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MINA<br />
LE FOTO DI PASCUTTINI<br />
DEMETRIO<br />
STRATOS<br />
CANTARE LA VOCE<br />
AL JARREAU<br />
SULLE CORDE<br />
DELLE EMOZIONI<br />
MARINO<br />
SEVERINI<br />
GANG CALIBRO 77<br />
ENRICO<br />
CARUSO<br />
E MARIA<br />
CALLAS<br />
VOCI DELLA<br />
“CLASSICA”<br />
NUOVA<br />
COMPAGNIA<br />
DI CANTO<br />
POPOLARE<br />
TUTTE LE VOCI DI NAPOLI
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to deliver that performance<br />
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tilolo pezzo<br />
Mercoledì 27 settembre<br />
21:30<br />
La bocca della verità<br />
22:40<br />
Ingranaggi della Valle<br />
Giovedì 28 settembre<br />
21:30<br />
Accordo dei contrari<br />
22:40<br />
Slivovitz<br />
Venerdì 29 settembre<br />
21:30<br />
Consorzio<br />
Acqua Potabile<br />
22:40<br />
Jumbo<br />
Sabato 30 settembre<br />
21:30<br />
Italia 70 con Jenny<br />
e Alan Sorrenti,<br />
Enzo Vita e Pino Ballarini<br />
del Rovescio della<br />
Medaglia + altri ospiti<br />
22:40<br />
Semiramis<br />
Domenica 1 ottobre<br />
21:30<br />
La Coscienza di Zeno<br />
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129
<strong>518</strong><br />
• anno XLVII •<br />
• agosto 2017 •<br />
DAVID BOWIE<br />
06Una voce per l’eternità<br />
10 dischi per ascoltare la voce<br />
22Guida all’ascolto<br />
29 L’impianto<br />
Come “vivere” la voce<br />
34 MINA<br />
I record di una cantante inimitabile<br />
PIETRO PASCUTTINI<br />
39Fotografare Mina<br />
ENRICO CARUSO<br />
40Secondo Puccini l’ha mandato Dio!<br />
MARIA CALLAS<br />
46La voce divina<br />
AL JARREAU<br />
58Dentro la musica<br />
62 GANG<br />
Vita da cantastorie<br />
PROCOL HARUM<br />
7850 anni da A Whiter Shade of Pale<br />
Gianmaria Testa<br />
84Le stazioni del cuore<br />
Demetrio Stratos<br />
88Oltre la voce<br />
92 Area<br />
Senza confini<br />
Nuova Compagnia<br />
100di Canto Popolare<br />
Viaggio nella tradizione “diversa”<br />
106 Osanna<br />
Da Napoli verso il mondo<br />
Joe Bonamassa<br />
112Non solo blues<br />
David Byrne<br />
118Fuori dal coro
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1<br />
dalla A alla Z<br />
BEATLES, KING CRIMSON,<br />
YES, PINK FLOYD,<br />
HAWKWIND, QUEEN,<br />
ZAPPA…<br />
Belew, Adrian.<br />
Il chitarrista di King Crimson,<br />
Frank Zappa e Talking Heads ha suonato<br />
con Bowie in due periodi distinti della sua<br />
carriera: dal 1978 al 1979 e successivamente<br />
nel 1990 per il celebre Sound+Vitesto:<br />
Paolo Carnelli<br />
i sono artisti la cui carriera segue<br />
una lunga linea retta, e altri<br />
dai quali è invece alimentata<br />
attraverso scarti improvvisi.<br />
David Bowie era uno di questi. La personale<br />
idea di arte, basata sul desiderio di esplorare<br />
ogni tipo di suggestione, si rifletteva<br />
sulla sua musica e sulla sua personalità, in<br />
un continuo gioco di specchi. Cantautore,<br />
musicista, attore, pittore, produttore, Bowie<br />
ha fatto della capacità di cambiare pelle il<br />
principale punto di forza e di attrattiva verso<br />
il pubblico e la critica. David Robert Jones<br />
è stato sempre considerato un innovatore,<br />
e forse proprio per questo la sua strada<br />
si è incrociata spesso con quella di veri e<br />
propri campioni delle stagioni progressive<br />
come Robert Fripp o Rick Wakeman. Non<br />
è nostra intenzione, ovviamente, disquisire<br />
su quanto Bowie fosse prog o meno:<br />
piuttosto, ci sembrava semplicemente doveroso<br />
celebrare l’artista prematuramente<br />
scomparso lo scorso 10 gennaio e nel farlo,<br />
fornire nuovi stimoli di connessione con la<br />
sua produzione musicale. Dalla A alla Z, 25<br />
sfumature di Bowie…<br />
A<br />
Aladdin Sane.<br />
La title-track dell’album del 1973 è<br />
probabilmente uno dei pezzi migliori per<br />
apprezzare lo spirito onnivoro dell’artista<br />
londinese. L’andamento sinuoso del brano<br />
è spaccato in due dal selvaggio assolo<br />
di pianoforte di Mike Garson. Garson registrò<br />
la parte di piano, totalmente improvvisata,<br />
in una unica volta, cercando d’interpretare<br />
la richiesta di suonare “qualcosa<br />
in stile avant-garde jazz” che gli aveva<br />
fatto Bowie.<br />
B<br />
sion Tour. La chitarra di Belew è presente<br />
sul doppio live STAGE (1978) e sul successivo<br />
LODGER (1979). Come racconta<br />
spesso Adrian, Bowie lo scippò senza<br />
troppi complimenti a Zappa dopo averlo<br />
visto suonare dal vivo in Germania con<br />
l’artista di Baltimora, su raccomandazione<br />
di Brian Eno. A sua volta, Bowie è presente<br />
come ospite in due brani di YOUNG<br />
LIONS (1990) di Belew.<br />
C<br />
China Girl.<br />
Composta a quattro mani da Bowie<br />
insieme al suo grande amico Iggy Pop,<br />
questa canzone vide inizialmente la luce<br />
sull’album THE IDIOT, pubblicato dal<br />
cantante degli Stooges nel 1977. Ad avere<br />
successo fu però la versione rivisitata<br />
inclusa da Bowie nel suo album LET’S<br />
DANCE del 1983, che raggiunse la seconda<br />
posizione nelle classifiche britanniche.<br />
Lo splendido assolo di chitarra finale è<br />
opera del grande Stevie Ray Vaughan.<br />
D<br />
DIAMOND DOGS.<br />
Uno degli album più amati di<br />
Bowie, pubblicato nel maggio del 1974. Si<br />
Da sinistra: THE MAN WHO<br />
SOLD THE WORLD, edizione<br />
inglese (1971), BLACKSTAR<br />
(2016), DAVID BOWIE<br />
(1967), HEROES (1977),<br />
LOW (1977).<br />
6
tratta di un concept ispirato al romanzo<br />
1984 di George Orwell. I concerti del tour<br />
di DIAMOND DOGS erano caratterizzati<br />
da un allestimento scenico imponente,<br />
con Bowie che appariva sul palco all’interno<br />
di un gigantesco diamante.<br />
E<br />
Eno, Brian.<br />
L’incontro tra Bowie e l’ex tastierista<br />
dei Roxy Music, già attivo come artista<br />
solista e produttore, diede origine<br />
alla celebre “trilogia berlinese”, costituita<br />
dagli album LOW (1977), HEROES (1977)<br />
e LODGER (1979). Eno tornerà a lavorare<br />
con Bowie nel 1996 per il concept album<br />
OUTSIDE.<br />
F<br />
Fripp, Robert.<br />
Il leader dei King Crimson registrò<br />
la famosa melodia di chitarra elettrica<br />
presente su Heroes utilizzando esclusivamente<br />
il feedback proveniente dai monitor<br />
dello studio. In realtà si tratta di tre<br />
tracce di chitarra sovrapposte, incise in<br />
sequenza ma “alla cieca”, cioè senza tenere<br />
conto del take precedente. La chitarra di<br />
Fripp è presente anche su un altro album<br />
di Bowie, SCARY MONSTERS del 1980.<br />
G<br />
Garson, Mike.<br />
Straordinario pianista americano,<br />
collabora con Bowie dai tempi del tour di<br />
ZIGGY STARDUST, facendo il suo esordio<br />
in studio con il già citato solo di piano sul<br />
brano Aladdin Sane (1973). Il suo sodalizio<br />
con l’artista inglese prosegue fino al<br />
1976, per poi riprendere all’inizio degli<br />
anni 90, quando dal vivo diventerà un<br />
vero e proprio alter ego di Bowie.<br />
«SPERO<br />
CHE COL TEMPO<br />
FINISCA PER<br />
PRENDERMI<br />
SEMPRE MENO<br />
SUL SERIO»<br />
DAVID BOWIE<br />
Immagine dal servizio<br />
fotografico per la<br />
realizzazione della copertina<br />
di ALADDIN SANE. Il servizio<br />
fu realizzato a Londra nel<br />
gennaio 1973.
DAVID BOWIE<br />
H<br />
House, Simon.<br />
Esattamente come Adrian Belew,<br />
anche il violinista di Hight Tide, Third Ear<br />
Band e Hawkwind incrociò la sua strada<br />
con Bowie nel periodo 1978/79 e poi nel<br />
1990 per il Sound+Vision Tour.<br />
I Iman.<br />
David Bowie è stato sposato due volte.<br />
La prima volta con l’attrice e modella<br />
Mary Angela “Angie” Barnett, da cui ha<br />
divorziato nel 1980. Nel 1992 Bowie ha<br />
sposato la modella somala Iman Mohamed<br />
Abdulmajid, dalla quale nel 2000 ha<br />
avuto una figlia, Alexandria Zahra Jones.<br />
K<br />
Kaye, Tony.<br />
Non è una leggenda metropolitana:<br />
il tastierista dei primi tre album degli Yes<br />
ha suonato con Bowie durante il tour di<br />
STATION TO STATION (1975/76). E se l’è<br />
cavata anche abbastanza bene.<br />
J Jazz.<br />
Per realizzare il suo ultimo album,<br />
BLACKSTAR, pubblicato appena due<br />
giorni prima della sua morte, Bowie si è<br />
servito della band di Donny McCaslin,<br />
sassofonista della scena jazz di New York.<br />
Il quartetto comprende anche il batterista<br />
Mark Guiliana, il bassista Tim Lefebvre e<br />
il tastierista Jason Lindner. Bowie li aveva<br />
“scoperti” in un piccolo jazz club della<br />
Grande Mela nella primavera del 2014.<br />
L<br />
Lennon John.<br />
L’incontro tra Bowie e l’ex Beatles si<br />
consumò durante le registrazioni dell’album<br />
YOUNG AMERICANS (1975). I due<br />
si erano conosciuti qualche mese prima a<br />
un party organizzato dall’attrice Liz Taylor.<br />
Lennon e Bowie scrissero e registrarono insieme<br />
un nuovo brano, Fame, agli Electric<br />
Lady Studios di New York. Nello stesso album<br />
è presente anche una nuova versione<br />
di Across The Universe dei Beatles.<br />
M<br />
Moonage Daydream.<br />
Pensavate forse che il buon Mike<br />
Portnoy, ormai conosciuto universalmente<br />
come “il mago delle cover”, non<br />
trovasse il tempo per cimentarsi in una<br />
riproposizione bowiana? Fortunatamente<br />
(o sfortunatamente, dipende dai punti di<br />
vista) dopo la scomparsa di Bowie il batterista<br />
ha deciso di condividere liberamente<br />
in rete la sua versione di questo grande<br />
classico, registrata insieme al chitarrista<br />
Richie Kotzen e al bassista Billy Sheehan<br />
nell’ambito del progetto Winery Dogs.<br />
N Nirvana.<br />
Nel 1993, il gruppo di Kurt Cobain<br />
registrò una nuova versione della canzone<br />
di Bowie The Man Who Sold The World,<br />
tratta dall’album omonimo del 1970,<br />
durante il celebre MTV Unplugged in<br />
New York, rilanciandola presso il pubblico<br />
grunge.<br />
O OUTSIDE.<br />
Probabilmente l’album più prog di<br />
Bowie. Immaginifico, suggestivo, surreale:<br />
una tela bianca su cui si depositano<br />
pennellate di note in maniera<br />
imprevedibile. Non a caso<br />
questo concept album, pubblicato<br />
nel 1995, sancisce il ricongiungimento<br />
di Bowie con Brian<br />
Eno.<br />
P<br />
Pink Floyd.<br />
Nel 1973 Bowie<br />
decide di realizzare<br />
un album esclusivamente<br />
di cover<br />
intitolato PIN UPS.<br />
Nella tracklist, accanto<br />
a brani di Who,<br />
Kinks e Yardbirds, figura<br />
anche See Emily Play<br />
dei Pink Floyd, originariamente pubblicata<br />
su 45 giri nel giugno del 1967.<br />
Q Queen.<br />
Nel 1981 Bowie viene coinvolto<br />
nelle registrazioni del decimo album dei<br />
Queen, HOT SPACE, ai Mountain Studios<br />
di Montreux, Svizzera. Quella che doveva<br />
essere una semplice ospitata come corista<br />
si trasformò in un momento di creatività<br />
collettiva. Dalla jam nacque Under<br />
Pressure, uno dei brani di maggior successo<br />
dei Queen: pubblicata come 45 giri<br />
a nome “Queen & David Bowie”, raggiunse<br />
infatti il primo posto delle classifiche inglesi.<br />
David durante<br />
un’apparizione alla TV<br />
olandese nel 1974.<br />
Da sinistra: DIAMOND DOGS<br />
(1974) e THE RISE AND FALL<br />
OF ZIGGY STARDUST (1972).<br />
8
R<br />
RISE AND FALL OF<br />
ZIGGY STARDUST, THE.<br />
Pubblicato nel 1972, è uno degli album<br />
più celebri di Bowie. Il concept è incentrato<br />
sul personaggio di Ziggy Stardust, manifestazione<br />
terrestre di una entità aliena<br />
che intende utilizzare la musica per veicolare<br />
il suo messaggio di pace.<br />
S<br />
Space Oddity.<br />
Uno dei brani più noti e più coverizzati<br />
di Bowie: nel testo un astronauta, il<br />
Maggiore Tom, decide di abbandonare la<br />
missione in cui è impegnato per fluttuare<br />
da solo nello spazio. Nonostante ciò, nel<br />
1969 la canzone fu utilizzata come colonna<br />
sonora durante l’atterraggio dell’Apollo<br />
11 sulla luna. Rick Wakeman, che all’epoca<br />
lavorava come turnista ai Trident Studios,<br />
registrò le parti di Mellotron e di stilofono,<br />
un piccolo strumento elettronico<br />
acquistato per pochi euro in un negozio<br />
vicino allo studio.<br />
T<br />
Tin Machine.<br />
Nati alla fine degli anni 80 dall’incontro<br />
tra Bowie e il chitarrista Reeves<br />
Gabrels, i Tin Machine rappresentano il<br />
ritorno dell’artista inglese alle sonorità<br />
rock blues di Cream, Hendrix e Jeff Beck,<br />
filtrate attraverso l’aggressività punk<br />
della sezione ritmica formata dai fratelli<br />
Tony e Hunt Sales. La band, di cui Bowie<br />
voleva essere solo il frontman e non il leader,<br />
pubblicò due album in studio e un<br />
live prima di sciogliersi nel 1992.<br />
«NON RIESCO<br />
A PENSARE A<br />
NEANCHE UN<br />
ESSERE UMANO CHE<br />
IO POSSA DEFINIRE<br />
UN IDOLO»<br />
DAVID BOWIE<br />
U<br />
Union Chapel.<br />
La suggestiva location nella parte<br />
nord di Londra è stata scelta dai fan per<br />
dare l’ultimo saluto all’artista inglese. Il 17<br />
gennaio Bowie è stato ricordato e celebrato<br />
in una maratona di oltre cinque ore<br />
a cui hanno preso parte decine di artisti,<br />
la cui performance live è stata inframmezzata<br />
con filmati, interviste e testimonianze<br />
varie.<br />
V<br />
Visconti, Tony.<br />
Produttore storico di Bowie per<br />
quasi tutti gli anni 70, si è ricongiunto<br />
con l’artista londinese all’inizio del nuovo<br />
millennio seguendolo fino al recente<br />
e conclusivo BLACKSTAR. Tra le sue<br />
produzioni figurano anche i primi due<br />
album dei Gentle Giant e dischi di Osibisa,<br />
Strawbs, Caravan, Rick Wakeman e Jon<br />
Anderson.<br />
W<br />
DAVID BOWIE<br />
Wakeman, Rick.<br />
Durante l’intensa attività come<br />
turnista di inizio carriera, Wakeman incrociò<br />
Bowie già nel 1969, quando ai<br />
Trident Studios di Londra registrò il Mellotron<br />
su SPACE ODDITY, ripetendosi<br />
lo stesso anno nel successivo DAVID<br />
BOWIE. Impressionato dal successo di<br />
Wakeman con gli Strawbs, Bowie lo richiama<br />
nel 1971 chiedendogli di arrangiare<br />
al pianoforte i brani del suo quarto<br />
album, HUNKY DORY. La centralità del<br />
piano di Wakeman nell’economia del disco<br />
è evidente fin dalle prime note della<br />
celeberrima Changes, proseguendo con<br />
le ballate Life On Mars? e Quicksand.<br />
Proprio al termine delle sessioni di registrazione<br />
dell’album, Wakeman ricevette<br />
in contemporanea la proposta di Bowie di<br />
entrare a far parte della sua nuova band,<br />
gli Spiders From Mars, e quella degli Yes<br />
che cercavano un tastierista per sostituire<br />
Tony Kaye.<br />
X X Files.<br />
Nel 2002, la famosa serie televisiva<br />
di fantascienza omaggiò David Bowie<br />
intitolando il quattordicesimo episodio<br />
della nona stagione con il titolo SCARY<br />
MONSTERS, esattamente come l’album<br />
pubblicato da Bowie nel<br />
1980. Nell’ultima scena dell’episodio,<br />
è presente anche una citazione del<br />
film L’uomo che cadde sulla terra (1976)<br />
di cui fu protagonista lo stesso Bowie.<br />
Y<br />
Yamamoto, Kansai.<br />
Per gli abiti di scena del tour di ZIG-<br />
GY STARDUST (1972) e ALADDIN SANE<br />
(1973), Bowie si affidò a questo stilista<br />
giapponese. I suoi modelli dalle forme<br />
bizzarre e dilatate consentirono a Bowie<br />
di trascendere il genere maschile e femminile,<br />
utilizzando la tradizione del kabuki<br />
per ampliare la percezione della sua<br />
immagine da parte del pubblico.<br />
Z Zowie.<br />
Duncan Zowie Haywood Jones è l’unico<br />
figlio nato dal matrimonio tra David<br />
Bowie e Angela Barnett nel 1971. Duncan<br />
è uno sceneggiatore e regista cinematografico:<br />
il suo primo lungometraggio, il<br />
film di fantascienza Moon (2009) è stato<br />
accolto positivamente dalla critica, aggiudicandosi<br />
diversi riconoscimenti. Attualmente<br />
Jones sta lavorando all’adattamento<br />
cinematografico del celebre videogioco<br />
della Blizzard, Warcraft,<br />
dove sarà raccontato<br />
l’inizio della<br />
saga che vede protagonisti<br />
gli umani e<br />
gli orchi.<br />
Tin Machine, It’s My Life<br />
Tour. 9 ottobre 1991,<br />
Brancaccio, Roma (foto<br />
Guido Bellachioma).
DAVID BOWIE<br />
2<br />
testo: Peter Nicholls (IQ)<br />
1947-2016<br />
Sono rimasti pochi aggettivi che non siano stati già utilizzati dopo la sua tragica<br />
e prematura scomparsa, per descrivere David Bowie. È stato indubb iamente<br />
un cantautore enormemente dotato, un performer dal carisma inimitabile, un<br />
prodigioso talento e un grande innovatore con un appetito insaziabile per la<br />
sperimentazione e per il rischio. O forse, soprattutto, è stato il più abile e versatile<br />
cantante della sua generazione. Era famoso perché in studio di registrazione<br />
il primo take era quasi sempre quello giusto, anche a causa della sua limitata<br />
soglia di attenzione. Che voce. Provate a riascoltare canzoni come Life On<br />
Mars?, Five Years, The Jean Genie, Wild Is The Wind, China Girl… ma la lista<br />
dei brani caratterizzati da incredibili performance vocali che sono diventati dei<br />
veri e propri classici potrebbe andare avanti all’infinito. È un’eredità artistica che<br />
non avrà mai rivali.<br />
Chi altro, se non Bowie, poteva ancora sorprenderci e deliziarci con un album<br />
così vitale e sperimentale come BLACKSTAR, pubblicandolo nel giorno del suo<br />
sessantanovesimo compleanno, poche ore prima di morire? La sua voce nel disco<br />
è forte e impostata, emozionante e unica, scintillante e luminosa come non<br />
mai. Basta ascoltare brani come Lazarus, I Can’t Give Everything Away e la<br />
coinvolgente title-track.<br />
Come tanti altri che hanno la mia stessa età, da ragazzo il giovedì sera ero sempre<br />
incollato alla televisione per guardare Top of the Pops. Ricordo ancora l’epocale<br />
performance di Starman nel 1972, quando comparve davanti ai nostri occhi<br />
questa creatura che sembrava provenire da un altro mondo, aprendoci scenari<br />
che prima non saremmo mai riusciti a immaginare. Da quel momento in poi ho<br />
seguito ogni sua mossa, acquistando tutti i suoi album e andando a vederlo un<br />
sacco di volte dal vivo. È senza dubbio il mio cantante preferito.<br />
Per quanto riguarda la sua discografia, ovviamente ognuno di noi ha un album<br />
di Bowie a cui è più legato. Il mio è DIAMOND DOGS: un lavoro oscuro, atmosferico,<br />
da brividi, ma che oggi suona fresco esattamente come nel 1974, quando<br />
fu pubblicato.<br />
C’è una foto bellissima che è stata scattata al Marquee di Wardour Street, a<br />
Londra, nel 1973, quando Bowie era lì per le riprese del celebre The 1980 Floor<br />
Show. È seduto nel backstage, nella stessa microscopica stanzetta in cui ci siamo<br />
trovati tante volte anche noi degli IQ negli anni 80. Mi ha sempre emozionato<br />
pensare che eravamo seduti esattamente dove era seduto lui qualche anno<br />
prima.<br />
Il mondo ha perso un campione di originalità. Un vero maestro della sua arte<br />
che ha ispirato migliaia di musicisti. Mi rattrista pensare che non c’è più, ma il<br />
pensiero che il suo talento e la sua importanza proseguiranno a vivere per generazioni<br />
e generazioni mi conforta un po’. Sono stato veramente fortunato a<br />
vivere su questo pianeta nello stesso periodo in cui è esistito questo artista<br />
fuori dal comune.<br />
Dal sito www.iq-hq.co.uk<br />
3<br />
Memories 1<br />
testo: Guido Bellachioma<br />
icordare Bowie non è facile,<br />
né umanamente né artisticamente:<br />
troppo zigzagante nelle<br />
sue rotte esplorative, troppo volutamente<br />
contorto o spiazzante nelle provocazioni,<br />
quasi sempre evidenti. Tali atteggiamenti<br />
spesso trovavano terreno fertile nella poca<br />
predisposizione all’apertura mentale della<br />
critica musicale, non solo italiana, anche<br />
se pure dalle nostre parti ne ha scritte di<br />
cotte e di crude: è nazista, non è nazista, è<br />
glam, no è soul, no è post elettronico e pre<br />
junglepop, post e pre allo stesso tempo.<br />
Ma la morte, si sa, monda ogni peccato<br />
e per qualche giorno abbiamo assistito<br />
alla corte dei miracoli nelle tv, radio,<br />
quotidiani: chiunque poteva dire quanto<br />
fosse addolorato dalla sua scomparsa, da<br />
quanto il mondo avesse perso con la sua<br />
scomparsa, magari gli stessi che negli<br />
anni 70 stroncavano ogni suo disco, prima<br />
che diventasse operazione sacrilega il<br />
farlo. Dato che della sua malattia nessuno<br />
era al corrente, almeno tra i media, alcuni<br />
giovani eredi dei “giornalisti” italiani dei<br />
70 si erano divertiti a sottolineare radiofonicamente<br />
la pomposità arrogante di<br />
BLACKSTAR. Ma la velocità della comunicazione<br />
è ormai travolgente e si dimentica<br />
ogni castroneria. Ovviamente dopo la<br />
morte di David nulla è più stato lo stesso,<br />
impossibile per i media tradizionali o chi<br />
è legato all’audience, fare discorsi minimamente<br />
critici sull’artista inglese: Chi<br />
ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato,<br />
ha dato, ha dato… scurdámmoce ’o ppassato,<br />
simmo ’e Napule paisá! Ovviamente<br />
Napoli è citata solo per la frase presa in<br />
prestito dalla celebre canzone partenopea<br />
del 1944. Strano paese il Mondo. Oggi<br />
sono tutti orfani di Bowie, anche quelli<br />
«PENSO CHE LA COSA PIÙ IMPORTANTE<br />
SIA PROVARE A DIVENTARE VECCHI…<br />
IN MODO SIGNIFICATIVO»<br />
DAVID BOWIE<br />
10
DAVID BOWIE<br />
Bowie e la stampa<br />
internazionale. Sotto: un<br />
suo ritratto del fotografo<br />
Gavin Evans, 1995.<br />
che non ne ascoltavano un brano da decenni<br />
e, magari, non si sarebbero accorti<br />
dell’uscita del suo “ultimo” album se non<br />
fosse stata per l’eco mediatica di proporzioni<br />
galattiche. E Bowie ha sempre lottato<br />
contro questi luoghi comuni, compreso<br />
quello della morte che deve avvenire in<br />
un certo modo, sempre prevedibile: anche<br />
in questo caso ha smentito tutti con<br />
BLACKSTAR, la cui validità, o meno, è<br />
affrontata nella recensione, però nessuno<br />
può negarne la forza dirompente, ribadita<br />
dalla scelta “bowiana” di pubblicarlo tra<br />
un compleanno, il 69esimo e la morte…<br />
artista fino in fondo, poco importa che<br />
fosse Ziggy Stardust, il decadente uomo<br />
elettrico della trilogia berlinese o il Lazarus<br />
dell’oggi/ieri. Bowie musicalmente ha rappresentato,<br />
e ancora rappresenterà, moltissimo<br />
per diverse scene musicali, alcune<br />
volte in contrasto abbastanza consistente.<br />
Ovviamente le mille stagioni che ha attraversato,<br />
nella logica matematica<br />
delle cose, ci hanno affascinato,<br />
rapito, commosso o<br />
lasciato perplessi… mai<br />
indifferenti. Per lui sarebbe<br />
stata la peggiore<br />
delle offese…<br />
Eppure, tra le tutte le sue<br />
canzoni (sparse tra dischi<br />
solisti, collaborazioni, Tin<br />
Machine, colonne sonore),<br />
alcune consumate<br />
fino a non poterne più<br />
(vedi alcune parti “berlinesi”),<br />
quella che mi “arriva”<br />
forte in testa quando<br />
penso a lui è una composta<br />
da pochi accordi,<br />
molto Stones, e dall’approccio<br />
minimalmente rock: Rebel<br />
Rebel da DIAMOND DOGS<br />
del 1974, dove la sua chitarra<br />
elettrica e la sua voce hanno<br />
una semplice ma devastante<br />
urgenza espressiva, senza<br />
concessioni a sperimentazioni<br />
varie, eppure c’era<br />
già tutto!<br />
11
DAVID BOWIE<br />
4<br />
testo: Paolo Carnelli<br />
Memories 2<br />
l Camaleonte ha cambiato<br />
pelle (forse) per l’ultima<br />
volta. Quel soprannome,<br />
uno dei tanti, Bowie se<br />
l’era guadagnato per la sua<br />
capacità di adattarsi velocemente<br />
al contesto musicale<br />
in cui viveva. In realtà<br />
l’artista inglese non si<br />
è mai limitato a rincorrere<br />
le mode. È stato lui, quasi<br />
sempre, a fare tendenza,<br />
gettando ogni volta stili e<br />
sonorità come colori su una<br />
tela nuova di zecca. Come il<br />
giorno in cui si presentò negli<br />
uffici della Mercury Records, con<br />
una semplice chitarra acustica e uno<br />
stilofono, per far ascoltare al produttore<br />
John Anthony l’abbozzo di una canzone<br />
intitolata… Space Oddity!!! Era il giugno<br />
del 1969. Da quel momento Bowie<br />
ha pubblicato venticinque album (oltre<br />
al debut del 1967) e venduto circa 140<br />
milioni di dischi. Ha abbracciato il folk,<br />
il rock, il pop, la new wave, l’hard rock,<br />
il funk, il jungle. Ha sperimentato fino<br />
alla fine, regalandosi (e regalandoci) a<br />
69 anni, per il suo ultimo compleanno,<br />
un album straordinariamente inventivo<br />
e anticonformista come BLACKSTAR,<br />
destinato ancora una volta a segnare la<br />
rotta per le generazioni a venire. “Sono<br />
curioso di vedere stavolta chi sarà il primo<br />
a imitarlo”, ha dichiarato al mensile<br />
«Rolling Stone» il produttore Tony Visconti,<br />
commentando la strana miscela<br />
di jazz e hip hop che caratterizza l’ultimo<br />
lavoro di Bowie. “L’idea era quella<br />
di buttarci dentro un po’ di tutto, senza<br />
limitazioni. L’importante era provare ad<br />
andare oltre al rock & roll”. Andare oltre,<br />
appunto. Una costante nella produzione<br />
dell’artista inglese, che ha forse avuto il<br />
suo picco nelle atmosfere oscure e post<br />
moderne del concept album OUTSIDE<br />
(1996). Un disco senza tempo, sospeso<br />
in perpendicolare sulla metà degli anni<br />
90 ma intriso di almeno trent’anni di<br />
musica, compresa gran parte di quella<br />
che sarebbe venuta dopo. “È indubbio<br />
che Bowie abbia insegnato a molte persone<br />
come vivere. Ma è altrettanto vero<br />
che ora ci ha insegnato anche come morire”,<br />
ha dichiarato il chitarrista John Ellis.<br />
Il visionario videoclip di Blackstar ne<br />
è stata una dimostrazione lampante. Pur<br />
martoriato dalla lunga malattia, David<br />
Bowie ha voluto restare aggrappato fino<br />
all’ultimo alla sua vocazione artistica,<br />
non accontentandosi di uscire di scena in<br />
punta di piedi. Ora il significato di quelle<br />
immagini è più chiaro, come se fossero,<br />
più che un testamento, un rituale propedeutico<br />
all’ultimo viaggio verso l’infinito.<br />
Dietro di lui rimane la scia delle radio<br />
impazzite che dalla mattina del 10 gennaio<br />
hanno ripreso a suonare tutte le sue<br />
hit. Qualcuno si è svegliato pensando a<br />
un tardivo omaggio per il suo compleanno,<br />
festeggiato due giorni<br />
prima (Bowie è nato l’8 gennaio<br />
del 1947). In realtà era la<br />
colonna sonora per l’ultimo<br />
decollo del Maggiore Tom.<br />
Arrivederci, eterno ragazzo<br />
delle stelle.<br />
Hello Spaceboy<br />
You’re sleepy now<br />
Your silhouette is so<br />
stationary<br />
You’re released but<br />
your custody calls<br />
And I want to be free<br />
Don’t you want to be free<br />
Do you like girls or boys<br />
It’s confusing these days<br />
But Moondust will cover you<br />
Cover you<br />
(David Bowie – Hallo Spaceboy, 1996)<br />
12
DAVID BOWIE<br />
Recensione<br />
testo: Paolo Carnelli<br />
Autore: David Bowie<br />
Titolo:<br />
Anno: 2016<br />
Casa Discografica:<br />
Iso Records/Columbia/<br />
Sony Music<br />
Brano Preferito:<br />
Lazarus – L’arte Di Morire<br />
³ 09:57<br />
’Tis A Pity She Was A Whore ³ 04:52<br />
Lazarus ³ 06:22<br />
Sue (Or In A Season Of Crime) ³ 04:40<br />
Girl Loves Me ³ 04:51<br />
Dollar Days ³ 04:44<br />
I Can’t Give Everything Away ³ 05:47<br />
Non è semplice scrivere a così pochi giorni<br />
dalla scomparsa di David Bowie. Troppi<br />
eventi si sono accavallati in troppo poco<br />
tempo: l’uscita del nuovo album, il ventiseiesimo nella<br />
discografia dell’artista inglese, nel giorno del suo<br />
sessantanovesimo compleanno, seguito appena due<br />
giorni dopo dalla notizia della sua morte per una lunga<br />
malattia di cui in pochi erano a conoscenza. Qualcuno,<br />
appena un mese prima, lo aveva descritto in<br />
gran forma a New York alla prima del musical Lazarus,<br />
scritto insieme a Enda Walsh e diretto da Ivo van<br />
Hove. In realtà, Bowie stava lottando da tempo con<br />
un tumore al fegato. Inevitabile che il calvario personale<br />
si riflettesse anche nella composizione e nelle<br />
atmosfere del nuovo disco. Ma non per dare vita<br />
a una monocorde elegia: chi aveva avuto modo di<br />
ascoltarlo in anteprima aveva parlato di un lavoro affascinante,<br />
sperimentale; un ulteriore salto in avanti<br />
in una carriera piena di evoluzioni e scarti improvvisi,<br />
anche se velato da una luce strana. Il video promozionale<br />
di Blackstar aveva mostrato Bowie nelle<br />
vesti di un profeta cieco, il volto coperto da bende<br />
e gli occhi sostituiti da due pietre nere. Una donna<br />
caudata apriva l’elmetto di una tuta spaziale per<br />
prelevarne il teschio dell’astronauta (il Major Tom<br />
di Space Oddity?) defunto. Immagini che facevano<br />
intendere come Bowie avesse iniziato a interrogarsi,<br />
più che su un ipotetico futuro, sul momento preciso<br />
del trapasso dalla vita alla morte. Ancora più espliciti<br />
erano stati i fotogrammi girati per il clip di Lazarus,<br />
con l’artista inglese sofferente in un letto, poi intento<br />
a scrivere il suo testamento prima di scomparire<br />
all’interno di un armadio. Musicalmente, il contenuto<br />
di Blackstar è abbagliante. Come sa esserlo solo una<br />
stella mentre si trasforma in una supernova, prima<br />
di spegnersi per sempre. La voglia di sperimentare<br />
è confermata anche dal cast dei musicisti, completamente<br />
inedito. Si tratta infatti della band di Donny<br />
McCaslin, sassofonista della scena di New York, un<br />
quartetto formato anche dal batterista Mark Giuliana,<br />
dal bassista Tim Lefebvre e dal tastierista Jason<br />
Lindner. Bowie li ha “scoperti” in un piccolo jazz club<br />
della Grande Mela nella primavera del 2014. Su consiglio<br />
di una sua amica ha prenotato un tavolo davanti<br />
al palco e ha assistito al loro concerto fino alla<br />
fine, andandosene senza dire una parola. Il contatto<br />
ufficiale è avvenuto via email qualche giorno dopo.<br />
Inizialmente sono stati solo McCaslin e Giuliana a essere<br />
coinvolti nella registrazione di un nuovo brano,<br />
Sue (Or In A Season of Crime), poi pubblicato nella<br />
compilation NOTHING HAS CHANGED. Ma nel<br />
gennaio del 2015, tutti e quattro i musicisti sono stati<br />
convocati al Magic Shop Studio di New York per iniziare<br />
a lavorare, insieme al produttore Tony Visconti,<br />
a quello che sarebbe diventato l’ultimo album del<br />
Duca Bianco. Rispetto al precedente e dignitosissimo<br />
THE NEXT DAY (2013) si avverte chiaramente<br />
la voglia di Bowie di lanciarsi senza rete in territori<br />
completamente nuovi. “I musicisti di Donny McCaslin<br />
sono stati straordinari”, ha ammesso Visconti in una<br />
intervista su «Rolling Stone». “Sono stati in grado di<br />
(Blackstar)<br />
suonare praticamente qualsiasi cosa gli chiedessimo,<br />
dal krautrock all’hip hop, al jazz. Il risultato è un’incredibile<br />
fusione sonora che non è possibile ricondurre<br />
ad alcun genere musicale in particolare”. Sicuramente<br />
una grande attenzione è stata riservata alle<br />
ritmiche: il drumming di Giuliana è spesso scivoloso<br />
e frammentario, altre volte scarno ed essenziale, ma<br />
sempre ingegnoso nel posizionamento degli accenti<br />
e nell’interazione con gli altri strumenti. In questo<br />
senso la nuova, tagliente, versione di Sue (Or In A<br />
Season Of Crime) sembra riprendere le suggestioni<br />
jungle di EARTHLINGS (1997), ma la contaminazione<br />
è comunque a più ampio spettro, come dimostrano le<br />
ultime tre tracce dell’album: canzoni apparentemente<br />
più canoniche, eppure avvinghiate a una bolla di<br />
creatività palpabile e per certi versi disperata. Vitale.<br />
Come sa essere chi sa di non avere più molto tempo<br />
da vivere e troppe cose ancora da dire.<br />
Una delle ultime<br />
foto di Bowie.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 13
DAVID BOWIE<br />
5<br />
Nothing<br />
has changed…<br />
…ANCHE ORA CHE NON C’È PIÙ, NULLA È CAMBIATO:<br />
