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<strong>SQUARE</strong><br />

USI – MAGAZINE<br />

Quadrimestrale<br />

Università della Svizzera italiana<br />

numero 20<br />

2016<br />

www.square.usi.ch<br />

Numero speciale in occasione<br />

dei 20 anni dell’USI


Square, una piazza<br />

internazionale dove<br />

si danno appuntamento<br />

professori, ricercatori,<br />

studenti, laureati e aziende.<br />

Square, ovvero al<br />

quadrato: moltiplicatore<br />

di conoscenze e<br />

competenze tra accademia<br />

e società.


COVER STORY<br />

Il 2016 segna per l’USI la cifra numero venti: ventesimo Dies academicus e venti anni da quel 21 ottobre del 1996 che vide l’inaugurazione dei<br />

corsi. Questo numero speciale di Square, che la sorte vuole sia proprio il ventesimo, da un lato racconta le ragioni e i protagonisti che condussero<br />

alla fondazione della nostra Università, dall’altro guarda avanti lungo le traiettorie del suo sviluppo. Un domani suggerito da questa immagine<br />

di copertina, che svela il volto del nuovo campus di Lugano nel 2020. Perché il futuro nasce dalla memoria.


IMPRESSUM<br />

Magazine<br />

quadrimestrale<br />

dell’Università della<br />

Svizzera italiana<br />

Università<br />

della<br />

Svizzera<br />

italiana<br />

ISSN 1664-3321<br />

RESPONSABILE DELLA<br />

PUBBLICAZIONE<br />

Servizio comunicazione<br />

e media<br />

PROGETTO E COORDINAZIONE<br />

Giovanni Zavaritt<br />

HANNO COLLABORATO<br />

A QUESTO NUMERO<br />

Silvia Cariati<br />

Robin Creti<br />

Cristina Elia<br />

Dimitri Loringett<br />

Katya Taddei<br />

PROGETTO GRAFICO<br />

Alessia Padovan<br />

Tania Vanetti<br />

CARTA<br />

Condat Silk FSC<br />

FONT<br />

Frutiger LT<br />

Simoncini Garamond<br />

STAMPA<br />

Tipografia Poncioni SA, Losone<br />

TIRATURA ANNUA<br />

19.000 Copie<br />

USCITE<br />

Inverno, estate, autunno<br />

PER ABBONARSI<br />

GRATUITAMENTE<br />

press@usi.ch<br />

Servizio comunicazione<br />

e media dell’Università<br />

della Svizzera italiana,<br />

via Lambertenghi 10A,<br />

Lugano, Ticino, CH<br />

Partner di distribuzione<br />

Tipografia partner<br />

Sponsor principale<br />

CAMERA DI COMMERCIO CANTONE TICINO


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20 2016 I www.square.usi.ch<br />

31<br />

<strong>SQUARE</strong><br />

INDICE<br />

numero 20<br />

2016<br />

IDEE<br />

2<br />

LE STORIE<br />

16<br />

COVER<br />

26<br />

FATTI<br />

36<br />

20<br />

18<br />

16<br />

14<br />

DI PROFILO<br />

12<br />

2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

44<br />

In memoria di<br />

Giuseppe Buffi<br />

Ruth Dreifuss<br />

Carole Mazzucchelli<br />

Marco Baggiolini<br />

Mario Botta<br />

Mauro Baranzini<br />

Eddo Rigotti<br />

Giorgio Giudici<br />

Mauro Martinoni<br />

Cele Daccò<br />

Albino Zgraggen<br />

Philippe Chevrier<br />

Cornelio Sommaruga<br />

I media 20 anni fa<br />

Questo numero speciale<br />

racconta le nostre origini<br />

e guarda al nostro futuro.<br />

Piero Martinoli<br />

Mauro Dell’Ambrogio<br />

Marco Borradori<br />

Mario Bianchetti<br />

Il lungo cammino per<br />

l’università nella Svizzera<br />

italiana<br />

20 anni di crescita<br />

Volti e momenti che<br />

hanno scritto la nostra<br />

storia<br />

I nostri dottori<br />

honoris causa<br />

L’USI per l’italiano:<br />

l’Istituto di studi italiani<br />

Un sogno<br />

chiamato ALaRI<br />

Ti-EDU: 20 anni<br />

al servizio della<br />

tecnologia<br />

La Fondazione per le<br />

Facoltà di Lugano:<br />

innovazione e start-up<br />

Mehdi Jazayeri


IDEE<br />

Il Ticino delle sfide e delle speranze<br />

IDEE<br />

In memoria di Giuseppe Buffi<br />

All’inizio di ogni anno accademico, studentesse<br />

e studenti provenienti da tutta la<br />

Svizzera e da oltre 100 paesi si presentano<br />

per l’immatricolazione al campus universitario<br />

di Lugano, in Via Giuseppe Buffi.<br />

Nel 2001, a un anno dalla scomparsa del<br />

Consigliere di Stato, la via della sede principale<br />

dell’Università è stata infatti intitolata<br />

a lui, incidendo così nella memoria della<br />

comunità accademica il debito di gratitudine<br />

nei confronti di uno dei suoi “padri<br />

fondatori”.<br />

Non è tuttavia solo questione di una targa.<br />

Sono i nostri stessi studenti, professori, ricercatori<br />

e collaboratori a incarnare – studiando,<br />

insegnando e lavorando “intorno”<br />

a quella targa – il retaggio vivente di Giuseppe<br />

Buffi, di uno dei suoi progetti più<br />

ambiziosi – la creazione dell’USI – e della<br />

sua esemplare lezione di coraggio politico,<br />

ispirata dal desiderio di dare alla Svizzera<br />

italiana più consapevolezza delle proprie<br />

risorse, del proprio genio “latino” e del<br />

proprio potenziale di sviluppo.<br />

Buffi era un uomo politico lungimirante,<br />

che vedeva nell’USI “la scelta del Ticino<br />

delle sfide e delle speranze”. E l’USI incarnava<br />

davvero – e incarna tuttora – la sfida e<br />

la speranza di una regione di periferia che<br />

voleva – e vuole – offrire il proprio contributo<br />

al domani di tutti, configurandosi quale<br />

terreno di conoscenza, civiltà e memoria e<br />

interpretando così al meglio il proprio destino<br />

di frontiera culturale tra l’Europa del<br />

nord e il Mediterraneo. “Si è sempre detto<br />

che il nostro Cantone è una regione ponte<br />

fra due realtà (culturali, politiche, economiche)<br />

diverse. Fino a ieri ci siamo limitati<br />

a trasportare pacchi da una parte e dall’altra<br />

del ponte. Ma ora abbiamo l’ambizione<br />

di partecipare alla formazione del loro<br />

contenuto”, diceva il Consigliere di Stato.<br />

Giuseppe Buffi seppe uscire dal<br />

modello-trappola della<br />

rivendicazione, lanciando forte e<br />

chiaro il messaggio dell’USI quale<br />

“atto d’amore della Svizzera<br />

italiana alla Svizzera intera”<br />

L’abilità di mediazione e il talento di comunicatore<br />

di Giuseppe Buffi furono determinanti.<br />

Seppe infatti uscire dal modellotrappola<br />

della rivendicazione da parte del<br />

“fratello povero”, lanciando forte e chiaro<br />

il messaggio che l’USI era, al contrario,<br />

“un atto d’amore della Svizzera italiana alla<br />

Svizzera intera”, come disse nell’intervento<br />

per l’inaugurazione dell’USI il 21 ottobre<br />

1996. Già allora il Consigliere di Stato vedeva<br />

chiaramente le enormi potenzialità<br />

del nostro progetto universitario e la sua<br />

importanza per il Cantone e la Svizzera intera,<br />

cosa che altri iniziano solo ora a comprendere<br />

fino in fondo.<br />

Un aneddoto sintetizza particolarmente<br />

bene la personalità e il carisma di Giuseppe<br />

Buffi. È accaduto in una seduta della<br />

Conferenza universitaria svizzera, a Berna,<br />

il 15 giugno del 2000, solo qualche settimana<br />

prima della sua prematura scomparsa.<br />

All’ordine del giorno figurava il riconoscimento<br />

del Ticino quale cantone universitario.<br />

Alcuni membri sollevarono qualche<br />

perplessità procedurale e Buffi intervenne<br />

in modo deciso e senza lasciare spazio


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

3<br />

a equivoci, dicendo: “L’Università della<br />

Svizzera italiana deve essere valutata con<br />

estremo rigore: non vogliamo in nessun<br />

modo che esista il minimo dubbio che il<br />

riconoscimento ci venga dato in base alla<br />

qualità dell’insegnamento e della ricerca e<br />

all’apporto dell’USI al sistema universitario<br />

svizzero, e non come atto di paternalismo<br />

verso una minoranza”. Questa attenzione<br />

alla qualità, senza ricerca di favori o<br />

di scorciatoie, è uno dei valori fondamentali<br />

che il nostro “padre fondatore” ci ha<br />

tramandato e che continuano a ispirare il<br />

nostro presente e la pianificazione del nostro<br />

domani.<br />

Agli esordi, un’altra obiezione mossa di<br />

frequente all’università in Ticino era il<br />

rischio del provincialismo, di “un’università<br />

per il quartiere di Molino Nuovo”.<br />

L’idea fu quella di trasformare<br />

il Ticino, grazie alla “spinta”<br />

universitaria, in un<br />

“luogo di opportunità”<br />

Giuseppe Buffi ha sempre detto chiaramente<br />

che con l’istituzione dell’USI l’obiettivo<br />

non era interrompere il benefico<br />

flusso di ticinesi verso le università svizzere<br />

ed estere, ma giocare la carta del flusso in<br />

entrata di studentesse e studenti da tutto<br />

il mondo. E, più in generale, trasformare<br />

il Ticino, grazie alla “spinta” universitaria,<br />

in un “luogo di opportunità”, a favore degli<br />

stessi ticinesi. Una delle preoccupazioni<br />

del Consigliere di Stato era infatti la fuga<br />

definitiva dei cervelli: giovani donne e giovani<br />

uomini brillanti che partono per gli<br />

studi e non tornano più a causa della mancanza<br />

di prospettive. Nella sua visione l’università<br />

doveva nascere anche per questo,<br />

per diventare una delle pietre angolari sulle<br />

quali costruire l’avvenire del Cantone, creando<br />

le migliori premesse per permettergli<br />

di affermarsi nel contesto confederale e per<br />

consentire alle future generazioni di lottare<br />

ad armi pari con concorrenti sempre più<br />

agguerriti in un’economia globalizzata,<br />

innescando al contempo processi di innovazione<br />

e di rigenerazione portatori di<br />

prosperità economica e di sicurezza sociale<br />

per il nostro territorio e la sua popolazione.<br />

Il 3 ottobre del 1995 il Parlamento ticinese vara la Legge sull’Università.<br />

A sinistra Giuseppe Buffi (foto Archivio del Corriere del Ticino).


IDEE<br />

A pieno titolo tra le Università svizzere<br />

Ruth Dreifuss, già Consigliera federale<br />

Estratti dai discorsi della Consigliera federale<br />

Ruth Dreifuss ai Dies academicus del<br />

1997 e del 2000.<br />

Scorrendo un bel libro sul Ticino, ho letto<br />

una riflessione di Giovanni Orelli che<br />

mi sembra illustri bene il percorso che ha<br />

portato alla creazione di questa Università:<br />

“Se è vero che il fondo del pensiero<br />

è sempre un incrocio di strade, il Ticino<br />

ha una posizione privilegiata. Ma è altrettanto<br />

vero che la ‘natura’ non basta. Non<br />

basta l’occasione: occorre che a quella occasione<br />

si dia una forma”. Il Cantone Ticino<br />

ha saputo far fruttare la sua particolare<br />

situazione di incrocio di strade – strade<br />

politiche, culturali, economiche –, individuando<br />

la via per dotarsi di un’università.<br />

Fautore di questo importante traguardo è<br />

stato il Consigliere di Stato ticinese Giuseppe<br />

Buffi, che ci ha mostrato con passione<br />

e sentimento che chi ha una meta,<br />

trova un cammino. E il suo cammino ci<br />

ha portati alla creazione dell’Università<br />

della Svizzera italiana. Buffi ha sempre<br />

rivendicato il fatto che l’USI fosse “un<br />

atto d’amore della Svizzera italiana alla<br />

Svizzera intera”: la sua creazione era infatti<br />

intesa quale contributo al progresso<br />

della conoscenza, a pari dignità culturale<br />

e scientifica rispetto alle altre università<br />

svizzere. E Berna accolse questo contributo,<br />

nella consapevolezza che il Ticino<br />

ha molto da offrire alla Svizzera in questo<br />

campo. È proprio con questo spirito<br />

che la Confederazione e la comunità accademica<br />

svizzera hanno riconosciuto il<br />

Ticino quale Cantone universitario. Il riconoscimento<br />

a Cantone universitario ha<br />

portato con sé anche molte responsabilità.<br />

Responsabilità interne, ad esempio nel<br />

consolidamento dell’università in quanto<br />

La Consigliera federale<br />

Ruth Dreifuss, allora<br />

Direttrice del Dipartimento<br />

federale dell’interno, al<br />

Dies academicus del 1997<br />

(foto Archivio del Corriere<br />

del Ticino).<br />

istituzione e nella creazione di strumenti<br />

di gestione conformi alle regole richieste<br />

dagli organi universitari svizzeri. Responsabilità<br />

nazionali, come la cooperazione<br />

con la Confederazione e con gli altri Cantoni<br />

universitari.<br />

Aprire un’università in Ticino<br />

non è un atto di chiusura,<br />

un ripiegarsi del Cantone su sé<br />

stesso. L’USI è la manifestazione<br />

di una forte volontà di apertura<br />

e collaborazione<br />

La creazione dell’USI riflette la volontà di<br />

contribuire al consolidamento dei valori<br />

italofoni in Svizzera. È un fatto: l’identità<br />

culturale della Svizzera italiana è una delle<br />

componenti identitarie del nostro Paese,<br />

occorre sostenerla. Aprire un’università<br />

in Ticino non è in alcun modo un atto di<br />

chiusura, un ripiegarsi del Cantone su sé<br />

stesso. Al contrario: l’USI è la manifestazione<br />

di una forte volontà di apertura e<br />

collaborazione. Ricordo a questo proposito<br />

la metafora del sangallese August von<br />

Gonzenbach per il quale, già nel 1848, il<br />

sistema di formazione elvetico non poteva<br />

essere simile a uno splendido brillante,<br />

capace di illuminare di luce riflessa solo il<br />

centro della Svizzera. Al contrario: la rete<br />

di istituti universitari e di ricerca doveva<br />

essere piuttosto una rete di luci interconnesse<br />

e ripartite giudiziosamente sull’insieme<br />

del territorio svizzero. Ed ecco che,<br />

con la creazione dell’USI, una nuova luce<br />

si è accesa.


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

5<br />

L’USI è come un telaio<br />

Carole Mazzucchelli, laureata dell’USI e tra i primi iscritti del 1996<br />

Carole Mazzucchelli fu tra i primi studenti<br />

iscritti all’USI nel 1996, all’Accademia di<br />

architettura. In occasione del primo Dies<br />

academicus, l’8 marzo dell’anno successivo,<br />

le fu chiesto di prendere la parola e di farsi<br />

portavoce degli studenti. Ecco il testo del suo<br />

intervento.<br />

Cinque mesi sono già passati dall’inizio dei<br />

corsi. Ma l’entusiasmo iniziale non è diminuito.<br />

Anzi. L’atmosfera è sempre effervescente.<br />

L’università è un laboratorio in<br />

continua attività che ci trascina, è una fabbrica<br />

di cultura che ci bombarda ogni giorno<br />

di insegnamenti, di riflessioni, di idee.<br />

Per questo ogni giorno è un’occasione, uno<br />

stimolo per riflettere, per liberare la nostra<br />

fantasia e, in fondo, per conoscere meglio<br />

noi stessi. Einstein diceva: “Per la cultura<br />

ci sono i libri: all’università si impara a<br />

pensare”. Per noi questo è particolarmente<br />

vero. La nostra mente qui non va mai in vacanza,<br />

perché è troppo curiosa di scoprire<br />

e di capire tutto ciò che la circonda e che<br />

le viene proposto. Spesso basta una parola,<br />

un’immagine per far partire un ragionamento:<br />

perché tutto si integra, tutto concorre<br />

a formare un tessuto fitto. L’università<br />

è il telaio che intreccia i fili per creare<br />

questo tessuto. I fili verticali rappresentano<br />

la trasmissione del sapere, la comunicazione<br />

tra professori e studenti. Rappresentano<br />

le lezioni, le conferenze, i viaggi, le mostre<br />

e tutte le occasioni per imparare che ci<br />

sono date. A questo livello non c’è solo<br />

un passaggio di nozioni, bensì di modi di<br />

pensare, di esperienze proprie dei nostri<br />

maestri, del loro bagaglio di vita, di lavoro,<br />

di ricerca. C’è anche il loro entusiasmo<br />

per questa università che hanno voluto e<br />

la passione con la quale comunicano. Sono<br />

per noi delle guide carismatiche. Questo<br />

insegnamento non viene però subìto passivamente:<br />

tra studenti e università, e tra<br />

studenti stessi, c’è uno scambio fitto, una<br />

comunicazione vivace. Questi sono i fili<br />

orizzontali del nostro telaio. Ad esempio<br />

all’interno dell’Accademia di architettura<br />

dove studio c’è una vita animatissima: si<br />

studia, si discute, si fanno progetti, si lavora<br />

di giorno, di notte e anche di domenica,<br />

si stringono amicizie. Ci si confronta con<br />

culture diverse. Abbiamo compagni che<br />

vengono da lontano: da tutta Europa, dalla<br />

Russia, dall’America, e c’è sempre qualcosa<br />

da imparare.<br />

Einstein diceva: «Per la cultura ci<br />

sono i libri: all’università si<br />

impara a pensare». Per noi questo<br />

è particolarmente vero; spesso<br />

basta una parola, un’immagine<br />

per far partire un ragionamento,<br />

perché tutto si integra, tutto<br />

concorre a formare un tessuto<br />

fitto. La nostra università è così<br />

Noi studenti sentiamo di avere un ruolo<br />

attivo nella crescita di questa università, è<br />

un laboratorio sperimentale aperto alle nostre<br />

proposte. La dimensione sperimentale<br />

aumenta il nostro senso di responsabilità,<br />

perché vogliamo che questa nave sulla quale<br />

siamo saliti arrivi a destinazione. Ci rendiamo<br />

conto che con noi sta iniziando una<br />

grande avventura. L’apertura dell’università<br />

in Ticino è un evento storico, siamo orgogliosi<br />

di essere presenti e di partecipare a<br />

questo grande progetto che si sta mettendo<br />

in moto. In questa situazione ci sentiamo<br />

dei pionieri, ma di una specie protetta; ci<br />

proteggono la qualità dell’insegnamento<br />

che riceviamo e la qualità dell’organizzazione<br />

dell’università. Tutte le risorse messe<br />

in gioco sono infatti valorizzate dall’efficienza<br />

del sistema.<br />

Nell’era dell’università di massa,<br />

dove il professore si vede solo da<br />

lontano, abbiamo il privilegio di<br />

avere un contatto diretto con dei<br />

grandi maestri<br />

Nell’era dell’università di massa, dove<br />

il professore si vede solo da lontano, abbiamo<br />

il privilegio di essere in pochi e di<br />

avere un contatto diretto con dei grandi<br />

maestri. Siamo seguiti costantemente nel<br />

nostro lavoro e abbiamo grandi mezzi a<br />

disposizione. Tanti adulti mi hanno detto:<br />

“vorrei avere avuto la fortuna di frequentare<br />

un’università come la tua. Un’università<br />

che traccia un percorso di qualità per<br />

la vita e che ti insegna a fare bene ciò che<br />

ami, a fare bene il tuo lavoro”. Questo mi<br />

dà fiducia per il futuro. Quali sono le nostre<br />

aspettative? Cito la frase introduttiva<br />

del programma dell’Accademia: è di Stendhal.<br />

Egli dice: “È una vera felicità avere<br />

per mestiere la propria passione”. Io credo<br />

che questa università sia il mezzo giusto<br />

per raggiungere questo obiettivo.


IDEE<br />

Fuori programma<br />

Marco Baggiolini, primo Presidente dell’USI<br />

A una delle prime cerimonie del Dies<br />

academicus, il Rettore dell’Università di<br />

Lucerna (fondata, come l’USI, negli anni<br />

Novanta) mi ha salutato con una frase<br />

indimenticabile: “Voi avete fatto tutto<br />

nel modo giusto, noi tutto nel modo sbagliato”.<br />

C’è del vero in questa diagnosi:<br />

le prime Facoltà dell’USI hanno avuto<br />

successo sin dall’inizio e una crescita costante,<br />

mentre Lucerna ha incontrato difficoltà.<br />

Ha però ripreso vigore, dopo alcuni<br />

anni, con nuovi indirizzi formativi: la<br />

Giurisprudenza, che ha attirato numerosi<br />

studenti, e l’Economia, con prospettive<br />

analoghe. In occasione del ventesimo anniversario,<br />

voglio presentare tre brevi storie<br />

di “evoluzione creativa”, nate già nel<br />

primo decennio su iniziativa degli addetti<br />

ai lavori – docenti e studenti impegnati –<br />

con rilevante impatto per la formazione e<br />

la ricerca scientifica.<br />

In occasione del ventesimo<br />

anniversario, voglio presentare tre<br />

brevi storie di “evoluzione<br />

creativa”, nate già nel primo<br />

decennio su iniziativa degli addetti<br />

ai lavori – docenti e studenti<br />

impegnati – con rilevante impatto<br />

per la formazione<br />

e la ricerca scientifica<br />

La Finanza. Pietro Balestra, già docente a<br />

Ginevra e Digione, è il primo Decano di<br />

Scienze economiche. È coinvolto negli insegnamenti<br />

quantitativi e promuove il settore<br />

della finanza. Stabilisce relazioni con<br />

Giovanni Barone Adesi, noto studioso<br />

all’Università dell’Alberta, in Canada, che<br />

lascia le Montagne Rocciose per trasferirsi<br />

all’USI. Lo Swiss Finance Institute nasce<br />

in quegli anni. Offre un valido programma<br />

dottorale in tre sedi coordinate: Lugano,<br />

Ginevra/Losanna e Zurigo. Il precoce<br />

riconoscimento di Lugano anticipa una<br />

notevole presenza di dottorandi, assistenti<br />

e giovani docenti all’USI, approdati poi in<br />

altre sedi svizzere e in grandi atenei esteri,<br />

in particolare Oxford, Harvard, Johns<br />

Hopkins e North West. Il successo della<br />

finanza, a pochi anni dalla fondazione<br />

dell’USI, non passa inavvertito. Il rinomato<br />

ateneo di San Gallo bandisce sei<br />

concorsi internazionali per professori di<br />

finanza. Sono tutti vinti da docenti dell’U-<br />

SI, che sembra avere riserve illimitate.<br />

Quattro vincitori ancora insegnano all’ateneo<br />

sul Rosenberg. Alcune rose hanno<br />

ancora il profumo dell’USI.<br />

La Facoltà di scienze informatiche. Nel<br />

2000, anno delle prime lauree, l’Università<br />

affronta un periodo di crescita e diversificazione.<br />

Nel ruolo di Presidente, considero<br />

varie linee di possibile sviluppo e in<br />

particolare due discipline eleganti, dialettiche<br />

e di grande richiamo generale: la matematica<br />

e l’informatica. Consulto Mehdi<br />

Jazayeri, direttore del Dipartimento d’informatica<br />

alla Technische Universität di<br />

Vienna e docente all’USI, che propende<br />

per l’informatica, che considera attuale e<br />

più promettente per l’USI. “L’informatica<br />

– mi dice – è una materia bellissima!<br />

Pervade aree sempre più vaste e rilevanti<br />

Il primo Presidente dell’USI Marco Baggiolini nel<br />

corso del primo Dies academicus, l’8 marzo 1997<br />

(foto Archivio del Corriere del Ticino).


