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<strong>SQUARE</strong><br />
USI – MAGAZINE<br />
Quadrimestrale<br />
Università della Svizzera italiana<br />
numero 20<br />
2016<br />
www.square.usi.ch<br />
Numero speciale in occasione<br />
dei 20 anni dell’USI
Square, una piazza<br />
internazionale dove<br />
si danno appuntamento<br />
professori, ricercatori,<br />
studenti, laureati e aziende.<br />
Square, ovvero al<br />
quadrato: moltiplicatore<br />
di conoscenze e<br />
competenze tra accademia<br />
e società.
COVER STORY<br />
Il 2016 segna per l’USI la cifra numero venti: ventesimo Dies academicus e venti anni da quel 21 ottobre del 1996 che vide l’inaugurazione dei<br />
corsi. Questo numero speciale di Square, che la sorte vuole sia proprio il ventesimo, da un lato racconta le ragioni e i protagonisti che condussero<br />
alla fondazione della nostra Università, dall’altro guarda avanti lungo le traiettorie del suo sviluppo. Un domani suggerito da questa immagine<br />
di copertina, che svela il volto del nuovo campus di Lugano nel 2020. Perché il futuro nasce dalla memoria.
IMPRESSUM<br />
Magazine<br />
quadrimestrale<br />
dell’Università della<br />
Svizzera italiana<br />
Università<br />
della<br />
Svizzera<br />
italiana<br />
ISSN 1664-3321<br />
RESPONSABILE DELLA<br />
PUBBLICAZIONE<br />
Servizio comunicazione<br />
e media<br />
PROGETTO E COORDINAZIONE<br />
Giovanni Zavaritt<br />
HANNO COLLABORATO<br />
A QUESTO NUMERO<br />
Silvia Cariati<br />
Robin Creti<br />
Cristina Elia<br />
Dimitri Loringett<br />
Katya Taddei<br />
PROGETTO GRAFICO<br />
Alessia Padovan<br />
Tania Vanetti<br />
CARTA<br />
Condat Silk FSC<br />
FONT<br />
Frutiger LT<br />
Simoncini Garamond<br />
STAMPA<br />
Tipografia Poncioni SA, Losone<br />
TIRATURA ANNUA<br />
19.000 Copie<br />
USCITE<br />
Inverno, estate, autunno<br />
PER ABBONARSI<br />
GRATUITAMENTE<br />
press@usi.ch<br />
Servizio comunicazione<br />
e media dell’Università<br />
della Svizzera italiana,<br />
via Lambertenghi 10A,<br />
Lugano, Ticino, CH<br />
Partner di distribuzione<br />
Tipografia partner<br />
Sponsor principale<br />
CAMERA DI COMMERCIO CANTONE TICINO
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20 2016 I www.square.usi.ch<br />
31<br />
<strong>SQUARE</strong><br />
INDICE<br />
numero 20<br />
2016<br />
IDEE<br />
2<br />
LE STORIE<br />
16<br />
COVER<br />
26<br />
FATTI<br />
36<br />
20<br />
18<br />
16<br />
14<br />
DI PROFILO<br />
12<br />
2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
44<br />
In memoria di<br />
Giuseppe Buffi<br />
Ruth Dreifuss<br />
Carole Mazzucchelli<br />
Marco Baggiolini<br />
Mario Botta<br />
Mauro Baranzini<br />
Eddo Rigotti<br />
Giorgio Giudici<br />
Mauro Martinoni<br />
Cele Daccò<br />
Albino Zgraggen<br />
Philippe Chevrier<br />
Cornelio Sommaruga<br />
I media 20 anni fa<br />
Questo numero speciale<br />
racconta le nostre origini<br />
e guarda al nostro futuro.<br />
Piero Martinoli<br />
Mauro Dell’Ambrogio<br />
Marco Borradori<br />
Mario Bianchetti<br />
Il lungo cammino per<br />
l’università nella Svizzera<br />
italiana<br />
20 anni di crescita<br />
Volti e momenti che<br />
hanno scritto la nostra<br />
storia<br />
I nostri dottori<br />
honoris causa<br />
L’USI per l’italiano:<br />
l’Istituto di studi italiani<br />
Un sogno<br />
chiamato ALaRI<br />
Ti-EDU: 20 anni<br />
al servizio della<br />
tecnologia<br />
La Fondazione per le<br />
Facoltà di Lugano:<br />
innovazione e start-up<br />
Mehdi Jazayeri
IDEE<br />
Il Ticino delle sfide e delle speranze<br />
IDEE<br />
In memoria di Giuseppe Buffi<br />
All’inizio di ogni anno accademico, studentesse<br />
e studenti provenienti da tutta la<br />
Svizzera e da oltre 100 paesi si presentano<br />
per l’immatricolazione al campus universitario<br />
di Lugano, in Via Giuseppe Buffi.<br />
Nel 2001, a un anno dalla scomparsa del<br />
Consigliere di Stato, la via della sede principale<br />
dell’Università è stata infatti intitolata<br />
a lui, incidendo così nella memoria della<br />
comunità accademica il debito di gratitudine<br />
nei confronti di uno dei suoi “padri<br />
fondatori”.<br />
Non è tuttavia solo questione di una targa.<br />
Sono i nostri stessi studenti, professori, ricercatori<br />
e collaboratori a incarnare – studiando,<br />
insegnando e lavorando “intorno”<br />
a quella targa – il retaggio vivente di Giuseppe<br />
Buffi, di uno dei suoi progetti più<br />
ambiziosi – la creazione dell’USI – e della<br />
sua esemplare lezione di coraggio politico,<br />
ispirata dal desiderio di dare alla Svizzera<br />
italiana più consapevolezza delle proprie<br />
risorse, del proprio genio “latino” e del<br />
proprio potenziale di sviluppo.<br />
Buffi era un uomo politico lungimirante,<br />
che vedeva nell’USI “la scelta del Ticino<br />
delle sfide e delle speranze”. E l’USI incarnava<br />
davvero – e incarna tuttora – la sfida e<br />
la speranza di una regione di periferia che<br />
voleva – e vuole – offrire il proprio contributo<br />
al domani di tutti, configurandosi quale<br />
terreno di conoscenza, civiltà e memoria e<br />
interpretando così al meglio il proprio destino<br />
di frontiera culturale tra l’Europa del<br />
nord e il Mediterraneo. “Si è sempre detto<br />
che il nostro Cantone è una regione ponte<br />
fra due realtà (culturali, politiche, economiche)<br />
diverse. Fino a ieri ci siamo limitati<br />
a trasportare pacchi da una parte e dall’altra<br />
del ponte. Ma ora abbiamo l’ambizione<br />
di partecipare alla formazione del loro<br />
contenuto”, diceva il Consigliere di Stato.<br />
Giuseppe Buffi seppe uscire dal<br />
modello-trappola della<br />
rivendicazione, lanciando forte e<br />
chiaro il messaggio dell’USI quale<br />
“atto d’amore della Svizzera<br />
italiana alla Svizzera intera”<br />
L’abilità di mediazione e il talento di comunicatore<br />
di Giuseppe Buffi furono determinanti.<br />
Seppe infatti uscire dal modellotrappola<br />
della rivendicazione da parte del<br />
“fratello povero”, lanciando forte e chiaro<br />
il messaggio che l’USI era, al contrario,<br />
“un atto d’amore della Svizzera italiana alla<br />
Svizzera intera”, come disse nell’intervento<br />
per l’inaugurazione dell’USI il 21 ottobre<br />
1996. Già allora il Consigliere di Stato vedeva<br />
chiaramente le enormi potenzialità<br />
del nostro progetto universitario e la sua<br />
importanza per il Cantone e la Svizzera intera,<br />
cosa che altri iniziano solo ora a comprendere<br />
fino in fondo.<br />
Un aneddoto sintetizza particolarmente<br />
bene la personalità e il carisma di Giuseppe<br />
Buffi. È accaduto in una seduta della<br />
Conferenza universitaria svizzera, a Berna,<br />
il 15 giugno del 2000, solo qualche settimana<br />
prima della sua prematura scomparsa.<br />
All’ordine del giorno figurava il riconoscimento<br />
del Ticino quale cantone universitario.<br />
Alcuni membri sollevarono qualche<br />
perplessità procedurale e Buffi intervenne<br />
in modo deciso e senza lasciare spazio
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
3<br />
a equivoci, dicendo: “L’Università della<br />
Svizzera italiana deve essere valutata con<br />
estremo rigore: non vogliamo in nessun<br />
modo che esista il minimo dubbio che il<br />
riconoscimento ci venga dato in base alla<br />
qualità dell’insegnamento e della ricerca e<br />
all’apporto dell’USI al sistema universitario<br />
svizzero, e non come atto di paternalismo<br />
verso una minoranza”. Questa attenzione<br />
alla qualità, senza ricerca di favori o<br />
di scorciatoie, è uno dei valori fondamentali<br />
che il nostro “padre fondatore” ci ha<br />
tramandato e che continuano a ispirare il<br />
nostro presente e la pianificazione del nostro<br />
domani.<br />
Agli esordi, un’altra obiezione mossa di<br />
frequente all’università in Ticino era il<br />
rischio del provincialismo, di “un’università<br />
per il quartiere di Molino Nuovo”.<br />
L’idea fu quella di trasformare<br />
il Ticino, grazie alla “spinta”<br />
universitaria, in un<br />
“luogo di opportunità”<br />
Giuseppe Buffi ha sempre detto chiaramente<br />
che con l’istituzione dell’USI l’obiettivo<br />
non era interrompere il benefico<br />
flusso di ticinesi verso le università svizzere<br />
ed estere, ma giocare la carta del flusso in<br />
entrata di studentesse e studenti da tutto<br />
il mondo. E, più in generale, trasformare<br />
il Ticino, grazie alla “spinta” universitaria,<br />
in un “luogo di opportunità”, a favore degli<br />
stessi ticinesi. Una delle preoccupazioni<br />
del Consigliere di Stato era infatti la fuga<br />
definitiva dei cervelli: giovani donne e giovani<br />
uomini brillanti che partono per gli<br />
studi e non tornano più a causa della mancanza<br />
di prospettive. Nella sua visione l’università<br />
doveva nascere anche per questo,<br />
per diventare una delle pietre angolari sulle<br />
quali costruire l’avvenire del Cantone, creando<br />
le migliori premesse per permettergli<br />
di affermarsi nel contesto confederale e per<br />
consentire alle future generazioni di lottare<br />
ad armi pari con concorrenti sempre più<br />
agguerriti in un’economia globalizzata,<br />
innescando al contempo processi di innovazione<br />
e di rigenerazione portatori di<br />
prosperità economica e di sicurezza sociale<br />
per il nostro territorio e la sua popolazione.<br />
Il 3 ottobre del 1995 il Parlamento ticinese vara la Legge sull’Università.<br />
A sinistra Giuseppe Buffi (foto Archivio del Corriere del Ticino).
IDEE<br />
A pieno titolo tra le Università svizzere<br />
Ruth Dreifuss, già Consigliera federale<br />
Estratti dai discorsi della Consigliera federale<br />
Ruth Dreifuss ai Dies academicus del<br />
1997 e del 2000.<br />
Scorrendo un bel libro sul Ticino, ho letto<br />
una riflessione di Giovanni Orelli che<br />
mi sembra illustri bene il percorso che ha<br />
portato alla creazione di questa Università:<br />
“Se è vero che il fondo del pensiero<br />
è sempre un incrocio di strade, il Ticino<br />
ha una posizione privilegiata. Ma è altrettanto<br />
vero che la ‘natura’ non basta. Non<br />
basta l’occasione: occorre che a quella occasione<br />
si dia una forma”. Il Cantone Ticino<br />
ha saputo far fruttare la sua particolare<br />
situazione di incrocio di strade – strade<br />
politiche, culturali, economiche –, individuando<br />
la via per dotarsi di un’università.<br />
Fautore di questo importante traguardo è<br />
stato il Consigliere di Stato ticinese Giuseppe<br />
Buffi, che ci ha mostrato con passione<br />
e sentimento che chi ha una meta,<br />
trova un cammino. E il suo cammino ci<br />
ha portati alla creazione dell’Università<br />
della Svizzera italiana. Buffi ha sempre<br />
rivendicato il fatto che l’USI fosse “un<br />
atto d’amore della Svizzera italiana alla<br />
Svizzera intera”: la sua creazione era infatti<br />
intesa quale contributo al progresso<br />
della conoscenza, a pari dignità culturale<br />
e scientifica rispetto alle altre università<br />
svizzere. E Berna accolse questo contributo,<br />
nella consapevolezza che il Ticino<br />
ha molto da offrire alla Svizzera in questo<br />
campo. È proprio con questo spirito<br />
che la Confederazione e la comunità accademica<br />
svizzera hanno riconosciuto il<br />
Ticino quale Cantone universitario. Il riconoscimento<br />
a Cantone universitario ha<br />
portato con sé anche molte responsabilità.<br />
Responsabilità interne, ad esempio nel<br />
consolidamento dell’università in quanto<br />
La Consigliera federale<br />
Ruth Dreifuss, allora<br />
Direttrice del Dipartimento<br />
federale dell’interno, al<br />
Dies academicus del 1997<br />
(foto Archivio del Corriere<br />
del Ticino).<br />
istituzione e nella creazione di strumenti<br />
di gestione conformi alle regole richieste<br />
dagli organi universitari svizzeri. Responsabilità<br />
nazionali, come la cooperazione<br />
con la Confederazione e con gli altri Cantoni<br />
universitari.<br />
Aprire un’università in Ticino<br />
non è un atto di chiusura,<br />
un ripiegarsi del Cantone su sé<br />
stesso. L’USI è la manifestazione<br />
di una forte volontà di apertura<br />
e collaborazione<br />
La creazione dell’USI riflette la volontà di<br />
contribuire al consolidamento dei valori<br />
italofoni in Svizzera. È un fatto: l’identità<br />
culturale della Svizzera italiana è una delle<br />
componenti identitarie del nostro Paese,<br />
occorre sostenerla. Aprire un’università<br />
in Ticino non è in alcun modo un atto di<br />
chiusura, un ripiegarsi del Cantone su sé<br />
stesso. Al contrario: l’USI è la manifestazione<br />
di una forte volontà di apertura e<br />
collaborazione. Ricordo a questo proposito<br />
la metafora del sangallese August von<br />
Gonzenbach per il quale, già nel 1848, il<br />
sistema di formazione elvetico non poteva<br />
essere simile a uno splendido brillante,<br />
capace di illuminare di luce riflessa solo il<br />
centro della Svizzera. Al contrario: la rete<br />
di istituti universitari e di ricerca doveva<br />
essere piuttosto una rete di luci interconnesse<br />
e ripartite giudiziosamente sull’insieme<br />
del territorio svizzero. Ed ecco che,<br />
con la creazione dell’USI, una nuova luce<br />
si è accesa.
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5<br />
L’USI è come un telaio<br />
Carole Mazzucchelli, laureata dell’USI e tra i primi iscritti del 1996<br />
Carole Mazzucchelli fu tra i primi studenti<br />
iscritti all’USI nel 1996, all’Accademia di<br />
architettura. In occasione del primo Dies<br />
academicus, l’8 marzo dell’anno successivo,<br />
le fu chiesto di prendere la parola e di farsi<br />
portavoce degli studenti. Ecco il testo del suo<br />
intervento.<br />
Cinque mesi sono già passati dall’inizio dei<br />
corsi. Ma l’entusiasmo iniziale non è diminuito.<br />
Anzi. L’atmosfera è sempre effervescente.<br />
L’università è un laboratorio in<br />
continua attività che ci trascina, è una fabbrica<br />
di cultura che ci bombarda ogni giorno<br />
di insegnamenti, di riflessioni, di idee.<br />
Per questo ogni giorno è un’occasione, uno<br />
stimolo per riflettere, per liberare la nostra<br />
fantasia e, in fondo, per conoscere meglio<br />
noi stessi. Einstein diceva: “Per la cultura<br />
ci sono i libri: all’università si impara a<br />
pensare”. Per noi questo è particolarmente<br />
vero. La nostra mente qui non va mai in vacanza,<br />
perché è troppo curiosa di scoprire<br />
e di capire tutto ciò che la circonda e che<br />
le viene proposto. Spesso basta una parola,<br />
un’immagine per far partire un ragionamento:<br />
perché tutto si integra, tutto concorre<br />
a formare un tessuto fitto. L’università<br />
è il telaio che intreccia i fili per creare<br />
questo tessuto. I fili verticali rappresentano<br />
la trasmissione del sapere, la comunicazione<br />
tra professori e studenti. Rappresentano<br />
le lezioni, le conferenze, i viaggi, le mostre<br />
e tutte le occasioni per imparare che ci<br />
sono date. A questo livello non c’è solo<br />
un passaggio di nozioni, bensì di modi di<br />
pensare, di esperienze proprie dei nostri<br />
maestri, del loro bagaglio di vita, di lavoro,<br />
di ricerca. C’è anche il loro entusiasmo<br />
per questa università che hanno voluto e<br />
la passione con la quale comunicano. Sono<br />
per noi delle guide carismatiche. Questo<br />
insegnamento non viene però subìto passivamente:<br />
tra studenti e università, e tra<br />
studenti stessi, c’è uno scambio fitto, una<br />
comunicazione vivace. Questi sono i fili<br />
orizzontali del nostro telaio. Ad esempio<br />
all’interno dell’Accademia di architettura<br />
dove studio c’è una vita animatissima: si<br />
studia, si discute, si fanno progetti, si lavora<br />
di giorno, di notte e anche di domenica,<br />
si stringono amicizie. Ci si confronta con<br />
culture diverse. Abbiamo compagni che<br />
vengono da lontano: da tutta Europa, dalla<br />
Russia, dall’America, e c’è sempre qualcosa<br />
da imparare.<br />
Einstein diceva: «Per la cultura ci<br />
sono i libri: all’università si<br />
impara a pensare». Per noi questo<br />
è particolarmente vero; spesso<br />
basta una parola, un’immagine<br />
per far partire un ragionamento,<br />
perché tutto si integra, tutto<br />
concorre a formare un tessuto<br />
fitto. La nostra università è così<br />
Noi studenti sentiamo di avere un ruolo<br />
attivo nella crescita di questa università, è<br />
un laboratorio sperimentale aperto alle nostre<br />
proposte. La dimensione sperimentale<br />
aumenta il nostro senso di responsabilità,<br />
perché vogliamo che questa nave sulla quale<br />
siamo saliti arrivi a destinazione. Ci rendiamo<br />
conto che con noi sta iniziando una<br />
grande avventura. L’apertura dell’università<br />
in Ticino è un evento storico, siamo orgogliosi<br />
di essere presenti e di partecipare a<br />
questo grande progetto che si sta mettendo<br />
in moto. In questa situazione ci sentiamo<br />
dei pionieri, ma di una specie protetta; ci<br />
proteggono la qualità dell’insegnamento<br />
che riceviamo e la qualità dell’organizzazione<br />
dell’università. Tutte le risorse messe<br />
in gioco sono infatti valorizzate dall’efficienza<br />
del sistema.<br />
Nell’era dell’università di massa,<br />
dove il professore si vede solo da<br />
lontano, abbiamo il privilegio di<br />
avere un contatto diretto con dei<br />
grandi maestri<br />
Nell’era dell’università di massa, dove<br />
il professore si vede solo da lontano, abbiamo<br />
il privilegio di essere in pochi e di<br />
avere un contatto diretto con dei grandi<br />
maestri. Siamo seguiti costantemente nel<br />
nostro lavoro e abbiamo grandi mezzi a<br />
disposizione. Tanti adulti mi hanno detto:<br />
“vorrei avere avuto la fortuna di frequentare<br />
un’università come la tua. Un’università<br />
che traccia un percorso di qualità per<br />
la vita e che ti insegna a fare bene ciò che<br />
ami, a fare bene il tuo lavoro”. Questo mi<br />
dà fiducia per il futuro. Quali sono le nostre<br />
aspettative? Cito la frase introduttiva<br />
del programma dell’Accademia: è di Stendhal.<br />
Egli dice: “È una vera felicità avere<br />
per mestiere la propria passione”. Io credo<br />
che questa università sia il mezzo giusto<br />
per raggiungere questo obiettivo.
IDEE<br />
Fuori programma<br />
Marco Baggiolini, primo Presidente dell’USI<br />
A una delle prime cerimonie del Dies<br />
academicus, il Rettore dell’Università di<br />
Lucerna (fondata, come l’USI, negli anni<br />
Novanta) mi ha salutato con una frase<br />
indimenticabile: “Voi avete fatto tutto<br />
nel modo giusto, noi tutto nel modo sbagliato”.<br />
C’è del vero in questa diagnosi:<br />
le prime Facoltà dell’USI hanno avuto<br />
successo sin dall’inizio e una crescita costante,<br />
mentre Lucerna ha incontrato difficoltà.<br />
Ha però ripreso vigore, dopo alcuni<br />
anni, con nuovi indirizzi formativi: la<br />
Giurisprudenza, che ha attirato numerosi<br />
studenti, e l’Economia, con prospettive<br />
analoghe. In occasione del ventesimo anniversario,<br />
voglio presentare tre brevi storie<br />
di “evoluzione creativa”, nate già nel<br />
primo decennio su iniziativa degli addetti<br />
ai lavori – docenti e studenti impegnati –<br />
con rilevante impatto per la formazione e<br />
la ricerca scientifica.<br />
In occasione del ventesimo<br />
anniversario, voglio presentare tre<br />
brevi storie di “evoluzione<br />
creativa”, nate già nel primo<br />
decennio su iniziativa degli addetti<br />
ai lavori – docenti e studenti<br />
impegnati – con rilevante impatto<br />
per la formazione<br />
e la ricerca scientifica<br />
La Finanza. Pietro Balestra, già docente a<br />
Ginevra e Digione, è il primo Decano di<br />
Scienze economiche. È coinvolto negli insegnamenti<br />
quantitativi e promuove il settore<br />
della finanza. Stabilisce relazioni con<br />
Giovanni Barone Adesi, noto studioso<br />
all’Università dell’Alberta, in Canada, che<br />
lascia le Montagne Rocciose per trasferirsi<br />
all’USI. Lo Swiss Finance Institute nasce<br />
in quegli anni. Offre un valido programma<br />
dottorale in tre sedi coordinate: Lugano,<br />
Ginevra/Losanna e Zurigo. Il precoce<br />
riconoscimento di Lugano anticipa una<br />
notevole presenza di dottorandi, assistenti<br />
e giovani docenti all’USI, approdati poi in<br />
altre sedi svizzere e in grandi atenei esteri,<br />
in particolare Oxford, Harvard, Johns<br />
Hopkins e North West. Il successo della<br />
finanza, a pochi anni dalla fondazione<br />
dell’USI, non passa inavvertito. Il rinomato<br />
ateneo di San Gallo bandisce sei<br />
concorsi internazionali per professori di<br />
finanza. Sono tutti vinti da docenti dell’U-<br />
SI, che sembra avere riserve illimitate.<br />
Quattro vincitori ancora insegnano all’ateneo<br />
sul Rosenberg. Alcune rose hanno<br />
ancora il profumo dell’USI.<br />
La Facoltà di scienze informatiche. Nel<br />
2000, anno delle prime lauree, l’Università<br />
affronta un periodo di crescita e diversificazione.<br />
Nel ruolo di Presidente, considero<br />
varie linee di possibile sviluppo e in<br />
particolare due discipline eleganti, dialettiche<br />
e di grande richiamo generale: la matematica<br />
e l’informatica. Consulto Mehdi<br />
Jazayeri, direttore del Dipartimento d’informatica<br />
alla Technische Universität di<br />
Vienna e docente all’USI, che propende<br />
per l’informatica, che considera attuale e<br />
più promettente per l’USI. “L’informatica<br />
– mi dice – è una materia bellissima!<br />
Pervade aree sempre più vaste e rilevanti<br />
Il primo Presidente dell’USI Marco Baggiolini nel<br />
corso del primo Dies academicus, l’8 marzo 1997<br />
(foto Archivio del Corriere del Ticino).
