PORTAVOCE DI SAN LEOPOLDO MANDIC - giugno 2017
Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)
Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)
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Portavoce<br />
N. 5 - GIUGNO <strong>2017</strong><br />
di san Leopoldo Mandić<br />
Mensile - anno 57 - n. 5 - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD<br />
PAPA FRANCESCO:<br />
CHI È IL BUON<br />
CONFESSORE ?<br />
ATTUALITÀ<br />
ECCLESIALE<br />
FATIMA<br />
1917-<strong>2017</strong><br />
SPIRITUALITÀ<br />
IVAN BONIFACIO<br />
PAVLETIĆ
N. 5 GIUGNO <strong>2017</strong> ANNO 57<br />
IN QUESTO NUMERO<br />
E<strong>DI</strong>TORIALI<br />
3 / Iniziare con un Amen / Ai lettori / di Giovanni Lazzara<br />
7 / 1917: padre Leopoldo al confino / La voce del santuario /<br />
di Flaviano G. Gusella<br />
ATTUALITÀ ECCLESIALE<br />
8 / Periscopio cattolico / a cura di Giovanni Lazzara<br />
10 / Chi è il «buon confessore? / Confessioni / di papa Francesco<br />
12 / Papa Francesco ai confessori: «Siate accoglienti, solleciti,<br />
chiari, disponibili, generosi…»<br />
14 / Fatima, 1917-<strong>2017</strong>, l’apparizione mariana più profetica /<br />
di Daniela Del Gaudio<br />
FEDE & VITA<br />
17 / «Venga il tuo Regno» / Il «Padre nostro», la preghiera di Gesù > 4 /<br />
a cura di Carlo Roccati<br />
20 / «Una roccia è il mio Dio» / Simboli biblici > 15 / di Roberto Tadiello<br />
<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong>, IERI E OGGI<br />
23 / «A disposizione dell’amore divino». Gli scritti dell’anno 1915 /<br />
Trent’anni con san Leopoldo (1911-1941) / di Ivano Cavallaro<br />
26 / La fede di Leopoldo e la fede di Gesù / di Vinicio Campaci<br />
30 / L’ Adorazione dei pastori / Arte in santuario / di Anna Artmann<br />
SPIRITUALITÀ<br />
32 / Ivan Bonifacio Pavletić. A servizio della misericordia /<br />
di Aleandro Paritanti<br />
RUBRICHE<br />
4 / Lettere a Portavoce / di Aurelio Blasotti<br />
36 / Vita del santuario / a cura della Redazione<br />
38 / Grazie, san Leopoldo / a cura della Redazione<br />
39 / Calendario liturgico / di Sisto Zarpellon<br />
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a: Santuario san Leopoldo Mandić, piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />
Portavoce<br />
di san Leopoldo Mandić<br />
Periodico di cultura religiosa<br />
dell’Associazione «Amici di San Leopoldo»<br />
Direzione, Redazione, Amministrazione<br />
Associazione «Amici di San Leopoldo»<br />
Santuario san Leopoldo Mandić<br />
Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />
Tel. 049 8802727 - Fax 049 8802465<br />
Redazione: direttore@leopoldomandic.it<br />
Santuario: info@leopoldomandic.it<br />
Direttore e Redattore<br />
Giovanni Lazzara<br />
Dir. Responsabile<br />
Luciano Pastorello<br />
Hanno collaborato a questo numero<br />
Aurelio Blasotti, Flaviano G. Gusella,<br />
Daniela Del Gaudio, Carlo Roccati, Roberto<br />
Tadiello, Ivano Cavallaro, Vinicio Campaci,<br />
Anna Artmann, Aleandro Paritanti,<br />
Sisto Zarpellon e Fabio Camillo<br />
Impaginazione<br />
Barbara Callegarin<br />
Stampa<br />
Stampe Violato - Bagnoli di Sopra (PD)<br />
Registrazione Tribunale di Padova<br />
n. 209 del 18.10.1961<br />
Iscrizione al R.O.C. n. 13870<br />
Con approvazione ecclesiastica<br />
e dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini<br />
Editore<br />
Associazione «Amici di san Leopoldo»<br />
Spedizione in abbonamento postale<br />
Nel rispetto del D.L. n. 196/2003 Portavoce di san Leopoldo<br />
Mandić garantisce che i dati personali relativi agli associati<br />
sono custoditi nel proprio archivio elettronico con le<br />
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conformemente alla normativa vigente, non possono<br />
essere ceduti ad altri soggetti senza espresso consenso<br />
dell’interessato e sono utilizzati esclusivamente per l’invio<br />
della Rivista e iniziative connesse<br />
In copertina: vetrata artistica di A. Poli,<br />
penitenzieria del santuario di san Leopoldo<br />
Le foto, ove non espressamente indicato, hanno valore<br />
puramente illustrativo<br />
Chiuso in prestampa il 10.4.<strong>2017</strong><br />
Consegnato alle poste tra il 15 e il 19.5.<strong>2017</strong><br />
Rettore del santuario<br />
Fra Flaviano Giovanni Gusella<br />
Santuario san Leopoldo Mandić<br />
Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />
Tel. 049 8802727 - Fax 049 8802465<br />
www.leopoldomandic.it
LA VOCE DEL <strong>SAN</strong>TUARIO<br />
◼ <strong>DI</strong> FLAVIANO G. GUSELLA<br />
1917: padre Leopoldo al confino<br />
Fu una scelta dolorosa ma convinta. Padre<br />
Leopoldo era arrivato nel Veneto nel 1882,<br />
all’età di 16 anni, accolto nel piccolo seminario<br />
che i frati cappuccini avevano aperto a Udine.<br />
Dopo il noviziato a Bassano del Grappa e gli<br />
studi a Padova e a Venezia, aveva svolto il suo ministero<br />
sacerdotale in vari conventi del Veneto e della Croazia,<br />
con compiti diversi. In considerazione delle sue grandi<br />
doti umane e spirituali, dal 1914 i superiori gli avevano<br />
assegnato esclusivamente il compito di confessore<br />
a Padova. Amava l’Italia e in particolare Padova,<br />
considerandola la sua seconda patria.<br />
La Prima guerra mondiale portò angoscia nel cuore<br />
del cappuccino croato, soprattutto quando l’Italia, il<br />
24 maggio 1915, entrò nel conflitto contro l’impero<br />
austroungarico. Come dalmata aveva mantenuto<br />
la cittadinanza dell’impero e ora egli si trovava in<br />
zona di guerra come «straniero». Il governo italiano<br />
aveva ordinato che tutti gli oriundi dell’Istria e della<br />
Dalmazia scegliessero la cittadinanza italiana o si<br />
allontanassero per motivi di sicurezza dalle zone di<br />
