Giugno 2017

Livorno
Anno 31 - N° 640
non stop
Omaggio
mensile indipendente «strettamente» livornese
Giugno
2017 l’ira di Melioco
Troppe «zone calde» rendono la vita insopportabile
a numerosi cittadini che hanno
paura, specie di sera, di uscire o rientrare
nelle loro case o che rivendicano il diritto
di dormire tranquillamente. Risse, schiamazzi,
spaccio, prostituzione, alcol e atti indecenti la
fanno da padrone. Occorrono rimedi ancora più incisivi e
fermezza da parte delle istituzioni. Il rischio che la situazione
degeneri è già troppo alto.
Totò
e
Livorno
Totò alla Gran Guardia
Specializzata in modellini radiocomandati esportati ovunque dagli anni ‘70
si è dovuta arrendere nel 2000 all’invasione dei prodotti cinesi e giapponesi
Monteleone,
la fabbrica
livornese
che ha fatto la felicità
dei bambini (e dei grandi)
di tutto il mondo
Otello Bacci e Totò
Il grande artista
conobbe la nostra
città in occasione
del servizio militare
e proprio qui
nacque la celebre
battuta
“Siamo uomini
o caporali?”
alle pagg. 4-7
alle pagg. 10-12
Vittorio Monteleone ospite a
Maranello e alcuni modellini prodotti
dalla sua fabbrica.
L’eccelso critico d’arte nonchè opinionista senza peli sulla lingua
è arrivato a dire che Livorno è meglio di Pisa
Vittorio Sgarbi: apprezzamenti entusiastici
su città, lungomare e tesori artistici
alle pagg. 8-9

LIVORNOnonstop è...
PRONTA RISPOSTA DELL’ASSESSORE BELAIS
AD UN QUESITO DI UN NS. LETTORE
Piazza della Repubblica:
ecco superficie e dimensioni
Gentile Signor Damari, spett.le redazione di Livornononstop,
ho ricevuto una lettera protocollata lo scorso 11 maggio, da parte
del signor Mario Lorenzini che, attraverso un articolo pubblicato
sul vs. periodico, lamentava il fatto di non aver mai avuto risposta
dal Comune e dal Sindaco in merito alla sua richiesta di conoscere
la reale superficie di Piazza della Repubblica.
Scrivo a lei perchè nella suddetta lettera l’interessato non ha indicato
alcun contatto per potergli rispondere direttamente.
Di conseguenza affido alle pagine del vs. giornale la risposta al
quesito.
In allegato si unisce la planimetria di piazza della Repubblica con
una superficie di mq. 18.387,10.
La larghezza massima è ml. 86,84 quella minima è ml. 80,58
La lunghezza massima è ml. 232,85 quella minima è ml. 213,28
Colgo l’occasione per porgere i miei più cordiali saluti a lei e al
signor Lorenzini.
Dott. Francesco Belais
Assessore Cultura, Turismo & Grandi Eventi
Ringraziamo l’assessore Francesco Belais per la pronta e dettagliata
risposta, con tanto di planimetria allegata, sulle reali dimensioni
della Piazza della Repubblica, dopo che un nostro lettore
aveva posto dei quesiti in merito sul numero scorso. Oltre a
risolvere il (piccolo) problema al nostro lettore, fa comuque piacere,
la tempestività dell’assessore, che è anche la dimostrazione
che quando un cittadino scrive agli Uffici comunali non sempre
trova “porte chiuse” ma riceve prontamente risposte, a patto che
indichi il suo recapito.
La planimetria di Piazza della Repubblica.
2
«Sono arrivata a Livorno per
motivi sentimentali (il padre di
mio figlio Luca è livornese). Amo
il senso di libertà che si respira, la
vita quasi naif di questa città.
Quello che da romagnola farei
invece è provare a sfruttare meglio
le sue potenzialità enormi
specie nel turismo. A Riccione,
dove c'erano solo case di pescatori,
è stato creato un impero turistico,
perché a Livorno, con le
sue bellezze naturali, la sua arte
(penso a Mascagni, a Modigliani,
a Fattori) invece no?»: LAU-
RA BRIOLI, mezzosoprano, direttrice
artistica dell'Istituto Musicale
"Rodolfo Del Corona"(Il
Tirreno del 9/5/17).
«In questo momento al cantiere
Azimut Benetti ci lavorano 1.100
persone e stiamo costruendo 10
yacht sopra i 50 metri. Noi senza
Livorno avremmo un terzo del
fatturato attuale. In città però le
cose non sono così tranquille. Il
valore del cantiere non è compreso
proprio da tutti. E' ancora
aperta la questione sulla gestione
dei bacini: senza non potremo
costruire yacht superiori a
100 metri, non ci sono gli spazi.
Senza bacini tra 8 anni saremo
costretti ad andarcene. Stiamo
resistendo. Siamo orgogliosi di
stare qui. A Civitavecchia hanno
un'enormità di spazi vuoti e, diciamocelo,
quasi ce li regalerebbero...»:
VINCENZO POE-
RIO, a.d. Azimut Benetti (Il Tirreno
del 10/5/17).
«Io sono al vostro fianco per
smuovere quanto prima questo
immobilismo: è da quando sono
arrivato che combatto per il diritto
alla casa, che è un diritto
biblico»: Mons. SIMONE GIU-
STI, Vescovo di Livorno, (Il Tirreno
del 18/5/17).
«Rispetto a una decina di anni
fa facciamo circa il 30% in meno
di polizze. Siamo in una fase davvero
critica, le cose sono peggiorate
soprattutto negli ultimi 2-3
anni. Al centro di tutto c’è la crisi
economica, ma non è l’unico
aspetto di questo calo generale.
Il boom delle compagnie assicurative
online ha portato tante
persone a sottoscrivere la polizza
auto sui siti internet, sfruttando
magari le offerte del momento.
Ma alcune di queste sono agenzie
fantasma, a volte trovare la
sede legale è un’odissea, non ci
sono garanzie in caso di sinistro
e chiedere il risarcimento danni
m
a
b
r o
g
opinioni
p
s
e
Questo,
l’ho
detto io!
frasi
estrapolate
dalla
stampa
cittadina
e non
diventa quasi impossibile»: MI-
CHELE FALCHI, agente assicurativo
della Zurich (Il Tirreno del
18/5/17).
«Ho presentato un piano di impresa
con 102 posti di lavoro e
un investimento di 25 milioni di
euro insiema a Aldo Spinelli. Ora
simao in 20, saremmo arrivati a
102, quindi con 82 assunzioni. E
sai cosa ha fatto l’Autorità Portuale?
L’ha cestinato. Proprio
così, cestinato. L’ha considerato
irricevibile. Ci rendiamo conto:
a Livorno ci sono 35mila disoccupati,
dati Cgil, con umeri in
aumento. E qui mi hanno cestinato
un piano con 82 assunzioni
e 25 milioni di investimento...»:
CRISTIANO LUCARELLI, imprenditore
(Il Tirreno del 17/4/
17).
Reg. Trib. Livorno n. 451 del 6/3/1987
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Amministrazione e Stampa:
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Gli articoli firmati o con pseudonimo riflettono
unicamente le opinioni dell'autore.
Numero chiuso il giorno 30/5/2017