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
7<br />
nella vita di oggi. Ha enormi opportunità<br />
di crescita, ma fatica ad attirare gli studenti<br />
migliori. So come risolvere il problema:<br />
si deve riformare rigorosamente la<br />
didattica adeguandola alle vere necessità<br />
della disciplina”. Sono parole dell’unico<br />
informatico al mondo che ha ottenuto i<br />
due più importanti riconoscimenti per<br />
meriti nell’insegnamento dell’informatica:<br />
il Distinguished Educator Award di IEEE<br />
TCSE e l’Influential Educator Award di<br />
ACM SIGSOFT. Jazayeri intende massimizzare<br />
lo sforzo formativo, con una facoltà<br />
e una didattica create apposta per<br />
l’informatica. Il progetto piace al Consiglio<br />
dell’Università, che conclude, con<br />
manzoniano accento, “questa facoltà s’ha<br />
da fare”. Due futuri decani, Mehdi Jazayeri<br />
e Michele Lanza, e con loro quattro<br />
nuovi professori, elaborano il piano didattico<br />
per un triennio di Bachelor unico nel<br />
suo genere, orientato ai fondamenti della<br />
disciplina: la progettazione, l’architettura<br />
del software, la teoria delle tecnologie, la<br />
modellazione e l’analisi della complessità,<br />
la visione di sistema, la pratica del lavoro<br />
di gruppo. Lo studio della teoria è<br />
uno strumento fondante, è regolarmente<br />
attualizzato e sistematicamente accompagnato<br />
dalla pratica della programmazione,<br />
con progetti di crescente complessità. Gli<br />
studenti imparano ad applicare i concetti<br />
acquisiti e ne sperimentano le funzioni.<br />
I corsi iniziano nel 2004 e nel 2014 l’informatica<br />
conta all’USI 24 professori, 39<br />
assistenti con dottorato, 122 dottorandi<br />
e 174 studenti di Bachelor e Master.<br />
In soli dieci anni, la Facoltà cresce con<br />
enorme successo in otto aree diverse e ottiene<br />
finanziamenti esterni per la ricerca<br />
scientifica che ammontano a 45 milioni.<br />
Nel campo dell’ingegneria del software,<br />
l’USI è ormai riconosciuta come uno<br />
dei maggiori poli mondiali. Con i centri<br />
d’informatica del Politecnico di Zurigo,<br />
di Oxford e di Cambridge, la nostra, giovanissima,<br />
Facoltà raggiunge i vertici della<br />
classifica di Microsoft Academic Alliance.<br />
ISI, l’Istituto di studi italiani. L’interesse<br />
per attività di formazione e ricerca in<br />
Lingua e Letteratura italiana si manifesta<br />
durante la pianificazione del quadriennio<br />
2004-2007. Matura così l’idea di un Istituto<br />
di studi italiani, una struttura formativa<br />
e scientifica più che opportuna nell’unico<br />
ateneo italofono al di fuori d’Italia.<br />
Nel 2005, l’Università affida la direzione<br />
dell’Istituto di studi italiani a Carlo Ossola,<br />
professore di Letterature moderne<br />
dell’Europa neolatina al Collège de<br />
France, che ne avvia la realizzazione con<br />
due studiosi da lui scelti, Piero Boitani,<br />
ordinario di Letterature comparate alla<br />
Sapienza di Roma, e Corrado Bologna, ordinario<br />
di Filologia romanza a Roma Tre,<br />
oltre al Presidente dell’USI. Il gruppo elabora<br />
un percorso formativo orientato alla<br />
Civiltà italiana e ispirato alle Fine Arts –<br />
Lettere, Arti e Musica –, il lascito prezioso<br />
della cultura italiana. I corsi iniziano nel<br />
2007 con un biennio di Master.<br />
Docenti di alto profilo scientifico e respiro<br />
internazionale sono chiamati a Lugano<br />
con posizioni di visiting professor. Appartengono<br />
tutti al Collegio dei docenti, con<br />
il Direttore, i professori di ruolo e alcuni<br />
giovani docenti, ricercatori e dottorandi<br />
che completano il corpo insegnante. Con<br />
questo modello, l’Istituto è l’unico in Europa<br />
a percorrere con docenti distinti tutti<br />
i secoli della letteratura italiana, oltre alle<br />
forme e alle pratiche in cui le Lettere italiane<br />
sono tràdite: storia dei generi, storia<br />
della critica, storia della lettura, storia dei<br />
manuali e dell’insegnamento, eccetera. Il<br />
Collegio dei docenti si riunisce due volte<br />
all’anno per definire i programmi di Bachelor,<br />
Master e Dottorato. Ha funzioni<br />
consultive per la didattica e per i progetti<br />
di ricerca e i suoi membri esterni sono<br />
spesso impegnati nell’accompagnamento<br />
di singoli dottorandi dell’Istituto. I primi<br />
tre cicli di Master (2007-08, 2008-09,<br />
2009-10) si segnalano per l’interesse degli<br />
studenti e per la qualità della formazione,<br />
incoraggiando nuovi sviluppi. Nel 2009<br />
debutta il Dottorato dell’ISI e nel 2012 il<br />
Dottorato confederale in Civiltà italiana,<br />
diretto dall’ISI e finanziato dalla Conferenza<br />
universitaria svizzera. È aperto a<br />
dottorandi di Lingua e Letteratura italiana,<br />
Arti e Musica di atenei svizzeri, italiani<br />
e di altri paesi. Nel 2012 esordisce anche<br />
il triennio di Bachelor, che completa l’offerta<br />
didattica dell’Istituto.<br />
Il successo è costante e considerevole: da<br />
12 studenti di Master nel 2007 si giunge a<br />
160 nel 2015, per il Bachelor, il Master e<br />
il Dottorato. A otto anni dal suo esordio,<br />
l’ISI è così il più grande istituto di italianistica<br />
in Svizzera. La sua crescita non<br />
avviene a detrimento di altre sedi. Si spiega<br />
piuttosto con il crescente interesse di<br />
studenti della Svizzera italiana e con le<br />
esigenze di giovani motivati dall’eccellenza<br />
e in cerca di un’adeguata risposta accademica.
IDEE<br />
Le sette idee a fondamento dell’Accademia<br />
Mario Botta, Accademia di architettura<br />
1. Per una nuova sintesi. Una scuola<br />
universitaria non è solo un luogo della<br />
didattica: è anche un luogo chiamato<br />
a ospitare la cultura più avanzata di un<br />
determinato campo del sapere. Per una<br />
scuola di nuova fondazione, è opportuno<br />
che questo ruolo culturale si sposi a<br />
un forte spirito innovativo per diventare<br />
un sismografo privilegiato dei problemi<br />
della propria epoca. Quando, negli anni<br />
Novanta del secolo da poco finito, fu elaborato<br />
il progetto per una nuova scuola di<br />
architettura come prima facoltà dell’USI,<br />
ci si interrogò su come farne un autentico<br />
laboratorio della cultura architettonica.<br />
Quali erano le grandi questioni poste<br />
alle discipline progettuali nell’epoca della<br />
postmodernità e della globalizzazione?<br />
Era chiaro come l’Accademia non potesse<br />
essere soltanto una nuova scuola, ma<br />
dovesse proporsi come una scuola nuova.<br />
Decidemmo che a caratterizzarla sarebbe<br />
stata una forte impronta umanistica: una<br />
nuova sintesi tra saperi tecnici e scienze<br />
umane e sociali, tra competenze operative<br />
e pensiero storico e critico. Avremmo così<br />
ottenuto anche una sintesi geo-culturale,<br />
avvicinando le tradizioni umanistiche mediterranee<br />
alle tradizioni tecniche prevalenti<br />
a nord delle Alpi.<br />
2. La visione interdisciplinare. Gli aspetti<br />
contestuali e storici, paesaggistici e sociali<br />
sono temi centrali in una definizione<br />
umanistica della cultura progettuale.<br />
Fin dall’inizio, con Aurelio Galfetti, primo<br />
Direttore della scuola, coniammo la<br />
definizione di “architetto territoriale”,<br />
figura di sintesi per un progetto attento<br />
all’impatto sul territorio e alla cura<br />
del paesaggio, alla morfologia urbana e<br />
all’impegno ecologico, alla responsabilità<br />
etica e al rapporto con la memoria<br />
culturale dei luoghi. Si tratta di un impegno<br />
che apre incondizionatamente a<br />
un processo interdisciplinare che vuole<br />
spingere l’interesse degli architetti verso<br />
le frontiere delle differenti discipline.<br />
La nostra è una sintesi<br />
geo-culturale, che avvicina<br />
le tradizioni umanistiche<br />
mediterranee alle tradizioni<br />
tecniche prevalenti<br />
a nord delle Alpi<br />
3. L’importanza delle personalità. Nel<br />
nostro tempo, spesso a torto, talvolta a<br />
ragione, si è diffuso un vero e proprio<br />
“culto dell’autore”. Agli esordi dell’Accademia<br />
abbiamo scelto quindi di far leva<br />
sulla qualità del corpo docente, garantendoci<br />
di volta in volta la collaborazione dei<br />
migliori rappresentanti del dibattito architettonico<br />
contemporaneo. Tra i primi<br />
a formare il gruppo di progettisti figurarono<br />
Galfetti, Zumthor e Koulermos. Per<br />
gli insegnamenti di storia e teoria dell’arte<br />
e dell’architettura vennero chiamati Dal<br />
Co, Frampton e Szeemann, cui seguirono<br />
altre figure autorevoli: da Bertelli a Reichlin,<br />
da Gubler a von Moos e Settis, sino<br />
all’attuale gruppo di teorici coordinato da<br />
Christoph Frank. Per la cultura del territorio<br />
abbiamo avuto personalità come Benevolo,<br />
Solà-Morales, Rykwert, Jacquard<br />
e Petrella, per la filosofia Cacciari e Agamben,<br />
per la fotografia Basilico e Toscani.<br />
Alla forte interdisciplinarità di questi<br />
protagonisti del mondo culturale, corrisponde<br />
una forte diversità dei linguaggi<br />
degli architetti responsabili dei singoli<br />
atelier di progetto, che negli anni hanno<br />
animato il ricco arcipelago internazionale<br />
di Mendrisio, dal Portogallo all’Austria,<br />
dall’Irlanda al Sudafrica con basi ben solide<br />
in Svizzera e nel nostro Ticino. Ciò<br />
che balza all’attenzione è l’identità di una<br />
scuola che dà spazio ai protagonisti delle<br />
differenti discipline e dei diversi linguaggi<br />
progettuali. La nostra condizione geografica<br />
di frontiera viene così a trasformarsi<br />
in una condizione di centralità culturale.<br />
4. Un laboratorio dell’internazionalismo<br />
critico. All’internazionalità dei docenti<br />
corrisponde l’internazionalizzazione degli<br />
studenti: Europa occidentale e dell’Est,<br />
area mediterranea, America latina, Estremo<br />
Oriente (oggi l’Accademia registra<br />
studenti da oltre 40 paesi). Sarebbe tuttavia<br />
un errore vedere in questo profilo<br />
internazionale il preludio a una sorta di<br />
omologazione culturale. Al contrario, la<br />
diversa provenienza degli architetti professori<br />
sollecita riflessioni che connettono<br />
ogni volta la pratica architettonica a peculiari<br />
culture e condizioni operative. In tal<br />
senso possiamo definire l’Accademia un<br />
laboratorio dell’internazionalismo critico<br />
teso a confrontarsi con il “territorio della<br />
memoria”.<br />
5. Necessità dell’architetto generalista.<br />
L’indirizzo pionieristico dell’Accademia<br />
ha portato a interrogarsi sulla figura<br />
dell’architetto. La denominazione “Accademia<br />
di architettura” è già un modo per<br />
distinguerla dai politecnici di Losanna<br />
e Zurigo. Rispetto all’attenzione per le<br />
competenze tecnico-scientifiche che pre-
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9<br />
vale nei politecnici, a Mendrisio abbiamo<br />
immaginato un programma pedagogico<br />
“controcorrente”: formare una nuova figura<br />
di architetto generalista che aggiornasse<br />
la visione umanistica che per lungo<br />
tempo ha prevalso soprattutto nell’area<br />
culturale mediterranea. Sulla scorta delle<br />
migliori tradizioni disciplinari abbiamo ritenuto<br />
auspicabile far convergere nell’architetto<br />
odierno abilità composite, che<br />
spaziano dal progetto di costruzione alla<br />
cultura del territorio, dall’immaginazione<br />
plastica al sapere artigiano, dal riuso del<br />
patrimonio storico all’ideazione di nuovi<br />
scenari tipologici. Come ha ricordato Muthesius,<br />
noi interpretiamo il fatto architettonico<br />
“dal cucchiaio alla città”, tenendo<br />
vive l’aspirazione propria del Movimento<br />
Moderno all’opera d’arte totale (Gropius),<br />
l’istanza di moralità (Giedion) e<br />
la valenza etico-sociale perseguita da Le<br />
Corbusier, ma anche il controllo costruttivo<br />
proprio del modo raffinato di Mies van<br />
der Rohe o quello ipersensibile di Scarpa.<br />
6. Territori della memoria. Il colpevole<br />
del degrado delle città e dei paesaggi contemporanei<br />
è lo smarrimento dei grandi<br />
modelli di insediamento e trasformazione<br />
dello spazio fisico depositati nella nostra<br />
memoria culturale. Da qui l’importanza di<br />
ripartire dalle lezioni che ci vengono dalla<br />
città e dal paesaggio europei. La velocità<br />
delle trasformazioni in atto suggerisce di<br />
confrontarsi con i territori della memoria<br />
come struttura stessa del fatto progettuale.<br />
In Accademia, questo rinnovato rapporto<br />
con il “passato come un amico”,<br />
come disse Louis Kahn, è perseguito con<br />
l’attenzione al riuso del patrimonio architettonico,<br />
i numerosi atelier di progettazione<br />
dedicati ai temi del costruire nel già<br />
costruito, l’insistenza sulle categorie del<br />
contestualismo urbano, gli insegnamenti<br />
di storia e teoria...<br />
Noi interpretiamo il fatto<br />
architettonico “dal cucchiaio alla<br />
città”, tenendo vive l’aspirazione<br />
propria del Movimento Moderno<br />
all’opera d’arte totale (Gropius),<br />
l’istanza di moralità (Giedion)<br />
e la valenza etico-sociale<br />
perseguita da Le Corbusier<br />
Mario Botta e Aurelio<br />
Galfetti consultano il<br />
programma dei corsi, il<br />
21 ottobre del 1996, in<br />
occasione dell’apertura del<br />
primo anno<br />
accademico (foto Archivio<br />
del Corriere del Ticino).<br />
7. La doppia anima della Svizzera. L’Accademia<br />
di architettura è nata in un momento<br />
storico in cui il dibattito culturale<br />
poté trovare terreno fertile nella “doppia<br />
anima”, locale e internazionale, della Svizzera.<br />
L’impostazione internazionale del<br />
corpo docente rappresenta uno dei tratti<br />
positivi della Svizzera, paese spesso tentato<br />
di innalzare barriere verso l’esterno,<br />
ma anche capace di aprirsi alla dimensione<br />
europea e internazionale. La nascita<br />
dell’Accademia rappresenta uno dei momenti<br />
in cui la Svizzera mostra al meglio<br />
la sua doppia anima, provinciale e insieme<br />
cosmopolita.
IDEE<br />
Rigore e autorevolezza: per Economia<br />
il buon giorno si vide dal mattino<br />
Mauro Baranzini, già Decano e membro del Comitato ordinatore per la Facoltà di scienze economiche<br />
Gli storici dell’economia ci insegnano<br />
che le rivoluzioni industriali, questi balzi<br />
in avanti della società economica e civile,<br />
arrivano ogni 60-70 anni e non in modo<br />
continuativo. In effetti, affinché ci sia una<br />
vera rivoluzione industriale o dei servizi<br />
occorre che simultaneamente si verifichi<br />
tutta una serie di condizioni favorevoli. È<br />
un po’ come l’arrivo dei funghi in autunno:<br />
occorre che ci sia la giusta temperatura nei<br />
boschi, la giusta umidità, magari anche la<br />
luna favorevole, e questa concomitanza di<br />
fattori fa la felicità dei cercatori di funghi.<br />
Affinché ci sia una vera<br />
rivoluzione industriale o dei<br />
servizi occorre che<br />
simultaneamente si verifichi<br />
una serie di condizioni favorevoli.<br />
È un po’ come l’arrivo dei funghi<br />
in autunno: occorre che ci sia la<br />
giusta temperatura nei boschi, la<br />
giusta umidità, magari anche la<br />
luna favorevole. Questo accadde<br />
per il nostro Cantone e per la<br />
Svizzera italiana dalla fine degli<br />
anni Ottanta fino all’inizio<br />
di questo millennio<br />
La stessa cosa potremmo dire che è accaduta<br />
per il nostro Cantone e per la Svizzera<br />
italiana dalla fine degli anni Ottanta<br />
fino all’inizio di questo millennio: improvvisamente<br />
sono state realizzate iniziative<br />
di ampio respiro culturale e scientifico<br />
come l’Università della Svizzera italiana<br />
e la Scuola Universitaria Professionale<br />
(SUPSI), la Facoltà di Teologia di Lugano,<br />
il Centro studi bancari di Villa Negroni a<br />
Vezia, il Cardiocentro, il Centro Svizzero<br />
di Calcolo, l’IRB, lo IOSI, solo per citare i<br />
più importanti.<br />
Affinché tutto questo potesse permettere<br />
al nostro Cantone di riscattare secoli di<br />
arretratezza occorrevano uomini politici<br />
di grande respiro (come il Consigliere di<br />
Stato Giuseppe Buffi, il Sindaco di Lugano<br />
Giorgio Giudici, il Dottor Giorgio Salvadè),<br />
uomini di cultura determinati (Mario<br />
Botta, Don Eugenio Corecco, Claudio<br />
Mésoniat), oltre a un gruppo ristretto di<br />
esecutori convinti della rilevanza dell’operazione<br />
(Mauro Martinoni, Renzo Respini,<br />
Mauro Dell’Ambrogio, Albino Zgraggen e<br />
diversi altri ancora).<br />
Tra le facoltà iniziali non poteva mancare la<br />
Facoltà di scienze economiche. Intanto perché<br />
Lugano era pur sempre la terza piazza<br />
finanziaria svizzera e non da meno perché<br />
il paese in quegli anni stava registrando<br />
una forte espansione nel settore non solo<br />
finanziario, ma anche amministrativo in generale.<br />
Il Municipio di Lugano, propulsore<br />
delle due facoltà luganesi, nominò subito<br />
un Comitato scientifico nell’attesa di poter<br />
presentare alle autorità cantonali e alle autorità<br />
accademiche federali un progetto di<br />
università che unisse le buone qualità delle<br />
“facoltà sorelle” svizzere e allo stesso tempo<br />
un orientamento tipico delle università<br />
commerciali come la Bocconi o l’Università<br />
di San Gallo. Il gruppo di lavoro arrivò<br />
con un piano che soddisfaceva in buona<br />
parte queste aspettative, ma prevalse, in<br />
seconda battuta, la consapevolezza che era<br />
necessario avere un curriculum molto simile<br />
a quello delle facoltà di economia svizzere,<br />
sia per favorire la mobilità degli studenti<br />
sia per formare in modo opportuno<br />
le giovani leve che un domani si sarebbero<br />
ritrovate sul mercato del lavoro ticinese e<br />
svizzero in generale. Il gruppo di lavoro<br />
riuscì a chiamare a Lugano come docenti<br />
grossi nomi a livello internazionale che<br />
diedero un impulso immediato e notevole<br />
di grande rigore accademico. Potremmo<br />
per esempio menzionare due futuri rettori<br />
dell’Università Bocconi di Milano (Angelo<br />
Provasoli e Guido Tabellini), diversi docenti<br />
“di grido” dell’Università Cattolica<br />
di Milano e della Bocconi (tra i quali Luigi<br />
Pasinetti, Roberto Scazzieri, Vittorio Coda<br />
e il futuro ministro dei Beni culturali e<br />
Rettore dell’Università Cattolica Lorenzo<br />
Ornaghi) e soprattutto studiosi importanti<br />
che insegnavano in università svizzere<br />
(Pietro Balestra, Elvezio Ronchetti, Marco<br />
Borghi, Alvaro Cencini). La collaborazione<br />
del Prof. Borghi con la Facoltà di scienze<br />
economiche fu preziosa in quanto egli era<br />
non solo ordinario di diritto all’Università<br />
di Friburgo, ma sedeva anche nel Consiglio<br />
svizzero della scienza.<br />
Com’è noto, inizialmente le autorità politiche<br />
e scientifiche federali rifiutarono il<br />
progetto ticinese e, in occasione del rientro<br />
da una burrascosa riunione avuta con<br />
la Conferenza dei rettori delle università<br />
svizzere, l’Onorevole Giuseppe Buffi ebbe<br />
a dire che se Berna non ci avesse aiutato<br />
finanziariamente, il Ticino sarebbe partito<br />
in ogni caso con la sua Università della<br />
Svizzera italiana. Il giorno sucecssivo i giornali<br />
ticinesi, eravamo nel 1994, recavano il<br />
titolo “Porte chiuse per l’USI a Berna”. La<br />
bontà del progetto presentato alle autori-
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11<br />
tà federali e soprattutto la qualità dei docenti<br />
chiamati a insegnare a partire dal 21<br />
ottobre del 1996 convinse poi le autorità<br />
federali ad accoglierci tra le altre università<br />
svizzere, la qual cosa significava una fonte<br />
di finanziamento importante. Tutto questo<br />
avvenne grazie a due rapporti positivi rilasciati<br />
da una commissione internazionale<br />
ad hoc che venne a Lugano e a Mendrisio<br />
a “farci le pulci” e a verificare la qualità<br />
dell’insegnamento e della ricerca.<br />
Anche in questo contesto le scelte del Comitato<br />
scientifico delle Facoltà di Lugano<br />
si rivelarono quanto mai appropriate in<br />
quanto le commissioni esaminatrici nominate<br />
dalle autorità federali includevano<br />
personaggi di statura internazionale al di<br />
sopra di ogni sospetto, come ad esempio<br />
il Prof. Jacques Drèze dell’Università di<br />
Lovanio, che – guarda tu i casi della vita<br />
– conosceva bene almeno due professori<br />
presenti a Lugano, in particolare Pietro<br />
Balestra e Luigi Pasinetti.<br />
Sia per la sua statura scientifica<br />
internazionale sia per il suo<br />
attaccamento al nostro Cantone,<br />
Pietro Balestra venne nominato<br />
dal Comitato scientifico primo<br />
Decano della Facoltà<br />
Sia per la sua statura scientifica internazionale<br />
sia per il suo attaccamento al nostro<br />
Cantone, Pietro Balestra venne nominato<br />
dal Comitato scientifico primo Decano<br />
della Facoltà (1997-2001). Il suo rigore, la<br />
sua autorevolezza, la sua totale avversione<br />
a giochi di nepotismo gli permisero di far<br />
decollare la Facoltà nel migliore dei modi,<br />
chiamando a Lugano diversi professori di<br />
levatura internazionale, stimolando i professori<br />
e i ricercatori, incitando i giovani<br />
ben preparati a proseguire nella ricerca;<br />
senza rinunciare a offrire delle lezioni nel<br />
campo quantitativo che lo avevano già fatto<br />
apprezzare in atenei americani ed europei.<br />
Se il buon giorno si vede dal mattino,<br />
il contributo nei primi quattro anni della<br />
Facoltà del Decano Pietro Balestra ha<br />
senz’altro tracciato una linea di rigore e di<br />
autorevolezza indispensabile per una giovane<br />
università. Sarebbe poi toccato ai suoi<br />
successori rafforzare questa impostazione.<br />
A sinistra il Prof. Pietro<br />
Balestra con la<br />
Consigliera federale<br />
Ruth Dreifuss, in<br />
occasione del Dies<br />
academicus del 1997.<br />
Qui a fianco un momento<br />
dell’affollata lezione<br />
di commiato del<br />
Prof. Mauro Baranzini,<br />
l’11 dicembre 2014,<br />
intitolata “Economia<br />
e società civile: tra<br />
passato sostenibile<br />
e un futuro incerto”<br />
(foto Ti-press).