operazioni militari. Padre Leopoldo, certamente non<br />
senza un forte conflitto interiore, decise per il confino<br />
perché non poteva accettare l’idea di rinunciare alla<br />
sua cittadinanza nativa. «Cape – diceva a se stesso<br />
e a chi gli chiedeva il motivo della sua decisione – il<br />
sangue non è acqua; non si può tradire il sangue!».<br />
Con questa scelta, come dalmata forte e cocciuto,<br />
intendeva non recidere le proprie radici, manifestando<br />
il suo amore per quella gente in mezzo alla quale<br />
aveva ricevuto la vita e la fede. Parlando di essa<br />
la definiva «la mia gente», «il mio popolo», «i miei<br />
fratelli». Pur vivendo nello spazio ristretto di una<br />
celletta confessionale, volontario recluso a celebrare il<br />
sacramento della misericordia, non rinunciò mai agli<br />
orizzonti senza limiti e senza barriere dove cattolici e<br />
ortodossi, uomini e donne di ogni nazionalità, popolo<br />
e colore avrebbero formato un «solo ovile sotto un<br />
solo Pastore». Il documento che certificava la sua<br />
appartenenza a un territorio diverso da dove risiedeva,<br />
era come un lasciapassare e una memoria costante<br />
per questa missione che gli era stata affidata: essere,<br />
vivere, lavorare, offrirsi senza riserve come strumento<br />
di unione e di comunione, strettamente congiunto<br />
alla missione stessa del Redentore che aveva pregato:<br />
«Padre, ti chiedo che tutti siano una cosa sola, come<br />
tu sei in me e io in te» (cf. Gv 17,21). Neppure una<br />
guerra poteva frenare o distruggere questo suo ideale.<br />
Anche il quotidiano cattolico La Libertà diede notizia<br />
della partenza di padre Leopoldo con le seguenti<br />
parole: «Chi non conosce a Padova padre Leopoldo,<br />
il buon frate cappuccino? Di convento usciva di raro,<br />
non era oratore, non era addetto a niuna mansione da<br />
essere messo, come si suol dire, in mostra; solamente<br />
attendeva assiduo al confessionale. Perfetta figura di<br />
asceta, egli cercava l’ombra. Eppure tutti correvano a<br />
lui per consiglio e conforto».<br />
Nel 1917, all’età di 51 anni, lasciava Padova, diretto<br />
a Roma, accompagnato da fra Simeone da Šibenik,<br />
dalmata pure lui. Era il 30 luglio: nella stessa data, 25<br />
anni dopo, il Signore sarebbe venuto a prenderlo per<br />
portarlo in paradiso! A Roma, in attesa di incontrare<br />
il ministro generale dei cappuccini, fr. Venanzio da<br />
Lisle-en-Rigault, rimase circa due mesi. Ebbe la gioia<br />
di visitare le basiliche romane e le catacombe, di<br />
celebrare la santa messa sulla tomba di Pio X e di essere<br />
ammesso, insieme ad alcuni confratelli cappuccini, a<br />
una udienza di papa Benedetto XV. Ricevuto l’ordine<br />
dei superiori, partì per il convento di Tora (CE), che<br />
apparteneva alla provincia monastica dei cappuccini di<br />
Foggia. Vi giunse alla fine di settembre. Qui, secondo<br />
una testimonianza del cappuccino veneto fr. Venceslao<br />
Baggio, che fu economo generale negli anni ’30, padre<br />
Leopoldo avrebbe avuto la possibilità d’incontrare<br />
fr. Pio da Pietrelcina, allora trentenne. Dopo aver<br />
soggiornato anche nei conventi di Nola e Arienzo, fece<br />
definitivamente ritorno a Padova il 27 maggio 1919,<br />
dove riprese il suo fedele servizio al confessionale.<br />
Come «un uccellino in gabbia, con il cuore sempre al di<br />
là del mare», in quell’amato Oriente per il quale aveva<br />
consacrato tutto se stesso. P<br />
<strong>giugno</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 7
FEDE & VITA<br />
«Una roccia è il mio Dio»<br />
La montagna è un simbolo<br />
che veicola un’idea di stabilità<br />
e di solidità. Idea trasmessa,<br />
senza soluzione di<br />
continuità, all’elemento<br />
di cui è composta la montagna: la<br />
roccia. Nell’immaginario biblico la<br />
«roccia», a motivo della sua solidità,<br />
quasi naturalmente rappresenta<br />
una metafora del divino.<br />
Simboli biblici > 15 Nella Bibbia la roccia e, in<br />
genere, le alture rocciose che s’innalzano sulle<br />
distese aride trasmettono un senso di solidità e di<br />
riparo, che richiama la protezione e la salvezza che<br />
Dio offre all’uomo. In Gesù, anche la pietra scartata<br />
paradossalmente diventa pietra angolare<br />
◼ <strong>DI</strong> ROBERTO TA<strong>DI</strong>ELLO<br />
Metafora del divino,<br />
fortezza e rifugio<br />
Israele vede nel Signore, suo Dio,<br />
«una» roccia, anzi «la» roccia (ṣûr<br />
in ebraico). Il popolo può fare affidamento<br />
su colui che ha proclamato:<br />
«Io sarò sempre con voi». Il<br />
Signore è un sicuro rifugio di fronte<br />
a tutti gli avversari.<br />
In un bellissimo poema, che<br />
conclude il libro del Deuteronomio,<br />
si trovano dei versi dedicati<br />
alla Roccia di Israele: «Voglio<br />
proclamare il nome del Signore:<br />
magnificate il nostro Dio! Egli è la<br />
roccia: perfette le sue opere, giustizia<br />
tutte le sue vie; è un Dio fedele<br />
e senza malizia, egli è giusto<br />
e retto» (Dt 32,3-4). Anche se gli<br />
avversari di Israele hanno una loro<br />
roccia, comunque saranno sconfitti,<br />
perché «la loro roccia non è come<br />
la nostra» (Dt 32,31). Lasciare<br />
Dio per seguire altri dei significa<br />
per Israele disprezzare la Roccia<br />
che è la sua salvezza (Dt 32,15) e<br />
arrivare perfino a trascurarla: «La<br />
Roccia, che ti ha generato, tu hai<br />
trascurato; hai dimenticato il Dio<br />
che ti ha procreato!» (Dt 32,18).<br />
Il re Davide e Dio,<br />
sua «roccia»<br />
Davide, il cantore salmico per eccellenza,<br />
alla fine del Secondo libro<br />
di Samuele, dopo che il Signore lo<br />
liberò dalla mano di tutti i nemici<br />
e dalla mano di Saul che lo voleva<br />