LIVORNOnonstop è...
La terza pagina
3
la terza pagina
di Cesare Favilla
Quattro Mori, un insulto alla libertà?
Il monumento dei Quattro
Mori fu innalzato per commemorare
la vittoria sui corsari
turchi e barbareschi da
parte della Marina Toscana
affidata ai Cavalieri di Santo
Stefano. Di qualunque colore
essi fossero, a qualunque
razza umana essi fossero appartenuti,
resta l’inconfutabile
fatto che compivano atti
contro la libertà e contro la
civiltà che deve sempre aver
ragione sulla barbarie.
E che Livorno, sorretta dai
Medici, fosse una città civile
anche nel più ampio senso
moderno, lo dimostrano
le “livornine” di Ferdinando
I e l’accoglienza su questo
lido di migliaia e migliaia di
derelitti, di ogni razza e colore,
fuggiti o scacciati dalle
loro terre naturali. Ferdinando
accolse tutti, bianchi, neri,
ebrei e turchi e promise loro
protezione a condizione che
si comportassero civilmente.
Livorno divenne così una
città cosmopolita e forse
l’unico luogo dove gli ebrei
non furono mai confinati in
un ghetto. E la Congregazione
dei Padri Trinitari per la
liberazione degli schiavi,
quanto bene procurava in
quei tempi all’umanità schiavizzata
in ogni parte del mondo
conosciuto!! !
Un ricorrente slogan pubblicitario,
che spesso giunge ai
nostri orecchi, ci invita a leggere
la storia ed a seguire
certi progranuni televisivi
“Per mantenere viva lo memoria
di ciò che è accaduto
nel passato”. Giusto, giustissimo,
le generazioni presenti
debbono conoscere il
faticoso cammino che l’umanità
ha percorso per raggiungere
questo terzo millennio
perché hanno il compito di costruire
e lasciare ai loro discendenti
un mondo sempre migliore.
D’altra parte, bisogna convincersi
che, nel campo dell’arte,
non esiste alcun limite all’espressione
di un’idea. Capolavori
che rapppresentano
schiavi e gruppi di schiavi si trovano
a Firenze, a Roma e a Parigi
e nei più grandi musei degni
dell’ammirazione di milioni e milioni
di turisti e di studiosi. E
Cicerone, tanto per ricordare un
grande dell’arte oratoria, candidamente
espresse questo suo
pregiudizio razziale: “Non comprare
mai schiavi bntannici;
sono tutti fannulloni e stupidi”.
Per questo dovremmo cancellare
dalla storia il grande oratore e
letterato Marco Tullio Cicerone?
E degli scrittori e filosofi
greci e romani che ne facciamo?
La croce stessa, simbolo del cristianesimo
e della passione, di
Gesù non è forse il più tragico
esempio di razzismo? Per l’amor
di Dio, finiamola di vivere nell’immaginario
campo dell’utopia,
finiamola con la banale retorica.
Finiamola anche con
quell’atteggiamento improntato
ad una inutile ed artificiosa ricerca
dell’effetto demagogico
con espressioni, programmi e
promesse che lusingano le aspirazioni
delle masse.
Liberare i quattro mori! E poi, che
cosa si ottiene? Si cancellano i
crimini e la barbarie che hanno
accompagnato e tuttora accompagnano
il cammino dell’uomo?
Si cancella la storia? La punizione
dei delinquenti, dei criminali,
di coloro che turbano il vivere
sociale è stata, e sarà sempre
una forma di legittima autodifesa
della società.
Cambiano i tempi, cambiano gli
ordinamenti e cambiano le sanzioni.
Ciò che è accaduto nel passato
deve essere conosciuto,
compreso, criticato e additato
come monito per il bene delle future
generazioni. E’ sempre inutile
nascondere la realtà, la verità.
Non posso, a questo punto
fare a meno di ricordare che già
una volta nella storia, qualcuno
tentò di “liberare i quattro mori
in nome della “libertà, dell’eguaglianza
e della fratellanza”:
fu il generale francese Siesto
Miollis che, al comando delle
truppe repubblicane, preso da
un esagerato sentimentalismo, o
meglio da una infatuazione di false
idee di libertà, sostenne, per
un po’, che il monumento dei
Quattro Mori era da considersi
come il “monumento della tirannide
sull’umanità”.
Correva l’anno 1799 ed i francesi,
desiderosi di riscattare il popolo
oppresso dall’oscurantismo,
proposero di abbattere
“l’infame monumento”. In realtà
il loro programma era quello di
una spoliazione sistematica dell’Italia.
Quando le loro velleità rivoluzionarie
si estinsero con il colpo
di Stato del18 Brumaio (9
novembre 1799), anche i Quattro
Mori furono lasciati in
pace. Ferdinando I tornò sul
suo piedistallo con grande
giubilo di tutti i livornesi che
celebrarono l’evento con tanto
di cerimonia ufficiale. Con
questo atto i livomesi non
ucccisero né libertà, né eguaglianza,
né fratellanza, anzi,
basta leggere qualche pagina
della storia di questa città, per
rendersi conto di quanto questi
tre pilastri della umana
convivenza siano sempre stati
gli elementi portanti della vita
livornese.
I francesi, invece, sempre ispirati
dai lori sentimenti umanitari...,
si contentarono di portar
via, cioè di rubare, i trofei
principeschi che ornavano il
piedistallo dei Quattro Mori!
Nella seconda parte del secolo
XlX i livornesi non permisero
nemmeno il trasferimento
dei Quattro Mori in Piazza
d’Arme, cioè in quella che fu
la Piazza Grande, vanto di Livorno.
Andate ora a dir loro di
toglierli di mezzo!
La storia non si cancella. L’arte
non si distrugge e le tradizioni
sono il piedistallo su cui
poggiano i principi di sviluppo
e libertà per i quali Ferdinando
I de Medici, il 19 marzo
del 1606, onorò Livorno col
titolo di “Città”.
Livorno e i Quattro Mori sono
una cosa sola e tutte livornesi
sono le parole che formano i
versi di questo antico “rispetto”:
Alla marina, che c’è i Quattro Mori,
Vienitili a vede’come son neri
Son quattro ladroncelli rubacuori.
Altro non dico.

LIVORNOnonstop è...
4
amarcord
Totò e Livorno
Il grande artista conobbe la nostra città in occasione del servizio militare
e proprio qui nacque la celebre battuta “Siamo uomini o caporali?”
Martedì 22 gennaio 1957: Totò, applauditissimo, si presenta tra il pubblico della Gran Guardia all’inizio dello spettacolo “A prescindere”. (foto Del Secco)
di Marcello Faralli
La Caserma Carlo Pisacane di via Nazionale (oggi viale G. Marconi) in una
cartolina d’epoca dove Totò ha svolto il servizio militare a Livorno.
22/1/1957: Totò mentre sale sul palco
della Gran Guardia tra gli applausi
degli ospiti della famiglia Marinari-Lippi
nel palchetto d’onore. A fianco:
la locandina dello spettacolo “A
prescindere”. (foto Del Secco)
Il 15 aprile scorso ricorreva il cinquantesimo
anniversario della
morte di Totò. Può sembrare fuori
luogo che questo mensile di
costume livornese ricordi il grande
attore e fantasista napoletano.
Ma scoprirete che tra Antonio
De Curtis (alias Antonio Griffo
Focas Flavio Angelo Ducas
Comnemo Porfirogenito Gagliardi
de Curtis di Bisanzio) e Livorno
c’è una forte comunanza.
Racconta, nella sua prefazione
al libro “Siamo uomini o caporali?”
(da cui è tratto il film omonimo)
della sua permanenza in
città per il servizio di leva. Era
poco più che un ragazzo quando
decise di arruolarsi volontario
nell’esercito e venne assegnato
al 22° reggimento di stanza
a Pisa. Comprese subito che
l’esercizio meno gravoso, che
gli riusciva meglio, era quello di
“marcare visita”. Divenne ben
presto uno specialista non gradito
ai superiori i quali, appena
si presentò l’occasione lo spedirono
a un battaglione di fanteria
destinato alla Francia. Ma
nel paese transalpino non arrivò
mai perché il suo repertorio
di recitatore di malesseri lo portò
al ricovero nell’ospedale di
Alessandria.
Scongiurata la destinazione transalpina
fu successivamente assegnato,
dopo una breve permanenza
all’87° reggimento di fanteria
di Siena, all’88° di stanza a
Livorno. E qui sembra essersi
adattato se è vero, come dice,
che vi terminò il servizio militare.
Racconta però che ebbe come
graduato il famigerato caporale:
“il caporale per antonomasia,
uno di quelli che ti fanno odiare
per un numero imprecisato
di generazioni la vita e il rego
segue a pag. 5