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

7<br />

nella vita di oggi. Ha enormi opportunità<br />

di crescita, ma fatica ad attirare gli studenti<br />

migliori. So come risolvere il problema:<br />

si deve riformare rigorosamente la<br />

didattica adeguandola alle vere necessità<br />

della disciplina”. Sono parole dell’unico<br />

informatico al mondo che ha ottenuto i<br />

due più importanti riconoscimenti per<br />

meriti nell’insegnamento dell’informatica:<br />

il Distinguished Educator Award di IEEE<br />

TCSE e l’Influential Educator Award di<br />

ACM SIGSOFT. Jazayeri intende massimizzare<br />

lo sforzo formativo, con una facoltà<br />

e una didattica create apposta per<br />

l’informatica. Il progetto piace al Consiglio<br />

dell’Università, che conclude, con<br />

manzoniano accento, “questa facoltà s’ha<br />

da fare”. Due futuri decani, Mehdi Jazayeri<br />

e Michele Lanza, e con loro quattro<br />

nuovi professori, elaborano il piano didattico<br />

per un triennio di Bachelor unico nel<br />

suo genere, orientato ai fondamenti della<br />

disciplina: la progettazione, l’architettura<br />

del software, la teoria delle tecnologie, la<br />

modellazione e l’analisi della complessità,<br />

la visione di sistema, la pratica del lavoro<br />

di gruppo. Lo studio della teoria è<br />

uno strumento fondante, è regolarmente<br />

attualizzato e sistematicamente accompagnato<br />

dalla pratica della programmazione,<br />

con progetti di crescente complessità. Gli<br />

studenti imparano ad applicare i concetti<br />

acquisiti e ne sperimentano le funzioni.<br />

I corsi iniziano nel 2004 e nel 2014 l’informatica<br />

conta all’USI 24 professori, 39<br />

assistenti con dottorato, 122 dottorandi<br />

e 174 studenti di Bachelor e Master.<br />

In soli dieci anni, la Facoltà cresce con<br />

enorme successo in otto aree diverse e ottiene<br />

finanziamenti esterni per la ricerca<br />

scientifica che ammontano a 45 milioni.<br />

Nel campo dell’ingegneria del software,<br />

l’USI è ormai riconosciuta come uno<br />

dei maggiori poli mondiali. Con i centri<br />

d’informatica del Politecnico di Zurigo,<br />

di Oxford e di Cambridge, la nostra, giovanissima,<br />

Facoltà raggiunge i vertici della<br />

classifica di Microsoft Academic Alliance.<br />

ISI, l’Istituto di studi italiani. L’interesse<br />

per attività di formazione e ricerca in<br />

Lingua e Letteratura italiana si manifesta<br />

durante la pianificazione del quadriennio<br />

2004-2007. Matura così l’idea di un Istituto<br />

di studi italiani, una struttura formativa<br />

e scientifica più che opportuna nell’unico<br />

ateneo italofono al di fuori d’Italia.<br />

Nel 2005, l’Università affida la direzione<br />

dell’Istituto di studi italiani a Carlo Ossola,<br />

professore di Letterature moderne<br />

dell’Europa neolatina al Collège de<br />

France, che ne avvia la realizzazione con<br />

due studiosi da lui scelti, Piero Boitani,<br />

ordinario di Letterature comparate alla<br />

Sapienza di Roma, e Corrado Bologna, ordinario<br />

di Filologia romanza a Roma Tre,<br />

oltre al Presidente dell’USI. Il gruppo elabora<br />

un percorso formativo orientato alla<br />

Civiltà italiana e ispirato alle Fine Arts –<br />

Lettere, Arti e Musica –, il lascito prezioso<br />

della cultura italiana. I corsi iniziano nel<br />

2007 con un biennio di Master.<br />

Docenti di alto profilo scientifico e respiro<br />

internazionale sono chiamati a Lugano<br />

con posizioni di visiting professor. Appartengono<br />

tutti al Collegio dei docenti, con<br />

il Direttore, i professori di ruolo e alcuni<br />

giovani docenti, ricercatori e dottorandi<br />

che completano il corpo insegnante. Con<br />

questo modello, l’Istituto è l’unico in Europa<br />

a percorrere con docenti distinti tutti<br />

i secoli della letteratura italiana, oltre alle<br />

forme e alle pratiche in cui le Lettere italiane<br />

sono tràdite: storia dei generi, storia<br />

della critica, storia della lettura, storia dei<br />

manuali e dell’insegnamento, eccetera. Il<br />

Collegio dei docenti si riunisce due volte<br />

all’anno per definire i programmi di Bachelor,<br />

Master e Dottorato. Ha funzioni<br />

consultive per la didattica e per i progetti<br />

di ricerca e i suoi membri esterni sono<br />

spesso impegnati nell’accompagnamento<br />

di singoli dottorandi dell’Istituto. I primi<br />

tre cicli di Master (2007-08, 2008-09,<br />

2009-10) si segnalano per l’interesse degli<br />

studenti e per la qualità della formazione,<br />

incoraggiando nuovi sviluppi. Nel 2009<br />

debutta il Dottorato dell’ISI e nel 2012 il<br />

Dottorato confederale in Civiltà italiana,<br />

diretto dall’ISI e finanziato dalla Conferenza<br />

universitaria svizzera. È aperto a<br />

dottorandi di Lingua e Letteratura italiana,<br />

Arti e Musica di atenei svizzeri, italiani<br />

e di altri paesi. Nel 2012 esordisce anche<br />

il triennio di Bachelor, che completa l’offerta<br />

didattica dell’Istituto.<br />

Il successo è costante e considerevole: da<br />

12 studenti di Master nel 2007 si giunge a<br />

160 nel 2015, per il Bachelor, il Master e<br />

il Dottorato. A otto anni dal suo esordio,<br />

l’ISI è così il più grande istituto di italianistica<br />

in Svizzera. La sua crescita non<br />

avviene a detrimento di altre sedi. Si spiega<br />

piuttosto con il crescente interesse di<br />

studenti della Svizzera italiana e con le<br />

esigenze di giovani motivati dall’eccellenza<br />

e in cerca di un’adeguata risposta accademica.


IDEE<br />

Le sette idee a fondamento dell’Accademia<br />

Mario Botta, Accademia di architettura<br />

1. Per una nuova sintesi. Una scuola<br />

universitaria non è solo un luogo della<br />

didattica: è anche un luogo chiamato<br />

a ospitare la cultura più avanzata di un<br />

determinato campo del sapere. Per una<br />

scuola di nuova fondazione, è opportuno<br />

che questo ruolo culturale si sposi a<br />

un forte spirito innovativo per diventare<br />

un sismografo privilegiato dei problemi<br />

della propria epoca. Quando, negli anni<br />

Novanta del secolo da poco finito, fu elaborato<br />

il progetto per una nuova scuola di<br />

architettura come prima facoltà dell’USI,<br />

ci si interrogò su come farne un autentico<br />

laboratorio della cultura architettonica.<br />

Quali erano le grandi questioni poste<br />

alle discipline progettuali nell’epoca della<br />

postmodernità e della globalizzazione?<br />

Era chiaro come l’Accademia non potesse<br />

essere soltanto una nuova scuola, ma<br />

dovesse proporsi come una scuola nuova.<br />

Decidemmo che a caratterizzarla sarebbe<br />

stata una forte impronta umanistica: una<br />

nuova sintesi tra saperi tecnici e scienze<br />

umane e sociali, tra competenze operative<br />

e pensiero storico e critico. Avremmo così<br />

ottenuto anche una sintesi geo-culturale,<br />

avvicinando le tradizioni umanistiche mediterranee<br />

alle tradizioni tecniche prevalenti<br />

a nord delle Alpi.<br />

2. La visione interdisciplinare. Gli aspetti<br />

contestuali e storici, paesaggistici e sociali<br />

sono temi centrali in una definizione<br />

umanistica della cultura progettuale.<br />

Fin dall’inizio, con Aurelio Galfetti, primo<br />

Direttore della scuola, coniammo la<br />

definizione di “architetto territoriale”,<br />

figura di sintesi per un progetto attento<br />

all’impatto sul territorio e alla cura<br />

del paesaggio, alla morfologia urbana e<br />

all’impegno ecologico, alla responsabilità<br />

etica e al rapporto con la memoria<br />

culturale dei luoghi. Si tratta di un impegno<br />

che apre incondizionatamente a<br />

un processo interdisciplinare che vuole<br />

spingere l’interesse degli architetti verso<br />

le frontiere delle differenti discipline.<br />

La nostra è una sintesi<br />

geo-culturale, che avvicina<br />

le tradizioni umanistiche<br />

mediterranee alle tradizioni<br />

tecniche prevalenti<br />

a nord delle Alpi<br />

3. L’importanza delle personalità. Nel<br />

nostro tempo, spesso a torto, talvolta a<br />

ragione, si è diffuso un vero e proprio<br />

“culto dell’autore”. Agli esordi dell’Accademia<br />

abbiamo scelto quindi di far leva<br />

sulla qualità del corpo docente, garantendoci<br />

di volta in volta la collaborazione dei<br />

migliori rappresentanti del dibattito architettonico<br />

contemporaneo. Tra i primi<br />

a formare il gruppo di progettisti figurarono<br />

Galfetti, Zumthor e Koulermos. Per<br />

gli insegnamenti di storia e teoria dell’arte<br />

e dell’architettura vennero chiamati Dal<br />

Co, Frampton e Szeemann, cui seguirono<br />

altre figure autorevoli: da Bertelli a Reichlin,<br />

da Gubler a von Moos e Settis, sino<br />

all’attuale gruppo di teorici coordinato da<br />

Christoph Frank. Per la cultura del territorio<br />

abbiamo avuto personalità come Benevolo,<br />

Solà-Morales, Rykwert, Jacquard<br />

e Petrella, per la filosofia Cacciari e Agamben,<br />

per la fotografia Basilico e Toscani.<br />

Alla forte interdisciplinarità di questi<br />

protagonisti del mondo culturale, corrisponde<br />

una forte diversità dei linguaggi<br />

degli architetti responsabili dei singoli<br />

atelier di progetto, che negli anni hanno<br />

animato il ricco arcipelago internazionale<br />

di Mendrisio, dal Portogallo all’Austria,<br />

dall’Irlanda al Sudafrica con basi ben solide<br />

in Svizzera e nel nostro Ticino. Ciò<br />

che balza all’attenzione è l’identità di una<br />

scuola che dà spazio ai protagonisti delle<br />

differenti discipline e dei diversi linguaggi<br />

progettuali. La nostra condizione geografica<br />

di frontiera viene così a trasformarsi<br />

in una condizione di centralità culturale.<br />

4. Un laboratorio dell’internazionalismo<br />

critico. All’internazionalità dei docenti<br />

corrisponde l’internazionalizzazione degli<br />

studenti: Europa occidentale e dell’Est,<br />

area mediterranea, America latina, Estremo<br />

Oriente (oggi l’Accademia registra<br />

studenti da oltre 40 paesi). Sarebbe tuttavia<br />

un errore vedere in questo profilo<br />

internazionale il preludio a una sorta di<br />

omologazione culturale. Al contrario, la<br />

diversa provenienza degli architetti professori<br />

sollecita riflessioni che connettono<br />

ogni volta la pratica architettonica a peculiari<br />

culture e condizioni operative. In tal<br />

senso possiamo definire l’Accademia un<br />

laboratorio dell’internazionalismo critico<br />

teso a confrontarsi con il “territorio della<br />

memoria”.<br />

5. Necessità dell’architetto generalista.<br />

L’indirizzo pionieristico dell’Accademia<br />

ha portato a interrogarsi sulla figura<br />

dell’architetto. La denominazione “Accademia<br />

di architettura” è già un modo per<br />

distinguerla dai politecnici di Losanna<br />

e Zurigo. Rispetto all’attenzione per le<br />

competenze tecnico-scientifiche che pre-


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9<br />

vale nei politecnici, a Mendrisio abbiamo<br />

immaginato un programma pedagogico<br />

“controcorrente”: formare una nuova figura<br />

di architetto generalista che aggiornasse<br />

la visione umanistica che per lungo<br />

tempo ha prevalso soprattutto nell’area<br />

culturale mediterranea. Sulla scorta delle<br />

migliori tradizioni disciplinari abbiamo ritenuto<br />

auspicabile far convergere nell’architetto<br />

odierno abilità composite, che<br />

spaziano dal progetto di costruzione alla<br />

cultura del territorio, dall’immaginazione<br />

plastica al sapere artigiano, dal riuso del<br />

patrimonio storico all’ideazione di nuovi<br />

scenari tipologici. Come ha ricordato Muthesius,<br />

noi interpretiamo il fatto architettonico<br />

“dal cucchiaio alla città”, tenendo<br />

vive l’aspirazione propria del Movimento<br />

Moderno all’opera d’arte totale (Gropius),<br />

l’istanza di moralità (Giedion) e<br />

la valenza etico-sociale perseguita da Le<br />

Corbusier, ma anche il controllo costruttivo<br />

proprio del modo raffinato di Mies van<br />

der Rohe o quello ipersensibile di Scarpa.<br />

6. Territori della memoria. Il colpevole<br />

del degrado delle città e dei paesaggi contemporanei<br />

è lo smarrimento dei grandi<br />

modelli di insediamento e trasformazione<br />

dello spazio fisico depositati nella nostra<br />

memoria culturale. Da qui l’importanza di<br />

ripartire dalle lezioni che ci vengono dalla<br />

città e dal paesaggio europei. La velocità<br />

delle trasformazioni in atto suggerisce di<br />

confrontarsi con i territori della memoria<br />

come struttura stessa del fatto progettuale.<br />

In Accademia, questo rinnovato rapporto<br />

con il “passato come un amico”,<br />

come disse Louis Kahn, è perseguito con<br />

l’attenzione al riuso del patrimonio architettonico,<br />

i numerosi atelier di progettazione<br />

dedicati ai temi del costruire nel già<br />

costruito, l’insistenza sulle categorie del<br />

contestualismo urbano, gli insegnamenti<br />

di storia e teoria...<br />

Noi interpretiamo il fatto<br />

architettonico “dal cucchiaio alla<br />

città”, tenendo vive l’aspirazione<br />

propria del Movimento Moderno<br />

all’opera d’arte totale (Gropius),<br />

l’istanza di moralità (Giedion)<br />

e la valenza etico-sociale<br />

perseguita da Le Corbusier<br />

Mario Botta e Aurelio<br />

Galfetti consultano il<br />

programma dei corsi, il<br />

21 ottobre del 1996, in<br />

occasione dell’apertura del<br />

primo anno<br />

accademico (foto Archivio<br />

del Corriere del Ticino).<br />

7. La doppia anima della Svizzera. L’Accademia<br />

di architettura è nata in un momento<br />

storico in cui il dibattito culturale<br />

poté trovare terreno fertile nella “doppia<br />

anima”, locale e internazionale, della Svizzera.<br />

L’impostazione internazionale del<br />

corpo docente rappresenta uno dei tratti<br />

positivi della Svizzera, paese spesso tentato<br />

di innalzare barriere verso l’esterno,<br />

ma anche capace di aprirsi alla dimensione<br />

europea e internazionale. La nascita<br />

dell’Accademia rappresenta uno dei momenti<br />

in cui la Svizzera mostra al meglio<br />

la sua doppia anima, provinciale e insieme<br />

cosmopolita.


IDEE<br />

Rigore e autorevolezza: per Economia<br />

il buon giorno si vide dal mattino<br />

Mauro Baranzini, già Decano e membro del Comitato ordinatore per la Facoltà di scienze economiche<br />

Gli storici dell’economia ci insegnano<br />

che le rivoluzioni industriali, questi balzi<br />

in avanti della società economica e civile,<br />

arrivano ogni 60-70 anni e non in modo<br />

continuativo. In effetti, affinché ci sia una<br />

vera rivoluzione industriale o dei servizi<br />

occorre che simultaneamente si verifichi<br />

tutta una serie di condizioni favorevoli. È<br />

un po’ come l’arrivo dei funghi in autunno:<br />

occorre che ci sia la giusta temperatura nei<br />

boschi, la giusta umidità, magari anche la<br />

luna favorevole, e questa concomitanza di<br />

fattori fa la felicità dei cercatori di funghi.<br />

Affinché ci sia una vera<br />

rivoluzione industriale o dei<br />

servizi occorre che<br />

simultaneamente si verifichi<br />

una serie di condizioni favorevoli.<br />

È un po’ come l’arrivo dei funghi<br />

in autunno: occorre che ci sia la<br />

giusta temperatura nei boschi, la<br />

giusta umidità, magari anche la<br />

luna favorevole. Questo accadde<br />

per il nostro Cantone e per la<br />

Svizzera italiana dalla fine degli<br />

anni Ottanta fino all’inizio<br />

di questo millennio<br />

La stessa cosa potremmo dire che è accaduta<br />

per il nostro Cantone e per la Svizzera<br />

italiana dalla fine degli anni Ottanta<br />

fino all’inizio di questo millennio: improvvisamente<br />

sono state realizzate iniziative<br />

di ampio respiro culturale e scientifico<br />

come l’Università della Svizzera italiana<br />

e la Scuola Universitaria Professionale<br />

(SUPSI), la Facoltà di Teologia di Lugano,<br />

il Centro studi bancari di Villa Negroni a<br />

Vezia, il Cardiocentro, il Centro Svizzero<br />

di Calcolo, l’IRB, lo IOSI, solo per citare i<br />

più importanti.<br />

Affinché tutto questo potesse permettere<br />

al nostro Cantone di riscattare secoli di<br />

arretratezza occorrevano uomini politici<br />

di grande respiro (come il Consigliere di<br />

Stato Giuseppe Buffi, il Sindaco di Lugano<br />

Giorgio Giudici, il Dottor Giorgio Salvadè),<br />

uomini di cultura determinati (Mario<br />

Botta, Don Eugenio Corecco, Claudio<br />

Mésoniat), oltre a un gruppo ristretto di<br />

esecutori convinti della rilevanza dell’operazione<br />

(Mauro Martinoni, Renzo Respini,<br />

Mauro Dell’Ambrogio, Albino Zgraggen e<br />

diversi altri ancora).<br />

Tra le facoltà iniziali non poteva mancare la<br />

Facoltà di scienze economiche. Intanto perché<br />

Lugano era pur sempre la terza piazza<br />

finanziaria svizzera e non da meno perché<br />

il paese in quegli anni stava registrando<br />

una forte espansione nel settore non solo<br />

finanziario, ma anche amministrativo in generale.<br />

Il Municipio di Lugano, propulsore<br />

delle due facoltà luganesi, nominò subito<br />

un Comitato scientifico nell’attesa di poter<br />

presentare alle autorità cantonali e alle autorità<br />

accademiche federali un progetto di<br />

università che unisse le buone qualità delle<br />

“facoltà sorelle” svizzere e allo stesso tempo<br />

un orientamento tipico delle università<br />

commerciali come la Bocconi o l’Università<br />

di San Gallo. Il gruppo di lavoro arrivò<br />

con un piano che soddisfaceva in buona<br />

parte queste aspettative, ma prevalse, in<br />

seconda battuta, la consapevolezza che era<br />

necessario avere un curriculum molto simile<br />

a quello delle facoltà di economia svizzere,<br />

sia per favorire la mobilità degli studenti<br />

sia per formare in modo opportuno<br />

le giovani leve che un domani si sarebbero<br />

ritrovate sul mercato del lavoro ticinese e<br />

svizzero in generale. Il gruppo di lavoro<br />

riuscì a chiamare a Lugano come docenti<br />

grossi nomi a livello internazionale che<br />

diedero un impulso immediato e notevole<br />

di grande rigore accademico. Potremmo<br />

per esempio menzionare due futuri rettori<br />

dell’Università Bocconi di Milano (Angelo<br />

Provasoli e Guido Tabellini), diversi docenti<br />

“di grido” dell’Università Cattolica<br />

di Milano e della Bocconi (tra i quali Luigi<br />

Pasinetti, Roberto Scazzieri, Vittorio Coda<br />

e il futuro ministro dei Beni culturali e<br />

Rettore dell’Università Cattolica Lorenzo<br />

Ornaghi) e soprattutto studiosi importanti<br />

che insegnavano in università svizzere<br />

(Pietro Balestra, Elvezio Ronchetti, Marco<br />

Borghi, Alvaro Cencini). La collaborazione<br />

del Prof. Borghi con la Facoltà di scienze<br />

economiche fu preziosa in quanto egli era<br />

non solo ordinario di diritto all’Università<br />

di Friburgo, ma sedeva anche nel Consiglio<br />

svizzero della scienza.<br />

Com’è noto, inizialmente le autorità politiche<br />

e scientifiche federali rifiutarono il<br />

progetto ticinese e, in occasione del rientro<br />

da una burrascosa riunione avuta con<br />

la Conferenza dei rettori delle università<br />

svizzere, l’Onorevole Giuseppe Buffi ebbe<br />

a dire che se Berna non ci avesse aiutato<br />

finanziariamente, il Ticino sarebbe partito<br />

in ogni caso con la sua Università della<br />

Svizzera italiana. Il giorno sucecssivo i giornali<br />

ticinesi, eravamo nel 1994, recavano il<br />

titolo “Porte chiuse per l’USI a Berna”. La<br />

bontà del progetto presentato alle autori-


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11<br />

tà federali e soprattutto la qualità dei docenti<br />

chiamati a insegnare a partire dal 21<br />

ottobre del 1996 convinse poi le autorità<br />

federali ad accoglierci tra le altre università<br />

svizzere, la qual cosa significava una fonte<br />

di finanziamento importante. Tutto questo<br />

avvenne grazie a due rapporti positivi rilasciati<br />

da una commissione internazionale<br />

ad hoc che venne a Lugano e a Mendrisio<br />

a “farci le pulci” e a verificare la qualità<br />

dell’insegnamento e della ricerca.<br />

Anche in questo contesto le scelte del Comitato<br />

scientifico delle Facoltà di Lugano<br />

si rivelarono quanto mai appropriate in<br />

quanto le commissioni esaminatrici nominate<br />

dalle autorità federali includevano<br />

personaggi di statura internazionale al di<br />

sopra di ogni sospetto, come ad esempio<br />

il Prof. Jacques Drèze dell’Università di<br />

Lovanio, che – guarda tu i casi della vita<br />

– conosceva bene almeno due professori<br />

presenti a Lugano, in particolare Pietro<br />

Balestra e Luigi Pasinetti.<br />

Sia per la sua statura scientifica<br />

internazionale sia per il suo<br />

attaccamento al nostro Cantone,<br />

Pietro Balestra venne nominato<br />

dal Comitato scientifico primo<br />

Decano della Facoltà<br />

Sia per la sua statura scientifica internazionale<br />

sia per il suo attaccamento al nostro<br />

Cantone, Pietro Balestra venne nominato<br />

dal Comitato scientifico primo Decano<br />

della Facoltà (1997-2001). Il suo rigore, la<br />

sua autorevolezza, la sua totale avversione<br />

a giochi di nepotismo gli permisero di far<br />

decollare la Facoltà nel migliore dei modi,<br />

chiamando a Lugano diversi professori di<br />

levatura internazionale, stimolando i professori<br />

e i ricercatori, incitando i giovani<br />

ben preparati a proseguire nella ricerca;<br />

senza rinunciare a offrire delle lezioni nel<br />

campo quantitativo che lo avevano già fatto<br />

apprezzare in atenei americani ed europei.<br />

Se il buon giorno si vede dal mattino,<br />

il contributo nei primi quattro anni della<br />

Facoltà del Decano Pietro Balestra ha<br />

senz’altro tracciato una linea di rigore e di<br />

autorevolezza indispensabile per una giovane<br />

università. Sarebbe poi toccato ai suoi<br />

successori rafforzare questa impostazione.<br />

A sinistra il Prof. Pietro<br />

Balestra con la<br />

Consigliera federale<br />

Ruth Dreifuss, in<br />

occasione del Dies<br />

academicus del 1997.<br />

Qui a fianco un momento<br />

dell’affollata lezione<br />

di commiato del<br />

Prof. Mauro Baranzini,<br />

l’11 dicembre 2014,<br />

intitolata “Economia<br />

e società civile: tra<br />

passato sostenibile<br />

e un futuro incerto”<br />

(foto Ti-press).