morto, innalza un canto al Signore<br />
come Roccia, con una variante:<br />
«Signore, mia roccia, mia fortezza,<br />
mio liberatore, mio Dio, mia rupe<br />
in cui mi rifugio; mio scudo, mia<br />
potente salvezza e mio baluardo,<br />
mio nascondiglio che mi salva dalla<br />
violenza tu mi salvi» (2Sam 22,2-<br />
3). Per il re di Israele, Dio, oltre a<br />
essere roccia, è roccaforte o fortezza,<br />
scudo e baluardo perché nelle<br />
diverse vicissitudini della sua ascesa<br />
al trono si è dimostrato un valido<br />
difensore contro ogni nemico. Tutto<br />
questo motiva la sua esultanza:<br />
«Viva il Signore e benedetta la mia<br />
roccia, sia esaltato Dio, rupe della<br />
mia salvezza» (2Sam 22,47).<br />
Al capitolo successivo vengono<br />
riportate le sue ultime parole, una<br />
sorta di testamento, che diventano<br />
profetiche perché pronunciate<br />
sotto l’influsso dello Spirito di Dio.<br />
Nuovamente il re ritorna sul Signore<br />
come roccia di Israele: «Lo<br />
spirito del Signore parla in me,<br />
la sua parola è sulla mia lingua;<br />
il Dio di Giacobbe ha parlato, la<br />
roccia d’Israele mi ha detto: «Chi<br />
governa gli uomini con giustizia,<br />
chi governa con timore di Dio…»<br />
(2Sam 23,2-3).<br />
La solidità e il senso di sicurezza<br />
che Dio roccia trasmette permette<br />
al suo servo Davide di essere un re<br />
guidato dal timore di Dio e dalla<br />
giustizia. Se il re si appoggerà su<br />
questa roccia e su di essa edificherà<br />
la sua vita e il suo governo sarà<br />
come «luce di un mattino quando<br />
sorge il sole, mattino senza nubi,<br />
che fa scintillare dopo la pioggia i<br />
germogli della terra» (2 Sam 23,4).<br />
Nel libro della preghiera di<br />
Israe le, il Salterio, per diciotto volte<br />
il Signore viene invocato come<br />
la Roccia. Dio è «la roccia e la salvezza»<br />
del salmista (Sal 62,3.7). È<br />
il suo baluardo (Sal 31,4). Non c’è<br />
nulla e nessuno pari a Lui: «Infatti,<br />
chi è Dio, se non il Signore? O chi<br />
è roccia, se non il nostro Dio?» (Sal<br />
18,32). Tutti i fedeli sono esortati<br />
ad acclamare alla roccia della salvezza:<br />
«Venite, cantiamo al Signore,<br />
acclamiamo la roccia della nostra<br />
salvezza» (Sal 95,1).<br />
Dio «roccia»<br />
contro la superbia<br />
Tra i profeti di Israele, Isaia attribuisce<br />
a Dio l’appellativo di «roccia»,<br />
non solo nel senso di difesa<br />
passiva, ma anche di forza travolgente<br />
che abbatterà le nazioni<br />
superbe, trincerate nelle loro roccaforti<br />
sui monti: «Confidate nel<br />
Signore sempre, perché il Signore<br />
è una roccia eterna perché egli ha<br />
abbattuto coloro che abitavano in<br />
20 | Portavoce | <strong>giugno</strong> <strong>2017</strong>
alto, ha rovesciato la città eccelsa,<br />
l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa<br />
al suolo» (Is 26,4-5).<br />
Per il profeta, come c’è un Dio<br />
unico, così c’è una Roccia unica.<br />
E questo deve dare sicurezza al<br />
popolo: «Non siate ansiosi e non<br />
abbiate paura: non è forse già da<br />
molto tempo che te l’ho fatto intendere<br />
e rivelato? Voi siete miei<br />
testimoni: c’è forse un dio fuori di<br />
me o una roccia che io non conosca?»<br />
(Is 44,8). Il popolo affidandosi<br />
e confidando in Dio, «roccia»,<br />
diventa lui stesso testimone di<br />
questo attributo divino.<br />
Dal cilindro della sua fantasia,<br />
Isaia trae un’altra immagine poderosa.<br />
Evoca una grande festa, in<br />
occasione della quale il popolo era<br />
solito salire a Gerusalemme. Probabilmente<br />
si tratta della «festa<br />
delle Capanne», che si celebrava<br />
in autunno ed era improntata al<br />
ringraziamento per i frutti della<br />
terra (Sukkot, insieme alla Pasqua<br />
e Pentecoste, fa parte dei tre<br />
pellegrinaggi a Gerusalemme prescritti<br />
dalla legge ebraica, ndr). In<br />
quell’occasione il tempio veniva<br />
illuminato e quindi diventava visibile<br />
anche da lontano e polo di<br />
attrazione di tutti pellegrini. Con<br />
queste coordinate leggiamo il testo<br />
di Is 30,29: «Voi innalzerete il vostro<br />
canto come nella notte in cui<br />
si celebra una festa; avrete la gioia<br />
nel cuore come chi parte al suono<br />
del flauto, per recarsi al monte del<br />
Signore, alla Roccia d’Israele».<br />
Qui, per il profeta, il Signore<br />
Dio, «roccia di Israele», diventa la<br />
meta di ogni pellegrinaggio. Non<br />
si va al tempio ma si va da Lui. Il<br />
Signore stesso è quella luce nella<br />
notte che guida i passi lungo i sentieri<br />
che salgono.<br />
Roccia da cui sgorga acqua<br />
Nel cammino di quarant’anni nel<br />
deserto, Mosè e il popolo sperimentano<br />
che Dio è provvidenza e<br />
che a lui ci si deve affidare. Non<br />
sempre questo è risultato chiaro,<br />
tanto che il popolo si è lasciato andare<br />
alla protesta.<br />
Nel libro dell’Esodo si racconta<br />
che – dopo la provvidenziale<br />
divisione delle acque del mare, la<br />
salvezza ottenuta per un soffio e la<br />
dichiarazione solenne di Israele di<br />
credere nel Signore e nel suo servo<br />
Mosè (cf. Es 14) – il popolo si<br />
accampò a Refidim (Es 17,1). Là<br />
però non c’era acqua e gli israeliti<br />
iniziano a protestare contro Mosè:<br />
«Perché ci hai fatti salire dall’Egitto<br />
per far morire di sete noi, i nostri<br />
figli e il nostro bestiame?» (Es<br />
17,3). Il popolo si era già scordato<br />
quello che era successo qualche<br />
giorno avanti presso il Mar Rosso.<br />
È qui che anche Mosè grida al Signore,<br />
preso dallo sconforto più<br />
nero: «Che cosa farò io per questo<br />
popolo? Ancora un poco e mi<br />
lapideranno!» (Es 17,4). A questo<br />
punto il Signore invita Mosè a passare<br />