IL CAMALEONTICO DAVID BOWIE È SEMPRE TRA NOI.<br />
LA SUA SCOMPARSA È SOLO UN’ENNESIMA<br />
TRASFORMAZIONE CHE QUESTA VOLTA SEGNA<br />
IL PASSAGGIO DA PRESENZA IN CARNE E OSSA A ICONA<br />
IMPALPABILE E IMMORTALE DELLA MUSICA MONDIALE.<br />
testo: Francesco Bonerba<br />
ino all’ultimo istante della propria<br />
vita David Bowie ha con coerenza<br />
ribadito l’inesistenza di un grado<br />
di separazione tra la propria essenza e<br />
la sua immagine di artista; con l’estrema<br />
umiltà e discrezione che appartiene solo<br />
ai grandi ha nascosto la sua malattia a tutti<br />
non resistendo, al contempo, all’impulso di<br />
raccontarla a milioni di persone nel videoclip<br />
della canzone Lazarus. Perché quando<br />
sei un artista autentico, totale, l’arte si nutre<br />
inevitabilmente della tua vita e viceversa,<br />
in un circolo virtuoso o vizioso che magnifica<br />
o uccide. David Bowie ha assecondato<br />
il fato avverso per scegliere di andarsene<br />
come desiderava, pubblicando il suo ultimo<br />
album, BLACKSTAR, tra il giorno della<br />
sua nascita e quello della sua morte: una<br />
metafora, ci piace immaginare, del fatto<br />
che l’arte sia stata il vero riempitivo della<br />
sua esistenza. Anche la stella nera che fa da<br />
cover alla sua ultima opera diventa, chissà,<br />
l’ultimo riferimento alla più famosa tra le<br />
maschere indossate da Bowie lungo la sua<br />
carriera, quella di Ziggy Stardust, alieno<br />
approdato sulla Terra nel 1972 e ora finalmente<br />
ritornato al suo pianeta natale, un<br />
astro oscuro collocato chissà dove nell’infinità<br />
del cosmo. “Alcuni sostengono che sia<br />
una cover ‘semplice’, realizzata in cinque<br />
minuti”, ha affermato Jonathan Barnbrook,<br />
designer che ha curato cinque copertine<br />
di Bowie negli ultimi quindici anni. “Penso<br />
che oggi ci sia un fraintendimento in merito<br />
alla semplicità. L’immagine contiene<br />
l’idea della mortalità: evoca un buco nero<br />
che risucchia qualsiasi cosa, il Big Bang,<br />
l’inizio dell’universo, ammesso che ci sia<br />
una fine. Anche la scelta di rendere il disco<br />
un oggetto che dall’immaterialità assume<br />
lentamente una sua dimensione fisica e<br />
contemporaneamente dei graffi sulla sua<br />
superficie è a sua volta un commento alla<br />
mortalità umana”. Concetto reso ancora più<br />
spettacolarmente nell’edizione in vinile, in<br />
cui la cover presenta un ritaglio a forma di<br />
stella che rende visibile il disco nero, il cui<br />
Servizio fotografico per<br />
l’album HEROES.<br />
14
DAVID BOWIE<br />
colore va progressivamente sbiadendo.<br />
Quella di BLACKSTAR è solo una delle cover<br />
emblematiche che hanno caratterizzato<br />
la carriera dell’artista inglese e che hanno<br />
contribuito ad alimentare la mitologia del<br />
suo personaggio. Ne è un fulgido esempio<br />
NOTHING HAS CHANGED, raccolta dei<br />
suoi brani migliori uscita nel 2014, per la<br />
quale sono state scelte tre diverse immagini,<br />
una per ogni edizione dell’album: il triplo<br />
Cd deluxe/digitale presenta uno scatto<br />
di Jimmy King del 2013, l’edizione doppio<br />
Cd/digitale una (meravigliosa) foto di Steve<br />
Schapiro del 1975 e il doppio vinile un’immagine<br />
di Mick Rock scattata nella casa<br />
dell’artista, a Haddon Hall, Beckenham, nel<br />
1972. “Bowie che guarda se stesso in uno<br />
specchio”, ha raccontato Barnbrook, “è un<br />
archetipo abbastanza forte per comunicare<br />
al pubblico che si tratta di una raccolta di<br />
musiche entro cui è racchiuso l’intero percorso<br />
artistico di Bowie e non uno specifico<br />
periodo. Il riferimento delle immagini è ovviamente<br />
a Oscar Wilde e al suo Il ritratto<br />
di Dorian Gray”. A cosa starà pensando,<br />
Bowie, mentre si specchia? Alla sua giovinezza?<br />
Alla propria identità? Al tempo<br />
che avanza? Qualsiasi cosa gli passi per la<br />
testa, nonostante i 42 anni che separano il<br />
primo e l’ultimo scatto, lui è ancora lì, più<br />
vecchio ma sempre intento a riflettere la<br />
propria arte/immagine nel mondo e viceversa.<br />
Nulla, in effetti, è cambiato: declinata<br />
attraverso la passione la vita assume una<br />
propria rassicurante circolarità. Eppure, il<br />
flusso degli eventi non è arrestabile, il tempo<br />
scorre in una direzione univoca. Come<br />
mostra magistralmente la cover di THE<br />
NEXT DAY, un semplice quadrato bianco<br />
con una scritta nera che si sovrappone<br />
all’immagine del 1977 di Masayoshi Sukita<br />
scelta come cover all’album capolavoro<br />
HEROES. “Non ha importanza quanto ci<br />
proviamo, non potremo mai liberarci dal<br />
passato. Ci muoviamo al rallentatore verso<br />
il giorno successivo, abbandonando il passato<br />
perché non abbiamo altra scelta”: queste<br />
le parole, sempre di Barnbrook, che racchiudono<br />
il senso dell’insolita scelta. Quanti<br />
artisti continuano a essere associati all’immagine<br />
polverosa che il pubblico ne conserva,<br />
magari risalente all’epoca d’oro dei<br />
loro primi successi? Anche per Bowie HE-<br />
ROES ha rappresentato un punto di svolta<br />
«LA MUSICA NON È<br />
CHE UN’ESTENSIONE<br />
DI ME STESSO,<br />
PERÒ MOLTO<br />
IMPORTANTE»<br />
DAVID BOWIE<br />
e un’inevitabile “àncora mentale” per lui e<br />
i suoi milioni di fan; trentasei anni dopo, è<br />
giunto il momento di andare avanti, non<br />
rinnegando il passato ma celebrandolo e al<br />
contempo oscurandolo parzialmente con<br />
qualcosa di nuovo. Tornando all’immagine<br />
di Sukita e compiendo un balzo di un quarto<br />
di secolo, la foto si ispira al quadro Roquairol<br />
dell’artista tedesco Erich Heckel, da<br />
cui attinse anche Iggy Pop che, nella cover<br />
del suo album THE IDIOT, compare in una<br />
posa simile. Non è un riferimento pittorico,<br />
invece, l’immagine che campeggia sull’album<br />
LOW (1977), in cui Bowie compare<br />
“travestito” da Thomas Jerome Newton,<br />
alieno che interpreta nel film The Man Who<br />
Fell to Earth (1976), per il quale erano inizialmente<br />
previste le musiche dell’album,<br />
poi scartate dal regista Nicolas Roeg. L’immagine<br />
fu pensata dal musicista per creare<br />
un rimando visivo al titolo, dove low sta<br />
in realtà per “low profile”. È ugualmente di<br />
origine extraterrestre Ziggy Stardust, l’alter-ego<br />
che ha accompagnato Bowie lungo<br />
tutta la sua carriera e che è protagonista<br />
delle cover di due dei suoi album più celebri<br />
e amati: ALADDIN SANE (1973) e THE<br />
RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST<br />
AND THE SPIDERS FROM MARS (1972).<br />
Nel primo, nell’immagine forse più iconica<br />
della sua intera carriera, realizzata dal fotografo<br />
Brian Duffy con la collaborazione<br />
del make-up artist Pierre Laroche, l’artista<br />
compare a torso nudo, con i capelli ramati,<br />
gli occhi chiusi, l’incarnato rosato sul volto<br />
privo di sopracciglia e attraversato da un<br />
fulmine rosso e blu (in una dichiarazione,<br />
Duffy affermò di essersi ispirato al simbolo<br />
presente sul suo fornello elettrico!);<br />
su una scapola, sospesa, una goccia di<br />
un fluido che, oltre a enfatizzarne la provenienza<br />
aliena, sembra anticipare di<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 15
DAVID BOWIE<br />
due decenni la composizione liquida del<br />
micidiale androide polimorfo T-1000 in<br />
Terminator 2.<br />
Il suo aspetto, secondo il giornalista Peter<br />
Doggett, è “l’archetipo dell’artificialità<br />
– glitterato, pitturato, tinto, decorato con<br />
un fulmine, la carne di freddo marmo,<br />
deformato da una lacrima d’argento, scolpito,<br />
emaciato, fiero, vulnerabile e fondamentalmente<br />
alieno”. Nel secondo album,<br />
invece, Ziggy appare più defilato, ritratto<br />
in posa vicino al 23 di Heddon Street,<br />
Londra. L’effetto pittorico della copertina,<br />
che la rende contemporaneamente così<br />
realistica e così sfuggente, fu ottenuto dal<br />
grafico Terry Pastor colorando i 17 scatti in<br />
bianco e nero realizzati dal fotografo Brian<br />
Ward, il cui studio era proprio in Heddon<br />
Street. Sul significato dell’insegna K. West<br />
– in molti pensarono che fosse una sorta<br />
di codice segreto che stesse a indicare<br />
“quest” (ricerca) – Bowie ha lasciato che<br />
fioccassero le più stravaganti interpretazioni;<br />
si trattava, in realtà, del nome di una<br />
società di distribuzione di pellicce al primo<br />
piano dell’edificio, di cui oggi è scomparsa<br />
ogni traccia. Fu sempre Brian Ward a fotografare<br />
il “Duca Bianco” (dal personaggio<br />
comparso per la prima volta in STATION<br />
TO STATION, ricalcato sulla sua biografia)<br />
per l’immagine della copertina di HUNKY<br />
DORY (1971), che si rifà ad alcune pose di<br />
Marlene Dietrich e mostra il volto di Bowie<br />
rivolto verso l’alto, con l’aria persa tra i suoi<br />
pensieri. L’artwork della foto fu curato da<br />
George Underwood (che collaborò anche<br />
alla copertina di ZIGGY STARDUST AND<br />
THE SPIDERS FROM MARS), amico d’infanzia<br />
dell’artista che, all’età di quattordici<br />
anni, a causa di una discussione su una ragazza,<br />
lo colpì nell’occhio; da allora, Bowie<br />
ha sempre avuto una pupilla più aperta<br />
dell’altra (in medicina, anisocoria), difformità<br />
che dà l’impressione che i due occhi<br />
siano di colore diverso. Da quel momento<br />
in poi i due sono diventati inseparabili,<br />
tanto che il cantante scrisse per lui la canzone<br />
Song For Bob Dylan, tributo a Bob<br />
Dylan, di cui l’amico era appassionatissimo.<br />
“In seguito mi disse di avergli fatto un<br />
favore”, ammette Underwood, intervistato<br />
recentemente, dopo la scomparsa del<br />
musicista. “Ha dato tanta felicità e gioia a<br />
moltissime persone, questa è la magnifica<br />
eredità che lascia alle sue spalle. Passerà<br />
alla storia. Era una persona adorabile. Mi<br />
faceva ridere… mi mancherà”. Mancherà a<br />
molti, l’alieno trasformista Bowie, di ritorno<br />
finalmente sul pianeta Anthea.<br />
16
DAVID BOWIE<br />
avid Bowie è stato tutte queste<br />
cose e la sua grande influenza<br />
nella musica è quasi troppo<br />
vasta da poterla considerare nel dettaglio.<br />
Da Madonna a Nine Inch Nails, dai<br />
Depeche Mode a Lady Gaga, dai Blur a<br />
Marilyn Manson fino a The Arcade Fire,<br />
molti dei principali artisti di ieri e di oggi<br />
devono molto all’uomo che ha messo il<br />
make-up e cantato viaggi nello spazio.<br />
Troppo per tentarne una sintesi, persino<br />
per azzardare quel che in futuro sopravvivrà<br />
del suo lavoro, arricchito dall’ultimo<br />
capitolo costituito da quel triste ritorno<br />
che è BLACKSTAR, 25° album ufficiale<br />
di Bowie (vedi in altra parte della rivista).<br />
Più che abbastanza per arrischiare uno<br />
sguardo alla sua opera e stilare una top<br />
24 delle sue canzoni, sparse nella ricca<br />
discografia: la venticinquesima la lasciamo<br />
a voi, al vostro personalissimo giudizio,<br />
a comporre una playlist che, una volta<br />
ascoltata, rivela – se ve ne fosse bisogno<br />
– la grandezza dell’artista…<br />
24<br />
Modern Love<br />
(da LET’S DANCE)<br />
Per molti la frase “Bowie nell’era Let’s<br />
Dance” ha le stesse connotazioni di<br />
“Dylan Goes Christian”, che è un modo<br />
per dire che ci vi attendono grandi<br />
sorprese se siete disposti a<br />
guardare oltre certi<br />
L’uomo che<br />
cadde sulla terra<br />
6<br />
CANTANTE POP, ROCKER<br />
GLAM, CANTANTE SOUL,<br />
INNOVATORE<br />
DELL’ELETTRONICA,<br />
ROCKSTAR…<br />
ARTISTA SOSPESO<br />
TRA I GENERI,<br />
ATTORE,<br />
CARATTERISTA,<br />
ICONA DELLA<br />
MODA.<br />
testo: Antonio Gaudino<br />
David Bowie e Twiggy<br />
nel 1973 sulla copertina<br />
dell’album PIN UPS.<br />
Inizialmente la foto doveva<br />
essere usata sulla copertina<br />
della rivista «Vogue».<br />
«IO SONO UNO<br />
CHE CAMBIA<br />
SPESSO OPINIONE,<br />
NON SONO MOLTO<br />
COERENTE CON<br />
QUELLO CHE DICO»<br />
DAVID BOWIE<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 17
DAVID BOWIE<br />
pregiudizi stabiliti. Al primo ascolto Modern<br />
Love ha un suono un po’ trash anni<br />
80: synth, coristi, un sax piazzato su poche<br />
note, è tutto lì. In effetti, sentendo le<br />
prime note si potrebbe incorrere nell’errore<br />
di scambiarlo per l’apertura di Footloose.<br />
Il carisma di Bowie e il suo senso di<br />
esperto autore del pop trasformano però il<br />
brano in una travolgente “head bop-inducing”<br />
a cui è impossibile resistere.<br />
Bring Me The Head Of<br />
22 The Disco King<br />
(da REALITY)<br />
Contrariamente a quanto spesso si pensa,<br />
Bowie ha pubblicato prodotti di qualità<br />
verso la seconda metà della sua carriera.<br />
Questo è evidente soprattutto in Bring Me<br />
The Head Of The Disco King, la traccia<br />
finale del suo ultimo (o così credevamo)<br />
album, REALITY. Suona come una registrazione<br />
fatta in qualche oscuro jazz bar<br />
e nella canzone Bowie riflette sulla sua<br />
carriera. Non è un ascolto felice. Piuttosto,<br />
è una canzone piena di rammarico e<br />
tristezza. Non c’è da meravigliarsi se la<br />
gente pensasse che Bowie avesse chiuso<br />
per sempre con la musica. Anche se il<br />
contorto, sinuoso e farneticante brano di<br />
sette minuti e più potrebbe rivelarsi un po’<br />
faticoso per alcuni, è il tipo di canzone che<br />
se colpisce al momento giusto può perseguitarti<br />
per molto tempo dopo la sua fine.<br />
22<br />
Cat People (Putting<br />
Out The Fire)<br />
(da LET’S DANCE)<br />
Cat People è stata originariamente composta<br />
per il regista/scrittore Paul Schrader<br />
per il remake, fondamentalmente mal<br />
concepito, del classico horror Cat People<br />
(1982). Proprio come il film, la canzone<br />
è stata presto dimenticata. Ci voleva un<br />
esperto di revival come Quentin Tarantino<br />
per riconoscere la grandezza di questo<br />
brano e inserirlo in una sequenza fondamentale<br />
nel suo film Bastardi senza gloria<br />
(2009).<br />
21<br />
La chitarra acustica nei<br />
primi anni compare<br />
spesso nelle sue foto.<br />
I’m Afraid<br />
Of Americans<br />
(da EARTHLINGS)<br />
Ogni volta che si utilizza il modello di<br />
collaborazione “il vecchio che incontra<br />
il nuovo” è possibile che il successo sia<br />
quello di un “crapshoot”, ovvero un lancio<br />
di dadi preciso. In questo caso il lancio è<br />
stato perfetto. Qualunque siano le vostre<br />
sensazioni per quanto riguarda Trent<br />
Reznor come cantautore, si deve ammirare<br />
l’abilità della sua produzione industriale.<br />
Certo, il versatile Bowie si inserisce nel<br />
panorama musicale di Reznor come un<br />
guanto comodo, sia chiaro.<br />
20 Starman<br />
(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />
STARDUST)<br />
Uno dei punti focali del ZIGGY STAR-<br />
DUST concept album è certamente Starman,<br />
che ha alcuni richiami a HUNKY<br />
DORY, dato soprattutto dal suo salto di ottava<br />
durante il travolgente ritornello della<br />
canzone. Detto questo, dobbiamo dire che<br />
preferiamo ancora la versione di Dewey<br />
Cox (si scherza, ovviamente).<br />
19<br />
Rebel Rebel<br />
(da DIAMOND DOGS)<br />
Se mai dovessimo pensare a una canzone<br />
di Bowie perfetta come colonna sonora di<br />
un evento sportivo, sarebbe questa. Ironica,<br />
dato che i testi contengono soprattutto<br />
riferimenti a problematiche gender come<br />
“You got your mother in a whirl / She’s not<br />
sure if you’re a boy or a girl…”. Spesso citato<br />
come l’elegia di Bowie ai suoi giorni<br />
glam rock.<br />
18 Fashion<br />
(da SCARY MONSTERS)<br />
Mentre Mick Ronson è il chitarrista più<br />
spesso associato a Bowie, Robert Fripp<br />
dei King Crimson qui, più che rivaleggiare<br />
per questa eredità, ci offre qualche riff<br />
metallico intenso che aumenta l’influenza<br />
reggae della canzone. Di assoluto valore.<br />
17<br />
Rock And Roll Suicide<br />
(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />
STARDUST)<br />
Dimenticando per un istante i suoi numerosi<br />
ed elaborati costumi, basterebbe questa<br />
canzone, il brano di chiusura di RISE<br />
AND FALL OF ZIGGY STARDUST, a far<br />
intuire che Bowie era un uomo che godeva<br />
della stravaganza e della teatralità. In<br />
meno di tre minuti il musicista progredisce<br />
da un tranquillo “strimpellamento” di<br />
chitarra acustica a un’ampollosa esplosione<br />
di corde della chitarra e di ottoni, fino<br />
alla “distruzione” della chitarra. Notevole.<br />
18
DAVID BOWIE<br />
«QUANDO L’ARTISTA<br />
HA TERMINATO<br />
LA CREAZIONE,<br />
QUESTA NON GLI<br />
APPARTIENE PIÙ»<br />
DAVID BOWIE<br />
16 Ashes To Ashes<br />
(da SCARY MONSTERS)<br />
Cominciando con una linea di synth wonky<br />
che suona come un effetto sonoro preso<br />
da un vecchio episodio di Doctor Who,<br />
Ashes To Ashes rivisita il personaggio di<br />
Major Tom (da un altro brano di Bowie di cui<br />
parleremo in seguito), mostrandolo come<br />
un drogato deperito. Certamente una delle<br />
canzoni di Bowie che ha venduto meno e<br />
anche, naturalmente, una delle sue migliori.<br />
15<br />
TVC 15<br />
(da STATION TO STATION)<br />
Più si ascolta la grandezza di STATION<br />
TO STATION di Bowie (di ispirazione<br />
Kraftwerk) e più si capisce<br />
quanto la tristezza possa<br />
diventare penetrante fino<br />
ad annientare l’uomo stesso.<br />
Emotivamente depresso, Bowie a quel<br />
tempo passa attraverso una nebbia di cocaina;<br />
ricorda a malapena la registrazione<br />
e, a quanto sembra, fu ispirato da un’allucinazione<br />
avuta da Iggy Pop. TVC 15<br />
imbastisce la semplice storia di una donna<br />
che viene risucchiata in un televisore,<br />
lasciando il suo uomo alle spalle. I testi<br />
surreali contrastano in modo stridente<br />
con l’intro honky-tonk del pianoforte. Ma,<br />
ripetiamo, che cos’è Bowie se non fantastiche<br />
contraddizioni?<br />
14<br />
Suffragette City<br />
(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />
STARDUST)<br />
Wham bam thank you ma’am! Solo David<br />
Bowie può rendere un suono sconsiderato<br />
e raffazzonato (veloce) così dannatamente<br />
affascinante. Naturalmente questo<br />
scalfisce (graffia) solo la superficie<br />
di un brano inesorabilmente orecchiabile,<br />
esplosione furiosa di rock che suona<br />
come un numero di alta scuola e velocità<br />
del grande Chuck Berry.<br />
13 Changes<br />
(da HUNKY DORY)<br />
Il brano è primo singolo dell’album HUN-<br />
KY DORY. Ai tempi Bowie riferì di aver<br />
scritto questa canzone come una parodia<br />
di canzoni da discoteca. Considerando<br />
la natura camaleontica che la carriera di<br />
Bowie avrebbe preso in seguito, passando<br />
con la sua personalità musicale da un genere<br />
all’altro, frasi come “Changes are taking<br />
the pace I’m going through” (I cambiamenti<br />
stanno prendendo il passo che<br />
sto passando) rendono la canzone meno<br />
singolo pop e più simile a un manifesto<br />
artistico. Inevitabile!<br />
Bowie<br />
nei Konrads,<br />
1963.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 19
DAVID BOWIE<br />
12<br />
Sound And Vision<br />
(da LOW)<br />
Diciamolo chiaro: LOW può essere un album<br />
eccezionale e uno dei punti salienti<br />
della carriera di Bowie ma non è esattamente<br />
di facile ascolto. Con i suoi strati di<br />
consistenza del suono e testi ultra criptici<br />
manca volutamente dell’accessibilità pop<br />
di un HUNKY DORY o ZIGGY STARDUST.<br />
Detto questo, Sound And Vision è un brano<br />
ipnotico costruito abilmente su strati<br />
di strumentazione. Quando Bowie trova<br />
tempo per cantare realmente, sembra<br />
quasi non necessario. E, sul serio, si poteva<br />
ascoltare quel riff di chitarra per tutto il<br />
giorno senza stancarsi mai.<br />
11<br />
Queen Bitch<br />
(da HUNKY DORY)<br />
Scritto in onore dei Velvet Underground<br />
e Lou Reed, Queen Bitch ha introdotto il<br />
genere trash anche grazie ai riff di chitarra<br />
di Mick Ronson che hanno contribuito<br />
non poco a caratterizzare alcuni dei migliori<br />
momenti glam-rock successivi di<br />
Bowie. Dura poco più di tre minuti, giusto<br />
il tempo di timbrare il cartellino, ma<br />
il brano è forse il più contagiosamente<br />
orecchiabile all’interno di un album pieno<br />
di canzoni facilmente ascoltabili.<br />
10<br />
David Bowie interpreta<br />
Nikola Tesla nel film di<br />
Christopher Nolan del 2006,<br />
The Prestige.<br />
20<br />
Golden Years<br />
(da STATION TO STATION)<br />
In una canzone caratterizzata principalmente<br />
da trame elettroniche<br />
e techno<br />
di influenza mitteleuropea,<br />
Golden Years si offre come<br />
piacevole stranezza nell’album. Spinto<br />
dal tipo di drumming funk/soul che non<br />
sarebbe sembrato fuori luogo nell’album<br />
YOUNG AMERICANS, la canzone imprime<br />
su Bowie il ruolo di cascamorto navigato<br />
ma non ruffiano, con una base musicale<br />
elegante che, con un po’ di brillante<br />
fantasia, avrebbe potuto far parte della<br />
colonna sonora di Saturday Night.<br />
9<br />
Oh! You Pretty Things<br />
(da HUNKY DORY)<br />
Nonostante fosse stata originariamente<br />
pensata per essere il primo singolo<br />
dell’album HUNKY DORY, Bowie optò per<br />
Changes. Al tempo sembrò essere la decisione<br />
giusta ma, a posteriori, non si può<br />
fare a meno di pensare che questa magnifica<br />
canzone avrebbe meritato più attenzione.<br />
Ancorata da qualche pianoforte<br />
“cabarettesco”, il brano sale a un coro hooky<br />
di tale livello che probabilmente avrà<br />
fatto ingelosire Paul McCartney.<br />
8<br />
Bowie con la prima<br />
moglie Angie<br />
e il figlio Zowie.<br />
The Jean Genie<br />
(da ALADDIN SANE)<br />
David Bowie ammirava<br />
molto i Rolling Stones.<br />
Se c’è bisogno di una<br />
prova, basta far girare sul piatto (o il lettore)<br />
questo brano. Guidato da un riff di<br />
chitarra assassino e una grande armonica<br />
blues, questo brano si pone come uno dei<br />
maggiori highlight dell’album ALADDIN<br />
SANE.<br />
7<br />
The Man Who Sold The<br />
World<br />
(da THE MAN WHO SOLD THE WORLD)<br />
The Man Who Sold The World si pone<br />
come una delle canzoni più raccapriccianti<br />
dell’opera di Bowie. Il fatto che i<br />
suoni vocali ricordino il sibilo di serpente<br />
attraverso l’erba umida non migliorano le<br />
cose. Come molte canzoni di Bowie anche<br />
questa si è poi rivelata essere uno standard<br />
molto popolare. La cover più famosa<br />
rimane senza dubbio la versione inquietante<br />
e angosciata di Kurt Cobain a “MTV<br />
Unplugged” dei Nirvana.<br />
6<br />
Ziggy Stardust<br />
(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />
STARDUST)<br />
Con uno dei fraseggi di chitarra più riconoscibili<br />
di Mick Ronson, Ziggy Stardust<br />
– Bowie riassume la storia dell’album<br />
omonimo (e The Man Who Fell to Earth,<br />
se siete così pronti). Alla fine, però, la storia<br />
gioca un ruolo secondario per l’esuberanza<br />
pura che questa traccia esprime.<br />
5<br />
Under Pressure<br />
(da QUEEN’S HOT SPACE)<br />
Sì, possiamo dire che questa canzone sia<br />
tecnicamente in un album dei Queen. E<br />
anche che è stata usata in innumerevoli<br />
trailer cinematografici e televisivi. Hai<br />
necessità di rendere intensa l’ansia di un<br />
personaggio dall’aspetto affascinante?<br />
Questa è la canzone per te. In ultima analisi,<br />
tuttavia, ciò non toglie la linea di basso<br />
di John Deacon o il modo in cui la voce<br />
di Freddie Mercury impenna o il crooning<br />
sottostimato di Bowie. Brividi. Ci sono alcune<br />
canzoni che meritavano di essere<br />
stra-cantate. Questa è una di esse.<br />
4 Heroes<br />
(da HEROES)<br />
Ogni volta che si discute la carriera di<br />
David Bowie la parola “camaleonte” torna<br />
inevitabilmente in qualsiasi discorso
DAVID BOWIE<br />
David Bowie e Catherine<br />
Deneuve nel film The<br />
Hunger del 1983.<br />
e da qualsiasi parte si inizi. Sì, Bowie era<br />
davvero un maestro nel sapersi adattare<br />
a tendenze e personalità di scena sempre<br />
diverse. Eppure, una tale caratterizzazione<br />
implica anche una freddezza, una disconnessione<br />
non comune. Si connota in<br />
un’artista che mantiene emozioni e sentimenti<br />
a cuore nudo a distanza. Tali sono le<br />
critiche spesso lanciate a Bowie e ad artisti<br />
del suo stampo geniale. Poi c’è Heroes.<br />
Via la teatralità. Via le regressioni musicali<br />
sovversive. Via qualsiasi senso di ironia.<br />
Tutto quello che resta è un uomo che<br />
canta consapevolmente sulle splendide,<br />
ipnotiche onde di rumori elettronici ondulanti<br />
che lo circondano. Bowie scrisse<br />
originariamente la canzone dopo aver visto<br />
una coppia di amanti incontrarsi sotto<br />
il muro di Berlino; incuriosito, immaginò<br />
e ricostruì la loro storia, come spesso fa<br />
nei suoi migliori brani. Si comincia con il<br />
sussurrato, il tubare, con il narratore che<br />
implora la sua compagna di essere la sua<br />
regina. Circa tre minuti, il tono di voce di<br />
Bowie si sposta drammaticamente in un<br />
lamento emotivo non trascurabile. Con il<br />
tempo si arriva alla frase We’re nothing /<br />
And nothing can help<br />
us (Siamo niente / E<br />
nulla ci può aiutare),<br />
la sua voce è incrinata<br />
dall’emozione. Nonostante<br />
il suo suono<br />
progressivo, Heroes si<br />
tradisce (nell’accezione<br />
positiva del termine)<br />
verso alcuni sentimenti<br />
che sanno del suo vecchio<br />
stile. È il racconto<br />
emotivamente avvincente<br />
di un uomo alla disperata ricerca<br />
del conforto dell’amore e il calore sempre<br />
effervescente della felicità, anche se solo<br />
per un giorno. Bowie aveva scritto canzoni<br />
tristi prima ma non è mai sembrato<br />
così, beh, dolorosamente umano e grandioso<br />
come in questo brano immortale.<br />
3<br />
David Bowie con il libro Buster Keaton di Rudi<br />
Blesh, 1975.<br />
«IL SISTEMA<br />
MEDIATICO<br />
POTREBBE ESSERE<br />
LA NOSTRA SALVEZZA<br />
O LA NOSTRA FINE»<br />
DAVID BOWIE<br />
Young Americans<br />
(da YOUNG AMERICANS)<br />
Le parole “English glam rocker” e “Philly<br />
Soul” sembra che vadano sottobraccio<br />
come Morrissey e McDonald’s. Eppure<br />
non solo Bowie porta a termine il lavoro<br />
ma il risultato è una delle sue canzoni più<br />
forti di sempre. Nel fluido suono di un sax<br />
a tutto volume e coristi soul, Bowie costruisce<br />
una canzone<br />
allegra su una situazione<br />
decisamente infelice.<br />
Riesce persino a far<br />
scivolare un riferimento<br />
di A Day In A Life.<br />
Se mai ci fossero stati<br />
dubbi a riguardo della<br />
poliedricità di Bowie<br />
come artista musicale,<br />
questo brano (e l’intero<br />
album) li frantuma<br />
tutti.<br />
David Bowie<br />
fotografato da<br />
Anton Corbijn,<br />
Chigago 1980.<br />
2<br />
Space Oddity<br />
(da SPACE ODDITY)<br />
Si dice che oltre 45 anni dopo la sua prima<br />
uscita, Space Oddity rimane una strana,<br />
stranissima canzone. Ispirata al capolavoro<br />
del 1968 di Stanley Kubrick 2001:<br />
Odissea nello spazio, la canzone interpreta<br />
il racconto di “Major Tom”, uno sfortunato<br />
astronauta intrappolato alla deriva<br />
nello spazio. Quando si ascolta Space Oddity<br />
si ha come la sensazione di ascoltare<br />
due o tre parti diverse di canzoni fuse<br />
insieme che Bowie fa sembrare coerenti,<br />
manifestando grande maestria musicale.<br />
E chi non applaude alla geniale parte del<br />
bridge centrale?<br />
1<br />
Life on Mars?<br />
(da HUNKY DORY)<br />
HUNKY DORY rimane l’album più piacevole<br />
di Bowie, sulla breve e sulla lunga distanza.<br />
E la sua inclinazione alla teatralità<br />
“cabaresque” non è mai stata più evidente<br />
che in questa surreale traccia. Partendo<br />
dalla voce di Bowie lievemente poggiata<br />
su un pianoforte solitario, la traccia sviluppa<br />
rapidamente di intensità, con l’aggiunta<br />
di un’impennata di sezione d’archi<br />
che dà al brano una punteggiatura degna<br />
di Broadway. Capolavoro!<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 21
Dieci<br />
dischi per<br />
ascoltare<br />
una voce<br />
a sempre rifuggiamo dalle<br />
classifiche (fotografia parziale<br />
della realtà), da sempre<br />
la necessità di sintetizzare<br />
in poche note le indicazioni per chi naviga<br />
nel mare magnum della riproduzione<br />
musicale ci impone, per riduzione,<br />
di “arrivare al punto”. Ecco così come<br />
nascono le indicazioni qui contenute,<br />
non le migliori in assoluto ma ognuna di<br />
esse meritevole di apparire tra le migliori…!<br />
Ma migliori in che senso? Uno degli<br />
aspetti che ci ha sempre contraddistinto<br />
è quello di non aver voluto separare gli<br />
aspetti artistici di una composizione da<br />
quelli tecnici, convinti come siamo che<br />
il messaggio dell’autore, svelato in tutti i<br />
suoi aspetti e suggestioni, solo così possa<br />
essere percepito nella sua interezza. Una<br />
certa scuola di pensiero, costantemente<br />
alla ricerca di brani demo per saggiare le<br />
qualità dell’impianto (e non viceversa per<br />
avvicinarsi spiritualmente all’artista) non<br />
ci ha mai interessato né la consideriamo<br />
interessante o produttiva: pienezza e soddisfazione<br />
di un ascolto musicale hanno<br />
altri pilastri su cui poggiarsi! Piuttosto<br />
vale la pena di sottolineare un aspetto<br />
quasi subdolo della riproduzione musicatesto:<br />
Paolo Corciulo<br />
le quando la mancanza di standard minimi<br />
di qualità tecnica di una registrazione<br />
tende a moderare una soddisfazione che<br />
per gli aspetti squisitamente artistici quel<br />
brano meriterebbe! Sembrerebbe<br />
un rischio modesto in un’era<br />
di raffinati macchinari per<br />
la presa sonora ma non<br />
lo è a causa delle direttive<br />
imposte da chi si<br />
pone principalmente<br />
il problema di ottenere<br />
“qualcosa che<br />
suona bene in radio”<br />
o dall’analfabetismo<br />
di ritorno di cui non<br />
è esente il mondo della<br />
registrazione sonora…<br />
Così i 10 titoli scelti possono<br />
essere tranquillamente goduti<br />
dall’ascoltatore dall’inizio alla fine e non<br />
solo a tratti per brani selezionati, senza<br />
dover per forza ricorrere a impianti hi-fi<br />
spaziali (ma consci che maggiore ne sarà<br />
la qualità, maggiore risulterà la soddisfazione),<br />
concentrandosi sul piacere d’ascolto<br />
e non su questo o quel passaggio<br />
ripetuto onanisticamente all’infinito per…<br />
sentire l’effetto che fa…<br />
«BISOGNA SAPER<br />
ASCOLTARE,<br />
ASCOLTARE BENE PER<br />
AMARE, E VICEVERSA<br />
BISOGNA AMARE PER<br />
ASCOLTARE BENE»<br />
ELIE WIESEL<br />
22
1<br />
Oscar’s Motet Choir<br />
CANTATE DOMINO<br />
1976 – Proprius<br />
Produzione svedese affidata alla<br />
conduzione di Torsten Nilsson<br />
(con Marianne Mellnäs soprano<br />
e Alf Linder all’organo), questo disco<br />
di musica sacra, basato su di un coro di<br />
grandi dimensioni e organo (in alcuni<br />
brani compaiono anche degli ottoni), è<br />
stato registrato nel lontano 1976 ma rimane<br />
un riferimento assoluto in ragione<br />
dell’interpretazione, particolarmente<br />
coinvolgente, ma anche della straordinaria<br />
acustica della cattedrale di Stoccolma<br />
che rende la registrazione estremamente<br />
dettagliata e ricca di informazioni sonore.<br />
Originalmente pensato come classico<br />
disco di Natale, in realtà ha assunto una<br />
dimensione più ampia proprio in ragione<br />
del fatto che gli appassionati della riproduzione<br />
audio lo hanno eletto a riferimento.<br />
Facilmente reperibile sia in formato fisico<br />
(Lp, Cd che SACd) che in forma di file<br />
(PCM 192/24 – DSD 2x), in particolare la<br />
versione Lp è di grande caratura tecnica<br />
mentre altrettanto non si può dire della<br />
prima stampa Cd mentre le successive e<br />
l’edizione SACd offrono tutto quello che<br />
si vorrebbe avere da una registrazione<br />
di massima qualità, perlomeno in riferimento<br />
alle voci e agli strumenti utilizzati.<br />
In particolare le voci vengono valorizzate<br />