IDEE<br />

Fra audacia e responsabilità,<br />

Scienze della comunicazione<br />

Eddo Rigotti, primo Decano della Facoltà di scienze della comunicazione<br />

Percepii la forza delle idee costitutive<br />

dell’USI prima ancora di arrivare a Lugano.<br />

Fui infatti chiamato a commentare il<br />

progetto di base delineato dal Comitato<br />

ordinatore, il team di studiosi incaricato<br />

di impostare le due Facoltà luganesi. In<br />

un incontro tenuto a Palazzo dei congressi,<br />

a me spettò di discutere del progetto<br />

previsto per Scienze della comunicazione,<br />

accanto al Prof. Luigi Pasinetti che commentò<br />

il progetto di Scienze economiche.<br />

In quella circostanza sottolineai alcuni<br />

aspetti delle proposte formulate dal Comitato<br />

per Scienze della comunicazione<br />

che si rivelarono poi, anche nel tempo,<br />

preziosi.<br />

La visione era quella di<br />

sviluppare un nesso virtuoso tra<br />

gli insegnamenti nell’ambito<br />

aziendale e quelli solitamente<br />

confinati in ambito letterario e<br />

culturale, con un’attenzione<br />

importante anche agli aspetti<br />

tecnologici della comunicazione<br />

In particolare mi colpì l’intento di tenere<br />

strettamente intrecciate due dimensioni<br />

che in quegli anni, nel contesto delle<br />

nascenti Scienze della comunicazione,<br />

erano concepite come, se non antitetiche,<br />

sicuramente alternative: la dimensione organizzativa<br />

e quella umanistica. L’ipotesi<br />

era quella di sviluppare un nesso virtuoso<br />

tra le discipline dell’ambito aziendale<br />

e istituzionale e quelle tradizionalmente<br />

confinate nel campo umanistico. Un connubio<br />

inedito e dalle prospettive tuttora<br />

molto stimolanti e non del tutto esplorate,<br />

arricchito in seguito da un’attenzione<br />

importante agli aspetti tecnologici della<br />

comunicazione.<br />

Su queste basi, allo stesso tempo elementari<br />

ma pionieristiche, la Facoltà mi affidò<br />

il compito di primo Decano. “Noi di<br />

Comunicazione” introducemmo nello sviluppo<br />

del progetto un ingrediente che reputo<br />

tuttora indispensabile per chi voglia<br />

dar vita a una nuova realtà sociale: il rilievo<br />

della parola “responsabilità”, declinata secondo<br />

i tre referenti fondamentali di ogni<br />

istituzione universitaria. Innanzitutto, responsabilità<br />

nei confronti degli studenti,<br />

che sono – non bisogna mai dimenticarlo<br />

– i nostri veri e principali “portatori di interesse”:<br />

nessuno di noi voleva rassegnarsi<br />

all’idea di una Facoltà “fabbrica di disoccupati”,<br />

cioè di intellettuali difficilmente<br />

integrabili nel mondo del lavoro. Il nostro<br />

impegno nei loro confronti fu quindi fin<br />

dall’inizio quello di investire nella serietà<br />

della didattica, tenendo sempre in considerazione<br />

l’appetibilità dei profili, nel<br />

contesto di un mondo professionale che<br />

iniziava a essere estremamente mutevole.<br />

In secondo luogo, reputavamo essenziale<br />

la responsabilità nei confronti della<br />

comunità scientifica: la Facoltà ambiva<br />

dichiaratamente a farsi promotrice di un<br />

nuovo discorso scientifico, di una nuova<br />

epistemologia del campo investigato, capace<br />

di produrre ricerca a livello internazionale;<br />

una conferma di questo fu senza<br />

dubbio la fondazione della rivista Studies<br />

in Communication Sciences, ma non meno<br />

lo sviluppo di importanti progetti di ricerca.<br />

In terzo luogo, apparve chiaro come<br />

la Facoltà dovesse impegnarsi a favore del<br />

suo territorio, della sua comunità civile di<br />

Eddo Rigotti negli anni<br />

Novanta (Foto Archivio<br />

del Corriere del Ticino).


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13<br />

riferimento, in un’accezione di responsabilità<br />

superiore a quella delle tesi moralistiche<br />

o ideologiche: la nostra accezione<br />

di responsabilità verso il territorio ispirò<br />

una precisa impostazione della formazione<br />

linguistica, ovvero il plurilinguismo. La<br />

nostra Facoltà si faceva in questo modo<br />

promotrice di uno dei tratti fondanti della<br />

Confederazione, offrendo corsi di lingua<br />

e di cultura sia tedesca sia francese, nella<br />

convinzione che non ci si potesse appiattire<br />

esclusivamente sull’inglese. Questo<br />

triplice senso di responsabilità generò un<br />

proposito complessivo ambizioso, quello<br />

di mettere in luce e sviluppare la ricchezza<br />

scientifica e professionale del ruolo della<br />

comunicazione nei molteplici contesti<br />

culturali e sociali.<br />

Su queste basi, allo stesso tempo<br />

elementari e pionieristiche,<br />

aggiungemmo al progetto una<br />

componente che reputo tuttora<br />

molto importante: il rilievo della<br />

parola responsabilità<br />

A rischio di sembrare utopica, la nostra<br />

Facoltà ha osato perseguire una concezione<br />

visionaria, puntando a essere interdisciplinare<br />

e multiculturale. Interdisciplinare<br />

perché – come indica il plurale<br />

con il quale abbiamo voluto designare la<br />

nostra Facoltà, appunto di Scienze della<br />

comunicazione – non si può pretendere di<br />

mettere a fuoco il fatto comunicativo con<br />

una sola lente: questo ambito del sapere è<br />

infatti ontologicamente plurale e la nostra<br />

scommessa consiste proprio nella valorizzazione<br />

di questa pluralità, che genera in<br />

chi la studia una naturale propensione a<br />

un atteggiamento critico e la ricerca di<br />

una visione di insieme. Multiculturalità,<br />

in particolare perché nella formazione<br />

della faculty non ci siamo chiusi in una<br />

singola prospettiva culturale, ma siamo<br />

stati capaci di coinvolgere nel progetto<br />

– i fatti lo dimostrano – anime illustri<br />

provenienti da contesti tradizionalmente<br />

estranei tra loro. La multiculturalità della<br />

faculty è condizione indispensabile per la<br />

multiculturalità dei curricula e della ricerca.<br />

Eravamo impegnati a un’apertura senza<br />

riserve a ogni ipotesi seria.<br />

In relazione alla comunità civile di riferimento,<br />

è per me assai viva la memoria di<br />

due personalità prematuramente scomparse<br />

che hanno accompagnato e sostenuto<br />

la formazione e lo sviluppo della<br />

nostra Facoltà, ma che vanno anche sicuramente<br />

considerate tra i padri fondatori<br />

di tutta l’Università della Svizzera italiana:<br />

Giuseppe Buffi e Giorgio Salvadè. Oltre<br />

ad aver ricoperto ruoli centrali, rispettivamente<br />

in quanto direttore del Dipartimento<br />

della cultura, dell’educazione<br />

e dello sport nel governo cantonale e in<br />

quanto municipale responsabile del Dicastero<br />

della cultura della Città di Lugano,<br />

essi seppero ideare e realizzare, ciascuno<br />

nel suo esecutivo, piste innovative nelle<br />

politiche dell’alta formazione e della ricerca.<br />

Sorretta dall’intelligenza e dalla cordialità<br />

di queste e altre figure, la Facoltà riuscì a<br />

consolidare la sua immagine nel contesto<br />

universitario elvetico. Nelle sue politiche<br />

si riconoscono tre costanti che reputo<br />

fondamentali e che spero continuino a<br />

essere fonte di ispirazione. La prima è il<br />

forte legame con la Facoltà “gemella” di<br />

scienze economiche: siamo nati insieme<br />

e insieme siamo cresciuti, sostenendoci a<br />

vicenda con programmi congiunti a livello<br />

di formazione e di ricerca, che hanno<br />

saputo sfruttare l’unicità di ciascuna delle<br />

due facoltà. La seconda è l’importanza<br />

data alla dimensione umanistica: l’Istituto<br />

di studi italiani non è semplicemente<br />

“parcheggiato” tra i nostri istituti, ma, a<br />

mio modo di vedere, segna con la sua presenza<br />

proprio l’importanza centrale della<br />

cultura senza la quale gli studi in comunicazione<br />

perdono il loro spessore. La terza<br />

e ultima costante è una sorta di incoraggiamento<br />

ai ricercatori, giovani o navigati<br />

che siano, ad ambire a visioni capaci di<br />

aprire spazi di indagine nuova e libera,<br />

rifuggendo dalla tentazione delle piccole<br />

messe a fuoco.<br />

Queste furono (e in parte sono)<br />

le nostre forze. La nostra storia<br />

parte da qui: spirito<br />

d’impresa nell’intraprendere<br />

sentieri nuovi, istinto<br />

di responsabilità e apertura<br />

Queste sono state (e in parte sono) le nostre<br />

forze. La nostra storia parte da qui:<br />

spirito d’impresa nell’intraprendere sentieri<br />

nuovi, sentimento di responsabilità<br />

e apertura. Credo che possiamo esserne<br />

ragionevolmente fieri.


IDEE<br />

Quei princìpi alla base della nostra informatica<br />

Mehdi Jazayeri, primo Decano della Facoltà di scienze informatiche<br />

La Facoltà di scienze informatiche dell’U-<br />

SI nasce da una scommessa: l’obiettivo,<br />

magari un po’ visionario, del piccolo gruppo<br />

di colleghi che mi ha accompagnato<br />

nella sua fondazione era di dare un autentico<br />

scossone alla tradizione. Avevamo in<br />

mente di innovare radicalmente il modo<br />

stesso di insegnare informatica. Sentivamo<br />

il bisogno di rispondere in modo nuovo e<br />

migliore alle esigenze del mercato del lavoro.<br />

Volevamo evidenziare la bellezza e<br />

l’eleganza della disciplina in modo da coinvolgere<br />

nuove generazioni di studenti. Ed<br />

è così che è nata l’idea – in controtendenza<br />

rispetto al mercato svizzero ed europeo –<br />

di creare un nuovo percorso di studi, capace<br />

di superare un modello che ormai stava<br />

perdendo colpi e, soprattutto, studenti.<br />

Avevamo in mente di innovare<br />

dalle radici il modo stesso di<br />

insegnare la disciplina.<br />

Sentivamo il bisogno di<br />

rispondere in modo nuovo e<br />

migliore alle esigenze del mercato<br />

del lavoro. Avevamo chiara la<br />

necessità di portare alla luce la<br />

bellezza e l’eleganza<br />

della disciplina<br />

Insieme ai primi colleghi, Alexander<br />

Wolf, Antonio Carzaniga, Michele Lanza,<br />

Amy Murphy e Fernando Pedone, abbiamo<br />

quindi allestito un programma ispirato<br />

a un approccio ingegneristico fondato<br />

su quattro pilastri che riteniamo essenziali.<br />

Il primo è la teoria: le fondamenta<br />

teoriche della disciplina, che sono state<br />

gettate nel corso del ventesimo secolo o<br />

anche prima, ci permettono ancora oggi di<br />

migliorare le capacità del calcolo automatico<br />

e allo stesso tempo di vederne i limiti.<br />

La conoscenza di queste basi da parte degli<br />

studenti resta dunque per noi centrale. Il<br />

secondo pilastro è la tecnologia: l’informatica<br />

è un settore in perpetua evoluzione,<br />

caratterizzato da rapidi e profondi cambiamenti<br />

tecnologici. È quindi importante che<br />

gli studenti siano allenati a questo esercizio<br />

di dinamismo, che acquisiscano una totale<br />

familiarità con gli ultimi ritrovati della tecnologia,<br />

ma anche che imparino ad analizzarne<br />

i difetti e a comprendere le esigenze<br />

alla base del cambiamento stesso. Questi<br />

due princìpi sono strettamente legati: la<br />

teoria infatti aiuta a inventare nuove tecnologie,<br />

il cui uso efficace poi richiede spesso<br />

l’elaborazione di nuove teorie.<br />

Abbiamo allestito un programma<br />

ispirato a un approccio<br />

ingegneristico, fondato su quattro<br />

pilastri: la teoria, la tecnologia, il<br />

pensiero sistemico<br />

e il lavoro di squadra<br />

Il terzo pilastro del nostro sistema formativo<br />

è il cosiddetto Systems thinking, ovvero<br />

il pensiero sistemico: l’informatica è<br />

oggi un componente essenziale di molti sistemi<br />

sociali, economici e persino politici.<br />

Gli studenti devono quindi sviluppare la<br />

capacità non solo di costruire un artefatto<br />

tecnologico intelligente e affidabile, ma<br />

anche di comprenderne la ragion d’essere


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15<br />

nel contesto del sistema in cui la tecnologia<br />

opera.<br />

Il quarto e ultimo pilastro è quello della<br />

comunicazione e del lavoro di squadra: i<br />

progetti nel campo tecnologico sono infatti<br />

per loro natura interdisciplinari e richiedono<br />

un grande lavoro di relazione e<br />

di scambio tra i diversi membri della squadra,<br />

che spesso provengono da discipline<br />

piuttosto diverse. Il successo dei progetti<br />

dipende spesso proprio dalle capacità di<br />

comunicazione dei singoli e per questo è<br />

fondamentale che i nostri studenti sappiano<br />

comunicare idee, problemi e risultati<br />

nel modo più efficace possibile.<br />

Al fine di mettere in pratica concretamente<br />

questi quattro princìpi, abbiamo ideato<br />

il concetto di atelier: ogni semestre, tutti<br />

gli studenti sono tenuti ad affrontare un<br />

progetto reale, gestito in team, con un approccio<br />

sistemico e con l’uso critico delle<br />

tecnologie più all’avanguardia. L’istituzione<br />

di un atelier impostato in questo modo<br />

costituisce la vera innovazione apportata<br />

dal nostro progetto formativo all’insegnamento<br />

dell’informatica; un’innovazione<br />

amata dagli studenti e apprezzata dalla<br />

comunità scientifica internazionale, che<br />

l’ha premiata con due tra i più importanti<br />

riconoscimenti del settore: l’ACM<br />

SIGSOFT Influential Educator Award nel<br />

2012 e l’IEEE CS TCSE Distinguished<br />

Educator Award nel 2013.<br />

Come nelle migliori tradizioni accademiche,<br />

la forza nell’insegnamento deriva da<br />

e si combina con una spiccata attenzione<br />

alla ricerca. Indicativi del grande lavoro<br />

svolto in questo settore sono le oltre<br />

70mila citazioni raggiunte (solo dal 2008)<br />

dai professori della Facoltà all’interno<br />

della letteratura accademica scandagliata<br />

da Google Scholar, i più di 50 premi scientifici<br />

attribuiti a ricercatori della Facoltà,<br />

gli oltre 45 milioni ottenuti grazie ai finanziamenti<br />

competitivi alla ricerca scientifica,<br />

ma soprattutto gli oltre 100 dottorandi<br />

provenienti da quasi 30 paesi che animano<br />

i nostri gruppi di ricerca. Una vitalità<br />

sulla quale pochi avrebbero investito nel<br />

2004 quando fondammo la Facoltà e che<br />

ora caratterizza l’identità stessa di tutta<br />

l’Università della Svizzera italiana.<br />

Nelle immagini, da sinistra: il cantiere dell’edificio<br />

che ospita la Facoltà di scienze informatiche, in uno<br />

scatto del 2003; la “sfilata” dei primi professori al Dies<br />

academicus del 2004; il Prof. Mehdi Jazayeri nel corso<br />

dello stesso Dies (foto Ti-press).


STORIE<br />

Giorgio Giudici<br />

“L’equilibrio propulsore”<br />

STORIE<br />

Giorgio Giudici, Sindaco di Lugano per<br />

29 anni, ha promosso e trascinato la<br />

Città in numerosi progetti, ponendo le<br />

basi perché potesse ambire a competere<br />

con le maggiori città elvetiche. Quello<br />

dell’USI è stato probabilmente uno dei<br />

suoi progetti più impegnativi, insieme<br />

alla più recente grande aggregazione e al<br />

polo culturale.<br />

Architetto, dopo i vari tentativi andati a<br />

vuoto, quando ha capito che il nome di Lugano<br />

si sarebbe per davvero potuto associare<br />

a quello di Università?<br />

Fu nel 1991 a Poschiavo, in occasione delle<br />

celebrazioni per i 700 anni della Confederazione.<br />

Flavio Cotti, ultimo Consigliere<br />

federale della Svizzera italiana, tenne<br />

un discorso memorabile sull’ambizione<br />

necessaria a questa parte della Svizzera, al<br />

suo ruolo potenziale tutto ancora da costruire.<br />

In quello stesso periodo Giuliano<br />

Bignasca iniziava – a suo modo – a prospettarmi<br />

la possibilità di un nuovo progetto<br />

che riuscisse a superare le difficoltà<br />

incontrate da quelli precedenti. Unendo<br />

le due cose, intravvidi la possibilità di una<br />

fase diversa e decisi quindi come prima<br />

cosa di bloccare la destinazione urbanistica<br />

dell’appena rinnovato Centro civico,<br />

ovvero del vecchio ospedale, adibendolo<br />

a sede di un ancora ipotetico campus.<br />

E poi, come prese forma concretamente il<br />

progetto accademico?<br />

Prese forma nel mio grottino in via Monte<br />

Brè, alle spalle del campus, in un modo<br />

che definirei quasi un po’ carbonaro.<br />

Dopo i diversi progetti falliti e i molti interessi<br />

politici in ballo rispetto a un progetto<br />

di questa portata, la preoccupazione<br />

fu infatti quella di non far arenare la nave<br />

ancora prima che vedesse l’acqua. Nel<br />

1992 la Lega vinse con il vento in poppa le<br />

elezioni comunali e mi trovai in Municipio<br />

una persona del calibro di Giorgio Salvadè.<br />

Fu così che nel citato grottino incominciammo<br />

a incontrare un piccolo gruppo<br />

di professori di comprovato livello:<br />

Mauro Baranzini, Sergio Cigada, Remigio<br />

Ratti e Lanfranco Senn. A parte qualche<br />

giornalista come Claudio Mésoniat, del<br />

nostro progetto non sapeva nulla nessuno.<br />

Approdammo all’idea che per Lugano le<br />

facoltà più indicate fossero Scienze della<br />

comunicazione per il suo valore innovativo<br />

e Scienze economiche per il suo chiaro<br />

valore territoriale e per la presenza della<br />

piazza finanziaria.<br />

Con delle radici che pochi conoscono…<br />

Sì, in realtà i legami tra Lugano e un polo<br />

scientifico nel campo dell’economia come<br />

l’Università Bocconi di Milano erano forti<br />

già dagli anni Ottanta e giocarono un<br />

ruolo importante nella vicenda dell’USI.<br />

Si deve il tutto a Giovanni Spadolini: tra le<br />

sue numerose e importanti cariche Spadolini<br />

fu infatti anche Presidente della Bocconi<br />

(dal 1976 al 1994) e proprio in quegli<br />

anni da Milano era solito visitare spesso il<br />

Ticino, per via della figura di Carlo Cattaneo,<br />

della relativa Associazione e della<br />

presenza qui a Lugano del Circolo Culturale<br />

Nuova Antologia (ancora attivo), al<br />

quale lo stesso Spadolini era molto legato<br />

per via della prestigiosa rivista Antologia


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17<br />

di Firenze. Nel corso dei nostri diversi incontri<br />

mi provocava di frequente: “Perché<br />

non facciamo qualcosa insieme?”. Fu anche<br />

grazie a questo legame che potemmo<br />

coinvolgere nell’elaborazione del nostro<br />

progetto professori del calibro di Angelo<br />

Provasoli e Vittorio Coda; fu anche grazie<br />

a questo che la Bocconi ci diede accesso al<br />

suo ricco sistema bibliotecario e che ancora<br />

oggi il Rettore dell’università milanese<br />

siede di diritto nel Consiglio della Fondazione<br />

per le Facoltà di Lugano.<br />

Nel frattempo anche altri progetti si stavano<br />

però muovendo.<br />

Parallelamente al nostro, il progetto di<br />

Mario Botta per una Accademia di architettura<br />

in Ticino stava facendo importanti<br />

passi avanti, anche grazie al supporto del<br />

Consigliere di Stato Giuseppe Buffi. Si<br />

trattava di un ottimo progetto, forte e al<br />

momento giusto, ma che poneva in essere<br />

alcune problematiche che non fu facile<br />

gestire. Nonostante ai fini del successo<br />

fosse indispensabile intrecciare le sorti<br />

delle due iniziative, le due si muovevano<br />

da presupposti diversi: Botta e Buffi<br />

avevano infatti in mente un’università<br />

pubblica statale, il nostro approccio era<br />

invece volto a un importante contributo<br />

da parte dei privati.<br />

Oltre a questo, c’era poi nell’aria un problema<br />

di politica e di intricati interessi a<br />

livello comunale, fatto di certo non nuovo<br />

in Ticino, che vedeva molti spingere per<br />

avere Architettura a Lugano, altri immaginare<br />

funzionali alla Città altre Facoltà.<br />

Il rischio di “collisione ideologica” era<br />

grande, ma con un po’ di fortuna e una<br />

buona dose di pragmatismo politico salvammo<br />

la situazione. Da un lato, grazie a<br />

Mauro Martinoni, Mauro Dell’Ambrogio<br />

e – ci tengo a ricordarlo – Roberto Ritter<br />

della Città di Lugano, trovammo la finezza<br />

giuridica grazie alla quale far coesistere<br />

sotto l’unico cappello dell’USI “pubblica”<br />

anche la Fondazione per le Facoltà<br />

di Lugano, con la sua dote da parte della<br />

Città di dieci milioni, di cui uno dal Cantone;<br />

dall’altro, il Municipio di Mendrisio<br />

guidato da Carlo Croci scese in campo offrendo<br />

Palazzo Turconi e altrettanti dieci<br />

milioni per ristrutturarlo e accogliere così<br />

l’Accademia nel Borgo. In questo modo,<br />

invece di incartarci tra ideologie e campanilismi,<br />

la “piattaforma” di base dell’Università<br />

si estese, consolidandosi.<br />

Senza un approccio fondato<br />

non sulle ideologie ma sugli<br />

obiettivi non saremmo qui a<br />

parlare di USI.<br />

Verso la metà degli anni<br />

Novanta riuscimmo in un<br />

atto raro per questo Cantone,<br />

ovvero un equilibrio propulsore<br />

capace di cogliere il meglio<br />

dai diversi interessi coinvolti.<br />

Penso sia stato possibile<br />

grazie a una fortunata<br />

costellazione di persone aperte<br />

e dinamiche, innamorate del<br />

loro lavoro e della loro terra<br />

Uno dei tratti costitutivi dell’USI, verrebbe<br />

da dire, sembra essere il pragmatismo e l’agilità<br />

istituzionale. Concorda?<br />

Certamente, senza un approccio fondato<br />

non sulle ideologie ma sugli obiettivi non<br />

saremmo qui a parlare di USI. Verso la<br />

metà degli anni Novanta riuscimmo in un<br />

atto raro per questo Cantone, ovvero un<br />

equilibrio propulsore capace di cogliere il<br />

meglio dai diversi interessi coinvolti. Penso<br />

sia stato possibile grazie a una fortunata<br />

costellazione di persone aperte e dinamiche,<br />

innamorate del loro lavoro e della<br />

loro terra. Senza dubbio in molte cose io e<br />

Giuliano Bignasca la pensavamo in modo<br />

differente, ma ci ha unito l’amore per la<br />

nostra Città e la volontà che l’Università<br />

ne portasse il nome in giro per il mondo.<br />

Le idee di Giorgio Salvadè furono spesso<br />

in perfetta antitesi rispetto alle mie, ma si<br />

creò tra di noi quella chimica strana che<br />

unisce le persone abituate a costruire prima<br />

che a giudicare. L’attuale Segretario<br />

generale Albino Zgraggen credo sia l’espressione<br />

più evidente di questo approccio,<br />

che – per definizione – ha bisogno di<br />

poche parole per essere spiegato.