IDEE<br />
Fra audacia e responsabilità,<br />
Scienze della comunicazione<br />
Eddo Rigotti, primo Decano della Facoltà di scienze della comunicazione<br />
Percepii la forza delle idee costitutive<br />
dell’USI prima ancora di arrivare a Lugano.<br />
Fui infatti chiamato a commentare il<br />
progetto di base delineato dal Comitato<br />
ordinatore, il team di studiosi incaricato<br />
di impostare le due Facoltà luganesi. In<br />
un incontro tenuto a Palazzo dei congressi,<br />
a me spettò di discutere del progetto<br />
previsto per Scienze della comunicazione,<br />
accanto al Prof. Luigi Pasinetti che commentò<br />
il progetto di Scienze economiche.<br />
In quella circostanza sottolineai alcuni<br />
aspetti delle proposte formulate dal Comitato<br />
per Scienze della comunicazione<br />
che si rivelarono poi, anche nel tempo,<br />
preziosi.<br />
La visione era quella di<br />
sviluppare un nesso virtuoso tra<br />
gli insegnamenti nell’ambito<br />
aziendale e quelli solitamente<br />
confinati in ambito letterario e<br />
culturale, con un’attenzione<br />
importante anche agli aspetti<br />
tecnologici della comunicazione<br />
In particolare mi colpì l’intento di tenere<br />
strettamente intrecciate due dimensioni<br />
che in quegli anni, nel contesto delle<br />
nascenti Scienze della comunicazione,<br />
erano concepite come, se non antitetiche,<br />
sicuramente alternative: la dimensione organizzativa<br />
e quella umanistica. L’ipotesi<br />
era quella di sviluppare un nesso virtuoso<br />
tra le discipline dell’ambito aziendale<br />
e istituzionale e quelle tradizionalmente<br />
confinate nel campo umanistico. Un connubio<br />
inedito e dalle prospettive tuttora<br />
molto stimolanti e non del tutto esplorate,<br />
arricchito in seguito da un’attenzione<br />
importante agli aspetti tecnologici della<br />
comunicazione.<br />
Su queste basi, allo stesso tempo elementari<br />
ma pionieristiche, la Facoltà mi affidò<br />
il compito di primo Decano. “Noi di<br />
Comunicazione” introducemmo nello sviluppo<br />
del progetto un ingrediente che reputo<br />
tuttora indispensabile per chi voglia<br />
dar vita a una nuova realtà sociale: il rilievo<br />
della parola “responsabilità”, declinata secondo<br />
i tre referenti fondamentali di ogni<br />
istituzione universitaria. Innanzitutto, responsabilità<br />
nei confronti degli studenti,<br />
che sono – non bisogna mai dimenticarlo<br />
– i nostri veri e principali “portatori di interesse”:<br />
nessuno di noi voleva rassegnarsi<br />
all’idea di una Facoltà “fabbrica di disoccupati”,<br />
cioè di intellettuali difficilmente<br />
integrabili nel mondo del lavoro. Il nostro<br />
impegno nei loro confronti fu quindi fin<br />
dall’inizio quello di investire nella serietà<br />
della didattica, tenendo sempre in considerazione<br />
l’appetibilità dei profili, nel<br />
contesto di un mondo professionale che<br />
iniziava a essere estremamente mutevole.<br />
In secondo luogo, reputavamo essenziale<br />
la responsabilità nei confronti della<br />
comunità scientifica: la Facoltà ambiva<br />
dichiaratamente a farsi promotrice di un<br />
nuovo discorso scientifico, di una nuova<br />
epistemologia del campo investigato, capace<br />
di produrre ricerca a livello internazionale;<br />
una conferma di questo fu senza<br />
dubbio la fondazione della rivista Studies<br />
in Communication Sciences, ma non meno<br />
lo sviluppo di importanti progetti di ricerca.<br />
In terzo luogo, apparve chiaro come<br />
la Facoltà dovesse impegnarsi a favore del<br />
suo territorio, della sua comunità civile di<br />
Eddo Rigotti negli anni<br />
Novanta (Foto Archivio<br />
del Corriere del Ticino).
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13<br />
riferimento, in un’accezione di responsabilità<br />
superiore a quella delle tesi moralistiche<br />
o ideologiche: la nostra accezione<br />
di responsabilità verso il territorio ispirò<br />
una precisa impostazione della formazione<br />
linguistica, ovvero il plurilinguismo. La<br />
nostra Facoltà si faceva in questo modo<br />
promotrice di uno dei tratti fondanti della<br />
Confederazione, offrendo corsi di lingua<br />
e di cultura sia tedesca sia francese, nella<br />
convinzione che non ci si potesse appiattire<br />
esclusivamente sull’inglese. Questo<br />
triplice senso di responsabilità generò un<br />
proposito complessivo ambizioso, quello<br />
di mettere in luce e sviluppare la ricchezza<br />
scientifica e professionale del ruolo della<br />
comunicazione nei molteplici contesti<br />
culturali e sociali.<br />
Su queste basi, allo stesso tempo<br />
elementari e pionieristiche,<br />
aggiungemmo al progetto una<br />
componente che reputo tuttora<br />
molto importante: il rilievo della<br />
parola responsabilità<br />
A rischio di sembrare utopica, la nostra<br />
Facoltà ha osato perseguire una concezione<br />
visionaria, puntando a essere interdisciplinare<br />
e multiculturale. Interdisciplinare<br />
perché – come indica il plurale<br />
con il quale abbiamo voluto designare la<br />
nostra Facoltà, appunto di Scienze della<br />
comunicazione – non si può pretendere di<br />
mettere a fuoco il fatto comunicativo con<br />
una sola lente: questo ambito del sapere è<br />
infatti ontologicamente plurale e la nostra<br />
scommessa consiste proprio nella valorizzazione<br />
di questa pluralità, che genera in<br />
chi la studia una naturale propensione a<br />
un atteggiamento critico e la ricerca di<br />
una visione di insieme. Multiculturalità,<br />
in particolare perché nella formazione<br />
della faculty non ci siamo chiusi in una<br />
singola prospettiva culturale, ma siamo<br />
stati capaci di coinvolgere nel progetto<br />
– i fatti lo dimostrano – anime illustri<br />
provenienti da contesti tradizionalmente<br />
estranei tra loro. La multiculturalità della<br />
faculty è condizione indispensabile per la<br />
multiculturalità dei curricula e della ricerca.<br />
Eravamo impegnati a un’apertura senza<br />
riserve a ogni ipotesi seria.<br />
In relazione alla comunità civile di riferimento,<br />
è per me assai viva la memoria di<br />
due personalità prematuramente scomparse<br />
che hanno accompagnato e sostenuto<br />
la formazione e lo sviluppo della<br />
nostra Facoltà, ma che vanno anche sicuramente<br />
considerate tra i padri fondatori<br />
di tutta l’Università della Svizzera italiana:<br />
Giuseppe Buffi e Giorgio Salvadè. Oltre<br />
ad aver ricoperto ruoli centrali, rispettivamente<br />
in quanto direttore del Dipartimento<br />
della cultura, dell’educazione<br />
e dello sport nel governo cantonale e in<br />
quanto municipale responsabile del Dicastero<br />
della cultura della Città di Lugano,<br />
essi seppero ideare e realizzare, ciascuno<br />
nel suo esecutivo, piste innovative nelle<br />
politiche dell’alta formazione e della ricerca.<br />
Sorretta dall’intelligenza e dalla cordialità<br />
di queste e altre figure, la Facoltà riuscì a<br />
consolidare la sua immagine nel contesto<br />
universitario elvetico. Nelle sue politiche<br />
si riconoscono tre costanti che reputo<br />
fondamentali e che spero continuino a<br />
essere fonte di ispirazione. La prima è il<br />
forte legame con la Facoltà “gemella” di<br />
scienze economiche: siamo nati insieme<br />
e insieme siamo cresciuti, sostenendoci a<br />
vicenda con programmi congiunti a livello<br />
di formazione e di ricerca, che hanno<br />
saputo sfruttare l’unicità di ciascuna delle<br />
due facoltà. La seconda è l’importanza<br />
data alla dimensione umanistica: l’Istituto<br />
di studi italiani non è semplicemente<br />
“parcheggiato” tra i nostri istituti, ma, a<br />
mio modo di vedere, segna con la sua presenza<br />
proprio l’importanza centrale della<br />
cultura senza la quale gli studi in comunicazione<br />
perdono il loro spessore. La terza<br />
e ultima costante è una sorta di incoraggiamento<br />
ai ricercatori, giovani o navigati<br />
che siano, ad ambire a visioni capaci di<br />
aprire spazi di indagine nuova e libera,<br />
rifuggendo dalla tentazione delle piccole<br />
messe a fuoco.<br />
Queste furono (e in parte sono)<br />
le nostre forze. La nostra storia<br />
parte da qui: spirito<br />
d’impresa nell’intraprendere<br />
sentieri nuovi, istinto<br />
di responsabilità e apertura<br />
Queste sono state (e in parte sono) le nostre<br />
forze. La nostra storia parte da qui:<br />
spirito d’impresa nell’intraprendere sentieri<br />
nuovi, sentimento di responsabilità<br />
e apertura. Credo che possiamo esserne<br />
ragionevolmente fieri.
IDEE<br />
Quei princìpi alla base della nostra informatica<br />
Mehdi Jazayeri, primo Decano della Facoltà di scienze informatiche<br />
La Facoltà di scienze informatiche dell’U-<br />
SI nasce da una scommessa: l’obiettivo,<br />
magari un po’ visionario, del piccolo gruppo<br />
di colleghi che mi ha accompagnato<br />
nella sua fondazione era di dare un autentico<br />
scossone alla tradizione. Avevamo in<br />
mente di innovare radicalmente il modo<br />
stesso di insegnare informatica. Sentivamo<br />
il bisogno di rispondere in modo nuovo e<br />
migliore alle esigenze del mercato del lavoro.<br />
Volevamo evidenziare la bellezza e<br />
l’eleganza della disciplina in modo da coinvolgere<br />
nuove generazioni di studenti. Ed<br />
è così che è nata l’idea – in controtendenza<br />
rispetto al mercato svizzero ed europeo –<br />
di creare un nuovo percorso di studi, capace<br />
di superare un modello che ormai stava<br />
perdendo colpi e, soprattutto, studenti.<br />
Avevamo in mente di innovare<br />
dalle radici il modo stesso di<br />
insegnare la disciplina.<br />
Sentivamo il bisogno di<br />
rispondere in modo nuovo e<br />
migliore alle esigenze del mercato<br />
del lavoro. Avevamo chiara la<br />
necessità di portare alla luce la<br />
bellezza e l’eleganza<br />
della disciplina<br />
Insieme ai primi colleghi, Alexander<br />
Wolf, Antonio Carzaniga, Michele Lanza,<br />
Amy Murphy e Fernando Pedone, abbiamo<br />
quindi allestito un programma ispirato<br />
a un approccio ingegneristico fondato<br />
su quattro pilastri che riteniamo essenziali.<br />
Il primo è la teoria: le fondamenta<br />
teoriche della disciplina, che sono state<br />
gettate nel corso del ventesimo secolo o<br />
anche prima, ci permettono ancora oggi di<br />
migliorare le capacità del calcolo automatico<br />
e allo stesso tempo di vederne i limiti.<br />
La conoscenza di queste basi da parte degli<br />
studenti resta dunque per noi centrale. Il<br />
secondo pilastro è la tecnologia: l’informatica<br />
è un settore in perpetua evoluzione,<br />
caratterizzato da rapidi e profondi cambiamenti<br />
tecnologici. È quindi importante che<br />
gli studenti siano allenati a questo esercizio<br />
di dinamismo, che acquisiscano una totale<br />
familiarità con gli ultimi ritrovati della tecnologia,<br />
ma anche che imparino ad analizzarne<br />
i difetti e a comprendere le esigenze<br />
alla base del cambiamento stesso. Questi<br />
due princìpi sono strettamente legati: la<br />
teoria infatti aiuta a inventare nuove tecnologie,<br />
il cui uso efficace poi richiede spesso<br />
l’elaborazione di nuove teorie.<br />
Abbiamo allestito un programma<br />
ispirato a un approccio<br />
ingegneristico, fondato su quattro<br />
pilastri: la teoria, la tecnologia, il<br />
pensiero sistemico<br />
e il lavoro di squadra<br />
Il terzo pilastro del nostro sistema formativo<br />
è il cosiddetto Systems thinking, ovvero<br />
il pensiero sistemico: l’informatica è<br />
oggi un componente essenziale di molti sistemi<br />
sociali, economici e persino politici.<br />
Gli studenti devono quindi sviluppare la<br />
capacità non solo di costruire un artefatto<br />
tecnologico intelligente e affidabile, ma<br />
anche di comprenderne la ragion d’essere
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15<br />
nel contesto del sistema in cui la tecnologia<br />
opera.<br />
Il quarto e ultimo pilastro è quello della<br />
comunicazione e del lavoro di squadra: i<br />
progetti nel campo tecnologico sono infatti<br />
per loro natura interdisciplinari e richiedono<br />
un grande lavoro di relazione e<br />
di scambio tra i diversi membri della squadra,<br />
che spesso provengono da discipline<br />
piuttosto diverse. Il successo dei progetti<br />
dipende spesso proprio dalle capacità di<br />
comunicazione dei singoli e per questo è<br />
fondamentale che i nostri studenti sappiano<br />
comunicare idee, problemi e risultati<br />
nel modo più efficace possibile.<br />
Al fine di mettere in pratica concretamente<br />
questi quattro princìpi, abbiamo ideato<br />
il concetto di atelier: ogni semestre, tutti<br />
gli studenti sono tenuti ad affrontare un<br />
progetto reale, gestito in team, con un approccio<br />
sistemico e con l’uso critico delle<br />
tecnologie più all’avanguardia. L’istituzione<br />
di un atelier impostato in questo modo<br />
costituisce la vera innovazione apportata<br />
dal nostro progetto formativo all’insegnamento<br />
dell’informatica; un’innovazione<br />
amata dagli studenti e apprezzata dalla<br />
comunità scientifica internazionale, che<br />
l’ha premiata con due tra i più importanti<br />
riconoscimenti del settore: l’ACM<br />
SIGSOFT Influential Educator Award nel<br />
2012 e l’IEEE CS TCSE Distinguished<br />
Educator Award nel 2013.<br />
Come nelle migliori tradizioni accademiche,<br />
la forza nell’insegnamento deriva da<br />
e si combina con una spiccata attenzione<br />
alla ricerca. Indicativi del grande lavoro<br />
svolto in questo settore sono le oltre<br />
70mila citazioni raggiunte (solo dal 2008)<br />
dai professori della Facoltà all’interno<br />
della letteratura accademica scandagliata<br />
da Google Scholar, i più di 50 premi scientifici<br />
attribuiti a ricercatori della Facoltà,<br />
gli oltre 45 milioni ottenuti grazie ai finanziamenti<br />
competitivi alla ricerca scientifica,<br />
ma soprattutto gli oltre 100 dottorandi<br />
provenienti da quasi 30 paesi che animano<br />
i nostri gruppi di ricerca. Una vitalità<br />
sulla quale pochi avrebbero investito nel<br />
2004 quando fondammo la Facoltà e che<br />
ora caratterizza l’identità stessa di tutta<br />
l’Università della Svizzera italiana.<br />
Nelle immagini, da sinistra: il cantiere dell’edificio<br />
che ospita la Facoltà di scienze informatiche, in uno<br />
scatto del 2003; la “sfilata” dei primi professori al Dies<br />
academicus del 2004; il Prof. Mehdi Jazayeri nel corso<br />
dello stesso Dies (foto Ti-press).
STORIE<br />
Giorgio Giudici<br />
“L’equilibrio propulsore”<br />
STORIE<br />
Giorgio Giudici, Sindaco di Lugano per<br />
29 anni, ha promosso e trascinato la<br />
Città in numerosi progetti, ponendo le<br />
basi perché potesse ambire a competere<br />
con le maggiori città elvetiche. Quello<br />
dell’USI è stato probabilmente uno dei<br />
suoi progetti più impegnativi, insieme<br />
alla più recente grande aggregazione e al<br />
polo culturale.<br />
Architetto, dopo i vari tentativi andati a<br />
vuoto, quando ha capito che il nome di Lugano<br />
si sarebbe per davvero potuto associare<br />
a quello di Università?<br />
Fu nel 1991 a Poschiavo, in occasione delle<br />
celebrazioni per i 700 anni della Confederazione.<br />
Flavio Cotti, ultimo Consigliere<br />
federale della Svizzera italiana, tenne<br />
un discorso memorabile sull’ambizione<br />
necessaria a questa parte della Svizzera, al<br />
suo ruolo potenziale tutto ancora da costruire.<br />
In quello stesso periodo Giuliano<br />
Bignasca iniziava – a suo modo – a prospettarmi<br />
la possibilità di un nuovo progetto<br />
che riuscisse a superare le difficoltà<br />
incontrate da quelli precedenti. Unendo<br />
le due cose, intravvidi la possibilità di una<br />
fase diversa e decisi quindi come prima<br />
cosa di bloccare la destinazione urbanistica<br />
dell’appena rinnovato Centro civico,<br />
ovvero del vecchio ospedale, adibendolo<br />
a sede di un ancora ipotetico campus.<br />
E poi, come prese forma concretamente il<br />
progetto accademico?<br />
Prese forma nel mio grottino in via Monte<br />
Brè, alle spalle del campus, in un modo<br />
che definirei quasi un po’ carbonaro.<br />
Dopo i diversi progetti falliti e i molti interessi<br />
politici in ballo rispetto a un progetto<br />
di questa portata, la preoccupazione<br />
fu infatti quella di non far arenare la nave<br />
ancora prima che vedesse l’acqua. Nel<br />
1992 la Lega vinse con il vento in poppa le<br />
elezioni comunali e mi trovai in Municipio<br />
una persona del calibro di Giorgio Salvadè.<br />
Fu così che nel citato grottino incominciammo<br />
a incontrare un piccolo gruppo<br />
di professori di comprovato livello:<br />
Mauro Baranzini, Sergio Cigada, Remigio<br />
Ratti e Lanfranco Senn. A parte qualche<br />
giornalista come Claudio Mésoniat, del<br />
nostro progetto non sapeva nulla nessuno.<br />
Approdammo all’idea che per Lugano le<br />
facoltà più indicate fossero Scienze della<br />
comunicazione per il suo valore innovativo<br />
e Scienze economiche per il suo chiaro<br />
valore territoriale e per la presenza della<br />
piazza finanziaria.<br />
Con delle radici che pochi conoscono…<br />
Sì, in realtà i legami tra Lugano e un polo<br />
scientifico nel campo dell’economia come<br />
l’Università Bocconi di Milano erano forti<br />
già dagli anni Ottanta e giocarono un<br />
ruolo importante nella vicenda dell’USI.<br />
Si deve il tutto a Giovanni Spadolini: tra le<br />
sue numerose e importanti cariche Spadolini<br />
fu infatti anche Presidente della Bocconi<br />
(dal 1976 al 1994) e proprio in quegli<br />
anni da Milano era solito visitare spesso il<br />
Ticino, per via della figura di Carlo Cattaneo,<br />
della relativa Associazione e della<br />
presenza qui a Lugano del Circolo Culturale<br />
Nuova Antologia (ancora attivo), al<br />
quale lo stesso Spadolini era molto legato<br />
per via della prestigiosa rivista Antologia
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17<br />
di Firenze. Nel corso dei nostri diversi incontri<br />
mi provocava di frequente: “Perché<br />
non facciamo qualcosa insieme?”. Fu anche<br />
grazie a questo legame che potemmo<br />
coinvolgere nell’elaborazione del nostro<br />
progetto professori del calibro di Angelo<br />
Provasoli e Vittorio Coda; fu anche grazie<br />
a questo che la Bocconi ci diede accesso al<br />
suo ricco sistema bibliotecario e che ancora<br />
oggi il Rettore dell’università milanese<br />
siede di diritto nel Consiglio della Fondazione<br />
per le Facoltà di Lugano.<br />
Nel frattempo anche altri progetti si stavano<br />
però muovendo.<br />
Parallelamente al nostro, il progetto di<br />
Mario Botta per una Accademia di architettura<br />
in Ticino stava facendo importanti<br />
passi avanti, anche grazie al supporto del<br />
Consigliere di Stato Giuseppe Buffi. Si<br />
trattava di un ottimo progetto, forte e al<br />
momento giusto, ma che poneva in essere<br />
alcune problematiche che non fu facile<br />
gestire. Nonostante ai fini del successo<br />
fosse indispensabile intrecciare le sorti<br />
delle due iniziative, le due si muovevano<br />
da presupposti diversi: Botta e Buffi<br />
avevano infatti in mente un’università<br />
pubblica statale, il nostro approccio era<br />
invece volto a un importante contributo<br />
da parte dei privati.<br />
Oltre a questo, c’era poi nell’aria un problema<br />
di politica e di intricati interessi a<br />
livello comunale, fatto di certo non nuovo<br />
in Ticino, che vedeva molti spingere per<br />
avere Architettura a Lugano, altri immaginare<br />
funzionali alla Città altre Facoltà.<br />
Il rischio di “collisione ideologica” era<br />
grande, ma con un po’ di fortuna e una<br />
buona dose di pragmatismo politico salvammo<br />
la situazione. Da un lato, grazie a<br />
Mauro Martinoni, Mauro Dell’Ambrogio<br />
e – ci tengo a ricordarlo – Roberto Ritter<br />
della Città di Lugano, trovammo la finezza<br />
giuridica grazie alla quale far coesistere<br />
sotto l’unico cappello dell’USI “pubblica”<br />
anche la Fondazione per le Facoltà<br />
di Lugano, con la sua dote da parte della<br />
Città di dieci milioni, di cui uno dal Cantone;<br />
dall’altro, il Municipio di Mendrisio<br />
guidato da Carlo Croci scese in campo offrendo<br />
Palazzo Turconi e altrettanti dieci<br />
milioni per ristrutturarlo e accogliere così<br />
l’Accademia nel Borgo. In questo modo,<br />
invece di incartarci tra ideologie e campanilismi,<br />
la “piattaforma” di base dell’Università<br />
si estese, consolidandosi.<br />
Senza un approccio fondato<br />
non sulle ideologie ma sugli<br />
obiettivi non saremmo qui a<br />
parlare di USI.<br />
Verso la metà degli anni<br />
Novanta riuscimmo in un<br />
atto raro per questo Cantone,<br />
ovvero un equilibrio propulsore<br />
capace di cogliere il meglio<br />
dai diversi interessi coinvolti.<br />
Penso sia stato possibile<br />
grazie a una fortunata<br />
costellazione di persone aperte<br />
e dinamiche, innamorate del<br />
loro lavoro e della loro terra<br />
Uno dei tratti costitutivi dell’USI, verrebbe<br />
da dire, sembra essere il pragmatismo e l’agilità<br />
istituzionale. Concorda?<br />
Certamente, senza un approccio fondato<br />
non sulle ideologie ma sugli obiettivi non<br />
saremmo qui a parlare di USI. Verso la<br />
metà degli anni Novanta riuscimmo in un<br />
atto raro per questo Cantone, ovvero un<br />
equilibrio propulsore capace di cogliere il<br />
meglio dai diversi interessi coinvolti. Penso<br />
sia stato possibile grazie a una fortunata<br />
costellazione di persone aperte e dinamiche,<br />
innamorate del loro lavoro e della<br />
loro terra. Senza dubbio in molte cose io e<br />
Giuliano Bignasca la pensavamo in modo<br />
differente, ma ci ha unito l’amore per la<br />
nostra Città e la volontà che l’Università<br />
ne portasse il nome in giro per il mondo.<br />
Le idee di Giorgio Salvadè furono spesso<br />
in perfetta antitesi rispetto alle mie, ma si<br />
creò tra di noi quella chimica strana che<br />
unisce le persone abituate a costruire prima<br />
che a giudicare. L’attuale Segretario<br />
generale Albino Zgraggen credo sia l’espressione<br />
più evidente di questo approccio,<br />
che – per definizione – ha bisogno di<br />
poche parole per essere spiegato.
