa e per nulla condizionata<br />
dal carico o dalla regolazione del livello tramite<br />
il potenziometro del volume. La distorsione è solo lievemente<br />
accennata con una prevalenza di componenti<br />
di ordine dispari ma con un decadimento armonico abbastanza<br />
rapido. Le componenti da intermodulazione<br />
simmetriche sono lievemente accennate e assenti le altre.<br />
Nonostante la sensibilità dell’apparecchio sia piuttosto<br />
alta il tappeto di rumore si mantiene a livelli molto bassi<br />
nelle normali condizioni di utilizzo ipotizzate con livelli<br />
piacevoli e old style, pressoché<br />
sconosciuto in questa fascia di<br />
prezzo.<br />
Dal punto di vista sonoro quasi<br />
ogni parametro eccede la media<br />
della categoria e la rappresentazione<br />
offerta è caratterizzata da<br />
un’omogeneità su ogni parametro<br />
degna di nota, con una particolare<br />
menzione per la capacità<br />
di messa a fuoco dei protagonisti<br />
dello stage, particolarmente credibili<br />
e materici. Una segnalazione<br />
a parte per lo stadio fono,<br />
che eccede decisamente la classe<br />
di appartenenza del prodotto<br />
risultando definitivo se non<br />
si hanno esigenze particolari o<br />
front end tanto problematici da<br />
richiedere un’elettronica ad hoc.<br />
Nella media lo stadio cuffia che,<br />
comunque, garantisce buone<br />
performance con buona parte<br />
delle cuffie in circolazione. Se<br />
in termini di performance sonore<br />
probabilmente qualcuno<br />
dei concorrenti (circa 60 nella<br />
fascia tra 1.200 e 2.000 euro)<br />
può competere con l’A-S1100,<br />
quasi nessuno ha i numeri per<br />
confrontarsi sugli altri parametri<br />
selettivi. La semplificazione<br />
circuitale e l’assenza della sezione<br />
bilanciata in ingresso pur<br />
riducendo in parte la componentistica<br />
e le sezioni circuitali<br />
di ingresso intorno a 2Vrms, in cui si ottengono le massime<br />
prestazioni dell’apparecchio in termini di rumore<br />
e spurie in banda e fuori banda, evidenziando una cura<br />
dell’alimentazione e delle filtrature notevole.<br />
La distorsione si mantiene molto bassa in tutto il range<br />
di amplificazione con una prevalenza di terza armonica<br />
e la totale assenza della seconda, conseguentemente<br />
alle scelte di configurazione. Al clipping si arriva in modo<br />
abbastanza repentino raggiungendo una potenza di<br />
uscita di circa 105 Wrms su 8R per una THD+n all’1%.<br />
non giustificherebbero una riduzione<br />
dei costi al pubblico così<br />
importante; dobbiamo tuttavia<br />
abituarci (soprattutto nei casi in<br />
cui questo va a favore del consumatore)<br />
al fatto che sempre più<br />
spesso il prezzo al pubblico viene<br />
determinato non tanto dai costi<br />
di produzione ma dall’analisi e<br />
da tutte le valutazioni effettuate<br />
sulla fascia di destinazione! In<br />
tale ottica l’A-S1100 in prova dimostra<br />
il miglior rapporto Q/P<br />
della categoria (e una versatilità<br />
ai vertici) risultando l’apparecchio<br />
a minor fattore di obsolescenza<br />
rispetto ai consimili nel<br />
catalogo Yamaha.<br />
Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />
-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />
esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />
analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
UN lavoro di ottimizzazione per affinameto del<br />
progetto originale che qui viene declinato rinunicando<br />
ad orpelli ma mantenendo la sostanza.<br />
banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Quasi la fotocopia dei modelli maggiori; dunque<br />
ottimo visto l’abbattimento del costo.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Ampia dotazione di ingressi che non trascura<br />
ogni tipo di utilizzo. Non si sente la mancanza<br />
dell’ingresso XLR, unica differenza con i modelli<br />
maggiori<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
La trasparenza è la dote principale di un apparecchio<br />
che non vuole imporsi ma non concede<br />
spazio alle colorazioni.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Passo dopo pass, una conferma dopo l’altra.<br />
Occorrerà inventare una nuova scala valoriale<br />
solo per Yamaha?<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Come cogliere due piccioni con una fava o, per<br />
meglio dire, questo è il frutto di un lavorodi razionalizzazione<br />
ben fatto.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
76 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
selector<br />
di Emilio Paolo Forte<br />
Kef LS50, Sonus faber<br />
Minima Vintage e LS3/5a:<br />
Mini diffusori alla prova<br />
del tempo<br />
La scuola inglese è stata un riferimento assoluto per la produzione di diffusori da stand di qualità, anche<br />
grazie agli investimenti nella ricerca della BBC, l’ente radiotelevisivo di stato britannico principale<br />
sviluppatore di progetti e committente per la realizzazione di diffusori di qualità.<br />
Ancora oggi il massimo<br />
esponente della scuola<br />
inglese nonché archetipo<br />
di tutti i diffusori da stand è<br />
l’LS3/5a, un progetto della BBC<br />
di quarant’anni fa, un due vie in<br />
cassa chiusa equipaggiato con<br />
trasduttori della Kef (T27 e B110,<br />
rispettivamente tweeter da 27<br />
mm e midwoofer da 110 mm),<br />
nato per le esigenze interne del<br />
servizio BBC e poi dato in licenza<br />
a partire dal 1975 alla Rogers<br />
per la produzione su larga scala<br />
e vendita sul mercato, nel rispetto<br />
delle specifiche del progetto<br />
(quindi, con obbligo di impiego<br />
dei trasduttori Kef). Nel 1982 anche<br />
la Spendor ottenne la licenza<br />
di produrre e vendere gli LS3/5a<br />
con proprio marchio e successivamente,<br />
nel 1988, si aggiunsero<br />
la Harbeth e poi altri licenziatari<br />
minori (Chartwell, Goodmans,<br />
Audiomaster, Decca, Ram, Stirling<br />
e la stessa Kef che fino ad allora<br />
si era limitata a fornire i suoi<br />
trasduttori ai vari licenziatari del<br />
progetto). Nel 1987 sono intervenute<br />
alcune piccole migliorie ai<br />
trasduttori e crossover che hanno<br />
portato la versione nativa da<br />
15 Ohm alla versione conosciuta<br />
come LS3/5a 11 Ohm (cosa che<br />
rende incompatibili le componentistiche<br />
delle due versioni). Infine<br />
dal 1991 la BBC ha introdotto<br />
un’ultima variazione al progetto<br />
originario, approvando la versione<br />
biwiring.<br />
La brevissima sintesi serve a tracciare<br />
un minimo di linee guida per<br />
uno dei modelli più longevi e di<br />
successo nella storia dell’alta fedeltà<br />
(è stato in produzione per<br />
circa vent’anni) e con le quotazioni<br />
più alte mai raggiunte rispetto<br />
al prezzo di vendita originario e<br />
in continua ascesa per la forte richiesta<br />
dell’usato, soprattutto dai<br />
mercati asiatici. Parlare di diffusore<br />
da stand, esprimere giudizi<br />
senza aver mai ascoltato nelle<br />
condizioni migliori una coppia<br />
di LS3/5a significa un po’ parlare<br />
senza piena cognizione di causa:<br />
i pregi e i difetti di un mini diffusore<br />
sono stati già scritti in quella<br />
pagina di storia. E non è un caso<br />
se ancora oggi quel progetto venga<br />
preso come riferimento da tutti i<br />
costruttori che vogliano cimentarsi<br />
nella realizzazione di un diffusore<br />
grande quanto una “scatola<br />
da scarpe”.<br />
Una recentissima e apertamente<br />
dichiarata sfida è venuta dalla Kef<br />
con l’LS50, un diffusore caratterizzato<br />
da un trasduttore “dual<br />
concetric” in bass reflex che,<br />
secondo il “white paper” (documento<br />
interno che pubblica i dati<br />
sulle finalità del progetto, le fasi<br />
dello sviluppo, le misure e i risultati<br />
ottenuti prima di passare<br />
alla fase realizzativa e di commercializzazione)<br />
non solo è ispirato<br />
all’LS3/5a ma ne migliorerebbe significativamente<br />
le prestazioni in<br />
termini di trasparenza, tenuta in<br />
potenza e dispersione in ambiente.<br />
Il miracolo Kef sarebbe stato<br />
consentito dagli attuali potenti<br />
mezzi informatici a disposizione,<br />
un robusto investimento nella ricerca<br />
e dalle economie di scala che<br />
solo la Gold Peak, il colosso asiatico<br />
attuale proprietario del glorioso<br />
marchio inglese, poteva permettersi,<br />
immettendo sul mercato<br />
l’LS50 a poco più di 1.000 euro<br />
la coppia, prezzo decisamente<br />
inferiore rispetto alle quotazioni<br />
raggiunte su eBay per una coppia<br />
di vecchie LS3/5a originali.<br />
Un prodotto che si colloca nel<br />
mezzo è invece il Sonus faber<br />
Minima Vintage. Si tratta della<br />
riedizione del celebre Minima<br />
del 1984, il capolavoro di Franco<br />
Serblin. Il progetto è rimasto<br />
esattamente identico rispetto alla<br />
versione originale, sempre col<br />
tweeter Dynaudio D28, mentre il<br />
woofer Seas si avvantaggia di piccoli<br />
aggiornamenti nel disegno del<br />
cestello che consentono ora una<br />
maggiore escursione dinamica,<br />
pur preservando l’equilibrio e la<br />
trasparenza di sempre. Questo<br />
diffusore può essere considerato<br />
come il classico colpo di genio<br />
italico, nato senza il supporto dei<br />
potenti mezzi della BBC o di una<br />
holding asiatica ma grazie all’intuizione<br />
e maestria di uno dei massimi<br />
progettisti italiani.<br />
Quante cose sono cambiate nel<br />
mondo dei mini diffusori nel lasso<br />
di questi quarant’anni? Una<br />
risposta almeno parziale deriva<br />
dalla possibilità che ho avuto di<br />
ascoltare e confrontare in diversi<br />
setup gli LS50, i KEF LS3/5a<br />
Raymond Cook Special Edition,<br />
i Rogers LS3/5a Limited Edition<br />
(parliamo in entrambi i casi di<br />
LS3/5a 11 Ohm biwiring, ovvero<br />
degli esemplari più recenti e, si<br />
spera, più performanti del celebre<br />
progetto BBC) e i Sonus faber Minima<br />
Vintage. Le amplificazioni<br />
principali con cui sono stati ascoltati<br />
i diffusori sono state: Audio<br />
Research Ref. 3 e Ref. 110; McIntosh<br />
C2500 e MC302. Sorgenti<br />
Marantz SA11s3 e Thorens TD124<br />
con SME4 e Benz LP collegato al<br />
pre phono interno del McIntosh<br />
C2500 oppure al pre phono Benz<br />
PP1-T9. Cablaggi vari e linee elettriche<br />
dedicate.<br />
I Kef LS50 hanno bisogno di un<br />
rodaggio estenuante prima che i<br />
78 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
mini dffusori alla prova del tempo<br />
trasduttori concentrici inizino a<br />
sciogliersi e a lavorare a dovere.<br />
Si tratta di un equipaggio mobile<br />
estremamente rigido e leggero in<br />
lega di alluminio e magnesio. La<br />
prima evidenza che si coglie all’ascolto<br />
è che si tratta di un diffusore<br />
che necessita più corrente di<br />
quanto non richiedano gli LS3/5a,<br />
restituendo in cambio escursioni<br />
dinamiche e impatto (nel vero<br />
senso fisico di movimento di aria)<br />
sconosciute agli altri protagonisti<br />
di questo approfondimento. Il<br />
suono è grande, potente, inimmaginabile<br />
per un diffusore di<br />
questa taglia, perlomeno nella<br />
sua accezione classica (altra cosa<br />
sono le new entry dove convivono<br />
l’utilizzo della soluzione attiva, la<br />
multiamplificazione e l’uso dei<br />
DSP). Attenzione, però, a non<br />
farsi prendere la mano altrimenti,<br />
a volumi realistici e in ambienti<br />
eccessivi (oltre i 20 mq), il bellissimo<br />
equilibrio timbrico rischia di<br />
essere alterato dall’indurimento<br />
della gamma medio-alta. In effetti<br />
nessuno si sognerebbe mai di<br />
strapazzare con bordate di watt un<br />
LS3/5a che fa della raffinatezza di<br />
emissione il suo punto forte: ecco,<br />
bisogna ricordare che l’LS50 nasce<br />
dichiaratamente come erede<br />
degli LS3/5a, con il plus di dare<br />
qualche soddisfazione in più in<br />
termini di estensione in basso (è<br />
pur sempre una cassa in bass reflex)<br />
e dinamica. Come accennavo<br />
queste caratteristiche del progetto<br />
si pagano in termini di osticità<br />
nel pilotaggio: ho ascoltato i Kef<br />
LS3/5a Raymond Cook SE andare<br />
divinamente (e in un ambiente<br />
ben oltre i 20 mq) pilotati da soli<br />
8 watt di un Air Tight 300B; mi<br />
sono commosso di fronte ai Rogers<br />
LS3/5a 15 Ohm pilotati da 12<br />
watt di un Marantz 8B originale.<br />
Un Kef LS50 con questi watt nemmeno<br />
si muove, o meglio, resta<br />
anemico e poco contrastato...<br />
L’impostazione timbrica dell’LS50<br />
è di quelle che il breviario<br />
audiofilo riconosce come neutra e<br />
trasparente, è un progetto molto<br />
solido d’impostazione moderna<br />
che non aggiunge note di calore/<br />
colore allo spettro sonoro non<br />
dovendo enfatizzare o camuffare<br />
nulla, anche grazie all’ottima<br />
estensione e tenuta in potenza su<br />
cui può contare. Al confronto gli<br />
LS3/5a, un sistema a sospensione<br />
pneumatica in gamma medio<br />
bassa fanno quel che possono,<br />
rinunciando a ogni tentativo di<br />
enfatizzazione che se da un lato<br />
avrebbe aiutato a scandire meglio<br />
il giro di basso rischia, dall’altro,<br />
di insidiare la purezza della magnifica<br />
gamma media. La macrodinamica,<br />
per scelta progettuale,<br />
resta decisamente sacrificata<br />
mentre tutto il lavoro del woofer<br />
è ottimizzato per la microdinamica<br />
della gamma media. In gamma<br />
media, con le voci umane in particolare,<br />
gli LS3/5a stabiliscono un<br />
mirabile equilibrio di ricchezza<br />
di sfumature, calore, credibilità e<br />
corposità che nessun altro diffusore<br />
da me ascoltato è riuscito ad<br />
oggi a eguagliare. Non fa eccezione<br />
l’LS50 che nella sua maggiore<br />
neutralità, nettezza e trasparenza<br />
sbilancia la resa musicale verso<br />
toni piuttosto radiografanti che<br />
svelano la mediazione microfonica,<br />
facendo scivolare l’ascoltatore<br />
dall’illusione di una voce incarnata<br />
e palpabile a una voce riprodotta,<br />
per quanto magnificamente<br />
riprodotta.<br />
Molte realizzazioni, o meglio, molti<br />
set-up degli audiofili, perseguono<br />
pervicacemente la trasparenza,<br />
chiarezza e intellegibilità ad ogni<br />
costo (quante volte abbiamo sentito<br />
dire: “Finalmente è caduto un<br />
altro velo”). Ma con le voci, in particolare,<br />
se cade un velo di troppo<br />
siamo arrivati alle tonsille, la voce<br />
non è più credibile, prevalgono<br />
toni androidi e metallici sull’incarnato<br />
che il nostro orecchio<br />
ben conosce. E la magia di vedere<br />
materializzata nella nostra stanza<br />
l’artista di turno svanisce irrimediabilmente.<br />
Quando con gli<br />
LS3/5a si parla di mirabile equilibrio<br />
è proprio perché questo diffusore<br />
non persegue alcun record,<br />
anzi, sembra proprio ottimizzato<br />
per la voce umana, al punto che<br />
con altri programmi musicali può<br />
apparire meno contrastato e coinvolgente<br />
degli LS50 e, addirittura,<br />
la scarsa consistenza in basso può<br />
richiamare l’impressione di una<br />
certa nasalità. Eppure gli LS3/5a,<br />
quando correttamente interfacciati<br />
e valorizzati con pochi watt<br />
di qualità, hanno qualcosa di magico<br />
e irripetibile che ancora oggi<br />
li rende nella comunità audiofila<br />
uno dei più ambìti oggetti del desiderio<br />
oltre che un oggetto da collezione.<br />
Per me l’LS3/5a resta una<br />
insostituibile pietra di paragone<br />
su cui “rifarmi le orecchie” prima<br />
di analizzare gli altri diffusori da<br />
stand.<br />
L’LS50, come accennato prima, è<br />
un diffusore moderno votato alla<br />
trasparenza e neutralità ad ogni<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 79
selector<br />
costo. Eccessivo per le voci ma<br />
con strumenti acustici e software<br />
più complessi, questa analiticità<br />
consente di ottenere un effetto<br />
monitor spietato. Dal punto di<br />
vista della ricostruzione scenica,<br />
altro punto di forza di questa tipologia<br />
di diffusore, l’LS50 sembra<br />
privilegiare stand almeno da 70<br />
cm e una forte angolazione rispetto<br />
al punto di ascolto con incrocio<br />
appena avanti o appena dietro il<br />
punto di ascolto, se si vuole ottenere<br />
una prospettiva ottimale. Occorre,<br />
infatti, tener presente che<br />
il tweeter è collocato al centro del<br />
woofer (è un “dual concentric”) e<br />
quindi resta molto più in basso rispetto<br />
a un tweeter tradizionale.<br />
Con l’LS50 si deve quindi lavorare<br />
molto più rispetto agli altri mini<br />
diffusori per riuscire a ottenere un<br />
palcoscenico credibile, soprattutto<br />
in altezza.<br />
Il Minima Vintage si inserisce invece<br />
in questo summit prendendo<br />
il buono di entrambi i concorrenti.<br />
Sa essere dinamico e contrastato<br />
come l’LS50 mantenendo<br />
la morbidezza dell’incarnato<br />
delle voci propria dell’LS3/5a. È<br />
un diffusore più ostico rispetto<br />
all’LS3/5a ma non così esigente<br />
come l’LS50, sapendo adattarsi<br />
meglio di quest’ultimo a pilotaggi<br />
di differente potenza, rendendo<br />
ogni volta risultati comunque piacevoli.<br />
Il tweeter Dynaudio D28 ha<br />
una marcia in più rispetto ai driver<br />
degli altri concorrenti, e si sente.<br />
Il Minima Vintage tende a portare<br />
un po’ più in avanti i protagonisti<br />
sul palcoscenico ideale illuminandoli<br />
e conferendo loro una<br />
plasticità e uno stacco sul resto<br />
dell’evento come è raro ascoltare.<br />
L’LS3/5a ha un’impostazione più<br />
arretrata mantenendo comunque<br />
un significativo stacco tra protagonisti<br />
e comprimari. L’LS50<br />
è quello che valorizza di più la<br />
resa dei comprimari, rendendo<br />
intellegibile in maniera omogenea<br />
l’intero messaggio musicale<br />
senza indulgere nell’effetto magnificazione<br />
della gamma media,<br />
più evidente sull’LS3/5a e molto<br />
evidente sul Minima Vintage. Ovviamente<br />
il risvolto della medaglia<br />
è che con l’LS50 si apprezza una<br />
definizione eccellente su tutto il<br />
palcoscenico ma si perde la suggestione<br />
della plasticità dei protagonisti<br />
sul palcoscenico che gli altri<br />
due diffusori riescono a rendere.<br />
In sintesi, relativizzando questa<br />
esperienza d’ascolto posso dire<br />
che il Kef LS50 è il diffusore più<br />
completo e versatile del gruppo.<br />
Esteso, coerente, con un basso<br />
e una dinamica significativi e<br />
un’ottima ricostruzione scenica,<br />
può essere una scelta definitiva<br />
a prescindere dal lignaggio delle<br />
elettroniche a monte, potendo<br />
tranquillamente onorare set-up<br />
importanti in ambienti di dimensioni<br />
contenute (entro i 20 mq).<br />
Fortemente consigliato anche per<br />
gli appassionati di musica classica<br />
e sinfonica in particolare, essendo<br />
in grado di ricreare enormi sale<br />
da concerto nel vostro ambiente<br />
e riuscendo a mettere ben a fuoco<br />
ciascuno strumento, anche i più<br />
defilati e gregari.<br />
Il Sonus faber Minima Vintage<br />
è il diffusore più caratterizzato<br />
tra quelli presi in esame: si avverte<br />
una leggera enfasi presente<br />
in gamma medio-alta e sul<br />
medio-basso, però all’ascolto è<br />
dannatamente piacevole, riesce<br />
a illuminare letteralmente alcune<br />
partiture (in particolare i software<br />
intimistici ma anche la classica,<br />
da un punto di vista strettamente<br />
“visivo”, è molto appagante) esaltando<br />
molto il parametro della<br />
profondità. Voci e strumenti, infatti,<br />
sono collocati tra il fronte<br />
dei diffusori e la parete di fondo<br />
secondo una sequenza in 3D<br />
molto suggestiva proprio perché<br />
i protagonisti si materializzano in<br />
mezzo alla stanza e non restano<br />
proiettati oltre la parete di fondo<br />
(per cui fondamentale è lasciare<br />
più spazio possibile tra diffusori<br />
e parete di fondo per apprezzare<br />
questa dote peculiare: se possibile,<br />
meglio disporre i diffusori<br />
sul lato stretto della stanza, visto<br />
che i Minima Vintage sono<br />
poco sensibili, se inclinati molto<br />
verso il punto di ascolto, alla vicinanza<br />
della parete laterale). La<br />
suggestione della scena sonora<br />
virtuale è senza dubbio la più intensa<br />
percepibile all’ascolto dei tre<br />
modelli. Rogers e Kef LS3/5a offrono<br />
un ascolto apparentemente<br />
più dimesso e meno contrastato.<br />
Tuttavia, quando in campo entra<br />
una voce, questa viene scolpita a<br />
tutto tondo tre passi avanti alla<br />
parete di fondo. L’equilibrio tonale,<br />
pur se non caratterizzato da<br />
escursioni particolarmente spinte,<br />
è meravigliosamente ricco, morbido<br />
e credibile anche se i bianchi<br />
non sono abbaglianti e i neri non<br />
ricordano delle voragini. Proprio<br />
questo modo di porgere il messaggio<br />
musicale le rende ancora oggi<br />
predilette da numerosi appassionati<br />
in tutto il mondo.<br />
Per quanto riguarda gli accoppiamenti<br />
con le elettroniche, sia i<br />
McIntosh (che beneficiano anche<br />
80 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
mini dffusori alla prova del tempo<br />
della possibiità di uscite a varie<br />
impedenze) che gli Audio Research<br />
a disposizione si sono confermati<br />
ottimi interfacciamenti,<br />
anche se il primo mi è parso<br />
egualmente a suo agio con i tre<br />
è particolarmente piaciuto con gli<br />
LS3/5a, forse un po’ troppo snaturati<br />
dal rigore dei Reference. In<br />
ambienti entro i 20 mq gli LS3/5a<br />
sono una delizia anche con piccole<br />
amplificazioni di qualità, come gli<br />
8 watt dell’Air Tight 300B, i Leben<br />
CS300 e CS600, i Sugden in classe<br />
A “and so on…”. Per i Minima<br />
Vintage consiglio almeno 30 watt<br />
buoni. Per gli LS50 ci vuole della<br />
corrente: i 110 watt del Reference<br />
110 se li è bevuti tranquillamente<br />
restituendo in più di qualche<br />
occasione un impatto dinamico<br />
notevole!<br />
Malgrado i quarant’anni che dividono<br />
idealmente i tre progetti,<br />
nonostante nuovi materiali e nuove<br />
tecnologie, i tre mini - protagonisti<br />
sembrano tutti nati ieri a<br />
conferma del fatto che gli oggetti<br />
dell’alta fedeltà particolarmente<br />
riusciti non temono una rapida<br />
obsolescenza (ma anche di una<br />
certa staticità del progresso tecnologico<br />
in materia..!).<br />
Stabilire quale di questi progetti<br />
sia il più riuscito diventa allora il<br />
risultato di una preferenza personale<br />
piuttosto che il sintomo<br />
dell’essere riusciti a individuare<br />
la reale superiorità di un progetto<br />
sull’altro. Questo anche perché la<br />
regola della coperta corta vuole<br />
che l’inevitabile ottimizzazione insita<br />
nel compromesso di diffusori<br />
così piccoli vada a valorizzare, laddove<br />
non ad esaltare, alcune cose<br />
su altre: tutto non si può avere.<br />
Meglio lasciar spazio all’ascolto<br />
per capire se la vostra musica<br />
preferita riesce ancora ad emozionarvi,<br />
lasciando al cuore la scelta<br />
giusta...<br />
Clavimania<br />
diffusori mentre il secondo non mi<br />
Uno strumento unico<br />
(uno dei pochi claviorgani al mondo)<br />
Un ensemble unico<br />
(Massimiliano Muzzi of Strichen &<br />
Orchestra da camera del Maggio Musicale Fiorentino)<br />
Un programma unico<br />
(per la prima volta i brani per claviorgano eseguiti con un claviorgano e registrati)<br />
Un’occasione unica<br />
(Villa Rondinelli a Fiesole)<br />
Una registrazione allo stato dell’arte<br />
(realizzato in DXD con la supervisione di <strong>SUONO</strong>)<br />