LIVORNOnonstop è...
5
amarcord
da pag. 4
L’interno del Cinema-Teatro Lazzeri. (foto Del Secco)
do perché l’aveva fatto sentire a
casa, nella sua Napoli: due città
di mare, generose, aperte all’accoglienza,
esagerate nelle manifestazioni
di gioia, ma capaci di
ironizzare sui propri difetti.
L’aneddotica narra che, già attore
affermato, venuto a sapere
delle morte di una signora livornese
che gli aveva affittato una
stanza in cui andare a riposare e
a cambiarsi di abiti, abbia inviato,
per riconoscenza, dei fiori per
il funerale e un aiuto economico
alla famiglia.
Ma il legame con Livorno non
finisce qui. Gli anni di permanenza
in città gli erano rimasti nella
mente e nel cuore tanto da tornarvi
più volte con i suoi spettacoli
e ricordarla spesso nei numerosi
suoi film e rappresentazioni.
Già nel 1921, al cinema teatro
Lazzeri, cantava la parodia
dell’allora famosissima canzone
“Vipera”.
Se questi erano gli inizi della sua
carriera lo ritroviamo a Livorno
al tramonto della stessa, nel
1957: il 22 e 23 gennaio con “A
prescindere”, che in due serate
fece registrare 4.000 presenze
(costo del biglietto al botteghino
3.000 lire, dai bagarini in piazza
Cavallotti 10.000 ); alla Gran
Guardia, “impazzando” con la
lamento militari”. Incarnava il
tipo arrogante e presuntuoso,
animato da una irragionevole idiosincrasia
nei confronti dei soldati e,
abusando del grado, li privava della
libera uscita.
“La vita militare non mi si era
presentata sotto un aspetto eccessivamente
gradevole, dato
anche il mio temperamento insofferente;
tuttavia, per evitare
le sue continue rappresaglie,
assunsi un comportamento disciplinato,
eseguendo senza discutere
i suoi ordini e subendo
con rassegnazione le sue osservazioni.
Questa mia tattica non
ebbe un esito particolarmente
felice. Il caporale scambiò la mia
passività per debolezza e, forte
più del suo grado che dei regolamenti,
raddoppiò ingiustamente
la dose, rendendomi davvero
asfissiante la vita in comune”.
Da qui nacque l’odio per i caporali
e la battuta: “Guardiamoci
in faccia ... siamo uomini o caporali?”.
Rientrato nella vita civile, di Livorno
conservò un ottimo ricorfanfara
dei bersaglieri. Si racconta
delle mance di 3.000 lire alle
maschere del teatro “perché signori
si nasce e io lo nacqui”.
Essendo poi amico
E in tanti suoi film appaiono citazioni
su Livorno. E’ il caso di
“Totò e Cleopatra”, quando nel
ruolo di Marcantonio, circondato
da quattro guardie di colore,
esclama: “Perbacco! Io li conosco
questi. Sono i Quattro mori
che stanno in piazza Grande a
Livorno” (in effetti sono sempre
stati davanti alla darsena
nuova - n.d.a.). E, nello stesso
film, alla regina che gli propone
un baccanale all’egiziana replica.
“Sempre baccanali all’egiziana,
mai un baccanale alla
livornese”.
In “Totò lascia o raddoppia”
rispondendo a una domanda di
Mike Bongiorno cita, dopo San
Siro di Milano e le Cascine di
Firenze, l’ippodromo l’Ardenza
a Livorno. E ancora in “Totò,
Vittorio e la Dottoressa”, nella
parte di un cameriere, a un cliente
che gli chiede qualcosa di leggero
consiglia un piatto di sugheri
alla livornese”.
Otello Bacci alla corte di Totò
Otello Bacci (1915-1996), straordinario
personaggio livornese
(nacque in via della Coroncina,
a due passi dall’abitazione di
Giovanni Fattori, e, poco più in
là, in piazza Cavallotti, di quella
di pietro Mascagni) affermatosi
nel mondo dello spettacolo sia
come ballerino, che in veste di attore,
presentatore e direttore d’orchestra,
conosciutissimo anche
per aver portato avanti con la
moglie Maria il ristorante “da
Norma” in piazza Guerrazzi, ha
avuto un grande rapporto con
Totò, sia a livello professionale
ma anche di amicizia.
Dall’ottimo libro “Otello Bacci -
Un livornese alla corte di Totò”,
di Piero Gambacciani (Editrice
Il Quadrifoglio, Livorno, 2010),
ne estrapoliamo alcuni aneddoti
riguardanti appunto il rapporto
di Otello con Totò.
Otello Bacci con la moglie Maria e Totò all’interno del Ristorante “Da Norma” in piazza Guerrazzi. (foto Del Secco)
CAPITOLO VII
Conosce Totò
Gli americani lasciano Livorno in
forma ufficiale, come truppa di
occupazione, nel Dicembre del
1947. La situazione nella città si
sta velocemente normalizzando.
I livornesi non piangono certo
questa partenza; forse le uniche
a gridare “addio” con le lacrime
agli occhi sono le “segnorine”
che perdono la loro sorgente
di reddito e fra i pochi dispiaciuti
è certamente Bacci che, con
la loro partenza, è costretto a
sciogliere la sua orchestra, quel
segue a pag. 6

LIVORNOnonstop è...
da pag. 5
l’orchestra alla quale era così
attaccato e che gli aveva dato
tante inaspettate soddisfazioni.
E’ un distacco molto doloroso,
dopo tanti successi!!
E così è di nuovo senza lavoro...
Ma ecco la fortuna che bussa
alle spalle del nostro amato concittadino
ormai noto per le sue
brillanti prestazioni nella rivista.
Un pomeriggio stava bighellonando
per le strade della sua città,
quando viene colpito da una
locandina che annuncia l’arrivo
a Livorno della Compagnia di
Totò nella rivista di Galdieri
“Bada che ti mangio”.
Come amministratore Bacci legge
il nome di Andrea Rosina; e
lui questo Andrea Rosina lo conosce
perché, qualche tempo
prima, ha lavorato con la sua
compagnia di Pistoni e Rizzo.
Senza indugi si reca in teatro e
si presenta da lui. Certo che Rosina
lo ricorda e quando viene a
conoscenza che in quel momento
il suo ex ballerino è disoccupato
lo porta da Totò.
“Che sai fare?”: gli dice Totò
appena gli viene presentato.
Rosina risponde per lui: “Principe,
si chiama Bacci, è di Livorno”.
Totò si fa pensieroso: “E allora?”.
“E’ un bravo ragazzo, balla
molto bene le clacchette”, continua
a dire Rosina che vuole
caldeggiare ad ogni costo la sua
candidatura.
E ancora Totò: “Ma lui perché
non parla?”.
Otello si stringe nelle spalle.
Totò incalza: “Tu non sei un livornese,
perché i livornesi sono
di parola facile...”
“Sono un livornese puro sangue”,
urla Bacci a quell’offesa.
“Ora cominci a piacermi!”.
Lo fa sedere, gli offre una sigaretta,
poi, dopo averlo guardato
per qualche istante, chiama la
coreografa Gisa Geert:“Ecco il
nostro nuovo ballerino!”.
E così Otello Bacci, qualche giorno
dopo, in possesso di un contratto
piuttosto vantaggioso,
raggiunge la compagnia a Torino.
....
Per tre anni il nostro artista è in
giro per l’Italia con le due stupende
riviste italiane “Bada che
ti mangio” e “C’era una volta
il mondo...” entrambe di Michele
Galdieri. E’ un susseguirsi di
successi più che meritati che la
compagnia di Totò riceve in tutti
i teatri d’Italia e quando questa
prestigiosa compagnia ritorna
a Livorno, alla fine dello spettacolo
Totò prende per mano
Otello lasciandolo solo in mezzo
alla passerella per ricevere,
tutti per lui, gli applausi dei suoi
concittadini.
E questo è uno dei ricordi più
belli.
Parlare di Totò e della sua umanità
come uomo e come artista
credo che sia superfluo, tanto è
la fama del comico specialmente
ai nostri giorni...
Bacci me ne parla con un tale
entusiasmo che non riesco a
stargli dietro.
Mi racconta:“Tante sono state
le manifestazioni di affetto che
ha sempre dimostrato nei nostri
confronti; ogni sera prima
dell’inizio dello spettacolo faceva
il giro dei camerini e aveva
per tutti parole di conforto e
Il Ristorante “Norma” in piazza Guerrazzi. (fto Del Secco)
6
amarcord
Bacci in veste ristoratore. Sullo sfondo la moglie, signora Maria. (foto Del Secco)
di incoraggiamento. Era sempre
di umore allegro e faceva “Erano tempi di fame quelli! –
napoletane”.
in modo che non ci accorgessimo
delle sue preoccupazioni”. tento lo stesso e poi i livornesi
aggiunse Totò -. Ma io ero con-
“Con me, poi – è sempre Bacci mi hanno sempre aiutato ecco
che parla – aveva un rapporto perché li ho tanto nel cuore.
quasi paterno; mi chiedeva Quando, dopo tanti anni ritornai
a Livorno con la rivista “Io
sempre se ero contento del mio
lavoro, se mi bastavano i soldi, sono un evaso” andai a trovare
come stava la mia famiglia”. quella signora che era stata tanto
gentile con me, ma la giovane
“Ricordo che una sera andai a
trovarlo nel suo camerino per che mi venne ad aprire mi disse
mostrargli una cartolina di Livorno
che avevo ricevuto da “Totò aveva un animo molto
che sua madre era morta”.
mia moglie e lui dopo averla generoso – continua a dirmi Otello
– quando ci trovavamo a Mi-
osservata per qualche istante,
mi disse: - Lo sapevi che ho fatto
il militare a Livorno? E mi racso
o in qualunque altra piazza
lano, sotto la galleria del Corcontò
che a quel tempo aveva d’Italia, c’era sempre qualcuno
che gli chiedeva un aiuto
un piede a terra da una certa
signora Siria in Via De Larderel
e la sera si vestiva in bor-
dire di no a nessuno. Ti dirò di
economico e lui non riusciva a
ghese per andare al Cinema più: dopo avere dato i soldi si
Centrale o al Margherita ad sentiva come sollevato da un
esibirsi in alcune macchiette segue a pag. 7