STORIE<br />
Mauro Martinoni<br />
“Incoscienza, slancio e un colpo di teatro”<br />
Mauro Martinoni, dalla sua posizione di<br />
responsabile della Divisione studi universitari<br />
del Cantone, ha visto e fatto nascere<br />
il progetto dell’USI in tutte le sue<br />
fasi. Ha convinto gli attori, mediato tra<br />
le loro personalità, gettato le basi amministrative<br />
per tenere in equilibrio Berna,<br />
Bellinzona, Lugano e Mendrisio.<br />
Mauro Martinoni, l’idea di università in<br />
Ticino ha una storia ben più lunga di quella<br />
dell’USI.<br />
Prima dell’USI, il più recente e strutturato<br />
tentativo di avviare un ateneo in Ticino,<br />
dopo essere stato approvato dal Gran<br />
Consiglio, fu bocciato pesantemente tramite<br />
referendum popolare nel 1986. Si<br />
trattava del CUSI, il Centro universitario<br />
della Svizzera italiana. Era previsto avere<br />
sede presso Villa Negroni a Lugano e proporre<br />
un’offerta di formazione continua,<br />
con un focus sulla politica economica e<br />
sullo sviluppo regionale. Purtroppo o per<br />
fortuna non convinse nessuno. Più tardi,<br />
nel 1992, Giuseppe Buffi mi nominò<br />
– testualmente – “Delegato ai problemi<br />
universitari”, ruolo che accettai volentieri<br />
con l’unica condizione di poter cambiare<br />
nome alla mia funzione: i “problemi” divennero,<br />
in modo meglio augurante, “studi”<br />
e da lì si partì a spron battuto verso la<br />
definizione di un nuovo progetto.<br />
Come nacque quindi il progetto dell’USI?<br />
La bocciatura del CUSI non fermò la tenacia<br />
del Consigliere di Stato Giuseppe<br />
Buffi, anzi. La mossa del Vescovo di Lugano<br />
Eugenio Corecco, che nel 1991 spiazzò<br />
tutti con l’annuncio della nascita della<br />
Facoltà di Teologia, lo convinse ancora<br />
di più ad accelerare i tempi. Da grande<br />
tessitore di relazioni qual era, si attivò su<br />
due fronti: a nord, attraverso la presenza<br />
in Ticino del Centro Stefano Franscini al<br />
Monte Verità, strinse contatti importanti<br />
con il Politecnico di Zurigo; a sud, puntò<br />
sull’Università di Pavia, anche grazie<br />
ai forti legami con la Svizzera del Rettore<br />
dell’epoca, Schmid. “In patria” lo sforzo<br />
più grande fu invece quello di tenere ben<br />
legati i due progetti che stavano muovendo<br />
i propri passi in modo parallelo. Da<br />
una parte Mario Botta che, rispondendo a<br />
una sollecitazione del Prof. Roland Crottaz<br />
del Consiglio dei Politecnici, stava<br />
pensando a un innovativo progetto di formazione<br />
in architettura, capace di superare<br />
l’approccio ingegneristico in voga nella<br />
Svizzera interna; dall’altra la Città di Lugano<br />
con la triade Giudici, Bignasca e Salvadè<br />
che, grazie al sostegno di un gruppo<br />
di professori, era convinta che fosse il momento<br />
di cogliere l’attimo e fondare sul<br />
Ceresio le Facoltà di scienze economiche<br />
e scienze della comunicazione. Ci volle un<br />
po’ di ingegno a trovare un equilibrio, in<br />
quanto si trattava di progetti diversi nella<br />
filosofia di fondo (di carattere pubblico il<br />
primo e privato il secondo), che facevano<br />
capo a protagonisti dalla personalità forte<br />
e non sempre inclini ai compromessi. Fatto<br />
sta che un compromesso lo trovammo,<br />
da un lato grazie a un gioco di regolamenti<br />
che garantiva l’autonomia reciproca e<br />
allo stesso tempo l’unità giuridica, dall’altro<br />
grazie alla mossa della Città di Mendrisio<br />
di donare 10 milioni per accogliere<br />
la futura Accademia nel Borgo, sciogliendo<br />
definitivamente le ultime controversie<br />
sulla sede delle diverse Facoltà.<br />
E Berna di tutto questo cosa pensava?<br />
Innanzitutto bisogna capire di quale Berna<br />
si voglia parlare, in quanto nel nostro<br />
caso ne esistettero almeno quattro: quella<br />
dell’Amministrazione e del Consiglio<br />
federale, quella del Parlamento, quella<br />
della Conferenza universitaria svizzera (la<br />
CUS, che riunisce i Consiglieri di Stato<br />
cantonali coinvolti nei dossier universitari)<br />
e quella del Consiglio svizzero della<br />
scienza, un organo che all’epoca aveva<br />
importanti funzioni di accreditamento. Se<br />
l’Amministrazione e il Consiglio federale<br />
furono da subito molto positivi e aperti rispetto<br />
al nostro progetto, non andò nello<br />
stesso modo con la CUS, che fu dapprima<br />
restia all’idea e poi ufficialmente contraria,<br />
tant’è che il Corriere del Ticino titolava<br />
ancora nell’ottobre del 1994 “Porte<br />
chiuse all’ateneo, pollice verso della Conferenza<br />
universitaria svizzera al riconoscimento<br />
dell’USI”. Le loro argomentazioni<br />
erano principalmente due e riguardavano<br />
la sostenibilità economica complessiva del<br />
sistema universitario svizzero e la governance<br />
“particolare” accennata sopra, che<br />
necessariamente avevamo dovuto costruire<br />
per permettere al progetto di partire in<br />
modo compatto. Da parte nostra eravamo<br />
perfettamente consapevoli che la soluzione,<br />
criticata anche in Ticino da persone<br />
autorevoli, non fosse l’optimum, ma per<br />
riprendere una metafora conosciuta si<br />
può dire che se questa volta riuscimmo a<br />
saltare sul treno che avrebbe portato l’Università<br />
nel nostro Cantone, fu proprio
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grazie a un po’ di incoscienza e una valigia<br />
fatta di corsa, nella convinzione di riuscire<br />
a recuperare un pigiama e uno spazzolino<br />
da denti una volta in viaggio. Così in effetti<br />
fu e anche la CUS alla fine cambiò idea.<br />
Come avete fatto?<br />
Fu ancora una volta un piccolo capolavoro,<br />
questa volta un po’ teatrale, da parte di<br />
Giuseppe Buffi. Nel maggio del 1995 fu<br />
organizzata una visita ufficiale a Lugano<br />
e Mendrisio, che sulla carta doveva essere<br />
una riunione operativa di routine per<br />
presentare ancora una volta alcuni aspetti<br />
del nostro progetto. I delegati furono<br />
invece accolti a sorpresa, in uno dei migliori<br />
grotti del Mendrisiotto, dal Gotha<br />
del mondo accademico lombardo, ovvero<br />
dai rettori delle università di Milano, di<br />
Pavia e della Bocconi. Ricordo ancora un<br />
passaggio di Buffi: “Voi pensate che il Ticino<br />
sia un bel balcone affacciato sull’Africa,<br />
invece si affaccia innanzitutto sulla<br />
Lombardia e oggi mi sono preso la licenza<br />
di invitare a pranzo i rettori dei migliori<br />
atenei della regione (e dell’Italia), che da<br />
soli ospitano più di tutti gli studenti della<br />
Svizzera nel suo insieme. L’USI potrebbe<br />
diventare il ponte naturale capace di favorire<br />
gli scambi e le relazioni tra i nostri<br />
due mondi”. L’impatto fu notevole.<br />
Poi partì quindi la domanda formale.<br />
Sì, nel novembre del 1995 e quindi con<br />
tempi strettissimi, avendo l’intenzione di<br />
aprire i corsi nel 1996. Importanti in questa<br />
fase furono due persone: da un lato<br />
il Prof. Edo Poglia, allora direttore del<br />
Consiglio svizzero della scienza; dall’altro,<br />
in Consiglio federale, Ruth Dreifuss e il<br />
suo capo gabinetto (purtroppo defunto)<br />
Gerhard Schuwey. Capii di che pasta fosse<br />
fatta “Madame Dreifuss” una mattina<br />
alla stazione di Airolo, in occasione dell’inaugurazione<br />
del Centro Biologia Alpina<br />
di Piora. Aspettavamo l’arrivo della delegazione<br />
e del convoglio federale, lei invece<br />
scese – da sola e con lo zaino in spalla<br />
– dal treno. Il rapporto con lei fu sempre<br />
così, semplice e diretto: sbloccò i fondi federali<br />
in via provvisoria, prima ancora che<br />
la trafila della domanda fosse conclusa e<br />
noi venissimo riconosciti ufficialmente dal<br />
Consiglio federale, cosa che avvenne solo<br />
nel 2000 con il conferimento delle prime<br />
lauree.<br />
Il primo giorno di lezione, il<br />
21 ottobre del 1996, a<br />
Mendrisio. Da sinistra,<br />
Aurelio Galfetti, Mauro<br />
Martinoni, Mauro<br />
Dell’Ambrogio, Hans<br />
Bühlmann, Giuseppe Buffi e<br />
Mario Botta (foto Ti-press).
STORIE<br />
Cele Daccò<br />
“Un progetto per emancipare la Svizzera italiana”<br />
Cele Daccò, classe 1919, è la più importante<br />
sostenitrice del progetto universitario<br />
della Svizzera italiana. Grazie alla sua<br />
generosità, è stato possibile dare avvio<br />
all’edificazione del campus di Lugano e il<br />
suo impegno è continuato negli anni con<br />
numerose borse di studio per giovani ricercatori,<br />
con il finanziamento di progetti<br />
di ricerca e attualmente con il sostegno<br />
alla cattedra in Computational Biology,<br />
un settore tutto rivolto al futuro. L’abbiamo<br />
incontrata nella sua serra a Montagnola,<br />
tra clivie e camelie.<br />
Quale fu il suo primo contatto con il progetto<br />
dell’USI?<br />
Il mio legame con l’USI nacque in modo<br />
indiretto e avvenne per via di un progetto<br />
parallelo: quello della Facoltà di Teologia<br />
di Lugano. La storia parte da lontano, ma<br />
vale la pena ripercorrerla brevemente.<br />
L’allora Vescovo Eugenio Corecco aveva<br />
in mente la costituzione di un polo di formazione<br />
teologica di livello universitario.<br />
Un progetto bello dal profilo etico e sociale,<br />
ma ambizioso dal punto di vista finanziario,<br />
per il quale egli era riuscito tuttavia<br />
a trovare un importate finanziatore residente<br />
in Ticino e soprattutto il placet di<br />
Papa Giovanni Paolo II. Il problema fu<br />
che il Vaticano – una volta entrato nella<br />
disponibilità del fondo – decise di allocare<br />
le ingenti risorse a un’altra causa, ovvero<br />
la ristrutturazione del convento di Santa<br />
Marta a Roma, adibito a dimora di riflessione<br />
per i cardinali al termine del proprio<br />
mandato. Mi appassionai alla vicenda, in<br />
quanto la memoria di mio marito – scomparso<br />
nel 1976 – teneva alta, tra le mie<br />
priorità, l’attenzione alla formazione dei<br />
giovani e allo sviluppo di una regione<br />
come il Ticino. Mi fu presentato il Vescovo<br />
Corecco, già allora purtroppo molto<br />
malato, e mi ricordo bene il nostro primo<br />
incontro. Fu intenso. Gli comunicai<br />
la mia intenzione di provvedere io stessa<br />
al finanziamento del suo progetto; lui mi<br />
disse: “Signora, preghi per me”; io – non<br />
dotata della solida fede di mio marito – risposi:<br />
“Confesso di non essere abituata a<br />
pregare”; lui sgranò gli occhi e si fermò –<br />
eravamo nel corridoio della sede vescovile<br />
–, poi mi disse deciso: “Signora, sarò io a<br />
pregare per lei”. Poco dopo nacque l’idea<br />
di intrecciare i due progetti, quello della<br />
Facoltà di Teologia e quello del campus<br />
dell’USI, per i quali decisi di stanziare 17<br />
milioni, 5 per la costruzione del palazzo<br />
che oggi accoglie Teologia e 12 per l’USI,<br />
soprattutto per l’Aula magna, progettata<br />
dall’architetto Aurelio Galfetti. L’ambizioso<br />
progetto di riqualifica dell’area e di<br />
realizzazione del campus che oggi conosciamo<br />
poté così prendere il via.<br />
Il tutto avvenne attraverso la Fondazione<br />
Daccò. Cosa mosse il suo impegno?<br />
Mio marito Aldo aveva un’autentica ammirazione<br />
per il sistema elvetico, pur essendo<br />
un italiano con radici profonde,<br />
vive e solide nella Repubblica: suo nonno<br />
Ambrogio fu il primo sindaco, dopo<br />
l’Unità d’Italia, del Comune di Gaggiano,<br />
nel Milanese, e lui stesso fu una figura<br />
rilevante nel sistema industriale italiano.<br />
Decidemmo di trasferirci in Svizzera negli<br />
anni Settanta, alla ricerca di un approdo<br />
solido, in anni, come sappiamo, molto<br />
difficili. Trovammo un Paese con la P maiuscola,<br />
capace di strutturarsi in nome del<br />
diritto e ricco di coscienza civile. Trovammo<br />
però anche una regione – quella della<br />
Svizzera italiana – secondo noi in qualche<br />
modo negletta rispetto al resto della Confederazione.<br />
Come un seme posto in un buon<br />
terreno, nella speranza che i<br />
germogli possano portare – nel<br />
medio periodo – i frutti più<br />
importanti, ovvero il continuo<br />
progresso sociale, economico e<br />
umano di questa regione<br />
Dopo la sua morte decisi di mettere parte<br />
del capitale di famiglia al servizio di un<br />
progetto capace di emancipare la Svizzera<br />
italiana da questa sorta di “sudditanza”.<br />
Come un seme posto in un buon terreno,<br />
nella speranza che i germogli possano<br />
portare – nel medio periodo – i frutti più<br />
importanti, ovvero il continuo progresso<br />
sociale, economico e umano di questa regione.<br />
Oltre al campus, la sua Fondazione, che poi<br />
prese il nome di Fondazione Aldo e Cele<br />
Daccò, ha continuato a sostenere lo sviluppo<br />
dell’USI con numerose borse di studio<br />
per giovani dottorandi, con il finanziamento<br />
di progetti di ricerca e ultimamente<br />
anche con il sostegno alla cattedra in Computational<br />
Biology tenuta dal Prof. Vittorio<br />
Limongelli, un settore molto innovativo…
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
21<br />
Aldo fu un personaggio poliedrico, imprenditore<br />
fattosi da sé, che alla fine degli<br />
anni Trenta fondò la «Liasa», azienda<br />
specializzata nelle fusioni in bronzo per<br />
l’industria automobilistica.<br />
che stimo e che apprezzo molto, l’Istituto<br />
di Ricerca in Biomedicina guidato dal<br />
Prof. Antonio Lanzavecchia.<br />
Credo che sostenere la ricerca in<br />
un settore come la Computational<br />
Biology porti con sé un po’ dello<br />
spirito pionieristico<br />
e interdisciplinare che fu di mio<br />
marito. Oltre a questo, io ho fatto<br />
la guerra come infermiera in un<br />
grande ospedale a Milano:<br />
in qualche misura mi piace<br />
pensare che questo settore<br />
ne sia in qualche modo<br />
la naturale evoluzione<br />
Cele Daccò negli anni<br />
Novanta (foto Archivio del<br />
Corriere del Ticino).<br />
Fu presidente della Società Italiana di<br />
Metallurgia, ricevette una laurea honoris<br />
causa in chimica all’Università di Ferrara,<br />
fu amico personale di Enzo Ferrari, fu più<br />
volte campione mondiale di motonautica,<br />
conosciuto e apprezzato pubblicamente<br />
da Gabriele D’Annunzio.<br />
Credo che sostenere la ricerca in un settore<br />
come la Computational Biology porti<br />
con sé un po’ di questo spirito pionieristico<br />
e interdisciplinare. Oltre a questo,<br />
io ho fatto la guerra come infermiera in<br />
un grande ospedale a Milano: in qualche<br />
misura mi piace pensare che questo settore<br />
ne sia in qualche modo la naturale<br />
evoluzione, capace anche di intrecciarsi<br />
in modo interessante con un altro istituto
STORIE<br />
Albino Zgraggen, Segretario generale<br />
La nostra “diligenza del Gottardo”<br />
Un’immagine interessante che credo descriva<br />
bene l’USI da quando ne assunsi la<br />
direzione amministrativa nel 1996 è quella<br />
della diligenza del Gottardo immortalata<br />
da Rudolf Koller, nel 1873: una carrozza<br />
con a bordo un manipolo di pionieri, trascinata<br />
al galoppo da cavalli scatenati, frustati<br />
dal postiglione-presidente, lungo strade<br />
non ancora del tutto battute tra il nord e<br />
il sud delle Alpi. Avevamo idee ben chiare<br />
sulla meta da raggiungere, ma i mezzi a<br />
disposizione da una parte e le circostanze<br />
dall’altra ci imponevano uno stile di guida<br />
audace e l’assunzione di qualche rischio.<br />
La nostra diligenza iniziò il suo viaggio con<br />
una trentina di persone dedicate alla sua<br />
amministrazione, divise su due campus.<br />
Oggi i servizi amministrativi, bibliotecari e<br />
tecnici contano circa 140 collaboratori: un<br />
aumento importante, ma non proporzionale<br />
alla crescita degli studenti e del corpo<br />
accademico (entrambi quasi decuplicati),<br />
fatto che ne indica l’efficienza e l’agilità.<br />
Una caratteristica che ammiro e che reputo<br />
utile si preservi in futuro, insieme ad altre<br />
due qualità che qui mi interessa sottolineare.<br />
La prima: l’USI ha adottato in questi 20<br />
anni un approccio pragmatico nell’affrontare<br />
le variegate situazioni che le si sono<br />
presentate; non siamo partiti dalla teoria<br />
cercando di organizzare la realtà, ma abbiamo<br />
preso le mosse dalla concretezza delle<br />
risorse disponibili; non ci siamo dedicati<br />
a grandi pianificazioni sulla carta, al contrario<br />
abbiamo investito in proposte serie<br />
in quanto fattibili, facendole. La seconda:<br />
in questi anni ci siamo ispirati al principio<br />
della responsabilità, lasciando ampio margine<br />
di autonomia alle persone e ai diversi<br />
servizi. Ritengo infatti che disporre di ampia<br />
libertà solleciti il potenziale di iniziativa<br />
e di collaborazione di ciascuno, il che<br />
conduce – non in tutti i casi, ma in molti e<br />
probabilmente i più rilevanti – a perseguire<br />
e raggiungere meglio gli obiettivi.<br />
Una carrozza con a bordo un<br />
manipolo di pionieri,<br />
trascinata al galoppo da cavalli<br />
scatenati, frustati dal<br />
postiglione-presidente,<br />
lungo strade non ancora<br />
del tutto battute<br />
Quale Segretario generale ho avuto modo<br />
di conoscere bene anche i cavalli e i puledri<br />
trainanti la diligenza: i professori e i ricercatori<br />
che non mancano certo di creatività<br />
nella programmazione dell’insegnamento<br />
e nella progettazione della ricerca. Oggi<br />
siamo a un centinaio di professori, molto<br />
diversi gli uni dagli altri per provenienza<br />
geografica, cultura, mentalità e ambito<br />
di competenza. Pur in una tale diversità,<br />
che rende difficile lo sviluppo di un’identità<br />
condivisa, riscontro un tratto distintivo<br />
concreto e comune: l’ambizione alla<br />
qualità richiesta dal sistema universitario<br />
svizzero e dal confronto scientifico e culturale<br />
giocato sul piano internazionale.<br />
Ho accompagnato questa diligenza per<br />
vent’anni, soprattutto accanto al postiglione,<br />
ma anche accanto alle Facoltà, attento<br />
a evitare che una ruota finisse nel fossato.<br />
Vent’anni di intenso e appassionato lavoro,<br />
ricco di molte soddisfazioni. La più importante<br />
si è finora ripetuta annualmente con<br />
la chiusura dei conti praticamente sempre<br />
in positivo, perché finanze sane significano<br />
riduzione dei conflitti e soprattutto nuove<br />
opportunità di sviluppo. Altre sono legate<br />
a momenti emozionanti, personalmente<br />
legati in primo luogo a conferenze dell’Istituto<br />
di studi italiani: la lezione inaugurale<br />
dell’ISI tenuta da Giorgio Orelli; la prima<br />
conferenza dei Mercoledì dell’ISI tenuta<br />
da Piero Boitani sul tema della creazione:<br />
dal Genesi ad Haydn, un’autentica sinfonia<br />
tra letteratura, pittura e musica; e la<br />
prima Lectura Dantis, “Comedia”, tenuta<br />
da Carlo Ossola. Momenti di bellezza,<br />
memorie e auspici per il prosieguo del<br />
viaggio.<br />
La diligenza del Gottardo immortalata da Rudolf<br />
Koller, nel 1873 (fonte Wikimedia).
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23<br />
Philippe Chevrier, tra i primi laureati dell’USI<br />
Una scommessa chiamata opportunità<br />
Mi sono iscritto all’USI nel 1996 e quattro<br />
anni dopo mi sono laureato in Scienze della<br />
comunicazione, in quello che allora si<br />
chiamava “secondo indirizzo”, ovvero comunicazione<br />
aziendale. Da tredici anni lavoro<br />
per il gruppo industriale Honeywell,<br />
una multinazionale americana con sede<br />
nel New Jersey e un fatturato di 40 miliardi<br />
di dollari. Honeywell è attiva nel settore<br />
dei trasporti, dei sistemi di automazione<br />
e controllo, delle materie chimiche e<br />
dell’aerospaziale. Attualmente lavoro per<br />
Honeywell Aerospace, che comprende tre<br />
divisioni: la difesa, l’aviazione d’affari e<br />
l’aviazione civile commerciale. In qualità<br />
di Senior Director Business Segment, gestisco<br />
un team internazionale di 25 persone<br />
basate in vari paesi e seguiamo il cliente<br />
lungo l’intera catena del valore, dalla<br />
negoziazione dei contratti delle gare d’appalto<br />
alla gestione dei programmi di sviluppo,<br />
fino all’esecuzione e consegna per<br />
Airbus e altri costruttori europei e russi.<br />
Si tratta di relazioni “sostanziose”, considerando<br />
che Honeywell fornisce fino al<br />
78% dei sistemi e componenti presenti su<br />
di un aereo, dal cockpit ai dischi dei freni,<br />
dai sistemi di navigazione agli impianti<br />
di pressurizzazione. Gestiamo una lunga<br />
filiera di oltre 300 fornitori, consegnando<br />
“chiavi in mano” sistemi complessi<br />
ad Airbus, che funge da assemblatore.<br />
Ci occupiamo anche di compagnie aeree,<br />
offrendo servizi e prodotti per la gestione<br />
delle flotte. Il nostro quartier generale si<br />
trova a Phoenix in Arizona, ma la sede generale<br />
Honeywell Europa si trova a Rolle,<br />
nel Canton Vaud, dove vivo e da dove mi<br />
sposto per seguire le operazioni in tutta<br />
Europa e Stati Uniti.<br />
Il mio percorso professionale è partito<br />
dall’USI. Già durante gli studi avevo fatto<br />
le valigie ed ero partito per la California<br />
per uno stage come assistente Market<br />
Development presso Sun Microsystems.<br />
Dopo la laurea, nel 2000, il cammino è<br />
continuato con ABB-Alstom Power, prima<br />
a Baden e poi a Parigi, e nel 2003 sono<br />
stato assunto da Honeywell divisione<br />
trasporti. Da quel momento ho viaggiato<br />
parecchio. Il mio terreno di gioco e perimetro<br />
d’azione è passato dalla Svizzera<br />
all’Europa fino ai mercati emergenti di<br />
Cina e India. Trasferitomi negli USA nel<br />
2006, ho fatto la spola tra New York e<br />
Shanghai per sviluppare il mercato cinese,<br />
all’epoca ancora un mercato da carpire<br />
per Honeywell. Dopo aver ripetuto<br />
l’esperimento in India, sono infine tornato<br />
in patria nel 2008, occupandomi dapprima<br />
d’aviazione militare, poi nel 2013 la<br />
nomina come responsabile Airbus.<br />
Sarà stato il clima da start-up che<br />
vivevano tanto gli studenti quanto<br />
i professori, sarà stata<br />
l’eterogeneità delle culture, delle<br />
lingue e dei profili degli studenti,<br />
ma si è trattato di un cocktail ideale<br />
che mi ha aiutato a sviluppare<br />
uno spirito “imprenditoriale”<br />
di apertura al mondo<br />
Honeywell conta circa 130mila impiegati:<br />
credo di far parte di quella piccola percentuale<br />
di collaboratori che non ha una<br />
formazione in ingegneria e i miei collaboratori<br />
prendono per certo il fatto che<br />
anche io abbia un profilo tecnico; invece<br />
ho studiato Scienze della comunicazione<br />
a Lugano e ne vado fiero. Nel corso della<br />
mia carriera, mi sono occupato solo marginalmente<br />
di comunicazione in senso<br />
stretto; sin dagli inizi sapevo che la mia<br />
strada sarebbe stata diversa e ho cercato<br />
di lasciare la porta aperta a nuove opportunità.<br />
Nonostante il mio nome non lo<br />
suggerisca, sono un “puro prodotto ticinese”<br />
arrivato dall’USI. Su suggerimento<br />
di Albino Zgraggen (all’epoca direttore<br />
della Scuola Cantonale di Commercio che<br />
frequentavo), ho creduto a quella che era<br />
letteralmente una scommessa e mi sono<br />
lanciato nel progetto dell’USI. Abbiamo<br />
vissuto un’esperienza ricca che, oltre<br />
a conoscenze specifiche e di metodo, ha<br />
sicuramente contribuito a sviluppare una<br />
mente critica e curiosa. Sarà stato il clima<br />
da start-up che vivevano tanto gli studenti<br />
quanto i professori, sarà stata l’eterogeneità<br />
delle culture, delle lingue e dei profili<br />
degli studenti, ma si è trattato di un cocktail<br />
ideale che mi ha aiutato a sviluppare<br />
uno spirito “imprenditoriale”, di apertura<br />
al mondo, sempre propenso alle nuove<br />
sfide. Non da ultimo, ringrazio l’USI per<br />
avermi permesso di conoscere Sophie, che<br />
è diventata mia moglie pochi anni dopo la<br />
laurea. Con i nostri quattro meravigliosi<br />
figli siamo una squadra ben rodata... e il<br />
tutto è partito dall’USI.