sia per naturalezza ed equilibrio timbrico<br />
che nei pieni per capacità dinamica: l’insieme<br />
è esplosivo e particolarmente partecipativo.<br />
La traccia che dà il titolo all’album,<br />
un testo salmico per coro, organo,<br />
trombe e tromboni di Enrico Bossi, inizia<br />
il programma musical in maniera magnifica;<br />
sono anche presenti due sezioni<br />
di solo organo interpretate in modo elegante<br />
da Alf Linder, tra cui il Concerto di<br />
A maggiore di Johann Gottfried Walther,<br />
e un paio di “folksongs religiosi” eseguiti<br />
“a cappella” e splendidamente modellati<br />
dalla Mellnäs. L’album è stato registrato<br />
con un Revox A77 e un paio di microfoni<br />
Pearl TC4 e rimasterizzato dall’ingegnere<br />
del suono canadese René Laflamme<br />
in 2xHD. Quattro opzioni ad alta risoluzione:<br />
WAV in PCM a 192/24, DXD (352<br />
kHz, anche come file wav), DSD e DSD<br />
2x. Tutti rendono giustizia all’originale<br />
analogico (che è stato realizzato anche<br />
in SACd) ed è possibile il download da<br />
HDtracks (in formato 88/24).<br />
2<br />
Gruppo Corale Montefiore<br />
LUCI SERALI<br />
2009 – Rara records<br />
A<br />
volte il caso ci mette lo zampino,<br />
più forte del diavolo e della<br />
necessità di trovare i… coperchi<br />
mancanti! Il caso poi può essere aiutato<br />
ed è quel che è successo quando Il Gruppo<br />
Corale Montefiori (sorto nel 1974 e<br />
itinerante rappresentante delle virtù polifoniche<br />
dello strumento più antico del<br />
mondo) ha scelto la chiesa di S. Francesco<br />
a Montefiore dell’Aso (AP) per la<br />
registrazione di un repertorio che spazia<br />
dalla polifonia sacra e profana (dal ’400<br />
ai nostri giorni), agli spiritual e al folklore<br />
italiano e straniero. L’eccellente riverbero<br />
naturale dell’ambiente e la scelta,<br />
quasi inevitabile con un’ensemble di<br />
oltre 30 elementi, di ricorrere alla presa<br />
diretta hanno donato un realismo e una<br />
ricchezza sonora alla registrazione difficilmente<br />
riscontrabile con altre opere<br />
eseguite da un coro. L’architettura medievale<br />
della chiesa del XIV secolo e la<br />
scelta della line-up di registrazione (un<br />
unico microfono Crown, alimentato da<br />
una consolle Revox 279, che provvede a<br />
preamplificarlo, poi tutto indirizzato a un<br />
registratore dat Tascam DA30, monitorando<br />
con una cuffia Beyer DT990PRO)<br />
ha fatto il resto. Certo un po’ di manico ci<br />
vuole perché anche piccoli spostamenti<br />
del microfono comportano differenze<br />
sostanziali e spostamenti timbrici e<br />
prospettici percepibilissimi nel risultato<br />
finale. Qui i cantanti risultano fusi armonicamente<br />
in un melange armonico, ma<br />
anche dotati del proprio colore timbrico;<br />
contralti e soprani non si mescolano<br />
sconfinando gli uni negli altri e confondendosi<br />
tra loro, così come tenori e bassi.<br />
Le sibilanti (ma anche le dentali, le labiali<br />
e quant’altro fa di una voce una voce credibile<br />
che articola parole intonate), croce<br />
e delizia dei cori, sono assolutamente<br />
al loro posto! Il programma musicale<br />
presentato è diviso in due parti: una più<br />
classica, che vede protagonisti alcuni<br />
brani della tradizione corale religiosa<br />
rinascimentale, come Loyset Compère,<br />
van Berchem, e della tradizione corale<br />
barocca, come Palestrina, Giovanni Croce,<br />
Grossi da Viadana (cui è stata attribuita<br />
l’invenzione musicale del “basso continuo”);<br />
un’ulteriore sezione è costituita<br />
da brani di autori recenti come Halmos<br />
Laszlo, Carter-Hudson, De Marzi. Scorrendo<br />
le varie tracce, l’ascoltatore compie<br />
un viaggio attraverso varie atmosfere<br />
musicali: dal mottetto al salmo religioso,<br />
fino a toccare momenti spiritual, un delicato<br />
commiato amoroso e brani ispirati<br />
a canti di guerra più o meno tradizionali,<br />
ma mai scontati.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 23
DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />
3<br />
Al Jarreau<br />
ALL FLY HOME<br />
1978 – Warner Bros.<br />
Degli oltre 25 titoli realizzati (tra<br />
live e studio) ALL FLY HOME<br />
non è certo uno dei più acclamati<br />
dai fan di quello straordinario interprete<br />
(che ha fatto della voce un vero e proprio<br />
strumento con cui sperimentare ogni<br />
tipo di sonorità) che è stato Al Jarreau,<br />
recentemente scomparso. Eppure il disco<br />
segna il primo grande cambiamento<br />
all’interno di un percorso musicale che si<br />
rivelerà polimorfo da parte di un artista<br />
che, non a caso, è l’unico ad aver vinto<br />
Grammy Award in tre diverse categorie,<br />
jazz, pop, e r&b, all’interno di un palmares<br />
che ne comprende un totale di ben 7! Dai<br />
percorsi canonici all’interno degli stilemi<br />
jazz qui Jarreau, sorretto da una potente<br />
band funk che si avvale anche del cameo<br />
di Lee Ritenour e delle commistioni introdotte<br />
dal percussionista Paulinho Da<br />
Costa, si diverte a reinterpretare alcuni<br />
standard del pop come She’s Leaving<br />
Home (Beatles), Sittin’ On The Dock Of<br />
The Bay (Otis Redding) e Wait A Little<br />
While (Kenny Loggins) inserendoli in atmosfere<br />
ancora jazz (poi l’artista si sposterà<br />
più prepotentemente verso il pop e<br />
il r&b).Registrato al Sound Labs di Hollywood,<br />
lo studio fondato da Armin Steiner<br />
nel 1972, mixato al Cherokee Studios<br />
da Rick Ruggieri e masterizzato da Mike<br />
Reese al Mastering Lab, l’album è stato<br />
rimasterizzato per i tipi di Mobile Fidelity<br />
in FLAC a 24 Bit/88,2 kHz e stampato in<br />
Half Speed sotto la supervisione del noto<br />
sound engeneering Stan Ricker, questo<br />
titolo a buon diritto può essere considerato<br />
un riferimento per qualità della registrazione,<br />
sia nella versione normale<br />
che in quella per audiofili e consente di<br />
godere dei virtuosismi vocali di Jarreau<br />
in tutte le sue nuance: una voce piena, a<br />
fuoco, mai debordante ma sufficientemente<br />
affilata lì dove l’artista si spinge<br />
verso i limiti superiori della sua estensione<br />
vocale.<br />
4<br />
Donald Fagen<br />
THE NIGHTFLY<br />
1982 – Warner Bros.<br />
Oltre 90 versioni (anche una multicanale<br />
hi-res) per questo classico<br />
del pop rock, vero disco di<br />
culto per buona parte degli anni 80 che<br />
ha tra l’altro la particolarità di essere stato<br />
una delle prime incisioni realizzate in digitale.<br />
Nonostante questo (i primi tentativi<br />
in tal senso sono terrificanti in termini<br />
di qualità della registrazione!) la registrazione<br />
fu di ottimo livello tanto che «EQ»<br />
magazine ha elencato THE NIGHTFLY<br />
nei 10 migliori album registrati di tutti i<br />
A sinistra Al Jarreau, l’unico<br />
artista ad aver vinto<br />
un Grammy Award in tre<br />
diverse categorie.<br />
A destra gli Steely Dan<br />
con Donald Fagen.
Fabrizio De Andrè,<br />
una voce fuori schema<br />
(foto Renzo Chiesa).<br />
tempi: d’altronde Fagen si avvalse delle<br />
competenze dell’intera squadra tecnica<br />
(dal produttore Gary Katz all’ingegnere<br />
del suono Roger Nichols) degli Steely<br />
Dan, notoriamente molto attenti alla qualità<br />
tecnica delle loro realizzazioni. Il risultato,<br />
al tempo, fu la produzione di un Lp (il<br />
Cd non aveva ancora fatto il suo esordio<br />
commerciale) di grande qualità e tutt’ora<br />
la versione tedesca da 180 g garantisce<br />
performance di altissimo livello. Meno<br />
coerente quanto offerto su Cd, soprattutto<br />
in riferimento alle prime edizioni (e qui<br />
il discorso fatto in apertura viene confermato:<br />
con la versione Original Mastering,<br />
masterizzata da Bob Ludwig, vera autorità<br />
in materia). Anche in termini artistici il<br />
disco è bellissimo, punteggiato dalla voce<br />
profonda e calda di Fagen e dall’originalità<br />
delle sue composizioni (tutti i brani tranne<br />
uno) a cui si aggiunge una spinta ritmica<br />
notevole (e ben riproposta) grazie anche<br />
ai cameo di Marcus Miller al basso, Jeff<br />
Porcaro alla batteria ed entrambi i fratelli<br />
Michael e Randy Brecker (sax e tromba).<br />
Musica senza tempo che, come Fagen<br />
scrive nelle note di copertina, “rappresenta<br />
alcune fantasie che ho avuto da giovane<br />
durante la fine degli anni cinquanta e primi<br />
anni sessanta, cresciuto nella remota<br />
periferia di una città nord-orientale”. Il colmo<br />
per una registrazione che è diventata<br />
una pietra miliare della musica riprodotta<br />
di qualità è che in copertina, scattata da<br />
James Hamilton a casa di Donald Fagen<br />
a New York, il microfono è erroneamente<br />
posizionato!<br />
5<br />
Fabrizio De André<br />
ANIME SALVE<br />
1996 BMG Ricordi<br />
viaggio di questo grande<br />
e atipico cantautore è il più<br />
L’ultimo<br />
complesso della sua discografia,<br />
sia perché diventato il suo testamento<br />
artistico che per l’indirizzo di massima<br />
contaminazione, grazie a suggestioni<br />
provenienti da culture sonore lontane e<br />
da lui mai tentate. Anime Salve o da salvare,<br />
il cui cogliere le sfaccettature è stato<br />
il compito dell’artista, sempre attento<br />
a interpretare le esperienze borderline, i<br />
vizi (tanti) e le virtù (poche) di quella variegata<br />
umanità fotografata in musica in<br />
modo vivido e privo di moralismi. Un ampio<br />
racconto la cui varietà è il frutto, non<br />
privo di frizioni, delle collaborazioni eccellenti<br />
che De André volle per un racconto<br />
a sei mani: Mauro Pagani da un lato,<br />
in grado di tessere melodie alla ricerca di<br />
quel profondo contributo culturale di cui<br />
il bacino del mediterraneo è ricco, Ivano<br />
Fossati dall’altro, teso verso le sonorità<br />
sudamericane. Un disco ricco di fermenti<br />
che solo per caso è l’ultimo e non il promo<br />
di una serie, la più ispirata e varia, profondamente<br />
attuale con il suo disegnare<br />
epicamente la figura del migrante, anticipandone<br />
però l’orrore del reale come lo<br />
racconta la cronaca. Da un punto di vista<br />
tecnico è un disco esemplare in linea, anche<br />
oltre, lo standard qualitativo che ha<br />
caratterizzato la produzione discografica<br />
nostrana degli anni 90, brilla per qualità<br />
tecnica di registrazione. Eccellente la<br />
resa delle voci e degli strumenti acustici,<br />
proposti in maniera materica e timbricamente<br />
ineccepibili. Buona l’immagine<br />
con uno stage ampio e ben delineato sui<br />
piani prospettici, scansiti in maniera realistica.<br />
Da segnalare anche una versione<br />
(una delle 15) su vinile realizzata da un<br />
pool di aziende hi-fi: per questo disco Antonio<br />
Baglio dello studio Nautilus Mastering<br />
ha realizzato il lavoro di mastering in<br />
formato DSD partendo dai master analogici<br />
originali. Attenzioni tecniche che<br />
donano alla narrazione quella definizione<br />
e corposità che trascina le “anime” trasformandole<br />
da semplici ombre in esseri<br />
umani…<br />
«L’ULTIMO VIAGGIO DI QUESTO GRANDE E ATIPICO<br />
CANTAUTORE È IL PIÙ COMPLESSO DELLA SUA<br />
DISCOGRAFIA, SIA PERCHÉ DIVENTATO IL SUO<br />
TESTAMENTO ARTISTICO CHE PER L’INDIRIZZO DI<br />
MASSIMA CONTAMINAZIONE»<br />
PAOLO CORCIULO<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 25
DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />
6<br />
Tuck &Patti<br />
DREAM<br />
1991 – Windham Hill Jazz<br />
Un sodalizio perfetto quello di Tuck<br />
& Patty, tutt’ora in essere. Chitarrista<br />
dalla straordinaria tecnica<br />
lui, voce straordinaria lei, in grado di generare<br />
suggestione e, appunto,<br />
sogno… DREAM<br />
è il loro terzo lavoro<br />
(tutti da collezionare)<br />
e inanela brani originali<br />
scritti da Patty<br />
A sinistra il chitarrista<br />
americano Tuck Andress<br />
(foto Guido Bellachioma),<br />
in basso Eva Cassidy.<br />
Cathcart e standard di Stevie Wonder,<br />
Bernstein/Sondheim, Jimmy Cliff, J.B.<br />
Lenoir, e del jazzista Horace Silver, straordinariamente<br />
rielaborate in partitura<br />
per chitarra solo dove Tuck Andress dà<br />
un saggio di quanta musica e quante voci<br />
possa assumere una chitarra! Sittin in<br />
Limbo la ascoltereste comunque per ore,<br />
qui anche qualche minuto in più; I Wish è<br />
un inno al tecnicismo non fine a se stesso<br />
ma al servizio della felice poesia di Steve<br />
Wonder… Ma sarebbe riduttivo soffermarsi<br />
solo sulle grandi doti di Tuck in quanto<br />
è il melange con la potente voce di Patty<br />
che riesce ad assumere i registri della<br />
rabbia e della gioia, della pienezza e della<br />
impercepibile nuance a completare il<br />
quadro di un modo di fare musica da hobo<br />
moderni, con la chitarra e la voce gestiti<br />
come parte di sé, bagaglio a mano per<br />
viaggiatori dai rapidi spostamenti… Non<br />
è difficile registrare 2 soli strumenti, non<br />
è mai facile farlo bene come accade qui<br />
dove Tuck Andress è anche ingegnere del<br />
suono accompagnato da Howard Johnson<br />
al mixer e con la sapiente mano di Bernie<br />
Grundman per la masterizzazione. La<br />
chitarra è sempre a fuoco, estesa verso le<br />
frequenze alte ma mai acida o invadente,<br />
pur mantenendo<br />
tutto il gioco delle<br />
dita che sfiorano<br />
e percuotono<br />
le 6 corde; la voce<br />
è piena, corposa, ripropo-<br />
sta in quell’alternarsi di pieni e pianissimo<br />
che contraddistinguono il modo di cantare<br />
di Patty. Se volete ascoltare chitarra e<br />
voce al massimo del loro potenziale questa<br />
è la scelta giusta.<br />
7<br />
Eva Cassidy<br />
LIVE AT BLUES ALLEY<br />
1998 Blix Street<br />
Strappata alla vita prima che il<br />
meritato successo decantasse<br />
depositandosi nella storia,<br />
Eva Cassidy rimane una straordinaria<br />
interprete tanto per le caratteristiche<br />
della sua voce che per la sua capacità<br />
interpretativa. Ricercare e ascoltare i
DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />
suoi lavori è come “risciacquar la bocca<br />
in Arno” se si ama la musica e LIVE AT<br />
BLUES ALLEY è l’occasione, per i molti<br />
che non l’hanno mai ascoltata live, di<br />
carpirne un po’ dello spirito e della dolce,<br />
dolorosa melanconia. Una canzone<br />
per tutte, la straordinaria e partecipata<br />
versione di Over The Rainbow, un pezzo<br />
meritevole di un posto nell’empireo musicale,<br />
ma quasi ogni standard interpretato<br />
dalla Cassidy quasi esclusivamente<br />
nell’essenzialità dei suoi classici arrangiamenti<br />
(solo chitarra e voce) lo merita.<br />
Piace citare Time After Time, successo<br />
di Cindy Lauper del 1983, da lei scritto<br />
insieme a Rob Hyman degli Hooters,<br />
dove le sue straordinarie doti vocali aggiungo<br />
qualcosa di originale a un brano<br />
sin troppo sfruttato come cover (persino<br />
da Miles Davis). Proprio l’essenzialità<br />
della proposta musicale della Cassidy<br />
se da un lato diminuisce la complessità<br />
della presa per la registrazione, dall’altro<br />
impone standard elevatissimi di qualità<br />
in termini di timbrica, focalizzazione<br />
degli strumenti e dello stage per consentire<br />
una rappresentazione sonora<br />
“vuota” di tutto ciò che non appare sul<br />
palco ma piena della vena interpretativa<br />
dell’artista. L’album è stato registrato in<br />
diretta al Blues Alley (il più antico club<br />
di Georgetown dove hanno suonato celebri<br />
artisti jazz come Dizzy Gillespie,<br />
Sarah Vaughan, Nancy Wilson, Grover<br />
Washington jr, Ramsey Lewis, Charlie<br />
Byrd) il 2 e 3 gennaio 1996, a eccezione<br />
della traccia 13 registrata nello Studio di<br />
Chris Biondo che vi appare per volere di<br />
Eva Cassidy: “Non era nello spettacolo<br />
dal vivo, ma è la mia canzone preferita”.<br />
L’atmosfera intima del posto è ben resa<br />
dalla registrazione che, come accade<br />
spesso nelle prese dirette, gode di un<br />
realismo notevole che rende secondari i<br />
piccoli difetti presenti.<br />
8<br />
Mina<br />
RIDI PAGLIACCIO<br />
1988 PDU<br />
«IN FIN DEI CONTI, COME HA DETTO JOHN<br />
LENNON, I BEATLES ERANO SOLO UN<br />
COMPLESSINO ROCK. HA FATTO MOLTO, HA<br />
SIGNIFICATO MOLTO PER TANTI, MA NON<br />
ERA POI COSÌ IMPORTANTE»<br />
GEORGE HARRISON<br />
Se esistesse la figura mitologica<br />
della moglie di Re Mida, quella<br />
sarebbe Mina che con la sola forza<br />
di una voce che riempe dirompente<br />
lo spettro sonoro, con una estensione da<br />
primato che la Tigre di Cremona non ha<br />
mancato di sottolineare in passato, trasforma<br />
in materiale pregiato tutto quello<br />
che tocca anche se, naturalmente, una<br />
oculata scelta dei brani e una confezione<br />
levigata e raffinata degli stessi (sotto<br />
la guida di Massimiliano Pani) ha reso<br />
ogni lavoro di Mina un riferimento, tanto<br />
artistico che tecnico, per chi ama riprodurre<br />
la voce. La maggior parte delle le<br />
sue registrazioni sono tecnicamente di<br />
standard molto elevato, caratterizzate da<br />
una cura della voce maniacale che ne garantisce<br />
la giusta dimensione prospettica<br />
e timbrica con caratteristiche dinamiche<br />
(l’esame tecnico rivela valori nella fascia<br />
dell’eccellenza) che variano dal buono<br />
all’ottimo. Caratteristiche che contribuiscono<br />
(anche se Mina potrebbe farcela da<br />
sola!) a esaltare la sua duttilità che spazia<br />
come d’abitudine lungo l’arco di un ampio<br />
numero di canzoni (21) con composizioni<br />
eterogenee: da Enrico Ruggeri a Bruno<br />
Canfora, passando per Madonna (Into<br />
The Groove) dando agio alla cantante<br />
di ribadire attraverso una visione senza<br />
pregiudizi della musica, che è pari solo<br />
alla sua capacità di adattare ogni brano<br />
alla sua voce e viceversa, le sue immense<br />
doti canore. Voce femminile sì ma anche<br />
duetti e arrangiamenti raffinati, esaltati<br />
dalla buona qualità tecnica che dona presenza<br />
e calore all’album rappresentando<br />
l’unico aspetto costante in un programma<br />
quanto mai eterogeneo. La title-track è<br />
tratta dall’aria conosciuta come “Vesti la<br />
giubba” e tratta dall’opera lirica I pagliacci<br />
di Ruggero Leoncavallo.<br />
9<br />
Jennifer Warnes<br />
FAMOUS BLUE RAINCOAT<br />
1987 – Cypress Records<br />
Un ispirato omaggio a Leonard<br />
Cohen, recentemente scomparso,<br />
da parte di una delle sue coriste,<br />
a tal punto indovinato da aver proiettato<br />
Jennifer Warnes su un palcoscenico<br />
illuminato di luce propria. Non è facile<br />
aggiungere qualcosa alla poesia del genio<br />
canadese ma la Warnes ci riesce, in<br />
particolare con le versioni di Bird On A<br />
Wire, A Singer Must Die (con un coro<br />
vocale dal carattere spettrale) e Joan Of<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 27
DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />
Arc che non peccano di poca originalità<br />
e compongono un programma nel complesso<br />
piacevolmente ascoltabile e che<br />
nulla toglie, solamente aggiungendo, alla<br />
costellazione coheniana. Nonostante le<br />
registrazioni siano avvenute in svariati<br />
studi (The Complex, Amigo Studios The<br />
Enterprise…) nell’area californiana, il progetto<br />
gode di una qualità tecnica costantemente<br />
orientata verso l’alto in grado di<br />
offrire uno stage saldo e corposo, ampio<br />
nelle dimensioni e nella capacità di scandire<br />
i vari piani sonori. Ottima la voce<br />
della Warnes, declinata in tonalità calde<br />
e partecipative senza alcun accenno a<br />
fatica sonora; più che buona la dinamica,<br />
sottolineata da una sezione ritmica che si<br />
avvale in alcuni brani di Vinnie Colaiuta.<br />
A fuoco e soprattutto estremamente corretti<br />
dal punto di vista del timbro tonale<br />
gli altri strumenti. Bird On A Wire è un ottimo<br />
compendio di come sia stato ottimamente<br />
bilanciato tutto ciò, inclusa la voce<br />
della Warnes che pur confrontandosi con<br />
una pietra miliare di Cohen non ne esce<br />
in alcuna misura screditata ma, anzi, offre<br />
un’altra lettura al classico dell’autore canadese.<br />
Meglio la versione in Lp che quella<br />
in Cd con l’eccezione di una rimasterizzazione<br />
di difficile reperibilità effettuata<br />
da Bernie Grundman (che si è avvalso di<br />
convertitori A/D Apogee, cavi Cardas e un<br />
reclocking Audio Alchemy) e stampata su<br />
Cd Gold a 24 carati.<br />
10<br />
Alice Pelle<br />
LITTLE DREAM<br />
2007 – <strong>SUONO</strong>records<br />
Jennifer Warnes<br />
Prendi un’artista pop di grandi<br />
speranze e creatività (e con<br />
una voce capace di modulazioni<br />
imprevedibili…) e inseriscila in un humus<br />
differente dall’abituale, segnato da<br />
atmosfere raffinate con nuance dark.<br />
Accompagnala con musicisti jazz di<br />
provata abilità (Manzi, Pareti…) che sanno<br />
quel che devono fare ancor prima di<br />
cominciare a farlo. Aggiungi fisarmonica<br />
e tamburi… Il cocktail che ne deriva è più<br />
che un piccolo sogno e dona alle composizioni<br />
originali di Alice Pelle uno spessore<br />
da grande artista (tra i brani anche una<br />
poesia di Gianni Rodari messa in musica)<br />
tant’è che a suo tempo alcuni brani del<br />
disco vennero opzionati dalla Meridian<br />
per apparire su un suo demo-disk. L’intera<br />
operazione è stata realizzata sotto la<br />
supervisione dello staff di «Suono» che<br />
ha curato anche la verifica tecnica delle<br />
registrazioni, effettuate in digitale ad<br />
alta risoluzione (96 kHz /24 bit) presso<br />
il Musicamania Digital Studio di Nepezzano,<br />
optando per compressioni minime<br />
quando non assenti e un attento equilibrio<br />
ottenuto testando i vari brani prima<br />
del mastering finale con alcuni raffinati<br />
sistemi hi-fi. Il risultato è un suono vivido,<br />
presente e coinvolgente, assoluto<br />
riferimento per la voce ma anche per la<br />
tromba che, in un brano, utilizzata con la<br />
sua sordina, è un assoluto riferimento su<br />
cui molti sistemi hi-fi mostrano le proprie<br />
criticità. Il programma musicale, con<br />
l’avvertenza proprio per la sua natura di<br />
non dover essere utilizzato ad altissimi<br />
volumi prima di una verifica, scorre piacevole<br />
e vario con atmosfere dove prevale<br />
la voce e il piano di Alice Pelle e altri<br />
dove prende il sopravvento l’ensemble e<br />
i raffinati arrangiamenti in chiave jazz<br />
dove ancora una volta è la voce della Pelle<br />
(drammatica, vivida, scoppiettante) a<br />
fare da collante del tutto.<br />
«NON VORREI ESSERE UN<br />
SOTTOFONDO, VORREI<br />
CHE LA MIA MUSICA<br />
FOSSE L’UNICA COSA<br />
IMPORTANTE, ALMENO<br />
NEL TEMPO IN CUI<br />
LA SI ASCOLTA»<br />
DAVID GILMOUR
Ad hoc<br />
per la voce?<br />
VISTO L’ARGOMENTO CENTRALE DI QUESTO NUMERO<br />
DI «<strong>SUONO</strong>» CI SIAMO INTERROGATI SU QUALI SIANO<br />
LE CARATTERISTICHE DI UN SISTEMA HI-FI<br />
PARTICOLARMENTE ADATTO ALLA RIPRODUZIONE<br />
DELLE VOCI. ECCO ALCUNE INDICAZIONI DI MASSIMA…<br />
testo: a cura della redazione<br />
erché una corretta riproduzione<br />
della voce è importante<br />
in un sistema hi-fi? Corum<br />
populi la cattura e la riproduzione<br />
della voce vengono considerati<br />
elementi preponderanti nella qualità nella<br />
riproduzione sonora! Una delle ragioni<br />
è senz’altro dovuta al fatto che le<br />
voci maschile e femminile hanno<br />
un’estensione all’interno della<br />
banda sonora che “copre” una<br />
ampia parte e in particolare quella<br />
cosiddetta “nobile” dello spettro<br />
sonoro (pari a circa il 98 per cento<br />
dell’energia sonora in musica): la<br />
porzione medio-alta. In particolare<br />
la parte più grave delle medie<br />
frequenze (250 – 2000 Hz) contiene<br />
le armoniche di gran parte<br />
degli strumenti ovvero quelle indicazioni<br />
che consentono di riconoscere<br />
uno strumento dall’altro e<br />
donargli un realismo accettabile o<br />
la qualità… di un cavo del telefono.<br />
Inoltre in questa porzione delle frequenze<br />
comprese ogni enfatizzazione o penuria<br />
del giusto contenuto armonico provvede<br />
più che in altre parti dello spettro a<br />
determinare la veridicità del suono riprodotto.<br />
La porzione successiva dello spettro<br />
sonoro (quella compresa tra 2000 e<br />
4000 Hz detta medio-alti) ha un impatto<br />
ancor più specifico sulla qualità di una<br />
voce riprodotta, determinando la maggiore<br />
o minore comprensione di alcune<br />
specifiche consonanti (come la b o la v)<br />
contribuendo a renderle maggiormente<br />
distinguibili o meno e, in generale, una<br />
certa presenza in questa porzione delle<br />
frequenze determina l’intellegibilità della<br />
voce.<br />
La porzione al di sopra di questo range,<br />
generalmente destinata alla riproduzione<br />
da parte del tweeter, contribuisce<br />
a fornire all’ascoltatore informazioni<br />
sulla chiarezza e sulla presenza della<br />
voce, incluse alcune notazioni spaziali,<br />
e, nella porzione più alta, determina<br />
la chiarezza e la brillantezza<br />
dei suoni; quando enfatizzata<br />
introduce, specificatamente per<br />
la voce, una maggior presenza di<br />
sibilanti.<br />
Prendendo per assunto quanto<br />
affermato (queste nozioni costituiscono<br />
i pilastri su cui si basa<br />
chi registra) ne deriverebbe che<br />
la gamma di frequenze compresa<br />
tra quelle medio-basse e quelle<br />
medio-alte – alte, generalmente<br />
il campo d’azione del midrange,<br />
sono determinanti nella riproduzione<br />
della voce, tesi coerente<br />
con quanto da sempre affermato<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 29
AD HOC PER LA VOCE?<br />
suo contenuto di frequenze e basta, prima<br />
di giungere ai morsetti del diffusore.<br />
In secondo luogo, e anche qui ci viene<br />
a conforto il “maestro” Serblin, “non dimentichiamoci<br />
il problema principale, la<br />
relazione fra ambiente e diffusore, una<br />
croce per diffusori a gamma estesissima.<br />
Tutti i diffusori hanno una loro personalità<br />
che non è, però, separabile da quella<br />
delle apparecchiature complementari<br />
e dall’ambiente in cui si esprimono. Accordare<br />
il tutto è il vero problema, non la<br />
tecnologia di questo o quell’altro componente.<br />
L’accordo è il fondamento della<br />
musica, l’accordatura è il fondamento<br />
dello strumento musicale e, altrettanto, il<br />
fondamento del riproduttore di musica,<br />
che sia il singolo componente o l’intero<br />
sistema. Accordo del crossover, accordo<br />
degli altoparlanti, accordo del cabinet,<br />
accordo della qualità della componentistica;<br />
una riproduzione musicale che<br />
vuol coinvolgere l’ascoltatore non può<br />
prescindere dall’accordo della singola e<br />
della molteplicità delle parti. La finalità?<br />
La qualità dell’illusione!”.<br />
A «Suono» già in passato avevamo definito<br />
questa capacità di concentrarsi<br />
sull’insieme, senza focalizzarsi eccessivamente<br />
sullo specifico, come una “cada<br />
Franco Serblin, non un ingegnere ma<br />
persona con grande intuizione, il quale,<br />
in merito ai suoi criteri di progettazione<br />
affermava: “…c’è una mia insoddisfazione<br />
nell’ascoltare un diffusore tradizionale<br />
a tre vie (un due vie no; ancora si<br />
salva): provo del fastidio perché arrivano<br />
più informazioni gravi che della parte<br />
nobile dello spettro musicale che è la<br />
gamma medio-alta… Tuttora se ascolto<br />
questo tipo di diffusori (che per altro ho<br />
fatto anch’io!), ho la sensazione che ci sia<br />
qualche cosa che non va…”. Affermazione<br />
che lascerebbe intendere una preferenza,<br />
mai negata (vedi box) per i diffusori di<br />
piccole dimensioni e a due vie che, non a<br />
caso, sono stati i più rappresentativi della<br />
cifra stilistica del compianto progettista.<br />
Siamo ora in possesso di almeno due indicazioni<br />
sulla strada della ricerca di un<br />
sistema hi-fi specificamente pensato per<br />
riprodurre la voce: dovrebbe per semplicità<br />
basarsi su un diffusore a due vie e<br />
adottare un midrange di qualità mentre<br />
altre soluzioni risulterebbero più complesse<br />
in termini di performance!<br />
Aggiungiamo una regola generale ancora<br />
valida (garbage in, garbage out): ogni<br />
elemento, ogni passaggio lungo la catena<br />
di riproduzione hi-fi possono al massimo<br />
mantenere la qualità all’origine e, aggiungeremmo<br />
noi, il livello qualitativo sarà<br />
determinato dal componente più “debole”<br />
in tal senso: se un corso d’acqua viene inquinato<br />
in qualche modo (indipendentemente<br />
da quale punto) quel che si otterrà<br />
alla “foce” è comunque inquinato!<br />
I cambiamenti tecnologici hanno invece<br />
reso meno certo un altro dei tradizionali<br />
motti dell’hi-fi, la gerarchia della sorgente,<br />
cioè quella scuola di pensiero in qualche<br />
modo sinergica con la precedente<br />
per cui, all’interno dell’ottimizzazione di<br />
un sistema, occorre investire molto nella<br />
fonte per evitare che essa rappresenti<br />
l’anello debole e inquinante del sistema (e<br />
vedi sopra…).<br />
Da quanto fino a ora affermato, si potrebbe<br />
dunque pensare che occorra concentrarsi<br />
sui diffusori per identificare una catena<br />
“adatta alla riproduzione della voce”;<br />
vero in parte perché non si può non riportare<br />
sul generale la discussione, innanzi<br />
tutto per il fatto che la stessa definizione<br />
di buono legata a un criterio condivisibile<br />
(quello di non alterare o alterare il meno<br />
possibile il messaggio sonoro originale)<br />
non discrimina tra questo e quello ma<br />
prevede che un segnale, quale sia la sua<br />
natura, venga amplificato nel rispetto del<br />
Ode al piccolo<br />
testo: Franco Serblin<br />
e guardiamo alla storia dei diffusori acustici,<br />
e al successo che alcuni modelli hanno ottenuto,<br />
ci accorgiamo che questi progetti,<br />
universalmente riconosciuti di gran pregio, sono<br />
costituiti quasi sempre da diffusori di piccole dimensioni.<br />
Diversamente dalla maggior parte dei<br />
modelli di grandi dimensioni, il piccolo diffusore<br />
sparisce per lasciar posto alla Musica. Il suo limite<br />
diventa grandezza. Rinunciare alle ultime ottave di<br />
estensione in frequenza, con la relativa necessità di<br />
mettere in movimento grandi masse d’aria, consente<br />
di evitare cabinet voluminosi e l’utilizzo di diversi<br />
altoparlanti, con le relative difficoltà di fusione tra<br />
gli stessi. Anche le vibrazioni generate dagli altoparlanti<br />
sono più facili da controllare e accordare in un<br />
cabinet di ridotte dimensioni… Devo dire che mi ha<br />
sempre affascinato il ricreare, dal piccolo, la capacità<br />
evocativa del grande. Ho da sempre intuito, a<br />
onta delle limitazioni fisiche, le dirompenti potenzialità<br />
del piccolo diffusore, dei piccoli altoparlanti,<br />
senza magari avere una razionale coscienza del perché<br />
di questa potenzialità. Oggi il tutto mi appare<br />
più razionale: è il bello del limite! Senza limitazione<br />
non c’è arte, sono ben conosciute le limitazioni dei<br />
piccoli diffusori e ci si aspetta poco da loro, ma è<br />
forse questo che li rende magici, la loro capacità<br />
di ricreare attraverso una sublime riproduzione<br />
della gamma media (non è forse questa la gamma<br />
più importante dello spettro musicale?) una magia<br />
musicale che spesso è sconosciuta a sistemi<br />
di grande dimensione ed estensione. Compito del<br />
progettista, e in seguito dell’utilizzatore, il saper<br />
estrarre emozioni dall’apparente poco a disposizione:<br />
mai, in qualsiasi forma d’arte, il dover miniaturizzare<br />
ha rappresentato un limite nel tentativo<br />
di replicare l’essenza del reale, semmai è vero il<br />
contrario. Da un’iniziale e semplicistica ricerca<br />
della fedeltà assoluta all’evento originale, oggi la<br />
scienza della riproduzione audio tende sempre<br />
più verso la ricreazione di un evento generatore<br />
di emozione e coinvolgimento, una forma d’arte<br />
che vede l’appassionato utilizzatore nella doppia<br />