STORIE<br />

Mauro Martinoni<br />

“Incoscienza, slancio e un colpo di teatro”<br />

Mauro Martinoni, dalla sua posizione di<br />

responsabile della Divisione studi universitari<br />

del Cantone, ha visto e fatto nascere<br />

il progetto dell’USI in tutte le sue<br />

fasi. Ha convinto gli attori, mediato tra<br />

le loro personalità, gettato le basi amministrative<br />

per tenere in equilibrio Berna,<br />

Bellinzona, Lugano e Mendrisio.<br />

Mauro Martinoni, l’idea di università in<br />

Ticino ha una storia ben più lunga di quella<br />

dell’USI.<br />

Prima dell’USI, il più recente e strutturato<br />

tentativo di avviare un ateneo in Ticino,<br />

dopo essere stato approvato dal Gran<br />

Consiglio, fu bocciato pesantemente tramite<br />

referendum popolare nel 1986. Si<br />

trattava del CUSI, il Centro universitario<br />

della Svizzera italiana. Era previsto avere<br />

sede presso Villa Negroni a Lugano e proporre<br />

un’offerta di formazione continua,<br />

con un focus sulla politica economica e<br />

sullo sviluppo regionale. Purtroppo o per<br />

fortuna non convinse nessuno. Più tardi,<br />

nel 1992, Giuseppe Buffi mi nominò<br />

– testualmente – “Delegato ai problemi<br />

universitari”, ruolo che accettai volentieri<br />

con l’unica condizione di poter cambiare<br />

nome alla mia funzione: i “problemi” divennero,<br />

in modo meglio augurante, “studi”<br />

e da lì si partì a spron battuto verso la<br />

definizione di un nuovo progetto.<br />

Come nacque quindi il progetto dell’USI?<br />

La bocciatura del CUSI non fermò la tenacia<br />

del Consigliere di Stato Giuseppe<br />

Buffi, anzi. La mossa del Vescovo di Lugano<br />

Eugenio Corecco, che nel 1991 spiazzò<br />

tutti con l’annuncio della nascita della<br />

Facoltà di Teologia, lo convinse ancora<br />

di più ad accelerare i tempi. Da grande<br />

tessitore di relazioni qual era, si attivò su<br />

due fronti: a nord, attraverso la presenza<br />

in Ticino del Centro Stefano Franscini al<br />

Monte Verità, strinse contatti importanti<br />

con il Politecnico di Zurigo; a sud, puntò<br />

sull’Università di Pavia, anche grazie<br />

ai forti legami con la Svizzera del Rettore<br />

dell’epoca, Schmid. “In patria” lo sforzo<br />

più grande fu invece quello di tenere ben<br />

legati i due progetti che stavano muovendo<br />

i propri passi in modo parallelo. Da<br />

una parte Mario Botta che, rispondendo a<br />

una sollecitazione del Prof. Roland Crottaz<br />

del Consiglio dei Politecnici, stava<br />

pensando a un innovativo progetto di formazione<br />

in architettura, capace di superare<br />

l’approccio ingegneristico in voga nella<br />

Svizzera interna; dall’altra la Città di Lugano<br />

con la triade Giudici, Bignasca e Salvadè<br />

che, grazie al sostegno di un gruppo<br />

di professori, era convinta che fosse il momento<br />

di cogliere l’attimo e fondare sul<br />

Ceresio le Facoltà di scienze economiche<br />

e scienze della comunicazione. Ci volle un<br />

po’ di ingegno a trovare un equilibrio, in<br />

quanto si trattava di progetti diversi nella<br />

filosofia di fondo (di carattere pubblico il<br />

primo e privato il secondo), che facevano<br />

capo a protagonisti dalla personalità forte<br />

e non sempre inclini ai compromessi. Fatto<br />

sta che un compromesso lo trovammo,<br />

da un lato grazie a un gioco di regolamenti<br />

che garantiva l’autonomia reciproca e<br />

allo stesso tempo l’unità giuridica, dall’altro<br />

grazie alla mossa della Città di Mendrisio<br />

di donare 10 milioni per accogliere<br />

la futura Accademia nel Borgo, sciogliendo<br />

definitivamente le ultime controversie<br />

sulla sede delle diverse Facoltà.<br />

E Berna di tutto questo cosa pensava?<br />

Innanzitutto bisogna capire di quale Berna<br />

si voglia parlare, in quanto nel nostro<br />

caso ne esistettero almeno quattro: quella<br />

dell’Amministrazione e del Consiglio<br />

federale, quella del Parlamento, quella<br />

della Conferenza universitaria svizzera (la<br />

CUS, che riunisce i Consiglieri di Stato<br />

cantonali coinvolti nei dossier universitari)<br />

e quella del Consiglio svizzero della<br />

scienza, un organo che all’epoca aveva<br />

importanti funzioni di accreditamento. Se<br />

l’Amministrazione e il Consiglio federale<br />

furono da subito molto positivi e aperti rispetto<br />

al nostro progetto, non andò nello<br />

stesso modo con la CUS, che fu dapprima<br />

restia all’idea e poi ufficialmente contraria,<br />

tant’è che il Corriere del Ticino titolava<br />

ancora nell’ottobre del 1994 “Porte<br />

chiuse all’ateneo, pollice verso della Conferenza<br />

universitaria svizzera al riconoscimento<br />

dell’USI”. Le loro argomentazioni<br />

erano principalmente due e riguardavano<br />

la sostenibilità economica complessiva del<br />

sistema universitario svizzero e la governance<br />

“particolare” accennata sopra, che<br />

necessariamente avevamo dovuto costruire<br />

per permettere al progetto di partire in<br />

modo compatto. Da parte nostra eravamo<br />

perfettamente consapevoli che la soluzione,<br />

criticata anche in Ticino da persone<br />

autorevoli, non fosse l’optimum, ma per<br />

riprendere una metafora conosciuta si<br />

può dire che se questa volta riuscimmo a<br />

saltare sul treno che avrebbe portato l’Università<br />

nel nostro Cantone, fu proprio


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grazie a un po’ di incoscienza e una valigia<br />

fatta di corsa, nella convinzione di riuscire<br />

a recuperare un pigiama e uno spazzolino<br />

da denti una volta in viaggio. Così in effetti<br />

fu e anche la CUS alla fine cambiò idea.<br />

Come avete fatto?<br />

Fu ancora una volta un piccolo capolavoro,<br />

questa volta un po’ teatrale, da parte di<br />

Giuseppe Buffi. Nel maggio del 1995 fu<br />

organizzata una visita ufficiale a Lugano<br />

e Mendrisio, che sulla carta doveva essere<br />

una riunione operativa di routine per<br />

presentare ancora una volta alcuni aspetti<br />

del nostro progetto. I delegati furono<br />

invece accolti a sorpresa, in uno dei migliori<br />

grotti del Mendrisiotto, dal Gotha<br />

del mondo accademico lombardo, ovvero<br />

dai rettori delle università di Milano, di<br />

Pavia e della Bocconi. Ricordo ancora un<br />

passaggio di Buffi: “Voi pensate che il Ticino<br />

sia un bel balcone affacciato sull’Africa,<br />

invece si affaccia innanzitutto sulla<br />

Lombardia e oggi mi sono preso la licenza<br />

di invitare a pranzo i rettori dei migliori<br />

atenei della regione (e dell’Italia), che da<br />

soli ospitano più di tutti gli studenti della<br />

Svizzera nel suo insieme. L’USI potrebbe<br />

diventare il ponte naturale capace di favorire<br />

gli scambi e le relazioni tra i nostri<br />

due mondi”. L’impatto fu notevole.<br />

Poi partì quindi la domanda formale.<br />

Sì, nel novembre del 1995 e quindi con<br />

tempi strettissimi, avendo l’intenzione di<br />

aprire i corsi nel 1996. Importanti in questa<br />

fase furono due persone: da un lato<br />

il Prof. Edo Poglia, allora direttore del<br />

Consiglio svizzero della scienza; dall’altro,<br />

in Consiglio federale, Ruth Dreifuss e il<br />

suo capo gabinetto (purtroppo defunto)<br />

Gerhard Schuwey. Capii di che pasta fosse<br />

fatta “Madame Dreifuss” una mattina<br />

alla stazione di Airolo, in occasione dell’inaugurazione<br />

del Centro Biologia Alpina<br />

di Piora. Aspettavamo l’arrivo della delegazione<br />

e del convoglio federale, lei invece<br />

scese – da sola e con lo zaino in spalla<br />

– dal treno. Il rapporto con lei fu sempre<br />

così, semplice e diretto: sbloccò i fondi federali<br />

in via provvisoria, prima ancora che<br />

la trafila della domanda fosse conclusa e<br />

noi venissimo riconosciti ufficialmente dal<br />

Consiglio federale, cosa che avvenne solo<br />

nel 2000 con il conferimento delle prime<br />

lauree.<br />

Il primo giorno di lezione, il<br />

21 ottobre del 1996, a<br />

Mendrisio. Da sinistra,<br />

Aurelio Galfetti, Mauro<br />

Martinoni, Mauro<br />

Dell’Ambrogio, Hans<br />

Bühlmann, Giuseppe Buffi e<br />

Mario Botta (foto Ti-press).


STORIE<br />

Cele Daccò<br />

“Un progetto per emancipare la Svizzera italiana”<br />

Cele Daccò, classe 1919, è la più importante<br />

sostenitrice del progetto universitario<br />

della Svizzera italiana. Grazie alla sua<br />

generosità, è stato possibile dare avvio<br />

all’edificazione del campus di Lugano e il<br />

suo impegno è continuato negli anni con<br />

numerose borse di studio per giovani ricercatori,<br />

con il finanziamento di progetti<br />

di ricerca e attualmente con il sostegno<br />

alla cattedra in Computational Biology,<br />

un settore tutto rivolto al futuro. L’abbiamo<br />

incontrata nella sua serra a Montagnola,<br />

tra clivie e camelie.<br />

Quale fu il suo primo contatto con il progetto<br />

dell’USI?<br />

Il mio legame con l’USI nacque in modo<br />

indiretto e avvenne per via di un progetto<br />

parallelo: quello della Facoltà di Teologia<br />

di Lugano. La storia parte da lontano, ma<br />

vale la pena ripercorrerla brevemente.<br />

L’allora Vescovo Eugenio Corecco aveva<br />

in mente la costituzione di un polo di formazione<br />

teologica di livello universitario.<br />

Un progetto bello dal profilo etico e sociale,<br />

ma ambizioso dal punto di vista finanziario,<br />

per il quale egli era riuscito tuttavia<br />

a trovare un importate finanziatore residente<br />

in Ticino e soprattutto il placet di<br />

Papa Giovanni Paolo II. Il problema fu<br />

che il Vaticano – una volta entrato nella<br />

disponibilità del fondo – decise di allocare<br />

le ingenti risorse a un’altra causa, ovvero<br />

la ristrutturazione del convento di Santa<br />

Marta a Roma, adibito a dimora di riflessione<br />

per i cardinali al termine del proprio<br />

mandato. Mi appassionai alla vicenda, in<br />

quanto la memoria di mio marito – scomparso<br />

nel 1976 – teneva alta, tra le mie<br />

priorità, l’attenzione alla formazione dei<br />

giovani e allo sviluppo di una regione<br />

come il Ticino. Mi fu presentato il Vescovo<br />

Corecco, già allora purtroppo molto<br />

malato, e mi ricordo bene il nostro primo<br />

incontro. Fu intenso. Gli comunicai<br />

la mia intenzione di provvedere io stessa<br />

al finanziamento del suo progetto; lui mi<br />

disse: “Signora, preghi per me”; io – non<br />

dotata della solida fede di mio marito – risposi:<br />

“Confesso di non essere abituata a<br />

pregare”; lui sgranò gli occhi e si fermò –<br />

eravamo nel corridoio della sede vescovile<br />

–, poi mi disse deciso: “Signora, sarò io a<br />

pregare per lei”. Poco dopo nacque l’idea<br />

di intrecciare i due progetti, quello della<br />

Facoltà di Teologia e quello del campus<br />

dell’USI, per i quali decisi di stanziare 17<br />

milioni, 5 per la costruzione del palazzo<br />

che oggi accoglie Teologia e 12 per l’USI,<br />

soprattutto per l’Aula magna, progettata<br />

dall’architetto Aurelio Galfetti. L’ambizioso<br />

progetto di riqualifica dell’area e di<br />

realizzazione del campus che oggi conosciamo<br />

poté così prendere il via.<br />

Il tutto avvenne attraverso la Fondazione<br />

Daccò. Cosa mosse il suo impegno?<br />

Mio marito Aldo aveva un’autentica ammirazione<br />

per il sistema elvetico, pur essendo<br />

un italiano con radici profonde,<br />

vive e solide nella Repubblica: suo nonno<br />

Ambrogio fu il primo sindaco, dopo<br />

l’Unità d’Italia, del Comune di Gaggiano,<br />

nel Milanese, e lui stesso fu una figura<br />

rilevante nel sistema industriale italiano.<br />

Decidemmo di trasferirci in Svizzera negli<br />

anni Settanta, alla ricerca di un approdo<br />

solido, in anni, come sappiamo, molto<br />

difficili. Trovammo un Paese con la P maiuscola,<br />

capace di strutturarsi in nome del<br />

diritto e ricco di coscienza civile. Trovammo<br />

però anche una regione – quella della<br />

Svizzera italiana – secondo noi in qualche<br />

modo negletta rispetto al resto della Confederazione.<br />

Come un seme posto in un buon<br />

terreno, nella speranza che i<br />

germogli possano portare – nel<br />

medio periodo – i frutti più<br />

importanti, ovvero il continuo<br />

progresso sociale, economico e<br />

umano di questa regione<br />

Dopo la sua morte decisi di mettere parte<br />

del capitale di famiglia al servizio di un<br />

progetto capace di emancipare la Svizzera<br />

italiana da questa sorta di “sudditanza”.<br />

Come un seme posto in un buon terreno,<br />

nella speranza che i germogli possano<br />

portare – nel medio periodo – i frutti più<br />

importanti, ovvero il continuo progresso<br />

sociale, economico e umano di questa regione.<br />

Oltre al campus, la sua Fondazione, che poi<br />

prese il nome di Fondazione Aldo e Cele<br />

Daccò, ha continuato a sostenere lo sviluppo<br />

dell’USI con numerose borse di studio<br />

per giovani dottorandi, con il finanziamento<br />

di progetti di ricerca e ultimamente<br />

anche con il sostegno alla cattedra in Computational<br />

Biology tenuta dal Prof. Vittorio<br />

Limongelli, un settore molto innovativo…


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

21<br />

Aldo fu un personaggio poliedrico, imprenditore<br />

fattosi da sé, che alla fine degli<br />

anni Trenta fondò la «Liasa», azienda<br />

specializzata nelle fusioni in bronzo per<br />

l’industria automobilistica.<br />

che stimo e che apprezzo molto, l’Istituto<br />

di Ricerca in Biomedicina guidato dal<br />

Prof. Antonio Lanzavecchia.<br />

Credo che sostenere la ricerca in<br />

un settore come la Computational<br />

Biology porti con sé un po’ dello<br />

spirito pionieristico<br />

e interdisciplinare che fu di mio<br />

marito. Oltre a questo, io ho fatto<br />

la guerra come infermiera in un<br />

grande ospedale a Milano:<br />

in qualche misura mi piace<br />

pensare che questo settore<br />

ne sia in qualche modo<br />

la naturale evoluzione<br />

Cele Daccò negli anni<br />

Novanta (foto Archivio del<br />

Corriere del Ticino).<br />

Fu presidente della Società Italiana di<br />

Metallurgia, ricevette una laurea honoris<br />

causa in chimica all’Università di Ferrara,<br />

fu amico personale di Enzo Ferrari, fu più<br />

volte campione mondiale di motonautica,<br />

conosciuto e apprezzato pubblicamente<br />

da Gabriele D’Annunzio.<br />

Credo che sostenere la ricerca in un settore<br />

come la Computational Biology porti<br />

con sé un po’ di questo spirito pionieristico<br />

e interdisciplinare. Oltre a questo,<br />

io ho fatto la guerra come infermiera in<br />

un grande ospedale a Milano: in qualche<br />

misura mi piace pensare che questo settore<br />

ne sia in qualche modo la naturale<br />

evoluzione, capace anche di intrecciarsi<br />

in modo interessante con un altro istituto


STORIE<br />

Albino Zgraggen, Segretario generale<br />

La nostra “diligenza del Gottardo”<br />

Un’immagine interessante che credo descriva<br />

bene l’USI da quando ne assunsi la<br />

direzione amministrativa nel 1996 è quella<br />

della diligenza del Gottardo immortalata<br />

da Rudolf Koller, nel 1873: una carrozza<br />

con a bordo un manipolo di pionieri, trascinata<br />

al galoppo da cavalli scatenati, frustati<br />

dal postiglione-presidente, lungo strade<br />

non ancora del tutto battute tra il nord e<br />

il sud delle Alpi. Avevamo idee ben chiare<br />

sulla meta da raggiungere, ma i mezzi a<br />

disposizione da una parte e le circostanze<br />

dall’altra ci imponevano uno stile di guida<br />

audace e l’assunzione di qualche rischio.<br />

La nostra diligenza iniziò il suo viaggio con<br />

una trentina di persone dedicate alla sua<br />

amministrazione, divise su due campus.<br />

Oggi i servizi amministrativi, bibliotecari e<br />

tecnici contano circa 140 collaboratori: un<br />

aumento importante, ma non proporzionale<br />

alla crescita degli studenti e del corpo<br />

accademico (entrambi quasi decuplicati),<br />

fatto che ne indica l’efficienza e l’agilità.<br />

Una caratteristica che ammiro e che reputo<br />

utile si preservi in futuro, insieme ad altre<br />

due qualità che qui mi interessa sottolineare.<br />

La prima: l’USI ha adottato in questi 20<br />

anni un approccio pragmatico nell’affrontare<br />

le variegate situazioni che le si sono<br />

presentate; non siamo partiti dalla teoria<br />

cercando di organizzare la realtà, ma abbiamo<br />

preso le mosse dalla concretezza delle<br />

risorse disponibili; non ci siamo dedicati<br />

a grandi pianificazioni sulla carta, al contrario<br />

abbiamo investito in proposte serie<br />

in quanto fattibili, facendole. La seconda:<br />

in questi anni ci siamo ispirati al principio<br />

della responsabilità, lasciando ampio margine<br />

di autonomia alle persone e ai diversi<br />

servizi. Ritengo infatti che disporre di ampia<br />

libertà solleciti il potenziale di iniziativa<br />

e di collaborazione di ciascuno, il che<br />

conduce – non in tutti i casi, ma in molti e<br />

probabilmente i più rilevanti – a perseguire<br />

e raggiungere meglio gli obiettivi.<br />

Una carrozza con a bordo un<br />

manipolo di pionieri,<br />

trascinata al galoppo da cavalli<br />

scatenati, frustati dal<br />

postiglione-presidente,<br />

lungo strade non ancora<br />

del tutto battute<br />

Quale Segretario generale ho avuto modo<br />

di conoscere bene anche i cavalli e i puledri<br />

trainanti la diligenza: i professori e i ricercatori<br />

che non mancano certo di creatività<br />

nella programmazione dell’insegnamento<br />

e nella progettazione della ricerca. Oggi<br />

siamo a un centinaio di professori, molto<br />

diversi gli uni dagli altri per provenienza<br />

geografica, cultura, mentalità e ambito<br />

di competenza. Pur in una tale diversità,<br />

che rende difficile lo sviluppo di un’identità<br />

condivisa, riscontro un tratto distintivo<br />

concreto e comune: l’ambizione alla<br />

qualità richiesta dal sistema universitario<br />

svizzero e dal confronto scientifico e culturale<br />

giocato sul piano internazionale.<br />

Ho accompagnato questa diligenza per<br />

vent’anni, soprattutto accanto al postiglione,<br />

ma anche accanto alle Facoltà, attento<br />

a evitare che una ruota finisse nel fossato.<br />

Vent’anni di intenso e appassionato lavoro,<br />

ricco di molte soddisfazioni. La più importante<br />

si è finora ripetuta annualmente con<br />

la chiusura dei conti praticamente sempre<br />

in positivo, perché finanze sane significano<br />

riduzione dei conflitti e soprattutto nuove<br />

opportunità di sviluppo. Altre sono legate<br />

a momenti emozionanti, personalmente<br />

legati in primo luogo a conferenze dell’Istituto<br />

di studi italiani: la lezione inaugurale<br />

dell’ISI tenuta da Giorgio Orelli; la prima<br />

conferenza dei Mercoledì dell’ISI tenuta<br />

da Piero Boitani sul tema della creazione:<br />

dal Genesi ad Haydn, un’autentica sinfonia<br />

tra letteratura, pittura e musica; e la<br />

prima Lectura Dantis, “Comedia”, tenuta<br />

da Carlo Ossola. Momenti di bellezza,<br />

memorie e auspici per il prosieguo del<br />

viaggio.<br />

La diligenza del Gottardo immortalata da Rudolf<br />

Koller, nel 1873 (fonte Wikimedia).


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23<br />

Philippe Chevrier, tra i primi laureati dell’USI<br />

Una scommessa chiamata opportunità<br />

Mi sono iscritto all’USI nel 1996 e quattro<br />

anni dopo mi sono laureato in Scienze della<br />

comunicazione, in quello che allora si<br />

chiamava “secondo indirizzo”, ovvero comunicazione<br />

aziendale. Da tredici anni lavoro<br />

per il gruppo industriale Honeywell,<br />

una multinazionale americana con sede<br />

nel New Jersey e un fatturato di 40 miliardi<br />

di dollari. Honeywell è attiva nel settore<br />

dei trasporti, dei sistemi di automazione<br />

e controllo, delle materie chimiche e<br />

dell’aerospaziale. Attualmente lavoro per<br />

Honeywell Aerospace, che comprende tre<br />

divisioni: la difesa, l’aviazione d’affari e<br />

l’aviazione civile commerciale. In qualità<br />

di Senior Director Business Segment, gestisco<br />

un team internazionale di 25 persone<br />

basate in vari paesi e seguiamo il cliente<br />

lungo l’intera catena del valore, dalla<br />

negoziazione dei contratti delle gare d’appalto<br />

alla gestione dei programmi di sviluppo,<br />

fino all’esecuzione e consegna per<br />

Airbus e altri costruttori europei e russi.<br />

Si tratta di relazioni “sostanziose”, considerando<br />

che Honeywell fornisce fino al<br />

78% dei sistemi e componenti presenti su<br />

di un aereo, dal cockpit ai dischi dei freni,<br />

dai sistemi di navigazione agli impianti<br />

di pressurizzazione. Gestiamo una lunga<br />

filiera di oltre 300 fornitori, consegnando<br />

“chiavi in mano” sistemi complessi<br />

ad Airbus, che funge da assemblatore.<br />

Ci occupiamo anche di compagnie aeree,<br />

offrendo servizi e prodotti per la gestione<br />

delle flotte. Il nostro quartier generale si<br />

trova a Phoenix in Arizona, ma la sede generale<br />

Honeywell Europa si trova a Rolle,<br />

nel Canton Vaud, dove vivo e da dove mi<br />

sposto per seguire le operazioni in tutta<br />

Europa e Stati Uniti.<br />

Il mio percorso professionale è partito<br />

dall’USI. Già durante gli studi avevo fatto<br />

le valigie ed ero partito per la California<br />

per uno stage come assistente Market<br />

Development presso Sun Microsystems.<br />

Dopo la laurea, nel 2000, il cammino è<br />

continuato con ABB-Alstom Power, prima<br />

a Baden e poi a Parigi, e nel 2003 sono<br />

stato assunto da Honeywell divisione<br />

trasporti. Da quel momento ho viaggiato<br />

parecchio. Il mio terreno di gioco e perimetro<br />

d’azione è passato dalla Svizzera<br />

all’Europa fino ai mercati emergenti di<br />

Cina e India. Trasferitomi negli USA nel<br />

2006, ho fatto la spola tra New York e<br />

Shanghai per sviluppare il mercato cinese,<br />

all’epoca ancora un mercato da carpire<br />

per Honeywell. Dopo aver ripetuto<br />

l’esperimento in India, sono infine tornato<br />

in patria nel 2008, occupandomi dapprima<br />

d’aviazione militare, poi nel 2013 la<br />

nomina come responsabile Airbus.<br />

Sarà stato il clima da start-up che<br />

vivevano tanto gli studenti quanto<br />

i professori, sarà stata<br />

l’eterogeneità delle culture, delle<br />

lingue e dei profili degli studenti,<br />

ma si è trattato di un cocktail ideale<br />

che mi ha aiutato a sviluppare<br />

uno spirito “imprenditoriale”<br />

di apertura al mondo<br />

Honeywell conta circa 130mila impiegati:<br />

credo di far parte di quella piccola percentuale<br />

di collaboratori che non ha una<br />

formazione in ingegneria e i miei collaboratori<br />

prendono per certo il fatto che<br />

anche io abbia un profilo tecnico; invece<br />

ho studiato Scienze della comunicazione<br />

a Lugano e ne vado fiero. Nel corso della<br />

mia carriera, mi sono occupato solo marginalmente<br />

di comunicazione in senso<br />

stretto; sin dagli inizi sapevo che la mia<br />

strada sarebbe stata diversa e ho cercato<br />

di lasciare la porta aperta a nuove opportunità.<br />

Nonostante il mio nome non lo<br />

suggerisca, sono un “puro prodotto ticinese”<br />

arrivato dall’USI. Su suggerimento<br />

di Albino Zgraggen (all’epoca direttore<br />

della Scuola Cantonale di Commercio che<br />

frequentavo), ho creduto a quella che era<br />

letteralmente una scommessa e mi sono<br />

lanciato nel progetto dell’USI. Abbiamo<br />

vissuto un’esperienza ricca che, oltre<br />

a conoscenze specifiche e di metodo, ha<br />

sicuramente contribuito a sviluppare una<br />

mente critica e curiosa. Sarà stato il clima<br />

da start-up che vivevano tanto gli studenti<br />

quanto i professori, sarà stata l’eterogeneità<br />

delle culture, delle lingue e dei profili<br />

degli studenti, ma si è trattato di un cocktail<br />

ideale che mi ha aiutato a sviluppare<br />

uno spirito “imprenditoriale”, di apertura<br />

al mondo, sempre propenso alle nuove<br />

sfide. Non da ultimo, ringrazio l’USI per<br />

avermi permesso di conoscere Sophie, che<br />

è diventata mia moglie pochi anni dopo la<br />

laurea. Con i nostri quattro meravigliosi<br />

figli siamo una squadra ben rodata... e il<br />

tutto è partito dall’USI.