davanti a popolo, a scegliere<br />
alcuni anziani di Israele e a prendere<br />
il suo bastone, quello con cui<br />
aveva percosso le acque del Nilo.<br />
Dio sta là sulla «roccia»: Mosè dovrà<br />
percuoterla e da essa uscirà acqua<br />
per dissetare il popolo.<br />
L’episodio si ripeterà più avanti e<br />
sarà raccontato con qualche variazione<br />
nel libro dei Numeri (cf. cap.<br />
20). Secondo la tradizione rabbinica,<br />
quella roccia «seguiva» Israele<br />
peregrinante nel deserto. A questa<br />
tradizione si rifà san Paolo quando<br />
afferma che Cristo era già presen-<br />
<strong>giugno</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 21
▶ «una roccia è il mio dio»<br />
te nel deserto, ai tempi dell’esodo,<br />
come sorgente di acqua viva: «Tutti<br />
mangiarono lo stesso cibo spirituale,<br />
tutti bevvero la stessa bevanda<br />
spirituale: bevevano infatti da una<br />
roccia spirituale che li accompagnava,<br />
e quella roccia era il Cristo»<br />
(1Cor 10,3-4). Dio non è una roccia<br />
arida ma una roccia sorgiva di acqua<br />
che disseta.<br />
Meteora, località nel nord della Grecia<br />
La pietra scartata<br />
diventa pietra angolare<br />
Legata al simbolo biblico della<br />
«roccia» è la suggestiva immagine<br />
della «pietra angolare». È la pietra<br />
principale intorno alla quale,<br />
nell’antichità, avveniva la costruzione<br />
di un edificio. Da tale pietra<br />
angolare dipende l’integrità strutturale<br />
di un edificio, tanto che se<br />
si dovesse togliere l’edificio è compromesso<br />
definitivamente. Proprio<br />
questa sua funzione la rende<br />
evocativa.<br />
Nell’inno a Dio creatore di Giobbe<br />
38, all’inizio dell’elenco degli<br />
atti divini di creazione, la voce che<br />
parla di mezzo al turbine chiede a<br />
proposito del mondo: «Dove sono<br />
fissate le sue basi o chi ha posto la<br />
sua pietra angolare?» (Gb 38,6).<br />
L’espressione ricorre soprattutto<br />
nei testi messianici. Compare per<br />
la prima volta nel Salmo 118,22<br />
(«La pietra scartata dai costruttori<br />
è divenuta pietra d’angolo»);<br />
l’immagine evoca un episodio ben<br />
preciso della vita del re Davide. Il<br />
Targum, cioè la traduzione parafrasata<br />
in aramaico del testo ebraico<br />
dell’Antico Testamento, dà al<br />
versetto un chiaro riferimento regale:<br />
«Il giovane che i costruttori<br />
abbandonarono è tra i figli di Iesse<br />
ed è degno di essere nominato re<br />
e regnare» (cf. Targum Sal 118,23-<br />
26). Davide, il figlio più piccolo<br />
di Iesse – «fulvo, con begli occhi<br />
e bello di aspetto» – che nessuno,<br />
nemmeno suo padre, si era preoccupato<br />
di far chiamare, quando<br />
viene presentato al giudice Samuel,<br />
venuto in gran segreto a ungere<br />
il re, è il prescelto dal Signore:<br />
«Disse il Signore: Alzati e ungilo: è<br />
lui! Samuele prese il corno dell’olio<br />
e lo unse in mezzo ai suoi fratelli,<br />
e lo spirito del Signore irruppe<br />
su Davide da quel giorno in poi»<br />
(1Sam 16,12). La conferma è data<br />
dall’irruzione dello Spirito del Signore<br />
su Davide.<br />
Tra le parabole di Gesù, ve n’è<br />
una in cui parla della «pietra scartata».<br />
Gesù è a Gerusalemme. Davanti<br />
all’ostilità del suo uditorio –<br />
farisei, capi del popolo e sacerdoti<br />
–, racconta la parabola dei contadini<br />
omicidi. Nella versione di Matteo,<br />
un padrone pianta una vigna,<br />
la difende con una siepe, vi scava<br />
un frantoio e vi costruisce una torre,<br />
poi l’affida a dei contadini (Mt<br />
21,33-46). Al tempo del raccolto, il<br />
padrone manda a più riprese i suoi<br />
servi, ma i contadini ne bastonano<br />
alcuni e ne uccidono altri. Alla fine<br />
il padrone decide di mandare<br />
suo figlio, l’erede, che viene preso,<br />
portato fuori dalla vigna e là ucciso.<br />
Gesù, troncando bruscamente<br />
il racconto parabolico, chiede ai<br />
suoi ascoltatori: «Quando verrà il<br />
padrone della vigna, che cosa farà<br />
a quei contadini?» (Mt 21,40). Gli<br />
ascoltatori rispondono al maestro:<br />
«Quei malvagi, li farà morire miseramente<br />
e darà in affitto la vigna<br />
ad altri contadini, che gli consegneranno<br />
i frutti a suo tempo». A<br />
questo punto Gesù, citando il Salmo<br />
118, dice: «La pietra che i costruttori<br />
hanno scartato è diventata<br />
la pietra angolare». La parabola<br />
ha un chiaro sapore autobiografico,<br />
perché non solo descrive la<br />
relazione tormentata che c’è stata<br />
tra Dio e il suo popolo, ma soprattutto<br />
perché Gesù si identifica con<br />
questa «pietra scartata»: egli si<br />
sente uno scarto agli occhi degli<br />
uomini, ma davanti agli occhi del<br />
Padre è la «pietra angolare», fondamento<br />
sicuro per costruire il regno<br />
dei Cieli.<br />
Gesù e la sua parola sono la roccia<br />
sopra la quale chi costruisce la<br />
propria casa è certo che né la pioggia,<br />
né lo straripamento di fiumi,<br />
né la furia dei venti la potranno<br />
abbattere. Gesù chiama «saggia»<br />
tale persona (Mt 7,24). P<br />
22 | Portavoce | <strong>giugno</strong> <strong>2017</strong>
<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />
IERI E OGGI<br />
La «fede di Gesù» vissuta da<br />
padre Leopoldo ci fa porre<br />
attenzione a una sua sofferenza<br />
particolare – dico<br />
particolare perché in un<br />
santo noi non la supporremmo<br />
mai – è l’«angoscia» provata al<br />
pensiero del giudizio di Dio. Poiché<br />
è invece comune tra noi la<br />
paura di Dio, la voglio comprendere<br />
nella esperienza del santo.<br />
Consideriamo la fede di fronte alla<br />
sua «paura» di Dio. Vivendo tale<br />
dimensione, il santo partecipava<br />