LIVORNOnonstop è...
da pag. 6
peso; sembrava che gli fosse
scomparsa ogni preoccupazione
e si metteva a scherzare con
tutti noi”.
“Nei momenti liberi cercava
sempre la mia compagnia, si
divertiva a sentirmi parlare il
dialetto livornese; soprattutto
gli piaceva ascoltare le barzellette
tanto è vero che nella rivista
“C’era una volta il mondo...”
creò uno sketch dove io facevo
la parte di un celerotto livornese
e lui quella di un Questore”.
“Un pomeriggio, lavoravamo a
Napoli, al Teatro Metropolitan,
mi mandò a chiamare nel suo
camerino. Aveva un’espressione
triste e gli occhi arrossati:
Cinema Centrale.
Cinema Margherita (foto Del Secco)
mi abbracciò e mi dette il telegramma
che annunziava la morte
di mia madre. Mi consegnò
una busta contenente del denaro
e mi disse: - Pensa, anche quel
giorno in cui morì mia madre fu il
capocomico a darmi la notizia”.
...
CAPITOLO IX
Rivede Totò
Per lo Stabilimento Cinematografico
“Pisorno” di Tirrenia è
un momento felice. Si lavora a
ritmo serrato.
Il tecnico dello stabilimento Ivo
Benedetti avverte il suo amico
Bacci che a Tirrenia è arrivato
Totò per girare un film con Gino
Cervi, e che vuole rivederlo.
7
“Appena ho saputo del suo arrivo
– è Otello che parla – mi
sono precipitato allo stabilimento,
in punta di piedi mi sono
avvicinato nella sala dove stavano
girando; il ciakettista
aveva già battuto il ciak per
l’inizio di una scena quando lui
mi vede”.
- “Abbiate pazienza – dice Totò
– fate un attimo di pausa che
devo salutare un amico che da
tanti anni non vedo”.
Si avvicina, mi abbraccia poi
quando si accorge della mia
commozione mi dà un colpo sulle
spalle e mi urla: “O Bacci! Siamo
uomini o caporali!”.
“La sera - prosegue Bacci - venne
a cena nel mio ristorante e
tra una battuta e l’altra facemmo
le ore piccole”.
- Dopo quella parentesi cinematografica
l’hai più rivisto?
Esplode in una esclamazione di
giubilo.
Non sperava tanto.
“Lo rividi esattamente la sera
del 3 Gennaio del 1957 e…”.
- A che ora, lo interrompo.
Lui non crede allo scherzo e volge
lo sguardo in alto, pensieroso
nello sforzo mentale.
“Saranno state…”.
- Ma io scherzavo… allora?
“Me lo ricordo benissimo: erano
le 13 meno un quarto… mi
vedo arrivare Totò con la moglie,
Franca Faldini. Si trovava
a Livorno al Teatro «La Gran
Guardia» con la nuova rivista
“A prescindere” di Nelli e Mangini.
Con lui lavoravano Franca
May, Enzo Turco, Franca
Gandolfi e Ivana Menaro”.
“Quella sera, dopo cena, facemmo
ancora le ore piccole perché
la signora Faldini, donna
bellissima e molto simpatica,
volle che le raccontassi alcune
di quelle barzellette che avevano
tanto divertito suo marito
molti anni addietro”.
“Il giorno dopo il debutto, erano
da poco passate le 13, lo
vedo apparire nel locale insieme
al suo amministratore Rendi
Bau. Pensando che volessero
mangiare mi misi le mani nei
capelli: il locale era tutto occupato.
Alcuni clienti riconosciutolo
facevano a gara per
amarcord
La copertina del libro “Otello Chelli
- Un livornese alla corte di Totò” di
Piero Gambacciani (Ed. Il Quadrifoglio,
2010)
cedergli il posto ma lui rifiutava
la gentilezza dei clienti con
garbo e signorilità”.
“Poi mi prese per un braccio e
mi disse: “Accompagnami a prendere
le sigarette”, e così ci avviammo
verso Piazza Grande”.
“Man mano che ci avvicinavamo
al tabaccaio aumentava il
numero dei curiosi che chiedevano
l’autografo. Arrivati all’uscio
del negozio lui, con un
gesto distratto, tira fuori dal
suo paltò il pac“Io lo guardo
meravigliato e sorridendo mi
dice: “Sto invecchiando, amico
mio. Avevo le sigarette e nemmeno
lo sapevo!!”.
“Che uomo meraviglioso! Aveva
detto una bugia: sapeva di
avere le sigarette, mi aveva portato
fuori perché i livornesi mi
vedessero con lui e si rendessero
conto così che facevo parte
delle sue affettuose amicizie”
La via Grande negli anni Sessanta.

LIVORNOnonstop è...
8
attualità
L’eccelso critico d’arte nonchè opinionista senza peli sulla lingua è arrivato a dire che Livorno è meglio di Pisa
Vittorio Sgarbi:
apprezzamenti
entusiastici
su città,
lungomare
e tesori artistici
di Marcello Faralli
L’auditorium della C.C.I.A.A.
(Camera di Commercio, Industria,
Agricoltura e Artigianato)
nel mese scorso - domenica 30
aprile - ha ospitato la conferenza
del professor Vittorio Sgarbi,
organizzata dal Rotaract di Livorno
e il Circolo Filippo Mazzei di
Pisa (con Carlotta Romualdi ottima
conduttrice), sui tesori artistici
presenti nella nostra città.
Vittorio Corcos
“Ritratto
di Yorick”
(Pietro Coccoluto
Ferrigni),
1889.
Olio su tela
(199 x 138 cm)
Museo Civico
Giovanni Fattori,
Livorno:
uno dei quadri
maggiormente
apprezzati
da Vittorio Sgarbi.
Di fronte a un folto pubblico,
l’istrionico, espertissimo critico,
dopo una visita al cospicuo patrimonio
conservato all’interno
delle sale della stessa Camera di
Commercio, ha svolto una dotta
e appassionata conferenza sui
principali monumenti, opere d’arte
e quadri preziosi custoditi nelle
chiese e nei palazzi storici della
città. Entusiastici apprezzamenti:
“Livorno città aperta, solare,
piena di vita - meglio di Pisa
che, Piazza dei Miracoli a parte,
si presenta sciatta, trascurata,
poco pulita -, con un meraviglioso
lungomare, un’architettura
solenne di una nobiltà
parigina, la Terrazza Mascagni”.
Suo il proposito di tornare presto
in città, per due o tre giorni,
per approfondire la conoscenza,
e non solo delle opere d’arte.
Gran parte dell’appassionato intervento,
sempre colorito, con
battute salaci verso il sindaco
Nogarin (“vestito da operaio”)
e “quei quattro stronzetti” che
hanno organizzato l’intervento,
lo ha dedicato ai Macchiaioli e
non e a Modigliani.
Queste, in sintesi, il concetto di
Vittorio Sgarbi sui tesori artistici.
Livorno può essere considerata,
a buon diritto, la più importante
città italiana di questo movimento
pittorico, in quanto non
solo da qui è partito il suo capostipite,
Giovanni Fattori, ma molti
suoi discepoli qui hanno dipinto,
rappresentando luoghi e
paesaggi che sono entrati nella
storia della pittura dalla seconda
metà dell’ottocento in poi. Di
Fattori significative sono le opere:
“Lungomare di Antignano”
del 1894; “Tramonto sul mare”
(olio su tela, una “intuizione assoluta”);
“Lega dipinge sugli
scogli”(olio su tela). Insieme, e
dopo di lui, meritano di essere
citati: Mario Puccini (l’ultimo
suo interprete), fondatore del
Gruppo labronico; Benvenuto
Benvenuti (il Van Gogh italiano);
La locandina dell’evento.
Giovanni Bartolena (migliore di
Guttuso). E poi, nella prima metà
del novecento, Gino Romiti, Ulvi
Liegi, Plinio Nomellini (osteggiato
per le sue simpatie fasciste,
che si ritengono rappresentate
nell’Offerta e palesi nell’Incipit
nuova aetas), Renato Natali,
Gastone Razzaguta, e soprattutto,
Vittorio Corcos, conosciuto
in particolare per i propri
realistici ritratti femminili ma che
apprezzo maggiormente in quel
modernissmo ritratto di Yorick,
visto di profilo sinistro, un
uomo di bassa statura e grossa
corporatura, che in dossa un
cappello e un soprabito abbottonato,
con quel suo muro in
secondo piano dove in evidenza
si notano i graffiti incisi da
qualche bambino che è «prova
estrema di realismo». In Toscana,
al di fuori dei macchiaioli,
l’unico pittore di rilievo dell’epoca
può essere considerato
Ottone Rosai.
Un discorso a parte per Amedeo
Modigliani, eterno giovane romantico,
considerato il più grande
artista al mondo di ritratti di
una sola persona (monoteismo),
che apre una “storia nuova”.
Non rappresenta, parla con la
anima. Perciò è considerato
l’unico ritrattista che non dipende
dalla fotografia. Dopo di lui il
solo Betto Lotti può essere considerato
suo lontano interprete.
Modigliani era partito da Livorno,
sul finire dell’ottocento.
segue a pag. 9