STORIE<br />

Cornelio Sommaruga<br />

Che vi guidi l’anima della Svizzera italiana<br />

Estratti dalla prolusione di Cornelio Sommaruga,<br />

già Presidente del Comitato internazionale<br />

della Croce Rossa (CICR), al<br />

primo Dies academicus dell’USI (1997).<br />

Questo primo Dies academicus dell’Università<br />

della Svizzera italiana ci riunisce<br />

qui oggi: autorità federali, cantonali e<br />

comunali, professori e studenti, ma soprattutto<br />

noi ticinesi, residenti, emigrati e<br />

rientrati apposta. Siamo qui tutti, soddisfatti<br />

di poter applaudire la visione, la volontà<br />

e la persistenza di coloro che hanno<br />

creato questa Università, e felici di poter<br />

augurare a questa iniziativa, simbolo della<br />

volontà del Cantone e delle Città di Lugano<br />

e Mendrisio di affrontare il loro futuro<br />

in maniera aperta e costruttiva, il successo<br />

che merita.<br />

Siamo qui per applaudire la<br />

visione, la volontà e la<br />

persistenza di coloro che hanno<br />

creato questa Università, felici di<br />

poter augurare a questa iniziativa<br />

il successo che merita<br />

Come operatori nel tessuto economico e<br />

culturale della Svizzera italiana, voi dovrete<br />

saperlo far evolvere organicamente e<br />

storicamente. II nostro Ticino deve restare<br />

quello che è stato per noi da centinaia<br />

di anni, la nostra patria, come lo si intende<br />

in tedesco: die Heimat, da Heim, casa,<br />

quindi il luogo in cui ci sentiamo a casa<br />

nostra. Oggi più che mai, quando i nostri<br />

mezzi per operare delle trasformazioni<br />

sono quasi infiniti, dobbiamo vegliare a<br />

che queste trasformazioni non ci rendano<br />

stranieri in patria. L’anima deve poterci<br />

accompagnare nel nostro viaggio, dicevano<br />

i nativi americani nel giustificarsi della<br />

lentezza delle loro migrazioni.<br />

Come operatori nel tessuto<br />

economico e culturale<br />

della Svizzera italiana,<br />

voi dovrete saperlo far evolvere<br />

organicamente e storicamente<br />

L’anima della Svizzera italiana deve poterci<br />

accompagnare attraverso le trasformazioni<br />

che saranno necessarie per adattarla<br />

all’evoluzione che il mondo esterno ci impone.<br />

Un’anima che è prima e soprattutto<br />

l’ecologia, naturale e umana, delle nostre<br />

valli, dei nostri laghi, delle nostre pianure.<br />

Vi auguro quindi che attraverso l’Università<br />

della Svizzera italiana voi sappiate sviluppare<br />

il gusto e il talento della responsabilità<br />

per il bene comune di noi ticinesi<br />

e grigionesi di lingua italiana. Evoluzione,<br />

vorrei sottolineare, e non chiusura. Perché<br />

se quest’Università può dotarci di nuovi<br />

strumenti d’apertura, essa potrebbe anche<br />

diventare uno strumento di chiusura.<br />

Ciò avverrebbe se l’Università vi esimesse<br />

dalla necessità di viaggiare nel mondo per<br />

coglierne e riportare a casa, presto o tardi,<br />

i migliori frutti.<br />

Noi Svizzeri italiani abbiamo una lunga<br />

tradizione di emigrazione. Certo essa ha<br />

impoverito le nostre valli, portando via gli<br />

elementi più dinamici. Quando l’acqua<br />

scende a valle, restano i sassi, si suole dire.<br />

Ma solo a breve termine. Questa emigrazione,<br />

che non è stata solo fuga, ma anche<br />

creatività e curiosità, ha anche permesso<br />

a tante correnti di idee nuove di venire<br />

da noi, nella bisaccia di noi che torniamo<br />

dopo lunghe peripezie ed esperienze.<br />

L’acqua che è fuoriuscita dalle nostre valli<br />

ci ritorna in forma di pioggia.<br />

Vi auguro quindi che questa<br />

Università vi stimoli e vi prepari<br />

a ben e più viaggiare. Per saper<br />

meglio tornare qui in Ticino, ma<br />

anche per portare nel mondo la<br />

laboriosità, l’impegno, l’ingegno<br />

e la creatività artistica delle genti<br />

delle nostre terre<br />

Vi auguro quindi che questa Università vi<br />

stimoli e vi prepari a ben e più viaggiare.<br />

Per saper meglio tornare qui in Ticino, ma<br />

anche per portare nel mondo la laboriosità,<br />

l’impegno, l’ingegno e la creatività artistica<br />

delle genti delle nostre terre.


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

25<br />

I media 20 anni fa<br />

Universität aus Leidenschaft<br />

“Un’università che nasce dalla passione”,<br />

titolava la Neue Zürcher Zeitung all’indomani<br />

del primo Dies academicus dell’USI,<br />

che si tenne l’8 marzo del 1997. Il più autorevole<br />

quotidiano svizzero, in un lungo<br />

articolo dedicato alla cerimonia svoltasi a<br />

Lugano, scriveva: “L’Università, che ha già<br />

forgiato ambiziosi progetti di espansione,<br />

si erge a ponte tra la Svizzera e l’Italia e incarna<br />

– come affermato dalla Consigliera<br />

federale Dreifuss – l’impegno di tutto il<br />

Consiglio federale al rafforzamento dell’identità<br />

ticinese nel contesto svizzero e in<br />

quello italiano, grazie a una posizione privilegiata<br />

tra il Nord e il Sud, della quale<br />

potrebbe beneficiare tutta la Svizzera”.<br />

La NZZ: l’USI incarna<br />

l’impegno di tutto il Consiglio<br />

federale al rafforzamento<br />

dell’identità ticinese nel<br />

contesto svizzero e in quello<br />

italiano, grazie a una posizione<br />

privilegiata tra il Nord e il Sud,<br />

della quale potrebbe beneficiare<br />

tutta la Svizzera<br />

Tra le altre cose, la NZZ continuava sottolineando<br />

con interesse le parole del Prof.<br />

Lugi Dadda: “Il progetto dell’USI rappresenta<br />

l’invito innovativo a un nuovo umanesimo,<br />

che sappia arginare la separazione<br />

sempre più in voga tra le scienze umane da<br />

una parte e quelle naturali dall’altra, in realtà<br />

non compatibile con il temine e l’idea<br />

stessa di università”. A sud delle Alpi grande<br />

risalto fu dato da tutti e tre i quotidiani<br />

ticinesi all’avvio ufficiale dei corsi, avvenuto<br />

il 21 ottobre del 1996. “È salpata l’Università”,<br />

“Un aquilone che vola”, “Ateneo,<br />

motivo di orgoglio” sono solo alcuni dei<br />

titoli delle numerose pagine dedicate dal<br />

Corriere del Ticino in un’edizione straordinaria<br />

inviata a tutti i fuochi del Cantone.<br />

Dalle stesse pagine Saverio Snider commentava<br />

con ironia il gioco singolare della<br />

politica cantonale, che solo pochi anni prima<br />

aveva visto la nascita e subito l’eclissi<br />

del Centro universitario della Svizzera<br />

italiana, il CUSI, e che ora salutava con<br />

rinnovato entusiasmo l’arrivo dell’USI. Lo<br />

stesso Snider notava come, una volta inaugurato<br />

l’involucro, la sfida fosse appena cominciata,<br />

essendo l’obiettivo di lungo termine<br />

e volto alla “crescita civile dell’intera<br />

comunità”. La Regione, che accolse l’inaugurazione<br />

dei corsi con una prima pagina<br />

all’insegna di “L’Università… finalmente”,<br />

preparò un ricco speciale su più pagine e<br />

mise in evidenza le parole pronunciate da<br />

Mario Botta come augurio pragmatico e<br />

personale agli studenti dell’Accademia:<br />

“Vorrei concludere con una raccomandazione,<br />

la stessa che mi aveva fatto mia<br />

madre – dalla solida tradizione contadina<br />

– quando ero partito per Venezia alla volta<br />

dell’università: Va’ e non perdere tempo!”.<br />

Stesse parole utilizzate per l’apertura dal<br />

Giornale del Popolo, dove l’editoriale di<br />

prima pagina fu affidato al Consigliere di<br />

Stato Giuseppe Buffi, che così iniziava: “È<br />

il primo passo di un lungo cammino. Sarà<br />

un cammino difficile, non privo di insidie,<br />

che dovrebbe portarci a un Ticino migliore,<br />

più consapevole. Il passo è quello circospetto<br />

della prudenza, ma anche quello<br />

lieve dell’ottimismo. Dobbiamo, noi ticinesi,<br />

essere ottimisti. Senza l’ottimismo e<br />

il gusto della sfida non si va lontano. Anzi,<br />

non si va da nessuna parte, si resta sul posto<br />

in un mondo che cambia. Essere ottimisti<br />

significa voler bene alla propria terra, alla<br />

propria gente”.<br />

Buffi dalle colonne del GdP: “Sarà<br />

un cammino difficile, non privo<br />

di insidie, che dovrebbe portarci a<br />

un Ticino migliore,<br />

più consapevole. Il passo è quello<br />

circospetto della prudenza, ma<br />

anche quello lieve dell’ottimismo.<br />

Dobbiamo, noi ticinesi, essere<br />

ottimisti. Senza l’ottimismo e il<br />

gusto della sfida non si va<br />

lontano. Anzi, non si va da<br />

nessuna parte, si resta sul posto<br />

in un mondo che cambia”<br />

La RSI dedicò all’inaugurazione dei corsi<br />

una lunga diretta televisiva, tramessa dai<br />

due campus di Lugano e di Mendrisio; anche<br />

il primo Dies del 1997 andò in onda<br />

integralmente.


COVER<br />

Memoria per il nostro futuro<br />

COVER<br />

Piero Martinoli, Presidente dell’USI<br />

Il 2016 segna per le lancette dell’USI la<br />

cifra numero venti: ventesimo Dies academicus<br />

e venti anni da quel 21 ottobre<br />

del 1996 che vide l’inaugurazione dei corsi<br />

sui campus di Lugano e di Mendrisio.<br />

Vent’anni lungo i quali il mondo è cambiato<br />

velocemente, così come velocemente<br />

è cambiata la nostra Università, crescendo<br />

in modo costante rispetto a tutti i parametri<br />

propri del nostro settore: è decuplicato<br />

il numero degli studenti, i finanziamenti<br />

competitivi alla ricerca hanno complessivamente<br />

raggiunto, dal 2000, il tetto dei<br />

190 milioni, è stata fondata una nuova Facoltà<br />

e un’altra è pronta a partire. L’USI<br />

è cresciuta tanto e bene, facendo del suo<br />

dinamismo innato la chiave di uno sviluppo<br />

che – senza trionfalismi che non ci<br />

appartengono – in pochi avrebbero anche<br />

solo potuto immaginare verso la metà degli<br />

anni Novanta. Proprio la crescita e il<br />

cambiamento rappresentano tuttavia per<br />

ogni organizzazione la sfida più profonda.<br />

Per continuare con lo slancio culturale e<br />

scientifico delle origini, per rispettare l’investimento<br />

dei nostri concittadini e per<br />

conservare il credito di fiducia ricevuto<br />

da parte delle autorità, l’Università della<br />

Svizzera italiana ha bisogno, nell’anno di<br />

questo suo tondo anniversario, di fare due<br />

mosse essenziali: la prima è tenere viva la<br />

memoria della sua identità costituiva, la<br />

seconda è non smettere mai di guardare<br />

avanti.<br />

Questo numero di Square, che la sorte<br />

vuole sia proprio il ventesimo, ambisce<br />

espressamente a questo esercizio di memoria<br />

e futuro, e più ancora di memoria per il<br />

futuro. È infatti interessante e anche quasi<br />

commovente constatare come le idee e le<br />

storie dei nostri “padri fondatori” ispirino<br />

in modo spesso nitido la strada che venti<br />

anni dopo l’USI intende intraprendere.<br />

La velocità esponenziale con la quale il<br />

mondo sta cambiando non conosce barriere<br />

o distinzioni disciplinari: tecnologia,<br />

medicina, società, economia e cultura sono<br />

confrontate con la messa in discussione di<br />

molti dei rispettivi paradigmi fondanti, generando<br />

un senso di precarietà e riducendo<br />

in modo inversamente proporzionale<br />

l’orizzonte temporale all’interno del quale<br />

eravamo abituati a organizzare le nostre<br />

certezze. Questo nuovo contesto “fluido”<br />

chiama in causa in primo luogo proprio<br />

le università, in virtù della loro funzione<br />

nell’ambito della ricerca e della formazione,<br />

perché quanto più allenati a questo<br />

nuovo terreno di gioco sono gli studenti di<br />

oggi, tanto più lo saranno i cittadini di domani.<br />

Questo è un compito nobile proprio<br />

di tutte le università, chiamate a insegnare<br />

il senso critico e la prospettiva storica,<br />

interrogandosi sulle ragioni dei fenomeni<br />

del mondo, che è in definitiva l’unico<br />

modo per non essere travolti dall’accelerazione<br />

trasversale che stiamo vivendo. Esso<br />

è tuttavia un dovere ancora più specifico<br />

per un’università come l’USI, posta – da<br />

solo due decenni – su di un territorio di<br />

frontiera. Per tutta la Svizzera, ma soprattutto<br />

per il Ticino, l’essere frontiera è un<br />

destino, una condizione che non si può<br />

cambiare. Siamo chiamati a permettere il<br />

passaggio, lo scambio, il confronto, pensando<br />

con apertura internazionale, ma nel<br />

contempo dobbiamo rimanere consapevoli<br />

della nostra identità, funzionare come un<br />

filtro, imitando quella meravigliosa struttura<br />

di cui la natura ha dotato le cellule:


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27<br />

la membrana cellulare, porta aperta a ciò<br />

che nutre e mantiene la vita, barriera a ciò<br />

che nuoce e uccide. È in questo equilibrio<br />

che si cela la risposta alle grandi sfide del<br />

nostro tempo. È in questo equilibrio che<br />

sta l’idea di “Svizzera mediterranea” che<br />

ha ispirato e guidato la fondazione dell’U-<br />

SI. È in questo equilibrio che sta la sfida<br />

di una frontiera: sfruttiamone la ricchezza,<br />

cogliamone le opportunità ragionando in<br />

modo lucido, evitando di lasciarci sopraffare<br />

dai falsi dogmi, siano essi frutto di<br />

isolazionismo a oltranza o di internazionalismo<br />

che appiattisce.<br />

In un mondo dai ritmi frenetici, che pare<br />

sempre più avvolto nelle facili illusioni e<br />

nella logica del profitto materiale immediato<br />

come bene supremo, le università<br />

devono continuare a essere un baluardo<br />

di valori altri. Devono restare un fronte<br />

di resistenza del lungo termine e della<br />

memoria, del pensiero e della riflessione,<br />

della complessità e della curiosità, della<br />

meraviglia e del dubbio.<br />

Noi affrontiamo questa sfida in modo tutto<br />

nostro, mossi oggi come ieri dai princìpi<br />

delle persone che hanno contribuito<br />

alla nascita della nostra Università e che<br />

abbiamo provato a fotografare in questo<br />

numero di Square: il coraggio, l’apertura,<br />

l’imprenditorialità, l’amore per la propria<br />

terra e la passione per la qualità. Lo facciamo,<br />

come descritto nelle pagine che<br />

seguono, valorizzando quanto sapientemente<br />

costruito sino ad oggi, lanciandoci<br />

al contempo in nuove e promettenti avventure,<br />

attività che insieme caratterizzano<br />

la pianificazione universitaria prevista<br />

per i prossimi quattro anni. Personalmente<br />

cerco di accettare questa sfida guardando<br />

ancora più avanti, magari anche molto<br />

lontano, e all’orizzonte intravvedo due<br />

sentieri per l’USI di dopodomani.<br />

Noi affrontiamo questa sfida in<br />

modo tutto nostro, mossi dai<br />

princìpi delle persone che hanno<br />

contribuito alla nascita della<br />

nostra Università: il coraggio,<br />

l’apertura, l’imprenditorialità,<br />

l’amore per la propria terra e la<br />

passione per la qualità<br />

Il nuovo nome di quella che fu via Ospedale a<br />

Lugano, oggi sede dell’Università, in memoria<br />

del Consigliere di Stato Giuseppe Buffi,<br />

uno dei padri fondatori dell’USI (foto USI).


COVER<br />

Personalmente cerco di accettare<br />

questa sfida guardando ancora<br />

più avanti, magari anche molto<br />

lontano, e all’orizzonte<br />

intravvedo due sentieri per<br />

l’USI di dopodomani<br />

Il primo è quello di una Scuola universitaria<br />

federale. La nostra Università è nata<br />

con la volontà di contribuire allo sviluppo<br />

di un nuovo Ticino, emancipato e con un<br />

ruolo riconosciuto nella Confederazione e<br />

nel mondo. Nel campo della formazione e<br />

della ricerca questo obiettivo è pienamente<br />

raggiungibile solo adoperandoci sul<br />

piano politico per fare dell’USI una Scuola<br />

universitaria federale, alla stessa stregua<br />

delle due Scuole politecniche federali,<br />

l’ETH Zürich e l’EPFL. La storia di<br />

queste due prestigiose istituzioni insegna<br />

che il loro brillante e indiscutibile successo<br />

sulla scena nazionale e internazionale<br />

è dovuto in grandissima parte al fatto di<br />

essere riconosciute come Scuole federali<br />

e, come tali, di essere sostenute direttamente<br />

dalla Confederazione. La stessa<br />

storia ci racconta che le regioni in cui esse<br />

sono nate e cresciute – i Cantoni di Zurigo<br />

e Vaud e le loro aree limitrofe – hanno<br />

conosciuto e conoscono tuttora uno<br />

sviluppo scientifico, economico, sociale e<br />

culturale di altissimo livello: basti pensare<br />

all’Arc Lémanique, che deve senza alcun<br />

dubbio gran parte del suo successo e della<br />

sua attuale prosperità al passaggio, nel<br />

1969, dell’allora Ecole polytechnique de<br />

l’Université de Lausanne (EPUL) a Scuola<br />

politecnica federale. La trasformazione<br />

dell’USI in una Scuola universitaria federale<br />

non darebbe quindi unicamente lustro<br />

all’istituzione, ma permetterebbe alla<br />

Svizzera italiana di uscire da una situazione<br />

economica che, malgrado lodevoli iniziative<br />

da parte dell’Ente pubblico e del<br />

settore privato, resta pur sempre precaria<br />

Il Prof. Piero Martinoli (foto USI).


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29<br />

e priva di quei punti di forza che consentirebbero<br />

alla nostra regione di diventare<br />

attrattiva per l’insediamento di imprese<br />

ad alto valore aggiunto. Oltre all’aspetto<br />

economico, c’è anche un argomento<br />

culturale di peso a sostegno di questa<br />

visione. La Svizzera italiana, soprattutto<br />

in tempi recenti, si batte per la salvaguardia<br />

della lingua e della cultura italiana in<br />

Svizzera con una serie di iniziative certo<br />

apprezzabili, ma di impatto limitato a livello<br />

nazionale perché troppo frammentate.<br />

La presenza sul nostro territorio di<br />

una Scuola universitaria federale darebbe<br />

alla Svizzera italiana, alla sua lingua e alla<br />

sua cultura un riconoscimento di grande<br />

significato e di portata nazionale che<br />

non sarebbe la sterile rivendicazione di<br />

una regione periferica, ma al contrario il<br />

compimento di quell’“atto d’amore della<br />

Svizzera italiana alla Svizzera intera” con<br />

il quale Giuseppe Buffi descrisse la creazione<br />

dell’USI nel suo intervento inaugurale<br />

il 21 ottobre 1996. Una cosa deve<br />

essere chiara: questa visione non intende<br />

per nulla stravolgere l’anima e il carattere<br />

dell’USI trasformandola in una Scuola di<br />

orientamento “politecnico”. Anche sotto<br />

l’egida della Confederazione l’USI dovrà<br />

restare una Scuola universitaria nel senso<br />

che comunemente si attribuisce alla parola<br />

“università”. Questa visione potrebbe<br />

sembrare utopica, ma se sostenuta con<br />

convinzione dalla società civile e soprattutto<br />

dal mondo politico, nel quale – si<br />

spera – dovrebbe fare l’unanimità, potrebbe<br />

avere più successo dei tentativi<br />

falliti per eleggere un ticinese in Consiglio<br />

federale. Ricordo, al riguardo, che il Centro<br />

Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS)<br />

fu trattenuto in Ticino nel 2007 perché<br />

tutti – politici, scienziati, ricercatori, imprenditori,<br />

media, ecc. – tirarono la corda<br />

dalla stessa parte. Ed è proprio partendo<br />

dagli stretti legami che l’USI ha stabilito<br />

con l’ETH Zürich tramite il CSCS e il<br />

progettato percorso formativo in medicina<br />

che potrebbe scaturire la spinta per il<br />

progressivo passaggio dell’USI sotto l’egida<br />

della Confederazione.<br />

Il secondo sentiero di lungo orizzonte è<br />

quello di una Facoltà di scienze umane.<br />

L’USI intende infatti porsi come centro<br />

dell’attività scientifica e come uno dei<br />

motori della vita culturale del Cantone:<br />

un’istituzione non solo per addetti ai lavori,<br />

ma un luogo d’incontro privilegiato<br />

per dibattiti e confronti d’idee su temi<br />

che interessano e preoccupano la società,<br />

dal riscaldamento climatico all’approvvigionamento<br />

energetico, dai fenomeni<br />

migratori alle sfide multiculturali che essi<br />

comportano, dall’invecchiamento della<br />

popolazione al suo impatto sulle assicurazioni<br />

sociali e altri ancora. In questo<br />

intreccio di scienza, cultura e apertura<br />

ai problemi del mondo in cui viviamo, le<br />

scienze umane assumono un ruolo di fondamentale<br />

importanza perché fungono<br />

da guida all’uomo-cittadino per orientarsi<br />

in una realtà sempre più complessa e per<br />

ritrovare valori e relazioni che vanno perdendosi<br />

in quella che oggi è diventata una<br />

società “liquida”. L’USI può contare sulla<br />

presenza di istituti che si segnalano per<br />

la loro offerta didattica e le loro ricerche<br />

nell’ambito delle scienze umane e che potrebbero,<br />

se riuniti in un unico progetto,<br />

costituire il nucleo iniziale per l’istituzione<br />

di una Facoltà di scienze umane: primo<br />

fra tutti l’Istituto di studi italiani (ISI),<br />

con il quale già oggi altri istituti dell’USI<br />

– l’Istituto di argomentazione, linguistica<br />

e semiotica (IALS) nella Facoltà di scienze<br />

della comunicazione e l’Istituto di storia<br />

e teoria dell’arte e dell’architettura (ISA)<br />

nell’Accademia di architettura – collaborano<br />

strettamente nell’ambito del curriculum<br />

studiorum in lingua, letteratura e<br />

civiltà italiana dell’ISI, al quale dà il suo<br />

contributo anche l’Istituto di studi filosofici<br />

della Facoltà di Teologia di Lugano. Il<br />

progetto, inizialmente, non comporterebbe<br />

oneri finanziari supplementari, ma va<br />

studiato con cura e, soprattutto, coordinato<br />

con l’Accademia di architettura, che<br />

non deve assolutamente essere svuotata<br />

della componente storico-umanistica che<br />

fa del suo modello didattico un unicum<br />

in Svizzera (e non solo). Una Facoltà di<br />

scienze umane permetterebbe all’USI di<br />

profilarsi in un campo che desta molto<br />

interesse fra giovani e meno giovani e che<br />

sta ritrovando tutta la sua importanza per<br />

la formazione di professionisti con un ampio<br />

orizzonte culturale: conoscenze in storia,<br />

filosofia, letteratura, etica sono sempre<br />

più richieste non solo in settori tradizionalmente<br />

“intrisi” di scienze umane come<br />

la scuola, l’architettura, le biblioteche, i<br />

musei, le amministrazioni, i media, ma anche<br />

nel mondo economico e industriale.<br />

Si tratta di due possibili piste di sviluppo<br />

che riguardano il nostro futuro, ancorate<br />

nello spirito dinamico e aperto dell’USI,<br />

nell’intraprendenza che fu delle origini e<br />

nel nostro amore per la Svizzera italiana.<br />

Futuro che nasce dalla memoria.