<strong>SUONO</strong>records<br />
Per info: http://www.suono.it/E-Shop/<strong>SUONO</strong>records/Claviorganum-n-SR012
selector<br />
a cura della redazione<br />
Diffusori<br />
Elac Debut B5 by Andrew Jones<br />
“La sfida massima per<br />
un costruttore sta, più<br />
che nel realizzare un modello<br />
no limits, nel creare<br />
un prodotto dall’ottimo<br />
rapporto qualità/prezzo”.<br />
L’affermazione è di un progettista<br />
ed è ancor più valida<br />
in una fase del mercato<br />
come questa in cui i marchi<br />
di pregio cercano di riposizionarsi<br />
andando a “pescare”<br />
nell’ampio bacino<br />
dei nuovi fruitori di musica<br />
riprodotta che si è venuto<br />
a creare. La linea Debut<br />
è stata creata con questo<br />
target bene in mente...<br />
Debut è una linea di<br />
diffusori della tedesca<br />
Elac che appartiene a<br />
una fascia di prezzo tra le più<br />
basse in Hi-Fi: si parte dal singolo<br />
canale centrale C5 da 275<br />
euro per passare ai tre modelli<br />
da piedistallo o ripiano (A4, B5<br />
e B6), rispettivamente da 350<br />
euro i primi due e 430 euro il<br />
terzo, e finire con l’unico modello<br />
da pavimento previsto per<br />
ora, l’F5, proposto a 830 euro.<br />
Il fatto che dal modello C si passi<br />
al modello F ci fa immaginare,<br />
inoltre, che siano in arrivo<br />
altri modelli intermedi oltre a<br />
una linea di tre subwoofer.<br />
La gamma è stata realizzata<br />
da Andrew Jones: entrato<br />
come vicepresidente nel reparto<br />
americano d’ingegneria<br />
del costruttore tedesco, Jones<br />
è uno dei più esperti progettisti<br />
nel settore, vantando una lunga<br />
esperienza in merito. Le sue<br />
prime collaborazioni furono<br />
con l’inglese Kef, poi l’americana<br />
Infinity e, infine, la sua<br />
partecipazione al sorprendente<br />
ritorno in campo audio di alto<br />
livello di Pioneer con la progettazione<br />
dei diffusori della<br />
linea esclusiva TAD, diventata<br />
poi un marchio a sé. Potrebbe<br />
sorprendere che la sua prima<br />
collaborazione con Elac non<br />
avvenga, come si sarebbe potuto<br />
immaginare, con una linea<br />
di punta, visto anche il grande<br />
successo di critica dei prodotti<br />
TAD; probabilmente, però, anche<br />
Jones deve aver condiviso<br />
la convinzione secondo cui la<br />
vera scommessa sia quella di<br />
realizzare un prodotto economico<br />
ma di alto valore: non a<br />
caso la gamma creata da Jones<br />
si chiama Debut e costituisce<br />
l’entry level del costruttore tedesco.<br />
Scopi e target di questa<br />
linea dal prezzo contenuto e le<br />
linee semplici li ha esplicitati<br />
lo stesso Jones: “L’abbiamo<br />
progettata pensando ai nuovi<br />
audiofili, tenendo bene a<br />
mente l’effetto che volevamo<br />
ottenere: Wow! Un ascolto<br />
che tocchi il cuore più che la<br />
testa… Il target sono i nuovi<br />
appassionati di musica ma anche<br />
chi voglia semplicemente<br />
trovare una soluzione per il<br />
secondo impianto a un costo<br />
più che ragionevole”.<br />
L’ambiziosa strada è stata<br />
aperta con il modello in prova,<br />
il B5. Si tratta di un diffusore<br />
da piedistallo o libreria<br />
compatto, progettato, stando<br />
a quanto dichiarato dal progettista,<br />
cercando di ottenere una<br />
buona estensione alle basse<br />
frequenze, sacrificando giusto<br />
un po’ l’efficienza. L’impiego<br />
di una bobina e un magnete<br />
Prezzo: € 350,00<br />
Dimensioni: 20 × 34,2 x 22,2 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5,2 kg<br />
Distributore: LP Audio di Luca Parlato<br />
Via della Tesa, 20 - 34138 Trieste (TS)<br />
Tel. 040.56.98.24<br />
www.lpaudio.it<br />
DIFFUSORI Elac Debut B5 by Andrew Jones<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N. vie: 2 Potenza<br />
(W): 20-120 Impedenza (Ohm): 6 Frequenze di crossover<br />
(Hz): 3000 Risp. in freq (Hz): 44 - 20.000 Sensibilità (dB): 87 Altoparlanti:<br />
Wf 13 cm; Tw cupola 25 mm Rifinitura: Nero vinilico<br />
satinato Griglia: sì.<br />
82 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test<br />
più grandi del solito, sempre<br />
secondo Jones, dovrebbero<br />
aiutare il diffusore a produrre<br />
un impatto e una dinamica superiori<br />
alle previsioni. E se non<br />
bastasse, per ottenere risultati<br />
ancora più significativi in questo<br />
ambito, ci si può rivolgere<br />
al modello immediatamente<br />
superiore (B6) o a quello da<br />
pavimento (F6). In realtà Jones<br />
non è nuovo alla sfida di<br />
progettare diffusori di costo<br />
contenuto, avendola affrontata<br />
già ai tempi di Pioneer prima<br />
di TAD. Se nella progettazione<br />
di diffusori senza compromessi<br />
come i TAD la sfida era quella<br />
di realizzare diffusori, non<br />
ottimi ma semplicemente straordinari,<br />
per ottenere risultati<br />
da best buy nella categoria economica<br />
l’esame di ogni componente<br />
e lo studio dei tempi<br />
di realizzazione hanno il loro<br />
peso. D’altro canto ci sono caratteristiche<br />
meccaniche di un<br />
altoparlante che hanno una<br />
certa influenza da un punto di<br />
vista sonoro e molto meno sul<br />
fronte dei costi; in questo senso<br />
Jones ritiene che la possibilità<br />
di progettare altoparlanti<br />
personalizzati, gli altoparlanti<br />
realizzati da terzi “su specifiche<br />
del cliente”, può risultare<br />
decisivo per fare la differenza.<br />
Il condotto presenta ampie<br />
svasature ai bordi e risulta<br />
ben raccordato con il<br />
pannello. Nonostante<br />
l’emissione posteriore,<br />
il sistema è facilmente<br />
collocabile vicino alla<br />
parte di fondo.<br />
I morsetti, di fascia<br />
economica, sono<br />
in posizione molto<br />
ravvicinata e bisogna<br />
fare attenzione a<br />
cortocircuiti con cavi<br />
spellati multi trefolo.<br />
Nessuna controindicazione<br />
per terminazioni a banana o<br />
a forcella.<br />
In termini di messa a punto, se<br />
per dei piccoli ma non minuscoli<br />
diffusori come questi la<br />
condizione ideale sembra essere<br />
quella del tradizionale collocamento<br />
su piedistalli da 60<br />
cm di altezza, può sorprendere<br />
il fatto che non sia necessario<br />
porli a ridosso della parete di<br />
fondo per rinforzare la risposta<br />
alle basse frequenze. Se possibile,<br />
dunque, meglio collocarli<br />
ad almeno mezzo metro o più<br />
di distanza, visto che è proprio<br />
la loro generosità (ma anche la<br />
qualità dei bassi) a sorprendere<br />
sin da subito: chi si aspetta un<br />
suono magari valido e corretto<br />
ma piccolo e scarso sul basso,<br />
rimarrà alquanto sorpreso dal<br />
carattere di questi B5! Fin dalle<br />
prime impressioni l’equilibrio<br />
timbrico sembra favorire proprio<br />
questa gamma di frequenze<br />
rispetto alle alte. Vero ma<br />
non in assoluto... Man mano<br />
che si procede con gli ascolti si<br />
apprezza infatti un’apertura di<br />
tutto rispetto, con una pulizia<br />
e limpidezza eccellenti. Non ci<br />
si può aspettare un’estensione<br />
da primato ma l’impressione<br />
è quella di un delicato decadimento<br />
oltre un certo livello.<br />
Probabilmente il tweeter è stato<br />
scelto proprio per le sue prestazioni<br />
che mediano una certa<br />
raffinatezza e una buona sottigliezza<br />
di grana con l’estensione:<br />
stiamo parlando pur sempre<br />
di un prodotto entry level e<br />
pazienza se non percepiremo i<br />
30 kHz; quello che viene riprodotto<br />
non solo risulta piacevole<br />
ma anche ben controllato e<br />
corretto. Tanto meglio se musicalità,<br />
dettaglio e scioltezza<br />
sembrano quelli di prodotti di<br />
una fascia di mercato più elevata.<br />
La generosità del basso<br />
aiuta la ricostruzione di un’immagine<br />
quanto mai ampia, ricreando<br />
un vero piccolo grande<br />
muro del suono davanti a noi.<br />
Si può giocare con il volume<br />
con molta più libertà di quanto<br />
si potrebbe immaginare e<br />
il passaggio dall’abbinamento<br />
con due finali monofonici,<br />
chiaramente esagerati come<br />
categoria ma non per l’eccellente<br />
risultato, a un integrato<br />
comunque ben potente come<br />
lo Yamaha A-S1100 non è risultato<br />
per niente traumatico.<br />
I B5 continuano a suonare<br />
sorprendentemente<br />
bene,<br />
corretti, producendo<br />
una<br />
massa sonora<br />
di tutto rispetto.<br />
La sensibilità<br />
dichiarata è media<br />
ma abbiamo notato<br />
come per arrivare a<br />
certi livelli di pressione<br />
occorra spingere<br />
un po’ sull’acceleratore<br />
e fornire un’adeguata<br />
manciata di watt. Il<br />
dato positivo è che anche<br />
ad alti volumi non sembrano<br />
insorgere compressioni<br />
udibili: niente indurimenti<br />
e il lavoro degli altoparlanti,<br />
a cui contribuisce<br />
sicuramente un crossover<br />
ben realizzato e dedicato<br />
alle loro caratteristiche,<br />
mantiene un’apprezzabile<br />
morbidezza di fondo visto che<br />
eventuali durezze appaiono un<br />
elemento sconosciuto a questi<br />
diffusori. Tutto è molto equilibrato<br />
dove vivacità e dinamica<br />
abbondante non si traducono<br />
mai in una rappresentazione<br />
sguaiata della musica (cosa<br />
frequente negli entry level).<br />
Per contro, a bassi livelli i B5<br />
mantengono la capacità di riprodurre<br />
un suono pieno, caldo<br />
e al contempo equilibrato.<br />
L’obiettivo del progettista di<br />
introdurre diffusori piuttosto<br />
economici (costano quanto<br />
mezzo smartphone di ultima<br />
generazione) ma nettamente<br />
più validi di quelli dei computer<br />
o flat TV per attrarre anche<br />
utenti che neanche sospettano<br />
l’esistenza dell’Hi-Fi sembra<br />
essere stato centrato; stessa<br />
cosa dicasi per “l’obiettivo di<br />
riserva”: fornire agli audiofili<br />
un prodotto che senza stravolgere<br />
i canoni tradizionali<br />
offra molto a poco. Semmai<br />
Ad una realizzazione<br />
apparentemente economica<br />
si contrappongono numerosi<br />
accorgimenti che valorizzano<br />
la produzione e le prestazioni<br />
dell’altoparlante, i magneti<br />
sono accoppiati e incollati<br />
con gran cura e le lavorazioni<br />
meccaniche mostrano una<br />
precisione sconosciuta<br />
in questa fascia di prezzo.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 83
selector<br />
Nonostante l’esiguo spessore delle pareti<br />
del mobile e una sensazione di esilità nel<br />
maneggiamento del sistema, i componenti<br />
sono fissati in modo molto robusto e inseriti<br />
quasi a pressione nelle sedi ricavate nel<br />
pannello.<br />
Il corpo è in ottone dorato e lo<br />
scivolamento non è dei più fluidi. Il<br />
corpo esterno non consente una presa<br />
efficace per serrare cavi non terminati<br />
che non beneficiano della ghiera<br />
antifrizione.<br />
Il tweerer è dotato di una griglia<br />
di protezione in lamiera traforata<br />
tenuta in sede dalla ghiera in<br />
plastica di raccordo che copre le<br />
viti di fissaggio degli altoparlanti.<br />
La cupola del tweeter è in seta trattata, si<br />
nota l’ampio foro di comunicazione fra la<br />
parte posteriore della membrana e la camera<br />
interna che offre un carico acustico smorzato<br />
e con una bassa frequenza di risonanza.<br />
tutto quel che si può<br />
l mobile è realizzato con pannelli in<br />
mdf di basso spessore, poco sopra i<br />
dieci millimetri, ricoperti da un rivestimento<br />
in vinile con finitura spazzolata<br />
molto spessa, resistente ai graffi e che,<br />
tramite un tenace incollaggio, conferisce<br />
alla esile struttura una rigidità<br />
fuori dal comune.<br />
Le pareti interne sono rivestite con<br />
materiale fonoassorbente abbastanza<br />
efficace nel controllo delle riflessioni<br />
interne. Il cestello del woofer,<br />
in lamiera stampata, è incassato in<br />
una sede molto precisa con un foro<br />
estremamente ampio che non costituisce<br />
un impedimento all’emissione<br />
posteriore della membrana ma solo<br />
lo spazio necessario a un accoppiamento<br />
meccanico stabile e a tenuta.<br />
L’attenzione ai dettagli si apprezza<br />
anche nella realizzazione del<br />
filtro crossover che presenta uno<br />
schema abbastanza semplificato,<br />
anche grazie alle caratteristiche<br />
elettriche degli altoparlanti, e impiega<br />
componenti di elevata qualità<br />
con due dei tre induttori avvolti in<br />
aria e condensatori a film da 100<br />
Volt. È presente una resistenza di<br />
attenuazione in serie al tweeter<br />
che riduce di quasi 10 dB il livello<br />
di emissione per allinearlo a quello<br />
del woofer sensibilmente più basso<br />
e senza escamotage per l’aumento<br />
dell’emissione.<br />
84 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test Elac Debut B5 by Andrew Jones<br />
al banco di misura<br />
suonogramma<br />
1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 3<br />
2 Messa a fuoco e corposità................................ 3<br />
3 Ricostruzione scenica altezza......................... 2<br />
4 Ricostruzione scenica larghezza................... 3<br />
5 Ricostruzione scenica profondità.................. 2<br />
6 Escursioni micro-dinamiche............................ 2<br />
7 Escursioni macro-dinamiche........................... 2<br />
8 Risposta ai transienti........................................ 2<br />
9 Velocità................................................................ 2<br />
10 Frequenze medie e voci...................................... 3<br />
11 Frequenze alte.................................................... 2<br />
12 Frequenze medio-basse..................................... 3<br />
13 Frequenze basse.................................................. 2<br />
14 Timbrica................................................................ 2<br />
15 Coerenza............................................................... 2<br />
16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />
La risposta in frequenza risulta molto lineare e priva di<br />
perturbazioni dovute e risonanze e riflessioni particolari,<br />
considerata la realizzazione del sistema impostata<br />
su una linea estremamente economica. Tuttavia alcune<br />
soluzioni sembrano essere state abbastanza proficue,<br />
in particolar modo riguardo alla dispersione angolare<br />
all’estremo superiore e per le risonanze del mobile e<br />
gli effetti diffrattivi degli spigoli ai bordi. Sono molto<br />
ridotte anche le frequenze spurie che fuoriescono dal<br />
condotto di accordo, a riprova di una buona attenuazione<br />
all’interno del mobile e di ridotti fenomeni di turbolenza<br />
all’interno del tubo reflex.<br />
La particolare conformazione del tweeter, arretrato rispetto<br />
alla flangia e con un profilo di raccordo, sembra<br />
concentrare la risposta entro i 30 gradi di angolazione<br />
per ridursi repentinamente al di là.<br />
il difficile sarà comunicare<br />
l’esistenza di questo prodotto<br />
al suo potenziale pubblico, soprattutto<br />
quello più giovane.<br />
Elac è un marchio forte, da<br />
poco tempo passato da una<br />
gestione padronale a quella<br />
di un’azienda di medie-grandi<br />
dimensioni e viene qui ripercorsa,<br />
magari in un’ulteriore<br />
e originale chiave di lettura,<br />
la problematica che pone<br />
aziende come questa a cavallo<br />
tra l’artigianato e l’industriale.<br />
Le prime risposte del marchio<br />
tedesco sono costituite proprio<br />
dall’assunzione di Andrew Jones,<br />
uno dei primi atti della<br />
nuova direzione e, a ben vedere,<br />
un segnale significativo: tra<br />
i meriti di Andrew (che abbiamo<br />
intervistato qualche tempo<br />
fa, vedi <strong>SUONO</strong> 451 – aprile<br />
2011) c’è sicuramente quello<br />
Questa caratteristica, unita anche a una buona estensione<br />
in basso ma senza particolari enfasi, facilita l’inserimento<br />
in ambienti anche abbastanza riflettenti con un campo<br />
sonoro concentrato nel punto di ascolto abbastanza<br />
ampio. L’impedenza degli altoparlanti è stata pensata<br />
per la realizzazione di un filtro abbastanza semplice e<br />
al contempo efficace impiegando un ridotto numero<br />
di componenti. Si ottiene un incrocio con una pendenza<br />
abbastanza decisa e con il modulo dell’impedenza<br />
complessivo che non scende mai sotto i 5 Ohm, anche<br />
se in prossimità della frequenza di accordo e di quella di<br />
crossover i valori si innalzano notevolmente. Il modulo<br />
tuttavia, nonostante la scarsa linearità, non costituisce<br />
un carico difficile da pilotare ma potrebbe dar luogo a<br />
qualche variazione timbrica abbinando il diffusore ad<br />
amplificatori a basso fattore di smorzamento.<br />
di aver adottato un metodo<br />
olistico nella progettazione,<br />
affiancando sensibilità umanistica<br />
(quella che gli consente<br />
di essere uno dei migliori nella<br />
messa a punto di un sistema) a<br />
conoscenza tecnica.<br />
Elac, inoltre, ha risorse per<br />
trovare la chiave marketing<br />
giusta; vedremo se avrà anche<br />
le idee. Questo mercato ne ha<br />
un grande bisogno...<br />
Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />
-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />
esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />
analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
I risultati ottenuti con un dispiego di mezzi così<br />
contingentato fanno ben sperare anche sulle<br />
prossime serie di fascia più alta.<br />
banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Eccellenti risultati, frutto di requisti ben definiti<br />
e di un progetto ottimamente eseguito.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
Ottima l’interfacciabilità con l’ambiente e con<br />
partner anche di bassa potenza, nonostante la<br />
sensibilità non sia delle più alte.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Una piacevole rivelazione un po’ in tutti i parametri,<br />
di quelle che nonostante tutto ti fanno<br />
tornare la voglia di ascoltare musica incondizionatamente<br />
a costi un tempo impossibili!<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■ ■<br />
L’unico neo del marchio è non avere la fama che<br />
merita. Tutto lascia supporre che rimedieranno...<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Da oggi un nuovo riferimento nell’entry level,<br />
a riprova del rinnovato interessamento delle<br />
grandi aziende per il settore.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 85
selector<br />
a cura della redazione<br />
Diffusori<br />
RUSSEL K. Red 100<br />
Un classico, anzi una<br />
puetra miliare della storia<br />
hi-fi può essere declinato<br />
oggi in maniera originale?<br />
Russell Kaufman, che ha<br />
vissutto l’epopea dei piccoli<br />
monitor BBC, pensa di si<br />
e propone la sua versione<br />
della “specie”. Profuma di<br />
vintage ma non disdegna<br />
soluzioni atipiche per il genere<br />
e anche un look che in<br />
alcune finiture strizza l’occhio<br />
al nuovo che avanza.<br />
Sliding doors, ovvero:<br />
può il caso determinare,<br />
a caduta, fatti e sorti<br />
delle persone? O, ancora: che<br />
cosa sarebbe successo a Russell<br />
Kauffman se, a fronte della<br />
precisa richiesta della madre,<br />
avesse accettato l’impiego da<br />
agente immobiliare? Se il Russell<br />
Kaufmann tredicenne obbligato<br />
a trovarsi un lavoretto,<br />
non avesse optato per il ruolo<br />
di commesso da Lasky’s (uno<br />
dei più famosi negozi londinesi<br />
di elettronica, una vera mecca<br />
dell’Hi-Fi di allora) a Tottenham<br />
Court Road? Comincia<br />
così, in parte per caso in parte<br />
per passione, la carriera di questo<br />
protagonista dell’Hi-Fi inglese<br />
che negli ultimi trent’anni<br />
ha attraversato il mercato con i<br />
più svariati compiti: commesso<br />
di Lansky’s, per l’appunto (con<br />
il compito di vendere cuffie e<br />
fonorivelatori); membro dei<br />
panel d’ascolto delle riviste<br />
inglesi; importatore, all’inizio<br />
del nuovo secolo, di Nordost<br />
e Densen; progettista (durante<br />
l’intero arco di<br />
tempo preso in considerazione)<br />
presso<br />
buona parte dei costruttori<br />
inglesi di<br />
diffusori; e, in ultimo,<br />
consulente per<br />
l’israeliana Morel,<br />
per la quale ha realizzato<br />
la flagship<br />
“Fat lady”, un colosso<br />
da 32.000 dollari<br />
a tre vie e quattro<br />
altoparlanti...<br />
Ultimo atto delle sue<br />
avventure? No, solo<br />
penultimo, perché<br />
Mr. Kauffman ha recentemente<br />
deciso<br />
di creare un proprio<br />
marchio, Russell K., che ha<br />
già partorito la serie Red, costituita<br />
da tre diffusori: Red<br />
50, Red 100 e Red 150. I primi<br />
due sono da supporto o scaffale<br />
(piuttosto grande e robusto per<br />
le 100), il terzo da pavimento a<br />
tre vie. Kauffman li disegna e<br />
progetta nel Regno Unito per<br />
farli poi realizzare in Polonia<br />
dove, sembra, ci sia ancora un<br />
cospicuo numero di fabbricanti<br />
di altoparlanti. Si aggiungano<br />
le convinzioni del progettista<br />
in merito alla costruzione del<br />
cabinet: secondo Kauffman,<br />
infatti, la presenza di pannelli<br />
smorzanti finisce per essere<br />
più controproducente che utile<br />
in quanto assorbirebbe anche<br />
molti micro dettagli, riducendo<br />
la dinamica e rendendo il<br />
suono di un altoparlante meno<br />
“pronto”; senza pannelli assorbenti,<br />
sempre secondo le<br />
dichiarazioni del progettista, le<br />
pareti del mobile si muovono in<br />
accordo con il driver, mentre la<br />
robustezza delle pareti sarebbe<br />
sufficiente per non indebolire<br />
la risposta alle basse frequenze<br />
e, contemporaneamente, così<br />
leggere da smettere di vibrare<br />
rapidamente... Condivisibile o<br />
meno questa visione, unita alla<br />
Prezzo: € 1.690,00<br />
Dimensioni: 40 x 26 x 27 cm (lxaxp)<br />
Peso: 8 Kg<br />
Distributore: MondoAudio<br />
via Provinciale, 59/J - 24060 Cenate Sopra (BG)<br />
Tel.035.561554 - Fax<br />
http://www.mondoaudio.it<br />
DIFFUSORI RUSSEL K. Red 100<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex accordato a 35Hz<br />
N. vie: 2 Potenza (W): 100 Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di<br />
crossover (Hz): 2.200 Risp. in freq (Hz): 30 - 22.000 Sensibilità<br />
(dB): 88 Altoparlanti: Unità bassa da 6,5’’ in carta trattata, tweerer<br />
da 25 mm a cupola morbida Rifinitura: in legno naturale o<br />
laccatura lucida Griglia: su richiesta Note: progetto personale<br />
realizzato da Russell Kauffman, progettista storico di Morel e<br />
B&W. Cabinet in MDF da 16 mm, frontale 19 mm. Senza materiale<br />
assorbente. Realizzata a mano in Europa. Finitura legno 1.990<br />
€, laccata 2.290 €<br />
86 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test<br />
scelta di altoparlanti “fuori dal<br />
coro” e realizzati, almeno a detta<br />
del costruttore, su specifiche,<br />
allontana i prodotti Russell K.<br />
da quel marasma di discendenti<br />
dei progetti BBC che, pure,<br />
avendo fatto scuola, rappresentano<br />
l’humus in cui Kauffman<br />
è cresciuto professionalmente.<br />
Il Red 100 oggetto di questa<br />
prova è stato il primo prodotto<br />
commercializzato dalla casa e,<br />
a conferma di quel legame in<br />
gran parte indissolubile rappresentato<br />
dalla scuola inglese,<br />
a prima vista appare come l’ennesimo<br />
diffusore a due vie in<br />
una scatola (magari un po’ più<br />
grande di quella per le scarpe!)<br />
che ricorda alcuni classici diffusori<br />
soprattutto del passato,<br />
alcuni dei quali sono tornati in<br />