STORIE<br />
Cornelio Sommaruga<br />
Che vi guidi l’anima della Svizzera italiana<br />
Estratti dalla prolusione di Cornelio Sommaruga,<br />
già Presidente del Comitato internazionale<br />
della Croce Rossa (CICR), al<br />
primo Dies academicus dell’USI (1997).<br />
Questo primo Dies academicus dell’Università<br />
della Svizzera italiana ci riunisce<br />
qui oggi: autorità federali, cantonali e<br />
comunali, professori e studenti, ma soprattutto<br />
noi ticinesi, residenti, emigrati e<br />
rientrati apposta. Siamo qui tutti, soddisfatti<br />
di poter applaudire la visione, la volontà<br />
e la persistenza di coloro che hanno<br />
creato questa Università, e felici di poter<br />
augurare a questa iniziativa, simbolo della<br />
volontà del Cantone e delle Città di Lugano<br />
e Mendrisio di affrontare il loro futuro<br />
in maniera aperta e costruttiva, il successo<br />
che merita.<br />
Siamo qui per applaudire la<br />
visione, la volontà e la<br />
persistenza di coloro che hanno<br />
creato questa Università, felici di<br />
poter augurare a questa iniziativa<br />
il successo che merita<br />
Come operatori nel tessuto economico e<br />
culturale della Svizzera italiana, voi dovrete<br />
saperlo far evolvere organicamente e<br />
storicamente. II nostro Ticino deve restare<br />
quello che è stato per noi da centinaia<br />
di anni, la nostra patria, come lo si intende<br />
in tedesco: die Heimat, da Heim, casa,<br />
quindi il luogo in cui ci sentiamo a casa<br />
nostra. Oggi più che mai, quando i nostri<br />
mezzi per operare delle trasformazioni<br />
sono quasi infiniti, dobbiamo vegliare a<br />
che queste trasformazioni non ci rendano<br />
stranieri in patria. L’anima deve poterci<br />
accompagnare nel nostro viaggio, dicevano<br />
i nativi americani nel giustificarsi della<br />
lentezza delle loro migrazioni.<br />
Come operatori nel tessuto<br />
economico e culturale<br />
della Svizzera italiana,<br />
voi dovrete saperlo far evolvere<br />
organicamente e storicamente<br />
L’anima della Svizzera italiana deve poterci<br />
accompagnare attraverso le trasformazioni<br />
che saranno necessarie per adattarla<br />
all’evoluzione che il mondo esterno ci impone.<br />
Un’anima che è prima e soprattutto<br />
l’ecologia, naturale e umana, delle nostre<br />
valli, dei nostri laghi, delle nostre pianure.<br />
Vi auguro quindi che attraverso l’Università<br />
della Svizzera italiana voi sappiate sviluppare<br />
il gusto e il talento della responsabilità<br />
per il bene comune di noi ticinesi<br />
e grigionesi di lingua italiana. Evoluzione,<br />
vorrei sottolineare, e non chiusura. Perché<br />
se quest’Università può dotarci di nuovi<br />
strumenti d’apertura, essa potrebbe anche<br />
diventare uno strumento di chiusura.<br />
Ciò avverrebbe se l’Università vi esimesse<br />
dalla necessità di viaggiare nel mondo per<br />
coglierne e riportare a casa, presto o tardi,<br />
i migliori frutti.<br />
Noi Svizzeri italiani abbiamo una lunga<br />
tradizione di emigrazione. Certo essa ha<br />
impoverito le nostre valli, portando via gli<br />
elementi più dinamici. Quando l’acqua<br />
scende a valle, restano i sassi, si suole dire.<br />
Ma solo a breve termine. Questa emigrazione,<br />
che non è stata solo fuga, ma anche<br />
creatività e curiosità, ha anche permesso<br />
a tante correnti di idee nuove di venire<br />
da noi, nella bisaccia di noi che torniamo<br />
dopo lunghe peripezie ed esperienze.<br />
L’acqua che è fuoriuscita dalle nostre valli<br />
ci ritorna in forma di pioggia.<br />
Vi auguro quindi che questa<br />
Università vi stimoli e vi prepari<br />
a ben e più viaggiare. Per saper<br />
meglio tornare qui in Ticino, ma<br />
anche per portare nel mondo la<br />
laboriosità, l’impegno, l’ingegno<br />
e la creatività artistica delle genti<br />
delle nostre terre<br />
Vi auguro quindi che questa Università vi<br />
stimoli e vi prepari a ben e più viaggiare.<br />
Per saper meglio tornare qui in Ticino, ma<br />
anche per portare nel mondo la laboriosità,<br />
l’impegno, l’ingegno e la creatività artistica<br />
delle genti delle nostre terre.
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25<br />
I media 20 anni fa<br />
Universität aus Leidenschaft<br />
“Un’università che nasce dalla passione”,<br />
titolava la Neue Zürcher Zeitung all’indomani<br />
del primo Dies academicus dell’USI,<br />
che si tenne l’8 marzo del 1997. Il più autorevole<br />
quotidiano svizzero, in un lungo<br />
articolo dedicato alla cerimonia svoltasi a<br />
Lugano, scriveva: “L’Università, che ha già<br />
forgiato ambiziosi progetti di espansione,<br />
si erge a ponte tra la Svizzera e l’Italia e incarna<br />
– come affermato dalla Consigliera<br />
federale Dreifuss – l’impegno di tutto il<br />
Consiglio federale al rafforzamento dell’identità<br />
ticinese nel contesto svizzero e in<br />
quello italiano, grazie a una posizione privilegiata<br />
tra il Nord e il Sud, della quale<br />
potrebbe beneficiare tutta la Svizzera”.<br />
La NZZ: l’USI incarna<br />
l’impegno di tutto il Consiglio<br />
federale al rafforzamento<br />
dell’identità ticinese nel<br />
contesto svizzero e in quello<br />
italiano, grazie a una posizione<br />
privilegiata tra il Nord e il Sud,<br />
della quale potrebbe beneficiare<br />
tutta la Svizzera<br />
Tra le altre cose, la NZZ continuava sottolineando<br />
con interesse le parole del Prof.<br />
Lugi Dadda: “Il progetto dell’USI rappresenta<br />
l’invito innovativo a un nuovo umanesimo,<br />
che sappia arginare la separazione<br />
sempre più in voga tra le scienze umane da<br />
una parte e quelle naturali dall’altra, in realtà<br />
non compatibile con il temine e l’idea<br />
stessa di università”. A sud delle Alpi grande<br />
risalto fu dato da tutti e tre i quotidiani<br />
ticinesi all’avvio ufficiale dei corsi, avvenuto<br />
il 21 ottobre del 1996. “È salpata l’Università”,<br />
“Un aquilone che vola”, “Ateneo,<br />
motivo di orgoglio” sono solo alcuni dei<br />
titoli delle numerose pagine dedicate dal<br />
Corriere del Ticino in un’edizione straordinaria<br />
inviata a tutti i fuochi del Cantone.<br />
Dalle stesse pagine Saverio Snider commentava<br />
con ironia il gioco singolare della<br />
politica cantonale, che solo pochi anni prima<br />
aveva visto la nascita e subito l’eclissi<br />
del Centro universitario della Svizzera<br />
italiana, il CUSI, e che ora salutava con<br />
rinnovato entusiasmo l’arrivo dell’USI. Lo<br />
stesso Snider notava come, una volta inaugurato<br />
l’involucro, la sfida fosse appena cominciata,<br />
essendo l’obiettivo di lungo termine<br />
e volto alla “crescita civile dell’intera<br />
comunità”. La Regione, che accolse l’inaugurazione<br />
dei corsi con una prima pagina<br />
all’insegna di “L’Università… finalmente”,<br />
preparò un ricco speciale su più pagine e<br />
mise in evidenza le parole pronunciate da<br />
Mario Botta come augurio pragmatico e<br />
personale agli studenti dell’Accademia:<br />
“Vorrei concludere con una raccomandazione,<br />
la stessa che mi aveva fatto mia<br />
madre – dalla solida tradizione contadina<br />
– quando ero partito per Venezia alla volta<br />
dell’università: Va’ e non perdere tempo!”.<br />
Stesse parole utilizzate per l’apertura dal<br />
Giornale del Popolo, dove l’editoriale di<br />
prima pagina fu affidato al Consigliere di<br />
Stato Giuseppe Buffi, che così iniziava: “È<br />
il primo passo di un lungo cammino. Sarà<br />
un cammino difficile, non privo di insidie,<br />
che dovrebbe portarci a un Ticino migliore,<br />
più consapevole. Il passo è quello circospetto<br />
della prudenza, ma anche quello<br />
lieve dell’ottimismo. Dobbiamo, noi ticinesi,<br />
essere ottimisti. Senza l’ottimismo e<br />
il gusto della sfida non si va lontano. Anzi,<br />
non si va da nessuna parte, si resta sul posto<br />
in un mondo che cambia. Essere ottimisti<br />
significa voler bene alla propria terra, alla<br />
propria gente”.<br />
Buffi dalle colonne del GdP: “Sarà<br />
un cammino difficile, non privo<br />
di insidie, che dovrebbe portarci a<br />
un Ticino migliore,<br />
più consapevole. Il passo è quello<br />
circospetto della prudenza, ma<br />
anche quello lieve dell’ottimismo.<br />
Dobbiamo, noi ticinesi, essere<br />
ottimisti. Senza l’ottimismo e il<br />
gusto della sfida non si va<br />
lontano. Anzi, non si va da<br />
nessuna parte, si resta sul posto<br />
in un mondo che cambia”<br />
La RSI dedicò all’inaugurazione dei corsi<br />
una lunga diretta televisiva, tramessa dai<br />
due campus di Lugano e di Mendrisio; anche<br />
il primo Dies del 1997 andò in onda<br />
integralmente.
COVER<br />
Memoria per il nostro futuro<br />
COVER<br />
Piero Martinoli, Presidente dell’USI<br />
Il 2016 segna per le lancette dell’USI la<br />
cifra numero venti: ventesimo Dies academicus<br />
e venti anni da quel 21 ottobre<br />
del 1996 che vide l’inaugurazione dei corsi<br />
sui campus di Lugano e di Mendrisio.<br />
Vent’anni lungo i quali il mondo è cambiato<br />
velocemente, così come velocemente<br />
è cambiata la nostra Università, crescendo<br />
in modo costante rispetto a tutti i parametri<br />
propri del nostro settore: è decuplicato<br />
il numero degli studenti, i finanziamenti<br />
competitivi alla ricerca hanno complessivamente<br />
raggiunto, dal 2000, il tetto dei<br />
190 milioni, è stata fondata una nuova Facoltà<br />
e un’altra è pronta a partire. L’USI<br />
è cresciuta tanto e bene, facendo del suo<br />
dinamismo innato la chiave di uno sviluppo<br />
che – senza trionfalismi che non ci<br />
appartengono – in pochi avrebbero anche<br />
solo potuto immaginare verso la metà degli<br />
anni Novanta. Proprio la crescita e il<br />
cambiamento rappresentano tuttavia per<br />
ogni organizzazione la sfida più profonda.<br />
Per continuare con lo slancio culturale e<br />
scientifico delle origini, per rispettare l’investimento<br />
dei nostri concittadini e per<br />
conservare il credito di fiducia ricevuto<br />
da parte delle autorità, l’Università della<br />
Svizzera italiana ha bisogno, nell’anno di<br />
questo suo tondo anniversario, di fare due<br />
mosse essenziali: la prima è tenere viva la<br />
memoria della sua identità costituiva, la<br />
seconda è non smettere mai di guardare<br />
avanti.<br />
Questo numero di Square, che la sorte<br />
vuole sia proprio il ventesimo, ambisce<br />
espressamente a questo esercizio di memoria<br />
e futuro, e più ancora di memoria per il<br />
futuro. È infatti interessante e anche quasi<br />
commovente constatare come le idee e le<br />
storie dei nostri “padri fondatori” ispirino<br />
in modo spesso nitido la strada che venti<br />
anni dopo l’USI intende intraprendere.<br />
La velocità esponenziale con la quale il<br />
mondo sta cambiando non conosce barriere<br />
o distinzioni disciplinari: tecnologia,<br />
medicina, società, economia e cultura sono<br />
confrontate con la messa in discussione di<br />
molti dei rispettivi paradigmi fondanti, generando<br />
un senso di precarietà e riducendo<br />
in modo inversamente proporzionale<br />
l’orizzonte temporale all’interno del quale<br />
eravamo abituati a organizzare le nostre<br />
certezze. Questo nuovo contesto “fluido”<br />
chiama in causa in primo luogo proprio<br />
le università, in virtù della loro funzione<br />
nell’ambito della ricerca e della formazione,<br />
perché quanto più allenati a questo<br />
nuovo terreno di gioco sono gli studenti di<br />
oggi, tanto più lo saranno i cittadini di domani.<br />
Questo è un compito nobile proprio<br />
di tutte le università, chiamate a insegnare<br />
il senso critico e la prospettiva storica,<br />
interrogandosi sulle ragioni dei fenomeni<br />
del mondo, che è in definitiva l’unico<br />
modo per non essere travolti dall’accelerazione<br />
trasversale che stiamo vivendo. Esso<br />
è tuttavia un dovere ancora più specifico<br />
per un’università come l’USI, posta – da<br />
solo due decenni – su di un territorio di<br />
frontiera. Per tutta la Svizzera, ma soprattutto<br />
per il Ticino, l’essere frontiera è un<br />
destino, una condizione che non si può<br />
cambiare. Siamo chiamati a permettere il<br />
passaggio, lo scambio, il confronto, pensando<br />
con apertura internazionale, ma nel<br />
contempo dobbiamo rimanere consapevoli<br />
della nostra identità, funzionare come un<br />
filtro, imitando quella meravigliosa struttura<br />
di cui la natura ha dotato le cellule:
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
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la membrana cellulare, porta aperta a ciò<br />
che nutre e mantiene la vita, barriera a ciò<br />
che nuoce e uccide. È in questo equilibrio<br />
che si cela la risposta alle grandi sfide del<br />
nostro tempo. È in questo equilibrio che<br />
sta l’idea di “Svizzera mediterranea” che<br />
ha ispirato e guidato la fondazione dell’U-<br />
SI. È in questo equilibrio che sta la sfida<br />
di una frontiera: sfruttiamone la ricchezza,<br />
cogliamone le opportunità ragionando in<br />
modo lucido, evitando di lasciarci sopraffare<br />
dai falsi dogmi, siano essi frutto di<br />
isolazionismo a oltranza o di internazionalismo<br />
che appiattisce.<br />
In un mondo dai ritmi frenetici, che pare<br />
sempre più avvolto nelle facili illusioni e<br />
nella logica del profitto materiale immediato<br />
come bene supremo, le università<br />
devono continuare a essere un baluardo<br />
di valori altri. Devono restare un fronte<br />
di resistenza del lungo termine e della<br />
memoria, del pensiero e della riflessione,<br />
della complessità e della curiosità, della<br />
meraviglia e del dubbio.<br />
Noi affrontiamo questa sfida in modo tutto<br />
nostro, mossi oggi come ieri dai princìpi<br />
delle persone che hanno contribuito<br />
alla nascita della nostra Università e che<br />
abbiamo provato a fotografare in questo<br />
numero di Square: il coraggio, l’apertura,<br />
l’imprenditorialità, l’amore per la propria<br />
terra e la passione per la qualità. Lo facciamo,<br />
come descritto nelle pagine che<br />
seguono, valorizzando quanto sapientemente<br />
costruito sino ad oggi, lanciandoci<br />
al contempo in nuove e promettenti avventure,<br />
attività che insieme caratterizzano<br />
la pianificazione universitaria prevista<br />
per i prossimi quattro anni. Personalmente<br />
cerco di accettare questa sfida guardando<br />
ancora più avanti, magari anche molto<br />
lontano, e all’orizzonte intravvedo due<br />
sentieri per l’USI di dopodomani.<br />
Noi affrontiamo questa sfida in<br />
modo tutto nostro, mossi dai<br />
princìpi delle persone che hanno<br />
contribuito alla nascita della<br />
nostra Università: il coraggio,<br />
l’apertura, l’imprenditorialità,<br />
l’amore per la propria terra e la<br />
passione per la qualità<br />
Il nuovo nome di quella che fu via Ospedale a<br />
Lugano, oggi sede dell’Università, in memoria<br />
del Consigliere di Stato Giuseppe Buffi,<br />
uno dei padri fondatori dell’USI (foto USI).
COVER<br />
Personalmente cerco di accettare<br />
questa sfida guardando ancora<br />
più avanti, magari anche molto<br />
lontano, e all’orizzonte<br />
intravvedo due sentieri per<br />
l’USI di dopodomani<br />
Il primo è quello di una Scuola universitaria<br />
federale. La nostra Università è nata<br />
con la volontà di contribuire allo sviluppo<br />
di un nuovo Ticino, emancipato e con un<br />
ruolo riconosciuto nella Confederazione e<br />
nel mondo. Nel campo della formazione e<br />
della ricerca questo obiettivo è pienamente<br />
raggiungibile solo adoperandoci sul<br />
piano politico per fare dell’USI una Scuola<br />
universitaria federale, alla stessa stregua<br />
delle due Scuole politecniche federali,<br />
l’ETH Zürich e l’EPFL. La storia di<br />
queste due prestigiose istituzioni insegna<br />
che il loro brillante e indiscutibile successo<br />
sulla scena nazionale e internazionale<br />
è dovuto in grandissima parte al fatto di<br />
essere riconosciute come Scuole federali<br />
e, come tali, di essere sostenute direttamente<br />
dalla Confederazione. La stessa<br />
storia ci racconta che le regioni in cui esse<br />
sono nate e cresciute – i Cantoni di Zurigo<br />
e Vaud e le loro aree limitrofe – hanno<br />
conosciuto e conoscono tuttora uno<br />
sviluppo scientifico, economico, sociale e<br />
culturale di altissimo livello: basti pensare<br />
all’Arc Lémanique, che deve senza alcun<br />
dubbio gran parte del suo successo e della<br />
sua attuale prosperità al passaggio, nel<br />
1969, dell’allora Ecole polytechnique de<br />
l’Université de Lausanne (EPUL) a Scuola<br />
politecnica federale. La trasformazione<br />
dell’USI in una Scuola universitaria federale<br />
non darebbe quindi unicamente lustro<br />
all’istituzione, ma permetterebbe alla<br />
Svizzera italiana di uscire da una situazione<br />
economica che, malgrado lodevoli iniziative<br />
da parte dell’Ente pubblico e del<br />
settore privato, resta pur sempre precaria<br />
Il Prof. Piero Martinoli (foto USI).
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e priva di quei punti di forza che consentirebbero<br />
alla nostra regione di diventare<br />
attrattiva per l’insediamento di imprese<br />
ad alto valore aggiunto. Oltre all’aspetto<br />
economico, c’è anche un argomento<br />
culturale di peso a sostegno di questa<br />
visione. La Svizzera italiana, soprattutto<br />
in tempi recenti, si batte per la salvaguardia<br />
della lingua e della cultura italiana in<br />
Svizzera con una serie di iniziative certo<br />
apprezzabili, ma di impatto limitato a livello<br />
nazionale perché troppo frammentate.<br />
La presenza sul nostro territorio di<br />
una Scuola universitaria federale darebbe<br />
alla Svizzera italiana, alla sua lingua e alla<br />
sua cultura un riconoscimento di grande<br />
significato e di portata nazionale che<br />
non sarebbe la sterile rivendicazione di<br />
una regione periferica, ma al contrario il<br />
compimento di quell’“atto d’amore della<br />
Svizzera italiana alla Svizzera intera” con<br />
il quale Giuseppe Buffi descrisse la creazione<br />
dell’USI nel suo intervento inaugurale<br />
il 21 ottobre 1996. Una cosa deve<br />
essere chiara: questa visione non intende<br />
per nulla stravolgere l’anima e il carattere<br />
dell’USI trasformandola in una Scuola di<br />
orientamento “politecnico”. Anche sotto<br />
l’egida della Confederazione l’USI dovrà<br />
restare una Scuola universitaria nel senso<br />
che comunemente si attribuisce alla parola<br />
“università”. Questa visione potrebbe<br />
sembrare utopica, ma se sostenuta con<br />
convinzione dalla società civile e soprattutto<br />
dal mondo politico, nel quale – si<br />
spera – dovrebbe fare l’unanimità, potrebbe<br />
avere più successo dei tentativi<br />
falliti per eleggere un ticinese in Consiglio<br />
federale. Ricordo, al riguardo, che il Centro<br />
Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS)<br />
fu trattenuto in Ticino nel 2007 perché<br />
tutti – politici, scienziati, ricercatori, imprenditori,<br />
media, ecc. – tirarono la corda<br />
dalla stessa parte. Ed è proprio partendo<br />
dagli stretti legami che l’USI ha stabilito<br />
con l’ETH Zürich tramite il CSCS e il<br />
progettato percorso formativo in medicina<br />
che potrebbe scaturire la spinta per il<br />
progressivo passaggio dell’USI sotto l’egida<br />
della Confederazione.<br />
Il secondo sentiero di lungo orizzonte è<br />
quello di una Facoltà di scienze umane.<br />
L’USI intende infatti porsi come centro<br />
dell’attività scientifica e come uno dei<br />
motori della vita culturale del Cantone:<br />
un’istituzione non solo per addetti ai lavori,<br />
ma un luogo d’incontro privilegiato<br />
per dibattiti e confronti d’idee su temi<br />
che interessano e preoccupano la società,<br />
dal riscaldamento climatico all’approvvigionamento<br />
energetico, dai fenomeni<br />
migratori alle sfide multiculturali che essi<br />
comportano, dall’invecchiamento della<br />
popolazione al suo impatto sulle assicurazioni<br />
sociali e altri ancora. In questo<br />
intreccio di scienza, cultura e apertura<br />
ai problemi del mondo in cui viviamo, le<br />
scienze umane assumono un ruolo di fondamentale<br />
importanza perché fungono<br />
da guida all’uomo-cittadino per orientarsi<br />
in una realtà sempre più complessa e per<br />
ritrovare valori e relazioni che vanno perdendosi<br />
in quella che oggi è diventata una<br />
società “liquida”. L’USI può contare sulla<br />
presenza di istituti che si segnalano per<br />
la loro offerta didattica e le loro ricerche<br />
nell’ambito delle scienze umane e che potrebbero,<br />
se riuniti in un unico progetto,<br />
costituire il nucleo iniziale per l’istituzione<br />
di una Facoltà di scienze umane: primo<br />
fra tutti l’Istituto di studi italiani (ISI),<br />
con il quale già oggi altri istituti dell’USI<br />
– l’Istituto di argomentazione, linguistica<br />
e semiotica (IALS) nella Facoltà di scienze<br />
della comunicazione e l’Istituto di storia<br />
e teoria dell’arte e dell’architettura (ISA)<br />
nell’Accademia di architettura – collaborano<br />
strettamente nell’ambito del curriculum<br />
studiorum in lingua, letteratura e<br />
civiltà italiana dell’ISI, al quale dà il suo<br />
contributo anche l’Istituto di studi filosofici<br />
della Facoltà di Teologia di Lugano. Il<br />
progetto, inizialmente, non comporterebbe<br />
oneri finanziari supplementari, ma va<br />
studiato con cura e, soprattutto, coordinato<br />
con l’Accademia di architettura, che<br />
non deve assolutamente essere svuotata<br />
della componente storico-umanistica che<br />
fa del suo modello didattico un unicum<br />
in Svizzera (e non solo). Una Facoltà di<br />
scienze umane permetterebbe all’USI di<br />
profilarsi in un campo che desta molto<br />
interesse fra giovani e meno giovani e che<br />
sta ritrovando tutta la sua importanza per<br />
la formazione di professionisti con un ampio<br />
orizzonte culturale: conoscenze in storia,<br />
filosofia, letteratura, etica sono sempre<br />
più richieste non solo in settori tradizionalmente<br />
“intrisi” di scienze umane come<br />
la scuola, l’architettura, le biblioteche, i<br />
musei, le amministrazioni, i media, ma anche<br />
nel mondo economico e industriale.<br />
Si tratta di due possibili piste di sviluppo<br />
che riguardano il nostro futuro, ancorate<br />
nello spirito dinamico e aperto dell’USI,<br />
nell’intraprendenza che fu delle origini e<br />
nel nostro amore per la Svizzera italiana.<br />
Futuro che nasce dalla memoria.