LIVORNOnonstop è...
9
attualità
da pag. 8
Aveva frequentato, prima il Caffè
Bardi con il gruppo degli “scapigliati”
e, successivamente, la
scuola di Micheli. Vi conobbe
Fattori e ne rimase in qualche
modo influenzato. Dopo avere
frequentato la “Scuola libera di
Nudo” di Firenze e “l’Istituto di
belle arti di Venezia”, nel 1906, si
trasferì a Parigi: il centro dell’avanguardia.
Inizialmente influenzato
da Henrì de Toulose-
Lautrec, fu Paul Cézanne a orientarlo
verso uno stile originale,
unico, in cui riuscì a esprimere
tutta la sua creatività. La sua
produzione artistica, tra nudi e
ritratti (tra cui il suo del 1919),
nonostante la breve vita (solo
trentasei anni), è imponente.
Genio e sregolatezza, non ebbe
in vita i riconoscimenti che la sua
opera ha avuto dopo la morte.
L’elenco dei dipinti conservati a
Amedeo Modigliani: Ritratto di
Lunia Czechowska,1919. Olio su
tela , 33 x 46 cm.
La splendida Pala del Vasari “Incoronazione
della Vergine” nella chiesa
di Santa Caterina.
Livorno è lungo. Si va dalla pala
dei “Santi Diacono e Martire
Agostiniano” della scuola di
Giotto (Chiesa san Jacopo in
Acquaviva) al “Cristo coronato
di spine” del Beato Angelico,
la più importante rappresentazione
del Cristo morto, della
metà del ‘400, scoperta da Roberto
Longhi); dalla “Madonna
delle Grazie di Montenero” del
1345 (“un tardogiottismo” di Jacopo
di Michele detto Gera),alle
già citate tele dei più importanti
pittori macchiaioli; dalla “Veduta
della parte del molo di Livorno”
della Bottega d Antonio
Piemontese, detto il Baseggio,
(una “cartolina” del 1784) al
“San Giorgio” della scuola Cortese
(sec. XVIII).
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dubbio la Pala del Vasari “Incoronazione
della Vergine” che
sormonta il coro della chiesa di
Santa Caterina. E’ anche una
delle opere più pregevoli dell’artista
aretino. Realizzata intorno
al 1571 è una delle ultime. Originariamente
era collocata in una
cappella vaticana dedicata a san
Michele e presumibilmente fu
trafugata dai francesi come bottino
di guerra in epoca napoleonica.
Successivamente, venduta
all’asta, nel 1799 fu acquistata
da una famiglia livornese, i
Filicchi, che, nel 1818 (anno in
cui la famiglia si trasferì nella parrocchia
di San Ferdinando) ne
fece dono alla chiesa di Santa
Caterina. La tavola è stata restaurata
ed è tornata nella sua
collocazione nel 2007.
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LIVORNOnonstop è...
10
industrie livornesi
Specializzata in modellini radiocomandati esportati in quasi tutti i continenti dagli anni ‘70
si è dovuta definitivamente arrendere nel 2000 all’invasione dei prodotti giapponesi e cinesi
Monteleone, la fabbrica livornese
che ha fatto la felicità dei bambini
(e dei grandi) di tutto il mondo
di Giovanni Giorgetti
Su un blog di giocattoli d’epoca,
giorni fa, mi colpì l’appello
di un signore romano al quale
avevano rubato in casa a
Roma ed era particolarmente
addolorato, non tanto per il furto
stesso (di poco valore) ma
per la sparizione di due motoscafini
della ditta Vittorio Monteleone
di Livorno che erano i
suoi giocattoli preferiti fin da
quando era ragazzo. In rete
chiedeva le misure di uno di
esso, praticamente introvabile,
per poterlo rifare. Fortunatamente
l’appello è stato accolto
da un signore tedesco
che ne possedeva uno e che
gli ha fornito tutte le caratteristiche
tecniche richieste.
Da qui lo spunto per fare delle
ricerche e parlare della fabbrica
dei modellini Monteleone
che, abbiamo scoperto, ha fatto
la felicità di milioni di bambini
(ma anche di adulti), in
quanto sono stati esportati in
Vincenzo Monteleone (1922 - 2015)
quasi tutto il mondo.
Vittorio Monteleone (Toto per
gli amici) nacque a Modena il
9 gennaio 1922 da Nicola e
Maria ed era il secondo di dieci
figli. Il padre, impiegato di
banca, dopo vari spostamenti,
fu trasferito a Livorno e qui
fissò la sua definitiva dimora,
ad Ardenza, in via del Mare.
Vittorio, pertanto, divenne presto
“livornese”. Terminato il
Liceo Classico dai Gesuiti, per
volere dei suoi i genitori si
Il noto marchio Monteleone su una confezione di giocattoli.
Il capannone dell’Industria Giocattoli Monteleone S.r.l. che era posto in
via delle Sorgenti 452 e, sotto, l’interno di un reparto di confezionamento.
iscrisse al Corso Ufficiali dell’Accademia
Navale ma, accortosi
che non era adatto a
quella vita, partì per il servizio
militare.
Seguì un periodo burrascoso
che val la pena raccontare.
L’otto settembre del 1943
(l’armistizio tra Italia e Alleati),
lo colse a Roma e con
mezzi di fortuna tornò a Livorno.
Il viaggio fu particolarmente
avventuroso: per non
farlo catturare dai tedeschi un
parroco lo aveva travestito da
prete ed in treno una pia donna
voleva farsi addirittura confessare
temendo di morire sotto
i bombardamenti. Toto se
la cavò dicendo che non aveva
ancora preso i voti.
Il Bando Graziani del 9 novembre
1943: “In caso di mancata
presentazione dei militari
soggetti alla predetta chiamata,
oltre alle pene stabilite

LIVORNOnonstop è...
11
industrie livornesi
dalle vigenti disposizioni del
codice militare di guerra, saranno
presi immediati provvedimenti
anche a carico dei
capi famiglia” lo indusse a
presentarsi al Distretto militare,
dove venne arruolato e spedito
in Germania in un Campo
di Addestramento.
Accortosi che veniva addestrato
per combattere altri italiani
decise di fuggire. Toto aveva
notato che i militari che sorvegliavano
i treni in partenza,
procedendo avanti e indietro
lungo la ferrovia, nel girarsi
quando si incontravano lasciavano
uno spazio non sorvegliato
per pochi minuti.
Approfittando di questo, riuscì
a salire su un treno diretto
in Italia. Dopo innumerevoli
peripezie con il fratello Giorgio
ed un amico decise di passare
la linea gotica e di consegnarsi
agli americani.
Per sua sfortuna, quando aveva
lasciato l’Italia per la Germania,
la mamma gli aveva
cucito nella fodera della giacca
della divisa 5.000 Lire avvolte
in una pagina strappata
da un quaderno.
Toto aveva scritto in quella pagina
le canzoni dell’epoca
come: Pippo Pippo non lo sa,
Parlami d’amore Mariù, La
porti un bacione a Firenze e
Marameo perché sei morto.
Gli americani trovando i soldi
e i titoli delle canzoni pensarono
ad un cifrario di una spia
tedesca e lo internarono nel
campo di concentramento di
Coltano (Pisa), dove rimase
per tre anni. Il fratello e l’amico,
al contrario, furono immediatamente
liberati.
La profonda fede religiosa lo
sostenne in quel triste periodo.
Il Monteleone, terminata la
Alcuni modellini prodotti dalla Monteleone: in alto due motoscafi con
nomi tipicamente livornesi: Libeccio e Calafuria. Sotto: un moderno
offshore radiocomandato.
Vincenzo Monteleone e la moglie Bruna Recchi in foto giovanili.
I piccoli Claudio e Giorgio Monteleone con i giocattoli costruiti dal padre.
guerra, tornò in libertà e per
vivere si mise a costruire motorini
nel garage della casa di
suo padre: motorini che vendeva
ai costruttori di giocattoli.
Comprese così che quella
era la sua vita e che poteva
creare giocattoli in proprio.
Partendo da zero si costruì
anche le macchine per produrre
i giocattoli. I primi soldi per
comprare un tornio glieli prestò
l’amico Biagio Amoroso,
che diventerà un noto medico
dermatologo.
Nacque così negli anni ’60 la
ditta Monteleone, prima in
Piazza San Marco, poi in Via
delle Sorgenti 452, zona Cisternino.
Nel 1963 si sposò con Bruna
Recchi, affermata stilista, dalla
quale avrà due figli Claudio
e Giorgio.
La moglie Bruna lascerà il proprio
lavoro per aiutarlo nella
ditta, che, nel periodo di massima
espansione, produrrà più
di 300.000 giocattoli, con una
sessantina di dipendenti. La
fabbrica era costituita dai seguenti
reparti: Ufficio Amministrativo,
Ufficio Progetti,
Officina costruzione stampi,
Reparto stampaggio plastica a
segue a pag. 12