voga, vedi i Graham LS-5/9 o<br />
alcuni Harbeth.<br />
In questo modo, pur appartenendo<br />
formalmente alla categoria<br />
dei cosiddetti bookshelf,<br />
il Red 100, considerando la<br />
trentina di centimetri di profondità,<br />
terminali compresi, e<br />
la loro altezza, difficilmente potrà<br />
trovare posto in una libreria<br />
dovendo essere collocato, piuttosto,<br />
su piedistalli robusti e<br />
alti almeno una cinquantina di<br />
centimetri. Giova ricordare ancora<br />
una volta, tuttavia, che in<br />
La morsetteria, singola<br />
(niente bi-wire o bi-amp),<br />
prevede l’impiego di due<br />
robusti morsetti universali<br />
che sporgono dal<br />
pannello posteriore, non<br />
essendo stato previsto<br />
l’utilizzo di una vaschetta<br />
incassata nel mobile. Se<br />
questo da un lato facilita<br />
il collegamento anche<br />
con cavi di grossa sezione,<br />
dall’altro, visto che sono<br />
stati posizionati in maniera<br />
ravvicinata (e il corpo del<br />
morsetto è in metallo non<br />
isolato), aumenta il rischio di<br />
un corto circuito.<br />
questo modo alla fine l’ingombro<br />
è uguale a quello di un diffusore<br />
a torre, magari gli stessi<br />
Red 150, con un impatto visivo<br />
appena meno invadente...<br />
In termini di installazione,<br />
come spesso accade con diffusori<br />
di questa taglia, occorre<br />
una maggiore attenzione che in<br />
altri casi nel posizionamento:<br />
meglio optare per una certa<br />
distanza dalle pareti laterali<br />
“compensando” l’eventuale<br />
perdita di vigore nella porzione<br />
bassa dello spettro, avvicinando<br />
più del solito il diffusore<br />
alla parete posteriore: in questo<br />
modo si ripristina un apprezzabile<br />
equilibrio tonale mentre<br />
viene mantenuta un’apprezzabile<br />
sensazione di veridicità<br />
della scena sonora in profondità<br />
e larghezza.<br />
In termini di performance sonore<br />
va notato come il pianoforte,<br />
da sempre considerato<br />
come uno degli strumenti musicali<br />
più difficile da riprodurre<br />
per la sua timbrica, la sua ricchezza<br />
armonica, l’estensione<br />
della sua risposta in frequenza,<br />
la dinamica (in pratica per tutti<br />
i parametri!), venga riproposto<br />
dal diffusore – che abbiamo<br />
messo alla prova sfruttando<br />
due CD, uno Hyperion e l’altro<br />
Deutsche Grammophone,<br />
dedicati espressamente a questo<br />
strumento – in maniera<br />
decisamente soddisfacente nonostante<br />
la filosofia di registrazione<br />
di questi due dischi non<br />
potrebbe essere più differente.<br />
Nel CD dell’etichetta inglese,<br />
dedicato a brani di Debussy,<br />
il suono appare delicato, soffuso,<br />
quasi ovattato, riproponendo<br />
elementi comuni anche<br />
ad altra produzione di questa<br />
casa. La DG, invece, fedele alla<br />
sua filosofia sonora, ci propone<br />
un suono molto più presente,<br />
brillante, dinamico e in primo<br />
piano.<br />
Tutto ciò viene puntualmente<br />
riproposto dai Red 100 che<br />
rende riconoscibili le due diverse<br />
registrazioni veramente<br />
ad occhi chiusi: non ci si può<br />
sbagliare tra quale sia un DG<br />
e quale un Hyperion... Non si<br />
tratta solo di un fatto di timbrica,<br />
più delicata per l’Hyperion,<br />
più dinamica, con un’immagine<br />
più piena, nel CD tedesco; in<br />
entrambi i casi ritroviamo una<br />
scena ampia tale da occupare<br />
tutto o quasi l’ambiente davanti<br />
a noi sebbene, nel caso<br />
Hyperion, tenda a svuotarsi un<br />
po’ al centro. In poche parole i<br />
Red 100 sembrano essere<br />
una perfetta<br />
lente d’ingrandimento,<br />
trasparente<br />
e<br />
lucida, di<br />
quanto gli<br />
viene proposto.<br />
Passando a un disco<br />
ECM, con il polistrumentista<br />
Terje Rypdal,<br />
ritroviamo la cristallina<br />
pulizia e trasparenza tipiche<br />
di questa etichetta. Il silenzio,<br />
le pause, rendono ancora<br />
più impressionanti gli<br />
sbalzi dinamici che seguono.<br />
I colpi di basso elettrico, in<br />
questo caso, sono meno imponenti<br />
che con diffusori di<br />
altra stazza ma il basso, se non<br />
profondissimo, fin dove arriva<br />
è così netto, pulito, stretto nel<br />
senso di articolato che quasi<br />
sembra rimbalzare tra una<br />
nota e l’altra. Un basso così<br />
facile da seguire nei saliscendi<br />
da non porre mai una nota sopra<br />
l’altra (leggi: privo di code<br />
indebite). Il suono si libera e<br />
diffonde ben oltre i diffusori e<br />
la scelta del loro posizionamento<br />
non appare così vincolante.<br />
La piccola orchestra, in una<br />
vecchia registrazione Decca,<br />
dei Waltz – Jazz Suite N.1 di<br />
Shostakovich è un autentico<br />
piacere per le orecchie con gli<br />
strumenti facilmente riconoscibili<br />
per timbro e posizione. Le<br />
voci, soprattutto quelle femminili,<br />
appaiono molto gradevoli,<br />
i cantanti solisti sono in primo<br />
piano senza eccesso di protagonismo<br />
ma molto presenti,<br />
quasi tangibili e naturali; chissà<br />
se questo è un retaggio dei<br />
monitor BBC...<br />
Negli abbinamenti con l’elettronica<br />
il diffusore è sembrato<br />
alquanto esigente;<br />
persino il potente integrato<br />
Yamaha A-S1100 non sembra<br />
Il woofer, anche se di fascia<br />
economica, è stato realizzato<br />
su specifiche con alcuni<br />
accorgimenti sull’equipaggio<br />
mobile, le espansioni polari e<br />
l’accoppiamento fra la membrana<br />
e la bobina.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 87
selector<br />
I morsetti hanno<br />
una ottima<br />
meccanica di<br />
serraggio con una<br />
buona presa e una<br />
efficace ghiera<br />
antifrizione.<br />
La basetta è in vetronite con componentistica<br />
di ottima qualità e con uno schema abbastanza<br />
semplice. Non sono impiegati resistori di<br />
attenuazione nemmeno sulla linea del tweeter.<br />
La flangia del tweeter è in<br />
materiale termoplastico<br />
caricato con agglomerati inerti<br />
e la piastra di supposto della<br />
membrana è in vetronite.<br />
La parte centrale in<br />
piano del cestello<br />
poggia sul mobile<br />
grazie alla fresatura<br />
che accetta il risvolto in<br />
lamiera.<br />
L’equipaggio mobile a lunga escursione del woofer beneficia di una espansione polare<br />
forgiata che ingloba il polo centrale, la cavità di allungamento della corsa e il foro<br />
centrale di decompressione della cavità dietro il parapolvere. Le espansioni polari sono<br />
fissate e incollate molto accuratamente al magnete e al cestello.<br />
old style con garbo<br />
Il progetto è stato pensato appositamente<br />
per evitare l’utilizzo di assorbente<br />
all’interno del volume di carico e per<br />
ridurre il più possibile qualsiasi impedimento<br />
alla radiazione posteriore della<br />
membrana del woofer. Si nota infatti un<br />
foro molto ampio e una svasatura al bordo<br />
che allontana lo spigolo del mobile<br />
in prossimità della sospensione. Inoltre,<br />
tra le soluzioni “estreme” del costruttore<br />
si nota anche l’installazione degli altoparlanti<br />
direttamente a contatto con il<br />
pannello, senza interposizione di sigillante<br />
fra flangia e piano in legno. Questa<br />
scelta ha generato una complicazione<br />
non indifferente dovuta alla forma del<br />
cestello in lamiera stampata che non<br />
è in piano nella parte di contatto con<br />
il mobile.<br />
Si è reso necessario effettuare una fresatura<br />
in modo da far penetrare il risvolto<br />
di lamiera nel pannello anteriore e far<br />
aderire la parte interna al supporto. Il<br />
volume interno del mobile è suddiviso<br />
in tre vani separata da due pannelli in<br />
MDF che presentano una serie di piccoli<br />
fori molto distanziati fra loro per mettere<br />
in comunicazione le tre cavità. La soluzione<br />
tende sicuramente a irrobustire<br />
la struttura ma al contempo innesca<br />
riflessioni interne a frequenze molto<br />
alte in seguito all’assenza di materiale<br />
fonoassorbente e anche in concomitanza<br />
con l’interazione della serie di fori e<br />
del volume delle cavità.<br />
88 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
test RUSSEL K. Red 100<br />
al banco di misura<br />
suonogramma<br />
1 Capacità di analisi del DETTAGLIO.................... 3<br />
2 Messa a fuoco e corposità................................ 2<br />
3 Ricostruzione scenica altezza......................... 0<br />
4 Ricostruzione scenica larghezza................... 2<br />
5 Ricostruzione scenica profondità.................. 1<br />
6 Escursioni micro-dinamiche............................ 2<br />
7 Escursioni macro-dinamiche........................... 2<br />
8 Risposta ai transienti........................................ 2<br />
9 Velocità................................................................ 2<br />
10 Frequenze medie e voci...................................... 3<br />
11 Frequenze alte.................................................... 1<br />
12 Frequenze medio-basse..................................... 2<br />
13 Frequenze basse.................................................. 1<br />
14 Timbrica................................................................ 2<br />
15 Coerenza............................................................... 2<br />
16 Contenuto di armoniche................................... 2<br />
La risposta in frequenza denota una marcata interazione<br />
delle risonanze interne al mobile e l’emissione della<br />
membrana del woofer. l’andamento oltre a non essere<br />
particolarmente lineare (presentando un avvallamento<br />
in gamma media caratterizzato dall’emissione del woofer)<br />
è condizionato anche da due emissioni di elevata<br />
intensità collocate intorno a 200, 300 e 750 Hz che hanno<br />
riscontro anche nella curva dell’impedenza.<br />
Le risonanze fuoriescono a livelli significativi anche<br />
dal condotto di accordo posto nella cavità in basso.<br />
All’estremo superiore si nota una marcata irregolarità<br />
dell’emissione a circa 8.500 Hz anch’essa con un riscontro<br />
sulla curva di impedenza dell’altoparlante che, tuttavia,<br />
presenta un modulo costante compensato all’estremo<br />
superiore e una risonanza a circa 1200 hz, collocata abbastanza<br />
lontana dalla frequenza di incrocio.<br />
accordarglisi pienamente, in<br />
quanto esalta i limiti dei Russell<br />
K., segnatamente dal punto<br />
di vista dell’estensione e potenza<br />
in basso o di una certa grana<br />
sugli alti, aspetti che con prodotti<br />
di maggior costo e qualità<br />
(vedi i “sempreverdi” Pass rispetto<br />
allo Yamaha), sono assai<br />
meno marcati.<br />
L’aspetto un po’ retrò nella<br />
versione legno, più audace in<br />
quella laccata con frontale rosso<br />
e corpo nero, è certamente<br />
un elemento distintivo per originalità<br />
e ha, al tempo stesso,<br />
radici ben piantate nel passato;<br />
a ben vedere riflette il carattere<br />
sonoro che se non ne fa il diffusore<br />
più corretto nel timbro,<br />
dinamicamente potente o dalla<br />
ricostruzione scenica gigantesca,<br />
ha dalla sua trasparenza<br />
e naturalezza, piacevolezza e<br />
Anche il modulo dell’impedenza del woofer evidenzia<br />
una compensazione dell’induttanza della bobina mobile<br />
con un lieve innalzamento al crescere della frequenza,<br />
comunque molto contenuto. Ciò ha favorito il costruttore<br />
nella scelta di filtri con un minor numero di componenti,<br />
in particolar modo quelli dedicati alla compensazione.<br />
Infatti, sulla linea del woofer è utilizzato un solo induttore<br />
e una rete RLC, mentre sulla linea del tweeter è applicata<br />
una cella del secondo ordine e comunque una rete RC<br />
di compensazione.<br />
L’impedenza complessiva, anche se decisamente poco<br />
lineare, non scende al di sotto dei 7 Ohm nella banda utile,<br />
ad eccezione dei circa 3 Ohm a 20 kHz e non costituisce un<br />
carico difficile da interfacciare, in considerazione di una<br />
sensibilità non eccessivamente bassa e della mancanza di<br />
partitori resistivi di attenuazione sulla linea del tweeter.<br />
definizione che non possono<br />
lasciare indifferenti e che colpiscono<br />
per una sorta di “bellezza<br />
originale”. Il prezzo, infine,<br />
considerando anche la sterlina<br />
in perenne salita sull’euro, non<br />
appare scandalosamente alto,<br />
specie se lo si confronta con<br />
quello di tanti conterranei, tra<br />
i più celebrati, tutti discendenti<br />
di quel marchio di fabbrica costituito<br />
dai progetti BBC.<br />
Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da<br />
-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed<br />
esprime la congruità della prestazione con prodotti<br />
analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.<br />
il voto della redazione<br />
Costruzione ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Impostazione economica ma con soluzioni mirate<br />
sia all’ottimizzazione che all’ottenimento di<br />
obiettivi molto precisi.<br />
banco di misura ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■<br />
La risposta è fortemente caratterizzata dagli<br />
effetti collaterali delle soluzioni adottate.<br />
Versatilità ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Buona abbinabilità con varie amplificazioni,<br />
preferibilmente quelle con adeguata potenza,<br />
e pochi limiti nel posizionamento in ambiente.<br />
Ascolto<br />
■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■ ■<br />
Una verve inaspettata per la scuola inglese che<br />
fa dimenticare qualche caratterizzazione, per<br />
altro in linea con il progetto originale.<br />
fatt. concretezza ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Valutazione riferita al personaggio più che<br />
all’azienda che muove i suoi primi passi. Tutto<br />
in divenire...<br />
qualità/prezzo ■ ■ ■ ■ ■ | ■ ■ ■<br />
Un giusto equilibrio tra echi del passato e possibilità<br />
del presente con una realizzazione che<br />
beneficia di costi di produzione ridotti.<br />
I voti sono espressi in relazione alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio. Il fattore di concretezza<br />
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del<br />
prodotto, del marchio e del distributore.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 89
selector<br />
di Carlo D’Ottavi<br />
I grandi dischi dell’età dell’oro di RCA<br />
Verso la metà degli anni<br />
Cinquanta del secolo<br />
scorso viene definita la<br />
tecnica di registrazione stereofonica<br />
che richiede, per la sua fruizione<br />
a livello domestico, l’utilizzo di<br />
sistemi ad alta fedeltà a due canali.<br />
Un sistema audio di qualità costava<br />
molto anche allora, figurarsi un<br />
sistema a due canali che richiedeva<br />
il raddoppio di amplificatori e<br />
diffusori, oltre che nuovi fonorilevatori<br />
con un diverso cavo fono!<br />
Per questo motivo i destinatari dei<br />
primi dischi stereofonici – quasi<br />
esclusivamente incisioni di musica<br />
classica e, in particolare, del<br />
genere sinfonico, che valorizzava<br />
appieno il potenziale del nuovo<br />
formato – furono pochi e benestanti<br />
appassionati dal fine palato<br />
musicale e audiofilo. Tra le case<br />
che più si distinsero in quest’epoca<br />
rientra sicuramente la RCA<br />
con i dischi della serie LSC, tutti di<br />
grande qualità artistica e sonora.<br />
Il periodo d’oro è quello che va dal<br />
1958 al 1965. La cosa buffa è che<br />
la qualità sonora di questi dischi<br />
andava ben oltre le potenzialità<br />
dei sistemi audio del tempo. Per<br />
questo motivo non vennero particolarmente<br />
apprezzati per l’aspetto<br />
strettamente audiofilo più<br />
di quanto non lo fossero altre produzioni<br />
della concorrenza meno<br />
curate. Dopo il 1965 la serie LSC<br />
esce dal catalogo RCA; la produzione<br />
di dischi di musica classica<br />
della casa americana proseguirà,<br />
spesso con i migliori artisti in circolazione,<br />
ma la qualità dei dischi,<br />
dal punto di vista delle registrazioni,<br />
andrà progressivamente calando.<br />
Una corsa al ribasso spinta<br />
dalla crescita esponenziale delle<br />
vendite di dischi 33 giri in campo<br />
pop e rock, fino a poco tempo<br />
prima legati molto più al formato<br />
45 giri. Il volume d’affari possibile<br />
con il pop si dimostra ovviamente<br />
di altre dimensioni rispetto a quello<br />
realizzabile con la classica o il<br />
jazz; per questo motivo le etichette,<br />
talvolta anche major come la<br />
RCA, adeguarono ben presto tutti<br />
i propri generi allo standard pop.<br />
Si dice che il tempo è galantuomo<br />
e forse è vero almeno per quei<br />
dischi capostipiti della stereofonia<br />
come gli RCA LSC. In piena<br />
ascesa del digitale gli appassionati<br />
analogici hanno riscoperto alcuni<br />
dischi in vinile di quella che è stata<br />
chiamata a posteriori “The Golden<br />
Age”; ormai da tempo fuori catalogo,<br />
si potevano trovare ancora<br />
in qualche scaffale di piccoli rivenditori,<br />
soprattutto negli USA<br />
e a Londra. Una volta esplosa la<br />
riscoperta, grazie anche alla rivista<br />
americana “The Absolute Sound”<br />
e il suo mentore, H. Pearson, ci fu<br />
una specie di corsa all’accaparramento,<br />
a volte compulsivo a volte<br />
dettato dal business del collezionismo,<br />
delle prime stampe originali<br />
di questi dischi, che oggi sono<br />
dunque scomparsi definitivamente<br />
dai negozi. Chi li ha o se li tiene<br />
ben stretti o li vende a carissimo<br />
prezzo, spesso anche esagerato. Se<br />
le quotazioni dei vinili originali di<br />
RCA LSC, così come quelle dei<br />
Mercury SR, li rendono praticamente<br />
intoccabili, per nostra fortuna<br />
sono intervenute negli ultimi<br />
tempo alcune piccole ditte che si<br />
sono incaricate di recuperare, là<br />
dove possibile, i nastri originali di<br />
quei dischi, per ristamparne nuovi<br />
in vinile pregiato e con copertine il<br />
più fedele possibile agli originali.<br />
Subito si è presentato il problema,<br />
prima di tutto filosofico, della<br />
fedeltà sonora delle ristampe,<br />
LSC - 1934<br />
Bartok Concerto per<br />
Orchestra<br />
Reiner/ Chicago SO<br />
tenendo anche presente le ben<br />
maggiori possibilità di riproduzione<br />
dei giradischi attuali. Le rimasterizzazioni<br />
sono qualcosa di<br />
affascinante e, specie nella musica<br />
pop, possono avere un senso laddove<br />
vi sia anche l’approvazione<br />
dell’artista, creatore dell’opera<br />
Un suono naturale e rilassante, non appariscente; aggettivo,<br />
quest’ultimo, che fa riferimento alle recensioni del disco originale,<br />
probabilmente legato a certe interpretazioni stile tour<br />
de force che alcuni direttori, anche di grande livello, hanno<br />
dato di questa pagina bartokiana, per non parlare delle registrazioni digitali ugualmente<br />
spettacolarizzate a forza. Se si ascolta questo lavoro dal vivo ci si accorgerà benissimo<br />
come non ci sia alcun bisogno di tali enfatizzazioni. Al punto che anche la ristampa AP<br />
appare molto più vicina al reale di quanto non facciano tanti presunti dischi audiophile.<br />
Il rilassante fa riferimento ai movimenti centrali nei quali dominano l’ironia e la mestizia,<br />
mentre la conclusione è letteralmente un immaginario volo sopra la pianura ungherese, con<br />
richiami alle melodie di quelle terre ormai lontane per il compositore esule in una New York<br />
e un’America mai del tutto amata (siamo nei tremendi anni Quaranta del ventesimo secolo).<br />
originale. Quando, però, si tratta<br />
di dischi così lontani, dove è assai<br />
improbabile che musicisti e compositori<br />
siano ancora vivi, l’argomento<br />
diventa ancor più delicato<br />
e arbitrario. In alcuni casi, però,<br />
ci si è potuti avvalere dei tecnici<br />
e ingegneri del suono dell’epoca<br />
per avere una testimonianza concreta<br />
sul suono reale di quelle orchestre,<br />
in quelle sale da concerto,<br />
con quegli esecutori. In tal caso è<br />
giustificato il tentativo di migliorare,<br />
senza stravolgere, il suono da<br />
trasferire su vinile, anche in virtù<br />
del superiore potenziale nella<br />
stampa, a tiratura limitata, di cui<br />
sono in grado alcune piccole ditte<br />
coinvolte in questa impresa.<br />
È certamente il caso della Analogue<br />
Productions che, tra gli altri,<br />
ha puntato da tempo le sue attenzioni<br />
proprio ai dischi RCA LSC.<br />
Della Living Stereo Classic la Analogue<br />
Productions ha nel tempo<br />
pubblicato 25 titoli che comprendono<br />
alcuni dei dischi originali più<br />
quotati. Tutta la produzione, replicata<br />
anche in SACD, fa ricorso a<br />
stampe su vinile originale da 200<br />
grammi realizzati presso la Quality<br />
Record Pressing di Salina negli<br />
USA. Si sono mantenute le qualità<br />
soniche tipiche di quei dischi,<br />
caratteristiche che distinguono<br />
piuttosto chiaramente la diversa<br />
filosofia sonora degli RCA LSC<br />
rispetto, ad esempio, alla “rivale”<br />
Mercury SR. La forza commer-<br />
90 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Amato mio LP<br />
ciale di RCA le permise in quegli<br />
anni di impiegare le migliori orchestre,<br />
grandi direttori e solisti e<br />
tecnici del suono. Se non bastasse,<br />
gli accordi con altre grandi label,<br />
come la Decca, permisero a RCA<br />
di usufruire anche di alcuni tra i<br />
più grandi ingegneri del suono<br />
come K. Wilkinson.<br />
Ma cosa hanno di speciale questi<br />
dischi RCA serie LSC? In generale<br />
sembra di assistere a un concerto<br />
dalla decima fila dell’auditorium:<br />
il suono, dunque, non è diretto,<br />
squillante e vivace come nei migliori<br />
Mercury ma, in compenso,<br />
sono ariosi, eterei e concreti allo<br />
stesso tempo. Alcuni li definiscono<br />
sensuali. Meno diretti dei<br />
Mercury, non sono comunque<br />
asettici, cercando di conquistare<br />
l’ascoltatore più con il cuore<br />
che con il cervello. Per esempio<br />
il violino solista, pensiamo ad<br />
Heifetz, Sibelius o Szeryngs nella<br />
Sinfonia Spagnola di Lalo, risulta<br />
lucido, avvolgente, fa sognare, è<br />
vivo, davvero capace di toccare<br />
tutte le corde sentimentali. In un<br />
Mercury tutto appare più diretto,<br />
corposo e scattante. Come in ogni<br />
tipica questione audiofila a volte<br />
si fa preferire l’interpretazione di<br />
LSC-2111<br />
Debussy La Mer/ Ibert Escales<br />
Munch/ Boston SO<br />
Principali elementi caratterizzanti sono la dinamica e l’ampiezza del soundstage.<br />
L’ascolto della versione AP conferma una larghezza e pienezza della scena che fa<br />
veramente scomparire i diffusori, anche da pavimento (come nel nostro caso);<br />
sono soprattutto gli archi a farsi onore con il loro timbro distintivo, occupando<br />
a tutta larghezza la sala. In fatto di dinamica Mercury faceva forse meglio ma al<br />
costo di qualche asprezza e lucidità di troppo. Se poi pensiamo che siamo nel<br />
1958, è tutto veramente impressionante.<br />
LSC-2471<br />
Rapsodie di Liszt ed Enescu<br />
Stokowsky/ RCA SO<br />
un tipo, altre volte l’altra visione,<br />
ma entrambe risultano particolarmente<br />
affascinanti e legittime.<br />
Uno dei maggiori punti di forza<br />
dei dischi RCA è nella riproduzione<br />
degli archi, dai violini ai<br />
contrabbassi. L’immagine è ampia<br />
e si estende ben al di qua dei<br />
diffusori, con un suono generale<br />
morbido ma, al contempo, nitido<br />
al punto da distinguere facilmente<br />
le varie famiglie di archi sia per<br />