alla paura di Dio che soffrono gli<br />
uomini e partecipava all’angoscia<br />
vissuta da Gesù in croce nell’abbandono<br />
del Padre.<br />
La fede di Leopoldo<br />
e la fede di Gesù<br />
Il cuore di padre Leopoldo era ricco di tanti sentimenti<br />
umani. Non mancava la paura. Provava angoscia,<br />
infatti, al pensiero del giudizio di Dio. E provò angoscia<br />
anche Gesù in croce nell’abbandonarsi al Padre<br />
◼ <strong>DI</strong> VINICIO CAMPACI<br />
Che Dio si teme?<br />
Quello temuto è il volto di quel<br />
Dio sperimentato dall’uomo credente<br />
sotto la cappa della caduta<br />
di Adamo.<br />
L’invito alla conversione di Gesù<br />
non ha un tono diverso rispetto<br />
all’invito alla conversione di Giovanni<br />
il Battista? C’è un credente,<br />
sì, ma che ancora non è pervenuto<br />
allo splendore del volto di Cristo<br />
Gesù. È ancora partecipe dell’Adamo<br />
vecchio che, cosciente del suo<br />
stato, ha paura di Dio.<br />
Ecco, nella paura di Dio vissuta<br />
da padre Leopoldo colgo come,<br />
nella «fede di Gesù», il Crocifisso<br />
l’abbia portato a vivere in sé la<br />
paura di Dio degli uomini, e come<br />
lui l’ha fatta propria e l’ha vissuta<br />
in croce nell’abbandono al Padre.<br />
È nella santissima umanità di<br />
Gesù che tutta la divina Trinità<br />
«s’incarna», si esprime in forma<br />
umana e si rivela così all’umanità.<br />
Ma è ancora nella santissima umanità<br />
del Cristo che tutta l’umanità<br />
si riversa, si «sfoga» in lui, perché<br />
Gesù nella sua umanità assume<br />
in sé tutta l’umanità, anzi tutta la<br />
Trinità l’assume attraverso l’umanità<br />
di Gesù. Tutta l’umanità viene<br />
trasportata, da Colui che l’ha creata,<br />
nell’umanità di Gesù crocifisso,<br />
tanto da far dire a Paolo: «Colui<br />
che non aveva conosciuto peccato,<br />
Dio lo fece peccato in nostro favore,<br />
perché per mezzo di lui noi potessimo<br />
diventare giustizia di Dio»<br />
(2Cor 5,21). È così che nella santissima<br />
umanità di Gesù Cristo la<br />
divinità e l’umanità si incontrano,<br />
si abbracciano. Vincerà l’amore,<br />
pur rimanendo aperta negli uomini<br />
la possibilità di scelta tra l’amore<br />
e l’odio.<br />
La partecipazione<br />
all’ angoscia di Cristo<br />
La «fede di Cristo» vissuta da padre<br />
Leopoldo deve averlo portato<br />
là, in quella santissima umanità<br />
di Cristo; là deve aver partecipato<br />
alla solidarietà divina per l’umanità<br />
e là deve aver partecipato<br />
all’angoscia dell’umanità. Là ha<br />
partecipato all’atavica «paura» di<br />
Dio provata da Adamo quando<br />
per paura si nascose da Dio: «Poi<br />
udirono il rumore dei passi del<br />
Signore Dio che passeggiava nel<br />
giardino alla brezza del giorno, e<br />
l’uomo, con sua moglie, si nascose<br />
dalla presenza del Signore Dio, in<br />
mezzo agli alberi del giardino. Ma<br />
il Signore Dio chiamò l’uomo e gli<br />
disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho<br />
udito la tua voce nel giardino: ho<br />
avuto paura, perché sono nudo, e<br />
mi sono nascosto”» (Gen 3,8-10).<br />
Se è dolce, soave e divina la<br />
partecipazione all’amore trinitario<br />
che si dona nel Crocifisso, questa<br />
non impedisce l’angoscia che<br />
espresse Gesù nella sua morte in<br />
croce.<br />
Anzi, è proprio l’amore a dar<br />
spazio alla paura perché sia vinta<br />
da esso. Gesù ha pur pianto su Gerusalemme,<br />
ha pianto per l’amico<br />
Lazzaro, per il figlio scappato da<br />
casa; pure si commosse per le folle,<br />
pecore senza pastore; ha pur avuto<br />
parole molto dure di condanna<br />
e disprezzo; ha pur vissuto l’angoscia<br />
fino a sudare sangue; ha pur<br />
fatto sentire il suo grido di abbandonato<br />
da Dio.<br />
È sbagliato pensare che la «paura»<br />
di Dio di padre Leopoldo sia<br />
partecipazione all’angoscia, alla<br />
«paura» vissuta da Gesù? Se accettiamo<br />
la sua partecipazione alla<br />
paura atavica di Adamo, perché<br />
non dovremmo accettare la sua<br />
partecipazione alla «paura» di Gesù<br />
morente, nuovo Adamo? E poi,<br />
se padre Leopoldo vive la «fede<br />
di Gesù», per lui la paura avrebbe<br />
solo il senso, il valore di un problema<br />
psicologico, dello stato di coscienza<br />
di peccato? Se in Gesù ci è<br />
stato possibile cogliere un duplice<br />
26 | Portavoce | <strong>giugno</strong> <strong>2017</strong>
Gesù angosciato prega nell’orto degli ulivi<br />
aspetto della sua passione – vedendo<br />
da una parte agire gli uomini e<br />
dall’altra agire il Padre e lo Spirito<br />
–, non sarebbe possibile leggere<br />
anche san Leopoldo in questa duplice<br />
visione: la sua condivisione<br />
alla esperienza di Gesù crocifisso<br />
e alla sua esperienza del tormento<br />
dell’umanità senza Dio?<br />
Se fosse così, le nostre «paure»<br />
di Dio potremmo «guardarle» e<br />
«viverle» in diverso modo.<br />
Il suo biografo padre Pietro Bernardi<br />
parla di «prove strazianti»<br />
in padre Leopoldo. Un complesso<br />
di circostanze, tuttavia, faceva<br />
capire che c’era qualcosa d’eccezionale<br />
nella sua orazione. «Quel<br />
misterioso sostare prima di pronunciare<br />
parole che predicevano<br />
con sicurezza l’avvenire o che annunciavano<br />
un miracolo; il profondo<br />
raccoglimento, così da non<br />
avvertire quanto accadeva attorno<br />
a lui, sino a doverlo scuotere fortemente<br />
per richiamarlo alla realtà;<br />
il viso spesso raggiante e quasi trasfigurato,<br />
particolarmente dopo la<br />
consacrazione nella santa messa;<br />
gli occhi talvolta luminosi come<br />
due soli, così da impressionare<br />
quanti gli erano vicini, dicevano<br />
abbastanza della sua altissima<br />
unione con il Signore» (Pietro Bernardi,<br />