COVER<br />
L’USI di oggi,<br />
dove l’identità elvetica incontra la civiltà italiana<br />
La nostra università si distingue oggi per<br />
una combinazione unica di qualità svizzera,<br />
cultura mediterranea e atmosfera internazionale,<br />
che permette di offrire ai nostri<br />
studenti una formazione da protagonisti e<br />
ai nostri ricercatori uno spazio privilegiato<br />
di autonomia e libertà d’iniziativa. Nei tre<br />
campus a Lugano, Mendrisio e Bellinzona<br />
si incontrano e si confrontano ogni giorno<br />
circa 3’000 studenti e quasi 800 docenti e<br />
ricercatori provenienti da oltre 100 paesi, in<br />
un ambiente dove le dimensioni contenute<br />
non pongono barriere allo scambio di idee<br />
tra i membri della comunità accademica e<br />
dove lo sviluppo del proprio potenziale, la<br />
curiosità e la volontà di sperimentare nuovi<br />
modi di pensare, di lavorare e di insegnare<br />
sono apprezzati e incoraggiati. L’USI incarna<br />
la volontà di una regione periferica di<br />
opporsi a un futuro di secondo piano, per<br />
offrire invece il proprio contributo all’avvenire<br />
di tutti, vivendo in maniera piena e<br />
attiva la propria vocazione di territorio di<br />
frontiera dove l’identità elvetica incontra<br />
la civiltà italiana, dove l’Europa del nord<br />
dialoga con il Mediterraneo, aprendo alla<br />
sintesi e alla sperimentazione.<br />
ARCHITETTURA<br />
L’Accademia di architettura offre un percorso<br />
formativo e un modello didattico<br />
innovativo, interdisciplinare, “umanista”<br />
e “generalista”, adeguato ai nostri tempi.<br />
L’apprendimento diretto della pratica negli<br />
atelier di progettazione sotto la tutela<br />
di autorevoli architetti di fama internazionale<br />
è affiancato da una ricca offerta di<br />
corsi storico-umanistici in cui si articolano<br />
insegnamenti storici, artistici, filosofici, critici,<br />
sociologici, di corsi tecnico-scientifici<br />
aperti alle problematiche contemporanee<br />
e di corsi per l’affinamento della rappresentazione<br />
del progetto. All’Accademia,<br />
che ha sede a Mendrisio, il futuro architetto<br />
acquisisce competenza critica, dal<br />
fare aperto, che spazia dalla progettazione<br />
architettonica al disegno urbano e del paesaggio,<br />
dal riuso del patrimonio esistente<br />
alla costruzione sostenibile.<br />
SCIENZE ECONOMICHE<br />
Rispondere alle sfide delle moderne economie<br />
globalizzate significa interpretare<br />
e governare la complessità. I mercati del<br />
lavoro richiedono, oltre a competenze<br />
sempre più specifiche, anche l’attitudine<br />
alla risoluzione di problemi in ambienti<br />
che, dominati dall’incertezza, sono in<br />
continua evoluzione. Con un corpo docente<br />
che occupa la frontiera della ricerca<br />
nelle sue aree di competenza, la Facoltà di<br />
scienze economiche è il luogo ideale per<br />
acquisire le abilità che rappresentano il<br />
fondamentale fattore di successo sul mercato<br />
del lavoro: competenza, flessibilità e<br />
quella dose di curiosità intellettuale che<br />
serve a identificare gli interrogativi più<br />
importanti e ad affrontarli con creatività<br />
ed ingegno.<br />
3 campus: Lugano, Mendrisio, Bellinzona<br />
3’000 studenti<br />
6’700 diplomati<br />
800 professori, ricercatori e docenti<br />
1/4 di rapporto docenti/studenti<br />
100 paesi rappresentati<br />
45 percorsi di studio<br />
50 centri di ricerca<br />
60 start-up sostenute<br />
15 mio. CHF di fondi competitivi all’anno<br />
90 mio. CHF di budget complessivo
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SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE<br />
La Facoltà offre una formazione interdisciplinare<br />
che integra insegnamenti umanistici,<br />
sociali, economici e tecnologici.<br />
Essa forma specialisti in grado di operare<br />
nei diversi contesti professionali della comunicazione:<br />
media, imprese, istituzioni<br />
pubbliche e nuove tecnologie. Grazie alla<br />
sua identità basata su interculturalità, multilinguismo<br />
e interdisciplinarità, e a un’attenzione<br />
particolare al tema dell’ascolto,<br />
la Facoltà riunisce ricercatori e professori<br />
provenienti da esperienze e orizzonti disciplinari<br />
molto diversi, con un interesse<br />
comune: la comunicazione. Alla Facoltà<br />
afferisce anche l’Istituto di studi italiani,<br />
che offre un percorso completo in lingua,<br />
letteratura e civiltà italiana.<br />
SCIENZE INFORMATICHE<br />
La Facoltà, che comprende anche l’Istituto<br />
di scienze computazionali, si distingue per<br />
una forte attenzione alla ricerca scientifica,<br />
condotta con passione in otto settori di<br />
studio da oltre 150 ricercatori provenienti<br />
da tutto il mondo, grazie a decine di milioni<br />
di Franchi ottenuti su base competitiva.<br />
La ricerca di base viene applicata in diversi<br />
contesti di grande attualità e rilevanza,<br />
dal settore medico alla robotica, attraverso<br />
mirate collaborazioni nel territorio, dando<br />
forma a un ambiente imprenditoriale aperto<br />
all’innovazione e alle start-up. La vocazione<br />
alla ricerca si intreccia a quella per la<br />
formazione, con una filosofia didattica unica<br />
che pone lo studente, in modo attivo, al<br />
centro del processo di apprendimento, vissuto<br />
in viva relazione con i propri docenti.<br />
SCIENZE BIOMEDICHE<br />
La più giovane tra le Facoltà dell’USI proporrà<br />
un nuovo Master in medicina umana<br />
a partire dal 2020, nel quadro di una collaborazione<br />
con l’ETH Zürich, l’Università<br />
di Basilea e l’Università di Zurigo. Alla<br />
Facoltà è affiliato l’Istituto di Ricerca in<br />
Biomedicina (IRB) ed è in via di affiliazione<br />
l’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR),<br />
entrambi con sede a Bellinzona. L’IRB dal<br />
2000 fa ricerca nel campo dell’immunologia<br />
e della biologia cellulare, con nove<br />
gruppi di ricerca e circa 80 ricercatori<br />
provenienti da tutto il mondo. Lo IOR è<br />
attivo dal 2003 nella ricerca sulla biologia<br />
dei tumori, la genomica, l’oncologia molecolare<br />
e nelle terapie sperimentali con sei<br />
gruppi di ricerca e circa 50 ricercatori.
COVER<br />
Un ruolo pionieristico che è bene permanga<br />
Mauro Dell’Ambrogio, Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione<br />
Per creare l’USI furono risolti problemi di<br />
natura logistica, accademica e istituzionale.<br />
La logistica non era la meno importante<br />
perché, come ho imparato dagli architetti,<br />
per nuove istituzioni lo spazio “giuridico”<br />
è virtualmente illimitato, mentre lo spazio<br />
fisico limita immediatamente le possibilità<br />
presenti e future. La soluzione venne<br />
dalle generose e rapide concessioni di<br />
immobili comunali a Lugano e Mendrisio,<br />
promosse da un duplice confronto<br />
concorrenziale: quello tra le due località<br />
(con altre potenzialmente non escluse) e<br />
quello tra il Cantone, pronto inizialmente<br />
solo per l’Architettura, e Lugano, pronta<br />
a fare da sola con Scienze della comunicazione<br />
e Scienze economiche. Se il Cantone<br />
avesse dovuto scegliere l’ubicazione e<br />
provvedere per diritto-obbligo esclusivo,<br />
sarebbero mancati i soldi e soprattutto lo<br />
straordinario consenso partecipativo.<br />
Furono procedure non sempre<br />
ortodosse, ma col senno di poi<br />
felici, come lo è spesso quanto<br />
procede dall’entusiasmo<br />
e dalla competizione<br />
Il cambio di destinazione d’interi isolati<br />
avrebbe richiesto per legge modifiche dei<br />
piani regolatori. Se ne fece a meno: chiunque<br />
avesse evocato fattori d’incertezza o<br />
di ritardo sarebbe stato “nemico della patria”.<br />
Le abituali controversie, su traffico<br />
e posteggi ad esempio, si sono manifestate<br />
con le successive tappe edificatorie, in un<br />
contesto predeterminato. Secondo le logiche<br />
della pianificazione, avrebbero dovuto<br />
essere affrontate prima, ma le logiche<br />
della politica sono altre. La gara per non<br />
dover cominciare a Mendrisio più tardi<br />
che a Lugano, o viceversa, creò un fecondo<br />
stato di necessità. Furono procedure<br />
non sempre ortodosse, ma col senno di<br />
poi felici, come lo è spesso quanto procede<br />
dall’entusiasmo e dalla competizione.<br />
La parte accademica fu nelle mani di chi<br />
aveva testa e lustro per fondarla, con una<br />
benefica pluralità: il prestigio professionale<br />
e intellettuale di liberi professionisti<br />
dell’architettura permetteva di far passare<br />
cose un poco “eretiche” agli occhi di chi<br />
nelle università aveva fatto carriera, in un<br />
fecondo “inquinamento” reciproco.<br />
La parte accademica fu nelle<br />
mani di chi aveva testa e lustro<br />
per fondarla, con una benefica<br />
pluralità: il prestigio<br />
professionale e intellettuale di<br />
liberi professionisti<br />
dell’architettura permetteva di far<br />
passare cose un poco “eretiche”<br />
agli occhi di chi nelle università<br />
aveva fatto carriera, in un<br />
fecondo “inquinamento”<br />
reciproco<br />
Contributi essenziali vennero da professori<br />
a fine carriera e senz’altra ambizione<br />
che quella di partecipare alla creazione<br />
dal nulla di un’università nuova. Alle prime<br />
riunioni sorgevano domande del tipo<br />
“qui le valutazioni si esprimono dall’uno<br />
al 10, o come altrimenti?”, e guardavano<br />
me, supposto rappresentante ministeriale,<br />
che rispondevo: “come volete, le regole<br />
sono tutte da fare”, anche per cose molto<br />
più sostanziali delle note. Non era certo<br />
che arrivassero studenti e quanti. L’imprenditorialità<br />
dei fondatori, quando non<br />
donata, era ripagata dalla sola aspettativa<br />
di un coinvolgimento ulteriore se la cosa<br />
avesse avuto successo. I costi d’avviamento<br />
furono quasi zero.<br />
Non era certo che arrivassero<br />
studenti e quanti.<br />
L’imprenditorialità dei fondatori,<br />
quando non donata, era ripagata<br />
dalla sola aspettativa di un<br />
coinvolgimento ulteriore se la<br />
cosa avesse avuto successo<br />
Per la parte istituzionale giovò che fosse<br />
moda all’epoca – da poco caduto il muro<br />
di Berlino, “liberista” non era ancora<br />
un attributo spregiativo – il New Public<br />
Management d’ispirazione anglosassone,<br />
che teorizzava l’autonomia operativa di<br />
enti pubblici gestiti come fossero privati,<br />
mandatari di prestazioni per lo Stato<br />
senza macchinose leggi. Il NPM perse poi<br />
di smalto in Svizzera perché (non siamo<br />
anglosassoni) i contratti di prestazione<br />
hanno talvolta obbligato la mano pubblica<br />
a coprire impegni e debiti debordanti<br />
i processi budgetari democratici. L’USI<br />
mantenne invece la promessa. Fin dall’inizio<br />
brava a sfruttare ogni fonte esterna,<br />
comprese ingenti donazioni private, pre-
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33<br />
senta oggi ancora uno stato patrimoniale<br />
esemplare. Chiave questa anche in futuro<br />
della sua autonomia: amministrativa e non<br />
solo accademica. Degna di memoria fu la<br />
“quadratura del cerchio” tra ente cantonale<br />
e comunale, diritto pubblico e privato,<br />
con scarsa coerenza logica (il diritto è,<br />
contro l’apparenza, la più hegeliana delle<br />
arti), ma con la potenzialità necessaria per<br />
successivi adattamenti. Nella raccolta delle<br />
leggi ticinesi nessun’altra è testimone di<br />
così tante modifiche in soli vent’anni per<br />
un così breve testo come quella reggente<br />
le istituzioni universitarie. Ad attestare<br />
che funzione del legiferare non è ingessare,<br />
come spesso accade, bensì rendere<br />
possibile.<br />
un’alta disoccupazione, più di oggi, ed era<br />
percorso, come sempre, da campanilismi<br />
e rivalità politiche e personali. Non c’era<br />
però fortunatamente l’attitudine, recentemente<br />
insorta, a giudicare tutto col criterio<br />
“prima i nostri”, con riferimento a un<br />
passaporto o a una frontiera. Dovrebbe<br />
ricordarsene chi millanta l’eredità d’una<br />
forza che rese possibile l’USI dall’inizio.<br />
Non era immaginabile allora che il CEO<br />
di una grande banca svizzera non fosse<br />
svizzero-tedesco; quelli delle due maggiori<br />
sono oggi un africano e un ticinese.<br />
Vien da dire che quanto la Svizzera è<br />
evoluta in un verso, tanto rischia il Ticino<br />
d’involvere nell’altro. Non è ancora così<br />
per l’USI, fattore d’immagine positiva della<br />
Svizzera italiana fuori dai suoi confini.<br />
Suoi aspetti pionieristici, quali autonomia<br />
e modalità di finanziamento, sono oggi ancora<br />
beneficamente provocatori nel contesto<br />
nazionale.<br />
21 ottobre 1996, inaugurazione<br />
dei corsi sul campus di<br />
Lugano. Da sinistra Mauro<br />
Dell’Ambrogio, Giorgio Giudici,<br />
Renzo Respini, Giuseppe<br />
Buffi e Giorgio Salvadè<br />
(foto Archivio del<br />
Corriere del Ticino).<br />
Per la parte istituzionale giovò<br />
che fosse moda all’epoca – da<br />
poco caduto il muro di Berlino,<br />
“liberista” non era ancora<br />
un attributo dispregiativo –<br />
il New Public Management<br />
d’ispirazione anglosassone, che<br />
teorizzava l’autonomia operativa<br />
di enti pubblici gestiti come<br />
fossero privati, mandatari di<br />
prestazioni per lo Stato senza<br />
macchinose leggi<br />
Da un secolo non si fondava in Svizzera<br />
una nuova università. Nessuno aveva titoli<br />
per dire come fare: si fece. Fu atto miracoloso<br />
di un Ticino che aveva le finanze<br />
cantonali dissestate, almeno quanto oggi,
COVER<br />
Un detonatore di competenze<br />
pronto ad arricchire la Città<br />
Marco Borradori, Sindaco della Città di Lugano<br />
Marco Borradori, Sindaco di Lugano dal<br />
2013, ha vissuto gli anni cruciali per la<br />
fondazione dell’USI nei posti chiave della<br />
politica a livello comunale, cantonale e<br />
federale. Oggi la sua amministrazione sta<br />
gestendo e programmando il riposizionamento<br />
della Città nel nuovo contesto<br />
economico e politico internazionale.<br />
Signor Sindaco, negli anni Novanta lei si<br />
trovava nei centri decisionali dell’amministrazione<br />
pubblica, tanto a Lugano quanto<br />
a Bellinzona e Berna. Come ha visto nascere<br />
e poi crescere il progetto universitario<br />
della Svizzera italiana?<br />
Quello dell’USI è un progetto che effettivamente<br />
ho visto svilupparsi e crescere da<br />
prospettive diverse. Sono entrato in Municipio<br />
a Lugano nel 1992 e ne sono uscito<br />
nel 1995 per concentrare i miei sforzi in<br />
Consiglio di Stato: ho avuto quindi modo<br />
di assistere ai “fermenti” accademici della<br />
nostra Città in presa diretta. Pur non<br />
occupandomi personalmente del dossier,<br />
ho percepito da subito il potenziale del<br />
progetto, anche solo per l’energia immensa<br />
che i protagonisti della partita stavano<br />
mettendo in campo. Oltre ad “attaccanti”<br />
leghisti del calibro di Giorgio Salvadè e<br />
Giuliano Bignasca, la squadra era decisamente<br />
competitiva, con l’allora Sindaco<br />
Giorgio Giudici, il Consigliere di Stato<br />
Giuseppe Buffi e Mario Botta. Bastava<br />
guardarli negli occhi o assistere alle loro<br />
conversazioni per capire quanto credevano<br />
– pur da angolature diverse – nell’obiettivo.<br />
Differente era il clima a Berna,<br />
che frequentavo da Consigliere nazionale<br />
e dove della nostra Università in pochi<br />
sapevano o parlavano, se non in modo<br />
sfumato nei corridoi e con accenti non<br />
sempre convinti. In Governo a Bellinzona,<br />
infine, il clima era improntato all’entusiasmo<br />
e tutti noi guardavamo al lavoro di<br />
Giuseppe Buffi con grande ammirazione<br />
e coinvolgimento.<br />
Giorgio Salvadè, suo primo collega di partito<br />
in Municipio, è considerato uno dei<br />
padri fondatori dell’USI. Che ricordo ne<br />
conserva?<br />
Giorgio fu un politico molto atipico, lontano,<br />
davvero lontano dagli stereotipi che<br />
solitamente vengono attribuiti alla nostra<br />
professione. Mi piace ricordarlo come<br />
una persona determinata e di una tenacia<br />
appassionata nei confronti dei temi che<br />
gli stavano a cuore. Uno di questi fu indubbiamente<br />
l’Università, in merito alla<br />
quale lo ricordo lavorare alacremente e a<br />
360 gradi.<br />
La Lugano di oggi non è la Lugano di quando<br />
l’USI ha aperto i battenti. Che ruolo ha<br />
oggi l’Università per il nostro territorio?<br />
Viviamo in un periodo storico nel quale<br />
più che mai abbiamo il dovere di riposizionarci,<br />
facendo delle fragilità dell’attuale<br />
situazione un punto di forza grazie al<br />
quale impostare un nuovo piano di sviluppo,<br />
sia economico che sociale. Sono<br />
convinto che la piazza finanziaria saprà<br />
assorbire i duri colpi di questi tempi e<br />
sono fiducioso che le relazioni transfrontaliere<br />
sapranno sistemarsi nel modo migliore<br />
per tutti; nonostante questo è necessario<br />
guardare oltre e identificare quei<br />
motori capaci di continuare a far muovere<br />
e avanzare la nostra Città anche su terreni<br />
fino ad ora inesplorati.<br />
Viviamo in un periodo storico nel<br />
quale più che mai abbiamo il<br />
dovere di riposizionarci, di<br />
impostare un nuovo piano di<br />
sviluppo, sia economico che<br />
sociale. Credo che il ruolo<br />
dell’USI sia proprio questo, una<br />
sorta di detonatore capace di<br />
contribuire a dare un volto nuovo<br />
a Lugano e a tutto il Cantone<br />
Credo che il ruolo dell’USI sia proprio<br />
questo, una sorta di detonatore di competenze<br />
e di contatti capace, insieme alle<br />
altre realtà scientifiche e formative della<br />
regione, di contribuire a dare un volto<br />
nuovo a Lugano e a tutto il Cantone. La<br />
vera sfida è che il progetto universitario<br />
entri ora davvero “nella gente”, che da<br />
un lato i cittadini e le istituzioni sappiano<br />
identificarsi con le grandi potenzialità del<br />
progetto, e dall’altro studenti, ricercatori<br />
e giovani imprenditori entrino nel tessuto<br />
della nostra Città.
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
35<br />
Il valore aggiunto e l’indotto<br />
della nuova Facoltà di scienze biomediche<br />
Mario Bianchetti, Decano della Facoltà di scienze biomediche<br />
La Facoltà di scienze biomediche dell’U-<br />
SI è prima di tutto il tentativo, iniziato già<br />
nel 2009, di correggere la consistente mancanza<br />
di medici formati in Svizzera. Con<br />
il supporto delle università di Basilea e di<br />
Zurigo e, ancora di più, del Politecnico<br />
federale di Zurigo, il progetto si concretizza<br />
sempre più: nel 2020 un primo gruppo<br />
di circa settanta studenti si trasferirà nella<br />
Svizzera italiana per il Master, dopo aver<br />
iniziato nel 2017 il cursus di Bachelor in<br />
una delle tre università citate. Nel 2023,<br />
infine, i primi studenti dovranno superare<br />
il cosiddetto “esame di Stato”, ottenendo<br />
così il diploma federale di medico. L’esperienza<br />
dimostra che una Facoltà di biomedicina<br />
non si limita tuttavia a formare giovani<br />
medici. Cerchiamo di capire, in sette<br />
brevi punti, il valore aggiunto e l’indotto<br />
che la Facoltà di scienze biomediche produrrà<br />
per la Svizzera italiana.<br />
1. Gli studenti e gli insegnanti della Facoltà<br />
vivranno in Ticino con evidente rientro<br />
economico e fiscale. 2. Molti studenti, una<br />
volta laureati, tendono a rimanere nella<br />
regione dove hanno studiato anche dopo<br />
l’ottenimento della laurea. Il sottoscritto,<br />
per esempio, ha studiato a Berna dove è<br />
rimasto anche come pediatra e poi come<br />
professore universitario per oltre 20 anni.<br />
3. Le facoltà di medicina moderne garantiscono<br />
notoriamente alla propria università<br />
risorse economiche importanti non<br />
solo per la propria facoltà, ma anche per<br />
tutto l’ateneo. Sono certo che a Lugano la<br />
Facoltà di scienze biomediche interagirà<br />
costruttivamente con molti istituti dell’Università,<br />
nonché con il Dipartimento di<br />
economia aziendale, sanità e sociale della<br />
SUPSI. 4. Le industrie del settore farmaceutico,<br />
biomedico e biotecnologico si<br />
insediano volentieri, quando il fisco non è<br />
troppo pesante, non lontano da una facoltà<br />
di medicina, facendo leva sulle sue risorse<br />
(in primis umane).<br />
L’esperienza dimostra che una<br />
Facoltà di scienze biomediche<br />
non si limita a “sfornare” giovani<br />
medici. Esistono sette buone<br />
ragioni che spiegano il valore<br />
aggiunto e l’indotto che la Facoltà<br />
produrrà per la Svizzera Italiana<br />
5. È spesso difficile reperire medici specialisti<br />
con elevato profilo professionale disposti<br />
a trasferirsi in Ticino. Grazie alla sua<br />
Facoltà di scienze biomediche, la Svizzera<br />
italiana risulterà in futuro attrattiva anche<br />
per l’insegnamento e per la ricerca. Questo<br />
a tutto vantaggio della qualità delle cure.<br />
6. Qualcuno ha recentemente quantificato<br />
per sommi capi la ricerca clinica della<br />
Svizzera italiana. La conclusione è che il<br />
Cardiocentro Ticino, l’Istituto cantonale<br />
di patologia, l’Istituto Oncologico della<br />
Svizzera italiana e i diversi dipartimenti<br />
clinici dell’Ente Ospedaliero Cantonale<br />
producono letteratura scientifica in modo<br />
qualitativamente e quantitativamente non<br />
inferiore a quella dei cantoni di Lucerna e<br />
San Gallo. Le tesi di Master, un progetto<br />
di ricerca che ogni studente realizza prima<br />
di laurearsi, e – ancora di più – i lavori di<br />
dottorato non potranno che essere uno stimolo<br />
a ulteriormente progredire. 7. Da ultimo,<br />
ma non per importanza, l’interazione<br />
con il settore della ricerca fondamentale<br />
nella Svizzera italiana. Con il celebre Istituto<br />
di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona,<br />
già affiliato all’Università della Svizzera<br />
italiana da qualche anno, il dialogo non<br />
potrà che intensificarsi: agli studenti verrà<br />
offerta la possibilità di frequentare i laboratori<br />
dell’Istituto che, ovviamente, non<br />
mancherà di offrire opportunità di lavoro<br />
ad alcuni di loro. A breve, poi, si affilierà<br />
anche l’Istituto Oncologico di Ricerca di<br />
Bellinzona. Esistono infine nel Luganese<br />
due giovani ma notevoli istituti di ricerca:<br />
l’Istituto svizzero di medicina rigenerativa<br />
e il Laboratorio di neuroscienze biomediche.<br />
Anche questi laboratori non potranno<br />
che interagire positivamente con la Facoltà<br />
di scienze biomediche.<br />
Un’osservazione finale. Due prestigiose<br />
classifiche, la QS World University<br />
Rankings e la Academic Ranking of World<br />
Universities, valutano le 300 principali università<br />
mondiali. In queste classifiche la<br />
Svizzera è presente con le due Scuole politecniche<br />
federali e le cinque università con<br />
facoltà di medicina: Zurigo, Ginevra, Basilea,<br />
Berna e Losanna. Non vi compaiono,<br />
invece, le università di Friburgo, Lucerna,<br />
Neuchâtel, San Gallo e quella della Svizzera<br />
italiana. Queste osservazioni indicano<br />
chiaramente che la creazione della Facoltà<br />
di scienze biomediche avviene anche per<br />
avvicinare l’ancora giovane Università della<br />
Svizzera italiana, attualmente nella “Challenge<br />
League” del mondo universitario,<br />
alla più prestigiosa Super League.