timbro che per posizione sul palco.<br />
Distinzione e insieme riempiono<br />
la sala d’ascolto di vibrazioni e fremiti<br />
come poche altre volte capita<br />
di ascoltare. Fiati e percussioni<br />
mantengono quella prospettiva<br />
arretrata, proprio come dal vivo.<br />
Rispetto a quanto siamo abituati<br />
ad ascoltare nelle registrazioni più<br />
spettacolari il risultato di questa<br />
scelta tecnica si traduce in suoni<br />
meno aggressivi e in una dinamica<br />
leggermente ammorbidita.<br />
L’impatto non è dunque dei più<br />
violenti e, per esempio, la Sagra<br />
della Primavera di Stravinsky<br />
sarà più convincente ed esaltante<br />
in una registrazione digitale. Ma<br />
la correttezza timbrica e il fascino<br />
complessivo dei dischi RCA fa sì<br />
che quello che forse manca si lasci<br />
Suono incredibile per la sua maestosità: c’è<br />
apprezzamento unanime per la bellezza delle<br />
grandi ondate musicali che si riversano nella sala<br />
d’ascolto. In questo caso diciamo che la Analogue<br />
Productions ha potuto giocare facile data la bellezza del programma; l’istinto del<br />
direttore è stato quello di rendere queste pagine, specie quelle di Liszt, ancor più<br />
trascinanti, con trattenute e accelerazioni che non possono che attirare sia il neofita<br />
che l’esperto conoscitore di queste musiche. La registrazione, soprattutto, conferma<br />
le parole entusiastiche dedicate alla prima stampa originale di questo disco. C’è poi<br />
talmente tanta finezza e delicatezza nei timbri e nei suoni dei vari strumenti che mai,<br />
neppure nei passaggi più complessi, si ha l’impressione di forzature e aggressività.<br />
Una vera goduria.<br />
facilmente immaginare senza far<br />
soffrire l’ascoltatore. Tra i titoli più<br />
interessanti della serie Analogue<br />
Productions dedicati ai dischi<br />
RCA dell’età dell’oro abbiamo testato<br />
l’AAPC 1934 con Fritz Reiner<br />
alla testa della Chicago Symphony<br />
Orchestra, che eseguono il<br />
Concerto per Orchestra di Bela<br />
Bartók, l’AAPC 2111 con Munch<br />
e la Boston Symphony Orchestra,<br />
dedicato al tema del mare e con<br />
La Mer di Claude Debussy come<br />
titolo principale e, infine, l’AAPC<br />
2471 con Stokowsky e la RCA Victory<br />
Orchestra, che esegue alcune<br />
Rapsodie di Liszt ed Enesco.<br />
Come tutti gli altri dischi della serie<br />
AP si possono facilmente trovare<br />
da Sound and Music a prezzi<br />
tutto sommato ragionevoli, certo<br />
lontani dai prezzi da collezione<br />
degli originali che, in quanto tali,<br />
hanno un altissimo valore; queste<br />
ristampe, però, musicalmente<br />
parlando non sono da meno e possiedono<br />
il vantaggio della silenziosità<br />
dei dischi nuovi, fatti con le<br />
tecnologie e l’accuratezza migliori<br />
possibile, pur rispettandone le<br />
splendide caratteristiche sonore<br />
che hanno fatto grandi i dischi di<br />
quel periodo.<br />
pillole<br />
Roger Waters<br />
Amused to Death<br />
Analogue Productions – 2 LP 200 g<br />
Terzo album solista<br />
dell’anima dei Pink<br />
Floyd, l’artista ci<br />
racconta come i<br />
media, televisione<br />
in particolare, abbiano<br />
condizionato le ultime generazioni;<br />
non a caso in copertina troviamo<br />
un bambino ipnotizzato da uno<br />
schermo televisivo. È il vero<br />
successore di The Wall.<br />
Air<br />
Moon Safari<br />
Parlophone Records – 1 LP 180 g<br />
Acclamato debutto,<br />
1998, del duo<br />
electro postmoderno<br />
francese. Fu<br />
originariamente<br />
registrato su un Fostex D80 mentre<br />
gli archi furono arrangiati dalla<br />
leggenda della musica David<br />
Whitaker presso gli studi Abbey<br />
Road a Londra. Analogico nell’anima.<br />
Miles Davis<br />
Vol. 1<br />
Blue Note Records – 1 LP Mono Standard<br />
Primo di due volumi<br />
con i quali la Blue<br />
Note presentava un<br />
giovanissimo Davis<br />
accompagnato da<br />
due quintetti di spicco. Registrato tra<br />
il 1952 e il 1953, Davis reinterpreta<br />
classici in chiave Hard Bop<br />
mostrando la via ai suoi epigoni<br />
prima della svolta di Kind of Blue.<br />
Bill Evans<br />
Trio 64<br />
Verve – 1 LP Standard<br />
Evans al piano con<br />
Gary Peacock al<br />
basso e Paul Motian<br />
alla batteria.<br />
Semplice, elegante<br />
e democratico, in questo disco si<br />
trova il più grande virtuoso del piano<br />
jazz della sua generazione dialogare<br />
con i suoi compagni in un modo<br />
che avrebbe stabilito un criterio<br />
standard del jazz.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 91
selector<br />
a cura di Tito Gray de Cristoforis<br />
Lunga vita al Costanzi<br />
Con l’andata in scena della<br />
quindicesima e ultima replica<br />
de Lo schiaccianoci per la coreografia<br />
di Giuliano Peparini<br />
(nella foto) si abbatte un record<br />
assoluto per le produzioni<br />
di balletto nella storia del<br />
Teatro dell’Opera di Roma. La<br />
produzione, infatti, ha segnato<br />
il tutto esaurito dalla prima<br />
all’ultima rappresentazione,<br />
nessuna esclusa, con oltre<br />
900.000 euro di incasso e più<br />
di 20.000 spettatori. Secondo<br />
il Sovrintendente Carlo Fuortes<br />
“Il nuovo allestimento de<br />
Lo schiaccianoci è stata una<br />
scommessa che il Teatro ha<br />
vinto. La forza di questa produzione<br />
è nella pluralità stilistica<br />
e la grande capacità di<br />
parlare a pubblici diversi, incuriosire<br />
e portare in sala i più<br />
giovani. Il Teatro crede nella<br />
danza, nel suo Corpo di Ballo e<br />
nel suo futuro. Per questo vorrei<br />
ringraziare la Direttrice<br />
Eleonora Abbagnato, i Primi<br />
Ballerini, i Solisti e il Corpo di<br />
Ballo per il grande impegno e<br />
il lavoro che stanno facendo”.<br />
L’Orchestra, i Primi Ballerini,<br />
i Solisti e il Corpo di Ballo del<br />
Teatro dell’Opera di Roma<br />
possono andare fieri di questo<br />
successo; il teatro, come è<br />
facile ricordare pensando solo<br />
a quello che succedeva un anno<br />
fa, è un organismo fragile, ancora<br />
convalescente. Questa<br />
produzione potrebbe segnare<br />
una svolta nel rapporto fra il<br />
Costanzi e Roma.<br />
Va detto che le condizioni erano<br />
sicuramente favorevoli: Lo<br />
schiacchianoci è una scelta tipica<br />
– e particolarmente poco<br />
originale – per il periodo natalizio.<br />
Inoltre la partecipazione<br />
di un coreografo di fama internazionale<br />
come Peparini e di<br />
uno dei più importanti direttori<br />
per balletto, David Coleman,<br />
avrà sicuramente attirato<br />
il pubblico straniero presente<br />
a Roma in occasione del giubileo.<br />
Ma quali che siano i motivi<br />
del successo di questa produzione<br />
il risultato non cambia: il<br />
Costanzi non è morto, è ancora<br />
in grado di dare un servizio<br />
alla città e di farlo al meglio. Il<br />
prossimo appuntamento della<br />
Stagione di Balletto 2015 - 16<br />
Giuliano Peparini<br />
del Teatro dell’Opera di Roma<br />
è con Grandi Coreografi: Balanchine,<br />
Millepied, Forsythe,<br />
Nureyev dal 26 febbraio al 2<br />
marzo 2016.<br />
Minore delle maggiori o<br />
maggiore delle minori?<br />
Les pêcheurs de perles (I pescatori<br />
di perle), opera lirica in tre<br />
atti di Georges Bizet su un libret-<br />
92<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Secondo noi la classica<br />
to di Michel Carré ed Eugène<br />
Cormon, non è certo uno degli<br />
spettacoli più frequenti sui cartelloni<br />
dei grandi teatri. L’Opera<br />
di Firenze non si è lasciata scoraggiare<br />
dalla tiepida reputazione<br />
dell’opera francese e ha deciso<br />
di rappresentarla dal 24 al 28<br />
febbraio, in un allestimento del<br />
Teatro Verdi di Trieste.<br />
I pescatori di perle non gode<br />
certo della fama delle sue sorelle<br />
maggiori (Carmen e L’Arlesienne)<br />
ma, pur non essendo<br />
considerata uno dei capolavori<br />
di Bizet, è un’opera dall’indubbio<br />
valore artistico; il libretto,<br />
ambientato a Ceylon, fu proposto<br />
a Bizet da Léon Carvalho,<br />
impresario dell’indipendente<br />
Théâtre Lyrique di Parigi, nel<br />
1862. Nonostante l’intreccio<br />
fosse male architettato e i<br />
versi del libretto non fossero<br />
di grande qualità il compositore<br />
accettò l’incarico e, il 30<br />
settembre dell’anno successivo,<br />
l’opera andò in scena nel<br />
teatro di Carvalho, riscuotendo<br />
un buon successo. La<br />
critica parigina commentò<br />
positivamente la prima de Les<br />
pêcheurs de perles sebbene<br />
diverse testate insinuarono<br />
che in sala ci fosse una nutrita<br />
claque piazzata strategicamente<br />
in platea dallo stesso<br />
Bizet, e che le chiamate sul<br />
palco al compositore non fossero<br />
affatto genuine ma merito<br />
esclusivo della partigianeria<br />
che si era portato appresso. Ad<br />
ogni modo, l’opera rimase in<br />
cartellone al Théâtre Lyrique<br />
con 18 rappresentazioni fino<br />
al 1863; dopodiché non venne<br />
più rappresentata fino a quando,<br />
nel 1886, dopo la morte di<br />
Bizet, non ci fu la prima esecuzione<br />
italiana alla Scala. Da<br />
allora Les pêcheurs de perles<br />
entrò a far parte del repertorio,<br />
seguendo più in piccolo lo<br />
stesso destino della Carmen e<br />
venendo spesso rappresentata<br />
nella traduzione italiana e con<br />
un gran finale composto per la<br />
versione scaligera. A Firenze<br />
va in scena il testo originale di<br />
Bizet con l’Orchestra e il Coro<br />
del Maggio Musicale Fiorentino<br />
e un cast internazionale che<br />
comprende Eva Mei e Ekaterina<br />
Sadovnikova nel ruolo di<br />
Leïla, la protagonista femminile,<br />
Francesco Demuro e Jesus<br />
Il tempo è galatuomo?<br />
È una delle più famose violiniste europee,<br />
un’interprete poliedrica il cui<br />
repertorio spazia dal barocco al pieno<br />
Novecento. È stata anche la protagonista<br />
di un famoso caso editoriale quando,<br />
nel 2005, i download da iTunes del<br />
suo primo disco – contenente le Quattro<br />
Stagioni di Vivaldi – superarono di<br />
gran lunga tutti i record di ascolti per<br />
un disco di una semisconosciuta violinista<br />
classica. È Janine Jansen, e suona<br />
uno Stradivari Barrere del 1727.<br />
La giovane violinista olandese, che ha<br />
un contratto in esclusiva con la Decca,<br />
pubblica ora il suo nuovo disco, contenente<br />
il Concerto per violino op. 77 di<br />
Brahms e il Concerto per violino e orchestra<br />
n. 1 di Bartòk, due fra le più importanti<br />
pagine della musica per violino.<br />
In particolare, il Concerto di Brahms è<br />
sempre stato una pietra di paragone<br />
per i violinisti che intendono praticare<br />
il grande repertorio; scritto nel 1878, il<br />
Concerto venne dedicato da Brahms al<br />
grande violinista Joseph Joachim, che<br />
aiutò il compositore nella stesura della<br />
parte di violino e che fu l’interprete della<br />
prima esecuzione a Lipsia nel 1879. Il<br />
concerto di Brahms nacque con la precisa<br />
intenzione di essere un punto di<br />
svolta nella scrittura violinistica, sino a<br />
quel momento dominata dal concerto<br />
di Beethoven; l’autore si rivolse a Joachim<br />
durante la stesura dell’opera per<br />
avere i suoi autorevoli pareri in materia<br />
strumentale. Lo sforzo congiunto<br />
dei due portò alla creazione di questo<br />
concerto che, sebbene fosse stato giudicato<br />
tecnicamente ineseguibile per<br />
un violinista vivente, divenne subito<br />
un pezzo di fondamentale riferimento<br />
per il violinismo romantico.<br />
Ben diverso dalla profonda intesa artistica<br />
che legò Brahms a Joachim fu il<br />
rapporto fra Bartók e Stefi Geyer, la dedicataria<br />
del secondo concerto per violino<br />
del compositore ungherese. Nel<br />
1908 Bartók, profondamente innamorato<br />
della Geyer, le consegnò l’opera in<br />
segno del suo affetto; tuttavia la Geyer,<br />
non ricambiando il sentimento del<br />
compositore, rifiutò la partitura, che<br />
restò chiusa in un cassetto sino a molti<br />
anni dopo la morte di Bartók, avvenuta<br />
nel 1945. Il concerto fu pubblicato col<br />
nome di Concerto per violino e orchestra<br />
n. 1 op. postuma solo nel 1959,<br />
sebbene fosse stato riesumato per la<br />
prima esecuzione l’anno precedente.<br />
Strutturato in forma di rapsodia in due<br />
movimenti (lento – veloce), il concerto<br />
Leon come Nadir e Luca Grassi<br />
e Stefano Antonucci come Zurga,<br />
i protagonisti maschili; dirige<br />
Ryan McAdams.<br />
è presto diventato un passo obbligato<br />
per comprendere l’opera di Bartók<br />
e in generale il solismo nel Novecento<br />
storico, soprattutto dopo la prima storica<br />
incisione a opera di David Oistrakh.<br />
Il tempo, i gusti e la fama separano<br />
talmente la Jansen da Oistrakh che un<br />
confronto fra le due esecuzioni non sarebbe<br />
possibile neanche volendo.<br />
Certo è che la violinista olandese ci<br />
regala una pagina godibilissima, in<br />
cui il dialogo fra il solista e l’orchestra<br />
è reso possibile anche dall’Orchestra<br />
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia<br />
e dalla London Symphony Orchestra<br />
dirette da Antonio Pappano, che la<br />
accompagnano passo passo nella sua<br />
personale ricerca sonora su queste due<br />
grandi pagine.
selector<br />
di Bruno Re<br />
La musica si ascolta…<br />
ma si vede anche!<br />
La possibilità di vedere le interpretazioni dal vivo dà nuove emozioni, amplifica l’ascolto, si traduce<br />
in un modo per condividere quella meravigliosa esperienza che si chiama “suonare”.<br />
Il discorso è valido per la musica da camera, certo, ma soprattutto per i grandi complessi orchestrali: poter vedere gli input che un direttore<br />
riesce a trasmettere a tutta l’orchestra è, a mio avviso, impagabile! Le performance di una grande orchestra, soprattutto se famosa e quindi<br />
con un carnet di impegni nutritissimo, sono nella maggior parte dei casi molto “routinières”: considerate che a fronte di un’ora e mezza/due di<br />
concerto (media per tutte le formazioni, con poche eccezioni), il direttore ha a disposizione mediamente quindici ore di prove, se va bene. Davvero<br />
pochine se si vuole lavorare di fino. In una mia passata intervista il violoncellista responsabile dei celeberrimi Wiener Philharmoniker mi ha candidamente<br />
confessato: “In orchestra siamo tanti, il direttore è uno. Secondo lei chi vince tra i due?”. Capirete, quindi, di quale statura musicale un<br />
direttore abbia bisogno per imporre la sua visione (interpretazione) della musica. È per questo che abbiamo deciso di presentarvi per primo Sir Roger<br />
Norrington, direttore che fa storcere la bocca a molti ma che, se visto a lavoro, lascia a bocca aperta. Avremo modo di spiegarvi il perché in seguito...<br />
I vantaggi dei video live non si esauriscono qui. Le registrazioni discografiche di molti blasonati solisti non sono certo esenti dai famigerati<br />
“tagli”; col digitale, oggi, tutto è possibile, o quasi. Due notine fuori posto? Niente paura, una paio di “francobolli” appiccicati ad arte dei<br />
maghi dell’editing risolvono tutti i problemi. Live è invece sinonimo di risultati reali, privi di artifizi, senza possibilità di replicare quanto<br />
fatto. Onore al merito di chi supera la prova proponendo risultati di grande rilievo. Intendiamoci: non ci si deve mettere a cercare il pelo<br />
nell’uovo con la lente di ingrandimento. Questo è il metodo più sbagliato che si possa immaginare per approcciarsi a un’interpretazione. Si<br />
deve ricercare la coerenza del discorso musicale, lo svolgimento della frase, la presentazione al pubblico del materiale musicale. Anche io<br />
posso declamare una poesia in pubblico in un italiano “pulito” e senza sbagliare la pronuncia nonostante le mie orgogliosamente vantate<br />
ascendenze romane. Di certo, però, il mio risultato sarà di gran lunga inferiore (e voglio essere ottimista!) a quello di un Albertazzi o di un<br />
Foà. Come vedete il discorso è un po’ complesso. Non vi preoccupate, lo riprenderemo in seguito...<br />
ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE<br />
BEETHOVEN<br />
https://www.youtube.com/watch?v=MRyzOVLq2BE<br />
La Primavera<br />
Isabelle Faust, Alexander Melnikov<br />
Durata 23 m 06 s<br />
Siamo di fronte a un CD premiato dalla rivista francese “Diapason”<br />
con il Diapason d’or nel 2012. A un primo ascolto si rimane incantati<br />
dalla coerenza del discorso musicale, dai dettagli perfetti. Chapeau!<br />
Non è facile sentire tanta sensibilità da parte di strumenti moderni!<br />
Perché, ovviamente, qui non siamo di fronte a un’esecuzione “filologica”. Il timbro del pianoforte parla con accento Steinway o Boesendorfer, quello del violino parla di corde<br />
in metallo nonostante sia un autentico Stradivari (ovviamente montato alla moderna). Non siamo certo di fronte a quegli strumenti di “transizione” (montati originali o copie<br />
che dir si voglia) che queste pagine richiederebbero. Ma quanta grazia, quanta sapienza nel dosare il suono! Raro sentire dei veri “piano” con strumenti moderni: oggi tutti<br />
tendono a strillare a più non posso, alla faccia della musica che hanno davanti sul leggio! E la celeberrima sonata beethoveniana è un capolavoro di detto e non detto, di mezze<br />
tinte e chiaroscuri che solo i più raffinati sanno cogliere. Proprio come la stagione foriera dell’esplosione estiva che dà il titolo a questa meravigliosa sonata. Ovviamente i<br />
miei colleghi “puristi della filologia” troveranno qualche dettaglio fuori posto in questa lettura, soprattutto negli ultimi due movimenti. Non date retta, loro di certo non sanno<br />
fare di meglio. Ancora tanto di cappello di fronte a questi due giovani artisti che incantano con la loro poesia. E cos’è la Musica se non Poesia?<br />
94 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Secondo noi la classica<br />
HAYDN<br />
https://www.youtube.com/watch?v=GR5F0nAYFXU<br />
Le Stagioni<br />
Solisti di canto: Haydn Society of Boston dir: Norrington<br />
Durata 2h 35m 53s<br />
Sontuosa produzione targata BBC Proms, Oedipus Coloneus.<br />
Video realizzato in occasione di un concerto pubblico tenuto<br />
in una grande sala non specificata nelle note di copertina. Una<br />
produzione che certo non ha lesinato sulla massa orchestrale<br />
e corale, sui solisti e sul direttore. Le Stagioni è un Oratorio profano concepito da Haydn negli ultimi anni della sua attività, sul solco dei grandi Oratori haendeliani.<br />
Ricordo che, dopo la musica di Palestrina salvaguardata dalla Santa Romana Chiesa, il Messiah è stata la prima opera a essere stata regolarmente<br />
eseguita per tutto il Settecento, anche dopo la morte dell’autore. A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento la musica apprezzata era ancora solamente quella<br />
contemporanea (le beffe del destino!); la riscoperta della musica antica avverrà buoni trent’anni più tardi. È quindi evidente che il vecchio Haydn, che nella sua<br />
lunga vita aveva già sperimentato tutti i generi musicali, sia stato irresistibilmente attratto dall’Oratorio: grandiosi affreschi uniti da un filo rosso (una storia,<br />
un argomento, sacro o profano che sia) che si dipanano tra ampie pagine orchestrali, recitativi e arie accompagnate per lo più dall’orchestra. Un’attendibile<br />
ricostruzione storica degli Oratori di Haydn pone oggettivi problemi di strumentazione: strumenti barocchi o moderni? Qui i bostoniani mettono in campo<br />
quanto di meglio la ricerca organologica ha scoperto fino ad ora: corni naturali, oboi, clarinetti e fagotti “di transizione” (con poche chiavi), oltre all’immancabile<br />
fortepiano, accordatura con il la = 430 Hz.<br />
Dopo i dettagli mi sembra doveroso passare al vero protagonista, Sir Roger Norrington. Il baronetto è passato all’onore delle cronache per la sua integrale delle<br />
Sinfonie beethoveniane, eseguite rispettando i metronomi originali (il metronomo fu brevettato da Mälzel nel 1816). Un’operazione niente affatto gradita dalla<br />
maggior parte dei nostri contemporanei, direttori o meno. Tempi troppo veloci rispetto a quelli ai quali siamo abituati (sic!). Ma li ha scritti lo stesso Beethoven,<br />
di suo pugno, e lui il metronomo l’aveva appena conosciuto e apprezzato! Avremo modo di parlare di questo nei prossimi numeri. Per farla breve, Norrington<br />
ha approfittato di questa esperienza per presentare uno stile di direzione molto essenziale, quasi minimalista. Non gesticola come un forsennato neanche nei<br />
passaggi più veloci, triste spettacolo al quale ci hanno abituato troppi direttori, ma scandisce serafico il “tactus”, la pulsazione base del ritmo, come si conviene<br />
a questa musica. Non dubitate, chi suona in orchestra sa benissimo come andare a tempo anche senza un mulino a vento davanti e i bostoniani sono svegli e<br />
raffinati. Il risultato è sorprendete: una frase fluida, scorrevole, che accarezza le orecchie. Godetevi, ad esempio, lo splendo ternario (in realtà è un tempo composto,<br />
ma non voglio andare sul difficile... ) che inizia circa a 1h 58 m: pura libidine! Bravissimi tutti, coro e orchestra, ma soprattutto guardate lui, Norrington.<br />
Gesti essenziali, calati nella musica, che farebbero danzare anche le sedie della vostra cucina! La prestazione davvero eccellente dei cantanti solisti è la ciliegina<br />
sulla torta che rende piena giustizia a questo sublime capolavoro haydniano. Provare per credere! Per quanti non lo conoscono sarà un’esperienza davvero<br />
entusiasmante!<br />
SCHUBERT<br />
https://www.youtube.com/watch?v=O52r9_bXWBw<br />
Ottetto<br />
Janine Jansen “e i suoi amici”<br />
Durata 1h 06m 13s<br />
Quando i Conti erano anche mecenati oltre che “nobili amatori”<br />
della musica! Correva l’anno 1824 e il Conte Ferdinand<br />
Troyer, clarinettista “amatore”, commissionò a Schubert questo<br />
Ottetto (quintetto d’archi con contrabbasso, clarinetto, fagotto<br />
e corno). Lo scopo evidente era quello di avere buona musica da suonare con i suoi amici mantenendo un ruolo di primo piano. La struttura è molto classica:<br />
gli archi sono contrapposti ai fiati, tra i quali il clarinetto ha una parte di notevole rilievo. Risultato: una piccola orchestra da camera, assai gestibile e in grado<br />
di proporre risultati musicali più che piacevoli, nella quale i due gruppi strumentali dialogano amenamente tra di loro guidati per lo più dalle loro prime parti,<br />
primo violino e clarinetto, per l’appunto. Le grandi dimensioni di questo lavoro schubertiano (guardate il minutaggio, decisamente inusuale per un lavoro<br />
cameristico) sono ampiamente giustificate dai suoi contenuti: sei ampi movimenti che propongono tutta la tavolozza di colori ed emozioni che faceva vibrare<br />
la gaudente Vienna del primo ’800.<br />
Decisamente di ottimo livello questa ripresa live della Avrotros Klassiek ambientata in un concerto dal vivo del Festival di Utrecht di quest’anno. Sulla scena<br />
troviamo Janine Jansen “e i suoi amici” (sic!). La Jansen è una violinista olandese emergente che ha già mietuto successi come solista sui più prestigiosi palcoscenici<br />
del mondo con importanti orchestre e direttori, ma che ama molto il repertorio cameristico. Onore al merito! È nella musica da camera, ben più che<br />
nei grandi lavori con orchestra, che si apprezzano le doti di raffinatezza musicale e di eleganza dello stile. E qui la Jansen non si risparmia, incantandoci con la<br />
sua bravura di camerista e di concertatrice. Di pari livello i suoi “amici”, anch’essi veri virtuosi dei loro strumenti oltre che ottimi musicisti. L’intesa è eccellente,<br />