veste di creatore e fruitore dell’opera. Il diffusore<br />
acustico acquisisce un ruolo fondamentale nel<br />
tentativo di tradurre un evento in un’emozione ed è<br />
inutile ribadire che ogni diffusore è un compromesso:<br />
ho ascoltato e utilizzato i Quad ESL 57 e come<br />
si fa a non ammettere che hanno delle limitazioni?<br />
Eppure, ancora oggi è un riferimento assoluto per<br />
la naturalezza della gamma media! E poi tutte le tipologie<br />
di diffusori sono un compromesso: lo sono<br />
i grandi diffusori a tromba, seri compromessi anche<br />
se fanno qualcosa che altri non possono fare;<br />
lo sono i monovia, che, anche loro, fanno qualcosa<br />
che altri non possono fare! Se creiamo grandi<br />
diffusori dobbiamo aver a che fare<br />
con grandi mobili che assorbono<br />
energia con le conseguenti problematiche<br />
di coerenza per la molteplicità<br />
delle vie. Se cerchiamo alta<br />
efficienza, perdiamo profondità alle<br />
basse frequenze e ci esponiamo a<br />
potenziali colorazioni.<br />
Lo speciale “Franco Serbin artigiano”<br />
è scaricabile gratuitamente dal sito di<br />
«Suono» (http://www.suono.it/La-rivista/<br />
<strong>SUONO</strong>-free/Serblin-Homage-n-001)<br />
30
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Un’ipotesi essenziale:<br />
entro i 1000 euro<br />
Lettore digitale Onkyo C-7030<br />
249 euro<br />
Amplificatore integrato<br />
BC Acoustique EX 202.2<br />
460 euro<br />
Diffusori Indiana Line Tesi 260<br />
292 euro<br />
O<br />
ptando su qualche scelta fuori del<br />
mainstream è possibile mettere insieme<br />
un sistema di prima fascia particolarmente<br />
interessante e versatile (l’amplificato-<br />
re dispone di un ingresso digitale per ulteriori<br />
fonti di questo tipo) il CD Player è fra quelli più<br />
economici e “navigati” del settore in pista da<br />
oltre un lustro. In aggiunta o in alternativa ecco<br />
il giradischi Pro-Ject Essential III (325 euro + 49<br />
per modulo fono) per completare con la lettura<br />
dei vinili. Se si vuole invece contenere il prezzo<br />
(o se gli spazi sono davvero risicati): diffusori<br />
Indiana Line Tesi 240 (219 euro).<br />
1<br />
«VIVIAMO<br />
UN PERIODO<br />
DI TRANSIZIONE DOVE<br />
MOLTE DELLE REGOLE<br />
CLASSICHE VENGONO<br />
TRAVALICATE DALLE<br />
NUOVE CAPACITÀ DEI<br />
PRODOTTI.»<br />
pacità olistica” di utilizzare i vari aspetti<br />
che contribuiscono alla riproduzione<br />
sonora secondo la logica di una coperta<br />
che è sempre corta ma può essere posizionata<br />
dove più abbisogna. Aggiungiamo<br />
che oggi, decaduti in gran parte<br />
i criteri su cui in passato venivano edificate<br />
le scelte, ci si comincia a rendere<br />
conto che alla fine quel che conta è un<br />
intangibile “indice della gioia” che pur<br />
nella sua ascetica definizione si palesa<br />
in misura maggiore o minore a seconda<br />
dei prodotti e delle soluzioni scelte.<br />
Come selezionare allora i prodotti che<br />
assicurano un elevato indice della gioia?<br />
Fondamentalmente il professionista di<br />
settore può appoggiarsi ad alcuni criteri<br />
predittivi di buon senso e all’esperienza<br />
diretta sul campo, elemento che può<br />
essere condiviso anche da un neofita.<br />
Più che aggiungere regole e dogmi,<br />
oggi ha senso destrutturare le opinioni<br />
dalle cattive regole del passato. Qui di<br />
seguito alcune regole di buon senso che<br />
ci sentiamo di poter condividere…<br />
Cominciamo dalla sorgente dove, data<br />
la natura variabile delle possibili opzioni,<br />
va fatto immediatamente un distinguo<br />
tra sorgenti antiche (analogiche) e<br />
moderne (digitali). Per quanto riguarda<br />
l’analogico all’interno della catena “Testina-Braccio-Giradischi-Phono”<br />
vale la<br />
gerarchia della sorgente come anche le<br />
ipotesi di scalabilità e upgrading.<br />
Il discorso è estremamente più complesso<br />
per quello che riguarda il digitale ma,<br />
in sintesi, il punto critico, soprattutto in<br />
sistemi di prezzo non “estremo”, è la sezione<br />
DAC che non si distingue tramite<br />
le caratteristiche tecniche o meglio da<br />
quelle funzionali ma dal non essere pensata<br />
in modo “blindato” e con alcune funzionalità<br />
“imposte”. Ad esempio, i tipi di<br />
filtro digitale e l’oversampling hanno un<br />
impatto notevole sulla qualità di riproduzione,<br />
tanto che in certe circostanze<br />
è preferibile escludere l’oversampling<br />
e poter scegliere il filtro più “adatto” o<br />
gradito. Quindi, il criterio di scelta è non<br />
tanto sulle possibilità di elaborazione ma<br />
sulla possibilità di poterle “aggirare”! A<br />
riguardo dei cosiddetti player digitali l’evoluzione<br />
è talmente veloce e costante<br />
che non c’è regola oggi valida per nessun<br />
aspetto! Più che le prestazioni prevalgono<br />
la semplicità, l’immediatezza e la piacevolezza<br />
di utilizzo; tutto il resto è assolutamente<br />
“provvisorio”.Il passo successivo<br />
(l’amplificazione) è oggi seriamente<br />
condizionato dall’evoluzione che questo<br />
componente sta subendo grazie all’offerta<br />
della cosiddetta musica liquida.<br />
La migrazione della gestione digitale/<br />
analogica dal lettore Cd all’amplificatore<br />
ha riportato in auge il ruolo dell’amplificatore<br />
(che non a caso un tempo<br />
veniva definito “il cervello” dell’impianto)<br />
aumentandone la potenziale versatilità<br />
che diventa il vero punto di discrimine<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 31
AD HOC PER LA VOCE?<br />
2<br />
In medio stat…:<br />
attorno ai 1500 euro<br />
Giradischi Thorens TD 158<br />
420 euro<br />
Unità phono Micromega MyGroov<br />
199 euro<br />
Amplificatore integrato Micromega<br />
MyAmp<br />
499 euro<br />
Diffusori Elac Debut B6<br />
450 euro<br />
U<br />
na catena di riproduzione versatile<br />
e di qualità che può diventare una<br />
compagna duratura e che ruota attorno<br />
a quella killer app costituita dalla linea<br />
“My” di Micromega, tra le più valide in merito<br />
a prestazioni, design e costi. Sistema indicato<br />
per gli amanti del vinile ma non disdegna<br />
la musica liquida: tramite la Usb è possibile<br />
collegare un computer o altra fonte digitale<br />
in spdif!<br />
3 Un top<br />
ragionevole:<br />
appena sotto i<br />
2000 euro<br />
abbinata delle due elettroniche è<br />
una delle migliori che ci sia capitato<br />
di provare e offrono L’<br />
un’armonia<br />
Lettore digitale Yamaha CD-S700:<br />
599 euro<br />
Amplificatore integrato Yamaha<br />
A-S701:<br />
699 euro<br />
Diffusori Dali Spektor 6:<br />
650 euro<br />
estetica non disprezzabile quando la catena<br />
hi-fi assume una rilevanza sottolineata dalla<br />
presenza di un diffusore a torre che<br />
ci ha sorpreso oltre misura per<br />
le performance ampiamente<br />
al di là della classe di prezzo.<br />
È dotato di un suo DAC che<br />
amplia la possibilità di fruizione<br />
da ulteriori sorgenti digitali.<br />
32
AD HOC PER LA VOCE?<br />
Cittadino del mondo:<br />
in mobilità a partire<br />
da 350 euro<br />
Amplificatore per cuffie<br />
Audioquest Dragonfly Red<br />
199 euro<br />
Cuffia Focal Sphear<br />
129 euro<br />
L’<br />
ascolto in cuffia, in particolare in<br />
movimento è la grande new entry<br />
che ha rivoluzionato la modalità di<br />
fruizione della musica e l’Audioquest Dragonfly,<br />
ora nella versione Red, ha creato una nuova<br />
categoria di prodotto imbattibile per il rapporto<br />
spazio occupato/prestazioni! Si abbina agli<br />
smartphone ma ci si può godere<br />
dell’ottima musica anche tramite<br />
un computer e una cuffia più<br />
confortevole e isolata come<br />
ad esempio la Audio-Technica<br />
ATH-A500X (€<br />
250) più ingombrante<br />
ma che esibisce<br />
un gradevole<br />
abbinamento<br />
con il sistema<br />
“stanziale”.<br />
4<br />
visto che offerta e possibilità future sono<br />
in gran crescita: l’unico criterio “valido”<br />
per l’utente sarà quello di analizzare le<br />
sue esigenze “reali” di utilizzo optando<br />
per un sistema che le soddisfi, “fidandosi”<br />
per quel che riguarda la qualità sonora<br />
delle proprie orecchie o di quelle di chi ci<br />
si fida! Altri elementi costituiscono ormai<br />
un discrimine meno evidente: la potenza<br />
ad esempio è un dato importante ma<br />
assolutamente non significativo per la<br />
scelta di un sistema domestico “comune”<br />
così come la sensibilità del diffusore.<br />
La sensazione di “potenza” e di qualità di<br />
riproduzione non sono correlate con la<br />
potenza dell’ampli e con le “dimensioni”;<br />
inoltre, a volte basta abbastanza poco per<br />
ottenere un effetto gradevole e avvolgente<br />
in ambiente domestico. La maggior<br />
parte dei risultati dell’abbinamento<br />
diffusori-ampli non si può prevedere a<br />
priori ma si può verificare sul campo<br />
e, contrariamente a quanto si è propugnato<br />
in passato, le caratteristiche e le<br />
impostazioni non si possono affrontare<br />
con modalità scalare, nel senso che<br />
non ha senso abbinare “un ampli con<br />
suono chiaro” a un diffusore con timbro<br />
scuro per ottenere un suono “equilibrato”!<br />
E comunque un suono equilibrato è<br />
cosa molto lontana da uno “piacevole” e<br />
“buono”…<br />
La scelta del diffusore, infine. Si tratta<br />
del prodotto probabilmente più soggetto<br />
ad ampie variazioni di “gradevolezza” e<br />
di prestazioni. In parte ciò è frutto delle<br />
varianti legate alle condizioni di “abbinamento”<br />
all’ambiente e all’amplificazione<br />
ma gli aspetti che più determinano<br />
il “fattore” di gradevolezza sono quello<br />
estetico sia nella riproduzione che nel<br />
design!Probabilmente è l’oggetto meno<br />
“totemico” e più “ancestrale” nella catena<br />
di riproduzione; anche per questo<br />
prodotto le caratteristiche funzionali e<br />
«C’È UNA<br />
GENERAZIONE<br />
(GENERAZIONE M)<br />
DEFINITA DAL FATTO CHE<br />
GLI STRUMENTI CHE USA<br />
CONSENTONO UN USO<br />
UBIQUITARIO»<br />
prestazionali dichiarate raccontano veramente<br />
poco del sistema ed è ancor più<br />
complesso determinare uno standard di<br />
classificazione per azzardare un criterio<br />
di “abbinabilità” o meglio di destinazione<br />
d’uso.Ad esempio alcune caratteristiche<br />
“sostanziali” diametralmente<br />
opposte alla fin fine non sono particolarmente<br />
utili alla scelta: non è vero<br />
ad esempio che in una stanza piccola<br />
possono andare solo diffusori piccoli<br />
o non eccessivamente dimensionati, e<br />
comunque lontani dalle pareti di fondo:<br />
le regie degli studi di registrazione sono<br />
tutte “piccole” con diffusori “enormi” addossati<br />
alle pareti di fondo… L’avete mai<br />
sentita la musica nella regia di uno studio<br />
di registrazione?<br />
L’ipotesi che il prodotto finale debba<br />
anche essere accessibile a una grande<br />
moltitudine (in contrapposizione ai<br />
prodotti no compromise che devono,<br />
per esserlo, consentire performance<br />
assolute in ogni loro aspetto) ci ha<br />
portato infine a selezionare una serie<br />
di prodotti inseriti in alcune differenti<br />
tipologie di impianto (per costo e per<br />
possibile funzione) ma comunque intercambiabili.<br />
Ecco che cosa abbiamo scelto<br />
e perché…<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 33
34<br />
Uno sguardo magnetico<br />
ben espresso nella foto<br />
di Pietro Pascuttini.
La Mina…<br />
dei record<br />
LA RINASCITA DEL VINILE<br />
RIPORTA INEVITABILMENTE<br />
AI RECORD DI GRANDI<br />
INTERPRETI, CHE NELL’EPOCA<br />
D’ORO DEI 33 GIRI HANNO<br />
REGNATO INCONTRASTATI.<br />
SICURAMENTE MINA<br />
È TRA LORO…<br />
testo: Fernando Fratarcangeli<br />
foto: Pietro Pascuttini<br />
ipudiato e accantonato agli<br />
inizi degli anni 90 dalla tecnologia<br />
digitale, il vinile era<br />
rimasto più che altro nel<br />
cuore dei nostalgici, di quanti l’avevano<br />
vissuto, ma soprattutto degli imperterriti<br />
collezionisti. Poi, da sei-sette anni a<br />
questa parte, a partire dagli Stati Uniti, il<br />
vinile è tornato a fare capolino nei grandi<br />
negozi, sia per quel che riguarda le nuove<br />
produzioni sia le ristampe di album classici<br />
soprattutto quelli che hanno tracciato<br />
la storia del pop e del rock. E così, seppure<br />
un po’ più in ritardo, in Italia e nel resto<br />
dell’Europa. Alcuni artisti sono rimasti<br />
ugualmente fedeli al vinile anche negli<br />
anni bui che questo supporto ha attraversato;<br />
uno di questi artisti è Mina.<br />
grandi del pop, quelli nati soprattutto<br />
I nell’epoca d’oro del vinile, non hanno<br />
infatti mai smesso di accompagnare le<br />
proprie uscite discografiche con il supporto<br />
in vinile, magari in tirature limitate<br />
e in alcuni casi numerate. Adriano Celentano,<br />
Vasco Rossi, Ligabue, Nomadi<br />
i primi che mi vengono in mente. Oggi<br />
queste emissioni si sono notevolmente<br />
moltiplicate, dando vita a edizioni speciali,<br />
versioni deluxe e vinili colorati. Di<br />
Mina è stato particolarmente apprezzato,<br />
oltre che super venduto qualche anno fa,<br />
l’album a tema natalizio, CHRISTMAS<br />
SONG BOOK, in vinile rosso e numerato,<br />
stampato in 2000 copie con l’inserimento<br />
di dodici disegni di Giorgio Cavazzano,<br />
stile Paperino, e già ricercatissimo dai<br />
collezionisti in quanto subito esaurito.<br />
Anche la più recente emissione, LE MI-<br />
GLIORI (novembre 2016), che ha visto il<br />
ritorno sul mercato della fortunata coppia<br />
di artisti-amici Mina e Adriano Celentano,<br />
è stato stampato in ben tre versioni<br />
diverse in vinile; la classica di colore<br />
nero, un picture con riprodotta la foto-copertina<br />
dell’album (due Mina e due<br />
Celentano a spasso per le vie di Milano)<br />
e un picture quasi analogo con impressa<br />
una foto dello stesso set fotografico e già<br />
ricercata preda di fan-collezionisti per il<br />
quale il costo di vendita iniziale è lievitato<br />
smisuratamente. Ricordandoci, infine,<br />
«PASSANO<br />
LE STAGIONI<br />
MA, OGGI COME<br />
IERI, È SEMPRE<br />
MINA<br />
LA REGINA»<br />
delle ristampe in vinile e in picture-disc<br />
(compresi box-set) di due delle case discografiche<br />
di cui Mina ha fatto parte<br />
negli anni passati, la RiFi Records e la<br />
PDU, quest’ultima attraverso il catalogo<br />
EMI che li distribuiva. Naturalmente, altre<br />
numerose emissioni, nuove e ristampe,<br />
di pop, di rock e di rock progressivo<br />
hanno scelto questo supporto per essere<br />
riproposte oggi sul mercato perlopiù in<br />
edizioni limitate. A contribuire a questa,<br />
se vogliamo, “rinascita” del vinile<br />
ha contribuito notevolmente l’iniziativa<br />
Record Store Day che, per festeggiarlo,<br />
ha immesso sul mercato nei suoi appuntamenti<br />
semestrali, edizioni particolari<br />
alcune di esse legate a una determinata<br />
ricorrenza celebrativa. Restando in tema<br />
Mina, ad esempio, l’edizione 2017 del Record<br />
Store Day ha stampato, anche per<br />
i 50 anni della nascita dell’etichetta indipendente<br />
PDU, di proprietà della cantante,<br />
uno speciale 45 giri in vinile color<br />
arancio e in tiratura limitata, La canzone<br />
di Marinella, incisa da Mina, appunto, nel<br />
1967 e nel quale singolo come b-side è<br />
stata inserita la versione della canzone<br />
cantata in duo dalla stessa Mina con Fabrizio<br />
De André, datata 1997. È di questi<br />
giorni, la notizia che una delle più prestigiose<br />
major di casa nostra, oltre che la più<br />
attiva sul mercato del vinile, la Sony Music,<br />
ha creato uno speciale marchio che<br />
contraddistinguerà le proprie emissioni<br />
in vinile denominato For Vynil Lovers (da<br />
De André al Perigeo, da Rino Gaetano a<br />
La collezione discografica<br />
su Mina di Fernando<br />
Fratarcangeli è superiore<br />
a quella della stessa<br />
cantante.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 35
MINA<br />
De Gregori, da Lucio Dalla a Lucio Battisti,<br />
solo per fare qualche nome).<br />
Mina come artista nasce nel dicembre del<br />
‘58, usando due diversi nomi d’arte, Mina<br />
per le incisioni in italiano, e un più esotico<br />
Baby Gate per le cover in lingua inglese. I<br />
rispettivi 45 giri, Malatia e When, pur appartenenti<br />
allo stesso gruppo discografico,<br />
si differenziano per le etichette, Italdisc<br />
la prima, Broadway la seconda. Oggi<br />
molto quotati nel mercato collezionistico.<br />
Tre elementi grafici molto<br />
diversi tra loro per Mina.<br />
Mina (Anna Mina Mazzini), cremonese,<br />
nasce “urlatrice” proponendo rock’n’roll<br />
all’italiana allineandosi con altri valenti<br />
artisti di quel genere musicale in quel fine<br />
anni 50: Adriano Celentano, Giorgio Gaber,<br />
Tony Dallara, Joe Sentieri, Jenny Luna.<br />
Il primo cambiamento di stile Mina lo attua<br />
nel 1960. Abbandonato lo pseudonimo<br />
Baby Gate, poiché scoperta l’identità,<br />
incide Il cielo in una stanza, una canzone<br />
melodica composta dal giovane cantau-<br />
tore Gino Paoli e scartata da qualche poco<br />
accorto collega; contemporaneamente,<br />
abbraccia twist, cha cha cha e bossa nova.<br />
Con la piccola etichetta milanese, Mina<br />
rimane fino al 1963, facendo la fortuna<br />
del suo produttore Davide Matalon, facendo<br />
registrare un vero e proprio record<br />
di emissioni, nello spazio di soli cinque<br />
anni; cinquantasette 45 giri, dieci Extended-play<br />
e altrettanti 33 giri, compresi<br />
flexi pubblicitari ed edizioni particolari. A<br />
metà del ’63 è considerata però già artista<br />
al tramonto dagli addetti ai lavori (ma<br />
non dal pubblico), a causa dell’ostracismo<br />
televisivo che la tiene lontana dalla televisione<br />
a causa della sua condizione di<br />
ragazza madre (molti i bacchettoni in<br />
quel periodo). Giovanni Battista Ansoldi,<br />
capo di un’altra piccola etichetta milane-<br />
Le foto di Pascuttini hanno<br />
un’anima molto intensa.
MINA<br />
se da poco fondata, la RiFi Records,<br />
scommette su di lei puntando 250 milioni<br />
sul suo contratto di quattro anni e<br />
sbanca. Il successo è rapido: Città vuota,<br />
È l’uomo per me, Un anno d’amore, E se<br />
domani, la riportano in testa alle classifiche<br />
di vendita e di conseguenza le viene<br />
riaperta la porta principale della televisione,<br />
soprattutto quella degli show del<br />
sabato sera. All’edizione ’65 di Studio Uno<br />
seguono quelle nel ’66 e ’67 (quest’ultima<br />
con il titolo Sabato sera), Canzonissima<br />
nel ’68, Teatro 10 nel ’72, Milleluci nel ’74…<br />
in qualità di vedette assoluta. Nei quattro<br />
anni con la RiFi incide oltre venti 45 giri e<br />
sette Lp, in gran parte di successo. Il primo<br />
33 giri edito dalla RiFi, l’omonimo<br />
MINA, viene premiato quale “miglior disco<br />
dell’anno” durante il “Premio della Critica<br />
Giornalistica” e rappresenta il suo primo<br />
vero album (prima di allora per lo più i<br />
33 giri consistevano in raccolte di brani<br />
già editi nel formato 45 giri), nel quale<br />
presenta classici internazionali cantati<br />
nella lingua originale, oltre a due sole canzoni<br />
in italiano: Non illuderti di Bruno Palesi,<br />
E se domani, incisa per espresso desiderio<br />
del suo amico-autore Carlo Alberto<br />
Rossi, brano scartato dalla giuria del<br />
precedente Festival di Sanremo. Anche il<br />
successivo MINA 2 conquista l’ambito riconoscimento<br />
da parte dei critici. Nel<br />
frattempo, la cantante conquista ancor<br />
più il mercato estero, soprattutto quello<br />
spagnolo, tedesco e giapponese. Nel Paese<br />
del “Sol levante”, nel ’64 consegue il<br />
premio “Perla d’Oro”, consegnato all’artista<br />
che ha venduto in Giappone il maggior<br />
numero di dischi (superando persino i Beatles<br />
nel loro momento d’oro nel mondo)<br />
grazie al 45 giri Kimi Ni Namida To<br />
Hohoemi Wo, versione in lingua di Un<br />
buco nella sabbia. In Giappone Mina oggi<br />
è ancora molto popolare, come dimostrato<br />
da dischi antologici made in Japan prima<br />
e d’importazione poi. Per quel mercato<br />
Mina inciderà altre canzoni: Un anno d’amore,<br />
Se piangi se ridi e la locale Settemari,<br />
tutte di grande successo. Brani in<br />
lingua vengono pubblicati in spagnolo, in<br />
tedesco (Heisser Sand resta al primo posto<br />
delle classifiche per molte settimane<br />
nel ’62), francese, inglese e persino in lingua<br />
turca (Un anno d’amore, Soli, Io sono<br />
«NELLA SUA VOCE<br />
VIVONO GRANDI<br />
PALCOSCENICI,<br />
PIANTO<br />
E RISATE»<br />
quel che sono). Avrebbe potuto conquistare<br />
altri Paesi (Medio Oriente, Australia<br />
e, soprattutto, Stati Uniti) se si fosse dedicata<br />
alle versioni in lingua originale. A<br />
metà anni Settanta, infatti, Frank Sinatra<br />
inviò a Lugano, città di residenza dell’artista,<br />
alcuni suoi emissari con un assegno in<br />
bianco per farla esibire nei più importanti<br />
locali di Las Vegas. Mina rifiutò per non<br />
lasciare l’Italia e soprattutto la sua famiglia!<br />
Nel ’67, dopo l’ennesimo successo<br />
discografico, La banda, decide di non rinnovare<br />
il contratto con Ansoldi e di fondare<br />
una propria etichetta in Svizzera, la<br />
PDU (Plattendurcharbeit Ultraphone),<br />
soprattutto per avere il totale controllo<br />
del suo repertorio discografico e della sua<br />
carriera. A fine ’67 escono i primi dischi<br />
del nuovo corso, il 45 giri I discorsi, che la<br />
vede coautrice in coppia con Augusto<br />
Martelli e lo straordinario album DEDI-<br />
CATO A MIO PADRE, in cui esplora il repertorio<br />
che più ama: Besame mucho di<br />
Velazquez, Sentimental Journey, Lazy<br />
River, The Man That Got Away di Gershwin,<br />
Johnny Guitar di Lee Yong e grande<br />
successo di Peggy Lee, la tradizionale<br />
Ma se ghe penso in dialetto genovese. C’è<br />
anche La canzone di Marinella di Fabrizio<br />
De André (“Ho iniziato a guadagnare i<br />
primi veri soldi come autore – dirà in seguito<br />
De André – dopo che Mina ha inciso<br />
la mia Marinella”). Mentre l’Italia vive ancora<br />
il predominio del supporto 45 giri,<br />
tra il ’67 e il ’68, Mina e Fabrizio De André<br />
sono gli unici artisti a incidere 33 giri<br />
specifici o a tema. A Mina si deve anche<br />
un altro primato, quello di essere la prima<br />
artista italiana a pubblicare un album dal<br />
vivo. MINA ALLA BUSSOLA DAL VIVO<br />
documenta il suo recital annuale nella<br />
versiliese La Bussola, proprietà di Sergio<br />
Bernardini, dove, nell’ormai lontano ’57, la<br />
ragazza diciassettenne chiese all’orchestra<br />
di Don Marino Barreto jr, allora importante<br />
artista da night, di potersi esibire a<br />
fine serata, eseguendo un brano che poco<br />
prima aveva eseguito la stessa orchestra<br />
(nonché hit dello stesso cantante cubano):<br />
Un’anima tra le mani, proponendolo a<br />
modo suo, un misto tra swing e “urlato”.<br />
Ascoltandola, Bernardini le consiglia di lasciar<br />
perdere e di dedicarsi agli studi.<br />
Tempo perso… le dice. Per Mina diventa<br />
una sfida. Tornata a Cremona, si mette in<br />
contatto, nonostante l’ostilità del padre<br />
Mino, industriale farmaceutico, con il<br />
complesso orchestrale più rinomato della<br />
zona, gli Happy Boys, chiedendo loro: “Mi<br />
fate cantare?”. La storia inizia qui, con le<br />
prime serate di piazza del posto, e di conseguenza<br />
l’incontro con Matalon su consiglio<br />
degli stessi Happy Boys. In MINA<br />
ALLA BUSSOLA DAL VIVO, la cantante<br />
non si limita a proporre brani dal proprio<br />
repertorio, ma attinge a quello di altri: La<br />
Lo sguardo di Mina<br />
nei suoi dischi è icona<br />
assoluta. Sopra la copertina<br />
dell’album LE MIGLIORI,<br />
edito nel 2016 da Mina<br />
e Celentano.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 37
voce del silenzio, che al Festival di Sanremo<br />
precedente era stata cantata da Tony<br />
Del Monaco e Dionne Warwick, l’interprete<br />
preferita di Burt Bacharach; Deborah,<br />
hit di Fausto Leali e Wilson Pickett; Cry di<br />
Johnny Ray, a cui si era ispirata a inizio<br />
carriera; Se stasera sono qui di Luigi Tenco<br />
e Per ricominciare, versione italiana di<br />
Can’t Take My Eyes Off Of You, un successo<br />
di Frankie Valli. Mina anticipa i tempi<br />
anche nel pubblicare il doppio 33 giri.<br />
Così nel 1972 si presenta sul mercato con<br />
1+1, dove in un volume è presente il live<br />
dalla Bussola, nell’altro canzoni inedite.<br />
La consuetudine di pubblicare annualmente<br />
un doppio album, metà cover e<br />
metà brani inediti, termina solo nel ’95 con<br />
PAPPA DI LATTE; come album singolo<br />
escono invece 33 giri a tema tra cui MINA<br />
CANTA I BEATLES, MAZZINI CANTA<br />
BATTISTI e le raccolte DEL MIO MEGLIO.<br />
In ventitré anni tanti i grandi successi su<br />
doppio album: FRUTTA E VERDURA/<br />
AMANTI DI VALORE, BABY GATE/MINA<br />
R, LA MINA/MINACANTALUCIO, MINA<br />
CON BIGNÈ/MINA QUASI JANNACCI,<br />
LIVE ’78, quest’ultimo segna il suo addio<br />
alle scene con il concerto a Bussoladomani,<br />
ATTILA (terzo album più venduto del<br />
’79 dopo THE WALL dei Pink Floyd e<br />
SONO SOLO CANZONETTE di Edoardo<br />
Bennato). Il record di vendita di Mina legato<br />
all’ellepì lo detiene …BUGIARDO PIÙ<br />
CHE MAI… PIÙ INCOSCIENTE CHE MAI…<br />
edito nel 1969 con 40 settimane di permanenze<br />
di cui 12 al primo posto. Con il<br />
passare del tempo il repertorio di Mina si è<br />
sempre più indirizzato a dischi di qualità e<br />
decisamente meno commerciali, mantenendo<br />
di tanto in tanto l’idea di incidere<br />
album a tema: il repertorio napoletano in<br />
NAPOLI, l’omaggio a Frank Sinatra in<br />
L’ALLIEVA, quello a Domenico Modugno<br />
in SCONCERTO, i canti sacri in<br />
DALLA TERRA, le romanze in SULLA<br />
TUA BOCCA LO DIRÒ. Da ricordare poi il<br />
milione e duecento mila copie vendute<br />
da MINA CELENTANO nel ’98, in coppia<br />
con il suo amico di sempre, Adriano. Tra<br />
i vari record detenuti da Mina anche<br />
quello di essere l’artista italiana che ha<br />
piazzato nella classifica di vendita il<br />
maggior numero di titoli al primo posto.<br />
E la leggenda continua…
MINA<br />
Tra Mina e Pietro<br />
LA FOTOGRAFIA DI PIETRO<br />
PASCUTTINI, CHE IN QUESTO<br />
CASO RIPRENDE MINA, È IL<br />
CORRISPONDENTE DEL VINILE<br />
RISPETTO A UN PESSIMO MP3. IL<br />
TRIONFO DELL’ANALOGICO, PIÙ<br />
BIANCO/NERO CHE COLORE. È IN<br />
PREPARAZIONE UN VOLUME<br />
CON LE PIÙ BELLE FOTO DI<br />
QUESTO ARTISTA<br />
DELL’IMMAGINE…<br />
testo: Guido Bellachioma<br />
e c’è una cantante nel panorama italiano in<br />
cui coesistono, quasi di pari livello, la qualità<br />
vocale e l’immagine da diva, anche quando<br />
vuol apparire come semplice mamma, moglie e persino<br />
casalinga, quella è Mina. Persino oggi, che la sua<br />
immagine è possibile solo sognarla, è la più diva di<br />
tutte. Pietro Pascuttini è il fotografo che più mi<br />
ha appassionato per la confidenziale normalità<br />
con cui è riuscito a ritrarla durante la loro collaborazione.<br />
L’ineguagliabile Totò, che stimava Mina<br />
moltissimo, la dipinse con affetto meglio di qualsiasi<br />
altra persona: “Quell’anima lunga, che sembra<br />
un contrabbasso con tutte le corde a posto,<br />
quelle carni bianche da gelato alla crema, quella<br />
creatura recita poco e male, ride al momento sbagliato,<br />
coprendosi la bocca con la mano. Ma se si<br />
spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella<br />
voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate”.<br />
Totò la ritraeva con le parole, Pietro con le immagini<br />
delle sue macchine fotografiche, a colori e in<br />
bianco e nero. L’ho conosciuto negli ultimi anni<br />
di vita, quando abitava in una casa a Tor San<br />
Lorenzo, una località di mare in provincia di<br />
Roma. Si parlava di fare un libro con le sue<br />
foto, mi piaceva parlare con lui e con sua<br />
moglie, prendere un caffè circondati<br />
dalle stampe di queste immagini senza<br />
tempo. A volte, quando mi parlava<br />
di Mina, Patty Pravo, Alberto Sordi<br />
e altri miti simili un po’ lo invidiavo…<br />
a lui Marcello Mastroianni, Louis<br />
Armstrong, Clint Eastwood, Domenico<br />
Modugno, Tyrone Power,<br />
Franco Fabrizi; a noi gli anonimi<br />
personaggi usciti dai talent show<br />
senza senso… ti credo che passa<br />
la voglia di fotografare! Mi dispiace<br />
tanto di non essere riuscito a<br />
portare a termine quel libro, solo<br />
immaginato, purtroppo c’è sempre<br />
meno spazio per iniziative legate<br />
al bello ma non effimero. Immagine<br />
nella sostanza, questa è la definizione<br />
che calza meglio allo stile di Pietro.<br />
Foto decise, dirette anche quando<br />
cercano il fascino del mistero. Milanese,<br />
classe 1936, proviene da una nobile famiglia<br />
friulana; inizia a fotografare a 18 anni e<br />
nel 1962 vince il Premio Nazionale Fotoreporter<br />
per le immagini di un poker di donne affascinanti:<br />
Sophia Loren, Claudia Cardinale, Sylva<br />
Koscina, Monica Vitti. Fotografo di prima linea per<br />
agenzie come Farabola e Grazia Neri. Si ritira nel<br />
2004 e muore nel 2009 a Marino.<br />
Meglio fotografarla da sinistra, dove non ha i nei<br />
Così la racconta Pietro attraverso l’obbiettivo della<br />
sua macchina fotografica.<br />
“Mina vive e agisce, momento per momento, seguendo<br />
unicamente l’impulso e i sentimenti. Credo<br />
sia la creatura meno complessata del mondo, la più<br />
spontanea, immediata, forte e sicura. La prima fotografia<br />
giornalistica credo di avergliela fatta proprio<br />
io: in una strada di Cremona, molti anni fa. Allora<br />
non la conosceva quasi nessuno, era una ragazzina<br />
timida, addirittura vergognosa di farsi fotografare.<br />
Oggi è diversa: più donna, soprattutto professionalmente<br />
matura. In tutti questi anni ho imparato a<br />
conoscerla. So che deve essere fotografata con luci<br />
molto morbide, con “soli” gialli piuttosto che rossi<br />
o violacei, che renderebbero dura e aggressiva la<br />
sua bellezza, di cui deve essere invece valorizzato al<br />
massimo l’interiore contenuto di morbidezza, di dolcezza,<br />
d’estrema femminilità. Mina non ama le fotografie<br />
in “esterni”: troppa gente che si ferma, guarda<br />
Il rapporto tra Mina<br />
e Pietro Pascuttini<br />
è sempre<br />
stato speciale.<br />
e fa commenti. Preferisce essere fotografata in studio,<br />
sola e tranquilla. Io, viceversa, cerco sempre di<br />
riprenderla per la strada: la presenza di altre persone,<br />
i rumori, il traffico, la vita della strada le comunicano<br />
quella vitalità e allegrezza che le sono tipiche,<br />
ma che nel chiuso di uno studio, dopo un poco, tendono<br />
sia pure minimamente a spegnersi. Il suo viso<br />
deve essere fotografato di tre quarti, da sinistra: la<br />
sua parte meno bella, infatti, è la destra, quella con<br />
i nei, per intenderci. Da questa parte Mina sembra<br />
più triste, malinconica e perfino più dura.<br />
Ha cambiato colore di capelli un’infinità di volte:<br />
per me, il colore più “suo”, quello che le donava di<br />
più, era il nero-corvino, quando portava i capelli<br />
lunghissimi, divisi nel mezzo… ne veniva fuori quel<br />
tanto di spagnolesco che è in lei, nella sua bellezza,<br />
che ha ereditati evidentemente (come lei<br />
stessa mi ha raccontato) da una nonna spagnola.<br />
Di lei, fotograficamente parlando, trovo belli in<br />
particolare il volto nel suo insieme, i denti, le mani.<br />
Le mani sono lunghe, nervose ma morbide; il volto<br />
è spiritoso, espressivo, sempre mutevole… i denti<br />
sono stupendi, tanto che, ultimamente, ho cercato<br />
di fotografarla più volte con le labbra dischiuse<br />
e una sigaretta tra i denti, con la “grinta” felina che<br />
le è tipica, e che trovo unica e straordinaria.<br />
È pigra, se potesse eviterebbe volentieri di truccarsi,<br />
infatti quando è possibile lo fa… esce col viso<br />
assolutamente pulito”.<br />
A Pietro… artista dell’immagine.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 39
Sin dalla sua prima seduta d’incisione, Caruso<br />
prende in mano e domina il mercato discografico.