Leopoldo Mandić . Santo della<br />
riconciliazione e dell’ecumenismo<br />
spirituale, Edizioni San Leopoldo,<br />
Padova 2016, XIII ed., p. 107).<br />
Le prove spirituali<br />
Eppure un fatto doloroso, come<br />
sono le sue aridità spirituali, apre<br />
uno spiraglio nel mistero delle intime<br />
relazioni dell’anima di padre<br />
Leopoldo con Dio.<br />
«Le sue aridità spirituali erano<br />
molto frequenti – testimonia ancora<br />
il suo biografo Pietro Bernardi<br />
– e così acerbe da causargli vere<br />
agonie. Lo assalivano subitanee,<br />
violentissime tentazioni. La fede<br />
vacillava; quello che prima era<br />
limpido, chiaro, preciso, svaniva<br />
nell’incertezza; pareva che tutto<br />
crollasse come in una casa scossa<br />
da violento terremoto. Particolarmente<br />
l’eternità dell’inferno gli<br />
sconvolgeva la mente. “Come può<br />
Iddio – sentiva quasi risuonarsi<br />
all’orecchio da una voce misteriosa<br />
– per un peccato momentaneo,<br />
punire in eterno? È giusto? Soprattutto,<br />
è misericordioso? Allora,<br />
come mai?”. Era un’angoscia.<br />
Le facoltà sembravano inceppate,<br />
incapaci di reagire; la mente era<br />
stretta come in una morsa. Passata<br />
la burrasca, se qualcuno gli<br />
ricordava questa tremenda verità,<br />
quasi ancora sotto un incubo terrorizzante<br />
diceva impallidendo:<br />
“Lasciamo, lasciamo stare! Io non<br />
ci penso, perché mi gira la testa.<br />
Iddio è padre... basta; Egli solo<br />
sa fare quello che è bene!”. Tutto<br />
quello che aveva fatto, tutto quello<br />
che faceva, sembrava sbagliato;<br />
gli pareva impossibile poter continuare<br />
nel suo lavoro, giacché<br />
avrebbe rovinato le anime e perduto<br />
se stesso; e lo assalivano noia,<br />
scoraggiamento, paura. Dal fondo<br />
dell’animo sconvolto, salivano<br />
rabbiosi i sentimenti di rivolta per<br />
le continue sofferenze, per le minorate<br />
condizioni fisiche. Un’umiliazione<br />
ricevuta in quei momenti<br />
sembrava ingigantirsi e diventare<br />
insopportabile. Si avvicinava anche<br />
Satana per tormentarlo nei<br />
sensi con forti, abominevoli tentazioni<br />
e a tribolarlo nello spirito<br />
con sozzi pensieri, e vivissime<br />
rappresentazioni nella fantasia.<br />
<strong>giugno</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 27
▶ la fede di leopoldo e la fede di gesù<br />
Era uno strazio più doloroso della<br />
morte» (Bernardi, op. cit., p. 109).<br />
A giudizio di parecchi suoi<br />
confratelli, a volte, dava persino<br />
l’impressione che l’equilibrio della<br />
mente non lo reggesse più. «Stretto<br />
com’era da ogni parte dalle angustie,<br />
non sapeva più cosa fare, a<br />
chi rivolgersi, tanto che all’esterno<br />
appariva sconvolto, sfigurato,<br />
quasi inebetito» (Bernardi, op. cit.,<br />
p. 109).<br />
L’ àncora della fede<br />
Padre Leopoldo trovava forti parole<br />
di fede per confortare e incoraggiare<br />
chi stava passando momenti<br />
di smarrimento e di sfiducia, e<br />
scriveva: «Stia fermo nella sua<br />
fede. Realmente e veramente Egli<br />
le dice: “Io sono il tuo conforto”.<br />
Non le scrivo semplicemente da<br />
uomo, ma anche in nome di quella<br />
autorità che mi viene in quanto<br />
io, contro ogni mio merito, sono<br />
ministro del santo Vangelo. Sì, sì,<br />
veramente a lei che ha tutta la fede<br />
in Cristo Nostro Dio e Redentore,<br />
in questo istante si serve della<br />
mia povera persona per scrivere a<br />
lei queste parole di conforto e di<br />
consolazione» (Ad Antonio Settin,<br />
23.12.1908, in Battel R.-Lazzara<br />
G. a cura, Dall’intimo del mio povero<br />
cuore. Lettere e altri scritti di<br />
san Leopoldo Mandić, Edizioni San<br />
Leopoldo, Padova 2015, p. 198).<br />
Anzi, si legge in Lorenzo da Fara,<br />
che «potrebbe sembrare che<br />
padre Leopoldo fosse un sacerdote<br />
dal conforto facile; che egli fosse<br />
soltanto preoccupato di invocare e<br />
di chiedere la fede come base per<br />
portare all’uomo la consolazione<br />
e il conforto di una guarigione, di<br />
una fiducia nella vita» (Leopoldo<br />
Mandić, umanità e santità, Ed. San<br />
Leopoldo, Padova 2014, p. 105).<br />
Ma lui stesso conferma: «Io ho<br />
sempre avuto paura della morte;<br />
e come non averne se anche Gesù<br />
tremò dinanzi ad essa e pregò il<br />
suo divin Padre di allontanare da<br />
Lui quel calice amaro? Però, quello<br />
che maggiormente mi spaventa<br />
non è il fatto del nostro dissolvimento<br />
fisico, quanto il pensiero<br />
che, dopo la morte, ci attende il<br />
tremendo giudizio di Dio. E io sono<br />
peccatore. Voglia il Padrone Iddio<br />
avere pietà di me!» (Bernardi,<br />
Tavola di Giorgio Trevisan<br />
op. cit., p. 342). Le parole di padre<br />
Leopoldo sono molto meno preoccupate<br />
di giustificare qualcosa. Sono<br />
di una chiarezza e di una umanità<br />
senza veli.<br />
L’ esperienza di Dio<br />
nei profeti. Dio non è<br />
indifferente al male<br />
Nella nostra divina rivelazione si<br />
conosce un’esperienza di Dio che<br />
viene ad arricchire il senso e il valore<br />
della «paura Dio»: è l’esperienza<br />
di Dio testimoniata dai grandi<br />
profeti della prima Alleanza.<br />
Nell’esperienza di Dio i profeti<br />
della Prima Alleanza offrono<br />
un’interpretazione della presenza<br />
di Dio nell’uomo, della sua sollecitudine<br />
per l’uomo. Essi svelano at-<br />
28 | Portavoce | <strong>giugno</strong> <strong>2017</strong>
all’uomo che ciò che esiste tra Dio<br />
e l’uomo è l’amore, e che la vita di<br />
Dio è un coinvolgimento emotivo<br />
nella vita dell’uomo: Dio è intimamente<br />
toccato dagli eventi storici.<br />
Il pathos in Dio significa che Dio<br />