come confermato dagli sguardi che l’intelligente regia coglie spesso, e la musica scorre via veloce con un fraseggio agile e raffinato. Davvero un bel concerto!<br />
La ripresa del suono è multi-microfonica (come si può ben constatare dal video) ma molto equilibrata e naturale.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 95
selector<br />
di Tito Gray de Cristoforis<br />
Un baule e il suo quartetto<br />
Il 22 giugno 1943 la giovane Elisa Pegreffi, dopo aver terminato gli studi all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, salì su<br />
un treno alla stazione Termini per tornare a casa, a Novellara. Portava con sé un baule che, probabilmente, conteneva<br />
tutti i suoi effetti personali che andavano portati via dalla capitale. Dovevano stare, come la loro proprietaria, al sicuro.<br />
Elisa Pegreffi, secondo<br />
violino del Quartetto<br />
Italiano e moglie di<br />
Paolo Borciani, è morta a Milano<br />
agli inizi di questo nuovo<br />
anno; aveva alle spalle 93 anni<br />
di età e una delle più strabilianti<br />
carriere nella musica da<br />
camera della storia del nostro<br />
Paese. Nata il 10 giugno 1922<br />
a Genova, Elisa Pegreffi incontra<br />
Paolo Borciani all’Accademia<br />
Chigiana di Siena nel<br />
’42; insieme a Franco Rossi e<br />
a Lionello Forzanti cominciano<br />
a studiare il Quartetto di<br />
Debussy, che resterà per sempre<br />
il loro cavallo di battaglia.<br />
Con l’armistizio i quattro sono<br />
costretti a separarsi – chi sui<br />
monti e chi sfollato, come Elisa<br />
– ma, appena finita la guerra,<br />
si cercano per tornare a suonare<br />
insieme. Così nell’estate<br />
del 1945 si trovano a casa di<br />
Borciani, a Reggio Emilia, e<br />
iniziano ad accordarsi: il primo<br />
concerto del Quartetto Italiano<br />
si tiene a Carpi in quello<br />
stesso anno. Il lavoro di ricerca<br />
del Quartetto prosegue a ritmi<br />
serratissimi, anche dopo che<br />
Forzanti lascia il gruppo nel<br />
’47 e viene sostituito da Piero<br />
Farulli. I quattro raggiungono<br />
un’intesa musicale che nessun<br />
altro gruppo aveva mai toccato<br />
in Italia. Diventano, insomma,<br />
una famiglia, una famiglia di<br />
quelle in cui si litiga, si hanno<br />
idee diverse e discussioni accese,<br />
ma sempre una famiglia...<br />
Poi Pegreffi e Borciani mettono<br />
letteralmente su una famiglia,<br />
sposandosi nel gennaio<br />
del ’53; in quello stesso anno<br />
nasce Mario. Nonostante le<br />
difficoltà per tenere unito il<br />
Quartetto, continuano a suonare:<br />
è il piacere di suonare<br />
insieme, derivato dalla consapevolezza<br />
che farlo con le persone<br />
che si ama apre la porta<br />
a un’intimità altrimenti inaccessibile,<br />
a spingerli a perseguire<br />
quella strada che pochi,<br />
forse nessuno, aveva mai intrapreso<br />
in Italia. L’amore per<br />
quella famiglia, per quella musica,<br />
non finisce col Quartetto,<br />
sciolto nel 1980. Elisa e Paolo<br />
hanno conservato tutto il loro<br />
amore e tutta la loro musica,<br />
e l’hanno consegnata a coloro<br />
che li hanno conosciuti, che li<br />
hanno ascoltati, che a loro si<br />
sono ispirati.<br />
Il baule della giovane violinista<br />
oggi è al sicuro, ed è riempito<br />
da quanto di più prezioso Elisa<br />
avesse mai avuto. Il vecchio<br />
baule della nonna Lisa è diventato<br />
un oggetto di scena, il più<br />
amato dalla compagnia di famiglia<br />
Borciani, e contiene la<br />
sua famiglia, suo figlio Mario,<br />
i suoi nipoti e tutta quella tribù<br />
di musicisti, cantanti e attori<br />
che è germinata dalla vita di<br />
Elisa Pegreffi e di suo marito, e<br />
che farà musica e teatro insieme<br />
ancora per molti anni.<br />
96 <strong>SUONO</strong> settembre 2014
selector<br />
a cura di Daniele Camerlengo<br />
Se son rose…<br />
Sono sicuro che questo nuovo<br />
anno da poco iniziato porterà<br />
numerosi piaceri musicali,<br />
scoperte straordinarie di interpreti<br />
e formazioni, nuovi<br />
luoghi e spazi dove fruire il<br />
jazz ma soprattutto ci invita<br />
a impegnarci nella promozione<br />
e nella diffusione di questo<br />
linguaggio a noi caro cercando<br />
di sostenerlo in ogni modo<br />
e di trasferire alle nuove generazioni<br />
quel fuoco che brucia<br />
dentro noi, ci cambia e rende<br />
migliore la qualità del vivere su<br />
questo nostro martoriato pianeta.<br />
Lodevole l’iniziativa della<br />
selezione nazionale per una<br />
residenza destinata a giovani<br />
jazzisti di età compresa tra 18<br />
e 30 anni da trascorrere presso<br />
l’ambasciata d’Italia a Copenaghen<br />
nel periodo 15 giugno –<br />
15 settembre 2016, nata dalla<br />
collaborazione tra Ambasciata<br />
d’Italia, IIC – Istituto italiano<br />
di Cultura e MIDJ – Associazione<br />
Nazionale di Musicisti di<br />
Jazz, per motivare i giovani<br />
jazzisti italiani verso la realtà<br />
e la scena internazionale<br />
grazie a un processo di scambio<br />
e a un percorso di crescita<br />
professionale e umana. Potete<br />
trovare maggiori info sulle attività<br />
dell’Associazione MIDJ<br />
cliccando questo indirizzo web:<br />
www.musicisti-jazz.it. Qualcuno<br />
direbbe chi ben comincia…<br />
Ospite della rubrica lo scrittore,<br />
critico, insegnante e pianista<br />
jazz Sergio Pasquandrea.<br />
Da oltre dieci anni si occupa di<br />
critica musicale per la rivista<br />
“Jazzit”. Ha collaborato anche<br />
con il “Giornale della musica”,<br />
“Jam Session”(magazine<br />
pubblicato dalla Sidma) e con<br />
i blog “Nazione Indiana”, “La<br />
poesia e lo spirito”, “Jazz nel<br />
pomeriggio”e “World Social<br />
Forum”.<br />
Daniele Camerlengo<br />
Josh Shpak<br />
Astatic<br />
Interrobang Records<br />
Josh Shpak<br />
Cromoestatica<br />
Il futuro è nei gesti e nelle intenzioni<br />
di chi lo sa ascoltare, riempie<br />
i polmoni, stimola l’audacia<br />
compositiva e guida le dinamiche<br />
creative lungo un percorso sconosciuto<br />
ai molti ma che porta a una<br />
destinazione di sublime piacere.<br />
Un debutto che scorre veloce e<br />
sintetizza una saggezza e una<br />
brillantezza che rendono Josh<br />
Shpak un predestinato. Astatic,<br />
licenziato dalla bostoniana Interrobang<br />
Records, è il suo Ep di debutto<br />
e lo ha realizzato mettendo<br />
assieme un collettivo di giovani<br />
talenti che hanno saputo integrare<br />
le loro visioni musicali realizzando<br />
un poderoso intero/sonoro<br />
che vive nella bellezza del cangiante<br />
domani. Le costruzioni<br />
ritmiche di Aaron Liao e Patrick<br />
Simard sono di inaudita<br />
intensità, soggiogano le geniali<br />
sonorità elettroniche ed esaltano<br />
il suono originale e melodico della<br />
tromba di Shpak. Il jazz è spinto<br />
al limiti del proprio potenziale comunicativo<br />
e vive nel complesso<br />
dinamismo degli arrangiamenti.<br />
La copertina realizzata dall’artista<br />
Leigh McCloskey e il<br />
feedback immaginifico delle sei<br />
tracce, favorito dal contributo della<br />
sezione d’archi e dell’armonica<br />
di Roni Eytan,dona meraviglia a<br />
tutto il lavoro discografico.<br />
Felice Clemente & Javier Pérez Forte<br />
songs<br />
Daniele Camerlengo<br />
1 Lazarus<br />
David Bowie<br />
2016<br />
2 Gaïa<br />
Lionel Loueke<br />
2015<br />
3 Tyrannis<br />
No BS! Brass Band<br />
2015<br />
4 I Hate<br />
Luca Nostro Quintet<br />
2015<br />
5 3+2<br />
Sam Sadigursky<br />
2015<br />
6 Quiso<br />
Kenny Wheeler &<br />
John Taylor<br />
2015<br />
7 Novelho<br />
Clare Fischer<br />
2015<br />
8 Proximity<br />
Enrico Pieranunzi<br />
2015<br />
9 The Stalker<br />
Mauro Gioia<br />
2015<br />
10 Push<br />
Roxy Coss<br />
2016<br />
11 The Seeker<br />
David Gilmore<br />
2015<br />
12 Up!<br />
Mack Avenue<br />
SuperBand<br />
2016<br />
13 Farewell<br />
Lucian Ban &<br />
Elevation<br />
2016<br />
14 Soul Provider<br />
Brian Andres & The<br />
Afro-Cuban Jazz<br />
Cartel<br />
2013<br />
15 Enfant<br />
John Zorn<br />
1988<br />
Camminare in versi<br />
Testimoniare un legame di<br />
amicizia fraterna attraverso le<br />
coloriture musicali di due ricchezze<br />
artistiche e strumentali<br />
porta con sé un fascino e una<br />
gioia difficili da descrivere. Dieci<br />
anni di intese, di fusioni sonore,<br />
98 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Esperienze in jazz<br />
di poesia d’anima e di melodie<br />
femminee. Il chitarrista Felice<br />
Clemente e il sassofonista/<br />
clarinettista Javier Pérez Forte<br />
hanno voluto celebrare questo<br />
tempo assieme con Evoluciòn,<br />
la loro terza uscita discografica<br />
edita dalla etichetta Crocevia<br />
di Suoni Records. Un disco che<br />
racconta ciò che li ha avvicinati e<br />
come durante il loro percorso di<br />
suoni siano riusciti a identificare<br />
e prendersi cura di uno spazio<br />
di musica dove stili e linguaggi<br />
cercano di abbellirsi vicendevolmente,<br />
dove la scoperta di nuove<br />
possibilità creative rende il loro<br />
camminamento in versi piacevole<br />
e duraturo. Intensità e dialogo<br />
emozionale fanno sì che l’ascolto<br />
delle nove tracce sia uno straordinario<br />
e avvincente respiro<br />
di vite in equilibrio tra ciò che<br />
è stato e l’inaspettato abbraccio<br />
della scoperta.<br />
Battling Siki<br />
suite FOR Battling SIKI<br />
Gaya Music<br />
Piombo e guantoni ribelli<br />
Momenti di vita travagliata che<br />
attraversano il Vecchio Continente<br />
e portano con sé sangue<br />
e speranze; il protagonista di<br />
questo precario nomadismo<br />
è Battling Siki, esponente<br />
della storia della boxe mondiale,<br />
e il contrabbassista Mauro<br />
Gargano ha voluto raccontarlo<br />
con l’album Suite for Battling<br />
Siki, attraverso preziosi suoni e<br />
voluttuosi costrutti compositivi<br />
che provengono dalla sua “voce<br />
di dentro”, quella consapevole<br />
di cosa voglia dire abbracciare e<br />
portare avanti la missione dura<br />
del boxeur. Il Jazz veste i panni<br />
del narratore e lo fa mostrando<br />
tutta la sua cangiante bellezza.<br />
Le fasi salienti della vita del pugile<br />
senegalese vengono scandite<br />
dalle immagini melodiche<br />
e dalle sferzanti idee ritmiche<br />
di una formazione (Jason Palmer<br />
tromba, Ricardo Izquierdo<br />
sax tenore e contralto, Manu<br />
Codjia chitarra, Bojan Z piano<br />
e fender rhodes, Jeff Ballard<br />
batteria) che oltre a mettere su<br />
musica edifica geniali maschere<br />
noir, diversificando i respiri e le<br />
aspettative dei round, grazie anche<br />
alle voci recitanti di Adama<br />
Mauro Gargano<br />
Adepoju e Frederic Pierrot che<br />
fanno rivivere i frammenti di<br />
conversazione in cui l’allenatore<br />
motiva e sprona il suo pugile alla<br />
vittoria finale.<br />
Frutto dell’ispirazione<br />
Da poco ho fatto delle ristrutturazioni<br />
in casa e i lavori hanno<br />
interessato anche la stanza che<br />
uso come studio. E che ci azzecca?,<br />
direte voi. Ci azzecca perché<br />
ho dovuto spostare i dichi,<br />
inscatolarli e poi rimetterli a<br />
posto a lavori conclusi. Ne ho<br />
dunque approfittato per fare<br />
una cernita e dare una bella<br />
sistemata. E ho pensato che il<br />
lavoro del critico musicale ha<br />
i suoi indubbi pro. Il principale<br />
è che si viene in contatto con<br />
tanti musicisti, si entra ai concerti<br />
gratis e si ascolta, sempre<br />
gratis, tanta bellissima musica.<br />
Il contro è che di musica<br />
bellissima, o anche solo bella,<br />
ce n’è tanta, ma proprio tanta:<br />
talmente tanta da riuscire soverchiante.<br />
Per inciso: il jazz<br />
non è affatto in crisi. Anzi, se<br />
una crisi c’è, è una crisi di sovrapproduzione.<br />
C’è molta più<br />
musica – e intendo: buona musica,<br />
spesso ottima musica – di<br />
quanta persino un ascoltatore<br />
professionale come me riesca<br />
a gestire. Figuriamoci il pubblico<br />
di semplici appassionati.<br />
Risultato: la maggior parte di<br />
quella musica passa ignorata.<br />
Non so bene quale possa essere<br />
la soluzione ma il problema<br />
c’è, e secondo me è grave.<br />
Comunque, tutto ciò per dire<br />
che capita, come è capitato a<br />
me, che rimettendo in ordine<br />
gli scaffali ci si imbatta in una<br />
pila di CD dei quali si era rimossa<br />
l’esistenza. Sono i dischi<br />
arrivati, ascoltati magari una<br />
volta (certe volte – lo ammetto<br />
– mezza volta) e messi da parte<br />
perché mi parevano meritevoli<br />
di maggior attenzione. Sono i<br />
buoni propositi, quelli che “appena<br />
ho un attimo lo ascolto<br />
meglio”. A volte l’attimo diventa<br />
settimane, mesi. A volte, sad<br />
but true, anni. Lo so, non è bello<br />
da ammettere, ma per quanto<br />
mi riguarda è un problema di<br />
coscienza. Un disco è frutto di<br />
studio e impegno: i musicisti<br />
hanno impiegato ore per registrarlo,<br />
settimane per le prove,<br />
mesi per trovare lo studio e il<br />
produttore, anni per sviluppare<br />
le proprie abilità e raggiungere<br />
un livello professionale. Liquidare<br />
tutto ciò con un ascolto<br />
distratto mi pare ingiusto. Bisogna<br />
riflettere, riascoltare,<br />
ripensare. E serve tempo, che<br />
spesso non ho. Dunque, quando<br />
l’amico Daniele Camerlengo mi<br />
ha proposto di scrivere questo<br />
pezzo, ho pensato: ecco, è il<br />
momento di rimettere mano a<br />
quella pila ed espiare, almeno<br />
in parte, la dimenticanza. I tre<br />
dischi che seguono non sono<br />
affatto “i migliori”, ammesso<br />
che una simile classifica abbia<br />
senso. Sono semplicemente<br />
quelli che, in quel particolare<br />
momento, mi hanno più ispirato<br />
a scriverne.A posteriori mi<br />
sono reso conto di aver scelto<br />
tre dischi che sono parecchio<br />
distanti da ciò che comunemente<br />
si intende per “jazz” ma<br />
non fraintendiamoci: adoro il<br />
jazz, amo alla follia l’hardbop<br />
e mi piace la musica che mi fa<br />
schioccare le dita e battere il<br />
piede. Però ci sono più cose in<br />
terra (lasciamo perdere il cielo)<br />
di quante possa vederne chi tira<br />
su uno steccato e decide che da<br />
questa parte c’è il jazz, dall’altra<br />
i barbari. Da buon agnostico,<br />
sono convinto che le certezze<br />
assolute somiglino pericolosamente<br />
ai paraocchi. E io, invece,<br />
preferisco avere il campo visivo<br />
il più sgombro possibile.<br />
Sergio Pasquandrea<br />
Dino Betti Van Der Noot<br />
Notes Are But Wind<br />
Stradivarius<br />
Risolvete l’enigma<br />
Cominciamo da Dino Betti<br />
Van Der Noot e dal suo Notes<br />
Are But Wind e cominciamo con<br />
il dire che Dino Betti Van Der<br />
Noot rimane per me un enigma.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 99
selector<br />
O meglio, rimane un enigma<br />
come un compositore (compositore<br />
puro, ossia non strumentista:<br />
già per questo una mosca<br />
bianca nel jazz) di tale originalità<br />
e pregnanza espressiva sia<br />
rimasto per molto tempo praticamente<br />
ignorato. Betti, per inciso,<br />
è del 1936, quindi non certo<br />
un esordiente. Dopo un silenzio<br />
discografico più che decennale,<br />
durato per tutti gli anni Novanta,<br />
ha ricominciato a incidere e<br />
ha prodotto alcuni dischi uno<br />
più bello dell’altro, tutti lodati<br />
dalla critica e premiati dalle riviste<br />
di settore. Ma nonostante<br />
ciò non c’è stato, almeno a mia<br />
notizia, uno solo dei maggiori<br />
festival italiani che si sia degnato<br />
di invitarlo. Notes Are But<br />
Wind è un perfetto ritratto della<br />
sua musica. I cinque lunghi<br />
brani che lo compongono (il più<br />
breve sfiora i nove minuti) sono<br />
vere e proprie narrazioni in musica,<br />
nelle quali si fonde un materiale<br />
all’apparenza eterogeneo:<br />
jazz, fusion, echi rock, tecniche<br />
compositive eurocolte, sonorità<br />
etniche (il primo brano ha come<br />
solisti un flauto cinese e un’arpa<br />
celtica), citazioni di canzonette<br />
popolari. Dico “all’apparenza”<br />
perché poi, all’ascolto, risulta<br />
miracolosamente unitario. E<br />
il merito va condiviso fra gli<br />
ottimi solisti – non li cito tutti<br />
per motivi di spazio, né ne cito<br />
solo alcuni per non far torto a<br />
nessuno – e il compositore, che<br />
ha tagliato le partiture su misura<br />
per loro. E torno a pormi la<br />
domanda iniziale: come mai un<br />
compositore di tale originalità e<br />
pregnanza rimane defilato dalla<br />
scena? Forse la risposta è già<br />
contenuta nella domanda.<br />
Fuori da certi giri o fuori giri?<br />
Se vogliamo continuare a parlare<br />
di musicisti fuori da – diciamo<br />
così – certi giri, ebbene<br />
ecco a voi Uomo invisibile,<br />
Odwalla<br />
Uomo invisibile<br />
Autoprodotto<br />
l’ultima creatura auto-prodotta<br />
dagli Odwalla, il gruppo di<br />
percussioni fondato nel 1989<br />
dal musicista eporediese (non è<br />
una malattia genetica, significa<br />
che è di Ivrea) Massimo Barbiero.<br />
Per questo decimo CD<br />
la band accoglie al suo interno<br />
due musicisti africani, più altri<br />
ospiti come il batterista Israel<br />
Varela e ben quattro voci:<br />
Marta raviglia, Gaia Mattiuzzi,<br />
Sabrina Olivieri e Manuel Attanasio.<br />
La musica degli Odwalla<br />
(così come quella dell’altra formazione<br />
storica di Barbiero,<br />
gli Enten Eller) si è sempre<br />
mossa tra vertici distanti: il<br />
jazz, in particolare quello più<br />
orientato verso la ricerca e la<br />
sperimentazione di nuovi linguaggi;<br />
la musica europea contemporanea;<br />
la musica africana.<br />
A questo si è unito un interesse<br />
costante per la performance e in<br />
particolare per la danza. Qui, i<br />
punti di partenza sono due:<br />
Uomo invisibile, il capolavoro<br />
di Ralph Ellison che è una<br />
grande metafora della condizione<br />
esistenziale afroamericana<br />
contemporanea, e le favole, a<br />
loro volta grandi metafore del<br />
reale. Attorno ad essi il gruppo<br />
costruisce sette affreschi sonori<br />
brulicanti di colori cangianti,<br />
(poli)ritmi, voci cantanti e<br />
narranti. E danza, che nel CD<br />
non si vede ma nell’originale,<br />
registrato dal vivo, c’era. Spirito<br />
e terra, intelletto e corpo, senza<br />
soluzioni di continuità...<br />
Per finire in bellezza<br />
Pop Corn Reflections del Rosario<br />
Di Rosa Trio, con il leader<br />
al pianoforte, Paolo Dassi a contrabbasso<br />
ed elettronica e Riccardo<br />
Tosi alla batteria e anche<br />
lui all’elettronica, è composto da<br />
nove brani tutti costruiti su ostinati<br />
ritmici e serie melodiche, al<br />
Rosario Di Rosa<br />
Rosario Di Rosa Trio<br />
Pop Corn Reflections<br />
Nau<br />
di fuori di quella che è la logica<br />
improvvisativa corrente in un<br />
gruppo jazz, vale a dire l’improvvisazione<br />
su chorus armonico.<br />
Qui, piuttosto, siamo nei pressi<br />
dell’elettronica, o del minimalismo<br />
(uno dei pezzi è esplicitamente<br />
dedicato a Steve Reich),<br />
o del serialismo (un altro brano<br />
è basato su uno dei Klavierstücke<br />
Op. 19 di Arnold Schoenberg).<br />
Ognuno dei pezzi parte da un’idea<br />
compositiva – per lo più un<br />
songs<br />
Sergio Pasquandrea<br />
1 Nick Drake<br />
FIVE LEAVES LEFT<br />
1969<br />
2 Beethoven<br />
klaVIERSONATEN<br />
(Arthur Schnabel)<br />
1932-1935<br />
3 Sainte Colombe<br />
CONCERTS A DEUX<br />
VIOLES ESGALES (J.<br />
Savall/W. Kujken)<br />
1992<br />
4 Joni Mitchell<br />
BLUE<br />
1971<br />
5 Fabrizio De Andrè<br />
RIMINI<br />
1978<br />
6 Marisa Monte<br />
rose AND CHARCHOAL<br />
1994<br />
7 Miles Davis<br />
SKETCHES OF SPAIN<br />
1960<br />
8 Chico Buarque<br />
ConstruÇÃO<br />
1971<br />
9 Bill Evans<br />
sunday at THE VILLAGE<br />
Vanguard<br />
1961<br />
10 Sonny Clark<br />
COOL STRUTTIN’<br />
1958<br />
11 Eric Dolphy<br />
OUT TO lunCH<br />
1964<br />
12 J. S. Bach<br />
GOLDBERG Variations<br />
(Glenn Gould)<br />
1981<br />
13 Charles Mingus<br />
THE BLACK SAINT AND<br />
THE SINNER LADY<br />
1963<br />
14 Ornette Coleman<br />
THE SHAPE OF JAZZ to<br />
COME<br />
1959<br />
15 Keith Jarrett<br />
faCING YOU<br />
1971<br />
pattern ritmico o melodico – che<br />
fa da mattone costruttivo e da<br />
collante strutturale. Con, in più,<br />
un uso costante del live electronics<br />
che aggiunge un ulteriore livello<br />
di complessità sonora.<br />
100 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
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50008<br />
Esclusivo! AbbIAmO pROvATO lA pRImA CUFFIA DI sonus faBEr<br />
9 771721 576006<br />
ANTE...<br />
Pryma<br />
501<br />
microlusso: l’orgoglio italiano!<br />
riflEttEndo<br />
su B&W, dali<br />
E tEchnics<br />
la rinascita dEllE<br />
ElEttroacustichE<br />
lEak<br />
storia di un succEsso<br />
non complEtato<br />
mario Biondi<br />
<strong>SUONO</strong> | 502 | DICEMBRE 2015 In RICoRDo DI ValERIa E glI altRI DEl BataClan<br />
50009<br />
9 771721 576006<br />
502<br />
“La cultura, la musica, il teatro , le emozioni profonde<br />
dell’uomo sono ciò che ha fatto grande l’Italia e sono<br />
esattamente quello che vogliono distruggere…<br />
E noi non permetteremo loro di avere una<br />
generazione che possa odiare la musica”<br />
Matteo Renzi, 29/11/2015<br />
suono annuario 2016<br />
annuario 2016<br />
TUTTE LE NOVITà HI-FI | HI-END<br />
€ 12,00<br />
.<br />
www.suono.it
selector<br />
a cura di Guido Bellachioma<br />
Dal blues bianco<br />
al jazz rock<br />
Le playlist di <strong>SUONO</strong>, sorta<br />
di guida all’ascolto in pillole,<br />
continuano a proporre artisti,<br />
canzoni, album o stili che hanno<br />
contribuito ad arricchire il<br />
pentagramma contemporaneo.<br />
Questa volta tocca a un artista<br />
che viene considerato una vera<br />
e propria università del blues<br />
bianco: John Mayall, armonicista,<br />
cantante, chitarrista, pianista<br />
e soprattutto guida spirituale<br />
di quei Bluesbrakers che nelle<br />
loro fila hanno visto la crema<br />
della scena americana e, soprattutto,<br />
britannica: Eric Clapton,<br />
Peter Green, Mick Taylor, Harvey<br />
Mandel, Freddy Robinso,<br />
Dick Heckstall Smith, Jack<br />
Bruce, Keef Hartley, Aynsley<br />
Dumbar, Jon Hiseman, Mick<br />
Fleetwood, Dr. John, Paul Butterfield<br />
e tanti altri. Dal 1966<br />
al 1972, il suo periodo più creativo,<br />
stellare, anche se ancora<br />
oggi gira il mondo in concerto<br />
con buoni risultati, sebbene sia<br />
nato il 29 novembre 1933… 82<br />
anni! Allora è vero che il blues è<br />
una musica senza tempo!<br />
L’altra playlist è dedicata ai<br />
migliori album del jazz-rock<br />
europeo, àmbito nel quale l’Italia<br />
produsse lavori notevoli,<br />
subito dopo la lezione del jazzelettrico<br />
di marca davisiana e<br />
prima della trasformazione in<br />
fusion. Una sola eccezione alla<br />
completa appartenenza europea:<br />
la Mahavishnu Orchestra<br />
che, in realtà, è una multinazionale<br />
della musica visto che<br />
John McLauglin alla chitarra<br />
è inglese, Billy Cobham alla<br />
batteria è panamense, Jerry<br />
Goodman al violino è americano,<br />
Jan Hammer alle tastiere è<br />
nato nell’allora Cecoslovacchia<br />
e Rick Lair al basso è irlandese…<br />
ma il compositore unico<br />
dei brani di Inner Mounting<br />
Flame è McLauglin.<br />
songs<br />
European ’70 Jazz Rock LP<br />
1 Inner Mounting Flame<br />
Mahavishnu<br />
orchestra<br />
1971<br />
The Mahavishnu Orchestra<br />
the INNER MOUNTING FLAME<br />
2 Perigeo<br />
Perigeo<br />
1972<br />
Perigeo<br />