ENRICO CARUSO, CHE<br />
INIZIALMENTE VENIVA<br />
CHIAMATO ERRICO, ALLA<br />
NAPOLETANA, LUNGO<br />
L’ARCO DEI DUE PRIMI<br />
DECENNI DEL 900 NON<br />
SOLO DOMINÒ LE SCENE<br />
LIRICHE DI TUTTO IL<br />
MONDO, NON SOLO<br />
DOMINÒ L’INCIPIENTE<br />
MERCATO DISCOGRAFICO,<br />
MA DETERMINÒ CON LA<br />
SUA SOLA PRESENZA LA<br />
GENERALIZZAZIONE DEL<br />
BEL CANTO COME ARTE,<br />
MA PRINCIPALMENTE<br />
ANCHE COME SCUOLA…<br />
testo: Marino Mariani<br />
ziale dei grammofoni a<br />
tromba, e quando sul<br />
piatto rotante veniva<br />
deposto un disco di<br />
Caruso, questi arcaici<br />
precursori dell’alta<br />
fedeltà si mettevano a<br />
suonare veramente e la<br />
gente accorreva a sentire<br />
la voce di Caruso suonata dal<br />
grammofono.<br />
I vari “re” delle ferrovie, delle automobili,<br />
dell’aviazione, delle banche, del petrolio,<br />
della stampa, del cinema, dei telegrafi e<br />
dei telefoni, avrebbero dovuto accogliere<br />
nei loro circoli esclusivi anche i re… dei<br />
grammofoni a tromba, allora un’attrazioa<br />
carriera di Enrico Caruso non è<br />
confrontabile con quella di nessun<br />
altro protagonista della scena<br />
lirica, ma se questo confronto<br />
venisse eseguito in maniera sistematica,<br />
i critici troverebbero che De Reske gli<br />
era superiore come presenza sulla scena,<br />
mentre Alfredo Kraus e Luciano Pavarotti,<br />
e non solo loro, potevano infilare ridendo i<br />
sette do di petto che ci sono nella Figlia del<br />
reggimento, mentre Enrico Caruso fermava<br />
la sua gamma acustica sì e no a un si<br />
bequadro o bemolle. Ma nessuno si azzarderebbe<br />
ad affermare che qualsiasi tenore,<br />
o più in generale qualsiasi cantante maschile<br />
o femminile, nella gamma alta, media<br />
o bassa, sia stato superiore a Caruso.<br />
Caruso qualcuno l’ha definito un baritenore,<br />
vale a dire un cantante dalla voce calda<br />
e piena di baritono, ma capace di entrare<br />
nella gamma acuta fino alla soglia del do<br />
di petto. Per riempire comunque il ruolo<br />
problematica riuscita,<br />
sotto l’incubo di una<br />
stecca che il pubblico<br />
non perdonava<br />
mai, e che costava al<br />
malcapitato il bando<br />
dalle scene. Nelle biografie<br />
non risulta mai<br />
che Caruso abbia avuto<br />
problemi con il pubblico in<br />
materia di estensione vocale: al<br />
contrario il pubblico rimaneva estasiato<br />
per il piglio franco e disinvolto, per l’inarrivabile<br />
eguaglianza dei suoi gradi timbrici,<br />
per il suo legato rigoroso e per i suoi<br />
portamenti che quasi annullavano la differenza<br />
tonale tra due note contigue. Ma<br />
Tutte le incisioni<br />
di Caruso furono<br />
effettuate con<br />
questo tipo di<br />
microfono di legno. I<br />
risultati, comunque,<br />
sono stupefacenti.<br />
«QUANDO GIACOMO<br />
PUCCINI ASCOLTÒ CARUSO<br />
NELLE PRIME BATTUTE<br />
DI CHE GELIDA MANINA,<br />
GRIDÒ: “MA CHI VI HA<br />
MANDATO? DIO?”»<br />
Enrico Caruso<br />
mentre queste qualità di Caruso venivano<br />
La voce<br />
recepite e osannate dal pubblico delirante<br />
(a quei tempi veniva utilizzato anche il<br />
neologismo “mesmerizzato”) presente in<br />
sala, il miracolo decisivo, quello che maggiormente<br />
servì a catalogare Caruso in<br />
di tenore, Caruso ricorreva abitualmente<br />
alla trasposizione di un mezzo tono, o dal resto di tutto il mondo teatrale, fu che<br />
una categoria a parte, nettamente divisa<br />
di un intero tono, sotto. Tali trasposizioni tali eccezionali qualità risaltavano mirabilmente<br />
nei suoi dischi riprodotti dagli<br />
venivano condannate da taluni cantanti,<br />
come la signora Maria Meneghini Callas, ineffabili grammofoni a tromba di quell’epoca.<br />
I quali erano strumenti gracchianti<br />
che avrebbe preferito morire sulla scena<br />
piuttosto che trasporre un’aria. Ma Giuseppe<br />
Verdi in persona era invece molto immancabilmente presente nelle fiere,<br />
ben conosciuti come “curiosità” acustica,<br />
comprensivo nei confronti delle trasposizioni,<br />
e talora le favoriva e consigliava, pubblici. La composizione spettrale del-<br />
nei Luna Park, nei mercati e nei giardini<br />
perché, secondo Verdi, il cantante<br />
non doveva vivere sotto<br />
perfettamente complementala<br />
voce di Caruso sembrava essere<br />
l’incubo di un acuto dalla<br />
re con la curva esponen-<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 41
ENRICO CARUSO<br />
«LE INVENZIONI DI EDISON (RULLI)<br />
E DI BERLINER (DISCHI) HANNO TROVATO<br />
LA LORO PIATTAFORMA DI LANCIO NELLA<br />
VOCE DI QUESTO TENORE NAPOLETANO,<br />
CHE IMMEDIATAMENTE<br />
CONQUISTÒ LE MASSE»<br />
In alto:<br />
confezione dei rulli incisi da Caruso<br />
per la Anglo-Italian Commerce<br />
Company. Stampati in Germania<br />
e offerti a € 69 cadauno.<br />
ne nei baracconi dei circhi, nelle fiere e nei<br />
mercatini! E gli impresari teatrali avrebbero<br />
dovuto tener testa agli impresari discografici,<br />
i teatri agli studi di registrazione.<br />
A dire la verità, alcune di quelle industrie<br />
ancora non erano in esercizio, perché il<br />
primo aeroplano ancora non aveva volato<br />
(ed Edison aveva predetto che neanche in<br />
un milione di anni sarebbe stato inventato),<br />
la Ford ancora non era stata fondata,<br />
stampa e banche non facevano nominalmente<br />
parte del settore manifatturiero<br />
etc. Ma durante la carriera di Caruso non<br />
solo dischi e grammofoni cominciarono (e<br />
proseguirono) a essere venduti a milioni<br />
di esemplari, ma la musica stessa cambiò<br />
in maniera radicale, e nei teatri lirici si<br />
passò dal cosiddetto bel canto al verismo.<br />
Entrambe queste trasformazioni ebbero<br />
come protagonista Enrico Caruso. Nei libri<br />
di musicologia, storia della musica, e nelle<br />
biografie dei grandi cantanti, spesso ci si<br />
imbatte nel rammarico, espresso dagli autori,<br />
per il tramonto del bel canto a favore<br />
del verismo, e sul principio m’ero fatto l’idea<br />
che, con il bel canto, fosse tramontato<br />
anche il canto stesso. Ma esaminiamo un<br />
po’ più da vicino il concetto di bel canto,<br />
che consisteva in un tipo di canto ornato,<br />
contornato di abbellimenti quali i trilli, gli<br />
arpeggi, le volatine, le rullate, i mordenti<br />
e tante altre figure tecniche studiate per<br />
far rifulgere l’abilità del cantante. Sotto<br />
certi aspetti il bel canto era al servizio di<br />
se stesso, e il suo nome sembra coniato<br />
su misura per illustrarne la finalità ultima.<br />
Ma la natura del bel canto era determinata<br />
non solo e non tanto da dettami puramente<br />
accademici, quanto dagli usi e costumi<br />
della società, che nel corso dei secoli subirono<br />
inevitabili cambiamenti. E così, agli<br />
inizi, la musica era figlia dei facoltosi signori<br />
che allevavano e mantenevano nelle<br />
loro corti i compositori, i solisti e le orchestre,<br />
e le composizioni venivano obbligatoriamente<br />
dedicate a questi mecenati, ai<br />
cardinali e alle nobildonne. Le musiche, e<br />
tra esse in prima fila i melodrammi, erano<br />
essenzialmente garbate, perché le esecuzioni<br />
dovevano servire da intrattenimento<br />
al gentil consesso di cotanta nobiltà. Ma,<br />
come sappiamo, i tempi gradualmente<br />
cambiavano, e alla fine clero e nobiltà<br />
ebbero problemi che li distolsero dal compito<br />
di patrocinare musiche e musicisti.<br />
E cambiarono i contenuti, le forme e le<br />
strutture delle opere liriche: eroi della<br />
storia e della leggenda, quali Giulio Cesare,<br />
Ercole ed Enea, che venivano solitamente<br />
interpretati da<br />
soprani maschili, passarono<br />
a registri più virili, e finalmente le<br />
donne furono interpretate da donne. Dal<br />
classicismo arcaico si passò al romanticismo,<br />
in cui le opere si trasformarono da<br />
narrazioni, rappresentazioni e recite in vicende<br />
e tragedie vissute in prima persona<br />
dagli attori sulla scena. Siamo ancora nel<br />
dominio del bel canto, con la differenza<br />
che le opere adesso vengono rappresentate<br />
in teatri aperti al grosso pubblico, e gli<br />
interpreti non possono più contare sulla<br />
benevolenza dei mecenati, ma devono<br />
fare i conti con gli impresari, e vengono<br />
scritturati e pagati proporzionalmente al<br />
loro successo… al botteghino!<br />
Il pubblico italiano era maturo per la<br />
Napoli a Enrico Caruso<br />
ha intitolato solo una strada<br />
di minima importanza.<br />
42
ENRICO CARUSO<br />
trasformazione del teatro lirico, e in ciò<br />
fu seguito da tutto il resto del mondo, che<br />
accettò di buon grado questa trasformazione<br />
sulle ali del canto di Enrico Caruso,<br />
che si mise a capo, in prima persona, di<br />
tale trasformazione. La sua voce divenne<br />
la voce di riferimento assoluto, e sui suoi<br />
dischi i cantanti di tutto il mondo impararono<br />
i dettami della nuova scuola.<br />
Nel 1902, durante le rappresentazioni<br />
dell’opera Germania di Franchetti al teatro<br />
La Scala di Milano, Fred Gaisberg, pioniere<br />
non solo dell’arte di scoprire e ingaggiare<br />
i grandi artisti di tutto il mondo ma anche<br />
in quella di effettuare materialmente<br />
le incisioni discografiche, udì il nome<br />
di Enrico Caruso, e lo andò ad ascoltare:<br />
sull’istante decise di portare Caruso nello<br />
studio di registrazione… a qualsiasi prezzo!<br />
Caruso chiese 100 lire per incidere dieci<br />
brani, Gaisberg compì l’imprudenza di telegrafare<br />
al suo ufficio centrale, il quale gli<br />
proibì tassativamente di spendere quella<br />
cifra folle, ma fortunatamente decise di<br />
ignorare il veto, e la registrazione avvenne.<br />
L’ufficio centrale aveva posto il suo<br />
veto per una ragione in fondo abbastanza<br />
plausibile: investire tali somme per un<br />
cantante che era sconosciuto a Londra e a<br />
New York? Ma quel giorno la prospettiva<br />
cambiò, e la fama di Caruso, in virtù dei<br />
suoi dischi, come una fiammata dilagò in<br />
tutto il mondo. Quel giorno era l’11 aprile<br />
1902. In due ore Gaisberg riuscì a incidere<br />
i seguenti dieci brani:<br />
“Studenti! Udite!” (Franchetti: Germania)<br />
“Questa o quella” (Verdi: Rigoletto)<br />
“Celeste Aida” (Verdi: Aida)<br />
“O dolce incanto” (Massenet: Manon)<br />
“Una furtiva lacrima” (Donizetti: L’elisir<br />
d’amore)<br />
“Giunto sul passo estremo” (Boito:<br />
Mefistofele)<br />
“Ah, vieni qui… No, non chiuder gli occhi<br />
vaghi” (Franchetti: Germania)<br />
“Dai campi, dai prati” (Boito: Mefistofele)<br />
“E lucevan le stelle” (Puccini: Tosca)<br />
“Apri la tua finestra” (Mascagni: Iris)<br />
Dunque Caruso intascò le 100 lire e Gaisberg<br />
si meravigliò, e in un certo senso<br />
rimase atterrito dalla facilità con cui una<br />
tale somma poteva essere guadagnata in<br />
I funerali di Enrico Caruso nella Reale<br />
Basilica di S. Francesco di Paola concessa<br />
dal re Vittorio Emanuele III.<br />
un così breve tempo. Eppure, per vincere<br />
il veto impostogli dalla Casamadre, aveva<br />
calcolato che bastava guadagnare uno<br />
scellino per duemila copie vendute per far<br />
quadrare i conti: qualcuno dei dieci brani<br />
incisi vendette più di un milione di copie…<br />
Nel corso della sua carriera Caruso intascò<br />
più di due milioni di dollari dalle case<br />
discografiche, e cioè più di quanto guadagnò<br />
cantando sui palcoscenici di tutto il<br />
mondo. E comunque le case discografiche<br />
guadagnarono il doppio di quanto pagassero<br />
Caruso. Faccio notare che si trattava<br />
di dollari anteriori agli anni Venti, che avevano<br />
un valore enormemente maggiore<br />
del dollaro di oggi (purtuttavia intorno<br />
all’anno 1950 un quadrimotore Constellation<br />
costava ancora soltanto 300.000<br />
dollari). Molti dei brani contenuti nella lista<br />
dei primi dieci, furono reincisi, e fecero<br />
una statistica a parte.<br />
Questi dieci brani, che andarono a ruba<br />
sotto forma di dischi a 78 giri a incisione<br />
laterale (adatti quindi alla riproduzione<br />
mediante i grammofoni a tromba, in cui<br />
la voce di Caruso veniva accompagnata al<br />
pianoforte dal maestro Salvatore Cottone),<br />
segnarono una vera e propria rivoluzione,<br />
perché non solo la voce e l’interpretazione<br />
di Caruso piacquero ai critici, agli impresari,<br />
ai colleghi cantanti, ai maestri insegnanti<br />
e agli appassionati frequentatori di<br />
opera lirica, ma piacquero altresì al grosso<br />
pubblico, a coloro per i quali, finora, il<br />
grammofono a tromba costituiva un’attrazione<br />
da banconi di mercato e baracconi<br />
da circo, perché la calda voce di Caruso,<br />
dal timbro baritonale, risultava assolutamente<br />
“congrua” con la timbrica di quelle<br />
trombe, per cui, anche se gli accompagnamenti<br />
orchestrali mantenevano la loro sonorità<br />
arcaica, la voce di Caruso sprizzava<br />
forte e chiara come in teatro. È come se,<br />
limitatamente alla voce di Enrico Caruso,<br />
fosse in quel momento nata l’alta fedeltà,<br />
e il volume di vendita di dischi e grammofoni<br />
balzò istantaneamente dalle decine<br />
di migliaia a decine di milioni di esemplari.<br />
Col tempo, le incisioni di Caruso nulla<br />
hanno perso del loro fascino iniziale. Anzi!<br />
Oggi esse sono integralmente disponibili<br />
nei moderni supporti, e sono state passate<br />
e ripassate attraverso diabolici dispositivi<br />
elettronici che hanno isolato ed esaltato<br />
la timbrica di Caruso, e liberate dai gravami<br />
del fruscio e dei graffi. Si è fatto di<br />
più: la voce è stata addirittura scorporata<br />
dall’incisione originale e inserita in un<br />
accompagnamento sinfonico moderno,<br />
con risultati contrastanti, tecnicamente<br />
ineccepibili ma musicalmente opinabili,<br />
destinati a piacere principalmente agli<br />
ascoltatori inesperti. Al tempo per convogliare<br />
la voce dei cantanti e degli strumenti<br />
orchestrali nelle “porte acustiche”<br />
si ricorreva a ogni artificio. Per esempio i<br />
violini, che sono omnidirezionali, venivano<br />
equipaggiati con certi cornetti acustici,<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 43
ENRICO CARUSO<br />
per cui perdevano la timbrica degli strumenti<br />
ad arco ed acquistavano quella di…<br />
tromboni! Le antiche incisioni hanno tutte<br />
questo suono tipico di trombone, che non<br />
è dovuto tanto a limitazioni della banda<br />
passante, quanto al fatto che i violini stessi<br />
venivano modificati in modo che il loro<br />
suono divenisse direzionale e potesse essere<br />
rivolto alle porte acustiche che sostituivano<br />
i microfoni, non ancora inventati.<br />
Accompagnata da questo suono arcaico<br />
eppur naturale, la voce di Caruso suonava<br />
più naturale ancora!<br />
Prima dell’avvento di Caruso sulla scena<br />
discografica, le vendite di grammofoni a<br />
tromba in America e in tutto il resto del<br />
mondo ammontavano a migliaia e migliaia<br />
di pezzi. Dopo la prima salva di 10<br />
incisioni di Caruso le vendite di questi<br />
grammofoni ebbero un’impennata, e passarono<br />
dalle migliaia alle decine di milioni<br />
di pezzi. Alcune tra le 10 incisioni iniziali<br />
di Caruso superarono il milione di copie<br />
vendute, e le statistiche sarebbero state<br />
ancora più floride se quegli stessi brani<br />
non fossero stati reincisi più volte in varie<br />
epoche, figurando quindi nelle statistiche<br />
sotto voci diverse.<br />
Amletici biografi si domandano se fu Caruso<br />
a lanciare l’industria discografica, o<br />
se è stata l’industria discografica a lanciare<br />
Caruso. Il dubbio non sussiste. In effetti,<br />
a conti fatti, Caruso ha introitato dai dischi<br />
più di quanto non abbia raccolto nei botteghini<br />
dei teatri. E inoltre Caruso, fatto<br />
inaudito, fu ingaggiato dal Metropolitan<br />
senza che nessuno l’avesse mai sentito<br />
cantare, se non attraverso i dischi incisi<br />
all’Hotel Spatz.<br />
Caruso, si potrebbe concludere, ha viaggiato<br />
sulle ali dell’industria discografica.<br />
Ma l’industria discografica a quei tempi<br />
era virtualmente inesistente, e ciò che<br />
si vendeva a milioni di pezzi non erano i<br />
dischi, bensì i “dischi di Caruso”, e si può<br />
del pari concludere che fu Caruso a creare<br />
l’industria discografica.<br />
poco dire che Enrico Caruso sia stato<br />
È il maggiore dei cantanti lirici di tutti i<br />
tempi: il suo canto era veramente straordinario,<br />
e sopravanzava i suoi colleghi rivali<br />
non di una corta incollatura, ma di un intero<br />
giro di pista, e ciò avveniva in teatro, ove<br />
«LA VITA MI PROCURA<br />
MOLTE SOFFERENZE.<br />
QUELLI CHE NON<br />
HANNO MAI PROVATO<br />
NIENTE, NON POSSONO<br />
CANTARE»<br />
ENRICO CARUSO<br />
portava al trionfo personaggi che a volte<br />
non erano di primo piano, come Ottavio<br />
nel Don Giovanni di Mozart, o che non<br />
erano “buoni”, come il Duca nel Rigoletto<br />
di Verdi, o Canio nei Pagliacci di Leoncavallo<br />
o Turiddu nella Cavalleria Rusticana<br />
di Mascagni. Buoni o cattivi, principali o<br />
secondari, Caruso li portava al trionfo tutti,<br />
sulla scena, ma principalmente sui dischi<br />
dei grammofoni a tromba, dove il divario<br />
con il resto del mondo era netto, inequivocabile,<br />
improponibile: solo i dischi di<br />
Caruso cantavano, gli altri miagolavano!<br />
La carriera di Caruso si spense, con la sua<br />
morte invero prematura, prima dell’entrata<br />
in servizio di microfoni e altoparlanti<br />
elettrodinamici. E si può dire che fu un<br />
peccato che la voce di Caruso non sia stata<br />
tramandata ai posteri con mezzi tecnici<br />
più efficienti di quelli che caratterizzarono<br />
la cosiddetta “epoca acustica”. Ma anche<br />
questo è inesatto. Ciò che fa gridare<br />
al miracolo, e indusse molti ad asserire<br />
che i cantanti di quei tempi godessero<br />
di un particolare patrimonio genetico è<br />
totalmente un equivoco: tra i cantanti<br />
di quell’epoca e i successivi non si è<br />
verificata nessuna mutazione genetica:<br />
essi erano chiaramente<br />
superiori perché avevano supporti<br />
tecnici nettamente inferiori, ed educavano<br />
la loro voce a riempire i milioni di<br />
metri cubi d’aria della Scala e del Metropolitan<br />
(o di qualunque teatro di provincia,<br />
che in Italia si contavano a centinaia)<br />
senza l’aiuto di microfoni e amplificatori.<br />
La loro scuola era infinitamente più dura<br />
che non nei tempi successivi, perché dovevano<br />
imparare non a riempire i teatri<br />
con un singolo urlo stentoreo, bensì con<br />
una serie di note che dovevano tutte, anche<br />
quelle sussurrate a parte, raggiungere<br />
in maniera perspicua non solo la prima<br />
fila occupata dagli ufficiali austriaci in<br />
divisa di gala, ma soprattutto i loggionisti<br />
di ennesimo ordine, che notoriamente<br />
costituivano i giudici più severi, che non<br />
lasciavano impunita la minima imperfezione.<br />
E così i cantanti lirici di quell’epoca<br />
cantavano meglio perché si sottoponevano<br />
a un estenuante lavoro di raffinamento<br />
caduto oggi in disuso, per via dell’avvento<br />
di mirabolanti mezzi tecnici a sostegno.<br />
Da fenomeno italiano<br />
Caruso si trasformerà<br />
in attrazione internazionale<br />
grazie all’esordio alla Scala<br />
di Milano sotto la direzione<br />
di Arturo Toscanini.<br />
44
Maria Callas<br />
Il bel canto<br />
SARANNO QUARANT’ANNI TRA POCO DALLA MORTE<br />
DI MARIA CALLAS E LA SUA VOCE E LA SUA FIGURA<br />
UMANA RIMANGONO UN MITO PER TUTTI<br />
GLI APPASSIONATI D’OPERA, E NON SOLO. LA SUA<br />
TRAVAGLIATA VICENDA UMANA E LE SUE INCREDIBILI<br />
DOTI DI CANTANTE L’HANNO RESA L’ICONA DEL PERIODO<br />
D’ORO DELL’OPERA E, ANCORA OGGI, CONTA SEGUACI<br />
IN TUTTO IL MONDO. LA VOCE DI MARIA CALLAS VIVE<br />
OGNI GIORNO NELLE NUMEROSE REGISTRAZIONI DELLE<br />
SUE ESIBIZIONI E NELLE INCISIONI IN STUDIO: UN<br />
PATRIMONIO CHE WARNER CLASSICS HA RESTAURATO,<br />
RIMASTERIZZANDOLO E DISTRIBUENDOLO IN FORMA<br />
DI COFANETTO SIA IN CD CHE IN FILE HI-RES A 96/24.<br />
testo: Archivio Suono<br />
sotto la supervisione del grande produttore<br />
Walter Legge, e l’ultima opera completa<br />
nel 1965, a Parigi, con la sua seconda Tosca.<br />
CALLAS REMASTERED: THE COM-<br />
PLETE STUDIO RECORDINGS contiene<br />
almeno una registrazione completa (in alcuni<br />
casi due) di tutti i più importanti ruoli<br />
operistici della Callas, salvo che di Anna<br />
Bolena, della quale si conserva solo la<br />
lunga scena finale dell’opera, qui inclusa<br />
nel recital Mad scenes (Scene di pazzia).<br />
La collezione contiene anche incisioni<br />
complete di opere che la Callas cantò solo<br />
raramente sul palcoscenico, o addirittura<br />
mai, come Manon Lescaut e Carmen. Il<br />
repertorio affrontato sia nelle opere complete<br />
sia nei recital dimostra le eccezionali<br />
risorse tecniche e artistiche della Callas.<br />
La sua voce, che può essere etichettata<br />
come “soprano drammatico d’agilità”, la<br />
rendeva ideale per un ruolo come Norma,<br />
ma il suo repertorio comprendeva anche<br />
ruoli normalmente affidati a un soprano<br />
drammatico (Turandot), lirico-spinto<br />
(Aida), lirico (Mimì, in Bohème) e lirico di<br />
coloratura (Gilda, nel Rigoletto). Affrontò<br />
persino ruoli da mezzosoprano come<br />
Rosina (Il barbiere di Siviglia) e Carmen.<br />
I recital inclusi nel cofanetto ci danno asoiché<br />
la storia di Maria Callas<br />
è stata probabilmente celebrata<br />
in tutti i suoi aspetti,<br />
abbiamo cercato una chiave<br />
differente per raccontarvela; per questo,<br />
partiamo proprio… dalla fine, da quella<br />
collezione di opere e recital che compongono<br />
CALLAS REMASTERED: THE COM-<br />
PLETE STUDIO RECORDINGS, concepito<br />
come un’edizione per veri collezionisti, visto<br />
che presenta ogni singolo Cd, opera o<br />
recital con la copertina originale. L’accompagna<br />
un libro di 136 pagine che contiene<br />
saggi, biografia e cronologia, foto rare e<br />
riproduzioni di interessantissime lettere<br />
scritte da Maria Callas, Walter Legge e altri<br />
responsabili della EMI negli anni delle<br />
registrazioni, mentre i libretti delle opere<br />
e i testi delle arie sono inclusi in un Cd-<br />
Rom (le 26 opere complete e i 13 recital<br />
contenuti nel cofanetto sono disponibili<br />
anche singolarmente). Maria Callas realizzò<br />
la sua prima registrazione in studio<br />
per EMI (Lucia di Lammermoor) nel 1952,<br />
46<br />
Warner Classics, proprietaria del catalogo con le registrazioni ufficiali di Maria Callas, ha pubblicato in un lussuoso cofanetto di 69 Cd tutte le registrazioni<br />
che la grande interprete fece sia per EMI/Columbia che per l’etichetta italiana Cetra fra il 1949 e il 1969.
«NON SONO UN ANGELO<br />
E NON PRETENDO<br />
DI ESSERLO.MA NON SONO<br />
NEMMENO IL DIAVOLO.<br />
SONO UNA DONNA E<br />
UNA SERIA ARTISTA,<br />
E GRADIREI ESSERE<br />
GIUDICATA PER QUELLO»<br />
MARIA CALLAS<br />
Nata a New York nel 1923<br />
ma di origine greca, Maria<br />
Callas morì a Parigi<br />
il 16 settembre 1977.
MARIA CALLAS<br />
«NON HA MAI CANTATO FORSE CON TANTA<br />
INTENSITÀ, PROCURANDO UN’EMOZIONE CHE<br />
NON SAPREMMO RIDIRE IN PAROLE. QUANDO<br />
L’INTERPRETAZIONE TOCCA UN COSÌ ALTO LIVELLO<br />
È ILLUSORIO PARLARE DI BELLA VOCE<br />
O DI BRUTTA VOCE»<br />
TEODORO CELLI SU «OGGI»<br />
saggi di molti dei suoi ruoli ma anche di un<br />
ampio spettro di personaggi mai cantati a<br />
teatro. Callas collaborò con celebri direttori,<br />
come Tullio Serafin (fondamentale<br />
mentore del soprano), Victor de Sabata,<br />
Herbert von Karajan e Georges Prêtre, e<br />
con notissimi cantanti: Tito Gobbi, Giuseppe<br />
di Stefano, Franco Corelli, Richard<br />
Tucker, Nicolai Gedda, Elisabeth Schwarzkopf,<br />
Ebe Stignani, Fedora Barbieri, Fiorenza<br />
Cossotto, Christa Ludwig, Rolando<br />
Panerai e Piero Cappuccilli. Gli anni Cinquanta<br />
segnarono l’apogeo della carriera<br />
della Callas, che si svolse prevalentemente<br />
nei teatri italiani, a cominciare dal Teatro<br />
alla Scala – nelle storiche produzioni<br />
firmate da Luchino Visconti – ma anche<br />
alla Royal Opera House di Londra, al Metropolitan<br />
di New York, all’Opéra di Parigi<br />
e di Vienna e nei teatri di Chicago, Dallas,<br />
Houston, Lisbona nonché, nei primi anni<br />
50, a Città del Messico, San Paolo e Rio<br />
de Janeiro. Dal 1959, quando la sua vita<br />
cambiò profondamente in coincidenza<br />
con la storia d’amore con l’armatore greco<br />
Aristotele Onassis, poco alla volta la sua<br />
carriera rallentò e la sua voce divenne più<br />
fragile. Le sue ultime apparizioni operistiche<br />
nel 1965, a soli 42 anni. Ci furono in<br />
seguito molti progetti per un ritorno sulle<br />
scene – e per altre incisioni complete – ma<br />
nessuno di essi giunse a realizzazione anche<br />
se, nel 1974, la Callas diede una serie<br />
di concerti in Europa, America del Nord e<br />
Giappone col tenore Giuseppe di Stefano,<br />
suo compagno sul palcoscenico e in sala<br />
d’incisione: basti pensare alla Tosca del<br />
1953, realizzata alla Scala con la direzione<br />
di Victor de Sabata e considerata una pietra<br />
miliare della musica registrata.<br />
Studiando il fenomeno Callas abbiamo<br />
scoperto che esiste negli archivi della Fonit<br />
Cetra di Torino il suo primo provino<br />
discografico, nel quale canta “Casta diva”.<br />
Quando in una delle tante ricorrenze si è<br />
fatto ascoltare quel provino di una giovanissima<br />
cantante, la commozione ha<br />
preso tutti. Del suo esordio sulle scene in<br />
età abbastanza precoce, sotto i vent’anni,<br />
e dei suoi studi alla fine degli anni Trenta,<br />
ad Atene, dove si era trasferita dalla nativa<br />
New York (era nata nel 1923, il 12 dicembre)<br />
con Elvira de Hidalgo, la sua maestra<br />
cui è rimasta sempre devota, e con la quale<br />
ha mantenuto una fitta corrispondenza<br />
epistolare, si sa tutto. Della sua scoperta<br />
e del successivo esordio italiano, prima<br />
all’Arena (dove il 3 agosto 1947, all’età di<br />
23 anni, cantò La Gioconda) e poi alla Fenice<br />
e solo dopo a Firenze, a opera di una<br />
coppia di musicisti illuminati e di grande<br />
fiuto, il direttore Tullio Serafin e l’organizzatore/musicista<br />
Francesco Siciliani, anche.<br />
Così Siciliani racconta l’incontro con<br />
la giovane cantante, del quale a distanza<br />
di molti anni ricordava anche il mese e il<br />
giorno: 16 ottobre 1948, in casa del Maestro<br />
Serafin, con il quale Lei aveva già<br />
cantato, in via dei Monti Parioli, a Roma.<br />
“Alcuni giorni prima dell’incontro in casa<br />
Serafin – racconta Siciliani all’indomani<br />
della morte della celebre cantante – ascoltavo<br />
Tristano alla radio. Ricordo che l’ascoltai<br />
fino alla fine per conoscere il nome<br />
della cantante che interpretava Isotta,<br />
dalla cui voce ero rimasto colpito: Maria<br />
Callas. All’epoca ero direttore artistico del<br />
Maggio Fiorentino. Pochi giorni prima di<br />
quell’incontro ricevetti una telefonata angosciata<br />
di Serafin. Ho qui con me – mi<br />
disse con voce concitata – una cantante<br />
greco-americana che ha già lavorato con<br />
me, ha fatto poi una serie di audizioni, a<br />
cominciare dalla Scala, senza esito. Ora<br />
è, di conseguenza, costretta a imbarcarsi<br />
a Napoli per l’America; non ha soldi<br />
e dovrà viaggiare in classe “emigrante”.<br />
Perché non viene a Roma per ascoltarla?<br />
Incontrai, dunque, Maria in casa di Serafin:<br />
era una donna un po’ rotonda, ma dal<br />
vitino stretto e con uno sguardo magico.<br />
Una grande personalità. Serafin si mise<br />
al pianoforte e accompagnò la Callas in<br />
Turandot, Gioconda, Tristano ecc… in un<br />
repertorio di grande taglio drammatico.<br />
Ebbi l’impressione di trovarmi di fronte a<br />
una cantante eccezionale. Le chiesi con<br />
chi aveva studiato, mi rispose: de Hidalgo,<br />
un grande soprano di coloratura. Ma allora,<br />
le chiesi, perché non interpreta questo<br />
repertorio? Perché non me lo fanno<br />
cantare, fu la sua risposta. Mi misi allora<br />
io al pianoforte e le feci cantare Puritani.<br />
Mi convinsi immediatamente di aver scoperto<br />
con lei quello che nell’Ottocento era<br />
detto “soprano drammatico di agilità”, che<br />
all’importanza della voce univa la possibilità<br />
di fare colorature di espressione,<br />
non di solo virtuosismo. Chiamai subito<br />
il sovrintendente fiorentino, Pariso Votto,<br />
fratello di Antonino – il celebre direttore<br />
– e gli esposi il caso. Feci fare alla Callas<br />
48
MARIA CALLAS<br />
un contratto triennale per riprendere il repertorio<br />
per il quale sembrava essere fatta<br />
la sua voce. Cominciammo con Norma,<br />
anche posticipando l’inizio della stagione<br />
invernale. Le recite di Norma, due appena,<br />
ottennero un successo travolgente.<br />
Seguirono Traviata e Lucia – in quest’ultima<br />
opera fece tremare il teatro, perché<br />
eravamo abituati ad ascoltare Lucia da<br />
voci di soprano lirico leggero. Poi Puritani,<br />
Orfeo ed Euridice di Haydn, diretto<br />
da Erich Kleiber (padre di Carlos), Vespri<br />
siciliani, che poi riprese anche alla Scala,<br />
diretta da de Sabata. Per due anni ancora<br />
ebbi modo di lavorare con Lei, facendole<br />
studiare un’opera, che poi non è stata più<br />
ripresa, Armida di Rossini, nella quale la<br />
Callas credette di aver raggiunto i vertici<br />
dell’arte, sebbene quei vertici li avrebbe<br />
raggiunti davvero quando le feci studiare,<br />
nonostante la sua riluttanza, Medea<br />
di Cherubini. Dimenticavo: dopo le recite<br />
di Norma della fine 1948, a settembre<br />
dell’anno dopo la portai a Perugia, alla Sagra<br />
Musicale Umbra [il celebre festival di<br />
cui Siciliani è stato per decenni direttore,<br />
ndr] dove interpretò, dopo pianti e ripensamenti,<br />
il S. Giovanni Battista di Stradella<br />
in prima ripresa moderna”.<br />
Questi i primi anni di carriera, già luminosa,<br />
di Maria Callas, raccontata dal suo<br />
“scopritore”, ruolo nel quale la Callas, a Siciliani,<br />
affiancava Serafin, dal quale riconosceva<br />
di aver appreso una grande lezione:<br />
“Recitare attraverso la musica, mi diceva.<br />
Non rendere Gilda ‘graziosa’. Sarà pure<br />
vergine, ma non dimenticare che muore<br />
per amore!”. Dopo quegli inizi la Callas, nel<br />
corso della sua non lunga carriera, operò<br />
una vera rivoluzione nel repertorio operistico,<br />
professando la sua fedeltà assoluta<br />
al testo e sancendo la fine definitiva<br />
dell’epoca d’oro del bel canto. Via le “belle<br />
voci” con il “cuore in mano” e lo “spartito<br />
in soffitta”. Ebbe scarsa considerazione<br />
della tradizione, che definiva ironicamente<br />
“l’ultima cattiva interpretazione”, per<br />
concludere che la tecnica, che possedeva<br />
in grado altissimo, doveva sottoporsi alla<br />
necessità drammatica. E così, con tale<br />
uso della tecnica, la poesia faceva il suo<br />
ingresso nel mondo dell’interpretazione<br />
vocale. Per questa sua unicità, la Callas ha<br />
fatto scuola, ma senza avere eredi, contrariamente<br />
a ciò che qualche studioso ebbe<br />
a proporre, affermando che se al tempo<br />
della Callas fossero state attive la Caballé<br />
o la Sutherland, queste le avrebbero dato<br />
filo da torcere. No, Montserrat Caballé, la<br />
più bella voce del secolo, come anche Joan<br />
Sutherland, magnifica cantante, mai e poi<br />
mai avrebbero potuto essere antagoniste<br />
della Callas, e tanto meno sue eredi. Belle<br />
voci, ottime interpreti, ma non interpreti<br />
di storica rilevanza. Un duro colpo lo diede<br />
anche alla sostanziale impreparazione<br />
I genitori di Maria avrebbero<br />
voluto un maschio,<br />
per rimediare alla perdita<br />
del figlio Vasily, morto<br />
durante un’epidemia di tifo<br />
a soli 3 anni nel 1923<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 49
MARIA CALLAS<br />
della critica “vocalistica” – che non l’amò<br />
– e alle grosse carenze della musicologia<br />
che “illuminata dal genio dell’arte vocale<br />
e dal soffio vitalizzante dell’arte tragica<br />
della Callas, dovrà smentire frettolose<br />
bocciature, minimizzanti etichettature e<br />
sghembe suddivisioni gerarchiche di cui<br />
erano costellate certe Storie della musica<br />
in circolazione” (Franco Soprano). Ma allora<br />
la Callas è divenuta più popolare di<br />
Giuseppe Verdi? Non sappiamo. In un’asta<br />
recente, un pacco di lettere indirizzate alla<br />
sua maestra de Hidalgo ha trovato subito<br />
il compratore, e non a un prezzo di favore,<br />
mentre una bella e storica collezione di<br />
lettere di Giuseppe Verdi è rimasta invenduta.<br />
Come spiegarcelo? Non sappiamo.<br />
Noi preferiamo pensare che quella vendita<br />
si spieghi semplicemente con il feticismo<br />
nei riguardi di grandi personalità e di ogni<br />
loro cosa, oppure con la semplice, diffusa<br />
mania del possesso; e che Verdi perciò sia<br />
– e debba restare – più popolare di Maria<br />
Callas.<br />
«MARIA CALLAS<br />
NON POTRÀ<br />
RIPETERSI<br />
MAI PIÙ»<br />
FRANCO ZEFFIRELLI<br />
Callas remastered<br />
“Sono stupefatto. È una rivelazione.<br />
Nell’ascoltare quel “Casta diva”… ho pianto.<br />
Questo è l’effetto che ha su di me la voce<br />
della Callas”. Queste, almeno secondo la<br />
pubblicistica, le parole pronunciate da Robert<br />
Gooch, uno degli ingegneri del suono<br />
che aveva lavorato con la Callas, quando<br />
ha ascoltato alcune delle tracce recentemente<br />
rimasterizzate… Di certo CALLAS<br />
REMASTERED: THE COMPLETE STU-<br />
DIO RECORDINGS è un lavoro complesso<br />
e articolato, visto che prende in esame<br />
brani registrati da diverse etichette (Cetra<br />
ed EMI, in diversi periodi e con diverse<br />
tecniche – mono e stereo). Le registrazioni<br />
della Callas, peraltro, erano già state rimasterizzate<br />
due volte: verso la metà degli<br />
anni Ottanta, quando furono trasferite su<br />
Cd, e poi nel 1997, in occasione del ventesimo<br />
anniversario della sua morte (altre<br />
ripubblicazioni sono state proposte<br />
nell’ambito della serie Great Recordings e<br />
in altri contesti); in entrambi i casi era stata<br />
adoperata la risoluzione a 44,1/16 utilizzando,<br />
secondo i tecnici di Abbey Road,<br />
non sempre il master originario. “Sta diventando<br />
sempre più difficile lavorare con<br />
alcuni dei nastri originali degli anni Cinquanta”<br />
ci ha raccontato Andrew Cornall,<br />
vicepresidente di EMI (già vincitore di un<br />
Grammy Award e responsabile del progetto).<br />
“Quando facevamo partire i nastri sul<br />
registratore alcuni tagli di montaggio saltavano:<br />
è stato già molto difficile e di importanza<br />
cruciale riversare un nastro su<br />
computer senza inconvenienti. Sul piano<br />
artistico, ora siamo in grado di presentare<br />
queste registrazioni nel miglior modo immaginabile.<br />
Non sono sempre stato un<br />
grande appassionato della Callas, ma mi<br />
rendo conto che una parte del problema<br />
era costituita semplicemente dal fatto che<br />
il trasferimento dell’audio non era stato<br />
eseguito in maniera ideale. I recenti progressi<br />
nell’editing digitale ci hanno offerto<br />
i mezzi per effettuare un lavoro migliore”.<br />
Maria Callas nel<br />
Trovatore (1956).<br />
Cornall è stato il supervisore di un’équipe<br />
di quattro ingegneri degli Abbey Road<br />
Studios di Londra, responsabili della rimasterizzazione:<br />
Allan Ramsay (capo del<br />
team), Ian Jones, Simon Gibson e Andrew<br />
Walter. Il legame tra gli Abbey Road Studios<br />
e la produzione della Callas era intenso<br />
(fu lì, infatti, che veniva eseguito il taglio<br />
dei dischi), sebbene la diva non fosse<br />
entusiasta di eseguirvi le registrazioni,<br />
preferendo la Kingsway Hall, che è stata<br />
recentemente demolita. Tutte le rimasterizzazioni<br />
sono state effettuate a 98/24,<br />
sebbene questo sia stato il minore degli<br />
impegni: il primo compito a cui si è dovuto<br />
dedicare Ramsay è stato quello di effettuare<br />
ricerche su quelli che erano i retroscena<br />
della registrazione ed esaminare<br />
meticolosamente gli appunti originali presi<br />
durante la produzione. Questo per assicurare<br />
che venisse utilizzato il materiale<br />
corretto e per cercare di interpretarlo nel<br />
modo più dettagliato possibile. In uno dei<br />
corridoi dell’intero isolato dove sono situati<br />
gli Abbey Road Studios è presente un<br />
grande schedario che contiene le varie<br />
matrici dei progetti; esse contengono rife-<br />
50
MARIA CALLAS<br />
rimenti incrociati a un archivio che fin dal<br />
1959 contiene i “job file” (ovvero i file di<br />
progetto). Per i meno esperti ricordiamo<br />
che nel processo di produzione di un Lp<br />
una volta stabilito il contenuto musicale<br />
tramite il master, dal nastro viene innanzitutto<br />
realizzata una lacca, incisa attraverso<br />
un apposito giradischi di registrazione<br />
(vedi «Suono» n. 483 – marzo, speciale vinile).<br />
Questa viene quindi sottoposta a un<br />
trattamento galvanico al fine di produrre<br />
uno stampo negativo in metallo (la cosiddetta<br />
matrice). Sin dall’epoca in cui la EMI<br />
produceva i primi dischi a 78 giri, a ogni<br />
matrice è stata assegnata una scheda, in<br />
cui è specificata la data di taglio della matrice<br />
e se sono state eseguite matrici successive.<br />
Talvolta può accadere che una<br />
matrice venga danneggiata nello stabilimento<br />
oppure, dopo una revisione, può<br />
essere richiesto di crearne una nuova o,<br />
infine, la matrice può semplicemente logorarsi.<br />
Il numero della matrice – che nel<br />
caso delle registrazioni stereo della Callas<br />
con la Scala inizia con il prefisso YBX –<br />
viene stampato sull’area centrale dell’Lp<br />
denominata “lead-out”. Il numero sul lato<br />
3 della stampa Lp eseguita da Ramsay<br />
«PARAGONARE ME ALLA TEBALDI È COME<br />
PARAGONARE LO CHAMPAGNE<br />
AL COGNAC, NO... MEGLIO<br />
ALLA COCA COLA»<br />
MARIA CALLAS<br />
La Callas con Walter Legge.<br />
della Gioconda indica che è stata tagliata<br />
sei volte prima di essere approvata. Le<br />
schede delle matrici confermano la presenza<br />
di problemi con il rumore di superficie<br />
ed errori nell’elaborazione (in questi<br />
casi viene tagliato un nuovo disco in lacca,<br />
che viene poi inviato allo stabilimento per<br />
la rielaborazione). In generale i job file<br />
contengono appunti molto dettagliati sulle<br />
sessioni di registrazione, note relative al<br />
luogo di registrazione e se sono stati rilevati<br />
dei problemi, come rumori indesiderati;<br />
spesso contengono anche istruzioni<br />
del produttore. Nel job file per la registrazione<br />
in stereo della Norma si può leggere,<br />
ad esempio: “Pagine 166-167 della partitura.<br />
Forte rumore del traffico. Si prega di<br />
usare il filtro rumble o, se necessario, tagliare<br />
i bassi a un livello più alto per eliminare<br />
la maggior parte possibile del rumore”;<br />
queste erano le istruzioni per l’ingegnere<br />
responsabile del taglio della lacca<br />
dal nastro master. A quel punto il nastro<br />
In alto<br />
Allan Ramsay: la decisione se eliminare o mantenere<br />
qualcosa nella registrazione è sempre un gioco di destrezza.<br />
Alcuni sono convinti del fatto che il rumore sia una<br />
componente autentica del disco a 78 giri e che il disco in<br />
gommalacca debba suonare così. Io ho la sensazione che,<br />
finché non alteriamo la voce, rendiamo un ottimo servizio alla<br />
registrazione.<br />
In basso:<br />
Andrew Walter, a riguardo del confronto tra copia originale e<br />
versione con i clic eliminati del 78 giri di “Casta diva”: quando<br />
i clic e il rumore scompaiono, è come se improvvisamente la<br />
cantante fosse presente davanti a te con molta più chiarezza.<br />
E si tratta davvero di un 78 giri magnificamente registrato. Lei<br />
sta proprio davanti al microfono cantando a voce spiegata, il<br />
risultato sonoro è splendido.<br />
52
MARIA CALLAS<br />
Il suo guardaroba: 25<br />
pellicce, 130 paia di scarpe,<br />
200 tailleurs, 300 cappelli<br />
e 50 vestiti da sera.<br />
veniva equalizzato per regolare il livello<br />
delle frequenze e del riverbero secondo le<br />
indicazioni del produttore ed eventualmente<br />
venivano applicati dei filtri rumore…<br />
“Queste istruzioni sono preziosissime<br />
per chi si accinge a una rimasterizzazione”,<br />
racconta Allan Ramsay, “ci siamo trovati<br />
ad affrontare il rumore della metropolitana<br />
sotto Kingsway Hall o quello di<br />
moto e vespe a La Scala!”. L’intervento effettuato<br />
nel dominio digitale è avvenuto<br />
utilizzando il software Retouch dell’inglese<br />
Cedar (sede a Cambridge), un’azienda<br />
specializzata nella restaurazione dell’audio<br />
(collabora anche con la Polizia di Stato).<br />
Retouch è in grado di intervenire in<br />
maniera selettiva definendo il contenuto<br />
temporale e spettrale dei suoni che si vogliono<br />
eliminare e lavora con le principali<br />
workstation con una definizione fino a 64<br />
bit. Nella registrazione in stereo della Norma<br />
i job file indicano, inoltre, che si è verificato<br />
del rumore durante l’introduzione<br />
del secondo verso della “Casta diva”. L’istruzione<br />
del produttore è: “Copiare e inserire<br />
per favore il passaggio identico, a<br />
pag. 183”. Il responsabile dell’editing originale<br />
avrebbe letteralmente effettuato una<br />
copia di una battuta precedente, tagliato il<br />
nastro originale, rimosso la parte rumorosa<br />
e giuntato la sezione copiata. “Tuttavia,<br />
ai tempi della registrazione analogica,<br />
quando si copiava un nastro aumentava<br />
purtroppo il fruscio; quindi, per la durata<br />
di una battuta il livello del rumore saliva<br />
improvvisamente”, spiega Ramsay. “Fortunatamente<br />
hanno conservato la parte<br />
del nastro che presentava problemi, incollandola<br />
alla fine della bobina. L’abbiamo<br />
digitalizzata, abbiamo rimosso il rumore<br />
indesiderato e l’abbiamo reinserita nell’aria.<br />
In altre parole abbiamo effettuato la<br />
correzione esattamente come avrebbero<br />
fatto gli addetti alla registrazione e gli artisti,<br />
se avessero avuto a disposizione la<br />
tecnologia di oggi”. Non tutti gli interventi,<br />
però, sono stati di tipo intrusivo. Quando la<br />
puntina si avvicina ai solchi più interni, il<br />
suono peggiora a causa della cosiddetta<br />
“distorsione a fine lato” e talvolta gli ingegneri<br />
aggiungevano alte frequenze alla<br />
fine del disco per correggere il problema:<br />
naturalmente questa procedura nelle versione<br />
master in digitale è superflua! Allo<br />
stesso modo è interessante soffermarsi su<br />
alcuni “danni” procurati nel tempo: “Quando<br />
iniziammo la registrazione del Barbiere<br />
di Siviglia, secondo Walter Legge nella<br />
registrazione (mono) c’era troppo riverbero”,<br />
racconta Robert Gooch, “per lui il Barbiere<br />
era un’opera da camera; così, invece<br />
di sfruttare al massimo l’acustica della<br />
Kingsway Hall, fece isolare il loggione della<br />
sala, a forma di cavallo, con un materasso<br />
in Cabot Quilt (un materiale costituito<br />
da strati di erba secca alternati a stoffa o<br />
carta, utilizzato in passato come isolante<br />
termico). Lo usavamo per smorzare quanto<br />
necessario il suono… La registrazione<br />
originale è piuttosto asciutta e intima e chi<br />
ha rimasterizzato in seguito il brano considerò<br />
la cosa un errore e vi aggiunse<br />
dell’eco. Legge non sarebbe stato d’accordo<br />
e siamo risaliti al nastro originale consultando<br />
il piano lavoro e rispettando le<br />
motivazioni originali”. Consideriamo, infine,<br />
un ultimo elemento connaturato alla<br />
produzione di dischi in vinile. Più alto è il<br />
livello del segnale musicale (e maggiore è<br />
il contenuto di basse frequenze) e più larghi<br />
sono i solchi incisi sul disco Lp: il solco<br />
riflette infatti l’onda sonora corrispondente.<br />
Di conseguenza, per immagazzinare<br />
sul lato di un disco un programma musicale<br />
della durata di circa 25 minuti (considerata<br />
al tempo la giusta lunghezza di un<br />
lato per un Lp) in molti casi i produttori si<br />
ritrovavano a dover intervenire “comprimendo”<br />
in qualche modo il segnale. Queste<br />
alterazioni (oggi superflue) sono tutte<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 53
MARIA CALLAS<br />
annotate nei job file, consentendo a Ramsay<br />
e al suo staff di confrontare Lp originale<br />
e nastro master, apportando correzioni<br />
in nome della piena qualità originaria! Una<br />
volta in possesso di tutte le possibili informazioni<br />
sul programma musicale i tecnici<br />
hanno fisicamente messo mano ai nastri<br />
originali, archiviati in scatole di latta presso<br />
l’archivio EMI a Hayes, nel Middlesex. I<br />
nastri sono stati trasportati a Abbey Road,<br />
anche perché lo Studio possiede un ampio<br />
magazzino di registratori a nastro, dai primi<br />
modelli a filo fino agli ultimi multitraccia:<br />
in questo modo, in molti casi il master<br />
è stato riprodotto sulla stessa macchina su<br />
cui era stato creato; considerando la forte<br />
influenza degli elementi meccanici di ogni<br />
registratore, potremmo dire che ognuno di<br />
essi sia stato “costruito su misura”. Gli ingegneri<br />
addetti alla rimasterizzazione<br />
hanno inoltre potuto utilizzare il nastro di<br />
calibrazione EMI risalente alla data della<br />
particolare registrazione per regolare la<br />
risposta in frequenza del registratore. D’altronde,<br />
l’ottimizzazione dell’interfacciamento<br />
nastro – riproduttore ha una grande<br />
influenza sulla qualità sonora, che è<br />
stata poi trasferita in forma digitale, non<br />
prima, se necessario, di sottoporre i nastri<br />
a riparazione. Con i nastri magnetici d’epoca,<br />
infatti, possono verificarsi vari tipi di<br />
problemi. In alcuni casi la colla applicata<br />
durante il processo di editing si stacca e<br />
finisce per incollare insieme accidentalmente<br />
alcune parti del nastro, oppure le<br />
giunzioni si spezzano durante il riavvolgimento;<br />
altro problema è costituito dalla<br />
cosiddetta “sticky-shed syndrome” causata<br />
dal deterioramento chimico del collante<br />
che mantiene la parte magnetica<br />
(ovvero registrabile) incollata alla striscia<br />
di materiale plastico lungo l’intera lunghezza<br />
del nastro. In questo caso può essere<br />
di aiuto soltanto la cosiddetta “cottura”<br />
del nastro per ripristinare l’integrità del<br />
legante. Fortunatamente quest’ultimo<br />
problema non ha interessato i nastri master<br />
della Callas, anche se è stato necessario<br />
riparare numerosi edit: nella scena finale<br />
della Manon Lescaut, sul nastro master<br />
erano presenti piccole strisce di nastro<br />
di giuntaggio bianco ogni pochi secondi<br />
di programma musicale! Va inoltre<br />
considerato che ogni volta che il nastro<br />
La forte miopia costrinse<br />
la Callas a enormi sforzi<br />
di memoria: durante la<br />
carriera ha interpretato<br />
decine di opere in teatro<br />
senza vedere il direttore!<br />
«I REGGITORI DELLA SCALA DOVRANNO<br />
LIBERARE L’ESECUZIONE DI ANNA<br />
BOLENA, E DEFINITIVAMENTE<br />
IL PALCOSCENICO DEL NOSTRO TEATRO,<br />
DA MARIA MENEGHINI CALLAS»<br />
BENIAMINO DAL FABBRO SU «IL GIORNO»<br />
viene riavvolto le giunzioni possono allentarsi<br />
leggermente; talvolta si spezzano<br />
completamente ed è stato compito di<br />
Ramsay ripararle. Più “sinuosi”, invece, altri<br />
tipi di problemi: “In quell’epoca la velocità<br />
del nastro non era controllata dal<br />
computer, ed era dunque alla mercé della<br />
frequenza della rete elettrica e del trasporto<br />
del nastro”, racconta Ramsay. “Di fatto,<br />
l’intonazione in molti Lp di allora era crescente<br />
semplicemente perché durante<br />
l’incisione del vinile la velocità dei registratori<br />
era leggermente più rapida. E durante<br />
una sessione di registrazione, talvolta<br />
due registratori funzionavano simultaneamente<br />
a velocità differenti. Se<br />
per il montaggio sono stati usati entrambi<br />
i nastri, l’altezza del suono oscillava tra i<br />
due edit. Anche in questo caso, all’epoca<br />
non si poteva fare di meglio. Oggi siamo in<br />
grado di risolvere quei problemi”. Va considerato<br />
che la Callas non ha registrato<br />
soltanto su nastro ma anche su dischi di<br />
cera (per la Cetra) che poi sono stati utilizzati<br />
per produrre dischi in gommalacca a<br />
78 giri. Queste registrazioni furono originariamente<br />
concesse in leasing alla EMI<br />
per la pubblicazione con l’etichetta Parlophone<br />
nel Regno Unito e sono stati rimasterizzati<br />
nell’ambito del nuovo progetto.<br />
Una delle preoccupazioni è stata<br />
quella di trovare il tipo di puntina ottimale<br />
per il disco: esistono regole per quanto riguarda<br />
la scelta del tipo di puntina adatto,<br />
a seconda dell’anno. Nella pratica, per<br />
stessa ammissione dei tecnici coinvolti,<br />
sono state provate tutte le opzioni (in alcuni<br />
casi anche con oscillazioni tra stili da 2,7<br />
millesimi di pollice e da 4,0 millesimi) fino<br />
a identificare quella in grado di ricavare<br />
dal disco il maggior numero di informazioni<br />
possibile. A questo punto il materiale<br />
“originale” viene riprodotto attraverso un<br />
convertitore A/D e immagazzinato su un<br />
hard disk per il montaggio digitale. È utile<br />
ricordare che quando i nastri furono digi-<br />
54
MARIA CALLAS<br />
talizzati per la prima volta negli anni 80<br />
per la pubblicazione su Cd, i dati vennero<br />
memorizzati (con frequenza di campionamento<br />
44,1/16) su nastri video, che furono<br />
utilizzati come base per la rimasterizzazione<br />
del 1997. Per il nuovo progetto,<br />
Ramsay e la sua équipe sono tornati ai<br />
master analogici digitalizzandoli alla frequenza<br />
di campionamento di 96/24 e non<br />
maggiore per varie ragioni. La principale è<br />
che Retouch opera a questa frequenza e<br />
dunque campionamenti maggiori sarebbero<br />
stati una mera operazione di upsampling.<br />
Allo stesso modo la modesta qualità<br />
di parte dei master ha convinto i tecnici a<br />
non utilizzare soluzioni tipo “direct-to-D-<br />
SD” o DXD. La fase successiva è stata<br />
quella di aprire i file digitali al computer e<br />
iniziare il processo di montaggio e di ritocco.<br />
Nel caso delle registrazioni immagazzinate<br />
sui dischi in gommalacca, poiché il<br />
supporto è molto rumoroso il suono è stato<br />
elaborato utilizzando in maniera massiva<br />
il software Retouch ed eliminando i<br />
“clic” in un processo a due fasi, una per i<br />
clic più grandi e la seconda per i clic più<br />
piccoli (Retouch è in grado di rimuovere<br />
circa 25.000 clic al secondo!). Più in generale,<br />
alcuni dettagli del resoconto sull’operato<br />
di remastering chiariscono le difficoltà<br />
che i tecnici si sono trovati ad affrontare.<br />
Nella registrazione della Tosca è presente<br />
uno stridio acuto causato da un amplificatore<br />
difettoso usato nella sessione di registrazione<br />
(sullo schermo è visibile come<br />
una linea fine inclinata ed è facilmente<br />
eliminabile). “Prima di Retouch, l’unico<br />
modo per correggere questo tipo di errore<br />
era di tagliare tutte le frequenze alte, cambiando<br />
così l’intero suono”, racconta Ramsay.<br />
Su alcuni Lp registrati nella Kingsway<br />
Hall (dove la Callas registrò Il barbiere di<br />
Siviglia, la seconda Lucia di Lammermoor<br />
e il disco dedicato alle “Scene di follia”)<br />
sono udibili i treni della metropolitana di<br />
Londra che rimbombano sotto la sala. Durante<br />
la registrazione in stereo della Norma<br />
alla Scala, invece, si ascolta il ronzio di<br />
una Vespa mentre sta accelerando: sullo<br />
schermo è visibile come linea ascendente.<br />
Tutti questi disturbi possono essere rimossi<br />
semplicemente con pochi clic del<br />
mouse e senza influenzare la musica. Il<br />
montaggio originale, inoltre, a volte non è<br />
del tutto corretto: se è stata utilizzata una<br />
quantità eccessiva di nastro (creando una<br />
specie di “doppio attacco” sulla nota), è<br />
possibile correggere l’errore tramite rimozione.<br />
Se è stata tagliata una quantità eccessiva,<br />
il problema è più grave. “Se manca<br />
un piccolo frammento e il tempo è accelerato,<br />
nessuno strumento al mondo<br />
sarà in grado di correggere l’errore”, continua<br />
Ramsay. Ancora: sui dischi dei recital<br />
può verificarsi un problema tra le tracce<br />
perché al tempo i responsabili originali<br />
dell’editing inserirono<br />
tra aria e aria strisce di nastro<br />
di inizio in plastica<br />
(nastro vuoto) creando<br />
canali (bande larghe di<br />
separazione) sul disco<br />
Lp quando questo è<br />
stato tagliato. “Su un<br />
Lp come Maria Callas<br />
canta arie di Rossini e<br />
Donizetti, il fruscio<br />
provocato dalla superficie<br />
del vinile nasconde<br />
l’improvviso silenzio”, racconta Ramsay,<br />
“ma quando si riproduce il nastro originale<br />
o lo si ascolta digitalmente, si nota una<br />
netta interruzione. Era dunque necessario<br />
ricreare le caratteristiche acustiche<br />
della Salle Wagram di Parigi, dove la<br />
Callas aveva eseguito la registrazione, da<br />
inserire in quei punti”. Nei casi in cui non<br />
era disponibile l’esatto ambiente sonoro<br />
della sessione di registrazione originale,<br />
Ramsay ha effettuato una ricerca per rintracciare<br />
l’atmosfera sonora che più vi si<br />
avvicinasse. Un altro pericolo era<br />
costituito dal cosiddetto “magnetic<br />
print-through”: quando<br />
il volume della registrazione<br />
è molto alto, il suono<br />
può debordare sulla striscia<br />
di nastro contigua durante<br />
la registrazione. “Più forte è<br />
il volume della musica, più<br />
intenso è il campo magnetico”,<br />
spiega Ramsay, “e questo<br />
può influenzare lo strato di<br />
nastro più prossimo a quello<br />
La rivalità<br />
Callas – Tebaldi<br />
fu un classico<br />
degli anni 50.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 55
MARIA CALLAS<br />
della registrazione, provocando un effetto<br />
di pre-eco o post-eco, a seconda di come è<br />
stato conservato il nastro”. È presente, ad<br />
esempio, un’eco di questo tipo durante un<br />
punto culminante orchestrale nel Trovatore:<br />
sullo schermo era visibile ed è stato<br />
corretto! Più in generale, va notato che la<br />
voce della Callas qualche volta è stata criticata<br />
per il suo tremolio: il produttore Walter<br />
Legge disse scherzosamente che poteva<br />
addirittura provocare il mar di mare! È<br />
affascinante notare che parte del problema<br />
era dovuto semplicemente all’inadeguatezza<br />
delle attrezzature di registrazione<br />
di allora. La sua voce era così potente<br />
che talvolta microfoni e nastro erano incapaci<br />
di gestirla: il risultato era una serie di<br />
interferenze elettriche tra gli armonici della<br />
sua voce. Tale fenomeno si verifica,<br />
come in altre occasioni, durante il punto<br />
culminante in fortissimo di “In questa reggia”<br />
nella registrazione presso il Teatro alla<br />
Scala della Turandot, realizzata nel 1957<br />
sotto la direzione di Serafin. Nella rappresentazione<br />
grafica fornita da Retouch appaiono<br />
sullo schermo sotto forma di piccole<br />
linee verticali tra gli armonici, e sono<br />
state rimosse. Una volta che l’audio è stato<br />
completamente ripulito, viene fatto<br />
passare – laddove necessario – attraverso<br />
un equalizzatore per regolare il livello<br />
dei bassi, la brillantezza del suono o per<br />
aggiungere altri effetti richiesti dal produttore,<br />
esattamente come si faceva negli<br />
anni Cinquanta. Esiste un software<br />
che ricrea digitalmente gli effetti di una<br />
consolle di mixaggio manuale, completa<br />
di fader e quadranti, ma Ramsay ha preferito<br />
la vecchia versione analogica: “Ci<br />
piace il calore del suono EQ analogico,<br />
ma useremo il digitale se risulterà più<br />
adatto. Siamo fortunati a poter disporre<br />
di questa opzione”. A questo punto la registrazione<br />
viene tracciata, ovvero viene<br />
eseguito il “PQ”. Un Cd può contenere, oltre<br />
all’audio, vari sottocanali di informazioni.<br />
Questi sottocanali sono denominati<br />
P, Q, R, S, T e così via, fino alla W. I canali<br />
P e Q vengono usati per memorizzare, fra<br />
altre cose, le informazioni relative all’inizio<br />
e alla durata della traccia. Anche questo<br />
processo è stato revisionato: ad alcuni<br />
Cd degli anni Ottanta, fra cui la versione<br />
mono della Tosca, furono assegnate solo<br />
«POTREBBE L’ANNA<br />
BOLENA ENTRARE<br />
NEL REPERTORIO<br />
INTERNAZIONALE? CON LA<br />
CALLAS SÌ. SENZA DI LEI, O<br />
QUALCHE ALTRO SOPRANO<br />
A LEI AFFINE, DI CUI PER<br />
ORA NON VI È SEGNO, NO»<br />
DESMOND SHAWE-TAYLOR<br />
SU «OPERA»<br />
due tracce, oggi considerate insufficienti.<br />
Sono state aggiunte più tracce PQ e il piano<br />
PQ di ciascuna opera è stato razionalizzato<br />
attraverso l’intero progetto. Ad esempio,<br />
il piano è ora identico sia nelle versioni<br />
mono che in quelle stereo di Tosca, Lucia,<br />
Gioconda e Norma. Ma queste forme di<br />
intervento possono essere considerate<br />
una sorta di ingerenza artistica? Ecco la<br />
Il rapporto della Callas<br />
con i critici non fu mai<br />
dei più semplici: Guido<br />
Pannain, vate della critica<br />
italiana negli anni 50,<br />
non le diede mai la gioia<br />
di lodare la sua voce<br />
in maniera inequivocabile.<br />
risposta di Ramsay: “Se abbiamo un dubbio<br />
circa una modifica, la lasciamo perdere.<br />
E poi, se la rimasterizzazione che abbiamo<br />
eseguito è buona, nessuno dovrebbe<br />
rendersene conto. Stiamo semplicemente<br />
rimuovendo le inefficienze del<br />
processo di registrazione di quell’epoca.<br />
L’obiettivo è soltanto eliminare la polvere,<br />
tanto per usare una metafora, affinché il<br />
cristallo possa brillare. Presentiamo la registrazione<br />
con l’ottica migliore, così come<br />
avrebbero voluto ascoltarla gli artisti”. Una<br />
volta finiti gli interventi, i file digitali destinati<br />
alla produzione dei Cd sono stati elaborati<br />
da un convertitore di frequenza di<br />
campionamento e dithering, per ridurre la<br />
risoluzione a 44,1/16; per la versione ad<br />
alta definizione scaricabile (disponibile sul<br />
sito Bowers & Wilkins Society of Sound) i<br />
file non sono stati sottoposti ad alcuna<br />
modifica rimanendo a 96/24.<br />
56
I nostri prodotti sono di un altro pianeta.<br />
DISTRIBUTORE UFFICIALE<br />
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Al Jarreau<br />
Dentro la musica<br />
IN QUEL GRAN MARE DI<br />
EMOZIONI E COSTRUZIONI<br />
CHE IL CANTO DISEGNA È<br />
CERTO CHE PER IL JAZZ LA<br />
VOCALITÀ, LA CARRIERA E<br />
LA STESSA FIGURA UMANA<br />
DI AL JARREAU<br />
RAPPRESENTANO UN<br />
FENOMENO PARTICOLARE,<br />
BELLISSIMO E RARO COME<br />
OGNI REALTÀ VERAMENTE<br />
BELLA SA ESSERE.<br />
testo: Pier Luigi Zanzi<br />
essere realmente praticata in modo efficace.<br />
I vocalizzi da urlo per i critici musicali,<br />
i salti di ottava, lo scat fenomenale, il<br />
gusto dell’improvvisazione prima ancora<br />
delle capacità tecniche per attuarla non<br />
gli mancavano affatto e Jarreau poteva<br />
permettersene in ogni momento, ma la<br />
grandezza dell’artista è stata anche e forse<br />
soprattutto nel sapere quando e come far<br />
uso di quelle doti, dove avvicinare più rispettose<br />
ortodossie e dove lasciar andare<br />
gioia e cantabilità largamente al primo posto,<br />
facendo quasi sorvolare i meno attenti<br />
sul fatto che dietro la canzoncina pop ci<br />
fosse un gigante.<br />
Solo per citare qualche esempio di chial<br />
cantante di Milwaukee (12 marzo<br />
1940 –12 febbraio 2017) è un<br />
caso a sé perché è per numerosi<br />
motivi un emblema della versatilità.<br />
“Duttile” è parola desueta vissuta tra<br />
l’essere abusata e l’oblio, ma che alla voce<br />
di Jarreau è stata benissimo addosso sostanzialmente<br />
per tutto il di lui percorso<br />
musicale. Un laureato in psicologia che<br />
comincia coi jazz club a far serate e, tanto<br />
per avviarsi, si esibisce con un giovane<br />
amico di nome George Duke, si presenta<br />
già bene, visto da qui, ma questo è stato<br />
appunto solo l’inizio.<br />
La sua voce gli è valsa sei Grammy, come<br />
magari è capitato a diversi artisti, ma, caso<br />
unico, per lui il palmares spazia in tre generi<br />
diversi (jazz, r&b, pop), oltretutto distribuiti<br />
in quarant’anni, a certificare (per<br />
chi nei premi crede, ma è difficile screditare<br />
quarant’anni di premi) una voce che<br />
sapeva adattarsi a tanta diversa musica.<br />
Un’altra storia così, semplicemente, non<br />
c’è stata.<br />
Ci sono opinioni talvolta contrastanti su<br />
questo cantante che poi, a stringere, fa<br />
storcere il naso al purismo da salotto perché<br />
uno forte che piace a troppi fa tanto<br />
sconveniente, ma c’è da augurarsi la<br />
chiusura definitiva di questo approccio<br />
alla musica per guardare verso un mondo<br />
in cui i confini li detti solo la qualità, fatti<br />
salvi i gusti personali che però non sfioriamo<br />
nemmeno.<br />
Uno dei motivi forti per cui Jarreau ha avuto<br />
il meritato successo che ha avuto, sta<br />
proprio nell’osservazione concreta, cantata,<br />
della causa di questi premi variegati: la<br />
capacità, la voglia e l’entusiasmo di stare<br />
dentro la musica senza incastrare il proprio<br />
stile in un genere. Questa scelta si può<br />
fare con la testa se si ha l’indole giusta, ma<br />
poi richiede doti a parte e aggiuntive per<br />
Su ogni palco Al viveva<br />
con passione il rapporto<br />
voce-suono.<br />
58
a fama, interpretazioni come in L Is For<br />
Lover, Morning o We’re In This Love Together,<br />
alcuni tra i principali successi,<br />
sono manifesti chiarissimi di come un artista<br />
davvero bravo, davvero letteralmente<br />
fuoriclasse, possa in nome del pop fare…<br />
pop. Chiamandolo così, senza infingimenti.<br />
Le sue capacità di stare “dentro” il genere<br />
musicale che un brano attraversa, senza<br />
far sentir mancanza d’altro né suscitare<br />
le pesantezze che uno “serio” sa piazzare<br />
ovunque quando ostenta, sono doti rare,<br />
si diceva, e oltretutto ancor più meritorie<br />
quando c’è di mezzo il jazz, perché jazz<br />
per un sacco di gente – diciamola senza<br />
scandali com’è e sorridendo – significa<br />
rottura di scatole, difficoltà, cinque minuti<br />
insostenibili, un macigno sonoro sulla<br />
strada di una vita semplice. Al Jarreau è,<br />
in questo senso, uno dei più grandi contributori<br />
all’idea stessa di diffusione di<br />
un minimo di jazz nel pop, e con ciò della<br />
possibilità che tante persone possano avvicinare<br />
qualità, classe e creatività mantenendo<br />
un’esperienza di ascolto leggera.<br />
Milioni di persone hanno almeno provato<br />
ad accennare la linea melodica di Spain o<br />
anche solo di Take Five per il semplice fatto<br />
che qualcuno in un walkman, su un giradischi<br />
o in radio gli ha fatto sentire che…<br />
si poteva – non come Al, ma si poteva –,<br />
e sicuramente almeno qualche migliaio<br />
di persone in questo modo ha trovato<br />
una porta d’ingresso aperta verso Chick<br />
Corea o Dave Brubeck e Paul Desmond,<br />
ha sentito che il jazz, l’improvvisazione,<br />
il gusto del cercare un filo oltre sé in musica<br />
erano questioni accessibili, erano in<br />
fondo non solo questioni da salotto intellettuale<br />
ma roba di curiosità, scoperta. È<br />
indubitabile che con la sua voce la complicata<br />
sequenza di azioni corporee su<br />
emissioni, fiato da prendere, diaframma<br />
e quant’altro diventano sostanzialmente<br />
trasparenti all’ascolto, raggiungendo due<br />
risultati diversamente fondamentali per la<br />
riconoscibilità e la grandezza stessa di un<br />
cantante: per chi mastichi musiche colte<br />
e mestiere si manifesta in modo chiaro<br />
un vocalist di tutto rispetto con le ulteriori<br />
doti dell’elasticità, della fluidità timbrica,<br />
della comunicatività; dall’altra parte l’ascoltatore<br />
meno svezzato avrà davanti a<br />
sé un divulgatore di cose meno semplici<br />
Al era molto stimato<br />
sia dalla critica<br />
che dal pubblico.<br />
che, come detto sopra, troveranno così il<br />
loro modo di arrivare.<br />
La voce di Jarreau è rimasta riconoscibilissima<br />
lungo tutto il cammino<br />
dei suoi album, che ha spaziato partendo<br />
dal 1975 e proseguendo per i suddetti<br />
quarant’anni (tralasciamo il primo album,<br />
1965, finito nell’anno stesso e lo facciamo<br />
per rispetto, visto che proprio Jarreau non<br />
ne gradì affatto l’uscita a posteriori nel<br />
1982, dopo aver tentato più volte di<br />
impedirla). Magari qualche<br />
piccola discontinuità tra<br />
gli album o nelle tracklist<br />
degli album stessi resta<br />
visibile e in una carriera<br />
del genere la diamo pure<br />
per quasi inevitabile, ma<br />
il tutto è avvenuto componendo<br />
complessivamente un tracciato<br />
piuttosto lineare, di rassicurante coerenza<br />
per chi quei dischi comprava sapendo<br />
che, a prescindere da ambiti, produttori,<br />
brani ed esecutori di dettaglio, avrebbe<br />
trovato comunque un livello alto. Si è<br />
passati, anche restando all’interno di ogni<br />
singola uscita, dal funk-jazz al pop venato<br />
di soul e r&b come i Grammy testimoniano,<br />
e le produzioni hanno coinvolto anche<br />
dei grandissimi per fama come Narada<br />
Michael Walden o Nile
AL JARREAU<br />
Rodgers – che sugli hit single ha veramente<br />
una capacità mostruosa e chirurgica<br />
di colorare alla perfezione i brani, e qui<br />
parliamo specificamente di L Is For Lover,<br />
gioiello pop non troppo d’altri tempi visto<br />
che quei suoni ogni tanto ce li ritroviamo<br />
intorno. Fin dai primissimi tempi ai dischi<br />
e ai live hanno lavorato con lui professionisti<br />
di livello non discutibile: l’elenco<br />
esaustivo è lungo, tedioso e sostanzialmente<br />
inutile o ridondante, ma quando hai<br />
a che fare più o meno regolarmente, o anche<br />
solo saltuariamente ma da subito, con<br />
Joe Sample, Dave Grusin, Tommy Li Puma,<br />
Lee Ritenour, i giganti scritti sopra, David<br />
Foster, Steve Gadd, i lavori di mastering di<br />
Doug Sax e così via, significa che il livello<br />
qualitativo a cui si vuole stare è stabile, a<br />
servizio di una voce che ha saputo essere<br />
tanto perché conteneva moltitudini, per<br />
dirla col poeta. Una morbidezza che stava<br />
assolutamente e compiutamente assieme<br />
alla nitidezza, ad esempio, a delineare uno<br />
dei principali tratti distintivi di Jarreau; la<br />
sua grandissima capacità di restare lieve<br />
e senza gradini mantenendo nello stesso<br />
tempo una scansione fortemente analitica<br />
e dettagliata delle singole parole, ed è questa<br />
una vetta di complicata raggiungibilità.<br />
Il canto jazz ha troppe volte conosciuto<br />
estremizzazioni magari nemmeno volute<br />
fino in fondo, ma che hanno poi reso complessivamente<br />
il settore merceologico non<br />
tra i più graditi della musica moderna, in<br />
special modo per la parte maschile: da una<br />
parte scelte e impostazioni melliflue e vellutate<br />
con effetto garantito e immaginabile<br />
ma di breve, brevissima tenuta sul piano<br />
della sostenibilità di ascolto (figuriamoci<br />
di una carriera); dall’altra dei diapason tecnicissimi,<br />
lame vocali che affettano l’Hertz<br />
in quattro e lasciano attoniti di fronte a<br />
tanta bravura ma anche ad altrettanta distanza<br />
dall’anima. Jarreau passa di ottava<br />
in un gioco, col soffio di un timbro che ti fa<br />
venire agli occhi il sorriso della bocca che<br />
lo genera senza nemmeno averla davanti.<br />
Vendere e far musica di qualità son due<br />
mondi che al loro incontrarsi scatenano<br />
spesso guerre; troppi commentatori ne<br />
han fatto questione dirimente, di qua il<br />
bene e di là il male, Al Jarreau a Sanremo<br />
è il male e cantare standard jazz nei club è<br />
il bene, punto, dimenticando tante cose tra<br />
cui primariamente lo scopo ultimo di chi a<br />
qualunque livello personale di conoscenza<br />
ascolta musica, che è il piacere, lo star<br />
bene, e che dovrebbe far concentrare chi<br />
fa musica e chi ne parla sulla qualità senza<br />
pensare allo scaffale in cui questa si trovi.<br />
È in direzione della qualità e non dello<br />
scaffale che conviene incamminarsi, anche<br />
perché è solo così che si possono scoprir<br />
sorprese. Certo, lo abbiamo detto e non<br />
staremo a nicchiare sul tema: non tutta la<br />
discografia di Al Jarreau viaggia su livelli<br />
stellari e magari qualche compromesso<br />
è stato fatto, in nome di qualche numero<br />
in più che forse, e questo è sì dirimente,<br />
ha tolto qualche punticino di creatività. È<br />
importante però sottolineare come ogni<br />
volta la sua presenza in un negozio di dischi<br />
per l’ultima uscita o la sua presenza<br />
in città per una tappa del tour siano state<br />
sempre garanzie che ci si sarebbe trovati<br />
di fronte a qualcosa di lontano dalla<br />
mediocrità, che poteva essere avvicinato<br />
senza paure per i neofiti e senza delusioni<br />
per i palati più fini. È soprattutto questo<br />
aspetto ad aver fatto di Al Jarreau un artista<br />
per certi versi necessario; è qualcuno<br />
che in abbinamento a un piatto semplice<br />
ti porta un vino un po’ più ricercato, senza<br />
darsi arie da sommelier e col sorriso di chi<br />
sa farlo senza doverlo raccontare. Per chi<br />
va avanti a grandi etichette magari non<br />
sarà la bottiglia dell’anno ma resterà gradevole,<br />
coi più sofisticati pronti a lagnarsi<br />
dell’assenza di sentori terziari; per tutti<br />
gli altri sul momento sembrerà un buon<br />
pranzo qualunque, e invece la prossima<br />
volta ci sarà almeno una persona in più<br />
che, senza nozionismi e con leggerezza,<br />
berrà meglio. Se la musica è tra le cose che<br />
sanno elevarci allora la voce di Al Jarreau è<br />
stata musica.<br />
La sua scomparsa ha lasciato<br />
un vuoto enorme nella<br />
musica a tinte soul-jazz.
62
IL GRUPPO DEI FRATELLI SEVERINI, MARINO<br />
E SANDRO, RACCONTA LE STORIE DI QUESTA<br />
NOSTRA ITALIA DAL 1984, ANNO DI USCITA<br />
DEL LORO PRIMO ALBUM: STORIE TRASVERSALI,<br />
SPESSO DIVERGENTI DALLA REALTÀ MUSICALE<br />
ISTITUZIONALE, SIA PURE ALTERNATIVA.<br />
testo: Guido Bellachioma<br />
«LA GUERRA<br />
È UNA NOTTE<br />
INFINITA, QUESTA<br />
È L’IMMAGINE CHE<br />
MI VIENE IN MENTE<br />
QUANDO CI PENSO»<br />
MARINO SEVERINI<br />
on è facile trovare gente<br />
che abbia ancora voglia di<br />
ascoltare ma i Gang continuano<br />
a raccontare storie<br />
per i volenterosi. Dopo lo splendido SAN-<br />
GUE E CENERE del 2015, uno dei migliori<br />
esempi di canzone d’autore nel senso<br />
più vero del termine, il gruppo marchigiano<br />
ha pubblicato nel 2017 CALIBRO<br />
77, il nuovo “antico” album che i fratelli Severini<br />
avevano in mente da molti anni. È<br />
un viaggio all’interno di quegli anni<br />
70 che non sembrano affatto<br />
così lontani. Marino, voce<br />
della band, racconta<br />
come sono state<br />
scelte le 11 canzoni<br />
che lo compongono,<br />
opera di artisti<br />
come Francesco<br />
De Gregori, Fabrizio<br />
De André, Francesco<br />
Guccini… oltre<br />
a un sacco di altre<br />
storie e senza un preciso<br />
ordine cronologico…<br />
1.<br />
Vengono da lontano.<br />
15 anni per SANGUE<br />
E CENERE.<br />
La loro patria è Filottrano, paese collinare<br />
a 30 km da Ancona, provincia vera, quella<br />
della cultura fatta in casa ma con la sensibilità<br />
comune ai “diversi” di tutto il mondo.<br />
Nati sul confine, poco delineato, tra i Clash<br />
e Bob Dylan, Marino e Sandro dopo 14 anni<br />
sono tornati a produrre un disco in studio<br />
di canzoni inedite, non sulla spinta della<br />
nevrosi di avere un disco “nuovo” a tutti i<br />
costi bensì a modo loro, senza tutte quelle<br />
pastoie, artistiche e di produzione, care<br />
alle case discografiche. Non che nel frattempo<br />
siano stati con le mani in mano (per<br />
questo andate a vedere sul www.the-gang.<br />
it), ovunque ci fosse una causa “giusta” i<br />
Severini hanno portato le proprie voci e<br />
chitarre, esaudendo anche tante richieste<br />
di collaborazione. Se fossero stati più accomodanti,<br />
forse, avrebbero ottenuto di<br />
più dal circo delle sette note, più che altro<br />
se avessero voluto… ma la vita va vissuta<br />
profondamente, godendo pienamente le<br />
emozioni, senza troppe rinunce. Per questo<br />
motivo fanno parte di una rete vasta,<br />
più reale e solida di quelle millantate dai<br />
troppi eroi di una sola stagione. Per produrre<br />
SANGUE E CENERE hanno usato<br />
il crowfunding, chiedendo 6000 euro e<br />
ottenendone quasi 60.000; la gente gli<br />
vuole bene e i Gang ricambiano con affetto<br />
e canzoni vere, un loro nuovo disco ha ancora<br />
senso per molte persone. Non ne avevano<br />
bisogno per fare concerti, avrebbero<br />
potuto suonare le loro canzoni all’infinito,<br />
senza che la gente li rimproverasse. Mica è<br />
poco! Dimenticavo, SANGUE E CENERE è<br />
un disco meraviglioso di canzoni d’autore<br />
nel senso più pieno del termine, americano<br />
al punto giusto da far risaltare al meglio<br />
la cultura italiana degli orizzonti aperti…<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 63
GANG<br />
senza preconcetti. Chi non lo conosce ha il<br />
dovere di colmare questa lacuna…<br />
2<br />
SANGUE E CENERE non<br />
sembra un album pensato<br />
per così tanti anni, nel<br />
senso che non ha l’urgenza<br />
espressiva di chi sta in astinenza<br />
discografica. Come nasce?<br />
Le canzoni sono nate e cresciute nell’arco<br />
di diversi anni. Poi le ho messe nella “botte”<br />
a fermentare e, quando è stato il momento,<br />
le ho versate nel bicchiere. Il disco, invece,<br />
è nato relativamente presto, diciamo<br />
un paio d’anni da quando abbiamo capito<br />
che era ora di tornare ad aprire una finestra<br />
sul Mondo e raccontare il “sentimento del<br />
tempo”, quello che avevamo attraversato e<br />
che ci aveva attraversato, come un vento.<br />
Così ho rimesso insieme alcune canzoni,<br />
quelle che insieme formavano una sorta di<br />
prospettiva, non una linea ma tante linee<br />
diverse, quelle che potessero comporre<br />
una sorta di narrazione. In quel momento<br />
io e Sandro abbiamo incontrato Jono Manson<br />
(cantautore e produttore statunitense)<br />
e da questo incontro tutto ha preso un altro<br />
ritmo. Il disco, tranne Gli angeli di Novi<br />
Sad con l’orchestra Pergolesi, è stato registrato<br />
negli Stati Uniti e vede la presenza<br />
di musicisti americani come Jason Crosby<br />
alle tastiere, Garth Hudson alla fisarmonica<br />
(leggendario componente della Band di<br />
dylaniana memoria, immortalato da Martin<br />
Scorsese nel film The Last Waltz) e la<br />
sezione fiati di Bruce Springsteen. Abbiamo<br />
accelerato e siamo arrivati alla fine, a<br />
un’altra puntata.<br />
3<br />
Ma gli analogici Gang<br />
come si sono rapportati<br />
con un mezzo digitale<br />
come il crowfunding, sia per<br />
SANGUE E CENERE che per<br />
CALIBRO 77? In realtà sembra<br />
un mezzo antico per voi, che<br />
siete sempre stati in mezzo alla<br />
gente come in una rete sociale…<br />
una sorta di crowfunding ante<br />
litteram…<br />
Da molto tempo ci sentiamo parte di una<br />
sorta di comunità: quella che incontriamo<br />
attorno al fuoco delle nostre canzoni.<br />
Con centinaia di questi uomini e donne<br />
abbiamo stabilito delle belle relazioni. Conosciamo<br />
le loro famiglie, molte delle loro<br />
storie, siamo stati ospitati nelle loro case e<br />
in questo mondo ho ritrovato una nuova<br />
“appartenenza”, un universo che si è fatto<br />
carico della nostra esistenza, artistica e<br />
non solo… ci ha permesso di continuare a<br />
fare il nostro lavoro e di cantare insieme le<br />
nostre canzoni, di trovare nuove voci, nuovi<br />
cuori e nuove menti. Nel momento in cui<br />
noi abbiamo dichiarato che c’era bisogno<br />
di loro per realizzare un disco nuovo, sono<br />
accorsi subito e con grandissima generosità.<br />
Il crowdfunding non è stato altro che<br />
mostrare in rete una parte di questa realtà.<br />
Con un po’ di amici ad aiutarci nell’arco di<br />
tre mesi abbiamo fatto come gli zingari<br />
quando ricomincia l’anno: siamo tornati<br />
indietro, raccontando nuovamente la storia<br />
dei Gang, condividendola con tutti coloro<br />
che partecipavano con noi alla nuova<br />
avventura, a un altro capitolo. Di questa<br />
esperienza a me interessa sottolineare<br />
due aspetti. Primo: il fatto che si è spezzato<br />
il pensiero unico circa la produzione della<br />
musica o dei supporti discografici, c’è un<br />
altro modo e noi abbiamo dimostrato la<br />
cosa più importante: si può fare! Secondo:<br />
La copertina dell’album<br />
SANGUE E CENERE<br />
(foto Paolo Simonazzi).<br />
64
GANG<br />
abbiamo dato allo strumento “della cassa<br />
comune” un elemento politico e un’essenza<br />
politica. Creare comunità attorno a un<br />
progetto, dare a essa vigore, forza e ispirazione,<br />
cioè vincere, creare all’interno della<br />
comunità e non solo dell’economia; inoltre<br />
essere riusciti a puntare il dito sulla produzione,<br />
quando tutta la sottocultura di<br />
sinistra da sempre ha puntato l’attenzione<br />
solo sul consumo. Tutto ciò fa di SANGUE<br />
E CENERE un vero bene comune, inoltre<br />
riesce a restituire alla musica, o meglio<br />
alla canzone, una sua funzione: bellezza<br />
e utilità, senza l’una non esiste l’altra, almeno<br />
nella tradizione popolare, meglio<br />
contadina, che è la mia. Per una riflessione<br />
su tutto ciò invito chiunque alla lettura<br />
di Come funziona la musica, bel libro di<br />
David Byrne, uscito in Italia nel 2013 (l’edizione<br />
originale, How Music Works, è del<br />
2012).<br />
4<br />
Ci si sente mai prigionieri<br />
delle proprie canzoni?<br />
Si finisce mai per odiare<br />
una canzone a forza<br />
di suonarla?<br />
Io posso rispondere soltanto<br />
per me. No, non mi sono<br />
mai sentito prigioniero di<br />
una canzone. Ho sempre<br />
suonato quelle canzoni<br />
che mi andava di suonare<br />
e cantare, quelle che permettevano<br />
di creare un<br />
momento di canto comune, di condivisione,<br />
di raccoglimento attorno al fuoco.<br />
Le canzoni ogni sera cambiano a seconda<br />
di chi c’è e di chi partecipa, a seconda<br />
dell’atmosfera che si riesce a creare insieme.<br />
Sempre uguali ma sempre diverse<br />
ogni volta che le canti. Del resto questo<br />
vale per ogni rito e ogni liturgia, del resto<br />
il significato originario di questa parola è<br />
“opera del popolo” o meglio “servizio fatto<br />
per il bene del popolo”. E io sono uno del<br />
mio popolo, non l’ho scoperto o studiato<br />
sui libri. Sono uno di loro. Tutta la questione<br />
sta in una buona relazione basata<br />
sul rispetto, la stima e la fiducia reciproci,<br />
questo si ottiene e si realizza col tempo,<br />
mantenendo il passo attraverso “territori”<br />
diversi, che siano palude o montagna, deserto<br />
o pianura…<br />
«PER CANTARE<br />
È IMPORTANTE<br />
L’INTERPRETAZIONE,<br />
IL CARISMA,<br />
LA CAPACITÀ<br />
TEATRALE, L’ENERGIA,<br />
L’ESPRESSIVITÀ,<br />
IL RITMO»<br />
5<br />
E capita mai che le<br />
canzoni siano prigioniere<br />
di chi le compone? Hai<br />
mai scoperto un brano liberato<br />
da qualcuno che non l’aveva<br />
scritto o interpretato per primo?<br />
Un mio professore di sociologia ai tempi<br />
dell’università, che dirigeva anche una<br />
galleria d’arte, una volta mi disse che la<br />
cosa più difficile per chiunque facesse<br />
un’opera, che fosse canzone o quadro, era<br />
liberarsene, cioè lasciarla libera. Io provo<br />
una grande soddisfazione quando vedo<br />
che la canzone che ho scritto è capace di<br />
prendere il volo, di camminare da sola e<br />
La vita dei fratelli Severini<br />
scorre parallela alla musica.<br />
Da sinistra, sopra e sotto:<br />
Sandro e Marino.<br />
andare chissà dove. Canzoni come Bandito<br />
senza tempo, La pianura dei 7 fratelli,<br />
Sesto San Giovanni o Kowalsky sono<br />
di chi le canta… Nel corso degli anni, per<br />
esempio, non ho mai sentito due identiche<br />
versioni di Bandito senza tempo, ognuno<br />
ci ritrova un pezzo del suo privato immaginario;<br />
tutte le versioni messe insieme ne<br />
fanno una completamente diversa dalla<br />
mia… diciamo che quella di partenza me la<br />
sono dimenticata a forza di ascoltare quelle<br />
degli altri. Sono sempre state le unicità<br />
a costituire una comunità, ognuno dovrebbe<br />
sempre coltivare la propria unicità per<br />
comporre una società. Guarda gli alberi di<br />
un bosco o i sassi di una spiaggia, ognuno<br />
è diverso eppure insieme fanno una cosa<br />
sola. Questo vale anche per l’Umanità. Ci<br />
sono casi in cui l’interpretazione di un brano<br />
riesce a cogliere di esso un lato inedito,<br />
un lato inesplorato dall’autore… è come se<br />
in questo modo il fiume riuscisse ad arrivare<br />
all’oceano, a farsi oceano. Succede<br />
di rado ma succede. Un esempio per tutti:<br />
All Along The Watchtower, la versione di<br />
Hendrix rispetto all’originale di Dylan…<br />
6<br />
15 anni senza un nuovo<br />
disco in studio ma non<br />
siete rimasti con le<br />
mani in mano. In quale mondo<br />
hanno vissuto i Gang, non solo<br />
artisticamente, in questo lungo<br />
periodo?<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 65
GANG<br />
Con i Gang sono stati anni di “movimento”.<br />
Abbiamo fatto moltissimi concerti e ovunque,<br />
senza badare alle circostanze, anzi<br />
adattandoci a tutte le situazioni possibili.<br />
E casa per casa, quartiere per quartiere,<br />
villaggio per villaggio siamo andati portando<br />
le nostre canzoni e ogni sera attorno<br />
a quelle ci siamo radunati, scaldati, contati<br />
col nostro popolo, vincendo il grande freddo,<br />
il buio, la paura del futuro. Poi abbiamo<br />
inciso diversi dischi, e, pur essendo lavori<br />
stagionali, ognuno ha rivestito il ruolo<br />
di “progetto”. Basti citare NEL TEMPO E<br />
OLTRE… CANTANDO con La Macina, guidata<br />
da Gastone Pietrucci. Questo è stato<br />
un incontro importante anche perché ha<br />
abbattuto i muri, i pregiudizi fra realtà<br />
musicali diverse, come quelle del folk tradizionale<br />
e il rock, e da questo incontro si<br />
è cercato di mettere in comune le affinità<br />
elettive, tutte provenienti dall’unica sorgente…<br />
che è la cultura popolare, al di là<br />
degli stili. E questo lo realizzammo anche<br />
con molti concerti insieme a La Macina,<br />
costituendo un gruppo di una decina di<br />
elementi e un repertorio comune, questo<br />
molto prima dell’esperienza-incontro Giovanna<br />
Marini-Francesco De Gregori. Un<br />
disco del quale vado fiero è IL SEME<br />
E LA SPERANZA, prodotto dalla<br />
CIA Marche (Confederazione<br />
Italiana Agricoltori), tutto centrato<br />
sulla cultura contadina,<br />
«CALIBRO 77 È UN VIAGGIO<br />
ALL’INTERNO<br />
DI QUEGLI ANNI 70 CHE<br />
NON SEMBRANO AFFATTO<br />
COSÌ LONTANI, ANZI SONO<br />
VICINISSIMI»<br />
GUIDO BELLACHIOMA<br />
su “l’umanesimo di razza contadina”. Un<br />
momento di riflessione sulla rivoluzione in<br />
atto, quella di riconciliazione dell’uomo<br />
con la terra. Lo ritengo, oggi soprattutto,<br />
un disco di grande attualità.<br />
In questi 15 anni abbiamo inciso<br />
anche LA ROSSA PRIMAVERA,<br />
canzoni ispirate alla Resistenza,<br />
alcune nostre, altre che<br />
sono passate attraverso molte<br />
generazioni, come dire che la<br />
Resistenza va sempre cantata,<br />
ribadendo un concetto che<br />
Maria Cervi esprimeva spesso<br />
nei suoi incontri pubblici, ovvero<br />
Ogni conquista non è per<br />
sempre. In questo disco abbiamo<br />
inciso, rivisitandole, Fischia<br />
il vento e canzoni di autori<br />
come Fabrizio De André, Francesco<br />
De Gregori, Francesco<br />
Guccini, Claudio Lolli, Stormy Six,<br />
Yo Yo Mundi. E inoltre non abbiamo<br />
mai smesso di collaborare<br />
con tanti gruppi e artisti italiani,<br />
siamo ormai presenti in più di un<br />
centinaio di dischi altrui e questo<br />
è una sorta di record in Italia. Fra<br />
Sopra: Primo<br />
maggio 1991.<br />
Sotto: foto promo<br />
dell’album<br />
UNA VOLTA PER<br />
SEMPRE, 1995.<br />
le tante collaborazioni c’è n’è una in particolare<br />
che è quella con Daniele Biacchessi,<br />
scrittore, giornalista e uomo di teatro<br />
civile. Con lui abbiamo realizzato quattro<br />
spettacoli, da cui abbiamo tratto alcuni Cd:<br />
IL PAESE DELLA VERGOGNA, PASSIONE<br />
REPORTER, STORIE DELL’ALTRA ITALIA,<br />
GIOVANNI E NORI (questo narra la vita di<br />
Giovanni Pesce, comandante partigiano, e<br />
di sua moglie, Onorina Brambilla, ufficiale<br />
di collegamento partigiana: una storia di<br />
amore e resistenza). Tutto ciò per ribadire<br />
il principio dei principi: “Nella pietra che<br />
rotola non cresce mai il muschio”. Posso<br />
dire quindi che In questi 14 anni abbiamo<br />
“rotolato “ molto…<br />
7<br />
E poi nel 2017 arriva quel<br />
CALIBRO 77 che non ti<br />
aspetti…<br />
È un lavoro che ha avuto una lunga gestazione.<br />
Già dall’inizio del nuovo secolo<br />
ci era venuta la voglia di raccontare il “77”<br />
attraverso alcune delle canzoni che, sia<br />
io che Sandro, cantavamo e suonavamo<br />
in quegli anni. Poi col passare del tempo<br />
non siamo mai riusciti, per un motivo o<br />
per l’altro, a realizzare questo progetto. E<br />
solo oggi, a 40 anni esatti dal 1977, eccoci<br />
qua, finalmente, con un pugno di canzoni<br />
rivitalizzate, pronti a “raccontar cantando”<br />
i migliori anni delle nostre gioventù. Abbiamo<br />
anche approfittato dell’incontro con<br />
Jono Manson e della nostra ottima intesa…<br />
così ci siamo detti: “Se non ora… quando?”.<br />
Aspettare qualche mese in più avrebbe significato,<br />
ancora una volta, rinunciare al<br />
66
GANG<br />
progetto per dare la precedenza a un altro<br />
album d’inediti. Più che gli anni 70 in genere<br />
a me interessa mettere a fuoco il 77,<br />
cioè un arco di tempo che va dal golpe in<br />
Cile (1973) fino al rapimento Moro (1978),<br />
tanto per capirci. Ebbene, di quegli anni si<br />
è detto e scritto tutto, persino il contrario di<br />