COVER<br />

L’USI di oggi,<br />

dove l’identità elvetica incontra la civiltà italiana<br />

La nostra università si distingue oggi per<br />

una combinazione unica di qualità svizzera,<br />

cultura mediterranea e atmosfera internazionale,<br />

che permette di offrire ai nostri<br />

studenti una formazione da protagonisti e<br />

ai nostri ricercatori uno spazio privilegiato<br />

di autonomia e libertà d’iniziativa. Nei tre<br />

campus a Lugano, Mendrisio e Bellinzona<br />

si incontrano e si confrontano ogni giorno<br />

circa 3’000 studenti e quasi 800 docenti e<br />

ricercatori provenienti da oltre 100 paesi, in<br />

un ambiente dove le dimensioni contenute<br />

non pongono barriere allo scambio di idee<br />

tra i membri della comunità accademica e<br />

dove lo sviluppo del proprio potenziale, la<br />

curiosità e la volontà di sperimentare nuovi<br />

modi di pensare, di lavorare e di insegnare<br />

sono apprezzati e incoraggiati. L’USI incarna<br />

la volontà di una regione periferica di<br />

opporsi a un futuro di secondo piano, per<br />

offrire invece il proprio contributo all’avvenire<br />

di tutti, vivendo in maniera piena e<br />

attiva la propria vocazione di territorio di<br />

frontiera dove l’identità elvetica incontra<br />

la civiltà italiana, dove l’Europa del nord<br />

dialoga con il Mediterraneo, aprendo alla<br />

sintesi e alla sperimentazione.<br />

ARCHITETTURA<br />

L’Accademia di architettura offre un percorso<br />

formativo e un modello didattico<br />

innovativo, interdisciplinare, “umanista”<br />

e “generalista”, adeguato ai nostri tempi.<br />

L’apprendimento diretto della pratica negli<br />

atelier di progettazione sotto la tutela<br />

di autorevoli architetti di fama internazionale<br />

è affiancato da una ricca offerta di<br />

corsi storico-umanistici in cui si articolano<br />

insegnamenti storici, artistici, filosofici, critici,<br />

sociologici, di corsi tecnico-scientifici<br />

aperti alle problematiche contemporanee<br />

e di corsi per l’affinamento della rappresentazione<br />

del progetto. All’Accademia,<br />

che ha sede a Mendrisio, il futuro architetto<br />

acquisisce competenza critica, dal<br />

fare aperto, che spazia dalla progettazione<br />

architettonica al disegno urbano e del paesaggio,<br />

dal riuso del patrimonio esistente<br />

alla costruzione sostenibile.<br />

SCIENZE ECONOMICHE<br />

Rispondere alle sfide delle moderne economie<br />

globalizzate significa interpretare<br />

e governare la complessità. I mercati del<br />

lavoro richiedono, oltre a competenze<br />

sempre più specifiche, anche l’attitudine<br />

alla risoluzione di problemi in ambienti<br />

che, dominati dall’incertezza, sono in<br />

continua evoluzione. Con un corpo docente<br />

che occupa la frontiera della ricerca<br />

nelle sue aree di competenza, la Facoltà di<br />

scienze economiche è il luogo ideale per<br />

acquisire le abilità che rappresentano il<br />

fondamentale fattore di successo sul mercato<br />

del lavoro: competenza, flessibilità e<br />

quella dose di curiosità intellettuale che<br />

serve a identificare gli interrogativi più<br />

importanti e ad affrontarli con creatività<br />

ed ingegno.<br />

3 campus: Lugano, Mendrisio, Bellinzona<br />

3’000 studenti<br />

6’700 diplomati<br />

800 professori, ricercatori e docenti<br />

1/4 di rapporto docenti/studenti<br />

100 paesi rappresentati<br />

45 percorsi di studio<br />

50 centri di ricerca<br />

60 start-up sostenute<br />

15 mio. CHF di fondi competitivi all’anno<br />

90 mio. CHF di budget complessivo


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31<br />

SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE<br />

La Facoltà offre una formazione interdisciplinare<br />

che integra insegnamenti umanistici,<br />

sociali, economici e tecnologici.<br />

Essa forma specialisti in grado di operare<br />

nei diversi contesti professionali della comunicazione:<br />

media, imprese, istituzioni<br />

pubbliche e nuove tecnologie. Grazie alla<br />

sua identità basata su interculturalità, multilinguismo<br />

e interdisciplinarità, e a un’attenzione<br />

particolare al tema dell’ascolto,<br />

la Facoltà riunisce ricercatori e professori<br />

provenienti da esperienze e orizzonti disciplinari<br />

molto diversi, con un interesse<br />

comune: la comunicazione. Alla Facoltà<br />

afferisce anche l’Istituto di studi italiani,<br />

che offre un percorso completo in lingua,<br />

letteratura e civiltà italiana.<br />

SCIENZE INFORMATICHE<br />

La Facoltà, che comprende anche l’Istituto<br />

di scienze computazionali, si distingue per<br />

una forte attenzione alla ricerca scientifica,<br />

condotta con passione in otto settori di<br />

studio da oltre 150 ricercatori provenienti<br />

da tutto il mondo, grazie a decine di milioni<br />

di Franchi ottenuti su base competitiva.<br />

La ricerca di base viene applicata in diversi<br />

contesti di grande attualità e rilevanza,<br />

dal settore medico alla robotica, attraverso<br />

mirate collaborazioni nel territorio, dando<br />

forma a un ambiente imprenditoriale aperto<br />

all’innovazione e alle start-up. La vocazione<br />

alla ricerca si intreccia a quella per la<br />

formazione, con una filosofia didattica unica<br />

che pone lo studente, in modo attivo, al<br />

centro del processo di apprendimento, vissuto<br />

in viva relazione con i propri docenti.<br />

SCIENZE BIOMEDICHE<br />

La più giovane tra le Facoltà dell’USI proporrà<br />

un nuovo Master in medicina umana<br />

a partire dal 2020, nel quadro di una collaborazione<br />

con l’ETH Zürich, l’Università<br />

di Basilea e l’Università di Zurigo. Alla<br />

Facoltà è affiliato l’Istituto di Ricerca in<br />

Biomedicina (IRB) ed è in via di affiliazione<br />

l’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR),<br />

entrambi con sede a Bellinzona. L’IRB dal<br />

2000 fa ricerca nel campo dell’immunologia<br />

e della biologia cellulare, con nove<br />

gruppi di ricerca e circa 80 ricercatori<br />

provenienti da tutto il mondo. Lo IOR è<br />

attivo dal 2003 nella ricerca sulla biologia<br />

dei tumori, la genomica, l’oncologia molecolare<br />

e nelle terapie sperimentali con sei<br />

gruppi di ricerca e circa 50 ricercatori.


COVER<br />

Un ruolo pionieristico che è bene permanga<br />

Mauro Dell’Ambrogio, Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione<br />

Per creare l’USI furono risolti problemi di<br />

natura logistica, accademica e istituzionale.<br />

La logistica non era la meno importante<br />

perché, come ho imparato dagli architetti,<br />

per nuove istituzioni lo spazio “giuridico”<br />

è virtualmente illimitato, mentre lo spazio<br />

fisico limita immediatamente le possibilità<br />

presenti e future. La soluzione venne<br />

dalle generose e rapide concessioni di<br />

immobili comunali a Lugano e Mendrisio,<br />

promosse da un duplice confronto<br />

concorrenziale: quello tra le due località<br />

(con altre potenzialmente non escluse) e<br />

quello tra il Cantone, pronto inizialmente<br />

solo per l’Architettura, e Lugano, pronta<br />

a fare da sola con Scienze della comunicazione<br />

e Scienze economiche. Se il Cantone<br />

avesse dovuto scegliere l’ubicazione e<br />

provvedere per diritto-obbligo esclusivo,<br />

sarebbero mancati i soldi e soprattutto lo<br />

straordinario consenso partecipativo.<br />

Furono procedure non sempre<br />

ortodosse, ma col senno di poi<br />

felici, come lo è spesso quanto<br />

procede dall’entusiasmo<br />

e dalla competizione<br />

Il cambio di destinazione d’interi isolati<br />

avrebbe richiesto per legge modifiche dei<br />

piani regolatori. Se ne fece a meno: chiunque<br />

avesse evocato fattori d’incertezza o<br />

di ritardo sarebbe stato “nemico della patria”.<br />

Le abituali controversie, su traffico<br />

e posteggi ad esempio, si sono manifestate<br />

con le successive tappe edificatorie, in un<br />

contesto predeterminato. Secondo le logiche<br />

della pianificazione, avrebbero dovuto<br />

essere affrontate prima, ma le logiche<br />

della politica sono altre. La gara per non<br />

dover cominciare a Mendrisio più tardi<br />

che a Lugano, o viceversa, creò un fecondo<br />

stato di necessità. Furono procedure<br />

non sempre ortodosse, ma col senno di<br />

poi felici, come lo è spesso quanto procede<br />

dall’entusiasmo e dalla competizione.<br />

La parte accademica fu nelle mani di chi<br />

aveva testa e lustro per fondarla, con una<br />

benefica pluralità: il prestigio professionale<br />

e intellettuale di liberi professionisti<br />

dell’architettura permetteva di far passare<br />

cose un poco “eretiche” agli occhi di chi<br />

nelle università aveva fatto carriera, in un<br />

fecondo “inquinamento” reciproco.<br />

La parte accademica fu nelle<br />

mani di chi aveva testa e lustro<br />

per fondarla, con una benefica<br />

pluralità: il prestigio<br />

professionale e intellettuale di<br />

liberi professionisti<br />

dell’architettura permetteva di far<br />

passare cose un poco “eretiche”<br />

agli occhi di chi nelle università<br />

aveva fatto carriera, in un<br />

fecondo “inquinamento”<br />

reciproco<br />

Contributi essenziali vennero da professori<br />

a fine carriera e senz’altra ambizione<br />

che quella di partecipare alla creazione<br />

dal nulla di un’università nuova. Alle prime<br />

riunioni sorgevano domande del tipo<br />

“qui le valutazioni si esprimono dall’uno<br />

al 10, o come altrimenti?”, e guardavano<br />

me, supposto rappresentante ministeriale,<br />

che rispondevo: “come volete, le regole<br />

sono tutte da fare”, anche per cose molto<br />

più sostanziali delle note. Non era certo<br />

che arrivassero studenti e quanti. L’imprenditorialità<br />

dei fondatori, quando non<br />

donata, era ripagata dalla sola aspettativa<br />

di un coinvolgimento ulteriore se la cosa<br />

avesse avuto successo. I costi d’avviamento<br />

furono quasi zero.<br />

Non era certo che arrivassero<br />

studenti e quanti.<br />

L’imprenditorialità dei fondatori,<br />

quando non donata, era ripagata<br />

dalla sola aspettativa di un<br />

coinvolgimento ulteriore se la<br />

cosa avesse avuto successo<br />

Per la parte istituzionale giovò che fosse<br />

moda all’epoca – da poco caduto il muro<br />

di Berlino, “liberista” non era ancora<br />

un attributo spregiativo – il New Public<br />

Management d’ispirazione anglosassone,<br />

che teorizzava l’autonomia operativa di<br />

enti pubblici gestiti come fossero privati,<br />

mandatari di prestazioni per lo Stato<br />

senza macchinose leggi. Il NPM perse poi<br />

di smalto in Svizzera perché (non siamo<br />

anglosassoni) i contratti di prestazione<br />

hanno talvolta obbligato la mano pubblica<br />

a coprire impegni e debiti debordanti<br />

i processi budgetari democratici. L’USI<br />

mantenne invece la promessa. Fin dall’inizio<br />

brava a sfruttare ogni fonte esterna,<br />

comprese ingenti donazioni private, pre-


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

33<br />

senta oggi ancora uno stato patrimoniale<br />

esemplare. Chiave questa anche in futuro<br />

della sua autonomia: amministrativa e non<br />

solo accademica. Degna di memoria fu la<br />

“quadratura del cerchio” tra ente cantonale<br />

e comunale, diritto pubblico e privato,<br />

con scarsa coerenza logica (il diritto è,<br />

contro l’apparenza, la più hegeliana delle<br />

arti), ma con la potenzialità necessaria per<br />

successivi adattamenti. Nella raccolta delle<br />

leggi ticinesi nessun’altra è testimone di<br />

così tante modifiche in soli vent’anni per<br />

un così breve testo come quella reggente<br />

le istituzioni universitarie. Ad attestare<br />

che funzione del legiferare non è ingessare,<br />

come spesso accade, bensì rendere<br />

possibile.<br />

un’alta disoccupazione, più di oggi, ed era<br />

percorso, come sempre, da campanilismi<br />

e rivalità politiche e personali. Non c’era<br />

però fortunatamente l’attitudine, recentemente<br />

insorta, a giudicare tutto col criterio<br />

“prima i nostri”, con riferimento a un<br />

passaporto o a una frontiera. Dovrebbe<br />

ricordarsene chi millanta l’eredità d’una<br />

forza che rese possibile l’USI dall’inizio.<br />

Non era immaginabile allora che il CEO<br />

di una grande banca svizzera non fosse<br />

svizzero-tedesco; quelli delle due maggiori<br />

sono oggi un africano e un ticinese.<br />

Vien da dire che quanto la Svizzera è<br />

evoluta in un verso, tanto rischia il Ticino<br />

d’involvere nell’altro. Non è ancora così<br />

per l’USI, fattore d’immagine positiva della<br />

Svizzera italiana fuori dai suoi confini.<br />

Suoi aspetti pionieristici, quali autonomia<br />

e modalità di finanziamento, sono oggi ancora<br />

beneficamente provocatori nel contesto<br />

nazionale.<br />

21 ottobre 1996, inaugurazione<br />

dei corsi sul campus di<br />

Lugano. Da sinistra Mauro<br />

Dell’Ambrogio, Giorgio Giudici,<br />

Renzo Respini, Giuseppe<br />

Buffi e Giorgio Salvadè<br />

(foto Archivio del<br />

Corriere del Ticino).<br />

Per la parte istituzionale giovò<br />

che fosse moda all’epoca – da<br />

poco caduto il muro di Berlino,<br />

“liberista” non era ancora<br />

un attributo dispregiativo –<br />

il New Public Management<br />

d’ispirazione anglosassone, che<br />

teorizzava l’autonomia operativa<br />

di enti pubblici gestiti come<br />

fossero privati, mandatari di<br />

prestazioni per lo Stato senza<br />

macchinose leggi<br />

Da un secolo non si fondava in Svizzera<br />

una nuova università. Nessuno aveva titoli<br />

per dire come fare: si fece. Fu atto miracoloso<br />

di un Ticino che aveva le finanze<br />

cantonali dissestate, almeno quanto oggi,


COVER<br />

Un detonatore di competenze<br />

pronto ad arricchire la Città<br />

Marco Borradori, Sindaco della Città di Lugano<br />

Marco Borradori, Sindaco di Lugano dal<br />

2013, ha vissuto gli anni cruciali per la<br />

fondazione dell’USI nei posti chiave della<br />

politica a livello comunale, cantonale e<br />

federale. Oggi la sua amministrazione sta<br />

gestendo e programmando il riposizionamento<br />

della Città nel nuovo contesto<br />

economico e politico internazionale.<br />

Signor Sindaco, negli anni Novanta lei si<br />

trovava nei centri decisionali dell’amministrazione<br />

pubblica, tanto a Lugano quanto<br />

a Bellinzona e Berna. Come ha visto nascere<br />

e poi crescere il progetto universitario<br />

della Svizzera italiana?<br />

Quello dell’USI è un progetto che effettivamente<br />

ho visto svilupparsi e crescere da<br />

prospettive diverse. Sono entrato in Municipio<br />

a Lugano nel 1992 e ne sono uscito<br />

nel 1995 per concentrare i miei sforzi in<br />

Consiglio di Stato: ho avuto quindi modo<br />

di assistere ai “fermenti” accademici della<br />

nostra Città in presa diretta. Pur non<br />

occupandomi personalmente del dossier,<br />

ho percepito da subito il potenziale del<br />

progetto, anche solo per l’energia immensa<br />

che i protagonisti della partita stavano<br />

mettendo in campo. Oltre ad “attaccanti”<br />

leghisti del calibro di Giorgio Salvadè e<br />

Giuliano Bignasca, la squadra era decisamente<br />

competitiva, con l’allora Sindaco<br />

Giorgio Giudici, il Consigliere di Stato<br />

Giuseppe Buffi e Mario Botta. Bastava<br />

guardarli negli occhi o assistere alle loro<br />

conversazioni per capire quanto credevano<br />

– pur da angolature diverse – nell’obiettivo.<br />

Differente era il clima a Berna,<br />

che frequentavo da Consigliere nazionale<br />

e dove della nostra Università in pochi<br />

sapevano o parlavano, se non in modo<br />

sfumato nei corridoi e con accenti non<br />

sempre convinti. In Governo a Bellinzona,<br />

infine, il clima era improntato all’entusiasmo<br />

e tutti noi guardavamo al lavoro di<br />

Giuseppe Buffi con grande ammirazione<br />

e coinvolgimento.<br />

Giorgio Salvadè, suo primo collega di partito<br />

in Municipio, è considerato uno dei<br />

padri fondatori dell’USI. Che ricordo ne<br />

conserva?<br />

Giorgio fu un politico molto atipico, lontano,<br />

davvero lontano dagli stereotipi che<br />

solitamente vengono attribuiti alla nostra<br />

professione. Mi piace ricordarlo come<br />

una persona determinata e di una tenacia<br />

appassionata nei confronti dei temi che<br />

gli stavano a cuore. Uno di questi fu indubbiamente<br />

l’Università, in merito alla<br />

quale lo ricordo lavorare alacremente e a<br />

360 gradi.<br />

La Lugano di oggi non è la Lugano di quando<br />

l’USI ha aperto i battenti. Che ruolo ha<br />

oggi l’Università per il nostro territorio?<br />

Viviamo in un periodo storico nel quale<br />

più che mai abbiamo il dovere di riposizionarci,<br />

facendo delle fragilità dell’attuale<br />

situazione un punto di forza grazie al<br />

quale impostare un nuovo piano di sviluppo,<br />

sia economico che sociale. Sono<br />

convinto che la piazza finanziaria saprà<br />

assorbire i duri colpi di questi tempi e<br />

sono fiducioso che le relazioni transfrontaliere<br />

sapranno sistemarsi nel modo migliore<br />

per tutti; nonostante questo è necessario<br />

guardare oltre e identificare quei<br />

motori capaci di continuare a far muovere<br />

e avanzare la nostra Città anche su terreni<br />

fino ad ora inesplorati.<br />

Viviamo in un periodo storico nel<br />

quale più che mai abbiamo il<br />

dovere di riposizionarci, di<br />

impostare un nuovo piano di<br />

sviluppo, sia economico che<br />

sociale. Credo che il ruolo<br />

dell’USI sia proprio questo, una<br />

sorta di detonatore capace di<br />

contribuire a dare un volto nuovo<br />

a Lugano e a tutto il Cantone<br />

Credo che il ruolo dell’USI sia proprio<br />

questo, una sorta di detonatore di competenze<br />

e di contatti capace, insieme alle<br />

altre realtà scientifiche e formative della<br />

regione, di contribuire a dare un volto<br />

nuovo a Lugano e a tutto il Cantone. La<br />

vera sfida è che il progetto universitario<br />

entri ora davvero “nella gente”, che da<br />

un lato i cittadini e le istituzioni sappiano<br />

identificarsi con le grandi potenzialità del<br />

progetto, e dall’altro studenti, ricercatori<br />

e giovani imprenditori entrino nel tessuto<br />

della nostra Città.


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35<br />

Il valore aggiunto e l’indotto<br />

della nuova Facoltà di scienze biomediche<br />

Mario Bianchetti, Decano della Facoltà di scienze biomediche<br />

La Facoltà di scienze biomediche dell’U-<br />

SI è prima di tutto il tentativo, iniziato già<br />

nel 2009, di correggere la consistente mancanza<br />

di medici formati in Svizzera. Con<br />

il supporto delle università di Basilea e di<br />

Zurigo e, ancora di più, del Politecnico<br />

federale di Zurigo, il progetto si concretizza<br />

sempre più: nel 2020 un primo gruppo<br />

di circa settanta studenti si trasferirà nella<br />

Svizzera italiana per il Master, dopo aver<br />

iniziato nel 2017 il cursus di Bachelor in<br />

una delle tre università citate. Nel 2023,<br />

infine, i primi studenti dovranno superare<br />

il cosiddetto “esame di Stato”, ottenendo<br />

così il diploma federale di medico. L’esperienza<br />

dimostra che una Facoltà di biomedicina<br />

non si limita tuttavia a formare giovani<br />

medici. Cerchiamo di capire, in sette<br />

brevi punti, il valore aggiunto e l’indotto<br />

che la Facoltà di scienze biomediche produrrà<br />

per la Svizzera italiana.<br />

1. Gli studenti e gli insegnanti della Facoltà<br />

vivranno in Ticino con evidente rientro<br />

economico e fiscale. 2. Molti studenti, una<br />

volta laureati, tendono a rimanere nella<br />

regione dove hanno studiato anche dopo<br />

l’ottenimento della laurea. Il sottoscritto,<br />

per esempio, ha studiato a Berna dove è<br />

rimasto anche come pediatra e poi come<br />

professore universitario per oltre 20 anni.<br />

3. Le facoltà di medicina moderne garantiscono<br />

notoriamente alla propria università<br />

risorse economiche importanti non<br />

solo per la propria facoltà, ma anche per<br />

tutto l’ateneo. Sono certo che a Lugano la<br />

Facoltà di scienze biomediche interagirà<br />

costruttivamente con molti istituti dell’Università,<br />

nonché con il Dipartimento di<br />

economia aziendale, sanità e sociale della<br />

SUPSI. 4. Le industrie del settore farmaceutico,<br />

biomedico e biotecnologico si<br />

insediano volentieri, quando il fisco non è<br />

troppo pesante, non lontano da una facoltà<br />

di medicina, facendo leva sulle sue risorse<br />

(in primis umane).<br />

L’esperienza dimostra che una<br />

Facoltà di scienze biomediche<br />

non si limita a “sfornare” giovani<br />

medici. Esistono sette buone<br />

ragioni che spiegano il valore<br />

aggiunto e l’indotto che la Facoltà<br />

produrrà per la Svizzera Italiana<br />

5. È spesso difficile reperire medici specialisti<br />

con elevato profilo professionale disposti<br />

a trasferirsi in Ticino. Grazie alla sua<br />

Facoltà di scienze biomediche, la Svizzera<br />

italiana risulterà in futuro attrattiva anche<br />

per l’insegnamento e per la ricerca. Questo<br />

a tutto vantaggio della qualità delle cure.<br />

6. Qualcuno ha recentemente quantificato<br />

per sommi capi la ricerca clinica della<br />

Svizzera italiana. La conclusione è che il<br />

Cardiocentro Ticino, l’Istituto cantonale<br />

di patologia, l’Istituto Oncologico della<br />

Svizzera italiana e i diversi dipartimenti<br />

clinici dell’Ente Ospedaliero Cantonale<br />

producono letteratura scientifica in modo<br />

qualitativamente e quantitativamente non<br />

inferiore a quella dei cantoni di Lucerna e<br />

San Gallo. Le tesi di Master, un progetto<br />

di ricerca che ogni studente realizza prima<br />

di laurearsi, e – ancora di più – i lavori di<br />

dottorato non potranno che essere uno stimolo<br />

a ulteriormente progredire. 7. Da ultimo,<br />

ma non per importanza, l’interazione<br />

con il settore della ricerca fondamentale<br />

nella Svizzera italiana. Con il celebre Istituto<br />

di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona,<br />

già affiliato all’Università della Svizzera<br />

italiana da qualche anno, il dialogo non<br />

potrà che intensificarsi: agli studenti verrà<br />

offerta la possibilità di frequentare i laboratori<br />

dell’Istituto che, ovviamente, non<br />

mancherà di offrire opportunità di lavoro<br />

ad alcuni di loro. A breve, poi, si affilierà<br />

anche l’Istituto Oncologico di Ricerca di<br />

Bellinzona. Esistono infine nel Luganese<br />

due giovani ma notevoli istituti di ricerca:<br />

l’Istituto svizzero di medicina rigenerativa<br />

e il Laboratorio di neuroscienze biomediche.<br />

Anche questi laboratori non potranno<br />

che interagire positivamente con la Facoltà<br />

di scienze biomediche.<br />

Un’osservazione finale. Due prestigiose<br />

classifiche, la QS World University<br />

Rankings e la Academic Ranking of World<br />

Universities, valutano le 300 principali università<br />

mondiali. In queste classifiche la<br />

Svizzera è presente con le due Scuole politecniche<br />

federali e le cinque università con<br />

facoltà di medicina: Zurigo, Ginevra, Basilea,<br />

Berna e Losanna. Non vi compaiono,<br />

invece, le università di Friburgo, Lucerna,<br />

Neuchâtel, San Gallo e quella della Svizzera<br />

italiana. Queste osservazioni indicano<br />

chiaramente che la creazione della Facoltà<br />

di scienze biomediche avviene anche per<br />

avvicinare l’ancora giovane Università della<br />

Svizzera italiana, attualmente nella “Challenge<br />

League” del mondo universitario,<br />

alla più prestigiosa Super League.


