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point of view<br />
roberto perrone<br />
Giornalista e scrittore, vive a Milano ma ha<br />
solidi radici “zeneisi”. Si è occupato di sport,<br />
food e viaggi a “Il Corriere della Sera”. Ora è<br />
freelance. Il suo sito è perrisbite.it. A febbraio<br />
è uscito il suo primo noir, La seconda vita di<br />
Annibale Canessa (Rizzoli)<br />
Calligrafia dell’anima<br />
Il più bell’esempio di calligrafia lo ricordo ancora adesso con un po’ di dispiacere<br />
per il fatto che è andato perduto. Lo conservavo, insieme con le tante lettere che<br />
avevo ricevuto da amici e amiche di ogni parte d’Italia, qualcuna pure dall’estero,<br />
in una scatola che mia madre infilò in un cassonetto in un momento di iconoclastico<br />
repulisti (senza prima avvertirmi, ovviamente). Erano un paio di fogli vergati<br />
con una mano leggera e con una calligrafia perfetta, con le righe straordinariamente<br />
diritte, precise, come se ci fossero state delle linee di supporto. E poi non c’era<br />
una sbavatura, non c’era uno svolazzo di inchiostro che rovinasse l’impatto visivo.<br />
La penna della mia amica Lella aveva trasformato due salviette di carta delle allora<br />
FFSS, cioè le Ferrovie dello Stato, recuperate nel bagno della carrozza di un treno,<br />
in un perfetto esercizio di calligrafia. Non ho mai capito come avesse potuto<br />
scrivere là sopra, su una carta porosa, insidiosa, senza bucarla, senza sporcarla.<br />
Era ed è un’artista e infatti quella per me era un’opera d’arte. E come tante opere<br />
d’arte è andata perduta. Come è andata perduta la nostra abitudine a scrivere a<br />
mano in buona e meno buona calligrafia. Non so da quanto tempo non scrivo una<br />
lettera che non sia in formato mail. Eppure la scrittura mi affascina e acquisto una<br />
stilografica almeno una volta all’anno. Io credo che la scrittura dica molto di noi,<br />
di come siamo, di quello che pensiamo. Scrivere era qualcosa che ci apparteneva,<br />
che ci faceva unici, che ci rendeva speciali. Scrivere, con una calligrafia che fosse<br />
comprensibile, perché c’era anche questo sforzo da fare, rappresentava anche una<br />
fatica, era un gesto molto più impegnativo di quello che compiamo pigiando sui<br />
tasti di un computer, di un cellulare, di un tablet, insomma di quelli che oggi<br />
chiamiamo device. Ricordo la gioia di trovare nella cassetta delle lettere una busta<br />
con il mio nome scritto sopra, in una scrittura diversa, magari femminile, l’ansia<br />
di leggere di cosa si trattasse. Ricordo di lettere scritte a ragazze di cui mi ero<br />
innamorato in cui cercavo di dire e non dire, spesso di saggiare il terreno per non<br />
affondarvi con i miei sentimenti. Spesso in questa pagina racconto del passato, di<br />
quello che non c’è più. I cinema spariti, i telefoni a gettone, le mezze stagioni. Non<br />
è rimpianto, è storia. Il mondo va avanti e questi aggeggi che maneggiamo ora sono<br />
comodi. Lo faccio per ricordare, prima di tutto a me stesso, che sono stato felice e<br />
comunicativo anche senza WhatsApp, SMS, social vari e assortiti e che mi piaceva<br />
scrivere, la sera, ai miei amici e alle mie amiche (di più) per raccontare di me. E se<br />
mia madre non avesse distrutto tutte quelle lettere adesso cercherei di capire se allora<br />
dicevamo di noi di più con la calligrafia di quello che ora diciamo con gli strumenti<br />
elettronici. Sarebbe un bell’esercizio: capire la calligrafia della nostra anima.<br />
Roberto Perrone<br />
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