azimut<br />
3 Six<br />
Soft Machine<br />
1973<br />
4 Maledetti<br />
Area<br />
1976<br />
5 Expresso II<br />
Pierre Moerlen’s Gong<br />
1978<br />
Expresso II<br />
pierre MOERLEN’S GONG<br />
6 Unorthodox Behaviour<br />
Brand X<br />
1976<br />
Unorthodox Behaviour<br />
brand x<br />
7 Septober Energy<br />
Centipede<br />
1971<br />
8 2<br />
Agorà<br />
1976<br />
2<br />
agorà<br />
9 Tilt (Immagini per un orecchio)<br />
Arti e Mestieri<br />
1974<br />
Tilt<br />
arti E MESTIERI<br />
10 We’ll Talk About It Later<br />
Nucleus<br />
1970<br />
11 Sconcerto<br />
Baricentro<br />
1976<br />
Sconcerto<br />
BariCentro<br />
12 One of a Kind<br />
Bruford<br />
1979<br />
One of a Kind<br />
Bruford<br />
13 Of Queues and Cures<br />
National Health<br />
1978<br />
14 2<br />
If<br />
1970<br />
2<br />
if<br />
15 Illusion<br />
Isotope<br />
1974<br />
102 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Oltre il rock<br />
In arrivo<br />
The Mute Gods<br />
Do Nothing Till You<br />
Hear From Me<br />
Inside Out<br />
Do Nothing Till You Hear From Me, in uscita a gennaio,<br />
è il disco di esordio dei Mute Gods, nuovo, ennesimo<br />
super gruppo sospeso tra i generi, composto da<br />
tre artisti che in questo periodo collaborano spesso<br />
tra loro: Nick Beggs (basso, chitarra, Chapman Stick,<br />
tastiere, programmazione e voce – Kajagoogoo,<br />
Steve Hackett, Steven Wilson), Roger King (tastiere,<br />
programmazione, chitarra, cori, produzione e<br />
masterizzazione – Gary Brooker dei Procol Harum,<br />
Steve Hackett) e Marco Minnemann (batteria, chitarre<br />
– Aristocrats, Steven Wilson, Joe Satriani).<br />
Anche qualche ospite è della partita: il tastierista<br />
Adam Holzman (Miles Davis, Steven Wilson), il polistrumentista<br />
Rob Reed (Magenta), il batterista Gary<br />
O’Toole (Steve Hackett, China Crisis, Kyle Minougue),<br />
il batterista Nick D’Virgilio (Spock’s Beard) e altri.<br />
“Viviamo in un momento di accresciuto fondamentalismo<br />
religioso; le persone mettono davanti<br />
ai propri proclami l’ira di Dio e parlano a<br />
suo nome. Ma Dio ha mai indicato questi cattivi<br />
profeti come suoi PR? Le persone che in questo<br />
mondo dovrebbero realmente essere ascoltate<br />
sono, purtroppo, quelle che più spesso sono<br />
messe a tacere. La voce delle persone ragionevoli<br />
sembra essere troppo silenziosa rispetto<br />
all’aggressività di questi uomini. The Mute<br />
Gods vuole affrontare proprio questo squilibrio”.<br />
Il disco, musicalmente parlando, risente<br />
dei trascorsi di Beggs, vero leader della band,<br />
in stili eterogenei (progressive rock, pop, Celtic,<br />
funk, soul) miscelati piuttosto bene. Incisione<br />
equilibrata. Pubblicato dalla Inside Out<br />
che, insieme alla casa madre Century Media,<br />
è stata acquistata dalla Sony Music.<br />
songs<br />
John Mayall’s Songs ’66 - ’72<br />
1 Room to Move<br />
The Turning Point<br />
1969<br />
6 Walking On Sunset<br />
Blues From Laurel<br />
Canyon<br />
1968<br />
7 The Laws Must Change<br />
The Turning Point<br />
1969<br />
8 California<br />
The Turning Point<br />
1969<br />
12 Someday After A While<br />
(You’ll Be Sorry)<br />
A Hard Road<br />
1967<br />
13 The Bear<br />
Blues from Laurel<br />
Canyon<br />
1968<br />
14 Accidental Suicide<br />
Back To The Roots<br />
1971<br />
John Mayall<br />
theturning POINT<br />
2 Good Time Boogie<br />
Jazz Blues Fusion<br />
1972<br />
John Mayall<br />
Blues Breakers WITH Clapton<br />
4 Bare Wires Suite<br />
Bare Wires<br />
1968<br />
5 The Death Of J.B. Lenoir<br />
Crusade<br />
1967<br />
9 Memories<br />
Memories<br />
1971<br />
John Mayall<br />
BACK TO THE ROOTS<br />
15 Nature’s Disappearing<br />
USA Union<br />
1970<br />
John Mayall<br />
memories<br />
John Mayall<br />
Jazz Blues FUSION<br />
10 The Supernatural<br />
A Hard Road<br />
1967<br />
3 Hideaway<br />
Blues Breakers with<br />
Eric Clapton<br />
1966<br />
John Mayall<br />
Crusade<br />
11 Have You Heard<br />
Blues Breakers with<br />
Eric Clapton<br />
1966<br />
John Mayall<br />
usa UNION<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 103
selector<br />
di Francesco Bonerba<br />
Nothing has<br />
changed...<br />
...anche ora che non c’è più, nulla è cambiato: il<br />
camaleontico David Bowie è sempre tra noi. La sua<br />
scomparsa è solo un’ennesima trasformazione che questa<br />
volta segna il passaggio da presenza in carne ed ossa a<br />
icona impalpabile e immortale della musica mondiale.<br />
Fino all’ultimo istante della propria vita David Bowie ha con<br />
coerenza ribadito l’inesistenza di un grado di separazione tra<br />
la propria essenza e la sua immagine di artista; con l’estrema<br />
umiltà e discrezione che appartiene solo ai grandi ha nascosto la sua<br />
malattia a tutti non resistendo, al contempo, all’impulso di raccontarla a<br />
milioni di persone nel videoclip della canzone Lazarus. Perché quando<br />
sei un artista autentico, totale, l’arte si nutre inevitabilmente della tua<br />
vita e viceversa, in un circolo virtuoso o vizioso che magnifica o uccide.<br />
David Bowie ha assecondato il fato avverso per scegliere di andarsene<br />
come desiderava, pubblicando il suo ultimo album, Blackstar, tra<br />
il giorno della sua nascita e quello della sua morte: una metafora, ci<br />
piace immaginare, del fatto che l’arte sia stata il vero riempitivo della<br />
sua esistenza.<br />
Anche la stella nera che fa da cover alla sua ultima opera diventa, chissà,<br />
l’ultimo riferimento alla più famosa tra le maschere indossate da Bowie<br />
lungo la sua carriera, quella di Ziggy Stardust, alieno approdato sulla<br />
Terra nel 1972 e ora finalmente ritornato al suo pianeta natale, un astro<br />
oscuro collocato chissà dove nell’infinità del cosmo. “Alcuni sostengono<br />
che sia una cover “semplice”, realizzata in cinque minuti”, ha affermato<br />
Jonathan Barnbrook, designer che ha curato cinque copertine di Bowie<br />
negli ultimi quindici anni, “Penso che oggi ci sia un fraintendimento<br />
in merito alla semplicità. L’immagine contiene l’idea della mortalità:<br />
evoca un buco nero che risucchia qualsiasi cosa, il Big Bang, l’inizio<br />
dell’universo, ammesso che ci sia una fine. Anche la scelta di rendere<br />
il disco un oggetto che dall’immaterialità assume lentamente una<br />
sua dimensione fisica e contemporaneamente dei graffi sulla sua<br />
superficie è a sua volta un commento alla mortalità umana”. Concetto<br />
reso ancora più spettacolarmente nell’edizione in vinile, in cui la cover<br />
presenta un ritaglio a forma di stella che rende visibile il disco nero, il<br />
cui colore va progressivamente sbiadendo. Quella di Blackstar è solo<br />
una delle cover emblematiche che hanno caratterizzato la carriera<br />
dell’artista inglese e che hanno contribuito ad alimentare la mitologia<br />
del suo personaggio.<br />
Ne è un fulgido esempio Nothing has changed, raccolta dei suoi<br />
brani migliori uscita nel 2014, per la quale sono state scelte tre diverse<br />
immagini, una per ogni edizione dell’album: il triplo CD deluxe/digitale<br />
presenta uno scatto di Jimmy King del 2013, l’edizione doppio CD/<br />
digitale una (meravigliosa) foto di Steve Schapiro del 1975 e il doppio<br />
vinile un’immagine di Mick Rock scattata nella casa dell’artista, ad<br />
Haddon Hall, Beckenham, nel 1972. “Bowie che guarda se stesso in uno<br />
specchio”, ha raccontato Barnbrook, “è un archetipo abbastanza forte<br />
per comunicare al pubblico che si tratta di una raccolta di musiche<br />
entro cui è racchiuso l’intero percorso artistico di Bowie e non uno<br />
specifico periodo. Il riferimento delle immagini è ovviamente a Oscar<br />
Wilde e al suo Il ritratto di Dorian Gray”. A cosa starà pensando, Bowie,<br />
mentre si specchia? Alla sua giovinezza? Alla propria identità? Al tempo<br />
che avanza? Qualsiasi cosa gli passi per la testa, nonostante i 42 anni<br />
che separano il primo e l’ultimo scatto, lui è ancora lì, più vecchio<br />
ma sempre intento a riflettere la propria arte/immagine nel mondo e<br />
viceversa. Nulla, in effetti, è cambiato: declinata attraverso le passione<br />
la vita assume una propria rassicurante circolarità. Eppure, il flusso<br />
degli eventi non è arrestabile, il tempo scorre in una direzione univoca.<br />
104 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Sotto la cover, le storie<br />
Come mostra magistralmente la cover di The Next Day, un semplice<br />
quadrato bianco con una scritta nera che si sovrappone all’immagine<br />
del 1977 di Masayoshi Sukita scelta come cover all’album capolavoro<br />
Heroes. “Non ha importanza quanto ci proviamo, non potremo mai<br />
liberarci dal passato. Ci muoviamo al rallentatore verso il giorno successivo,<br />
abbandonando il passato perché non abbiamo altra scelta”:<br />
queste le parole, sempre di Barnbrook, che racchiudono il senso dell’insolita<br />
scelta. Quanti artisti continuano ad essere associati all’immagine<br />
polverosa che il pubblico ne conserva, magari risalente all’epoca d’oro<br />
dei loro primi successi? Anche per Bowie Heroes ha rappresentato un<br />
punto di svolta e un’inevitabile “àncora mentale” per lui e i suoi milioni<br />
di fan; trentasei anni dopo, è giunto il momento di andare avanti, non<br />
rinnegando il passato ma celebrandolo e al contempo oscurandolo<br />
parzialmente con qualcosa di nuovo.<br />
Tornando all’immagine di Sukita e compiendo un balzo di un quarto<br />
di secolo, la foto si ispira al quadro Roquairol dell’artista tedesco Erich<br />
Heckel, da cui attinse anche Iggy Pop che,<br />
nella cover del suo album The Idiot, compare<br />
in una posa simile. Non è un riferimento<br />
pittorico, invece, l’immagine che<br />
campeggia sull’album Low (1977), in cui<br />
Bowie compare “travestito” da Thomas<br />
Jerome Newton, alieno che interpreta nel<br />
film The Man Who Fell to Earth (1976),<br />
per il quale erano inizialmente previste le<br />
musiche dell’album, poi scartate dal regista<br />
Nicolas Roeg. L’immagine fu pensata<br />
dal musicista per creare un rimando visivo<br />
al titolo, dove low sta in realtà per<br />
“low profile”.<br />
provenienza aliena, sembra anticipare di due decenni la composizione<br />
liquida del micidiale androide polimorfo T-1000 in Terminator 2.<br />
Il suo aspetto, secondo il giornalista Peter Doggett, è “l’archetipo<br />
dell’artificialità – glitterato, pitturato, tinto, decorato con un fulmine,<br />
la carne di freddo marmo, deformato da una lacrima d’argento,<br />
scolpito, emaciato, fiero, vulnerabile e fondamentalmente alieno”. Nel<br />
secondo album, invece, Ziggy appare più defilato, ritratto in posa vicino<br />
al 23 di Heddon Street, Londra. L’effetto pittorico della copertina, che la<br />
rende contemporaneamente così realistica e così sfuggente, fu ottenuto<br />
dal grafico Terry Pastor colorando i 17 scatti in bianco e nero realizzati<br />
dal fotografo Brian Ward, il cui studio era proprio in Heddon Street.<br />
Sul significato dell’insegna K. West – in molti pensarono che fosse una<br />
sorta di codice segreto che stesse a indicare “quest” (ricerca) – Bowie<br />
ha lasciato che fioccassero le più stravaganti interpretazioni; si trattava,<br />
in realtà, del nome di una società di distribuzione di pellicce al primo<br />
piano dell’edificio, di cui oggi è scomparsa ogni traccia.<br />
Fu sempre Brian Ward a fotografare il<br />
“Duca Bianco” (dal personaggio comparso<br />
per la prima volta in Station to<br />
Station, ricalcato sulla sua biografia) per<br />
l’immagine della copertina di Hunky<br />
Dory (1971), che si rifà ad alcune pose<br />
di Marlene Dietrich e mostra il volto di<br />
Bowie rivolto verso l’alto, con l’aria persa<br />
tra i suoi pensieri. L’artwork della foto<br />
fu curato da George Underwood (che<br />
collaborò anche alla copertina di Ziggy<br />
Stardust and the Spiders from Mars),<br />
amico d’infanzia dell’artista che, all’età di<br />
quattordici anni, a causa di una discus-<br />
È ugualmente di origine extraterrestre<br />
Ziggy Stardust, l’alter-ego che ha accompagnato<br />
Bowie lungo tutta la sua<br />
Alcuni degli scatti che il fotografo Masayoshi Sukita realizzò nel<br />
1977 per la cover di Heroes, con la scelta finale evidenziata in rosso.<br />
sione su una ragazza, lo colpì nell’occhio;<br />
da allora, Bowie ha sempre avuto una<br />
pupilla più aperta dell’altra (in medicina,<br />
carriera e che è protagonista delle cover di due dei suoi album più<br />
celebri e amati: Aladdin Sane (1973) e The Rise and Fall of<br />
Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972). Nel primo,<br />
nell’immagine forse più iconica della sua intera carriera, realizzata<br />
dal fotografo Brian Duffy con la collaborazione del make-up artist<br />
Pierre Laroche, l’artista compare a torso nudo, con i capelli ramati, gli<br />
occhi chiusi, l’incarnato rosato sul volto privo di sopracciglia e attraversato<br />
da fulmine rosso e blu (in una dichiarazione, Duffy affermò di<br />
essersi ispirato al simbolo presente sul suo fornello elettrico!); su una<br />
scapola, sospesa, una goccia di un fluido che, oltre a enfatizzarne la<br />
anisocoria), difformità che dà l’impressione che i due occhi siano di<br />
colore diverso. Da quel momento in poi i due sono diventati inseparabili,<br />
tanto che il cantante scrisse per lui la canzone Song for Bob Dylan,<br />
tributo a Bob Dylan, di cui l’amico era appassionatissimo. “In seguito<br />
mi disse di avergli fatto un favore”, ammette Underwood, intervistato<br />
recentemente, dopo la scomparsa del musicista, “Ha dato tanta felicità<br />
e gioia a moltissime persone, questa è la magnifica eredità che lascia<br />
alle sue spalle. Passerà alla storia. Era una persona adorabile. Mi<br />
faceva ridere… mi mancherà”. Mancherà a molti, l’alieno trasformista<br />
Bowie, di ritorno finalmente sul pianeta Anthea.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 105
selector<br />
Yuja Wang<br />
Ravel<br />
Deutsche Grammophone<br />
2015<br />
Avvicinandosi alla soglia dei trent’anni<br />
la pianista cinese si sta progressivamente<br />
liberando dalle vesti di ragazza<br />
prodigio di ferro e sexy, immagine sulla<br />
quale anche le case discografiche hanno<br />
insistito sin troppo. Con la maturità anche le<br />
pagine pianistiche più virtuosistiche, come<br />
quelle di Ravel, si mostrano nei colori e nelle<br />
sfumature di cui abbondano. La sua collaborazione<br />
con l’orchestra zurighese è ormai<br />
di lunga data (iniziò nel 2003), per cui non<br />
sorprende la grande intesa che ha con essa e<br />
il fatto che il direttore la definisca una della<br />
loro famiglia. Nel concerto in sol maggiore<br />
di Ravel la pianista riesce a mantenersi in<br />
un saggio equilibrio tra sentimentalismo e<br />
chiarezza, come si evince già dal primo movimento:<br />
qui la Wang parte delicatamente<br />
e poi si lancia senza freni verso vertiginose<br />
scale, mantenendo tuttavia una lettura netta<br />
e pulitissima. L’adagio centrale scorre con<br />
le sue tenui sonorità; si vorrebbe, forse, un<br />
pizzico di intensità interpretativa in più ma<br />
è la linea dell’equilibrio quella scelta e forse<br />
la più vicina proprio a Ravel. Nel terzo<br />
movimento, quello nel quale i riferimenti<br />
jazzistici sono più evidenti, la velocità non<br />
mette certo in difficoltà la pianista cinese<br />
che, però, riesce a unire grazia e dolcezza,<br />
evitando un tour de force fine a se stesso.<br />
Anche il secondo concerto, quello per la<br />
mano sinistra, viene affrontato nello stesso<br />
stile interpretativo. Chiarezza nel fraseggio,<br />
freschezza e sicurezza che non vengono mai<br />
meno, anche nei momenti più concitati. In<br />
realtà è un brano più oscuro, specie nell’inizio,<br />
rispetto allo scoppiettio quasi continuo<br />
che Ravel propone nel suo primo concerto<br />
pianistico. Ma il contrasto tra la fase più meditativa<br />
e l’esplosione finale è forse ancor<br />
più eccitante. Probabilmente la voglia di non<br />
apparire una macchina da guerra e di limita-<br />
106 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />
Classica<br />
Identikit<br />
TK DR Titolo<br />
Maurice Ravel - Piano Concerto in G<br />
Major, M. 83<br />
1 17 1. 1. Allegramente<br />
2 16 2. 2. Adagio assai<br />
3 16 3. 3. Presto<br />
Gabriel Fauré<br />
4 14 4. Ballade In F Sharp, Op.19<br />
Maurice Ravel - Piano Concerto For The<br />
Left Hand In D, M. 82<br />
5 16 5. 1. Lento<br />
6 15 6. 2. Allegro<br />
7 15 7. 3. Tempo I<br />
re l’esuberanza l’ha condotta verso una lettura<br />
più tranquilla di quanto ci si potrebbe<br />
aspettare, confermando comunque la sua<br />
voglia di crescere per affrontare un repertorio<br />
più ampio e completo. Bella lettura della<br />
Ballade per pianoforte solo di Fauré. Wang<br />
cattura il flusso della musica in un lavoro in<br />
cui la sottigliezza del ritmo e la capacità di<br />
andar fuori quelle lunghe linee melodiche<br />
senza soluzione di continuità è tutto.<br />
Ottima la ripresa in perfetto stile Deutsche<br />
Grammophon dove chiaramente spicca il<br />
pianoforte della giovane (anche se non più<br />
giovanissima) Yuja Wang. L’intera esecuzione<br />
è godibilissima; l’orchestra è magicamente<br />
integrata con i passaggi pianistici<br />
che, per cause di forza maggiore, vengono<br />
percepiti come se fossero ascoltati dalla<br />
quinta fila di un auditorium. Non da troppo<br />
lontano e neanche eccessivamente da vicino.<br />
Il giusto equilibrio a cui l’etichetta tedesca<br />
ci ha abituati negli anni.<br />
Il valore di dinamica media (DR15) rilevato<br />
dal software Algorithmix ci tranquillizza<br />
circa un trattamento da manuale e anche<br />
le figure di Lissajous risultano molto ben<br />
proporzionate, definite e quasi circolari;<br />
quest’ultima caratteristica denota un ottimo<br />
equilibrio tra dinamica e spazialità stereofonica.<br />
Brava Deutsche Grammophon,<br />
da molti criticata negli anni scorsi per la<br />
relativa “staticità” delle registrazioni dal<br />
sapore “antico”; oggi da considerare come<br />
un esempio a cui tendere.<br />
In sintesi, un programma nel quale l’artista<br />
si mostra a suo agio, al pari dell’orchestra.<br />
Registrazione limpida e chiara in sintonia<br />
con l’interpretazione.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
Yuja Wang: pianoforte<br />
Lionel Bringuier: direttore<br />
Tonhalle-Orchester Zurich<br />
traccia 1 -Piano Concerto In G, M. 83 1. Allegramente<br />
traccia 4 - Ballade In F Sharp, Op.19<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 107
selector<br />
David Bowie<br />
BLACkSTAR<br />
ISO Records / Columbia /<br />
Sony Music - 2016<br />
Non è semplice scrivere a così pochi<br />
giorni dalla scomparsa di David<br />
Bowie. Troppi eventi si sono<br />
accavallati in troppo poco tempo: l’uscita<br />
del nuovo album, il ventiseiesimo nella discografia<br />
dell’artista inglese, nel giorno del<br />
suo sessantanovesimo compleanno, seguito<br />
appena due giorni dopo dalla notizia della<br />
sua morte per una lunga malattia di cui in<br />
pochi erano a conoscenza. Qualcuno, appena<br />
un mese prima, lo aveva descritto in gran<br />
forma a New York alla prima del musical<br />
Lazarus, scritto insieme a Enda Walsh e<br />
diretto da Ivo van Hove. In realtà Bowie<br />
stava lottando da tempo con un tumore al<br />
fegato. Inevitabile che il calvario personale<br />
si riflettesse anche nella composizione<br />
e nelle atmosfere del nuovo disco, ciononostante<br />
lontanissimo da una monocorde<br />
elegia: chi aveva avuto modo di ascoltarlo in<br />
anteprima, infatti, aveva parlato di un lavoro<br />
affascinante, sperimentale, un ulteriore<br />
salto in avanti in una carriera piena di evoluzioni<br />
e scarti improvvisi, anche se velato<br />
da una luce strana. Il video promozionale<br />
di Blackstar aveva mostrato Bowie nelle<br />
vesti di un profeta cieco, il volto coperto<br />
da bende e gli occhi sostituiti da due pietre<br />
nere. Una donna caudata apriva l’elmetto<br />
di una tuta spaziale per prelevare il teschio<br />
dell’astronauta defunto (il Major Tom di<br />
Space Oddity?). Immagini che facevano<br />
intendere come Bowie avesse iniziato a interrogarsi,<br />
più che su un ipotetico futuro,<br />
sul momento preciso del trapasso dalla vita<br />
alla morte. Ancora più espliciti erano stati i<br />
fotogrammi girati per il clip di Lazarus, con<br />
l’artista inglese sofferente in un letto, poi<br />
intento a scrivere il suo testamento prima<br />
di scomparire all’interno di un armadio.<br />
Musicalmente, il contenuto di Blackstar è<br />
abbagliante. Come sa esserlo solo una stella<br />
mentre si trasforma in una supernova,<br />
prima di spegnersi per sempre. La voglia di<br />
sperimentare è confermata anche dal cast<br />
dei musicisti, completamente inedito. Si<br />
tratta, infatti, della band di Donny McCaslin,<br />
sassofonista della scena di New York,<br />
un quartetto formato anche dal batterista<br />
Mark Giuliana, dal bassista Tim Lefebvre<br />
e dal tastierista Jason Lindner. Bowie li<br />
ha “scoperti” in un piccolo jazz club della<br />
Grande Mela nella primavera del 2014. Su<br />
consiglio di una sua amica ha prenotato<br />
un tavolo davanti al palco e ha assistito al<br />
loro concerto fino alla fine, andandosene<br />
senza dire una parola. Il contatto ufficiale<br />
è avvenuto via email qualche giorno dopo.<br />
Inizialmente sono stati solo McCaslin e Giuliana<br />
ad essere coinvolti nella registrazione<br />
di un nuovo brano, Sue (Or in a Season of<br />
Crime), poi pubblicato nella compilation<br />
Nothing Has Changed. Ma nel gennaio del<br />
2015 tutti e quattro i musicisti sono stati<br />
convocati al Magic Shop Studio di New York<br />
per iniziare a lavorare, insieme al produttore<br />
Tony Visconti, a quello che sarebbe<br />
diventato l’ultimo album del Duca Bianco.<br />
Rispetto al precedente e dignitosissimo The<br />
Next Day (2013) si avverte chiaramente la<br />
voglia di Bowie di lanciarsi senza rete in<br />
territori completamente nuovi. “I musicisti<br />
di Donny McCaslin sono stati straordinari”,<br />
ha ammesso Visconti in un’intervista su<br />
“Rolling Stone”, “Sono stati in grado di suonare<br />
praticamente qualsiasi cosa gli chiedessimo,<br />
dal Krautrock all’hip-hop al jazz.<br />
Il risultato è un’incredibile fusione sonora<br />
108 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />
Rock<br />
Identikit<br />
TK DR Titolo<br />
1 6 Blackstar<br />
2 5 ‘Tis A Pity She Was A Whore<br />
3 5 Lazarus<br />
4 5 Sue (Or In A Season Of Crime)<br />
che non è possibile ricondurre ad alcun genere<br />
musicale in particolare”. Sicuramente<br />
grande attenzione è stata riservata alle ritmiche:<br />
il drumming di Giuliana è spesso<br />
scivoloso e frammentario, altre volte scarno<br />
ed essenziale, ma sempre ingegnoso nel posizionamento<br />
degli accenti e nell’interazione<br />
con gli altri strumenti. In questo senso<br />
la nuova, tagliente versione di Sue (Or in<br />
a Season of Crime) sembra riprendere le<br />
suggestioni jungle di Earthlings (1997), ma<br />
la contaminazione è comunque a più ampio<br />
spettro, come dimostrano le ultime tre tracce<br />
dell’album: canzoni apparentemente più<br />
canoniche eppure avvinghiate a una bolla di<br />
creatività palpabile e per certi versi disperata.<br />
Vitale. Come sa essere chi è consapevole<br />
di non avere più molto tempo da vivere e<br />
troppe cose ancora da dire…<br />
Dal punto di vista tecnico invece (purtroppo!)<br />
Blackstar rappresenta alla perfezione<br />
tutto ciò contro cui stiamo combattendo da<br />
anni. Il volume di uscita è esageratamente<br />
e inutilmente alto e tutti gli strumenti sono<br />
impastati, in special modo sulle medio basse.<br />
La voce, ad esempio, molto equilibrata<br />
dal punto di vista tonale, non riesce a uscire<br />
adeguatamente dal magma ritmico. Senza<br />
dubbio il Duca avrà previsto un sound con<br />
una base “piatta” su cui far viaggiare il sax<br />
5 6 Girl Loves Me<br />
6 6 Dollar Days<br />
7 6 I Can’t Give Everything Away<br />
che la fa da padrone su tutto il disco, però il<br />
risultato è troppo confuso per apprezzare le<br />
innumerevoli varianti armoniche nel senso<br />
che intendiamo in Hi-Fi. Peccato perché<br />
Blackstar è un album musicalmente coraggioso<br />
e poteva esserlo anche dal punto<br />
di vista tecnico. Il valore dinamico medio<br />
complessivo (DR5) riportato dal software<br />
Algorithmix la dice lunga...<br />
Paolo Carnelli<br />
traccia 1 -Blackstar_L<br />
traccia 7 - I Can’t Give Everything Away_L<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 109
selector<br />
Le pagine pianistiche presenti<br />
in questa raccolta<br />
contengono molta della<br />
migliore scrittura del genere non<br />
solo di Debussy ma del Novecento<br />
storico tutto. Le Images e i Préludes<br />
furono suddivisi dall’autore<br />
in due parti; i secondi, in particolare,<br />
costituendo un lavoro più<br />
corposo, di ben ventiquattro pezzi,<br />
furono raccolti in due libri: Livre<br />
I e Livre II. Proprio i Preludi,<br />
già nel nome, ricordano Chopin<br />
per l’opera omonima fino a risalire<br />
al Clavicembalo Ben Temperato<br />
di Bach. A differenza di<br />
questi grandi predecessori, però,<br />
Debussy non realizzò una raccolta<br />
sistematica seguendo un certo<br />
ordine in base, ad esempio, alla<br />
tonalità. In questo caso c’è una<br />
grande libertà formale, con alcuni<br />
brani più complessi e altri decisamente<br />
più scorrevoli e lineari.<br />
Comune anche alle sei Images è<br />
la difficoltà tecnica e interpretativa<br />
richiesta all’interprete, e una<br />
forte suggestione extra-musicale,<br />
naturalistica, dalla quale discende<br />
poi, come per il suo grande<br />
contemporaneo Ravel, la definizione<br />
di compositori impressionisti.<br />
Sebbene tale accostamento<br />
sia semplicistico e non di rado<br />
fuorviante, i titoli dati a questi<br />
brani suggeriscono spesso, piuttosto<br />
che delle immagini ben precise,<br />
delle impressioni, sfumate,<br />
degli stati d’animo. Difficile non<br />
trovare corrispondenza tra titoli<br />
come Nebbie, Foglie Morte, Brughiere<br />
o Fuochi d’Artificio e ciò<br />
che si ascolta. Tutti pezzi raccolti<br />
nel secondo libro dei Préludes. Le<br />
Images sono costituite da sei brani<br />
divisi equamente in due serie<br />
e scritte un decennio prima, tra il<br />
1901 e il 1907. Sono stati definiti<br />
“evocazioni di stati interiori” ma,<br />
anche in questi, non mancano le<br />
suggestioni naturalistiche esterne.<br />
Hyperion presenta le Images<br />
al completo e il secondo libro dei<br />
Préludes nella raffinata interpretazione<br />
di Marc André Hamelin,<br />
pianista e compositore canadese.<br />
Virtuoso dello strumento, tanto<br />
da aver interpretato tutte le più<br />
impegnative pagine romantiche,<br />
come quelle dei contemporanei,<br />
affrontando spesso pagine poco<br />
esplorate. Da qui nasce la sua una<br />
sensibilità fuori dal comune che,<br />
proprio in queste composizioni,<br />
gli permette di cogliere la loro<br />
anima ed essenza.<br />
Marc-André Hamelin<br />
Hyperion (CDA67920) - 2014<br />
Dal punto di vista tecnico assolutamente<br />
nessun problema<br />
per ciò che concerne la dinamica.<br />
Tutti i picchi musicali<br />
sono molto liberi di estendersi<br />
e risolversi naturalmente e non<br />
sembrano essere pilotati artificialmente<br />
da compressori o<br />
limiter di sorta. Per la musica<br />
classica non è un comportamento<br />
atipico ma vale sempre<br />
la pena sottolinearlo. La ripresa<br />
microfonica sembra essere<br />
stata effettuata abbastanza da<br />
lontano, così che chi ascolta<br />
la registrazione abbia la sensazione<br />
di trovarsi in mezzo a<br />
un ipotetico pubblico e non di<br />
fronte al pianoforte; una scelta<br />
importante e decisamente<br />
caratterizzante che però non<br />
ci sentiamo di giudicare. Dal<br />
punto di vista strettamente sonoro<br />
l’effetto è molto realistico<br />
e anche coraggiosamente poco<br />
“spettacolare”. In sintesi una<br />
registrazione estremamente<br />
pulita, silenziosa, calda e ben<br />
dettagliata, come da tradizione<br />
dell’etichetta Hyperion.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
traccia 3 - Images - Mouvement_L<br />
Classica<br />
DebuSSY:<br />
IMAges &<br />
Préludes II<br />
Identikit<br />
TK DR Titolo<br />
1 15 Reflets dans l’eau<br />
2 18 Hommage à<br />
Rameau<br />
3 14 Mouvement<br />
4 16 Cloches à travers les<br />
feuilles<br />
5 16 Et la lune descend<br />
sur le temple qui fut<br />
6 14 Poissons d’or<br />
7 19 Brouillards<br />
8 15 Feuilles mortes<br />
9 17 La Puerta del Vino<br />
10 14 Les fées sont<br />
d’exquises danseuses<br />
11 12 Bruyères<br />
12 15 General Lavine.<br />
Excentric<br />
13 18 La terrasse des<br />
audiences du clair<br />
de lune<br />
14 13 Ondine<br />
15 14 Hommage à S.<br />
Pickwick Esq<br />
16 15 Canope<br />
17 15 Les tierces alternées<br />
18 14 Feux d’artifice<br />
traccia 11 - PrÇludes - Bruyäres_L<br />
110 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />
Dewa Budjana<br />
Rock<br />
HASTA Karma<br />
Moonjune Records - 2015<br />
Il chitarrista indonesiano<br />
Dewa Budjana torna a far<br />
parlare di sé. È trascorso<br />
appena un anno dall’eccezionale<br />
Surya Namaskar<br />
ed eccolo di nuovo in pista,<br />
che strizza l’occhio al jazz<br />
acustico e alla world music,<br />
grazie anche alla presenza<br />
del leggendario vibrafonista<br />
newyorchese Joe Locke e alla<br />
sezione ritmica della Unity<br />
Band di Pat Metheny (Ben<br />
Williams al contrabbasso e<br />
Antonio Sanchez alla batteria).<br />
La performance di Dewa<br />
è ancora una volta stellare, con<br />
un’attenzione maggiore per la<br />
chitarra acustica; in questo<br />
caso, però, l’“extra vibration”<br />
è soprattutto merito dei legni<br />
di Locke. Fortunata è stata<br />
l’intuizione di sostituire il più<br />
canonico pianoforte acustico<br />
con il vibrafono.<br />
Come al solito tutti i brani<br />
sono stati incisi in una sola<br />
giornata, in questo caso ai<br />
Kaleidoscope Sound Studios<br />
di New York, con i quattro<br />
musicisti chiamati a eseguire il<br />
repertorio rigorosamente live,<br />
privilegiando la freschezza<br />
traccia 1 - Saniscara_L<br />
Identikit<br />
TK DR Titolo<br />
1 8 Saniscara<br />
2 9 Desember<br />
3 8 Jayaprana<br />
4 8 Ruang Dialisis<br />
5 8 Just Kidung<br />
6 7 Payogan Rain<br />
dell’interplay scaturito dall’incontro<br />
in sala di registrazione.<br />
Eppure in termini tecnici il<br />
disco è relativamente rispettoso<br />
delle dinamiche anche<br />
se di fondo rimane un po’ di<br />
confusione generale tra gli<br />
strumenti; più che un problema<br />
derivante dall’operazione<br />
di mastering (come spesso<br />
accade), potrebbe trattarsi di<br />
scelte effettuate in sede di mix.<br />
In ogni caso è un lavoro abbastanza<br />
godibile dal punto di<br />
vista tecnico e per gli amanti<br />
del jazz rock “vecchia scuola”.<br />
Una volta tornato a Giacarta<br />
Dewa ha poi incaricato il fido<br />
Indra Lesmana di effettuare<br />
alcune sovraincisioni di tastiera<br />
e melodica, confezionando<br />
l’ennesimo gioiello musicale.<br />
Paolo Carnelli<br />
traccia 2 - Desember_L<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 111
selector<br />
Continua l’evoluzione,<br />
apparentemente senza<br />
fine, del quartetto di<br />
Varsavia. Se nel lontano 2003<br />
il debut album Out of Myself<br />
aveva definito a grandi linee il<br />
sound del gruppo – prog a tinte<br />
dure caratterizzato da forti infiltrazioni<br />
gotiche e da uno spiccato<br />
senso della melodia, atmosfere<br />
claustrofobiche ma anche<br />
oniriche, in linea con quanto già<br />
prodotto da band come Porcupine<br />
Tree e Opeth – nel corso<br />
degli anni il corpus artistico dei<br />
Riverside si è via via arricchito<br />
di elementi presi in prestito dal<br />
metal, dalla psichedelia e dal<br />
progressive rock sinfonico degli<br />
anni ’70. Love, Fear and the<br />
Time Machine rappresenta un<br />
ulteriore momento di discontinuità:<br />
tutto suona, infatti, più<br />
ovattato e distante, anche nei<br />
momenti più energici. Il focus è<br />
posto in maniera evidente sulla<br />
voce del leader Mariusz Duda,<br />
sulle melodie vocali e sui testi,<br />
anche a costo di dover abbassare<br />
sensibilmente il volume<br />
Riverside<br />
Inside Out - 2015<br />
Rock<br />
Love, FeAR<br />
AND the TIMe<br />
MACHINe<br />
Identikit<br />
TK DR Titolo<br />
1 8 Lost (Why Should I<br />
Be Frightened by a<br />
Hat?)<br />
2 8 Under the Pillow<br />
3 7 #Addicted<br />
4 7 Caterpillar and the<br />
Barbed Wire<br />
5 8 Saturate Me<br />
6 10 Afloat<br />
7 7 Discard Your Fear<br />
8 7 Towards the Blue<br />
Horizon<br />
9 9 Time Travellers<br />
10 8 Found (The<br />
Unexpected Flaw of<br />
Searching)<br />
degli amplificatori. L’ingegnere<br />
del suono ha avuto il buon<br />
gusto di alzare il volume di<br />
uscita senza le inutili esagerazioni<br />
del mainstream. Il sound<br />
è moderno, con voce piuttosto<br />
poco riverberate e una sezione<br />
ritmica composta e poco<br />
“graffiante” ma ben presente.<br />
In sostanza un lavoro godibile<br />
con un risultato tecnico non disprezzabile<br />
in assoluto e molto<br />
buono considerando il genere.<br />
Abbiamo preso in considerazione<br />
il secondo e il sesto brano<br />
della raccolta. Il primo dei due,<br />
abbastanza vario nella propria<br />
evoluzione e quindi ben rappresentativo<br />
dell’intero album,<br />
riporta le chitarre e gli organi in<br />
buona evidenza ma sempre in<br />
modo controllato (forse troppo).<br />
La seconda traccia che abbiamo<br />
analizzato, Afloat, è invece una<br />
canzone con solo voce, chitarra<br />
elettrica e organo dall’atmosfera<br />
abbastanza tranquilla. In questo<br />
caso si è raggiunto il valore<br />
massimo rilevato dal software<br />
Algoritmix: DR10.<br />
Il risultato complessivo è un<br />
ibrido malinconico, un heavy<br />
rock depotenziato in salsa<br />
new wave dove il basso e<br />
la chitarra pulita si ritagliano<br />
spazi importanti accanto alle<br />
elettriche. Tanti anni fa gli<br />
svedesi Landberk provarono a<br />
fare qualcosa di simile ma non<br />
furono capiti. Speriamo per i<br />
Riverside che il loro tentativo<br />
abbia maggiore fortuna.<br />
Paolo Carnelli<br />
traccia 2 - Under the Pillow_L<br />
traccia 6 - Afloat_L<br />
112 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />
Provate a inserire la parola<br />
“juggernaut” in un<br />
motore di ricerca: la<br />
definizione che otterrete, ovvero<br />
quella di “forza inarrestabile,<br />
reale o metaforica”, calza<br />
a pennello per questo quartetto<br />
romano formato da Andrea<br />
Carletti (chitarre), Roberto<br />
Cippitelli (basso), Matteo D’Amicis<br />
(batteria) e Luigi Farina<br />
(chitarre). La band muove i<br />
suoi primi passi nell’inverno<br />
del 2006. La ricerca artistica<br />
si indirizza verso un suono poderoso<br />
e grave che possa sintetizzare<br />
il linguaggio del metal,<br />
la violenza dell’hardcore e un<br />
immaginario gotico. Dopo la<br />
realizzazione del debut album<br />
...Where Mountains Walk<br />
(2009), però, le coordinate<br />
Juggernaut<br />
TRAMA!<br />
Subsound Records - 2014<br />
cambiano: pur mantenendo le<br />
sue caratteristiche minacciose<br />
e viscerali, la musica della<br />
band ha sviluppato un gusto<br />
cinematografico e una propensione<br />
a evocare scenari più<br />
grotteschi e surreali. Il lavoro<br />
delle due chitarre, lo spirito<br />
selvaggio ma rigoroso della<br />
batteria e l’aggiunta di un’ampia<br />
varietà di altri strumenti<br />
come glockenspiel, trombone,<br />
flicorno e tastiere vintage<br />
(Fender Rhodes e Mellotron)<br />
innalzano Trama! alle vette<br />
zheul e RIO di band apocalittiche<br />
come Present e Univers<br />
Zero, finora senza eguali nel<br />
nostro paese.<br />
In termini di qualità di ascolto<br />
va effettuata una premessa:<br />
una delle cose che più ci<br />
emoziona nel rock duro è il<br />
colpo allo stomaco, la “botta”.<br />
Quest’ultima è data dall’alternanza<br />
di piano e forte musicale<br />
o anche da colpi netti di batteria<br />
e percussioni in genere.<br />
Ecco, qui non l’abbiamo. Signori<br />
Juggernaut ringraziate<br />
Rock<br />
Identikit<br />
TK DR Titolo<br />
1 9 Via del Serpente 13,<br />
ore 20<br />
2 5 Pietra Grezza<br />
3 5 Ballo Excelsior<br />
4 5 Egregoro<br />
5 5 Crapula<br />
6 4 V.I.T.R.I.O.L.<br />
7 5 Tenet<br />
il vostro tecnico del suono che<br />
per tutta la durata dei momenti<br />
“incazzati” del vostro disco<br />
ha fatto sì che non ci sia neanche<br />
1 dB (no, dico, uno!) di<br />
dinamica. Complimenti. Ora<br />
avete un disco che suona fortissimo;<br />
peccato che in quei<br />
momenti non si percepisca<br />
bene neanche cosa diavolo<br />
stia facendo il batterista. Wow,<br />
molto trendy. Nelle parti dove<br />
la musica è più quieta si lascia<br />
apprezzare un buon mix e un<br />
discreto equilibrio timbrico.<br />
Pensavamo che il disastro perpetrato<br />
(e anche stupidamente<br />
desiderato) dai Metallica per il<br />
loro Death Magnetic del 2008,<br />
per il quale migliaia di fan si<br />
sono lamentati ufficialmente<br />
dello scempio, avesse insegnato<br />
qualcosa. Pare di no.<br />
Paolo Carnelli<br />
traccia 4 - Egregoro_L<br />
traccia 7 - Tenet_L<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 113
selector<br />
Classica<br />
Phantasm<br />
William LAWes:<br />
The ROYAL CONSORT<br />
Linn Records (CKD 470) - 2015<br />
Verso la metà del Seicento,<br />
alla corte inglese di Carlo<br />
I, uno dei più apprezzati<br />
musicisti di corte, William Lawes<br />
(1602-1645) compose, organizzò<br />
e infine raccolse una corposa collezione<br />
di musiche da danza per<br />
allietare i ricevimenti nei palazzi<br />
reali londinesi. Nessuna casa discografica<br />
o musicista si era, fino<br />
ad oggi, spinta verso una registrazione<br />
integrale di questo genere;<br />
ci ha pensato adesso il gruppo<br />
Phantasm, diretto da Laurence<br />
Dreyfus e composto da quattro<br />
violisti, Dreyfus compreso, e da<br />
una tiorbista. L’integrale è talmente<br />
corposo da non entrare in<br />
un solo CD o SACD; pertanto il<br />
secondo disco impiegato contiene<br />
anche una raccolta di Consort,<br />
ovvero di composizioni per organo<br />
positivo, suonato da Daniel Haley,<br />
il cui suono si lega perfettamente<br />
con il gruppo Phantasm a organico<br />
variabile, a cinque o sei viole<br />
o con la tiorba al posto di una<br />
di queste. Alla fine sono ben 145<br />
minuti di musica che sorprende<br />
per il suo fascino e complessità,<br />
variando a tal punto da essere, a<br />
dispetto dalla sua originaria funzione,<br />
poco ideale per danzare.<br />
In realtà ballare questi pezzi sarebbe<br />
in molti casi impossibile:<br />
le frasi composte da Lawes sono<br />
di lunghezza spesso irregolare e<br />
il ritmo cambia sovente in modo<br />
inaspettato. Tra l’altro questa caratteristica<br />
fa apparire molte delle<br />
composizioni ancora più moderne<br />
e audaci. Il suono è ricco di colori<br />
e sfumature, qualcosa da assaporare,<br />
con la tiorba di Elizabeth<br />
Kenny che dona ai ritmi una definizione<br />
supplementare. In alcuni<br />
momenti la musica si fa trascinante<br />
con le dinamiche marcate, rendendo<br />
più brillanti le sonorità. Le<br />
progressioni degli accordi vanno<br />
in direzioni inaspettate e c’è una<br />
scioltezza contrappuntistica che<br />
abbaglia nei movimenti più veloci.<br />
Una raccolta ben documentata,<br />
incredibilmente ben suonata e<br />
ben registrata. Non sarà musica<br />
propriamente danzabile ma la<br />
musicalità estroversa favorirà il<br />
buon umore dell’ascoltatore. La<br />
registrazione risulta una giusta<br />
miscela tra vivacità e sonorità<br />
più delicate e raffinate, gli archi si<br />
distribuiscono sulla scena, pure<br />
ampia, della chiesa oxfordiana,<br />
in modo ordinato e distinto, con<br />
l’entrata dell’organo positivo mai<br />
invadente ma comunque puntuale<br />
e presente nei suoi interventi.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
Scottish Chamber Orchestra<br />
MOZART: DiveRTIMeNTI<br />
Linn Records (CKD 479) - 2015<br />
IDivertimenti e le Serenate<br />
hanno un posto solitamente<br />
di secondo piano tra le composizioni<br />
del periodo classico e<br />
romantico. Nella memoria collettiva<br />
non rivestono certo, per importanza,<br />
il ruolo ricoperto dalla<br />
musica strumentale più alta (sinfonie,<br />
concerti per strumento solista,<br />
ecc.) o rispetto al repertorio<br />
operistico. La prospettiva cambia<br />
non di poco quando si tratta di<br />
composizioni di Mozart la cui<br />
inventiva e il sentimento sono<br />
presenti in quantità producendo<br />
qualcosa di molto più gratificante<br />
di un semplice intrattenimento.<br />
Anche la selezione effettuata per<br />
la produzione di questo doppio<br />
disco pare particolarmente curata<br />
e intelligente. Nella serenata<br />
K375 è stata scelta una versione<br />
successiva, del 1781, nella quale<br />
gli oboi sono sostituiti da clarinetti<br />
ma il dialogo con i corni e<br />
fagotti è semplicemente mirabile.<br />
I rapporti di volume sono ben<br />
ponderati in modo che rimanga<br />
chiaro e senza prevaricazioni l’intreccio<br />
tra le varie voci. I quattro<br />
divertimenti furono composti<br />
come musiche d’occasione da<br />
essere eseguite durante feste e<br />
banchetti nei giardini del Palazzo<br />
Arcivescovile di Salisburgo;<br />
più leggeri e lineari, rispettano<br />
comunque la classica forma sonata,<br />
risultando però delle brevi<br />
sequenze di variazioni, minuetti e<br />
così via, anche qui con clarinetti<br />
al posto di oboi, corni e fagotti a<br />
farla da padrone su brillanti tonalità<br />
maggiori. Va detto che un’alternanza<br />
nell’uso dei clarinetti<br />
con gli oboi, delle prime versioni,<br />
avrebbe reso il tutto più vario<br />
nei timbri. Ma queste scelte sono<br />
anche quelle che più distinguono<br />
questo doppio disco dalle versioni<br />
storiche registrate molti anni fa<br />
dalla Decca in mono e stereo, eseguite<br />
dai Wiener sotto la direzione<br />
di Boskovsky. Rispetto a quelle<br />
versioni antiche l’interpretazione<br />
attuale appare molto più spigliata<br />
ed esuberante, per alcuni forse<br />
persino un po’ fuori dallo stile<br />
classico. La registrazione è molto<br />
dettagliata, in Hi-Res 24/192 per<br />
catturare anche i 30 kHz delle armoniche<br />
superiori dei clarinetti<br />
ed estendere la dinamica in modo<br />
generoso. Ciononostante la brillantezza<br />
si fonde perfettamente<br />
con la dolcezza e delicatezza del<br />
programma, giusto per ricordare<br />
che sempre di musica d’intrattenimento<br />
si trattava.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
114 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
APPENA USCITI - GRANDI CLASSICI O RECUPERATI Analisi tecniche a cura di Paolo Perilli<br />
Jazz<br />
La capacità di accostare<br />
realtà e consuetudini<br />
stilistiche distanti e di<br />
Racha Fora<br />
RACHA S’MILes:<br />
TRIBute To MILes<br />
Jazz Tokyo - 2015<br />
percorrere le loro esistenze artistiche,<br />
misteriose e affascinanti<br />
ha, nel corso della storia del jazz,<br />
identificato e reso celebri grandi<br />
musicisti e l’irrequietezza del<br />
loro genio creativo. Miles Davis è<br />
stato uno dei padri di questa metodologia<br />
sperimentale che era<br />
sinonimo di rottura e astrazione<br />
da ciò che per i jazzofili, i critici<br />
e i tanti colleghi era la normale<br />
conduzione e conservazione di<br />
un linguaggio già di per sé ricco<br />
di fioriture culturali. Il quartetto<br />
Racha Fora (composto da una<br />
sezione ritmica brasiliana e restanti<br />
giapponesi) ha raccolto<br />
ed elaborato l’insegnamento<br />
del trombettista statunitense<br />
facendo migrare i suoi grandi<br />
capolavori in una dimensione<br />
ignota ma dalle grandi potenzialità<br />
espressive. Racha S’Miles:<br />
Tribute To Miles è un progetto<br />
discografico che ha come scopo<br />
quello di far rinascere il repertorio<br />
degli anni ’50 – ’60 di Miles<br />
attraverso un nuovo suono che<br />
fonda il jazz con i ritmi brasiliani<br />
nativi e che vede la straordinaria<br />
partecipazione del NEA Jazz<br />
Master Dave Liebman. Hiroaki<br />
Honshuku esprime in questo<br />
album tutto il suo amore per<br />
la “tromba di Alton” regalando<br />
otto reinterpretazioni dei brani<br />
di Miles Davis e quattro composizioni<br />
originali, dove si percepisce<br />
l’influenza degli studi avuti con il<br />
pianista e teorico George Russell.<br />
Daniele Camerlengo<br />
Hiroaki Honshuku: flute/<br />
EWI<br />
Rika Ikeda: violin<br />
Mauricio Andrade: nylon<br />
guitar<br />
Rafael Russi: electric bass<br />
Benhur Oliveira: pandeiro<br />
Special Guest: Dave Liebman<br />
- soprano sax<br />
Banda del Bukó<br />
Rosmarinus<br />
Riverberi - 2015<br />
Un esperimento sociale<br />
di attrazione di corpi<br />
sonanti, nessuna patente<br />
da esibire che li autorizzasse a<br />
esercitare il mestiere più bello del<br />
mondo, o almeno tra i più gratificanti;<br />
solo la voglia, la passione,<br />
il comune obiettivo di formare<br />
un ensemble musicale che regali<br />
gioia e sana distrazione al popolo.<br />
Il risultato è stato a dir poco sbalorditivo:<br />
appassionati neofiti,<br />
musicisti amatoriali, maestri di<br />
conservatorio, di età diverse, giovani,<br />
meno giovani, teste bianche,<br />
insieme a far musica con un’energia<br />
pazzesca, un nuovo concetto<br />
di ordine… prima la grandezza<br />
dell’uomo poi la gratificazione dei<br />
suoni e delle note. Rosmarinus è<br />
il titolo del disco d’esordio della<br />
Banda del Bukò, prima produzione<br />
di Riverberi presentata in<br />
occasione della serata inaugurale<br />
dell’edizione 2015 del prestigioso<br />
festival beneventano diretto<br />
dal trombettista Luca Aquino.<br />
Proprio il “soffiatore di ottone<br />
sannita” ha voluto scommettere<br />
su questa masnada di trenta elementi<br />
senza guida e con l’unico<br />
folle intento di trovarsi nella dimensione<br />
musicale. Un album<br />
realizzato per ricordare l’odore<br />
dei sentimenti del primo anno<br />
vissuto assieme e che contiene la<br />
dedica a Emanuele Vicerè, uno dei<br />
fondatori della banda scomparso<br />
prematuramente. Le otto tracce<br />
passano in rassegna brani tradizionali<br />
della tradizione klezmer,<br />
araba, balcanica e campana interpretati<br />
con energia, miscelando<br />
suoni e umori contagiosi a ritmi<br />
ancestrali. Difficile stare fermi,<br />
bisogna ballare, muoversi senza<br />
sosta. Alé la musique!<br />
Daniele Camerlengo<br />
Giampaolo Vicerè: Fisarmonica<br />
Fabrizio De Cunto: Tromba<br />
Stefano Cocca: Sax soprano/tenore<br />