FATTI<br />

Il lungo cammino che ha portato<br />

l’università nella Svizzera italiana<br />

FATTI<br />

L’USI è la seconda università più giovane della Svizzera e i<br />

suoi 20 anni di vita rappresentano un soffio rispetto agli oltre<br />

500 dell’Università di Basilea. La volontà di emancipare la<br />

nostra regione dal punto di vista accademico ha tuttavia radici<br />

antiche. Ecco una rapida carrellata dei progetti più importanti<br />

e delle fasi cruciali che fecero la differenza, grazie anche<br />

alle ricerche e ai ricordi del Prof. Mauro Baranzini.<br />

Un documento<br />

conservato nell’Archivio<br />

storico della Città di<br />

Lucerna testimonia i<br />

primi tentativi rispetto a<br />

un progetto<br />

universitario a Lugano,<br />

ad opera prima dei Padri<br />

Somaschi e poi dei<br />

Gesuiti. Tentativi<br />

entrambi falliti.<br />

1588<br />

Nei primi 60 anni del<br />

’900 ci furono diverse<br />

discussioni e almeno<br />

tre nuovi tentativi.<br />

Nessuno andò<br />

a buon fine.<br />

1912 –<br />

1960<br />

1991<br />

Il Municipio di Lugano<br />

dà mandato a Mauro<br />

Baranzini, Sergio Cigada<br />

e Lanfranco Senn di<br />

preparare un progetto<br />

dettagliato per<br />

l’istituzione di due<br />

Facoltà a Lugano. A<br />

loro si uniscono due<br />

anni dopo Luigi Dadda<br />

e Remigio Ratti.<br />

Flavio Cotti parla a<br />

Poschiavo, in occasione<br />

dei 700 anni della<br />

Confederazione, del<br />

potenziale tutto da<br />

esprimere della Svizzera<br />

italiana in ambito<br />

accademico e scientifico<br />

e della necessità di una<br />

nuova iniziativa in<br />

tema.<br />

1993<br />

1844<br />

Il progetto di Stefano<br />

Franscini per una<br />

Accademia Ticinese<br />

viene approvato dal Gran<br />

Consiglio, ma le difficoltà<br />

finanziarie in cui il<br />

Cantone si venne a<br />

trovare e le rivalità tra<br />

Locarno, Bellinzona e<br />

Lugano fecero<br />

cadere il progetto.<br />

1985<br />

Il Centro Universitario<br />

della Svizzera italiana<br />

(CUSI) – istituto per la<br />

formazione continua –<br />

è approvato dal Gran<br />

Consiglio, ma respinto<br />

in votazione popolare<br />

nel 1986.<br />

1992 –<br />

1994<br />

Mario Botta raccoglie<br />

lo spunto di Roland<br />

Crottaz (Presidente<br />

del Consiglio dei<br />

Politecnici) per<br />

un’Accademia di<br />

architettura e su<br />

mandato del Governo<br />

ticinese imposta un<br />

progetto per la sua<br />

realizzazione, insieme<br />

a Giuseppe Buffi.


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37<br />

A marzo il Consiglio<br />

comunale di Lugano<br />

approva il progetto per<br />

le due Facoltà di scienze<br />

economiche e scienze<br />

della comunicazione.<br />

A ottobre il Gran<br />

Consiglio approva la<br />

legge sulla costituzione<br />

dell’Università della<br />

Svizzera italiana con le<br />

due Facoltà luganesi e<br />

l’Accademia di<br />

architettura a<br />

Mendrisio.<br />

1995<br />

Prende avvio il primo<br />

Executive master, il<br />

Master of Advanced<br />

Studies in economia e<br />

management sanitario<br />

e sociosanitario. L’anno<br />

successivo partono le<br />

lezioni di EMScom,<br />

l’Executive Master of<br />

Science in<br />

Communications<br />

Management, all’epoca<br />

chiamato MPR.<br />

1998<br />

Con il conferimento<br />

delle prime lauree, l’USI<br />

ottiene il pieno<br />

riconoscimento del<br />

Consiglio federale, che<br />

garantisce al Ticino<br />

lo status di Cantone<br />

universitario.<br />

2000<br />

Nasce la Facoltà di<br />

scienze informatiche.<br />

2004<br />

Viene fondato l’Istituto<br />

di studi italiani e parte<br />

il Master in Lingua,<br />

letteratura e civiltà<br />

italiana; nel 2012 viene<br />

inaugurato anche il<br />

percorso di Bachelor.<br />

2007<br />

2008<br />

Il Prof. Michele<br />

Parrinello della Facoltà<br />

di scienze informatiche<br />

vince il Premio Marcel<br />

Benoist, il più<br />

importante<br />

riconoscimento<br />

scientifico svizzero.<br />

Viene fondato<br />

l’Istituto di storia e<br />

teoria dell’arte e<br />

dell’architettura.<br />

Nasce il nuovo Istituto<br />

di scienze<br />

computazionali entro la<br />

Facoltà di scienze<br />

informatiche.<br />

2011<br />

1996<br />

Il Consiglio svizzero<br />

della scienza si esprime<br />

favorevolmente<br />

sulla creazione<br />

dell’Università della<br />

Svizzera italiana. Il 21<br />

ottobre 1996, alle ore<br />

8.30, iniziano le lezioni<br />

sui campus di Lugano e<br />

Mendrisio.<br />

2001<br />

L’USI adotta, tra le<br />

prime in Svizzera, il<br />

nuovo Ordinamento<br />

europeo degli studi<br />

universitari, in<br />

conformità alla<br />

Dichiarazione di<br />

Bologna.<br />

2010<br />

L’Istituto di Ricerca<br />

in Biomedicina (IRB,<br />

Bellinzona), guidato dal<br />

Prof. Antonio<br />

Lanzavecchia, è affiliato<br />

all’USI.<br />

2014<br />

Approvata dal Gran<br />

Consiglio l’istituzione<br />

della quinta Facoltà:<br />

Scienze biomediche.


FATTI<br />

Venti anni di crescita, nella formazione e nella ricerca<br />

Dal 1996 a oggi l’USI ha vissuto una crescita<br />

rapida e praticamente costante sia per<br />

quanto riguarda i numeri della formazione<br />

che per quelli della ricerca, segno dell’attrattiva<br />

del progetto, della qualità delle<br />

persone coinvolte e della lungimiranza delle<br />

politiche messe in atto. Si tratta di una<br />

crescita che evolve nelle sue forme, sviluppando<br />

il potenziale di nuove iniziative e<br />

adattandosi ai diversi nuovi contesti; una<br />

crescita che non rappresenta tuttavia un<br />

dogma e che non è detto debba necessariamente<br />

perdurare, spostando l’attenzione<br />

sul consolidamento delle attività.<br />

Dalle poco più di 300 matricole del 1996,<br />

il numero degli studenti dell’USI è sostanzialmente<br />

decuplicato e la sua composizione<br />

demografica si è trasformata<br />

progressivamente all’insegna dell’internazionalità,<br />

con un crescente apporto di studenti<br />

provenienti dall’Italia. Gli iscritti<br />

dalla Svizzera tedesca e francese, dopo<br />

aver vissuto una prima espansione, sono<br />

invece progressivamente diminuiti, mentre<br />

la presenza di studenti ticinesi è cresciuta<br />

restando poi costante nel tempo. Si tratta<br />

di una composizione che riflette alcuni<br />

tratti identitari dell’USI e la sua collocazione<br />

geografica di frontiera. Sui campus di<br />

Lugano e Mendrisio si incontrano infatti<br />

studenti provenienti da più di 100 paesi,<br />

che rappresentano più del 20% del totale:<br />

questo è frutto della vocazione internazionale<br />

dell’USI, concepita fin dall’inizio non<br />

solo come università per i giovani ticinesi,<br />

bensì come vettore per portare il nome<br />

della Svizzera italiana in tutto il mondo.<br />

La crescente forza della componente di<br />

studenti italiani (circa il 45%) è invece<br />

ascrivibile, oltre alla comunanza linguistica<br />

e culturale, alla posizione geografica<br />

di tutto il Ticino, naturalmente inserito<br />

nell’ampio bacino demografico lombardo,<br />

recentemente confrontato con difficoltà<br />

sistemiche che coinvolgono – non da ultime<br />

– le stesse università. Circa la metà<br />

degli studenti italiani, peraltro, arriva da<br />

fuori Lombardia. La presenza ridotta di<br />

studenti provenienti dal resto della Svizzera<br />

(il 7%) resta un tema su cui riflettere e<br />

su cui gli sforzi continuano a concentrarsi,<br />

ma la situazione chiama anche al realismo:<br />

l’offerta di altre università di ottimo livello<br />

lungo tutto l’Altopiano rende molto forte<br />

la concorrenza e negli ultimi anni diversi<br />

atenei hanno attivato percorsi formativi<br />

simili a quelli che agli inizi costituivano<br />

una caratteristica peculiare dell’USI. La<br />

3500<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

1996-97<br />

1997-98<br />

1998-99<br />

1999-00<br />

2000-01<br />

2001-02<br />

2002-03<br />

Ticino<br />

percentuale di studenti ticinesi (stabile intorno<br />

al 25%), infine, segna da un lato un<br />

buon risultato raggiunto nei termini della<br />

fiducia accordata all’offerta dell’USI lungo<br />

20 anni, dall’altro fuga la paura degli inizi<br />

rispetto alla temuta “provincializzazione”<br />

dei giovani ticinesi, un numero molto significativo<br />

dei quali continua a optare per<br />

un’esperienza accademica nel resto della<br />

Confederazione.<br />

Da quando la ricerca scientifica prodotta<br />

all’USI ha iniziato a dare i primi frutti, nel<br />

2000, sono stati quasi 190 i milioni che i<br />

ricercatori si sono aggiudicati presso il<br />

Fondo nazionale svizzero e l’Unione europea.<br />

Trattandosi di finanziamenti vinti in<br />

competizione diretta con altre università e<br />

centri di ricerca a livello nazionale e inter-<br />

2003-04<br />

2004-05<br />

2005-06<br />

2006-07<br />

2007-08<br />

2008-09<br />

2009-10<br />

2010-11<br />

2011-12<br />

2012-13<br />

2013-14<br />

2014-15<br />

2015-16<br />

Svizzera Italia Estero


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39<br />

nazionale, questo dato costituisce una bella<br />

storia di successo e un buon indicatore della<br />

salute complessiva dell’ateneo, fondata<br />

anche sulla centralità della ricerca. Così,<br />

come avvenuto per la formazione, anche la<br />

crescita della ricerca ha subìto negli anni<br />

diverse evoluzioni nella sua composizione.<br />

Come si evince chiaramente dal grafico qui<br />

sotto a destra, che descrive il totale complessivo<br />

dei fondi competitivi vinti dalle<br />

diverse Facoltà o Istituti, il grande impulso<br />

ai finanziamenti si deve a due aree entrate<br />

nell’orbita dell’USI progressivamente, ovvero<br />

la Facoltà di scienze informatiche e<br />

l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB).<br />

Questo dato esprime bene le ragioni della<br />

strategia di sviluppo dell’USI, che ha<br />

individuato in questi settori un forte potenziale<br />

di crescita, con ricadute possibili<br />

sul territorio in termini sia scientifici che<br />

di innovazione. Un dato che tuttavia non<br />

deve suonare come un giudizio di merito<br />

rispetto alle Facoltà “storiche” che, rientrando<br />

nel novero delle scienze sociali, se<br />

non addirittura delle arti, notoriamente attraggono<br />

finanziamenti competitivi meno<br />

importanti.<br />

La crescita sul fronte sia della ricerca che<br />

della formazione deve la sua forza alla passione<br />

e alla devozione al proprio lavoro di<br />

professori, docenti e ricercatori, ma non<br />

solo. L’USI è diventata quella che è grazie<br />

anche alla generosità di numerosi sostenitori<br />

privati, che credono al progetto universitario<br />

e senza i quali molte borse di studio,<br />

cattedre, singoli progetti o intere parti<br />

dei campus semplicemente non esisterebbero.<br />

Una singola menzione non restituisce<br />

certo il loro grande contributo, ma in ogni<br />

caso fa testo: Fondazione per le Facoltà di<br />

Lugano, Fondazione per la ricerca e lo sviluppo<br />

dell’USI, Fondazioni Banca del Ceresio,<br />

Corriere del Ticino, Daccò, Fidinam,<br />

Körfer, Leonardo, Maletti, Sergio Mantegazza,<br />

Sodeska, Vontobel, Winterhalter,<br />

The Gabriele Charitable Foundation, Associazione<br />

Amici dell’Accademia, Fondi<br />

di compensazione AVS, Donazione Eredi<br />

Sandra Cattaneo, Donazione Eredi Franco<br />

Olgiati, Donazione Editta Tonella, Donazioni<br />

Eredi Dionisotti, Corboz, Sansone e<br />

Braswell, Harley-Davidson Club Ticino.<br />

20<br />

18<br />

Nel primo grafico a sinistra l’evoluzione della popolazione<br />

studentesca, nel secondo quella dei finanziamenti competitivi<br />

alla ricerca scientifica in milioni di CHF. Il grafico qui<br />

sotto descrive il totale complessivo dei fondi competitivi<br />

vinti in proporzione dalle diverse Facoltà o Istituti.<br />

16<br />

14<br />

ARC 5%<br />

COM 12%<br />

12<br />

IRB 31%<br />

10<br />

ECO 11%<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

INF 41%<br />

0<br />

2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016


FATTI<br />

#20anniUSI: sui social network<br />

volti e momenti che hanno scritto la nostra storia<br />

Restando fedele alla sua natura volta al futuro,<br />

l’USI ha deciso di ripercorrere alcuni<br />

momenti salienti della sua storia partendo<br />

dai social media. Dai profili dell’USI su<br />

Facebook, Instagram e Twitter, per tutto<br />

l’arco dell’anno, con l’hashtag #20anniUSI<br />

sono state e saranno condivise immagini,<br />

idee e storie capaci di mettere a fuoco le<br />

nostre radici, raccontando allo stesso tempo<br />

il nostro orizzonte. Ecco alcuni istanti<br />

tra i più significativi: nella prima foto in<br />

alto, il Prof. Luigi Dadda inaugura i corsi<br />

di Scienze della comunicazione con una<br />

lezione sul funzionamento di Internet, il 21<br />

ottobre 1996. Nella foto in basso, lo stesso<br />

giorno, sul campus di Mendrisio Mario<br />

Botta discute con i suoi primi studenti.<br />

Nella pagina accanto, in alto: Aurelio Galfetti,<br />

Eddo Rigotti e Luigi Pasinetti nel<br />

1995 al Palazzo dei congressi di Lugano,<br />

per la discussione pubblica dei progetti<br />

formulati dal Comitato ordinatore per le<br />

Facoltà di scienze economiche e scienze<br />

della comunicazione. A lato Manuela Casanova,<br />

prima collaboratrice dei servizi<br />

assunta dall’USI – oggi a capo dell’amministrazione<br />

del personale del campus di<br />

Lugano –, immatricola il primo studente<br />

dell’USI, Alexander Harbaugh. In basso<br />

a sinistra Giuliano Bignasca e Giorgio<br />

Salvadè discutono in occasione del primo<br />

Dies academicus, l’8 marzo del 1997: il<br />

loro sostegno fu determinante. A fianco,<br />

nell’ottobre del 1996, il Consigliere di Stato<br />

Giuseppe Buffi sorride tra i due sindaci<br />

di Mendrisio (Carlo Croci, a sinistra) e di<br />

Lugano (Giorgio Giudici, a destra): senza<br />

la convergenza e le risorse ingenti messe<br />

da loro a disposizione, il progetto dell’USI<br />

non sarebbe potuto partire.


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

41<br />

Le foto sono gentilmente messe a disposizione dal Corriere del Ticino. Sui profili dell’USI su Twitter, Facebook e Instagram la<br />

campagna è aperta: chiunque avesse scatti “storici” riguardanti la fondazione dell’USI, i suoi protagonisti, l’avvio dei primi<br />

corsi nel 1996 o il primo Dies nel 1997 è benvenuto, sia direttamente sui social con l’hashtag #20anniUSI sia via email:<br />

press@usi.ch


FATTI<br />

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei:<br />

i dottori honoris causa dell’USI<br />

2003<br />

John R. Searle, professore di Filosofia della<br />

mente e del linguaggio all’Università della<br />

California di Berkeley, riceve il dottorato<br />

honoris causa dalla Facoltà di scienze della<br />

comunicazione “per il suo straordinario<br />

contributo alla comprensione dei fondamenti<br />

delle Scienze della comunicazione,<br />

con particolare riguardo ai rapporti che<br />

intercorrono fra la mente, l’azione, il linguaggio<br />

e i processi di costruzione della<br />

realtà sociale”.<br />

2004<br />

Robert F. Engle, specialista in econometria<br />

finanziaria e professore alla New York<br />

University, riceve il dottorato honoris causa<br />

dalla Facoltà di scienze economiche “in<br />

riconoscimento del suo ruolo di pioniere<br />

nell’elaborazione di modelli matematici<br />

per la misura delle relazioni tra variabili<br />

economiche e finanziarie, con particolare<br />

riguardo alle analisi della cointegrazione<br />

dei prezzi e della volatilità dei rendimenti”.<br />

2005<br />

Giuseppe Panza di Biumo, uno dei più<br />

grandi e innovativi collezionisti di arte<br />

contemporanea, riceve il dottorato honoris<br />

causa dall’Accademia di architettura “per<br />

aver promosso con azione intensa ed efficace<br />

artisti e movimenti ispirati a poetiche<br />

spaziali e aver così indicato agli architetti<br />

vie nuove che hanno arricchito i riferimenti<br />

e i principi della loro disciplina e hanno<br />

favorito lo sviluppo di ricerche estetiche<br />

sulla spazialità in una prospettiva contemporanea”.<br />

2006<br />

Leslie Lamport, ricercatore scientifico di<br />

Microsoft Research in California, riceve<br />

il dottorato honoris causa dalla Facoltà di<br />

scienze informatiche “per i suoi contributi<br />

pionieristici ai fondamenti teorici dei sistemi<br />

informatici distribuiti”.<br />

2010<br />

Frans H. van Eemeren, fondatore della<br />

teoria pragma-dialettica dell’argomentazione<br />

e professore alla Universiteit van<br />

Amsterdam, riceve il dottorato honoris<br />

causa dalla Facoltà di scienze della comunicazione<br />

“per il suo decisivo contributo<br />

allo studio dell’argomentazione, intesa<br />

come modalità ragionevole e critica per<br />

la composizione delle differenze di opinione,<br />

che ha portato alla formulazione di<br />

un modello che riconcilia argomentazione<br />

e retorica specificando i criteri di validità<br />

del processo argomentativo e le condizioni<br />

comunicative della sua efficacia”.<br />

2011<br />

Barbara H. Liskov, professoressa presso<br />

il Dipartimento di ingegneria elettronica<br />

e informatica del Massachusetts Institute<br />

of Technology (MIT) di Boston, prima<br />

donna a ottenere un dottorato in informatica<br />

negli Stati Uniti e nominata dalla<br />

rivista Discover Magazine tra le 50 donne<br />

di scienza più importanti al mondo, riceve<br />

il dottorato honoris causa dalla Facoltà di<br />

scienze informatiche “per i suoi contributi<br />

pionieristici alla definizione dei linguaggi<br />

di programmazione e all’ingegneria del<br />

software”.<br />

2011<br />

Werner Oechslin, teorico e storico dell’architettura<br />

di fama internazionale, riceve il<br />

dottorato honoris causa dall’Accademia di<br />

architettura “per i suoi contributi innovatori<br />

alla teoria e alla storia dell’architettura,<br />

espressione delle sue ampie convinzioni<br />

umanistiche e intellettuali, che hanno segnato<br />

in modo significativo il dibattito a<br />

livello istituzionale e professionale anche<br />

oltre il contesto svizzero”.<br />

2012<br />

John D. Sterman, professore di Management<br />

and Engineering Systems presso<br />

la MIT Sloan School of Management<br />

(Massachusetts Institute of Technology,<br />

Boston), riceve il dottorato honoris causa<br />

dalla Facoltà di scienze economiche “per<br />

i suoi contributi pionieristici alla dinamica<br />

dei sistemi, alle dinamiche organizzative<br />

e di processo decisionale comportamentale”.


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43<br />

2006<br />

Stephen A. Ross, professore al Massachusetts<br />

Institute of Technology (MIT) e teorico<br />

delle valutazioni di attività finanziarie<br />

e decisioni aziendali, riceve il dottorato<br />

honoris causa dalla Facoltà di scienze economiche<br />

“per il suo fondamentale contributo<br />

alla teoria delle valutazioni di attività<br />

finanziarie e decisioni aziendali”.<br />

2007<br />

Bernard Miège, professore emerito di<br />

Scienze dell’informazione e della comunicazione<br />

all’Université Stendhal Grenoble<br />

3, riceve il dottorato honoris causa dalla<br />

Facoltà di scienze della comunicazione<br />

“per aver dato, con le sue ricerche, un contributo<br />

fondamentale alla comprensione<br />

dei rapporti tra lo sviluppo delle industrie<br />

dei media, l’innovazione tecnologica e la<br />

trasformazione della società”.<br />

2008<br />

David Lorge Parnas, ricercatore canadese<br />

Fellow della Royal Society of Canada, riceve<br />

il dottorato honoris causa dalla Facoltà<br />

di scienze informatiche “per i ricchi e profondi<br />

contributi alla concezione del software<br />

e per la promozione della responsabilità<br />

sociale nelle scienze dell’ingegnere”.<br />

Mimmo Paladino, noto e innovativo artista<br />

italiano, riceve il dottorato honoris causa<br />

dall’Accademia di architettura “per la lucidità<br />

con cui indaga le problematiche dello<br />

spazio senza perdere di vista la specificità<br />

del proprio linguaggio figurativo e per la<br />

sua continua ricerca capace di conferire<br />

all’analisi spaziale una dimensione evocativa<br />

e poetica di sicuro riferimento per gli<br />

architetti”.<br />

2009<br />

Ernst Fehr, direttore dell’Institute for Empirical<br />

Research in Economics dell’Università<br />

di Zurigo, riceve il dottorato honoris<br />

causa dalla Facoltà di scienze economiche<br />

“per aver dato, con le sue ricerche, un contributo<br />

fondamentale alla comprensione<br />

del comportamento degli agenti economici<br />

superando la teoria neoclassica dell’agente<br />

razionale”.<br />

2013<br />

Mimmo Jodice, tra i più grandi nomi della<br />

fotografia italiana, riceve il dottorato honoris<br />

causa dall’Accademia di architettura<br />

“per la sua capacità di coniugare realtà ed<br />

immaginario attraverso un sapiente processo<br />

di elaborazione visiva e fotografica,<br />

che interpreta magistralmente la storia e la<br />

cultura mediterranee”.<br />

2014<br />

Jimmy Wales, co-fondatore di Wikipedia e<br />

fondatore di Wikimedia, riceve il dottorato<br />

honoris causa dalla Facoltà di scienze della<br />

comunicazione “per il suo contributo nel<br />

promuovere la condivisione online della<br />

conoscenza e nell’offrire una piattaforma<br />

enciclopedica collaborativa aperta a diverse<br />

lingue e culture”.<br />

2015<br />

Jean-Pierre Danthine (secondo da sinistra), professore all’Università di Losanna e già vicepresidente<br />

della Banca nazionale svizzera, riceve il dottorato honoris causa dalla Facoltà<br />

di scienze economiche “per il suo importante contributo allo studio delle interazioni tra<br />

macroeconomia e finanza”.<br />

Gilles Brassard (al centro), professore all’Università di Montréal, riceve il dottorato honoris<br />

causa dalla Facoltà di scienze informatiche “per il suo importante contributo nell’ambito<br />

della crittografia, in particolare per il suo ruolo pionieristico nello sviluppo della<br />

crittografia quantistica”.<br />

Franco Farinelli (accanto a Brassard), professore ordinario all’Università di Bologna, riceve<br />

il dottorato honoris causa dall’Accademia di architettura “per i suoi magistrali studi<br />

dedicati alla teoria e alla storia del pensiero geografico, ai fondamenti spaziali della cultura<br />

occidentale e alla genesi del concetto moderno di paesaggio”.