LIVORNOnonstop è...
12
industrie livornesi
Vincenzo Monteleone ospite a Maranello. Sotto: un modellino della
prestigiosa Ferrari P6 Pininfarima prodotto dall’industria livornese e
che la stessa Ferrari ha utilizzato da mostrare nei punti vendita.
da pag. 11
iniezione, Reparto stampaggio
plastica Vacuum, Reparto montaggio
e controllo, Magazzino.
Il Monteleone curava molto i
giocattoli, che progettava e costruiva
direttamente. Provvedeva
a tutto nei minimi particolari:
ideava i cataloghi (anche
in cinque lingue), faceva
le foto alle sue creazioni e costruiva
addirittura gli imballaggi.
Riproduceva in scala navi
famose, motovedette, rimorchiatori
e anche auto come la
Ferrari, spesso facendo le scatole
di montaggio. La maggior
parte dei giocattoli erano telecomandati
e radiocomandati ed
accuratamente realizzati.
La Ferrari gli aveva commis-
sionato centinaia di modellini
in scala da mostrare nei vari
punti vendita.
Nel 1979 Vittorio Monteleone
vinse il Pinocchio d’oro (emblema
dei giocattoli) ed il premio
gli fu consegnato a Collodi
da Febo Conti. Vinse anche
la Medaglia d’oro dell’Artigianato
a Firenze.
Vittorio partecipava alle principali
Fiere del Giocattolo (Milano
e Norimberga), spesso
accompagnato dai cari amici
Mario e Anna Santarelli. Negli
anni Ottanta la Regina d’Inghilterra
aveva invitato la Ditta
Monteleone a Londra (Fiera dei
più bei giocattoli del mondo), assieme
ad un’altra ditta italiana, la
Sebino con il bambolotto Cicciobello.
L’anno successivo Grace Kelly,
per la Festa del Fanciullo,
volle la serie Le Stelle di Monteleone,
da mostrare come i
giocattoli che allietano il fanciullo.
Modesto di natura e tutto preso
dal suo lavoro, non andava
mai alle premiazioni ma mandava
un suo collaboratore o il
fratello Luigi.
La concorrenza giapponese all’inizio
e successivamente
quella cinese costrinsero la
ditta Monteleone ad un lento
declino. La ditta divenne familiare
e nel 2000 fu costretta
inesorabilmente a chiudere.
Vittorio Monteleone si spense
serenamente il 24 novembre
Monteleone premiato da Febo Conti
con il “Pionocchio d’oro 1979”.
2015 assistito dalla moglie, i
due figli, la nuora e una nipotina.
E’ veramente un peccato che
tutta la sua esperienza lavorativa
non si sia trasmessa a dei
giovani, comunque resta in
tante persone il ricordo di una
persona onesta, amante della
famiglia e intrisa di valori umani
e religiosi.
Su eBay i suoi modellini sono
tuttora ricercati: esempio di eleganza
Made in Italy, dato che
alcune persone fanno collezione,
e sono gelosissimi custodi
(come il signore romano cui
avevano rubato un modellino)
dei giocattoli Monteleone.
Un modellino di motoscafo radiocamandato realizzato dall’Industria Monteleone.

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LIVORNOnonstop è...
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canti popolari livornesi
Canti Popolari Livornesi
Riportiamo alcuni canti popolari livornesi,
tratti dall’omonimo libbricino a cura
di Giorgio Fontanelli, Ugo Bastogi Editore,
1978.
La donna,
Livorno
e i Quartieri
E siamo di Livorno e siam bargelli,
siamo ragazze da farsi stimare,
vogliamo giovanotti grandi e belli,
dei capponi da farglieli pelare.
Noi semo di Livorno e tanto basta,
pe’ canzonare siamo fatte apposta,
per dare noia alla gente che passa.
E le ragazze dell’Acquaviva
a canzonarle non ci si arriva,
e quando poi le hai canzonate
loro ti prendono a granatate.
E le ragazze di San Benedetto
le portan le pianelle a mezzo tacco,
piglian marito e poi lo fanno becco.
E gira e frulla
e la Botti lo vende il riso,
le ragazze di Torretta
sono brutte e fanno schifo.
E semo di Venezia e siamo siamo
paura non abbiamo di nessuno,
abbiamo bona lingua e svelta mano.
Se le civette fossero lampioni,
l’Ardenza sarebbe tutta illuminata,
al Municipio ‘un gli parrebbe vero,
sarebbe tutta luce risparmiata.
E tutti i giovanotti dell’Ardenza
prendano le ragazze a canzonare,
non hanno né quattrini né presenza,
da signorini vogliono passare.
A Pisa a Pisa le belle pisane,
a Siena a Siena le belle senese,
l’oro e l’argento l’han le veneziane,
ma le più belle son le livornese.
La donna
e le donne
Civetta, civettona, leccapiatti,
e perché dài la baia ai giovanotti?
Se tocchi il mio marino, bimba, ne tocchi.
E gira e fai la rota
e la rigiri sul Pontino,
la tu’ mamma t’ha fatto i fogli
per mandarti nel casino.
Affacciati alla finestra, o muso nero,
vieni alla fontana, io te lo lavo,
col cencio del carbone te lo asciugo.
Al Molo Novo ci si va in barchetta,
ci vuole i remi per poterci andare,
di questo posto sei la più civetta,
dagli ammogliati ti fai mantrugiare.
Se vuoi marito, vai nella pineta,
prendi un pinello e grattati la topa.
E t’hanno messo nome Squacquarella,
sei piena d’importanza e fantasia,
sarai una libbra con la coratella,
se viene una ventata ti porta via.
Cosa t’ho fatto, o lingua serpentina,
che dappertutto vai a dirne male?
Faresti meglio a startene zittina,
come la legna sul fuoco a bruciare.
Io della mi’ rivale ‘un ho paura,
nemmeno la vedessi all’altarino,
tanto sono certa e sicura
che ritorna da me quel bel morino.
Civetta, puppemosce, leccapiattti,
te la civetta l’hai fatta con tutti,
co’ vecchi, l’ammogliati e i giovanotti.
E gitara la rota,
la rota del calesse,
sei brutta e gavinosa,
le gambe fatte a esse.
Mi voglio fare monaca velata
nel convento di Santa Margherita,
dove fanno la vita spensierata.
E se voi fa’ la picca a stornellare,
la faccia rossa ti farò venire,
al Molo Novo ti ci faccio andare.
Io da Livorno vedo tutta Pisa,
vedo Maria Teresa che si spucia,
e ‘r su’ marito ‘he l’alza la camicia.
Le pèsche all’occhi te le fai col nero,
lo fai pe’ da’ nell’occhio a’ giovanotti.
Ricordo quella sera a Montenero,
nella tu’ rete ci pescai ranocchi.
Ti credi d’esse’ bella e bella ‘un sei,
dimmele le bellezze ‘n dove l’hai,
se ‘un sei bella di sotto, sopra ‘un sei.
E gira e frulla
tanto a me, un poi fa’ nulla,
tanto a me nulla mi fai,
ci ho la dote e te ‘un ce l’hai.
Se vuoi marito, abbraccia un campanile,
ti leverai la voglia di sonare.
Madonna notte,
se dalle corna ti sortisse il latte,
s’affogherebbe in mezzo alle ri’otte.
Maritati, maritati, zittella,
e per marito prendi un capotromba,
che notte e giorno ti soni la banda. segue a pag. 15