non è mai neutrale, mai al di là del<br />
bene e del male. L’«ira» è un aspetto<br />
del pathos divino: è coinvolgimento<br />
e sollecitudine. L’ira di Dio<br />
è provocata dai peccati dell’uomo.<br />
La sua ira può essere insopportabilmente<br />
terribile, eppure essa<br />
«Quello che maggiormente mi spaventa non è il fatto<br />
del nostro dissolvimento fisico, quanto il pensiero che,<br />
dopo la morte, ci attende il tremendo giudizio di Dio.<br />
E io sono peccatore. Voglia il Padrone Iddio avere pietà<br />
di me!» (padre Leopoldo)<br />
significato, lo scopo dell’ira di Dio:<br />
la fine dell’indifferenza! Si può<br />
sperare da coloro che sono spinti<br />
sull’orlo della disperazione che la<br />
malizia e la crudeltà avranno una<br />
fine? Possono essi trovare conforto<br />
nel pensiero che il male non è la<br />
fine, che il male non è mai l’apice<br />
della storia?<br />
Questo è il più inquietante interrogativo<br />
in un mondo in cui<br />
il giusto soffre e il malvagio prospera:<br />
Dio perdona, e cosa significa?<br />
Dio si preoccupa di ciò che è<br />
giusto e di ciò che è sbagliato? Lo<br />
sfruttamento del povero è per noi<br />
una trasgressione; per Dio è una<br />
sventura. La reazione nostra è la<br />
disapprovazione; quella di Dio è<br />
qualcosa che nessun linguaggio<br />
può trasmettere.<br />
teggiamenti «di Dio», più che idee<br />
«su Dio». In essi si coglie la presenza<br />
e l’ansia di Dio per gli uomini.<br />
Dio è toccato e colpito da ciò che<br />
accade nel mondo e reagisce di<br />
conseguenza. Eventi e azioni umane<br />
suscitano in lui gioia o dolore,<br />
piacere o ira. Egli reagisce in modo<br />
intimo e soggettivo. Le azioni<br />
umane possono eccitare, coinvolgere,<br />
commuovere, adirare, oppure,<br />
all’opposto, renderlo felice e<br />
contento. Questo modo di precisare<br />
l’esperienza di Dio nei profeti è<br />
chiamato pathos, perché Dio può<br />
essere mosso intimamente.<br />
Dio si occupa del mondo e ne<br />
condivide il destino. Della disponibilità<br />
di Dio a lasciarsi coinvolgere<br />
intimamente nella storia dell’uomo,<br />
i profeti sono testimoni di<br />
fronte agli uomini. Si può dire che<br />
i profeti fanno più caso alla emozione<br />
di Dio che non alla situazione<br />
umana in sé e per sé; anzi è proprio<br />
per il loro coinvolgimento al<br />
dolore di Dio che sono portati a far<br />
caso all’atteggiamento dell’uomo.<br />
La vita nel peccato è ben più di<br />
un fallimento dell’uomo; è una delusione<br />
per Dio. L’uomo è l’eterna<br />
premura di Dio. Tutto ciò che l’uomo<br />
fa influisce non solo sulla sua<br />
vita, ma anche su quella di Dio.<br />
Il profeta viene coinvolto da Dio<br />
nel suo pathos per le sue creature.<br />
In questa preoccupazione, compassione,<br />
premura e attenzione di<br />
Dio, il divino e l’umano si incontrano.<br />
La commozione, la compassione<br />
è il punto focale, il compendio<br />
di ogni rapporto tra Dio e l’uomo.<br />
Il profeta interviene a ricordare<br />
non è altro che l’espressione e lo<br />
strumento della sua eterna sollecitudine.<br />
Il termine biblico «ira»<br />
denota la giusta indignazione, è<br />
impazienza con il male, è un moto<br />
dell’anima che sale per reprimere<br />
i peccati. La sollecitudine di Dio è<br />
il presupposto e la sorgente della<br />
sua ira; infatti è perché si prende a<br />
cuore l’uomo, che la sua ira si può<br />
accendere contro l’uomo.<br />
C’è, invece, un male che molti<br />
di noi tollerano e di cui sono perfino<br />
colpevoli: l’indifferenza al male.<br />
Noi restiamo neutrali, imparziali e<br />
non siamo facilmente scossi dal<br />
male inferto ad altre persone. L’indifferenza<br />
al male è più insidiosa<br />
del male stesso; è più universale,<br />
più contagiosa e più pericolosa. Si<br />
tratta di una giustificazione silenziosa<br />
che rende possibile un male<br />
che erompe come un’eccezione e<br />
lo fa diventare la regola, rendendolo<br />
così accetto.<br />
In questo senso, la collera di Dio<br />
è una lamentazione. È una grande<br />
esclamazione: Dio non è indifferente<br />
al male! Egli è coinvolto intimamente<br />
dal male. Questo è il<br />
L’ ira e la misericordia<br />
In fondo, l’«ira» in Dio ha lo stesso<br />
fine della misericordia: portare<br />
alla correzione, alla salute, alla verità.<br />
La misericordia senza l’attesa<br />
della correzione esiste? Eppure, al<br />
di là della giustizia e dell’ira, c’è il<br />
mistero della compassione. Il motivo<br />
dell’ira di Dio è la sua simpatia<br />
per le vittime della crudeltà umana.<br />
Il segreto dell’ira è la sollecitudine<br />
di Dio per le vittime. Questa<br />
è la grandezza della compassione<br />
di Dio così com’è proclamata dai<br />
profeti. È un amore che trascende<br />
l’ira più intensa, un amore che riconosce<br />
pienamente la debolezza<br />
umana. Il significato dell’ira è strumentale:<br />
produrre il pentimento,<br />
un invito al ritorno e alla salvezza.<br />
La misericordia vince su tutto.<br />
Non c’è nulla di più grande della<br />
misericordia di Dio, del suo amore.<br />
Questa è la grandezza della<br />
compassione di Dio che riconosciamo<br />
manifestata in Gesù Crocifisso:<br />
«Dio ha tanto amato il mondo<br />
da dare suo Figlio!» (Gv 3,16).<br />
È un amore che trascende l’ira più<br />
intensa, un amore che riconosce<br />
<strong>giugno</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 29
<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />
IERI E OGGI<br />
pienamente la debolezza umana.<br />
Ma, finché siamo in questo mondo<br />
e prima che giunga il mondo<br />
costruito nuovo nella risurrezione<br />
di Gesù, non si può restare<br />
tranquilli di fronte ai crimini<br />