Domenico Panella: Percussioni<br />
Giovanni Serena: Percussioni<br />
Emanuele Pontoni: Sax baritono<br />
Antonietta Rossi: Trombone<br />
Dario Spulzo: Chitarra acustica<br />
Vincenzo Sessa: Chitarra<br />
Francesco De Luca Basso: elettrico<br />
Edoardo De Cunto: Sax contralto<br />
Antonio De Luca: Sax tenore<br />
Vincenzo De Ianni: Alto sax<br />
Carlo Corso: Batteria<br />
Luca Lonardo: Percussioni<br />
Dario De Mercurio: Percussioni<br />
Mauro Terracciano: Tromba<br />
Danilo Romano: Voce-armonica<br />
Davide Zarrelli: Oboe<br />
Daniela Zuzzolo: Voce-percussioni<br />
Emanuele Vicerè: Percussioni<br />
Cristina Visconti: Voce-percussioni<br />
Sara Barbara Iengo: Voce e percuss.<br />
Francesca Mazzoni: voce e percuss.<br />
Roberta Zollo: Clarinetto e percussioni<br />
Luana Preziuso: Voce e tromba<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 115
cut ‘n’ mix concerti | cinema | libri | società | arte<br />
LAGUNA BRU di<br />
Federico Geremei<br />
A febbraio Venezia si mette in mostra e in maschera, noi ci teniamo<br />
lontani da frizzi & lazzi e vi portiamo in una cittadella della musica<br />
ottocentesca. Antichissima e moderna<br />
San Polo è il più piccolo dei quartieri<br />
– ops, sestieri – e quello<br />
in cui l’oleografia di Venezia si<br />
distilla più densa di presìdi iconografici:<br />
il ponte di Rialto sul<br />
Canal Grande, i tanti bacari, due<br />
delle Scuole Grandi. Ospita la<br />
piazza – ops (bis), il campo – con<br />
più metri quadri della città (dopo<br />
San Marco) e la chiesa con più<br />
metri cubi di tutte, la basilica dei<br />
Frari. A due passi da quest’enorme<br />
totem tridimensionale d’arte,<br />
fede e mattoni si apre una corte<br />
raccolta e silenziosa, sul campo<br />
San Stin. Alle spalle scorre<br />
il canale San Giacomo dall’Orio<br />
e in mezzo si trova il Palazzetto<br />
Bru Zane.<br />
Il contenitore è un edificio di<br />
fine Seicento, il contenuto è ricco<br />
ed il suo nucleo – immanente,<br />
tangibile, ideale e reale – è il patrimonio<br />
musicale francese del<br />
Grande Ottocento. Nato subito<br />
dopo la rivoluzione, è esploso nel<br />
1830 e s’è affievolito col primo<br />
conflitto mondiale. Un secolo<br />
abbondante di fermenti creativi<br />
con due fulcri, Parigi e Venezia.<br />
Al Palazzetto Bru Zane, Centre<br />
de Musique Romantique<br />
Française la Fondazione Bru<br />
ha affidato un compito delicato<br />
e prezioso, la riscoperta e la<br />
valorizzazione di quell’universo<br />
espressivo. Il cuore delle attività<br />
è la ricerca musicologica: si mette<br />
sulle tracce di partiture inedite<br />
o dimenticate – spulciando e<br />
confrontando archivi, contattando<br />
i discendenti dei compositori,<br />
vagliando fonti diverse – e le fa<br />
“rivivere”. Idem per libretti da<br />
116 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
catalogare e digitalizzare e altro<br />
ancora con rigorosi “cantieri di<br />
ricerca” tematici. Non compie<br />
soltanto, si fa per dire, un’opera<br />
di rinvenimento e sistematizzazione<br />
analitica, stimola il confronto<br />
tra esperti. E, soprattutto,<br />
ne rende fruibili i risultati a<br />
specialisti e non. Soddisfacendo<br />
i primi e incuriosendo i secondi<br />
con la produzione editoriale su<br />
supporti tradizionali, con l’arricchimento<br />
della mediabase e<br />
col calendario di appuntamenti:<br />
esecuzioni live al Palazzetto<br />
e fuori (una ogni dieci giorni, in<br />
media), incontri (uno al mese) e<br />
sessioni di guida all’ascolto (per<br />
i più piccoli, la domenica).<br />
Sono passati tre secoli da quando<br />
gli Zane, una delle ventiquattro<br />
famiglie tribunizie che amministravano<br />
la neonata Serenissima,<br />
vollero dotarsi di un casino nobile<br />
per l’intrattenimento colto. Tra<br />
gli antenati forse non vantavano<br />
– a dispetto degli slanci autopromozionali<br />
di alcune antiche<br />
pergamene – Vipsanio Agrippa<br />
(oui, quello del Pantheon) ma<br />
l’opulenza ha rincorso il blasone<br />
e non s’è badato a spese per le<br />
maestranze. Hanno chiamato tre<br />
star dell’epoca, talentuose e ricercate<br />
da nobili, dogi & co.: Antonio<br />
Gaspari per gli ambienti,<br />
Abbondio Stazio per gli stucchi e<br />
Sebastiano Ricci per gli affreschi.<br />
Le pitture di quest’ultimo – uno<br />
dei pionieri del barocchetto, attivo<br />
anche al Palazzo Colonna di<br />
Roma – hanno steso allegorie su<br />
pareti e volte col tema del doppio<br />
che ricorre ovunque. Nelle<br />
quattro coppie dei medaglioni<br />
(Giunone e Pan, Ercole e Giove,<br />
Mercurio e Diana, Nettuno e Anfitrite),<br />
nel Tempo che rapisce<br />
la Verità e in Ercole tra Gloria<br />
e Virtù. Dualità che riverberano<br />
quelle tra la Francia e la laguna<br />
e che fanno di questa cittadella<br />
di ricerca applicata un “corpo<br />
esterno” (ma non estraneo) nel<br />
cuore di Venezia. Locale e internazionale,<br />
discreta e iperattiva<br />
dal primo giorno. Dieci anni fa gli<br />
ultimi proprietari l’hanno ceduta<br />
e nell’autunno del 2009 ha riaperto<br />
le porte dopo un complesso<br />
restauro. Le nuove fondamenta,<br />
per esempio (e per farsi un’idea),<br />
sono state poste seguendo i dettami<br />
della Soprintendenza per<br />
rispettare le tecniche tradizionali:<br />
solo pali di larice e doppio<br />
strato di tavole. Il passato rinasce<br />
così al Palazzetto, evocato ma<br />
non ingessato. Come nelle intenzioni<br />
del regista del “Cavalier<br />
Hervé alla conquista dei Bouffes-<br />
Parisiens”, prima collaborazione<br />
tra il Palazzetto e il Teatro La<br />
Fenice: “La storia si svolge tra<br />
il Medioevo e i nostri giorni.<br />
Un sabato sera. O un martedì<br />
mattina. Ma in nessun caso il<br />
giovedì pomeriggio (perché il<br />
giovedì c’è La piste aux étoiles, lo<br />
sanno tutti). Dunque, in costume<br />
d’epoca, armatura e scarpe da<br />
ginnastica”.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 117
cut ‘n’ mix<br />
LIBRI<br />
Antonino Fontana<br />
Cane Crudo<br />
Robin Editore 264 pp. – 14 euro<br />
John Lee è un giovane artista<br />
italo-americano che,<br />
una volta ritornato in Italia,<br />
scopre nella casa della madre<br />
una foto in cui sono<br />
raffigurate quattro persone,<br />
una delle quali gli assomiglia<br />
moltissimo; gli altri<br />
tre, invece, sembrano essere<br />
Ringo Starr, Paul Mc-<br />
Cartney e George Harrison. Nella ricerca della soluzione<br />
al mistero della foto Lee intraprenderà un<br />
viaggio da Milano alla Bovesia, cuore dell’Aspromonte,<br />
tra misteri, reticoli affettivi e inspiegabili<br />
accadimenti. Il racconto, un filo ad altissima tensione,<br />
si svolge nella Calabria grecanica, a Bova, piccolo<br />
e arroccato borgo dove sono nati i “Cani Neri”,<br />
band che negli anni ’60 si esibisce a Milano cantando<br />
in cover i successi dei Beatles e che con il quartetto<br />
di Liverpool condivide irrisolti misteri. Un<br />
viaggio tra musica, ’ndrangheta e altri poteri occulti<br />
sullo sfondo declinato con ritmo incalzante dall’esordiente<br />
Antonino Fontana, personaggio polivalente<br />
che si divide tra l’attività di ebanista praticata<br />
in gioventù, quella di architetto (abbracciata, ripudiata<br />
e di nuovo abbracciata) e la scrittura…<br />
Agostino Bistarelli<br />
Robert Wyatt<br />
Different EVERY Time<br />
Giunti 448 pp. – 29 euro<br />
Robert Wyatt, nato a Bristol<br />
il 28 gennaio 1945, è uno<br />
degli artisti più rappresentativi<br />
e al tempo stesso<br />
amati dell’ormai lunga<br />
storia della musica moderna,<br />
quella uscita fuori dagli<br />
orrori della Seconda Guerra<br />
Mondiale e che, dopo la<br />
nascita del R ‘n’ R, ha saputo<br />
creare un territorio di frontiera senza rigide<br />
barriere a livello stilistico: jazz, rock, poesia, suoni<br />
d’avanguardia, rivisitazione di origine classica,<br />
blues, fremiti etnici. Insomma: un caleidoscopio in<br />
cui si ricreava un nuovo universo sonoro. Robert<br />
Wyatt, batterista/voce dei Soft Machine nei primi<br />
tre album (nel terzo c’è il capolavoro Moon in June;<br />
fu poi estromesso per l’accentuata diversità rispetto<br />
al desiderato nuovo corso, più dichiaratamente<br />
post-jazzistico), dal primo giugno 1973 è costretto<br />
sulla sedia a rotelle a causa di un incidente. Nonostante<br />
ciò ha prodotto dischi leggendari come Rock<br />
Bottom e ha cantato splendide canzoni di altri, per<br />
esempio Shipbuilding di Elvis Costello, senza mai<br />
perdere la sua connotazione di appartenenza culturale<br />
profonda, lontana dagli schemi rigidi della<br />
società britannica. La Giunti ha da poco pubblicato<br />
la sua biografia autorizzata, Different Every Time,<br />
opera di Marcus O’Dair, che ha scritto di musica per<br />
il “Guardian”, l’“Independent”, il “Financial Times” e<br />
“Jazzwise”, ed è un collaboratore regolare di BBC 6<br />
Music e BBC Radio 3. Il titolo è stato ricavato dalle<br />
prime parole della struggente Sea Song, uno dei<br />
brani manifesto del capolavoro Rock Bottom, edito<br />
il 26 luglio 1974. Lungo la strada Wyatt ha lavorato<br />
con musicisti come Brian Eno, Björk, Jerry Dammers,<br />
Charlie Haden, David Gilmour, Paul Weller, Nick<br />
Mason, Michael Mantler, Carla Bley. L’autore ha<br />
intervistato tutti loro e quasi chiunque abbia avuto<br />
un ruolo nella vita di Wyatt (o viceversa) da cinquant’anni<br />
a questa parte. Questa è la prima biografia<br />
di Robert Wyatt ed è stata scritta con la sua<br />
piena collaborazione. Così ricorda Chris Cutler,<br />
batterista degli Henry Cow: “A renderlo unico non<br />
era tanto la sua tecnica – comunque formidabile –<br />
quanto il suo approccio allo strumento e la capacità<br />
di generare parti. Robert sembrava pensare in termini<br />
di riff e melodie, il che è un pochino insolito tra i<br />
batteristi, specialmente nel rock. E poi aveva una<br />
tecnica impressionante. E i suoi assoli! Sempre qualcosa<br />
di diverso”.<br />
Comprende illustrazioni della moglie Alfreda Benge<br />
e fotografie tratte dall’archivio privato di Wyatt e<br />
Benge. Tradotto da Alessandro Achilli, giornalista<br />
e grande conoscitore dei suoni canterburyani, e<br />
con prefazione di Jonathan Coe.<br />
Guido Bellachioma<br />
Reinhard Kleist<br />
CASH - I SEE A DARKNESS<br />
BAO Publishing 224 pp. – 19 euro<br />
Esce il 18 febbraio, a distanza<br />
di dieci anni dalla sua<br />
prima pubblicazione e in<br />
una nuova edizione riveduta<br />
e corretta, con un’appendice<br />
a colori, Cash - I See<br />
A Darkness, graphic novel<br />
firmata da uno dei più originali<br />
autori di biografie a<br />
fumetti d’Europa, Reinhard<br />
Kleist. Il disegnatore e scrittore tedesco, infatti, non<br />
è nuovo a questo genere e ha realizzato diversi libri<br />
nei quali ha dato vita con le sue matite a personaggi<br />
come Lovecraft, Elvis Presley e Fidel Castro. In<br />
particolare, ha raccontato la storia di Hertzko Haft<br />
e Samia Yusuf Omar nei volumi The Boxer e Der<br />
Traum von Olympia; il primo è stato un boxeur che<br />
all’età di sedici anni riuscì a sopravvivere ai nazisti<br />
e a scappare da Auschwitz, la seconda una velocista<br />
africana che, dopo aver rappresentato la Somalia<br />
ai giochi olimpici di Beijing del 2008, è annegata<br />
nel 2012 nel tentativo di raggiungere le coste di<br />
Malta su una “carretta del mare”, in fuga dagli<br />
estremisti islamici del suo paese. La stessa sensibilità<br />
e bravura che caratterizza questi lavori è presente<br />
anche in Cash - I See A Darkness, che prende<br />
il nome dall’omonimo brano di Will Oldham, inserito<br />
da Cash nell’album American III: Solitary Man<br />
del 2000. Autentico “western dell’anima”, come<br />
qualcuno l’ha definito sul web, il libro prende le<br />
mosse dal Johnny Cash Live at Folsom Prison del<br />
1968, punto di partenza anche del film di James<br />
Mangold, Walk the Line (2006), rispetto al quale la<br />
graphic novel di Kleist si distingue per una maggiore<br />
intensità della narrazione e fedeltà ai fatti. Il<br />
libro è diviso in tre capitoli cronologici (1935 – 1956;<br />
1957 – 1967; inverno del 1968) incorniciati da una<br />
cornice circolare; il tratto di Kleist, preciso e attentissimo<br />
ai volti, accompagna ed emoziona il lettore<br />
pagina dopo pagina, sostenuto da un uso della<br />
gabbia meticoloso, ricco ma sempre intellegibile,<br />
geometrico ma affatto privo di godibili evasioni,<br />
sempre funzionali alla storia. Un’opera unica, vibrante<br />
e fascinosa, imperdibile sia per gli appassionati<br />
di Cash che per quanti desiderino scoprire<br />
per la prima volta l’affascinante storia della sua vita.<br />
Un’anteprima sfogliabile del libro è visionabile<br />
all’indirizzo http://issuu.com/baopublishing/docs/<br />
preview_cash.<br />
Francesco Bonerba<br />
118 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
L’avventuriero del Rio delle Amazzoni<br />
con la passione per il jazz<br />
Dal 25 al 28 febbraio 2016, al<br />
Cinema Massimo di Torino, va<br />
in scena la seconda edizione del<br />
Seeyousound International<br />
Music Film Festival, primo<br />
evento italiano ad essere interamente<br />
dedicato al connubio<br />
tra musica e immagini declinato<br />
attraverso il cinema e il video<br />
d’autore. “Music is the weapon”<br />
è il titolo della rassegna di film<br />
internazionali che gli organizzatori<br />
hanno selezionato per raccontare<br />
“la forza della musica<br />
come arma di aggregazione di<br />
massa”. Tra le opere presentate<br />
Don’t think I’ve Forgotten:<br />
Cambodia’s Lost Rock and Roll<br />
(2014) e They Will Have to Kill<br />
Us First, dedicati rispettivamente<br />
alla resistenza musicale che i<br />
cambogiani opposero alla furia<br />
assassina dei Khmer Rossi negli<br />
anni Settanta e alla lotta dei musicisti<br />
del Mali contro il divieto<br />
di fare musica imposto dagli<br />
islamisti radicali nel loro paese.<br />
The Night James Brown Saved<br />
Boston celebra invece il mitico<br />
concerto tenutosi a Boston il 5<br />
aprile 1968 che sedò la minaccia<br />
di un’imminente rivolta popolare<br />
dopo l’assassinio di Martin Luther<br />
King. Oltre a questa rassegna,<br />
il programma si articolerà<br />
in tre categorie – lungometraggi,<br />
cortometraggi e videoclip – che<br />
raccolgono una selezione di lavori<br />
provenienti da tutto il mondo<br />
e sempre all’insegna della mescolanza<br />
tra cinema e musica.<br />
Ulteriori informazioni su www.<br />
seeyousound.org.<br />
Francesco Bonerba<br />
“Con il jazz ho conosciuto il più<br />
grande amore della mia vita”.<br />
Una dichiarazione che ad alcuni<br />
potrebbe apparire enfatica e perfino<br />
un po’ snob. Ma se a farla è un<br />
dongiovanni come Mister No, l’eroe<br />
dei fumetti di casa Bonelli che<br />
ha spezzato il cuore a una schiera<br />
interminabile di donne meravigliose,<br />
c’è proprio da prenderla<br />
sul serio. Il famoso avventuriero,<br />
statunitense di origine ma trapiantato<br />
nella foresta amazzonica, non<br />
ha mai nascosto la sua passione<br />
viscerale per gli standard del jazz, i<br />
locali fumosi di Harlem in cui negli<br />
anni Trenta si sviluppò questo genere musicale e,<br />
naturalmente, le belle cantanti bluesche che ondeggiando<br />
davanti al microfono ti fanno sognare.<br />
A celebrare il mito di Mister No e il suo stretto<br />
legame con la musica di matrice afroamericana<br />
sono arrivati due volumi che faranno la gioia dei<br />
suoi ammiratori. Il primo è Come un romanzo.<br />
La vita spericolata di un eroe ribelle, 288 pagine<br />
a colori, un mix fra pagine in prosa e sequenze a<br />
fumetti per far raccontare al diretto protagonista la<br />
propria storia. Si comincia dagli albori, da quando<br />
cioè il nostro era un ragazzino scapestrato che vagabondava<br />
per le strade della Grande Mela e andava<br />
ad ascoltare jazz dalle uscite di<br />
servizio dei locali notturni: “Non<br />
mi stancavo mai di ascoltarlo”,<br />
ricorda Mister No, “anche frequentando<br />
quartieri dove un “fiocco di<br />
neve” come me non era ammesso”.<br />
Ed è stringendo amicizia con un<br />
certo Pete Du Bois che apprese<br />
il significato della sua canzone<br />
preferita:“mettiamo che vivi una<br />
vita da schifo, senza un lavoro né<br />
un futuro. Cioè, mettiamo che sei<br />
un nero come me. Beh, passeggiare<br />
cantando Oh When the Saints<br />
Go Marching In non risolve i tuoi<br />
guai, ma aiuta a sopportarli... ”.<br />
Il secondo libro è il monumentale Il tempio dei<br />
maya, 334 pagine, riedizione a colori in maxi formato<br />
e copertina rigida di quella che, forse, è la più<br />
avvincente avventura di Mister No. Sicuramente<br />
la più classica, visto che non manca nessuno dei<br />
suoi ingredienti tipici: l’ambientazione affascinante<br />
nell’inferno verde della foresta del Brasile,<br />
la lotta fra mille peripezie con i cattivi di<br />
turno, la difesa della cultura, della libertà<br />
e dell’ecosistema del popolo indio e le<br />
divagazioni romantiche con una ragazza<br />
incantevole, in questo caso l’archeologa<br />
Patricia Rowland. Il tutto nelle splendide<br />
tavole del miglior disegnatore di Mister<br />
No, Roberto Diso, con una colorazione<br />
che esalta il fascino variopinto della fauna<br />
e flora amazzoniche. Ad aprire la storia è<br />
proprio l’incontro con il pianista jazz Dana<br />
Winter, venuto ad esibirsi in una squallida<br />
bettola di Manaus. I Only Have Eyes for<br />
You di Harry Warren (la cui interpretazione<br />
dei Flamingos’ fu inserita nella colonna<br />
sonora del film American Graffiti) fa da<br />
prologo e chiusura al racconto. Sì, perché<br />
nel suo eterno girovagare per il mondo,<br />
Mister No, eroe cinico dal cuore tenero sul<br />
modello del Bogart di Casablanca, ha sempre avuto<br />
un punto di riferimento: le canzoni e le musiche con<br />
cui nei momenti di gioia ha espresso la sua vitalità<br />
esuberante e che, nei momenti di maggior difficoltà,<br />
lo hanno confortato riportandolo con la memoria<br />
alla sua città natale.<br />
Massimo Bargna<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio 2016 119
cut ‘n’ mix<br />
Pillole da 3000 Mcg<br />
Se lo dite VOI…<br />
Il mio regno per una scarpa o toglietemi tutto ma non la mia scarpa. O, ancora: dietro un grande uomo c’è sempre una<br />
grande scarpa. Boh… Così sembra, però, visto che il connubio tra Kendrick Lamar (due Grammy Awards nel 2015 e undici<br />
nomination nel 2016) e Reebok sarebbe “portatore sano” di “un messaggio di pace e unità” (così recita il comunicato stampa),<br />
per ricondurre alla quiete le strade di Compton e di tutte le altre città che vivono conflitti tra gang rivali. Come possa la tomaia<br />
grigia in Premium Suede e la suola Gum di una Classic Leather (la scarpa unisex di Reebok) rappresentare un simbolo di unità<br />
tra culture è cosa che rimando a chi legge, a patto di scoprire che cosa è un “premium suede” e un “gum”!<br />
Ci pensa ROCCO<br />
Ricevo (e non voglio domandarmi perché sono inserito in questa mailing listi) il seguente appello: “I ragazzi hanno<br />
il diritto di ricevere formazione su una delle cose più importanti nella vita: il sesso. Unisciti a Rocco affinché i giovani non<br />
cerchino informazione nella pornografia”. Il “Rocco” in questione è Rocco Siffredi o, come dire, una grande minchia<br />
che dà del minchione… Boh.<br />
Com’è che non riesco più a VOLARE?<br />
“Con tua moglie che lavava i piatti in cucina e non capiva, con tua figlia che provava il suo vestito nuovo e sorrideva,<br />
con la radio che ronzava, per il mondo cose strane, e il respiro del tuo cane che dormivaaaaaa!”.Secondo<br />
Red Bull (ti mette le aaaaliii) “Tutti possono provare a volare” o, almeno, è quel che sperano le squadre più creative,<br />
fantasiose e spericolate d’Italia che potranno sfidare la forza di gravità durante il Red Bull Flugtag. A me pare il volo<br />
del tacchino ma chi vuole partecipare può iscriversi fino al 13 marzo sul sito www.redbullflugtag.it.<br />
Identità e riscatto<br />
All’interno del complesso di Città della Scienza ha aperto i battenti AlmaFlegrea, la brasserie birrerie più grande di Napoli,<br />
un punto di incontro dove la musica vuole essere la vera protagonista. Il nome Alma (anima) Flegrea si riferisce ad una zona,<br />
quella Flegrea appunto, e in particolare a Bagnoli, il quartiere legato alle acciaierie, dove attraverso la musica si tenta una<br />
sorta di rinascita dopo il degrado post industriale e soprattutto dopo il grave episodio dell’incendio del 4 marzo 2013. Non<br />
solo musica, però: a parte la buona programmazione musicale si potranno gustare specialità alla brace (bracerie a carbone<br />
ecologico) accompagnate da birre spillate e artigianali di abbazia.<br />
Originali però!<br />
Il portale Aristofonte è, recito pedissequamente, “Il sito di incontri online dedicato agli uomini che cercano relazioni<br />
con donne più giovani e alle donne che prediligono gli uomini più grandi di loro”. Chi l’avrebbe mai detto? E chi meglio<br />
della protagonista dell’ultima versione cinematografica di Biancaneve può incarnare il top della virginea icona sexy<br />
nell’immaginario dei vecchi lumaconi? Per la cronaca lei è Lily Collins, mi ricorda mia nipote e questo, a mio parere,<br />
non favorisce la libido…<br />
DATEVE foco<br />
“Divo Nerone – Opera rock”(Giugno 2016) promette di essere il più sensazionale spettacolo d’intrattenimento made<br />
in Italy mai realizzato, dove i fasti dell’Impero romano rivivranno attraverso scenari tridimensionali che riprodurranno<br />
fedelmente le sontuosità architettoniche dell’epoca, ricreate nei luoghi esatti del passato dove l’imperatore<br />
visse e agì. Proiezioni immersive con spettatori e attori avvolti dall’atmosfera del periodo favoriranno un viaggio<br />
nel tempo che racconterà quattordici anni di vita del tiranno, costellato da tutti i protagonisti di allora. Un kolossal<br />
musicale messo in scena in due lingue, italiano e inglese, frutto del lavoro del vincitore di due Grammy Awards<br />
Franco Migliacci, del regista e coreografo dei più acclamati musical italiani, Gino Landi, del tre volte Premio Oscar<br />
Dante Ferretti, scenografo di grandi produzioni hollywoodiane, e della costumista Premio Oscar Gabriella Pescucci.<br />
Si accettano scommesse sulle scelte musicali, improbabile una colonna sonora di Lando Fiorini… !<br />
120 <strong>SUONO</strong> febbraio 2016
Yvette Vickers miss luglio 1959 Playboy<br />
I magIcI tempI della glorIosa<br />
golden era stanno tornando!<br />
potremo non avere lo stesso carIsma<br />
dI Yvette…<br />
… Ma sapREMO EccITaRVI UgUaLMENTE!<br />
suono 505<br />
VINILE VOLUME TERZO<br />
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Hanno collaborato<br />
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Paolo Forte, Federico Geremei, Francesco Bonerba, Franco Vassia, Guido Bellachioma, Massimo Bargna,<br />
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Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di febbraio 2016.<br />
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Audio Reference - SME 97 Mpi - Klipsch 53<br />
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High Fidelity Italia - Accuphase 77 Mpi - Sonus Faber<br />
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II Cop.<br />
Mpi - McIntosh 17<br />
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Soundissimo 7<br />
Troniteck Distribuzione 16<br />
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