LIVORNOnonstop è...
15
canti popolari livornesi
E la mi socerina è una gran donna,
mi par mill’anni di chiamarla mamma
e lei mi chiamerà figliola degna.
Sono andata alla macchia a far la stipa
pe’ brucia’ da mi’ socera arrahbiata,
come ’ncomincia, ’un la fa più finita.
E gira e frulla,
la mi’ socera è ’n sergente,
gli venisse un accidente
smetterebbe di brontola’.
Cosa t’ho fatto, socera maligna,
che ’l tu’ figliolo non me lo vuoi dare?
Io non t’ho chiesto né campi né villa,
solo il tuo nome io voglio portare.
Renato Natali: Ottobrata livornese, 1930 ca., olio su tela, 105x147.
E la tu’ mamma ’un vole che tu’ m’ami,
anche malata in fondo del letto:
digli di te, imbecille, ’un me ne importa,
digli che mangio e bevo a suo dispetto.
da pag.14
A Pisa, a Pisa, ché c’è l’aria bona
e chi ci va malato ci risana.
Perchè nun ci vai te, brutta giallona?
A Montenero c’è il sole che brilla,
c’è una ragazza che si stima bella,
e pare un pomodoro con la bolla.
E ti vorrei vedere in cima in cima
e pendoloni come una campana,
tirarti il collo come a una gallina.
E girala la rota,
la rota gira bene,
sei bella bella bella,
il becco ti mantiene.
Ti credi d’esse’ bella e bella ‘un sei,
ti credi d’esse figlia d’un signore.
Ti manca il cavallino con la sella
e l’ombrellino per pararti il sole.
E gira e fai la rota,
la rigiri in Via Reale,
pe’ fatti il culo finto
ti sei sfatta il guanciale.
Se avessi la virtù che ci ha l’anguilla,
tutta la pancia ti vorrei bucare
e lo vorrei vede’ se sei pupilla
oppure una ragazza da scartare.
E Marcellina è bella e elegante,
co’ un trentino si leva le mutande,
co’ un quarantina se le butta giù,
co’ un cinquantina fa zum-zum.
Conoscete la bella Gina,
conoscete la bella Gina,
per chi non la conosce già lo sa,
la Gina è la figliola del tegame di su’ ma’.
O chiaccherona, quanto hai chiaccherato,
dici male di me, l’ho risaputo.
Scema, ‘mbecille, ‘osa ci hai guadagnato?
E nel mezzo del mar c’è una vaschetta,
e tutti i pesci vanno a bere l’acqua,
o canta meglio o chétati, civetta.
Passa dall’uscio e non dalla finestra,
passaci dalla via della ragione,
e se tu eri una ragazza onesta
non ti mettevi col mio primo amore.
Bella ragazza,
non siete né boccale né mezzetta,
chi piglia voi, vòle sciupa’ la razza.
La donna
e la suocera
Te lo ricordo, sono la tu’ nora,
non me la fare bere l’acqua amara,
tanto col tu’ figliolo so’ ’n parola.
E se non mi va in casa, io vado fora,
se non mi vuoi fuori, io vô sul tetto,
tanto so’ la tu’ norta per dispetto.
Quand’ero piccolina e andavo a scuola,
la mamma del mi’ damo mi diceva:
«Cresci,’ bellina, e poi verrai mia nuora».
In questa strada che ci tira vento,
ce l’ho un morino che mi piace tanto,
ma ’1 becco di su’ padre ’un è contento.
E la tu’ mamma lo vuole il cordone,
io, poverina, ’un me lo posso fare,
dille si trovi meglio l’occasione.
Senti Santa Lucia come scampana,
povera me, m’è morto il mio amore,
vedo tutta la camera abbrunata,
e la su’ mamma grida di dolore.
Facciam l’amore e la mi’ mamma ’un vole,
ora bisognerà che t’abbandoni.
Caro morino, amiamoci di cuore,
e di lasciarci non se ne ragioni.
Sono passata dal tuo vicinato
e la tu’ casa sembrava la mia,
ho trovato tu’ madre e m’ha parlato,
sembra che m’abbia dato la malìa.
La donna
e il sesso
Al primo bacio io lo persi il colore
e al secondo non mi vergognai,
son cose che si fanno nell’amore,
come son baci, ‘un si rifiutan mai.
segue a pag. 16

LIVORNOnonstop è...
16
canti popolari livornesi
da pag. 4
E che dolore fu la prima sera
quando il morino me lo mise in mano
e poi mi disse: «Fammela una sega».
E che dolore fu la prima sera
quando il morino mio mi sverginava
e il sangue fra le cosce mi cadeva
e lui con la .pezzina m’asciugava.
Per ragazza, sono onesta,
non ho mai preso marito,
sette volte ho partorito
pe’ vede’ come si fa.
Altri cinque ne farei
pe’ compire la dozzina,
son ragazza, poverina,
e nessun può dir di me.
Morino, l’altra sera avevi il muso
perché ‘un ti diedi cosa tu volevi.
Lo sai che in casa mia non c’è quest’uso,
e tu, imbecille, a metterlo insistevi.
‘Un ci veni’ a attaccarti alla gonnella,
finché non m’hai sposato, ‘un ti do nulla,
con mezza lira levati la voglia.
Amore, amore, sei la mia rovina,
almeno ‘un mi fini’ di rovinare.
Lo sai, ma la mi’ casa è piccolina,
e la tua grande non ci pòle stare.
Ma guarda quant’è stupida la donna,
ce l’ha due mele in seno e non le mangia,
quando prende marito le consegna.
L’avevo un uccellino senza penne,
volava sulla patta (bocca) delle donne,
a una beccata rimanevan pregne.
Il mi’ morino è tanto che mi prega,
solo un bacino io glielo voglio dare,
ma glielo voglio dare in tal maniera
che giorno e notte ci dovrà pensare.
E gira e frulla,
lascerò la parla aperta,
si farà sulla ‘operta
come fece mi’ pa’ e mi’ ma’.
La donna
e la fame
Cosa m’importa a me de’ tuoi bacini,
se a casa non mi porti da mangiare?
Lo senti come piangono i bambini,
gridano: «Babbo e mamma, abbiamo fame!»
E cos’importa a me se il pane è caro?
Tanto ce l’ho lo sposo contadino,
gli do un bacino e lui un sacco di grano.
Caro marito, disse la Nena,
se si desina, ‘un si cena
e alla domanda mia risponderai:
Del tu’ guadagno cosa ne fai?
Nata d’un cane, levati di torno,
lo sai guadagno tre lire al giorno,
e Dio ti mandi più che un accidente
ché quando piove non guadagno niente.
Bada, bambina, tu mi ‘omprometti,
i miei guadagni tu dove li metti?
Perché a pagare io sarò pronto,
vieni un po’ino a fare il conto.
E scrivi e scrivi sempre, o cervellone,
cosa guadagni? Tre lire al giorno,
e quattrini non ce l’hai,
e cosa fai? ‘Un ce n’hai mai.
Un franco e venti ci vole di pane,
un’e settanta me ne rimane,
metti un trentina di fagioli
e son po’ini pe’ quattro figlioli.
Dal macellaio ‘un ci posso più anda’
perché la ‘arne ‘un me la vo’ più da’.
Cinque lire me l’avanza il lattaio
e dieci lire anche il fornaio...
E cara Nena, mondo birbone,
ora lo vedo che tu hai ragione.
Quando i figlioli cresceranno,
le cose meglio anderanno.
La donna
e il mare
Mi voglio fa’ la casa alla marina
e le finestre sull’onde del mare,
mi voglio leva’ presto la mattina
pe’ vede’ ‘il mio morino navigare.
La via del mare l’ho fatta piangendo
e lacrimando per tutta la via,
le mani agli occhi e la bocca dicendo:
«Bisogna abbandonarsi, anima mia».
O lume che fai lume ai Quattro Mori,
fai lume ai bastimenti e ai marinari;
fai lume allo mio amor che vien di fòri
E le stelle nel cielo son millanta,
tutte le sere conto e poi ·riconto,
quella dell’amor mio sempre ci manca.
O porto di Livorno traditore,
m’hai portato il mio amore in alto mare,
me 1’hai portato al Porto di Tolone.
Lascialo sta’ Livorno e i Quattro Mori,
il porto dove sbarca i marinari,
e i giovanotti belli come fiori
che pe comprarli ‘un bastano i denari.
GIORGIO FONTANELLI (Livorno 20
maggio 1925 - 5 giugno 1993) - Drammaturgo
e poeta. Nacque in via Goldoni
48. Prof. Laureatosi nel 1950 in
Lettere Moderne (Storia del Risorgimento)
all’Università di Pisa, insegnò
latino e italiano al Liceo Classico
"G.B. Niccolini", allo Scientifico
di Piombino, poi, per molti anni, all’Istituto
Nautico "A. Cappellini". Dal
1978 fu docente di Storia dello Spettacolo
all’Accademia di Belle Arti di
Carrara. Oltre che insegnante fu poeta,
uomo di teatro (numerosi sono
i suoi testi teatrali) e ricercatore appassionato
della tradizione popolare
cittadina, lasciandoci un autentico
trattato di livornesità con “O porto
di Livorno traditore” (1975), che
ancor oggi rimane un classico del
nostro teatro popolare. Altri suoi scritti
di successo furono “Quel gennaio
del ‘29” sulla scissione del partito
comunista e “La Pietra sotto la Croce”
(1982) sugli ex voto di Montenero.
Nel libro “Il punto dei quattro nasi”
Fontanelli offre interessanti osservazioni
originali della sua città, così
come nei “Proverbi livornesi” e nei
“Canti popolari livornesi”.

