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IDEE<br />

Le sette idee a fondamento dell’Accademia<br />

Mario Botta, Accademia di architettura<br />

1. Per una nuova sintesi. Una scuola<br />

universitaria non è solo un luogo della<br />

didattica: è anche un luogo chiamato<br />

a ospitare la cultura più avanzata di un<br />

determinato campo del sapere. Per una<br />

scuola di nuova fondazione, è opportuno<br />

che questo ruolo culturale si sposi a<br />

un forte spirito innovativo per diventare<br />

un sismografo privilegiato dei problemi<br />

della propria epoca. Quando, negli anni<br />

Novanta del secolo da poco finito, fu elaborato<br />

il progetto per una nuova scuola di<br />

architettura come prima facoltà dell’USI,<br />

ci si interrogò su come farne un autentico<br />

laboratorio della cultura architettonica.<br />

Quali erano le grandi questioni poste<br />

alle discipline progettuali nell’epoca della<br />

postmodernità e della globalizzazione?<br />

Era chiaro come l’Accademia non potesse<br />

essere soltanto una nuova scuola, ma<br />

dovesse proporsi come una scuola nuova.<br />

Decidemmo che a caratterizzarla sarebbe<br />

stata una forte impronta umanistica: una<br />

nuova sintesi tra saperi tecnici e scienze<br />

umane e sociali, tra competenze operative<br />

e pensiero storico e critico. Avremmo così<br />

ottenuto anche una sintesi geo-culturale,<br />

avvicinando le tradizioni umanistiche mediterranee<br />

alle tradizioni tecniche prevalenti<br />

a nord delle Alpi.<br />

2. La visione interdisciplinare. Gli aspetti<br />

contestuali e storici, paesaggistici e sociali<br />

sono temi centrali in una definizione<br />

umanistica della cultura progettuale.<br />

Fin dall’inizio, con Aurelio Galfetti, primo<br />

Direttore della scuola, coniammo la<br />

definizione di “architetto territoriale”,<br />

figura di sintesi per un progetto attento<br />

all’impatto sul territorio e alla cura<br />

del paesaggio, alla morfologia urbana e<br />

all’impegno ecologico, alla responsabilità<br />

etica e al rapporto con la memoria<br />

culturale dei luoghi. Si tratta di un impegno<br />

che apre incondizionatamente a<br />

un processo interdisciplinare che vuole<br />

spingere l’interesse degli architetti verso<br />

le frontiere delle differenti discipline.<br />

La nostra è una sintesi<br />

geo-culturale, che avvicina<br />

le tradizioni umanistiche<br />

mediterranee alle tradizioni<br />

tecniche prevalenti<br />

a nord delle Alpi<br />

3. L’importanza delle personalità. Nel<br />

nostro tempo, spesso a torto, talvolta a<br />

ragione, si è diffuso un vero e proprio<br />

“culto dell’autore”. Agli esordi dell’Accademia<br />

abbiamo scelto quindi di far leva<br />

sulla qualità del corpo docente, garantendoci<br />

di volta in volta la collaborazione dei<br />

migliori rappresentanti del dibattito architettonico<br />

contemporaneo. Tra i primi<br />

a formare il gruppo di progettisti figurarono<br />

Galfetti, Zumthor e Koulermos. Per<br />

gli insegnamenti di storia e teoria dell’arte<br />

e dell’architettura vennero chiamati Dal<br />

Co, Frampton e Szeemann, cui seguirono<br />

altre figure autorevoli: da Bertelli a Reichlin,<br />

da Gubler a von Moos e Settis, sino<br />

all’attuale gruppo di teorici coordinato da<br />

Christoph Frank. Per la cultura del territorio<br />

abbiamo avuto personalità come Benevolo,<br />

Solà-Morales, Rykwert, Jacquard<br />

e Petrella, per la filosofia Cacciari e Agamben,<br />

per la fotografia Basilico e Toscani.<br />

Alla forte interdisciplinarità di questi<br />

protagonisti del mondo culturale, corrisponde<br />

una forte diversità dei linguaggi<br />

degli architetti responsabili dei singoli<br />

atelier di progetto, che negli anni hanno<br />

animato il ricco arcipelago internazionale<br />

di Mendrisio, dal Portogallo all’Austria,<br />

dall’Irlanda al Sudafrica con basi ben solide<br />

in Svizzera e nel nostro Ticino. Ciò<br />

che balza all’attenzione è l’identità di una<br />

scuola che dà spazio ai protagonisti delle<br />

differenti discipline e dei diversi linguaggi<br />

progettuali. La nostra condizione geografica<br />

di frontiera viene così a trasformarsi<br />

in una condizione di centralità culturale.<br />

4. Un laboratorio dell’internazionalismo<br />

critico. All’internazionalità dei docenti<br />

corrisponde l’internazionalizzazione degli<br />

studenti: Europa occidentale e dell’Est,<br />

area mediterranea, America latina, Estremo<br />

Oriente (oggi l’Accademia registra<br />

studenti da oltre 40 paesi). Sarebbe tuttavia<br />

un errore vedere in questo profilo<br />

internazionale il preludio a una sorta di<br />

omologazione culturale. Al contrario, la<br />

diversa provenienza degli architetti professori<br />

sollecita riflessioni che connettono<br />

ogni volta la pratica architettonica a peculiari<br />

culture e condizioni operative. In tal<br />

senso possiamo definire l’Accademia un<br />

laboratorio dell’internazionalismo critico<br />

teso a confrontarsi con il “territorio della<br />

memoria”.<br />

5. Necessità dell’architetto generalista.<br />

L’indirizzo pionieristico dell’Accademia<br />

ha portato a interrogarsi sulla figura<br />

dell’architetto. La denominazione “Accademia<br />

di architettura” è già un modo per<br />

distinguerla dai politecnici di Losanna<br />

e Zurigo. Rispetto all’attenzione per le<br />

competenze tecnico-scientifiche che pre-

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