FATTI<br />
Il lungo cammino che ha portato<br />
l’università nella Svizzera italiana<br />
FATTI<br />
L’USI è la seconda università più giovane della Svizzera e i<br />
suoi 20 anni di vita rappresentano un soffio rispetto agli oltre<br />
500 dell’Università di Basilea. La volontà di emancipare la<br />
nostra regione dal punto di vista accademico ha tuttavia radici<br />
antiche. Ecco una rapida carrellata dei progetti più importanti<br />
e delle fasi cruciali che fecero la differenza, grazie anche<br />
alle ricerche e ai ricordi del Prof. Mauro Baranzini.<br />
Un documento<br />
conservato nell’Archivio<br />
storico della Città di<br />
Lucerna testimonia i<br />
primi tentativi rispetto a<br />
un progetto<br />
universitario a Lugano,<br />
ad opera prima dei Padri<br />
Somaschi e poi dei<br />
Gesuiti. Tentativi<br />
entrambi falliti.<br />
1588<br />
Nei primi 60 anni del<br />
’900 ci furono diverse<br />
discussioni e almeno<br />
tre nuovi tentativi.<br />
Nessuno andò<br />
a buon fine.<br />
1912 –<br />
1960<br />
1991<br />
Il Municipio di Lugano<br />
dà mandato a Mauro<br />
Baranzini, Sergio Cigada<br />
e Lanfranco Senn di<br />
preparare un progetto<br />
dettagliato per<br />
l’istituzione di due<br />
Facoltà a Lugano. A<br />
loro si uniscono due<br />
anni dopo Luigi Dadda<br />
e Remigio Ratti.<br />
Flavio Cotti parla a<br />
Poschiavo, in occasione<br />
dei 700 anni della<br />
Confederazione, del<br />
potenziale tutto da<br />
esprimere della Svizzera<br />
italiana in ambito<br />
accademico e scientifico<br />
e della necessità di una<br />
nuova iniziativa in<br />
tema.<br />
1993<br />
1844<br />
Il progetto di Stefano<br />
Franscini per una<br />
Accademia Ticinese<br />
viene approvato dal Gran<br />
Consiglio, ma le difficoltà<br />
finanziarie in cui il<br />
Cantone si venne a<br />
trovare e le rivalità tra<br />
Locarno, Bellinzona e<br />
Lugano fecero<br />
cadere il progetto.<br />
1985<br />
Il Centro Universitario<br />
della Svizzera italiana<br />
(CUSI) – istituto per la<br />
formazione continua –<br />
è approvato dal Gran<br />
Consiglio, ma respinto<br />
in votazione popolare<br />
nel 1986.<br />
1992 –<br />
1994<br />
Mario Botta raccoglie<br />
lo spunto di Roland<br />
Crottaz (Presidente<br />
del Consiglio dei<br />
Politecnici) per<br />
un’Accademia di<br />
architettura e su<br />
mandato del Governo<br />
ticinese imposta un<br />
progetto per la sua<br />
realizzazione, insieme<br />
a Giuseppe Buffi.
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37<br />
A marzo il Consiglio<br />
comunale di Lugano<br />
approva il progetto per<br />
le due Facoltà di scienze<br />
economiche e scienze<br />
della comunicazione.<br />
A ottobre il Gran<br />
Consiglio approva la<br />
legge sulla costituzione<br />
dell’Università della<br />
Svizzera italiana con le<br />
due Facoltà luganesi e<br />
l’Accademia di<br />
architettura a<br />
Mendrisio.<br />
1995<br />
Prende avvio il primo<br />
Executive master, il<br />
Master of Advanced<br />
Studies in economia e<br />
management sanitario<br />
e sociosanitario. L’anno<br />
successivo partono le<br />
lezioni di EMScom,<br />
l’Executive Master of<br />
Science in<br />
Communications<br />
Management, all’epoca<br />
chiamato MPR.<br />
1998<br />
Con il conferimento<br />
delle prime lauree, l’USI<br />
ottiene il pieno<br />
riconoscimento del<br />
Consiglio federale, che<br />
garantisce al Ticino<br />
lo status di Cantone<br />
universitario.<br />
2000<br />
Nasce la Facoltà di<br />
scienze informatiche.<br />
2004<br />
Viene fondato l’Istituto<br />
di studi italiani e parte<br />
il Master in Lingua,<br />
letteratura e civiltà<br />
italiana; nel 2012 viene<br />
inaugurato anche il<br />
percorso di Bachelor.<br />
2007<br />
2008<br />
Il Prof. Michele<br />
Parrinello della Facoltà<br />
di scienze informatiche<br />
vince il Premio Marcel<br />
Benoist, il più<br />
importante<br />
riconoscimento<br />
scientifico svizzero.<br />
Viene fondato<br />
l’Istituto di storia e<br />
teoria dell’arte e<br />
dell’architettura.<br />
Nasce il nuovo Istituto<br />
di scienze<br />
computazionali entro la<br />
Facoltà di scienze<br />
informatiche.<br />
2011<br />
1996<br />
Il Consiglio svizzero<br />
della scienza si esprime<br />
favorevolmente<br />
sulla creazione<br />
dell’Università della<br />
Svizzera italiana. Il 21<br />
ottobre 1996, alle ore<br />
8.30, iniziano le lezioni<br />
sui campus di Lugano e<br />
Mendrisio.<br />
2001<br />
L’USI adotta, tra le<br />
prime in Svizzera, il<br />
nuovo Ordinamento<br />
europeo degli studi<br />
universitari, in<br />
conformità alla<br />
Dichiarazione di<br />
Bologna.<br />
2010<br />
L’Istituto di Ricerca<br />
in Biomedicina (IRB,<br />
Bellinzona), guidato dal<br />
Prof. Antonio<br />
Lanzavecchia, è affiliato<br />
all’USI.<br />
2014<br />
Approvata dal Gran<br />
Consiglio l’istituzione<br />
della quinta Facoltà:<br />
Scienze biomediche.
FATTI<br />
Venti anni di crescita, nella formazione e nella ricerca<br />
Dal 1996 a oggi l’USI ha vissuto una crescita<br />
rapida e praticamente costante sia per<br />
quanto riguarda i numeri della formazione<br />
che per quelli della ricerca, segno dell’attrattiva<br />
del progetto, della qualità delle<br />
persone coinvolte e della lungimiranza delle<br />
politiche messe in atto. Si tratta di una<br />
crescita che evolve nelle sue forme, sviluppando<br />
il potenziale di nuove iniziative e<br />
adattandosi ai diversi nuovi contesti; una<br />
crescita che non rappresenta tuttavia un<br />
dogma e che non è detto debba necessariamente<br />
perdurare, spostando l’attenzione<br />
sul consolidamento delle attività.<br />
Dalle poco più di 300 matricole del 1996,<br />
il numero degli studenti dell’USI è sostanzialmente<br />
decuplicato e la sua composizione<br />
demografica si è trasformata<br />
progressivamente all’insegna dell’internazionalità,<br />
con un crescente apporto di studenti<br />
provenienti dall’Italia. Gli iscritti<br />
dalla Svizzera tedesca e francese, dopo<br />
aver vissuto una prima espansione, sono<br />
invece progressivamente diminuiti, mentre<br />
la presenza di studenti ticinesi è cresciuta<br />
restando poi costante nel tempo. Si tratta<br />
di una composizione che riflette alcuni<br />
tratti identitari dell’USI e la sua collocazione<br />
geografica di frontiera. Sui campus di<br />
Lugano e Mendrisio si incontrano infatti<br />
studenti provenienti da più di 100 paesi,<br />
che rappresentano più del 20% del totale:<br />
questo è frutto della vocazione internazionale<br />
dell’USI, concepita fin dall’inizio non<br />
solo come università per i giovani ticinesi,<br />
bensì come vettore per portare il nome<br />
della Svizzera italiana in tutto il mondo.<br />
La crescente forza della componente di<br />
studenti italiani (circa il 45%) è invece<br />
ascrivibile, oltre alla comunanza linguistica<br />
e culturale, alla posizione geografica<br />
di tutto il Ticino, naturalmente inserito<br />
nell’ampio bacino demografico lombardo,<br />
recentemente confrontato con difficoltà<br />
sistemiche che coinvolgono – non da ultime<br />
– le stesse università. Circa la metà<br />
degli studenti italiani, peraltro, arriva da<br />
fuori Lombardia. La presenza ridotta di<br />
studenti provenienti dal resto della Svizzera<br />
(il 7%) resta un tema su cui riflettere e<br />
su cui gli sforzi continuano a concentrarsi,<br />
ma la situazione chiama anche al realismo:<br />
l’offerta di altre università di ottimo livello<br />
lungo tutto l’Altopiano rende molto forte<br />
la concorrenza e negli ultimi anni diversi<br />
atenei hanno attivato percorsi formativi<br />
simili a quelli che agli inizi costituivano<br />
una caratteristica peculiare dell’USI. La<br />
3500<br />
3000<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
0<br />
1996-97<br />
1997-98<br />
1998-99<br />
1999-00<br />
2000-01<br />
2001-02<br />
2002-03<br />
Ticino<br />
percentuale di studenti ticinesi (stabile intorno<br />
al 25%), infine, segna da un lato un<br />
buon risultato raggiunto nei termini della<br />
fiducia accordata all’offerta dell’USI lungo<br />
20 anni, dall’altro fuga la paura degli inizi<br />
rispetto alla temuta “provincializzazione”<br />
dei giovani ticinesi, un numero molto significativo<br />
dei quali continua a optare per<br />
un’esperienza accademica nel resto della<br />
Confederazione.<br />
Da quando la ricerca scientifica prodotta<br />
all’USI ha iniziato a dare i primi frutti, nel<br />
2000, sono stati quasi 190 i milioni che i<br />
ricercatori si sono aggiudicati presso il<br />
Fondo nazionale svizzero e l’Unione europea.<br />
Trattandosi di finanziamenti vinti in<br />
competizione diretta con altre università e<br />
centri di ricerca a livello nazionale e inter-<br />
2003-04<br />
2004-05<br />
2005-06<br />
2006-07<br />
2007-08<br />
2008-09<br />
2009-10<br />
2010-11<br />
2011-12<br />
2012-13<br />
2013-14<br />
2014-15<br />
2015-16<br />
Svizzera Italia Estero
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
39<br />
nazionale, questo dato costituisce una bella<br />
storia di successo e un buon indicatore della<br />
salute complessiva dell’ateneo, fondata<br />
anche sulla centralità della ricerca. Così,<br />
come avvenuto per la formazione, anche la<br />
crescita della ricerca ha subìto negli anni<br />
diverse evoluzioni nella sua composizione.<br />
Come si evince chiaramente dal grafico qui<br />
sotto a destra, che descrive il totale complessivo<br />
dei fondi competitivi vinti dalle<br />
diverse Facoltà o Istituti, il grande impulso<br />
ai finanziamenti si deve a due aree entrate<br />
nell’orbita dell’USI progressivamente, ovvero<br />
la Facoltà di scienze informatiche e<br />
l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB).<br />
Questo dato esprime bene le ragioni della<br />
strategia di sviluppo dell’USI, che ha<br />
individuato in questi settori un forte potenziale<br />
di crescita, con ricadute possibili<br />
sul territorio in termini sia scientifici che<br />
di innovazione. Un dato che tuttavia non<br />
deve suonare come un giudizio di merito<br />
rispetto alle Facoltà “storiche” che, rientrando<br />
nel novero delle scienze sociali, se<br />
non addirittura delle arti, notoriamente attraggono<br />
finanziamenti competitivi meno<br />
importanti.<br />
La crescita sul fronte sia della ricerca che<br />
della formazione deve la sua forza alla passione<br />
e alla devozione al proprio lavoro di<br />
professori, docenti e ricercatori, ma non<br />
solo. L’USI è diventata quella che è grazie<br />
anche alla generosità di numerosi sostenitori<br />
privati, che credono al progetto universitario<br />
e senza i quali molte borse di studio,<br />
cattedre, singoli progetti o intere parti<br />
dei campus semplicemente non esisterebbero.<br />
Una singola menzione non restituisce<br />
certo il loro grande contributo, ma in ogni<br />
caso fa testo: Fondazione per le Facoltà di<br />
Lugano, Fondazione per la ricerca e lo sviluppo<br />
dell’USI, Fondazioni Banca del Ceresio,<br />
Corriere del Ticino, Daccò, Fidinam,<br />
Körfer, Leonardo, Maletti, Sergio Mantegazza,<br />
Sodeska, Vontobel, Winterhalter,<br />
The Gabriele Charitable Foundation, Associazione<br />
Amici dell’Accademia, Fondi<br />
di compensazione AVS, Donazione Eredi<br />
Sandra Cattaneo, Donazione Eredi Franco<br />
Olgiati, Donazione Editta Tonella, Donazioni<br />
Eredi Dionisotti, Corboz, Sansone e<br />
Braswell, Harley-Davidson Club Ticino.<br />
20<br />
18<br />
Nel primo grafico a sinistra l’evoluzione della popolazione<br />
studentesca, nel secondo quella dei finanziamenti competitivi<br />
alla ricerca scientifica in milioni di CHF. Il grafico qui<br />
sotto descrive il totale complessivo dei fondi competitivi<br />
vinti in proporzione dalle diverse Facoltà o Istituti.<br />
16<br />
14<br />
ARC 5%<br />
COM 12%<br />
12<br />
IRB 31%<br />
10<br />
ECO 11%<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
INF 41%<br />
0<br />
2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016
FATTI<br />
#20anniUSI: sui social network<br />
volti e momenti che hanno scritto la nostra storia<br />
Restando fedele alla sua natura volta al futuro,<br />
l’USI ha deciso di ripercorrere alcuni<br />
momenti salienti della sua storia partendo<br />
dai social media. Dai profili dell’USI su<br />
Facebook, Instagram e Twitter, per tutto<br />
l’arco dell’anno, con l’hashtag #20anniUSI<br />
sono state e saranno condivise immagini,<br />
idee e storie capaci di mettere a fuoco le<br />
nostre radici, raccontando allo stesso tempo<br />
il nostro orizzonte. Ecco alcuni istanti<br />
tra i più significativi: nella prima foto in<br />
alto, il Prof. Luigi Dadda inaugura i corsi<br />
di Scienze della comunicazione con una<br />
lezione sul funzionamento di Internet, il 21<br />
ottobre 1996. Nella foto in basso, lo stesso<br />
giorno, sul campus di Mendrisio Mario<br />
Botta discute con i suoi primi studenti.<br />
Nella pagina accanto, in alto: Aurelio Galfetti,<br />
Eddo Rigotti e Luigi Pasinetti nel<br />
1995 al Palazzo dei congressi di Lugano,<br />
per la discussione pubblica dei progetti<br />
formulati dal Comitato ordinatore per le<br />
Facoltà di scienze economiche e scienze<br />
della comunicazione. A lato Manuela Casanova,<br />
prima collaboratrice dei servizi<br />
assunta dall’USI – oggi a capo dell’amministrazione<br />
del personale del campus di<br />
Lugano –, immatricola il primo studente<br />
dell’USI, Alexander Harbaugh. In basso<br />
a sinistra Giuliano Bignasca e Giorgio<br />
Salvadè discutono in occasione del primo<br />
Dies academicus, l’8 marzo del 1997: il<br />
loro sostegno fu determinante. A fianco,<br />
nell’ottobre del 1996, il Consigliere di Stato<br />
Giuseppe Buffi sorride tra i due sindaci<br />
di Mendrisio (Carlo Croci, a sinistra) e di<br />
Lugano (Giorgio Giudici, a destra): senza<br />
la convergenza e le risorse ingenti messe<br />
da loro a disposizione, il progetto dell’USI<br />
non sarebbe potuto partire.
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
41<br />
Le foto sono gentilmente messe a disposizione dal Corriere del Ticino. Sui profili dell’USI su Twitter, Facebook e Instagram la<br />
campagna è aperta: chiunque avesse scatti “storici” riguardanti la fondazione dell’USI, i suoi protagonisti, l’avvio dei primi<br />
corsi nel 1996 o il primo Dies nel 1997 è benvenuto, sia direttamente sui social con l’hashtag #20anniUSI sia via email:<br />
press@usi.ch
FATTI<br />
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei:<br />
i dottori honoris causa dell’USI<br />
2003<br />
John R. Searle, professore di Filosofia della<br />
mente e del linguaggio all’Università della<br />
California di Berkeley, riceve il dottorato<br />
honoris causa dalla Facoltà di scienze della<br />
comunicazione “per il suo straordinario<br />
contributo alla comprensione dei fondamenti<br />
delle Scienze della comunicazione,<br />
con particolare riguardo ai rapporti che<br />
intercorrono fra la mente, l’azione, il linguaggio<br />
e i processi di costruzione della<br />
realtà sociale”.<br />
2004<br />
Robert F. Engle, specialista in econometria<br />
finanziaria e professore alla New York<br />
University, riceve il dottorato honoris causa<br />
dalla Facoltà di scienze economiche “in<br />
riconoscimento del suo ruolo di pioniere<br />
nell’elaborazione di modelli matematici<br />
per la misura delle relazioni tra variabili<br />
economiche e finanziarie, con particolare<br />
riguardo alle analisi della cointegrazione<br />
dei prezzi e della volatilità dei rendimenti”.<br />
2005<br />
Giuseppe Panza di Biumo, uno dei più<br />
grandi e innovativi collezionisti di arte<br />
contemporanea, riceve il dottorato honoris<br />
causa dall’Accademia di architettura “per<br />
aver promosso con azione intensa ed efficace<br />
artisti e movimenti ispirati a poetiche<br />
spaziali e aver così indicato agli architetti<br />
vie nuove che hanno arricchito i riferimenti<br />
e i principi della loro disciplina e hanno<br />
favorito lo sviluppo di ricerche estetiche<br />
sulla spazialità in una prospettiva contemporanea”.<br />
2006<br />
Leslie Lamport, ricercatore scientifico di<br />
Microsoft Research in California, riceve<br />
il dottorato honoris causa dalla Facoltà di<br />
scienze informatiche “per i suoi contributi<br />
pionieristici ai fondamenti teorici dei sistemi<br />
informatici distribuiti”.<br />
2010<br />
Frans H. van Eemeren, fondatore della<br />
teoria pragma-dialettica dell’argomentazione<br />
e professore alla Universiteit van<br />
Amsterdam, riceve il dottorato honoris<br />
causa dalla Facoltà di scienze della comunicazione<br />
“per il suo decisivo contributo<br />
allo studio dell’argomentazione, intesa<br />
come modalità ragionevole e critica per<br />
la composizione delle differenze di opinione,<br />
che ha portato alla formulazione di<br />
un modello che riconcilia argomentazione<br />
e retorica specificando i criteri di validità<br />
del processo argomentativo e le condizioni<br />
comunicative della sua efficacia”.<br />
2011<br />
Barbara H. Liskov, professoressa presso<br />
il Dipartimento di ingegneria elettronica<br />
e informatica del Massachusetts Institute<br />
of Technology (MIT) di Boston, prima<br />
donna a ottenere un dottorato in informatica<br />
negli Stati Uniti e nominata dalla<br />
rivista Discover Magazine tra le 50 donne<br />
di scienza più importanti al mondo, riceve<br />
il dottorato honoris causa dalla Facoltà di<br />
scienze informatiche “per i suoi contributi<br />
pionieristici alla definizione dei linguaggi<br />
di programmazione e all’ingegneria del<br />
software”.<br />
2011<br />
Werner Oechslin, teorico e storico dell’architettura<br />
di fama internazionale, riceve il<br />
dottorato honoris causa dall’Accademia di<br />
architettura “per i suoi contributi innovatori<br />
alla teoria e alla storia dell’architettura,<br />
espressione delle sue ampie convinzioni<br />
umanistiche e intellettuali, che hanno segnato<br />
in modo significativo il dibattito a<br />
livello istituzionale e professionale anche<br />
oltre il contesto svizzero”.<br />
2012<br />
John D. Sterman, professore di Management<br />
and Engineering Systems presso<br />
la MIT Sloan School of Management<br />
(Massachusetts Institute of Technology,<br />
Boston), riceve il dottorato honoris causa<br />
dalla Facoltà di scienze economiche “per<br />
i suoi contributi pionieristici alla dinamica<br />
dei sistemi, alle dinamiche organizzative<br />
e di processo decisionale comportamentale”.
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
43<br />
2006<br />
Stephen A. Ross, professore al Massachusetts<br />
Institute of Technology (MIT) e teorico<br />
delle valutazioni di attività finanziarie<br />
e decisioni aziendali, riceve il dottorato<br />
honoris causa dalla Facoltà di scienze economiche<br />
“per il suo fondamentale contributo<br />
alla teoria delle valutazioni di attività<br />
finanziarie e decisioni aziendali”.<br />
2007<br />
Bernard Miège, professore emerito di<br />
Scienze dell’informazione e della comunicazione<br />
all’Université Stendhal Grenoble<br />
3, riceve il dottorato honoris causa dalla<br />
Facoltà di scienze della comunicazione<br />
“per aver dato, con le sue ricerche, un contributo<br />
fondamentale alla comprensione<br />
dei rapporti tra lo sviluppo delle industrie<br />
dei media, l’innovazione tecnologica e la<br />
trasformazione della società”.<br />
2008<br />
David Lorge Parnas, ricercatore canadese<br />
Fellow della Royal Society of Canada, riceve<br />
il dottorato honoris causa dalla Facoltà<br />
di scienze informatiche “per i ricchi e profondi<br />
contributi alla concezione del software<br />
e per la promozione della responsabilità<br />
sociale nelle scienze dell’ingegnere”.<br />
Mimmo Paladino, noto e innovativo artista<br />
italiano, riceve il dottorato honoris causa<br />
dall’Accademia di architettura “per la lucidità<br />
con cui indaga le problematiche dello<br />
spazio senza perdere di vista la specificità<br />
del proprio linguaggio figurativo e per la<br />
sua continua ricerca capace di conferire<br />
all’analisi spaziale una dimensione evocativa<br />
e poetica di sicuro riferimento per gli<br />
architetti”.<br />
2009<br />
Ernst Fehr, direttore dell’Institute for Empirical<br />
Research in Economics dell’Università<br />
di Zurigo, riceve il dottorato honoris<br />
causa dalla Facoltà di scienze economiche<br />
“per aver dato, con le sue ricerche, un contributo<br />
fondamentale alla comprensione<br />
del comportamento degli agenti economici<br />
superando la teoria neoclassica dell’agente<br />
razionale”.<br />
2013<br />
Mimmo Jodice, tra i più grandi nomi della<br />
fotografia italiana, riceve il dottorato honoris<br />
causa dall’Accademia di architettura<br />
“per la sua capacità di coniugare realtà ed<br />
immaginario attraverso un sapiente processo<br />
di elaborazione visiva e fotografica,<br />
che interpreta magistralmente la storia e la<br />
cultura mediterranee”.<br />
2014<br />
Jimmy Wales, co-fondatore di Wikipedia e<br />
fondatore di Wikimedia, riceve il dottorato<br />
honoris causa dalla Facoltà di scienze della<br />
comunicazione “per il suo contributo nel<br />
promuovere la condivisione online della<br />
conoscenza e nell’offrire una piattaforma<br />
enciclopedica collaborativa aperta a diverse<br />
lingue e culture”.<br />
2015<br />
Jean-Pierre Danthine (secondo da sinistra), professore all’Università di Losanna e già vicepresidente<br />
della Banca nazionale svizzera, riceve il dottorato honoris causa dalla Facoltà<br />
di scienze economiche “per il suo importante contributo allo studio delle interazioni tra<br />
macroeconomia e finanza”.<br />
Gilles Brassard (al centro), professore all’Università di Montréal, riceve il dottorato honoris<br />
causa dalla Facoltà di scienze informatiche “per il suo importante contributo nell’ambito<br />
della crittografia, in particolare per il suo ruolo pionieristico nello sviluppo della<br />
crittografia quantistica”.<br />
Franco Farinelli (accanto a Brassard), professore ordinario all’Università di Bologna, riceve<br />
il dottorato honoris causa dall’Accademia di architettura “per i suoi magistrali studi<br />
dedicati alla teoria e alla storia del pensiero geografico, ai fondamenti spaziali della cultura<br />
occidentale e alla genesi del concetto moderno di paesaggio”.