LIVORNOnonstop è...
quiz
17
La storia delle nostre strade
QUIZ A PUNTEGGIO PER SAGGIARE LA TUA LIVORNESITÀ
LIVORNESE DOC O ALL’ACQUA DI ROSE?
...a spasso
per la città
dallo Stradario Storico di Livorno, antico,
moderno e illustrato di Beppe Leonardini
e Corrado Nocerino e della
Editrice Nuova Fortezza di Livorno.
Via dell’Antica Polveriera -
Dalla via S.Jacopo in Acquaviva
a via del Forte dei cavalleggeri.
Si riferisce ad una polveriera
costruita nel 1720 e abbandonata
nel 1827 poiché risultava
troppo vicina alle abitazioni. La
polveriera fu poi costruita sull’area
della attuale darsena Toscana.
Via Achille Valenti - Da via
A.M. Agnoletti a via I. Marchiani,
in zona “Corea”. E’ così denominata
dal 1962 in ricordo del
garibaldino livornese (1843-
1928).
Proverbi
livornesi
✔ Hai mangiato l’ovo n’culo
alla gallina.
✔ Bria’i e bimbi fori di ‘asa.
✔ Fai onco ai ba’i ce’i.
✔ È meglio ave’ paura ‘e toccanne.
✔ Brutta in viso, e sotto il paradiso.
✔ Accidenti a quelli boni.
✔ Meglio invidiati ‘he compatiti.
✔ N’e cascato lo spadino.
✔ Deve lavorà chi ‘un ha nulla
da fa’.
Scoprilo rispondendo a queste domande; quindi controlla punteggio e valutazione:
1
In
quale anno la Madonna di
Montenero è stata proclamata
patrona della Toscana?
A 1966
B 1947
C 1930
2
Chi
A
B
C
3
Via
A
B
C
4
Chi
A
B
C
è l’autore del monumento
a Giuseppe
Garibaldi?
Augusto Rivalta
Vincenzo Cerri
Lorenzo Gori
Calatafimi ricorda la località
teatro di una gloriosa battaglia?
In quale regione è ubicata?
Veneto
Sicilia
Lombardia
ha scritto a metà
1800 la guida Cenni su
Livorno e i suoi contorni?
Ippolito Nievo
Pietro Martini
Angelica Palli
5
In
quale anno è scomparso
il pittore Giovanni Fattori?
A 1825
B 1936
C 1908
6
Quale
A
B
C
7
Dove
A
B
C
8
In
livornese ha scritto
il noto poemetto Rapsodie
Garibaldine?
Antonio Mangini
Giovanni Marradi
Francesco Domenico Guerrazzi
è collocato il busto del
patriota e uomo politico
Adriano Lemmi?
Accademia Navale
Villa Fabbricotti
Emeroteca
quale anno fu inaugurato
il Teatro La Gran Guardia?
A 1954
B 1963
C 1949
RISPOSTE: 1 (B), 2 (A), 3 (B), 4 (C), 5 (C), 6 (B), 7 (B), 8 (A), 9 (A), 10 (A), 11 (B), 12 (C)
Meno di 2 risposte corrette: ...all’acqua di rose - Da 3 a 6 risposte corrette: ...sui generis
Da 7 a 10 risposte corrette: alla moda - Nessun errore: LIVORNESE DOC honoris causa
Quiz visivo e di orientamento a conferma del tuo grado di livornesità
Che razza di livornese sei?
...di SCOGLIO,
di FORAVIA
o... PISANO?
Qui a fianco c'è la foto di una strada
della tua città. Sai riconoscere di
quale via si tratta?
9
Da
A
B
C
10 A
B
C
11 chi sono stati progettati
i portici di Via
Grande?
Alessandro Pieroni
Luigi Vagnetti
Bernardo Buontalenti
Da cosa ha preso origine
il toponimo della
località Rombolino?
Nome di un podere
Zona di caccia
Piatto tipico
In quale anno fu costruito
il Ponte di Marmo degli
omonimi scali?
A 1788
B 1629
C 1856
12 Quante presenze ha collezionato
Cristinao Lucarelli
nel Livorno?
A 136
B 222
C 174
Se trovi degli errori in questo
giornale, tieni presente
che sono stati messi di proposito.
Abbiamo cercato di
soddisfare tutti, anche coloro
che sono sempre alla ricerca
di errori!
Se rispondi ESATTAMENTE significa
che sei un... livornese di scoglio!
Se rispondi CONFONDENDO la via
con altra della stessa zona, significa
che sei un...livornese di foravia,
Se NON RIESCI A CAPACITARTI di
quale via si tratta, allora significa
che... sei un pisano!
Per la risposta, vedi pag. 19
Grado di difficoltà:

LIVORNOnonstop è...
18
storia
Corrosione, degrado e mancanza di rispetto per il secolare obelisco di Pasquale Poccianti
Monumento
al ‘Che’?
No, è la secolare
Fonte Guglia!
I giovani lo hanno ormai ribattezzato
l’obelisco di Che Guevara,
anche perché l’effige, con
tanto di sfondo amaranto, dedicato
al noto rivoluzionario, guerrigliero,
scrittore e medico argentino,
fa bella mostra (?) di sé, ormai
da un bel po’ di tempo. E’
uno dei tipici esempi di scempio
della storia secolare livornese.
Sono difatti trascorsi quasi duecento
anni da quando l’obelisco
fu posto nell’allora piazza di
Marte (l’attuale piazza Giuseppe
Mazzini che prese questo nome
nel 1872, proprio subito dopo la
morte dell’apostolo del Risorgimento
Italiano). La realizzazione
del manufatto, che, per la precisione
risale al 1836, fu appositamente
voluta da Ferdinando I,
che voleva delimitare lo spazio
entro in cui era proibito costruire
le abitazioni.
Fu innalzato da Pasquale Poccianti
con i lavori di ampliamento
dell’acquedotto. Prese il nome
di Fontana “Fonte Guglia” anche
perché quì era posta una fonte
pubblica.
I libri di storia non evidenziano
l’originaria altezza della costruzione,
ma sicuramente l’obelisco
era alto più di due-tre volte di ciò
che rimane oggi (ce ne possiamo
rendere conto anche dalle cartoline
dell’epoca). Il troncamento
fu dovuto sia alla naturale corrosione
e allo sfaldamento della
pietra arenaria (bella a vedersi ma
non è proprio l’ideale per la costruzione
di un elemento architettonico
o scultorio) ma anche,
e soprattutto, alla mancata attenzione
(leggi adeguata manutenzione)
che richiede un manufatto
più che secolare. Il Comune,
dopo che la parte superiore
era già stata a suo tempo rimossa,
nel 2009, per motivi di sicurezza
e per garantire l’incolumità
dei cittadini, fu costretto a “tagliarlo”
ulteriormente.
Considerato che a tutt’oggi lo
Come si presenta oggi l’obelisco di piazza Mazzini, con dipinta l’effige del
Che Guevara. Innalzato dal Poccianti nel 1836, per volere di Ferdinando I,
delimitiva la zona oltre la quale era proibito costruire abitazioni. All’epoca
era conosciuto come Fonte Guglia, per la presenza di una fontana pubblica.
“scheletro” presenta ancora vari
problemi (è ormai transennato da
lungo tempo), nasce spontanea
l’amarezza per un sito secolare
abbandonato a se stesso (c’è di
mezzo anche la Soprintendenza di
Pisa), senza alcun rispetto per la
sua storia e per quella della città.
Una cartolina dei primi del 1900 che mostra la piazza Mazzini e l’obelisco di Pasquale Poccianti in tutta la sua originaria altezza.

LIVORNOnonstop è...
19
amarcord
Cara, vecchia Livorno
oltre
dalla collezione di Roberto Leonardi
che alla ns. Redazione
di via Pisacane 7
è in distribuizione presso:
Interno fortino Sassaia
1980 - Via dei Floridi
1880 - Scali Finocchietti
Premiata Libreria Belforte 1805
Via Roma 69
Antichità Numismatica Gasparri
C.so Mazzini 317/323
Tabaccheria 73
di Gambacciani Sonia
Via Goldoni 14
In Vino Veritas
Via Maggi 82
Caffè Greco
Via della Madonna 8
Edicola Toriani
Largo Vaturi
Caffè Cellini
Via del Molo Mediceo 22
Pizzeria Il Ventaglio
Via Grande 145
Caffè Grande
Via Grande 59
Rinaldo Bartolini “Riri”
Mercato C.le - Banco 307
Fotografo Del Secco
Via Cambini
Ferramenta Fabbrini
Via Marradi (ang. v.le Mameli)
Macelleria Paolo Pini
Viale Mameli 55
Edicola Borghesi
Piazza Garibaldi
"Centro Libri"
Via Garibaldi 8
Tabaccheria Cialdini F. e M.
Via Prov. Pisana 44
Norcineria "Regoli"
Via Mentana 102
Bar Sant'Agostino
Viale della Libertà 33
Bar Stadio Comunale
Piazzale Montello
Ma che razza
di livornese sei?
La strada in questione, di cui a
pag. 17, è:
Via Pasquale Poccianti
Navicelli e Fortezza vecchia
1980 - Via Strozzi: arco.
posta tra piazza XX Settembre
e corso Amedeo