DI PROFILO<br />

L’Istituto di studi italiani<br />

DI<br />

PROFILO<br />

Carlo Ossola, Direttore dell’Istituto di studi italiani (ISI)<br />

L’Istituto di studi italiani dell’USI nacque a<br />

Lugano il 5 marzo del 2007, dunque più di<br />

dieci anni dopo la fondazione della stessa<br />

Università. L’idea che mosse il primo Presidente<br />

Marco Baggiolini fu quella di rafforzare<br />

l’impegno dell’USI – unica università<br />

di lingua italiana al di fuori dell’Italia<br />

– nell’ambito della lingua, letteratura, cultura<br />

e civiltà italiana, con un’offerta formativa<br />

interdisciplinare, capace di arricchire il<br />

sistema universitario svizzero mantenendo<br />

una prospettiva europea.<br />

L’idea del primo Presidente Marco<br />

Baggiolini fu quella di rafforzare<br />

l’impegno dell’USI in questo<br />

settore, con un’offerta formativa<br />

interdisciplinare, capace di<br />

arricchire il sistema universitario<br />

svizzero mantenendo una<br />

prospettiva europea<br />

L’Istituto si fonda infatti sulla storia ampia<br />

del concetto di “civiltà italiana”: le lettere,<br />

le arti, la musica; è parte di quella res<br />

publica literaria che non conosce confini,<br />

come non li conobbero le maestranze ticinesi<br />

– Borromini e Fontana in primis – che<br />

dettero un nuovo volto alla città di Roma.<br />

Professa una lingua che non individua tanto<br />

una nazione o un cantone, ma un lascito<br />

universale di civiltà, al modo che l’intesero<br />

Jacob Burckhardt (La civiltà del Rinascimento<br />

in Italia) e Werner Kaegi, un umanesimo<br />

dunque pensato non solo come<br />

frutto di un secolo circoscritto, ma come<br />

un compito sempre presente per rendere<br />

più umano l’uomo nell’esercizio delle humaniores<br />

litterae.<br />

L’Istituto è parte di quella res<br />

publica literaria che non conosce<br />

confini, come non li conobbero le<br />

maestranze ticinesi – Borromini<br />

e Fontana in primis – che dettero<br />

un nuovo volto alla città di Roma.<br />

Professa una lingua che non<br />

individua tanto una nazione o un<br />

cantone, ma un lascito universale<br />

di civiltà<br />

L’Istituto rilascia, oltre al titolo di Bachelor<br />

(‘Laurea triennale’), anche quello di Master<br />

(‘Laurea specialistica’), riconosciuto<br />

dall’Università di Pavia: privilegio e impegno<br />

per accordare a una storia plurisecolare<br />

l’esperienza più recente dell’USI.<br />

La vocazione internazionale dell’Istituto è<br />

confermata sia dalla provenienza europea<br />

del corpo docente, sia dall’afflusso, anche<br />

da altri continenti, di studenti e dottorandi.<br />

Ex-allievi dell’ISI insegnano oggi nelle<br />

Università di San Pietroburgo e di Hanoi.<br />

Il successo del dottorato confederale in<br />

“civiltà italiana” che riunisce, intorno alle<br />

“arti sorelle”, le università di Ginevra,<br />

Friburgo, Berna, Basilea e Zurigo (oltre<br />

naturalmente all’Istituto di storia e teoria<br />

dell’arte e dell’architettura dell’Accademia<br />

di architettura e all’ISI stesso che è sede<br />

amministrativa) è tangibilmente testimoniato<br />

dagli oltre trenta dottorandi che, pur<br />

di differente lingua materna, si ritrovano


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

45<br />

– per ampi seminari residenziali – conversando,<br />

dialogando, meditando in lingua<br />

italiana.<br />

La recente nascita di una collana di saggi<br />

e studi, promossi dall’Istituto, presso l’Editore<br />

Olschki (Firenze), è destinata ad<br />

assicurare una più solida presenza – nella<br />

‘pubblica lettura’ e nelle università – della<br />

ricerca che l’ISI suscita e porta a compimento.<br />

Nonostante l’antico adagio, sovente ripetuto<br />

in una società spiccatamente utilitarista,<br />

“carmina non dant panem”, è motivo<br />

di speranza constatare che i nostri laureati<br />

–proprio in virtù della capacità che le lettere<br />

offrono di comprendere testi nella varia<br />

articolazione di registri e di sensi, e di fornire<br />

“versioni di mondo” possibili o agognate<br />

– si sono sin qui inseriti rapidamente<br />

nel mondo del lavoro e della ricerca. Sembra<br />

così di poter dire, con Angelo Fabroni<br />

(nella sua Historia Academiae Pisanae,<br />

vol. II, 1792), “Solae humaniores litterae<br />

visae sunt prosperiori uti fortuna”: “solo<br />

le umane lettere sono parse godere di più<br />

prospera fortuna”; poiché – quale che sia il<br />

‘riconoscimento’ esterno che la vicenda dei<br />

tempi conferisce alle Lettere – esse offrono<br />

la più preziosa prosperità: quella di abitare<br />

serenamente con se stessi.<br />

In queste due immagini, relative alla conferenza stampa di presentazione dell’Istituto il 5<br />

marzo 2007 e ai relativi preparativi, si trovano i protagonisti della fondazione dell’ISI: Marco<br />

Baggiolini, primo presidente dell’USI e coordinatore del progetto; Carlo Ossola, direttore<br />

dell’Istituto e professore al Collège de France; Corrado Bologna, professore aggregato all’ISI<br />

e ordinario di Filologia romanza all’Università di Roma Tre; e Piero Boitani, docente all’ISI<br />

e ordinario di Letterature comparate alla Sapienza di Roma.


DI PROFILO<br />

ALaRI, un progetto non solo tecnologico<br />

e fuori dagli schemi<br />

Maria Giovanna Sami, fondatrice dell’Istituto ALaRI<br />

Un sistema embedded altro non è che un<br />

sistema elettronico di elaborazione a microprocessore,<br />

non diverso dai personal<br />

computer a cui siamo abituati, ma con tre<br />

importanti particolarità: è progettato per<br />

compiere un insieme di azioni predefinite,<br />

è di dimensioni sempre più ridotte ed<br />

è integrato (embedded) all’interno di un<br />

sistema più grande, spesso di natura non<br />

elettronica. Dai telefoni alle automobili,<br />

dalle televisioni alle navicelle spaziali, passando<br />

per ospedali, banche e aeroporti,<br />

il mondo che ci circonda è tempestato di<br />

sistemi di questo tipo. Molte delle operazioni<br />

che compiamo ogni giorno e che diamo<br />

per scontate dipendono dal progresso<br />

avvenuto in questo settore. Un progresso<br />

che, a Lugano, abbiamo senza dubbio<br />

contribuito ad alimentare grazie alle attività<br />

di ALaRI, l’Advanced Learning and<br />

Research Institute della Facoltà di scienze<br />

informatiche.<br />

Era infatti il 1999 quando – durante un<br />

seminario tra importanti industrie del settore<br />

e ricercatori di tutta Europa – convenimmo<br />

sull’urgenza di colmare una grave<br />

lacuna, ovvero l’assenza nel panorama<br />

accademico del Vecchio Continente di un<br />

programma formativo al passo con i tempi.<br />

Tempi con un ritmo di sviluppo molto rapido<br />

dal punto di vista industriale, che le<br />

università – assestate su di un approccio<br />

disciplinare – non riuscivano a tenere.<br />

Il fatto che 20 anni fa, il 21<br />

ottobre del 1996, i corsi dell’USI<br />

furono inaugurati anche da Luigi<br />

Dadda, credo debba essere motivo<br />

di giusta fierezza per l’Università,<br />

a testimonianza di un’identità<br />

pionieristica e interdisciplinare,<br />

di fine pensiero tecnologico e di<br />

solido impegno umano<br />

Il Prof. Luigi Dadda; nella<br />

pagina a fianco la Prof. Maria<br />

Giovanna Sami<br />

(Foto Ti-press).<br />

È nato così il sogno di un nuovo polo di<br />

formazione avanzata, che da un lato sapesse<br />

rispondere alle esigenze di un’industria<br />

confrontata con il boom dei sistemi<br />

embedded senza diventarne però dipendente,<br />

dall’altra estendesse gli orizzonti<br />

della ricerca scientifica grazie a un nuovo<br />

approccio, in grado di superare le barriere<br />

tra le diverse discipline. Si trattava di un<br />

progetto accademico innovativo, che aveva<br />

bisogno di una sede fuori dagli schemi<br />

universitari tradizionali. Fu così che il Prof.<br />

Luigi Dadda – già a Lugano tra i fondatori<br />

della Facoltà di scienze della comunicazione<br />

– propose di bussare alla porta del presidente<br />

dell’USI di allora, Marco Baggiolini.<br />

In poco tempo nacque l’istituto ALaRI,<br />

con un Master of engineering dedicato<br />

espressamente alla formazione ritenuta più<br />

urgente dal mondo delle imprese. Si è trattato<br />

della materializzazione di un progetto


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

47<br />

ideale, che abbiamo pazientemene intessuto<br />

in forma di ponte tra il Politecnico di<br />

Milano e quelli di Zurigo e Losanna, selezionando<br />

i professori più noti, in qualsiasi<br />

paese, per le discipline più strategiche per<br />

il nostro progetto. Ora abbiamo un’offerta<br />

formativa completa, articolata tra un<br />

Master of Science biennale, un Master<br />

of Advanced Studies per professionisti e<br />

la partecipazione alla scuola di dottorato<br />

della Facoltà. Riceviamo finanziamenti alla<br />

ricerca dall’industria e da fondi competitivi<br />

pubblici svizzeri ed europei, mentre i<br />

nostri studenti provengono da quasi tutto<br />

il mondo.<br />

Guardandomi indietro, tra i tanti ricordi<br />

che porto di questi anni, il più bello e il più<br />

significativo è senza dubbio legato ai successi<br />

di alcuni miei studenti: menti fresche<br />

e dinamiche, che ora insegnano e fanno ricerca<br />

nelle migliori università e nei più prestigiosi<br />

laboratori industriali, o che hanno<br />

deciso di trasformare una buona idea in<br />

un’impresa di successo, dalla California al<br />

Ticino. Per natura, però, continuo a guardare<br />

avanti e vedo un grande futuro: le sfide<br />

sono infatti molte e – paradossalmente –<br />

con il progresso tecnologico non fanno che<br />

aumentare. La pervasività raggiunta dai<br />

sistemi embedded ha infatti enormi ripercussioni<br />

su molti aspetti della nostra vita.<br />

È quindi naturale interrogarsi innanzitutto<br />

sulla loro sicurezza, sulle vie della miniaturizzazione,<br />

sull’efficienza energetica, sul<br />

tema della memoria. Questi sistemi hanno<br />

un impatto sulla fisicità dei nostri corpi, basti<br />

pensare all’airbag di un’auto o al sistema<br />

di somministrazione dell’insulina. Credo<br />

quindi sia urgente un lavoro di sensibilizzazione<br />

dell’opinione pubblica, non consapevole<br />

da un parte della rilevanza di questi<br />

sistemi, dall’altra della fragilità del mondo<br />

tecnologico in cui siamo tutti immersi. Un<br />

obiettivo, quello della condivisione del sapere,<br />

che è sempre stato nella testa e nel<br />

cuore dell’uomo al quale si deve, tra le tante<br />

altre cose, proprio la nascita di ALaRI e<br />

forse anche di un buon pezzo di tutta l’USI.<br />

Luigi Dadda fu una delle persone più curiose,<br />

aperte e appassionate della realtà che<br />

io abbia mai incontrato. La sua storia, classe<br />

1923, nato e cresciuto in una cascina del<br />

Lodigiano, è – letteralmente – la storia del<br />

progresso tecnologico dell’ultimo secolo:<br />

dalle prime radio a galena alla costruzione<br />

del primo calcolatore d’Europa, dall’Accademia<br />

russa delle scienze alla lobby del<br />

supercomputing di Washington, attraverso<br />

gli anni di piombo come rettore del Politecnico<br />

di Milano e i primi modelli di rete<br />

tra computer del Vecchio Continente. Il<br />

fatto che 20 anni fa, il 21 ottobre del 1996,<br />

i corsi dell’USI furono inaugurati anche<br />

da lui credo debba essere motivo di giusta<br />

fierezza per l’Università, a testimonianza di<br />

un’identità pionieristica e interdisciplinare,<br />

di fine pensiero tecnologico e di solido impegno<br />

umano.


DI PROFILO<br />

Ti-EDU: 20 anni di rete al servizio<br />

della formazione e della ricerca<br />

Mario Gay, Responsabile servizi informatici Ti-EDU<br />

Spesso non è facile spiegare ai non addetti<br />

ai lavori di che cosa si occupa chi lavora<br />

nel settore delle reti informatiche. Come<br />

capita per la corrente elettrica o l’acqua<br />

potabile, la cui disponibilità diamo largamente<br />

per scontata, ci si accorge di quanto<br />

le attività professionali dipendano da<br />

prestazioni come la posta elettronica, le<br />

banche dati on-line o i servizi in cloud solo<br />

nelle rare occasioni in cui questi servizi non<br />

siano disponibili. Ti-EDU, il servizio gestito<br />

dall’USI che da 20 anni si occupa della<br />

rete di comunicazione accademica della<br />

Svizzera italiana e di una buona parte dei<br />

sistemi informatici anche della SUPSI e di<br />

diverse altre realtà formative e scientifiche<br />

del Cantone, gestisce l’acquedotto dell’informazione<br />

grazie al quale ogni giorno<br />

possono comunicare, lavorare e studiare<br />

migliaia di docenti, ricercatori e studenti.<br />

Il progetto risale ormai al 1996, quando<br />

quelli che potremmo definire i “padri<br />

fondatori” della rete Ti-EDU (tra i quali<br />

Mauro Dell’Ambrogio, Mauro Martinoni<br />

e Fiorenzo Scaroni) maturarono l’idea di<br />

affidare all’USI la creazione di un servizio<br />

informatico condiviso e finalizzato alla<br />

messa in opera di una rete che collegasse<br />

l’Università, la Scuola universitaria professionale<br />

della Svizzera italiana e, originalmente,<br />

le scuole e le biblioteche cantonali.<br />

Connetterle tra di loro e connetterle a<br />

Internet, che allora per i più era un’entità<br />

ancora misteriosa e di cui non sempre si<br />

intravvedevano le potenzialità. Sembra un<br />

secolo fa, ma era l’epoca dei modem, del<br />

monopolio statale sulle telecomunicazioni,<br />

dei doppini di rame e di una rete accademica<br />

che viaggiava a multipli di 64 kilobit<br />

al secondo, mentre oggi la rete Ti-EDU si<br />

basa su fibre ottiche e sfreccia a 10 gigabit<br />

al secondo, ovvero 100mila volte più velocemente<br />

di allora.<br />

Il nostro mandato fu quindi inizialmente<br />

quello di gestire la trasmissione dei dati<br />

attraverso le tecnologie allora disponibili<br />

e di fornire alcuni servizi di base come<br />

posta elettronica e siti Web. Dopo poco<br />

tempo però iniziammo a offrire, in risposta<br />

alle esigenze dei nostri utenti, una gamma<br />

progressivamente sempre più ampia di<br />

servizi, che spazia ora dalla cura dell’intero<br />

parco informatico di diverse Facoltà<br />

e Dipartimenti USI e SUPSI alla gestione<br />

della posta elettronica dei docenti cantonali,<br />

dalla conduzione di progetti di cambiamento<br />

organizzativo basato su strumenti<br />

informatici alla fornitura di infrastrutture<br />

tecnologiche in modalità analoga a quella<br />

dei fornitori cloud.<br />

Il fatto che nessuno degli utenti di<br />

Ti-EDU sia obbligato ad adottare<br />

i suoi servizi, ma possa rivolgersi<br />

altrove, ha contribuito a creare<br />

una mentalità “imprenditoriale”<br />

e ha fatto in modo che per i nostri<br />

collaboratori gli utenti-clienti<br />

siano considerati come la ragione<br />

stessa dell’esistenza della rete<br />

e del servizio<br />

La crescita della rete e del servizio informatico<br />

Ti-EDU è dovuta a diversi fattori<br />

resi possibili dall’impostazione di Ti-EDU<br />

come joint-venture tra organizzazioni con<br />

interessi simili e dalla larga autonomia<br />

operativa, non disgiunta dalla verifica dei<br />

risultati, accordataci dai nostri responsabili<br />

diretti, prima Mauro Dell’Ambrogio e poi<br />

Albino Zgraggen. Vale la pena citare due<br />

di questi fattori. Innanzitutto, il servizio<br />

Ti-EDU (analogamente a SWITCH, il gestore<br />

della rete accademica nazionale) si è<br />

continuamente adattato al cambiamento<br />

delle tecnologie e del loro mercato, prima<br />

offrendo servizi di base, come il puro collegamento<br />

telematico, e successivamente<br />

servizi a maggiore valore aggiunto, come<br />

la consulenza e la gestione di progetti informatici.<br />

In secondo luogo, il fatto che<br />

nessuno degli utenti di Ti-EDU sia obbligato<br />

ad adottare i suoi servizi, ma possa<br />

rivolgersi altrove, ha contribuito a creare<br />

una mentalità “imprenditoriale” e ha fatto<br />

in modo che per i nostri collaboratori gli<br />

utenti-clienti non siano considerati come<br />

un elemento secondario del nostro lavoro,<br />

ma siano la ragione stessa dell’esistenza<br />

della rete e del servizio Ti-EDU.


<strong>SQUARE</strong> USI – MAGAZINE I Quadrimestrale I Università della Svizzera italiana I numero 20, 2016 I www.square.usi.ch<br />

49<br />

45 nuove aziende e 150 nuovi posti di lavoro:<br />

l’USI per l’innovazione e le start-up<br />

La Fondazione per le Facoltà di Lugano<br />

nacque con la funzione di gestire dal punto<br />

di vista finanziario e organizzativo la componente<br />

“luganese” del progetto dell’USI,<br />

ovvero le Facoltà di scienze economiche e<br />

scienze della comunicazione. Una gestione<br />

svolta in stretta relazione con la Città,<br />

ma con un’impostazione vicina al settore<br />

privato, necessariamente distinta – benché<br />

connessa – a quella dell’Accademia a<br />

Mendrisio. La Fondazione ebbe agli inizi<br />

l’importante compito di attirare i finanziamenti<br />

necessari alle prime attività, nonché<br />

al loro sviluppo negli anni a seguire. Con<br />

la crescita dell’USI e il progressivo consolidamento<br />

del progetto, dal 2003 la Fondazione<br />

ha ceduto la gestione delle Facoltà al<br />

Consiglio dell’Università e si è orientata su<br />

altri fronti tra i quali l’erogazione di borse<br />

di studio, il fundraising e il sostegno alle<br />

attività nel settore dell’innovazione e delle<br />

start-up. Quest’ultimo ambito riveste infatti<br />

un ruolo centrale nella missione di un’istituzione<br />

accademica, costituendo una<br />

delle “cinghie di trasmissione” più importanti<br />

tra la ricerca scientifica da una parte<br />

e il progresso economico della società<br />

dall’altra. Per assolvere a questo compito,<br />

la Fondazione ha creato nel 2004 il Centro<br />

Promozione Start-up (CP Start-up), un<br />

servizio gestito in collaborazione con USI<br />

e SUPSI, con lo scopo di fornire assistenza<br />

a laureati svizzeri ed esteri intenzionati<br />

ad avviare una nuova impresa nel nostro<br />

Cantone. A concepire e coordinare questa<br />

iniziativa fin dal suo avvio è stato chiamato<br />

Roberto Poretti, da sempre impegnato per<br />

lo sviluppo economico della Svizzera italiana,<br />

come testimonia il recente riconoscimento<br />

ricevuto dalla Fondazione W.A. de<br />

Vigier che lo ha designato “Supporter of<br />

the year” per il 2015. Con l’approssimarsi<br />

del termine del suo mandato, gli abbiamo<br />

chiesto un bilancio di questi anni.<br />

Signor Poretti, come è nato ed evoluto il settore<br />

a sostegno delle start-up in Ticino?<br />

L’idea di puntare sull’innovazione in Ticino<br />

nacque nel 1985, sulla scia di uno<br />

studio condotto dall’Istituto di ricerche<br />

economiche (IRE), allora diretto dal Prof.<br />

Remigio Ratti. Lo studio fu commissionato<br />

dall’allora direttore del Dipartimento<br />

dell’Economia Pubblica, il Consigliere<br />

di Stato Renzo Respini, al fine di stilare<br />

un bilancio sull’efficacia, l’efficienza e<br />

l’incidenza delle politiche di promozione<br />

industriale nel Cantone. Proprio quell’anno<br />

fui nominato responsabile del servizio<br />

dipartimentale che si occupava di promozione<br />

economica del Cantone e collaborai<br />

pertanto alla stesura della nuova legge in<br />

materia che, riprendendo alcune felici intuizioni<br />

dello studio dell’IRE, introdusse<br />

per la prima volta il concetto di innovazione.<br />

Nel relativo messaggio con il quale, nel<br />

1986, il progetto di legge venne sottoposto<br />

al Gran Consiglio, già si menzionavano i<br />

parchi tecnologici e si parlava di capitale<br />

di rischio a sostegno di nuove iniziative imprenditoriali.<br />

I concetti c’erano quindi già<br />

tutti, anche se la loro messa in pratica – alle<br />

nostre latitudini – ha richiesto parecchio<br />

tempo. Fu infatti solo nel 2003 che lo stesso<br />

avvocato Renzo Respini, divenuto presidente<br />

della Fondazione per le Facoltà di<br />

Lugano dell’USI e percependo il clima favorevole<br />

maturato con l’avvento dell’Università,<br />

mi chiamò a concepire e avviare il<br />

progetto del CP Start-up. Dopo essere stato<br />

nel frattempo parecchi anni nel settore<br />

privato, impostai il progetto nel modo più<br />

efficace ed efficiente possibile e mi sembra<br />

che, dopo 10 anni, i frutti di quella semina<br />

inizino ora a vedersi.<br />

Dal 2004 al 2015 abbiamo<br />

ricevuto 640 richieste di sostegno<br />

a nuovi progetti imprenditoriali;<br />

dopo un’accurata selezione, 60<br />

sono stati ammessi al processo di<br />

incubazione, in quanto ritenuti<br />

innovativi e promettenti;<br />

45 sono ancora attivi<br />

Dal 2004 al 2015 abbiamo ricevuto 640<br />

richieste di sostegno a nuovi progetti imprenditoriali;<br />

dopo un’accurata selezione,<br />

60 sono stati ammessi al processo di incubazione,<br />

in quanto ritenuti innovativi e<br />

promettenti. I progetti hanno così potuto<br />

usufruire dei nostri servizi, anche se non<br />

tutti sono riusciti a entrare effettivamente<br />

sul mercato. Le 45 nuove aziende (tra le 60<br />

“promosse”) che ne sono nate offrono oggi<br />

– stima fluida a fine 2015 – almeno 150 impieghi.<br />

Interessante è inoltre notare come,<br />

tra i giovani imprenditori che hanno bussato<br />

alla nostra porta, ben il 20% sia rappresentato<br />

proprio da laureati dell’USI; è<br />

segno di come la macchina sia stata avviata<br />

e di come – oltre ad attrarre laureati e idee<br />

da fuori della Svizzera italiana – la nostra<br />

stessa Università inizi a produrre innovatori<br />

e dunque reale innovazione.


L’estate decolla<br />

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Università della Svizzera italiana<br />

numero 20<br />

2016<br />

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