DI PROFILO<br />
L’Istituto di studi italiani<br />
DI<br />
PROFILO<br />
Carlo Ossola, Direttore dell’Istituto di studi italiani (ISI)<br />
L’Istituto di studi italiani dell’USI nacque a<br />
Lugano il 5 marzo del 2007, dunque più di<br />
dieci anni dopo la fondazione della stessa<br />
Università. L’idea che mosse il primo Presidente<br />
Marco Baggiolini fu quella di rafforzare<br />
l’impegno dell’USI – unica università<br />
di lingua italiana al di fuori dell’Italia<br />
– nell’ambito della lingua, letteratura, cultura<br />
e civiltà italiana, con un’offerta formativa<br />
interdisciplinare, capace di arricchire il<br />
sistema universitario svizzero mantenendo<br />
una prospettiva europea.<br />
L’idea del primo Presidente Marco<br />
Baggiolini fu quella di rafforzare<br />
l’impegno dell’USI in questo<br />
settore, con un’offerta formativa<br />
interdisciplinare, capace di<br />
arricchire il sistema universitario<br />
svizzero mantenendo una<br />
prospettiva europea<br />
L’Istituto si fonda infatti sulla storia ampia<br />
del concetto di “civiltà italiana”: le lettere,<br />
le arti, la musica; è parte di quella res<br />
publica literaria che non conosce confini,<br />
come non li conobbero le maestranze ticinesi<br />
– Borromini e Fontana in primis – che<br />
dettero un nuovo volto alla città di Roma.<br />
Professa una lingua che non individua tanto<br />
una nazione o un cantone, ma un lascito<br />
universale di civiltà, al modo che l’intesero<br />
Jacob Burckhardt (La civiltà del Rinascimento<br />
in Italia) e Werner Kaegi, un umanesimo<br />
dunque pensato non solo come<br />
frutto di un secolo circoscritto, ma come<br />
un compito sempre presente per rendere<br />
più umano l’uomo nell’esercizio delle humaniores<br />
litterae.<br />
L’Istituto è parte di quella res<br />
publica literaria che non conosce<br />
confini, come non li conobbero le<br />
maestranze ticinesi – Borromini<br />
e Fontana in primis – che dettero<br />
un nuovo volto alla città di Roma.<br />
Professa una lingua che non<br />
individua tanto una nazione o un<br />
cantone, ma un lascito universale<br />
di civiltà<br />
L’Istituto rilascia, oltre al titolo di Bachelor<br />
(‘Laurea triennale’), anche quello di Master<br />
(‘Laurea specialistica’), riconosciuto<br />
dall’Università di Pavia: privilegio e impegno<br />
per accordare a una storia plurisecolare<br />
l’esperienza più recente dell’USI.<br />
La vocazione internazionale dell’Istituto è<br />
confermata sia dalla provenienza europea<br />
del corpo docente, sia dall’afflusso, anche<br />
da altri continenti, di studenti e dottorandi.<br />
Ex-allievi dell’ISI insegnano oggi nelle<br />
Università di San Pietroburgo e di Hanoi.<br />
Il successo del dottorato confederale in<br />
“civiltà italiana” che riunisce, intorno alle<br />
“arti sorelle”, le università di Ginevra,<br />
Friburgo, Berna, Basilea e Zurigo (oltre<br />
naturalmente all’Istituto di storia e teoria<br />
dell’arte e dell’architettura dell’Accademia<br />
di architettura e all’ISI stesso che è sede<br />
amministrativa) è tangibilmente testimoniato<br />
dagli oltre trenta dottorandi che, pur<br />
di differente lingua materna, si ritrovano
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
45<br />
– per ampi seminari residenziali – conversando,<br />
dialogando, meditando in lingua<br />
italiana.<br />
La recente nascita di una collana di saggi<br />
e studi, promossi dall’Istituto, presso l’Editore<br />
Olschki (Firenze), è destinata ad<br />
assicurare una più solida presenza – nella<br />
‘pubblica lettura’ e nelle università – della<br />
ricerca che l’ISI suscita e porta a compimento.<br />
Nonostante l’antico adagio, sovente ripetuto<br />
in una società spiccatamente utilitarista,<br />
“carmina non dant panem”, è motivo<br />
di speranza constatare che i nostri laureati<br />
–proprio in virtù della capacità che le lettere<br />
offrono di comprendere testi nella varia<br />
articolazione di registri e di sensi, e di fornire<br />
“versioni di mondo” possibili o agognate<br />
– si sono sin qui inseriti rapidamente<br />
nel mondo del lavoro e della ricerca. Sembra<br />
così di poter dire, con Angelo Fabroni<br />
(nella sua Historia Academiae Pisanae,<br />
vol. II, 1792), “Solae humaniores litterae<br />
visae sunt prosperiori uti fortuna”: “solo<br />
le umane lettere sono parse godere di più<br />
prospera fortuna”; poiché – quale che sia il<br />
‘riconoscimento’ esterno che la vicenda dei<br />
tempi conferisce alle Lettere – esse offrono<br />
la più preziosa prosperità: quella di abitare<br />
serenamente con se stessi.<br />
In queste due immagini, relative alla conferenza stampa di presentazione dell’Istituto il 5<br />
marzo 2007 e ai relativi preparativi, si trovano i protagonisti della fondazione dell’ISI: Marco<br />
Baggiolini, primo presidente dell’USI e coordinatore del progetto; Carlo Ossola, direttore<br />
dell’Istituto e professore al Collège de France; Corrado Bologna, professore aggregato all’ISI<br />
e ordinario di Filologia romanza all’Università di Roma Tre; e Piero Boitani, docente all’ISI<br />
e ordinario di Letterature comparate alla Sapienza di Roma.
DI PROFILO<br />
ALaRI, un progetto non solo tecnologico<br />
e fuori dagli schemi<br />
Maria Giovanna Sami, fondatrice dell’Istituto ALaRI<br />
Un sistema embedded altro non è che un<br />
sistema elettronico di elaborazione a microprocessore,<br />
non diverso dai personal<br />
computer a cui siamo abituati, ma con tre<br />
importanti particolarità: è progettato per<br />
compiere un insieme di azioni predefinite,<br />
è di dimensioni sempre più ridotte ed<br />
è integrato (embedded) all’interno di un<br />
sistema più grande, spesso di natura non<br />
elettronica. Dai telefoni alle automobili,<br />
dalle televisioni alle navicelle spaziali, passando<br />
per ospedali, banche e aeroporti,<br />
il mondo che ci circonda è tempestato di<br />
sistemi di questo tipo. Molte delle operazioni<br />
che compiamo ogni giorno e che diamo<br />
per scontate dipendono dal progresso<br />
avvenuto in questo settore. Un progresso<br />
che, a Lugano, abbiamo senza dubbio<br />
contribuito ad alimentare grazie alle attività<br />
di ALaRI, l’Advanced Learning and<br />
Research Institute della Facoltà di scienze<br />
informatiche.<br />
Era infatti il 1999 quando – durante un<br />
seminario tra importanti industrie del settore<br />
e ricercatori di tutta Europa – convenimmo<br />
sull’urgenza di colmare una grave<br />
lacuna, ovvero l’assenza nel panorama<br />
accademico del Vecchio Continente di un<br />
programma formativo al passo con i tempi.<br />
Tempi con un ritmo di sviluppo molto rapido<br />
dal punto di vista industriale, che le<br />
università – assestate su di un approccio<br />
disciplinare – non riuscivano a tenere.<br />
Il fatto che 20 anni fa, il 21<br />
ottobre del 1996, i corsi dell’USI<br />
furono inaugurati anche da Luigi<br />
Dadda, credo debba essere motivo<br />
di giusta fierezza per l’Università,<br />
a testimonianza di un’identità<br />
pionieristica e interdisciplinare,<br />
di fine pensiero tecnologico e di<br />
solido impegno umano<br />
Il Prof. Luigi Dadda; nella<br />
pagina a fianco la Prof. Maria<br />
Giovanna Sami<br />
(Foto Ti-press).<br />
È nato così il sogno di un nuovo polo di<br />
formazione avanzata, che da un lato sapesse<br />
rispondere alle esigenze di un’industria<br />
confrontata con il boom dei sistemi<br />
embedded senza diventarne però dipendente,<br />
dall’altra estendesse gli orizzonti<br />
della ricerca scientifica grazie a un nuovo<br />
approccio, in grado di superare le barriere<br />
tra le diverse discipline. Si trattava di un<br />
progetto accademico innovativo, che aveva<br />
bisogno di una sede fuori dagli schemi<br />
universitari tradizionali. Fu così che il Prof.<br />
Luigi Dadda – già a Lugano tra i fondatori<br />
della Facoltà di scienze della comunicazione<br />
– propose di bussare alla porta del presidente<br />
dell’USI di allora, Marco Baggiolini.<br />
In poco tempo nacque l’istituto ALaRI,<br />
con un Master of engineering dedicato<br />
espressamente alla formazione ritenuta più<br />
urgente dal mondo delle imprese. Si è trattato<br />
della materializzazione di un progetto
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
47<br />
ideale, che abbiamo pazientemene intessuto<br />
in forma di ponte tra il Politecnico di<br />
Milano e quelli di Zurigo e Losanna, selezionando<br />
i professori più noti, in qualsiasi<br />
paese, per le discipline più strategiche per<br />
il nostro progetto. Ora abbiamo un’offerta<br />
formativa completa, articolata tra un<br />
Master of Science biennale, un Master<br />
of Advanced Studies per professionisti e<br />
la partecipazione alla scuola di dottorato<br />
della Facoltà. Riceviamo finanziamenti alla<br />
ricerca dall’industria e da fondi competitivi<br />
pubblici svizzeri ed europei, mentre i<br />
nostri studenti provengono da quasi tutto<br />
il mondo.<br />
Guardandomi indietro, tra i tanti ricordi<br />
che porto di questi anni, il più bello e il più<br />
significativo è senza dubbio legato ai successi<br />
di alcuni miei studenti: menti fresche<br />
e dinamiche, che ora insegnano e fanno ricerca<br />
nelle migliori università e nei più prestigiosi<br />
laboratori industriali, o che hanno<br />
deciso di trasformare una buona idea in<br />
un’impresa di successo, dalla California al<br />
Ticino. Per natura, però, continuo a guardare<br />
avanti e vedo un grande futuro: le sfide<br />
sono infatti molte e – paradossalmente –<br />
con il progresso tecnologico non fanno che<br />
aumentare. La pervasività raggiunta dai<br />
sistemi embedded ha infatti enormi ripercussioni<br />
su molti aspetti della nostra vita.<br />
È quindi naturale interrogarsi innanzitutto<br />
sulla loro sicurezza, sulle vie della miniaturizzazione,<br />
sull’efficienza energetica, sul<br />
tema della memoria. Questi sistemi hanno<br />
un impatto sulla fisicità dei nostri corpi, basti<br />
pensare all’airbag di un’auto o al sistema<br />
di somministrazione dell’insulina. Credo<br />
quindi sia urgente un lavoro di sensibilizzazione<br />
dell’opinione pubblica, non consapevole<br />
da un parte della rilevanza di questi<br />
sistemi, dall’altra della fragilità del mondo<br />
tecnologico in cui siamo tutti immersi. Un<br />
obiettivo, quello della condivisione del sapere,<br />
che è sempre stato nella testa e nel<br />
cuore dell’uomo al quale si deve, tra le tante<br />
altre cose, proprio la nascita di ALaRI e<br />
forse anche di un buon pezzo di tutta l’USI.<br />
Luigi Dadda fu una delle persone più curiose,<br />
aperte e appassionate della realtà che<br />
io abbia mai incontrato. La sua storia, classe<br />
1923, nato e cresciuto in una cascina del<br />
Lodigiano, è – letteralmente – la storia del<br />
progresso tecnologico dell’ultimo secolo:<br />
dalle prime radio a galena alla costruzione<br />
del primo calcolatore d’Europa, dall’Accademia<br />
russa delle scienze alla lobby del<br />
supercomputing di Washington, attraverso<br />
gli anni di piombo come rettore del Politecnico<br />
di Milano e i primi modelli di rete<br />
tra computer del Vecchio Continente. Il<br />
fatto che 20 anni fa, il 21 ottobre del 1996,<br />
i corsi dell’USI furono inaugurati anche<br />
da lui credo debba essere motivo di giusta<br />
fierezza per l’Università, a testimonianza di<br />
un’identità pionieristica e interdisciplinare,<br />
di fine pensiero tecnologico e di solido impegno<br />
umano.
DI PROFILO<br />
Ti-EDU: 20 anni di rete al servizio<br />
della formazione e della ricerca<br />
Mario Gay, Responsabile servizi informatici Ti-EDU<br />
Spesso non è facile spiegare ai non addetti<br />
ai lavori di che cosa si occupa chi lavora<br />
nel settore delle reti informatiche. Come<br />
capita per la corrente elettrica o l’acqua<br />
potabile, la cui disponibilità diamo largamente<br />
per scontata, ci si accorge di quanto<br />
le attività professionali dipendano da<br />
prestazioni come la posta elettronica, le<br />
banche dati on-line o i servizi in cloud solo<br />
nelle rare occasioni in cui questi servizi non<br />
siano disponibili. Ti-EDU, il servizio gestito<br />
dall’USI che da 20 anni si occupa della<br />
rete di comunicazione accademica della<br />
Svizzera italiana e di una buona parte dei<br />
sistemi informatici anche della SUPSI e di<br />
diverse altre realtà formative e scientifiche<br />
del Cantone, gestisce l’acquedotto dell’informazione<br />
grazie al quale ogni giorno<br />
possono comunicare, lavorare e studiare<br />
migliaia di docenti, ricercatori e studenti.<br />
Il progetto risale ormai al 1996, quando<br />
quelli che potremmo definire i “padri<br />
fondatori” della rete Ti-EDU (tra i quali<br />
Mauro Dell’Ambrogio, Mauro Martinoni<br />
e Fiorenzo Scaroni) maturarono l’idea di<br />
affidare all’USI la creazione di un servizio<br />
informatico condiviso e finalizzato alla<br />
messa in opera di una rete che collegasse<br />
l’Università, la Scuola universitaria professionale<br />
della Svizzera italiana e, originalmente,<br />
le scuole e le biblioteche cantonali.<br />
Connetterle tra di loro e connetterle a<br />
Internet, che allora per i più era un’entità<br />
ancora misteriosa e di cui non sempre si<br />
intravvedevano le potenzialità. Sembra un<br />
secolo fa, ma era l’epoca dei modem, del<br />
monopolio statale sulle telecomunicazioni,<br />
dei doppini di rame e di una rete accademica<br />
che viaggiava a multipli di 64 kilobit<br />
al secondo, mentre oggi la rete Ti-EDU si<br />
basa su fibre ottiche e sfreccia a 10 gigabit<br />
al secondo, ovvero 100mila volte più velocemente<br />
di allora.<br />
Il nostro mandato fu quindi inizialmente<br />
quello di gestire la trasmissione dei dati<br />
attraverso le tecnologie allora disponibili<br />
e di fornire alcuni servizi di base come<br />
posta elettronica e siti Web. Dopo poco<br />
tempo però iniziammo a offrire, in risposta<br />
alle esigenze dei nostri utenti, una gamma<br />
progressivamente sempre più ampia di<br />
servizi, che spazia ora dalla cura dell’intero<br />
parco informatico di diverse Facoltà<br />
e Dipartimenti USI e SUPSI alla gestione<br />
della posta elettronica dei docenti cantonali,<br />
dalla conduzione di progetti di cambiamento<br />
organizzativo basato su strumenti<br />
informatici alla fornitura di infrastrutture<br />
tecnologiche in modalità analoga a quella<br />
dei fornitori cloud.<br />
Il fatto che nessuno degli utenti di<br />
Ti-EDU sia obbligato ad adottare<br />
i suoi servizi, ma possa rivolgersi<br />
altrove, ha contribuito a creare<br />
una mentalità “imprenditoriale”<br />
e ha fatto in modo che per i nostri<br />
collaboratori gli utenti-clienti<br />
siano considerati come la ragione<br />
stessa dell’esistenza della rete<br />
e del servizio<br />
La crescita della rete e del servizio informatico<br />
Ti-EDU è dovuta a diversi fattori<br />
resi possibili dall’impostazione di Ti-EDU<br />
come joint-venture tra organizzazioni con<br />
interessi simili e dalla larga autonomia<br />
operativa, non disgiunta dalla verifica dei<br />
risultati, accordataci dai nostri responsabili<br />
diretti, prima Mauro Dell’Ambrogio e poi<br />
Albino Zgraggen. Vale la pena citare due<br />
di questi fattori. Innanzitutto, il servizio<br />
Ti-EDU (analogamente a SWITCH, il gestore<br />
della rete accademica nazionale) si è<br />
continuamente adattato al cambiamento<br />
delle tecnologie e del loro mercato, prima<br />
offrendo servizi di base, come il puro collegamento<br />
telematico, e successivamente<br />
servizi a maggiore valore aggiunto, come<br />
la consulenza e la gestione di progetti informatici.<br />
In secondo luogo, il fatto che<br />
nessuno degli utenti di Ti-EDU sia obbligato<br />
ad adottare i suoi servizi, ma possa<br />
rivolgersi altrove, ha contribuito a creare<br />
una mentalità “imprenditoriale” e ha fatto<br />
in modo che per i nostri collaboratori gli<br />
utenti-clienti non siano considerati come<br />
un elemento secondario del nostro lavoro,<br />
ma siano la ragione stessa dell’esistenza<br />
della rete e del servizio Ti-EDU.
<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />
49<br />
45 nuove aziende e 150 nuovi posti di lavoro:<br />
l’USI per l’innovazione e le start-up<br />
La Fondazione per le Facoltà di Lugano<br />
nacque con la funzione di gestire dal punto<br />
di vista finanziario e organizzativo la componente<br />
“luganese” del progetto dell’USI,<br />
ovvero le Facoltà di scienze economiche e<br />
scienze della comunicazione. Una gestione<br />
svolta in stretta relazione con la Città,<br />
ma con un’impostazione vicina al settore<br />
privato, necessariamente distinta – benché<br />
connessa – a quella dell’Accademia a<br />
Mendrisio. La Fondazione ebbe agli inizi<br />
l’importante compito di attirare i finanziamenti<br />
necessari alle prime attività, nonché<br />
al loro sviluppo negli anni a seguire. Con<br />
la crescita dell’USI e il progressivo consolidamento<br />
del progetto, dal 2003 la Fondazione<br />
ha ceduto la gestione delle Facoltà al<br />
Consiglio dell’Università e si è orientata su<br />
altri fronti tra i quali l’erogazione di borse<br />
di studio, il fundraising e il sostegno alle<br />
attività nel settore dell’innovazione e delle<br />
start-up. Quest’ultimo ambito riveste infatti<br />
un ruolo centrale nella missione di un’istituzione<br />
accademica, costituendo una<br />
delle “cinghie di trasmissione” più importanti<br />
tra la ricerca scientifica da una parte<br />
e il progresso economico della società<br />
dall’altra. Per assolvere a questo compito,<br />
la Fondazione ha creato nel 2004 il Centro<br />
Promozione Start-up (CP Start-up), un<br />
servizio gestito in collaborazione con USI<br />
e SUPSI, con lo scopo di fornire assistenza<br />
a laureati svizzeri ed esteri intenzionati<br />
ad avviare una nuova impresa nel nostro<br />
Cantone. A concepire e coordinare questa<br />
iniziativa fin dal suo avvio è stato chiamato<br />
Roberto Poretti, da sempre impegnato per<br />
lo sviluppo economico della Svizzera italiana,<br />
come testimonia il recente riconoscimento<br />
ricevuto dalla Fondazione W.A. de<br />
Vigier che lo ha designato “Supporter of<br />
the year” per il 2015. Con l’approssimarsi<br />
del termine del suo mandato, gli abbiamo<br />
chiesto un bilancio di questi anni.<br />
Signor Poretti, come è nato ed evoluto il settore<br />
a sostegno delle start-up in Ticino?<br />
L’idea di puntare sull’innovazione in Ticino<br />
nacque nel 1985, sulla scia di uno<br />
studio condotto dall’Istituto di ricerche<br />
economiche (IRE), allora diretto dal Prof.<br />
Remigio Ratti. Lo studio fu commissionato<br />
dall’allora direttore del Dipartimento<br />
dell’Economia Pubblica, il Consigliere<br />
di Stato Renzo Respini, al fine di stilare<br />
un bilancio sull’efficacia, l’efficienza e<br />
l’incidenza delle politiche di promozione<br />
industriale nel Cantone. Proprio quell’anno<br />
fui nominato responsabile del servizio<br />
dipartimentale che si occupava di promozione<br />
economica del Cantone e collaborai<br />
pertanto alla stesura della nuova legge in<br />
materia che, riprendendo alcune felici intuizioni<br />
dello studio dell’IRE, introdusse<br />
per la prima volta il concetto di innovazione.<br />
Nel relativo messaggio con il quale, nel<br />
1986, il progetto di legge venne sottoposto<br />
al Gran Consiglio, già si menzionavano i<br />
parchi tecnologici e si parlava di capitale<br />
di rischio a sostegno di nuove iniziative imprenditoriali.<br />
I concetti c’erano quindi già<br />
tutti, anche se la loro messa in pratica – alle<br />
nostre latitudini – ha richiesto parecchio<br />
tempo. Fu infatti solo nel 2003 che lo stesso<br />
avvocato Renzo Respini, divenuto presidente<br />
della Fondazione per le Facoltà di<br />
Lugano dell’USI e percependo il clima favorevole<br />
maturato con l’avvento dell’Università,<br />
mi chiamò a concepire e avviare il<br />
progetto del CP Start-up. Dopo essere stato<br />
nel frattempo parecchi anni nel settore<br />
privato, impostai il progetto nel modo più<br />
efficace ed efficiente possibile e mi sembra<br />
che, dopo 10 anni, i frutti di quella semina<br />
inizino ora a vedersi.<br />
Dal 2004 al 2015 abbiamo<br />
ricevuto 640 richieste di sostegno<br />
a nuovi progetti imprenditoriali;<br />
dopo un’accurata selezione, 60<br />
sono stati ammessi al processo di<br />
incubazione, in quanto ritenuti<br />
innovativi e promettenti;<br />
45 sono ancora attivi<br />
Dal 2004 al 2015 abbiamo ricevuto 640<br />
richieste di sostegno a nuovi progetti imprenditoriali;<br />
dopo un’accurata selezione,<br />
60 sono stati ammessi al processo di incubazione,<br />
in quanto ritenuti innovativi e<br />
promettenti. I progetti hanno così potuto<br />
usufruire dei nostri servizi, anche se non<br />
tutti sono riusciti a entrare effettivamente<br />
sul mercato. Le 45 nuove aziende (tra le 60<br />
“promosse”) che ne sono nate offrono oggi<br />
– stima fluida a fine 2015 – almeno 150 impieghi.<br />
Interessante è inoltre notare come,<br />
tra i giovani imprenditori che hanno bussato<br />
alla nostra porta, ben il 20% sia rappresentato<br />
proprio da laureati dell’USI; è<br />
segno di come la macchina sia stata avviata<br />
e di come – oltre ad attrarre laureati e idee<br />
da fuori della Svizzera italiana – la nostra<br />
stessa Università inizi a produrre innovatori<br />
e dunque reale innovazione.
L’estate decolla<br />
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