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Psicologia delle Arti

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nizzazione <strong>delle</strong> aree neuronali, il capire è interno al sistema percettivo,<br />

non solo non è necessario ricorrere all’intervento dell’intelletto per<br />

la comprensione del visivo, ma occorre anche ridefinire il significato<br />

tradizionale di “intelletto”, che in psicologia esplicitamente equivale a<br />

“mente”, “cognizione”, “pensiero”, e soprattutto e per lo più implicitamente,<br />

a “linguaggio”: i processi cognitivi tradizionalmente intesi<br />

da cui è esclusa la percezione. Di fatto, in psicologia e in filosofia si<br />

continua a dire “processi cognitivi e percettivi” o “processi mentali e<br />

percettivi” – un modo di dire che tradisce un modo radicato di pensare<br />

– e si discute se il “percepire” sia o no un processo cognitivo, e se<br />

la percezione abbia o no un contenuto concettuale. Zeki, che sa bene<br />

che un modo di dire non è un semplice modo di dire, e che critica<br />

la concezione «di un occhio che vede e un cervello o intelletto che<br />

pensa», annota che «in latino intellectus vale “percezione, conoscenza,<br />

concetto”», ma per precisare che la traduzione di intelletto con brain<br />

è «una scelta intelligente» 26 . Anche senza la precisazione “intelletto<br />

uguale cervello”, l’annotazione “intellectus vale percezione” non basta<br />

a scalfire l’endiadi pensiero-linguaggio, né a rivoluzionare una tradizione<br />

fondata sulla profonda convinzione, variamente teorizzata, che<br />

intelletto e sensi stanno su fronti opposti, e che il loro consolidato<br />

rapporto è di tipo gerarchico. Così, per “la nuova concezione della<br />

visione”, mentre rimane fermo il concetto di “inferenza” teorizzato da<br />

Helmholtz – centrale in psicologia nonostante la Gestaltpsychologie –,<br />

in più si ricorre al concetto di “ipotesi” aggiunto da neohelmholtziani<br />

dichiarati come Gregory e reso popolare in storia e critica d’arte da<br />

Ernst Gombrich (il cui meritato prestigio ha convinto quasi tutti che<br />

percepire equivale a interpretare), nonché al “top down” teorizzato<br />

dal cognitivismo 27 .<br />

3 – La visione, ci dice Zeki, era considerata passiva e l’attività era<br />

tutta dalla parte del pensiero. Avevamo quindi una distinzione tra facoltà<br />

inferiori e facoltà superiori: sensi e intelletto. I dati anatomofisiologici<br />

che contribuirono a rafforzare “l’inferiorità dei sensi” sono:<br />

(1) localizzazione cerebrale della visione: la retina su cui si “imprime”<br />

l’immagine di ciò che si sta guardando è connessa con una zona specifica<br />

della corteccia; (2) punti adiacenti nella retina sono connessi a<br />

punti adiacenti nella corteccia visiva, che perciò venne chiamata retina<br />

corticale, come fosse una sorta di lastra fotografica che passivamente<br />

registra lo stimolo; (3) un danno a quest’area causa cecità totale. Poiché,<br />

in base ai dati che si avevano, si riteneva che l’area circostante<br />

alla corteccia visiva non avesse collegamenti con la retina, e poiché un<br />

danno a quest’ultima non causava cecità si sostenne che fosse proprio<br />

questa (area associativa) l’area che interpretava l’immagine impressa<br />

sulla retina. I casi di agnosia, cioè patologie che, pur essendo integra<br />

la corteccia visiva, rendono impossibile il riconoscimento visivo e la<br />

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