commessi dagli uomini, e ai disastri<br />
che li colpiscono: i profeti<br />
antichi e quelli odierni devono<br />
ricordare a sé e agli altri che il<br />
cuore di Dio non è di pietra.<br />
Certo, questo era il linguaggio<br />
di san Leopoldo, ma questo<br />
è quanto la riflessione teologica<br />
della fede cristiana ha potuto<br />
concepire per mettere a disposizione<br />
di tutti il mistero divino<br />
sperimentato dai santi. La fede<br />
lo porta al nocciolo del suo essere<br />
cristiano, secondo quanto dice<br />
Gesù: «Questa è la vita eterna:<br />
che conoscano te, l’unico vero<br />
Dio, e colui che hai mandato, Gesù<br />
Cristo» (Gv 17,3), cioè riconoscere<br />
colui che è stato crocifisso<br />
per gli uomini, il Gesù Crocifisso.<br />
Quante volte Leopoldo avrà<br />
sentito proclamare che Gesù<br />
provò compassione per le folle,<br />
che pianse su Gerusalemme, che<br />
pianse per la morte di Lazzaro,<br />
che si commosse per il figlio<br />
morto della vedova; quante volte<br />
sentì annunciare che Gesù morì<br />
in croce per compassione di noi<br />
peccatori! E lo vedo desideroso di<br />
vivere accanto a Gesù e di cogliere<br />
in Gesù la compassione per gli<br />
uomini d’oggi, quando fa la sua<br />
scelta di essere davvero cristiano,<br />
di seguire una vita religiosa proprio<br />
al seguito di quel Francesco,<br />
il quale ebbe le piaghe di Gesù<br />
impresse nel suo corpo. Tanto<br />
partecipò alla vita di compassione<br />
con Gesù, tanto ne fu coinvolto<br />
che, da amico, si sentiva di<br />
supplicarlo ogni volta che celebrava<br />
la messa così: «Agnello di<br />
Dio, che togli i peccati del mondo,<br />
abbi pietà di noi». P<br />
(4-continua)<br />
L’ Adorazione<br />
dei pastori<br />
Arte in santuario Tre giovani venerano il bambino<br />
Gesù mentre, a piedi e a cavallo, si avvicina una serie<br />
di Magi<br />
◼ <strong>DI</strong> ANNA ARTMANN<br />
e la lettura<br />
del le opere d’arte presenti<br />
nel santuario di san<br />
Leopoldo a Padova pone<br />
L’approccio<br />
in luce notevoli e accattivanti<br />
dipinti di validissimi autori<br />
attivi soprattutto nel nostro territorio.<br />
Così è per «L’ Adorazione dei<br />
pastori», tela di felice impostazione,<br />
ricca nei dettagli, attribuita a ignoto<br />
pittore di scuola veneta (secolo<br />
XVI). L’opera è posta sulla parete<br />
destra del transetto di sinistra del<br />
presbiterio.<br />
Il soggetto sacro è la scena della<br />
Natività: episodio evangelico assai<br />
noto e diffuso, oggetto di devota<br />
ammirazione per moltissimi arti-<br />
30 | Portavoce | <strong>giugno</strong> <strong>2017</strong>
sti che diedero vita a straordinari<br />
capolavori.<br />
La raffigurazione, intonata a<br />
sentimenti umani e spirituali, fa<br />
memoria del toccante mistero<br />
della nascita del celeste Bambino<br />
in una povera capanna. Su di<br />
lui, avvolta in un lungo mantello<br />
blu, è china la Vergine Madre e,<br />
dietro di lei, forte e protettivo, il<br />
buon Giuseppe. L’immagine della<br />
scena acquista dinamismo e vivacità<br />
con i tre giovani pastori, dal<br />
timbro cromatico deciso, ritratti<br />
in atteggiamento di stupore e di<br />
adorazione. Uno di essi appare<br />
inginocchiato e a mani giunte,<br />
mentre un altro regge una rustica<br />
gabbietta con una coppia di tortore:<br />
affettuoso omaggio al piccolo<br />
Gesù (un richiamo a quelle poi<br />
offerte al tempio?). La feconda<br />
creatività, coniugata a una simpatica<br />
nota di originalità, definisce la<br />
scena con una pecorella acciambellata<br />
accanto alla culla e, quasi<br />
alter ego, nell’angolo apposto, due<br />
vispi coniglietti intenti a giocare.<br />
Un linguaggio pittorico e poetico,<br />
modulato su chiaroscuri disegna i<br />
profili di volti, di abiti segno di una<br />
attenta resa pittorica.<br />
La luce si posa sull’incarnato<br />
delicato del Bambino e della Madonna<br />
tramite lievissime pennellate,<br />
fuse con sapienza. Sorprendente<br />
la sequenza dell’arrivo di diversi<br />
Re Magi con i loro cavalli bruni,<br />
tra i quali spicca uno tutto bianco,<br />
a rischiarare uno sfondo cupo. In<br />
basso, altri personaggi del corteo<br />
anticipano l’arrivo dei cavalieri<br />
(particolare nella foto a lato).<br />
È, questa, una sequenza originalissima<br />
che rende piacevole la<br />
lettura del dipinto ancorato alla<br />
storia e, nel contempo arricchito<br />
da tocchi di fantasia che non nuocciono<br />
alla realtà della descrizione<br />
sempre espressiva. Un’iconografia<br />
popolare, familiare, permeata di<br />
una innata sensibilità di valenza<br />
umana e cristiana. Calibrate sfumature<br />
cromatiche arrotondano<br />
e ingentiliscono i contorni delle<br />
figure rendendo il tutto assai godibile<br />
e interessante. P<br />
<strong>giugno</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 31
Distribuzione di cibo alla portineria<br />
del convento dei cap puc ci ni di Padova<br />
(anni 1930-40)<br />
VICINI A CHI HA BISOGNO. DA SEMPRE<br />
Mensa per i poveri presso il convento<br />
dei cappuccini di Padova<br />
IL TUO «5 X MILLE» PER LE OPERE <strong>DI</strong> CARITÀ<br />
DEI FRATI CAPPUCCINI<br />
CUD<br />
2016<br />
Devolvi il «5 x 1000» all’Associazione di volontariato «Amici di<br />
san Francesco», a beneficio delle opere di carità dei cappuccini<br />
del Triveneto. Non ti costa nulla. Basta la tua firma e scri vere il<br />
numero di codice fiscale 90082970279 nella dichiarazione<br />
dei redditi (modello CUD, 730, UNICO)<br />
I<br />
IN CASO <strong>DI</strong> MANCATO RECAPITO, RINVIARE ALL’UFFICIO POSTALE <strong>DI</strong> PADOVA C.M.P., DETENTORE<br />
DEL CONTO, PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA