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Molti embriologi classici, anche prima dell’avvento delle tecniche di ingegneria genetica che hanno<br />

consentito di studiare i geni, hanno fatto uso di mutanti. I mutanti, che sono veramente centrali per<br />

lo studio dell’embriologia come di altri settori di ricerca biologica, sono stati definiti inizialmente<br />

per il loro fenotipo, cioè per il loro aspetto. La parola viene dal greco, φαινω, appaio, la stessa<br />

radice di fenomeno. Il fenotipo è come uno appare, intendendo però ormai anche quello che appare<br />

a livello di test di qualsiasi natura. Il genotipo invece è quello che vi è dietro al fenotipo, la base del<br />

fenotipo. Per decenni, nella prima parte del secolo il genotipo è stato qualcosa di misterioso, oggi<br />

sappiamo che coincide praticamente con il DNA. Un uomo affetto da una malattia ereditaria, per<br />

esempio, da fibrosi cistica, è un mutante.<br />

L’importanza dei mutanti è dovuta al fatto che possiamo sperare di identificare il loro genotipo, cioè<br />

l’istruzione sbagliata. Gli embriologi pertanto guardano le loro colonie di animali per vedere se<br />

insorgono organismi con fenotipi interessanti, ma questa comparsa spontanea è rara. E’ naturale<br />

quindi che abbiano cercato di aumentare la frequenza di queste mutazioni, semplicemente<br />

esponendo gli animali ad agenti che danneggiano il loro DNA, quali, ad esempio, le radiazioni.<br />

Durante un lavoro di questo tipo, furono identificati dei mutanti che dal punto di vista embriologico<br />

erano enormemente interessanti: alcune mosche avevano quattro ali invece di due (Bithorax), altri<br />

avevano una gamba al posto di un’antenna (Antennapedia). Si aveva quindi la possibilità di testare<br />

l’ipotesi secondo cui singoli geni comandano la formazione di un’intera struttura. Se fosse stato<br />

possibile identificare un gene alterato solo nei mutanti, l’ipotesi sarebbe stata confermata.<br />

E in effetti l’ipotesi si rivelò esatta con l’identificazione di geni che erano alterati specificatamente<br />

in questi due mutanti e che definirono una nuova classe di geni. Dal momento che mutazioni di quel<br />

genere venivano chiamati omeotiche (dal greco “ομοιοσ”, simile 53 ), i nuovi geni vennero chiamati<br />

“homeobox”. Quindi non solo vi erano dei geni la cui alterazione comportava l’assenza di una<br />

struttura, ma anche geni la cui alterazione provoca la comparsa di strutture in sedi anormali. Anche<br />

se il meccanismo alla base del fenomeno è ben lungi dall’essere conosciuto nei dettagli, vi sono<br />

ormai numerosi casi del genere a carico di geni della stessa o di altre famiglie, che dimostrano come<br />

anche i fenomeni embriologici più complessi dipendono dall’azione di singoli geni o dalla loro<br />

interazione.<br />

Prendiamo il caso dell’occhio. Più di cent’anni oro sono, William Paley aveva scritto:<br />

if we had no other “example in the world of contrivance except that of the eye, it would be alone<br />

sufficient to support the conclusion that we draw from it, as to the necessity of an intelligent<br />

Creator” 54 .<br />

Ma nel 1995, Walter Gehring e i suoi collaboratori hanno preso delle Drosophilae e hanno fatto<br />

esprimere un gene da loro isolato (“eyeless”) in vari tessuti embrionali (imaginal disks) che<br />

normalmente danno origine a strutture quali le ali e le zampe o gli occhi stessi. Ne vennero fuori<br />

moscerini con occhi sulle ali e sulle zampe. Alcuni avevano occhi in cima alle loro antenne. Questi<br />

occhi “ectopici” (cioè insorti in sedi anomale) erano molto simili a quelli normali e i loro<br />

fotorecettori rispondevano alla luce 55 .<br />

53 Termine introdotto alla fine del secolo XIX dal naturalista William Bateson per indicare il<br />

fenomeno di trasformazione di un organo in un altro.<br />

54 W. Paley. Natural Theology. vol I, p. 81 citato in C.A. Russell: Science and religious belief. The<br />

Open University Press, Londra, 1973; p. 185.<br />

55 G. Halder et al: Induction of ectopic eyes by targeted expression of the eyeless gene in<br />

Drosophila. Science 267:1788-1792, 1995<br />

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