tutto! Alla fine resta una definizione che a<br />
me non piace, soprattutto perché la trovo<br />
estremamente riduttiva: anni di piombo.<br />
8<br />
Qualche problema c’è<br />
stato…<br />
Ci sarà stato il piombo ma ci sono<br />
state migliaia e migliaia di storie, di vite, di<br />
esperienze, che ne danno una versione “altra”,<br />
molto più estesa e allargata. C’è stato<br />
il Movimento e, soprattutto, in quell’arco<br />
di tempo sfondò il portone della Storia un<br />
soggetto nuovo: il proletariato giovanile.<br />
Ed è proprio su quel proletariato giovanile<br />
che vorrei accendere nuovamente una<br />
luce, ricantarlo attraverso alcune delle<br />
canzoni che quello stesso proletariato giovanile<br />
cantava in quegli anni. E sia io che<br />
Sandro facevamo allora parte del Movimento<br />
ed eravamo giovani e proletari!<br />
E attraverso queste canzoni, non prese<br />
una a una ma messe insieme, ecco che si<br />
ricompone un grande affresco, nel quale<br />
potrà facilmente riemergere una caratteristica<br />
fondante e unica: il fatto che in quel<br />
Movimento, in quel proletariato giovanile,<br />
per la prima e, forse, unica volta protagonista<br />
e partecipe, convivevano molte differenze…<br />
di linguaggio, di immaginari, di<br />
culture, di stili ma tutte diventavano UNO.<br />
Quindi a me interessa cantare, come ho<br />
già fatto per la resistenza e la classe operaia,<br />
un momento della storia d’Italia in cui<br />
ci fu la stagione di un nuovo umanesimo.<br />
Cantare quella stagione, tornando al 77, è<br />
ancora una volta come fare “la danza della<br />
pioggia”. Evocare, chiamare a Noi, la stagione<br />
di un nuovo umanesimo.<br />
9<br />
Il titolo può sembrare<br />
forte, legato a un anno<br />
“cattivo” come il 1977…<br />
Il titolo ironizza o, meglio, cerca di dissacrare<br />
l’immagine unica che i vincitori hanno<br />
imposto del “77”, cioè il piombo, le P38…<br />
ecco perché calibro, che è unità di misura<br />
delle armi da fuoco ma fuori da quel contesto<br />
è anche sinonimo di qualità, valore,<br />
importanza… di cose o persone.<br />
Oggi più di ieri, senza dubbio. Sono sempre<br />
più convinto che per andare avanti e uscire<br />
dal pantano nel quale siamo finiti, non c’è<br />
altro modo che quello di “tornare indietro”.<br />
Ritornare sulle strade percorse anche per<br />
capire cosa è andato storto lungo il cammino,<br />
cercare quello che ci siamo persi<br />
per strada. È lo stesso rito che compiono i<br />
Rom una volta l’anno, ritornando indietro,<br />
sulle strade dalle quali sono venuti. Grande<br />
civiltà quella dei Rom! Abbiamo molto da<br />
imparare. E infine per un dato oggettivo.<br />
Non c’è dubbio che oggi, come secoli fa,<br />
ci troviamo nuovamente in un presente…<br />
in un punto del cammino, in cui le grandi<br />
utopie, i grandi sogni e le rivoluzioni si trovano<br />
alle nostre spalle, sono dietro di noi<br />
e non davanti a noi… e questo ci disorienta<br />
e ci impedisce di muovere il passo verso il<br />
futuro.<br />
10<br />
Davvero un lungo<br />
viaggio…<br />
È stato un bellissimo VIAG-<br />
GIO. Pieno e ricco di scoperte, di entusiasmi,<br />
di gioia… di musica!<br />
Si parte come sempre da una base di chitarra<br />
acustica e voce, che faccio io, poi con<br />
questa piccola imbarcazione si va in mare<br />
e da qui l’ammiraglio Jono Manson la guida<br />
con la sua splendida ciurma fino a destinazione.<br />
E durante la navigazione quella<br />
barchetta diventa sempre più grande, fino<br />
a diventare un bastimento… e porto dopo<br />
TRIBES’ UNION, 1984.<br />
porto raggiunge la destinazione: TERRA!<br />
Di nuovo a casa, ma nuovi e più ricchi di<br />
esperienze, di avventure, più grandi.<br />
Anche stavolta la collaborazione con Jono<br />
ha reso il tutto estremamente piacevole.<br />
Come per SANGUE E CENERE abbiamo<br />
registrato al Drum Code studio di Sesta<br />
Godano e al The Kitchen Sink studio di<br />
Santa Fe, quello di Jono. Parte del lavoro è<br />
stato fatto a distanza, scambiandoci i file<br />
e questo ha sempre creato una situazione<br />
molto tranquilla e rilassata. Lui è uno che<br />
non molla un colpo e lavora moltissimo<br />
fino a che i musicisti non danno il meglio<br />
di se stessi, fino a che gli arrangiamenti<br />
non sono quelli “giusti”, fino a che non c’è<br />
quell’ALLELUJA, che significa che è stato<br />
catturato lo spirito, l’anima di quella canzone…<br />
Voglio ringraziare tutti coloro che<br />
hanno partecipato alla produzione di questo<br />
disco col crowfunding: i nostri affettuosi<br />
co-produttori. Senza questa grande<br />
e generosa fiducia non avremmo goduto<br />
di quelle risorse necessarie per realizzare<br />
questo “Calibro”. E non avremmo potuto<br />
lavorare in completa libertà e autonomia.<br />
È stata una vera e propria vittoria anche<br />
questa volta… e di tutto ciò io ne sono profondamente<br />
commosso ed eternamente<br />
grato. Aggiungo un consiglio amichevole…<br />
quello di “ascoltare” l’album sperando che<br />
arrivi a tutti voi, attraverso queste canzoni,<br />
una strana sensazione, uno strano “senso<br />
di vittoria”… lo stesso che provai anch’io in<br />
un lontano, e sempre più vicino, millenovecento<br />
“77”…<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 67
GANG<br />
11<br />
La voce è…<br />
…lo strumento che meglio si<br />
adatta a rappresentare un’epoca,<br />
un ambiente sociale. È anche uno strumento<br />
molto malleabile, quello che ha più<br />
possibilità di evoluzione e involuzione.<br />
Mentre gli strumenti musicali appaiono e<br />
scompaiono nel giro di qualche generazione,<br />
la voce resta una costante di tutta la<br />
storia della musica adattandosi a riempire<br />
il vuoto, che può andare da una vocalità<br />
estremamente strumentale a una molto<br />
espressiva a seconda dell’uso che ne vuol<br />
fare chi scrive per essa, chi la usa e chi la<br />
vuole ascoltare. Nel corso dei secoli assistiamo<br />
a una incredibile molteplicità delle<br />
forme di canto, dal gregoriano a quello dei<br />
trovatori o dei trovieri (dove troviamo la<br />
prima forma di canzone), alla polifonia, al<br />
“bel canto” del Seicento, il canto da camera,<br />
l’opera ottocentesca, il lied… fino ad arrivare<br />
al blues, il gospel, il jazz, quindi non esiste<br />
un solo modo di cantare ma un’infinità<br />
di “canti”. Io mi ritengo un “cantante” per<br />
caso o per necessità, nel senso che ho suonato<br />
la chitarra in un gruppo da quando<br />
avevo 14-15 anni, ma non ho mai cantato<br />
fino a quando nei Papers Gang nessuno<br />
degli altri componenti voleva farlo, quindi<br />
provai io e, prova dopo prova, eccomi qua.<br />
Cantare è un modo per comunicare, quindi<br />
oltre alla voce sono importanti anche altri<br />
elementi, che fanno la differenza e l’unicità<br />
del cantante come l’interpretazione, il carisma,<br />
la sua capacità teatrale, l’energia, la<br />
sua espressività, il ritmo…<br />
12<br />
Perché ti emozionano<br />
alcune voci?<br />
Perché mi emozionano non lo<br />
so. Cioran scrive che la musica giace nel<br />
nostro profondo ricordo, quando non avevamo<br />
nome ma comunque udito tutto. La<br />
musica è la nostalgia del paradiso terrestre.<br />
Se così fosse le seguenti voci mi emozionano<br />
perché mi ricordano quelle che ho<br />
già sentito e mi erano care…<br />
1. Bob Dylan… the Voice!<br />
2. Jimi Hendrix… è un peccato che tutti<br />
lo considerino solo per lo stile chitarristico<br />
rivoluzionario.<br />
3. Roberto Murolo… la voce che proviene<br />
dalla parte più profonda e mi commuove<br />
più di tutte.<br />
4. Iris Dement… cantautrice statunitense,<br />
già con Steve Earle e Mark Knopfler.<br />
5. Jay Farrar… nel suo DNA ci sono Uncle<br />
Tupelo, Son Volt e Gob Iron.<br />
6. Mick Jagger… gli Stones.<br />
7. Otis Redding… quel sapore di soul<br />
che non muore.<br />
8. Joe Strummer… per sempre Clash.<br />
9. Etta James… l’anima della musica<br />
nera.<br />
10. Eddie Vedder… una voce fuori schema.<br />
Ma ce ne sarebbero ancora molte altre…<br />
13<br />
Cosa succede quando<br />
altri cantano le tue<br />
canzoni?<br />
Non saprei esattamente… fino a ora non ho<br />
sentito nessuno che mi ha particolarmente<br />
colpito mentre cantava una mia canzone.<br />
Sono canzoni che possono essere cantate<br />
da tutti, non richiedono una vocalità particolare<br />
o eccezionale; hanno un’anima e<br />
uno spirito popolare. La mia soddisfazione<br />
più grande è sentirle cantare dal pubblico<br />
più che da un o una cantante.<br />
Mick Jagger, Milano 1970<br />
(foto Renzo Chiesa).<br />
68
GANG<br />
14<br />
Puoi parlarci<br />
vocalmente degli artisti<br />
di cui avete interpretato<br />
i brani su CALIBRO 77?<br />
Eugenio Finardi<br />
È una voce potente, ha una grande estensione,<br />
contiene una sorta di vibrato. Una voce<br />
forte e impostata, quasi operistica e che sa<br />
ben declamare ma non è adatta al racconto<br />
e alla commozione. È un vero cantante.<br />
Claudio Lolli<br />
È l’esatto opposto di Finardi. Una grande<br />
fragilità, disarmante, quasi parlata e nei<br />
suoi dischi migliori è quella voce che duetta<br />
col sax ed è la sua ombra. Ha poco a che<br />
fare con le metriche popolari e rock… ha<br />
un’anima e un fraseggio jazz.<br />
Ricky Gianco<br />
È la voce beat della nostra cultura, l’associo<br />
agli anni 60 italiani e all’avvento del rock.<br />
A destra: Eugenio Finardi<br />
inizio anni 90 (foto Guido<br />
Bellachioma). Sotto: Paolo<br />
Pietrangeli al Folkstudio<br />
di Roma nei primi anni 70<br />
(foto Fabio D’Emilio).<br />
Gianfranco Manfredi<br />
È un “non cantante” ma ha la voce perfetta<br />
per interpretare le sue canzoni, è più che<br />
autorevole per le sue storie.<br />
Giorgio Gaber<br />
È la voce dell’osteria, è il teatro (dell’osteria)<br />
che canta. C’è partecipazione nella sua<br />
voce, però mai troppa ed eccessiva. È una<br />
lama fredda. È più una lingua che non una<br />
voce. Mi piace quel suo stare sempre in perfetto<br />
equilibrio. È una voce da funambolo.<br />
Francesco Guccini<br />
È la voce più arcaica di tutte le altre, piena<br />
di accento e ritmo, buona per tante parole,<br />
a volte anche troppe… ma il suo è un grande<br />
romanzo, quindi ha una voce adatta per la<br />
bella lettura. È la voce del romanziere ottocentesco.<br />
Paolo Pietrangeli<br />
È una voce potente e che racchiude la visione<br />
potente della classe operaia di fine<br />
anni 60… è la voce di un Lenin che canta.<br />
Ivan Della Mea<br />
È l’agit prop, è la voce del megafono, che ha<br />
ragione per via dell’urgenza di quella parola<br />
scritta sui muri… è il prendere la parola e<br />
cantarla… la voce dell’Emergenza.<br />
Francesco De Gregori<br />
È l’unica voce che può cantare quei testi, è<br />
un acquerello con la luce filtrata dalle nebbie<br />
basse del mattino. A volte gioca con il<br />
finale che rimbalza la vocale alla Dylan o<br />
cerca la profondità di Leonard Cohen ma<br />
è un’altra cosa. Ha una sua malinconia feroce…<br />
è riflessiva, sembra voler prendere il<br />
volo ma di fatto sta sul filo della corrente<br />
elettrica, non in cima alla montagna. È una<br />
voce che sembra cantare per se stessa…<br />
che se la canta…<br />
Fabrizio De André<br />
È il tempio della Parola e della Narrazione<br />
Grande. La sua voce ha il tono sommesso,<br />
quasi sacro tanto è solenne, come quella<br />
del Pontefice.<br />
Edoardo Bennato<br />
È la voce nasale, impertinente come quella<br />
del “monello”, dissacrante, la voce adatta<br />
alla denuncia. È la voce del rock italiano di<br />
seconda generazione, che cerca di passare<br />
da Elvis a Dylan…<br />
15<br />
La tua voce negli album<br />
dei Gang?<br />
Sono molto soddisfatto della<br />
voce negli ultimi due album, soprattutto<br />
in SANGUE E CENERE. Sicuramente<br />
fra la mia voce e la mia anima, narrante o<br />
cantante, si è stretta una confidenza maggiore,<br />
una conoscenza più approfondita<br />
rispetto ad anni fa. Poi sono molte le com-<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 69
FERRUCCIO-GIBELLINI<br />
ponenti necessarie per realizzare la voce<br />
giusta per determinate canzoni, le storie<br />
che canto, gli arrangiamenti, gli strumenti<br />
e le armonie; in questo caso il produttore<br />
fa la differenza. In studio mi sono sempre<br />
lasciato guidare. Con Jono Manson, per<br />
esempio, si fanno di solito tre tracce, non di<br />
più, e da quelle si prende il meglio e che più<br />
emoziona, non quello che tecnicamente è<br />
venuto meglio. L’emozione, la commozione,<br />
muovere i sentimenti quello è il fine…<br />
cerco di cantare per raggiungere le profondità<br />
del cuore… di muovere le acque delle<br />
emozioni. Ma so benissimo di non essere<br />
un cantante ma uno che cerca di usare anche<br />
la voce per “agitare”!<br />
16<br />
Marino vorrebbe<br />
giocare con la voce di…<br />
Non saprei, ma se giocassi ai<br />
desideri direi Emmylou Harris che canta in<br />
italiano… sarebbe perfetta!<br />
17<br />
Anche se mi sembrate<br />
ben radicati nel<br />
presente pensi mai al<br />
passato dei Gang, almeno come<br />
dischi da voi incisi? Quali sono<br />
quelli che ti hanno sorpreso in<br />
positivo, come reazione della<br />
gente, e quali in negativo?<br />
Riflessioni a posteriori…<br />
TRIBES’ UNION (1984).<br />
L’inizio, la sfida (il disco inizia con The<br />
Challenge), la missione impossibile… il riscatto,<br />
il viaggio sulla strada alla ricerca<br />
della libertà, di un destino diverso da quello<br />
che altri hanno già scritto per te. Quel disco<br />
per noi fu il vero grande miracolo, fu un po’<br />
come il Mar Rosso che si aprì davanti a noi<br />
senza nessuna aspettativa, senza grande<br />
sforzo. Un miracolo e anche la scoperta<br />
di una forza sconosciuta, che avevamo e<br />
potevamo mettere in circolo, che ci faceva<br />
avanzare… nella giungla!<br />
AGAINST POWER-DOLLAR (1986)<br />
La scoperta che non eravamo soli su quella<br />
strada. Billy Bragg, un gesto dovuto e doveroso…<br />
un modo anche per prendere fiato e<br />
anche per mettere a fuoco… era necessario.<br />
BARRICADA RUMBLE BEAT<br />
(1987)<br />
L’applauso meritato per la tanta fatica, la<br />
tanta strada percorsa… ma con quel disco<br />
Sandro con la chitarra<br />
elettrica, Marino<br />
con l’acustica e la magia<br />
dei Gang si accende su<br />
qualsiasi palcoscenico.<br />
ebbi la sensazione e la paura che fosse la<br />
strada a cominciare la corsa e non io… una<br />
sorta di grande confusione, volumi alti, abbracci<br />
forti, la spinta verso l’orizzonte nuovo,<br />
che era ormai vicino.<br />
REDS (1989)<br />
Il vedere la fine della strada e ricominciare<br />
a guardare avanti comunque, misurare<br />
le forze, provarle, cominciare l’assedio e<br />
aprire delle crepe, annusare la primavera<br />
nonostante il freddo che arrivava… resistere!<br />
Un bel disco, ne vado fiero, e soprattutto<br />
una sorta di zen, portato dal produttore<br />
dalla romantica Inghilterra, un vero lord<br />
come Paul Roland.<br />
LE RADICI E LE ALI (1991)<br />
Ci siamo, siamo sbarcati sull’isola che non<br />
c’era, il nuovo mondo… tantissima fatica,<br />
milioni di scazzi, un risultato deludente<br />
ma che ci permise di abitare nella terra<br />
nuova, il varco trovato, la soluzione stava<br />
adesso nel costruire la città nuova e chiamare<br />
a noi i nuovi abitanti, profughi, sbandati,<br />
fuggitivi e sognatori… avevamo terra<br />
nuova d’abitare, prospettiva per costruire<br />
e, soprattutto, il ponte era stato costruito!<br />
Eravamo Oltre!!!<br />
Da sinistra:<br />
TRIBES’ UNION (1984),<br />
AGAINST POWER-DOLLAR<br />
(1986),<br />
BARRICADA RUMBLE BEAT<br />
(1987),<br />
REDS (1989),<br />
LE RADICI E LE ALI (1991).<br />
70
GANG<br />
STORIE D’ITALIA (1993)<br />
Lo rifarei, con un altro produttore. Dopo LE<br />
RADICI E LE ALI, soprattutto dopo il tour<br />
che seguì l’uscita, avevamo energia e ispirazione<br />
che non ho più trovato nei Gang; si<br />
trattava di accelerare e di dare tutto, invece,<br />
almeno per me, quel disco mi risulta oggi<br />
come una frenata, una sorta di arrendevolezza,<br />
l’aver sbagliato strada all’incrocio…<br />
ma ci sono delle gran belle canzoni, prima<br />
fra tutte Sesto San Giovanni. Non fu felice<br />
neanche il periodo che seguì, tour e promozione<br />
del disco; sentivo che il timone<br />
m’era sfuggito di mano, che la navigazione<br />
ci stava portando alla deriva o a sbattere<br />
sugli scogli se non l’avessi ripresa… e<br />
subito. Nel disco c’è 200 giorni a Palermo,<br />
una canzone che ci procurerà un processo<br />
durato 10 anni, la prima volta che gli autori<br />
di una canzone vengono denunciati da un<br />
senatore della Repubblica, in questo caso<br />
Russo, ex Pci, allora DS.<br />
UNA VOLTA PER SEMPRE (1995)<br />
È il disco che più amo dei Gang, a parte<br />
l’ultimo SANGUE E CENERE. Supera ogni<br />
stile, i riferimenti non reggono il confronto,<br />
sfugge a qualsiasi classificazione. È molto<br />
narrativo, più epica che poesia, ma soprattutto<br />
il suono t’incanta ed è, più di ogni altra<br />
cosa, un disco di musica Italiana degli<br />
anni 90, quando in Italia imperversava la<br />
scena rap. Una volta Ronchi, assessore alla<br />
cultura di Bologna, paragonò questo lavoro<br />
a quando Dylan incise JOHN WESLEY<br />
HARDING, mentre tutti sommavano e si<br />
davano alla psichedelia lui fece questo disco<br />
sottraendo al massimo, lo incise con<br />
batteria, basso, chitarra acustica e armonica…<br />
significava andare controcorrente,<br />
quindi risalire il fiume, andare verso la<br />
sorgente, l’inizio! Tornare a casa! Lo strumentale<br />
Il ritorno chiude disco e trilogia,<br />
«UNA CANZONE<br />
È COME IL VENTO.<br />
SE POTESSE<br />
RACCONTARE<br />
TUTTO CIÒ CHE<br />
ATTRAVERSA!»<br />
MARINO SEVERINI<br />
iniziata con Esilio. Comunque fu il disco<br />
che critica e pubblico non accettarono<br />
volentieri. Peggio per loro: La pianura dei<br />
7 fratelli vale ancora oggi tutto il disco,<br />
questo significa aver saputo tenere il passo<br />
nonostante le diffidenze, le difficoltà e le<br />
incomprensioni del momento.<br />
FUORI DAL CONTROLLO (1997)<br />
Un disco sbagliato su tutta la linea dal<br />
punto di vista della realizzazione. Un album<br />
che subisce l’influenza della casa<br />
discografica e del pensiero egemone del<br />
rock italiano, rappresentato dal prodotto<br />
Wea allora dominante sul mercato: Ligabue.<br />
Viene realizzato nello stesso studio e<br />
con il produttore che per anni ha lavorato<br />
a quel sound di riferimento… Gianfranco<br />
Fornaciari, ottimo musicista e arrangiatore<br />
ma che non riuscì a portare il disco fuori da<br />
quella palude. Ci sono gran belle canzoni, a<br />
cominciare da Giorni o Chi ha ucciso Ilaria<br />
Alpi, che troveranno una sorta di rinascita<br />
nelle versioni live. Comunque sia, dopo<br />
anni di camicie a scacchi è il ritorno al vecchio<br />
giubbotto di pelle, più chiaro di così…<br />
STUDIO-135<br />
CONTROVERSO (2000)<br />
Opera fatta in casa, lontani da ogni ingerenza<br />
della casa discografica, cucita su misura<br />
per un nuovo gruppo, stavolta non ci<br />
sono turnisti ma suono da garage, da sala<br />
prove, alla ricerca del nostro modo di vivere<br />
il Rock’n’Roll. La fine di un decennio di<br />
case discografiche, di manager, di agenzie,<br />
di un mondo che è succube del mercato e<br />
del profitto, l’inizio di nuovi territori, di<br />
grandi cavalcate nella prateria… la libertà<br />
tanto sospirata e, finalmente, riconquistata!<br />
Con CONTROVERSO si ricomincia. Paz,<br />
dedicata al disegnatore Andrea Pazienza,<br />
scomparso nel 1988, è la canzone che brilla<br />
più delle altre ancora oggi [anche se io<br />
trovo meravigliosa l’intensità avvolgente,<br />
letteraria e musicale, della ballata Dopo<br />
come primavere, nda].<br />
La famiglia e i fratelli<br />
Severini è costituita<br />
anche da tutti gli amici<br />
che partecipano ai loro<br />
concerti sulla strada.<br />
Immagine periodo<br />
SANGUE E CENERE.<br />
Da sinistra:<br />
STORIE D’ITALIA (1993),<br />
UNA VOLTA PER SEMPRE<br />
(1995),<br />
FUORI DAL CONTROLLO<br />
(1997),<br />
CONTROVERSO (2000).<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 71
Da sinistra Marino e Sandro,<br />
sulle colline intorno<br />
a Filottrano, Marche, periodo<br />
SANGUE E CENERE.<br />
Novo!?! E tutto con una forte dose di entusiasmo,<br />
di altruismo che muoveva il corso<br />
del tempo, niente di niente a che fare col<br />
profitto, il mercato e i soliti mostri, questi<br />
sono venuti dopo e pian piano hanno divorato<br />
tutto. Oggi di quel tempo non rimane<br />
niente di niente, sopravvive qualche isola<br />
infelice. La situazione odierna la vediamo<br />
tutti i giorni e in base alle circostanze che si<br />
sono create con la complicità di tutti. Oggi<br />
se una band decide di suonare in giro per<br />
l’Italia è impresa quasi impossibile, i pochi<br />
live club passano quello che le agenzie di<br />
concerti passano: la scena che viene supportata<br />
da investimenti promozionali, ossia<br />
le realtà affiliate alle case discografiche<br />
o a etichette distribuite da multinazionali.<br />
Chi resta fuori può godere dei club più<br />
piccoli, locali, centri culturali, una sorta di<br />
volontariato resistente che può offrire non<br />
più di 300 euro: se fai 200 chilometri di<br />
autostrada e pigli un furgone in affitto già<br />
stai sotto con le spese. Poi c’è internet, il<br />
toccasana di tutti i mali, il rimedio dei rimedi,<br />
ma a conti fatti, al di là dello scambio<br />
18<br />
Differenze<br />
e similitudini tra<br />
la scena musicale<br />
in cui sono nati i Gang<br />
e quella di oggi…<br />
La differenza è enorme, come dire si stava<br />
meglio quando si stava peggio… allora era il<br />
momento in cui si andava a costruire qualcosa<br />
di cui avevamo bisogno per esprimerci,<br />
per essere presenti e partecipare, quindi<br />
72<br />
una sorta di circuito culturale. C’era una<br />
nuova “orda d’oro” che, sulle ceneri delle<br />
aggregazioni giovanili attorno alla politica<br />
degli anni 70, riaccendeva il fuoco. Era la<br />
rivolta dello stile, d’ispirazione anglosassone<br />
e di cui il punk era bandiera, motore<br />
di rivolta. La Strada tornava protagonista e<br />
con essa l’ultima stagione del rock ribelle…<br />
cosa volere di più dalla vita? Radio, fanzine,<br />
locali che aprivano e ovunque dolce Stil<br />
Al negozio CALIBRO 77<br />
i Gang dispensano grandi<br />
emozioni a tutti.
GANG<br />
e conoscenza dei prodotti del proprio orto<br />
non si va; nessuno si fa più carico di una<br />
resurrezione culturale, quindi musicale,<br />
perché non si lavora per creare una “scena”,<br />
senza quella non si muove né si muoverà<br />
nulla. Non sono le difficoltà oggettive<br />
a impedirla ma quelle culturali, soprattutto<br />
la cattiva educazione del farsi ognuno i<br />
cazzi propri, uno contro tutti e tutti contro<br />
uno, come nella vita. La vera assenza è la<br />
cultura, la relazione, l’incontro e lo scambio,<br />
l’idea di cosa e casa comune, di condivisione.<br />
Mai come oggi la musica è nelle<br />
mani del mercato, del profitto, dell’affare e<br />
dei suoi adoratori; neanche ai tempi di David<br />
Zard e Franco Mamone, considerati i<br />
padroni della musica live negli anni 70, le<br />
cose erano così gravi, la verità, purtroppo,<br />
è che ci sono pochi, veri, comunisti in circolazione<br />
e non troppi, questa è la verità.<br />
19<br />
Comporre, registrare,<br />
suonare dal vivo?<br />
La musica che produciamo ha<br />
ragione di esistere nella dimensione “live”,<br />
nel rito, nel canto comune, questa è la sua<br />
essenza, però, per quello che mi riguarda, i<br />
momenti più belli sono quelli in cui la canzone<br />
nasce… testo, accordi, melodia, quello<br />
che in sostanza faccio da solo; quando dici<br />
“ecco, adesso c’è la canzone”. In seguito<br />
comincia tutto il lavoro di confronto, di<br />
crescita, di realizzazione, incisione, arrangiamento…<br />
il più delle volte è tutta una mediazione<br />
su mediazione, compromesso su<br />
compromesso e questo mi stanca, a volte<br />
mi toglie pure la voglia… anche questa è<br />
una dimensione “politica”, necessaria alla<br />
realizzazione del supporto che fissa nel<br />
tempo la versione di quelle canzoni che<br />
compongono un disco. Solo in SANGUE E<br />
CENERE posso dire di essermi goduto tutte<br />
le fasi con la stessa intensità e gioia per<br />
le scoperte, per ogni cosa che, giorno dopo<br />
giorno, andava a prender vita.<br />
20<br />
Perché nasce una<br />
canzone?<br />
Una canzone è una cosa<br />
piccola ma che può contenere molti universi,<br />
molte arti, molte storie, molte emozioni:<br />
è come il vento. Se il vento potesse<br />
raccontare tutto ciò che attraversa! Non<br />
esiste una formula, ognuno ha il proprio<br />
stile, priorità, bisogni, desideri: saper mediare<br />
fra testo e musica, farli incontrare,<br />
conoscere, dialogare, innamorare, essere<br />
dei buoni ruffiani o politici fra i due aspetti<br />
delle canzoni. Sono d’accordo con una<br />
frase di Dylan: “Mi piacciono quelle canzoni<br />
che ti spingono a fare bene, a fare<br />
cose buone”… ecco, sono d’accordo con lui,<br />
quando questo accade significa che è una<br />
canzone giusta!!!<br />
21<br />
Sei orgoglioso di…?<br />
Sono orgoglioso non per la<br />
bellezza delle canzoni che ho<br />
scritto ma per quella bellezza che queste<br />
canzoni riescono a far fiorire. Sono fiero di<br />
questo “mio” giardino, sempre più bello e<br />
colorato ogni stagione che passa; cantare<br />
le mie canzoni è come prendersi cura di<br />
questo giardino, e di questo vado orgoglioso…<br />
del mio giardino.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 73
GANG<br />
22<br />
Esiste, invece,<br />
una “cosa” che non<br />
rifaresti?<br />
A volte se mi guardo indietro me la faccio<br />
spesso questa domanda ma non trovo ancora<br />
la risposta definitiva. Il mio più grande<br />
rammarico è non aver fatto il maestro<br />
delle elementari, quel desiderio ancora ce<br />
l’ho ma so che non potrò mai realizzarlo<br />
e un po’ mi rende triste: è andata così per<br />
questa vita ma non è andata male, però alla<br />
prossima non cederò al canto delle sirene.<br />
E farò di sicuro il maestro delle elementari,<br />
se ci saranno ancora le scuole elementari,<br />
naturalmente. Male che vada imparerò a<br />
fare bene il contadino, dedicarmi alla terra<br />
e ai suoi frutti; ho capito, magari troppo tardi,<br />
che è una cosa che mi arricchisce più di<br />
altre, mi rende felice e mi dà il senso di una<br />
piena realizzazione. Quindi una cosa che<br />
non rifarei è… la Gang!!!<br />
23<br />
I dieci dischi che non<br />
abbandoneresti mai<br />
e porteresti sulla<br />
leggendaria isola deserta<br />
per sfuggire al mondo?<br />
In un’isola deserta si presuppone che non<br />
ci sia corrente elettrica, quindi l’unica cosa<br />
che porterei è la mia chitarra acustica Yairii<br />
11 corde e con quella suonerei le canzoni<br />
che mi va di cantare… quali? dipende<br />
dalla giornata, da come te la senti e te la<br />
passi.<br />
1. Clash: SANDINISTA<br />
2. Bob Dylan: BLONDE ON BLONDE<br />
3. Creedence Clearwater Revival:<br />
PENDULUM<br />
4. Who: THE KIDS ARE ALRIGHT<br />
5. U2: JOSHUA TREE<br />
6. Elvis Presley: ELVIS IN CONCERT<br />
7. Pearl Jam: NO CODE<br />
8. una raccolta di classici rock’n’roll<br />
9. una raccolta di classici rhythm’n’blues e<br />
soul e un best dei Gang… ancora da registrare…<br />
24<br />
I primi dischi che hai<br />
comprato?<br />
Erano dei 45 giri… li compravo<br />
in società con alcuni degli amici più<br />
cari: Jimi Hendrix, Rolling Stones, Beatles,<br />
Canned Heat, tutti i CCR. Una montagna<br />
di dischi soul e rhythm’n’blues, che non<br />
compravo ma ascoltavo a casa di Lucio<br />
Mazzoli, che mi ha insegnato a suonare la<br />
chitarra, e non solo.<br />
Il primo 33 giri lo comprò Sandro, MADE<br />
IN JAPAN dei Deep Purple, e di conseguenza<br />
acquistò a rate un giradischi. Fino<br />
ad allora io utilizzavo il mangiadischi di<br />
mia madre. Del resto a casa nostra era<br />
Sandro che comprava i dischi, io mi dedicavo<br />
ai libri. Da sempre è stata questa<br />
la divisione dei ruoli, si è mantenuta nel<br />
tempo e nel rispetto delle nostre vocazioni<br />
personali.<br />
25<br />
Il concerto vicino<br />
a “toccare il cielo”<br />
della tua vita, come<br />
artista e come ascoltatore?<br />
Come artista non saprei… non ce n’è uno in<br />
particolare, vivo sempre col fatto che sarà<br />
il prossimo.<br />
Spesso a farti ricordare un concerto sono<br />
le circostanze, il momento in cui li hai fatti,<br />
sono sempre del parere che un concerto<br />
non lo realizza solo il gruppo o “l’artista”<br />
ma tante condizioni, soprattutto il cosiddetto<br />
pubblico. Come ascoltatore, di sicuro<br />
i Clash a Bologna nel giugno dell’80, Patti<br />
Smith, sempre a Bologna nel settembre<br />
1979 ma anche Finardi a Parco Lambro<br />
nel ’76; sono tracce profonde, legate<br />
soprattutto a un periodo della mia vita,<br />
quando quei concerti hanno avuto un’influenza<br />
su di me maggiore che non altri in<br />
altri tempi.<br />
Se non dovessi tener conto di questo ti<br />
direi Peter Gabriel o David Byrne; vicino a<br />
toccare il cielo ricordo i concerti di Sun Ra<br />
o Don Cherry… molti anni fa…<br />
26<br />
Ci sono canzoni<br />
di altri che ti<br />
rappresentano<br />
pienamente fino a farti pensare<br />
“è ingiusto che non l’abbiano<br />
scritta i Gang”?<br />
Ce ne sono tante in cui mi specchio e riconosco<br />
una parte di me ma è giusto che<br />
l’abbia scritta un altro perché, magari, di<br />
quella mia parte non me ne sarei mai accorto;<br />
dell’altro, o degli altri, ho sempre<br />
avuto un disperato bisogno, da solo sto benissimo<br />
ma dopo un po’ m’annoio e solo a<br />
contatto con gli altri che mi scopro e rivelo<br />
limiti, difetti e pregi (pochi o non abbastanza).<br />
Il confronto con l’altro è l’unico mezzo<br />
per migliorarmi, che poi è la missione della<br />
vita, essere migliori, migliorarsi… e alla fine<br />
renderne conto a noi stessi per primi. Per<br />
esempio A Pa di De Gregori mi è sempre<br />
piaciuta tantissimo ma anche All Along<br />
The Watchtower di Dylan. Potrei continuare<br />
per molto. Ci sono alcune canzoni<br />
che ti danno l’idea della perfezione eppure<br />
sono incompiute, lasciano uno spiraglio al<br />
tuo sentimento e alla tua fantasia, come se<br />
t’invitassero a completare l’opera, dicendoti<br />
che hanno bisogno anche di te. Canzoni<br />
dove bellezza e utilità s’incontrano e<br />
diventano una cosa sola. In Il viaggiatore<br />
notturno di Maurizio Maggiani c’è Père<br />
Foucauld che dice una cosa affascinante e<br />
ha sempre suscitato la curiosità: “Quando<br />
l’utilità s’incontra con la bellezza allora ha a<br />
che fare con Dio”. La Pianura dei 7 fratelli è<br />
la canzone in cui sono riuscito a far incontrare<br />
utilità e bellezza, ma non so se questo<br />
abbia a che fare con Dio… so che quando la<br />
cantiamo insieme torniamo a essere una<br />
vera comunità.<br />
La musica è ormai considerata una merce<br />
come tutto il resto. Non dovrebbe essere<br />
un bene comune, un elemento di condivisione<br />
culturale?<br />
Hai detto giusto: dovrebbe! Questa è la<br />
domanda che richiede la risposta da “un<br />
milione di dollari”, ovvero la soluzione a<br />
tutti i mali odierni della musica. Io sono del<br />
parere che per andare avanti devi per forza<br />
tornare indietro. In questo caso tornare<br />
indietro significa rivedere i tanti momenti<br />
storici che la musica ha attraversato, gli<br />
sconvolgimenti e le trasformazioni che ha<br />
74
«LE VOCI CHE MI<br />
EMOZIONANO? DYLAN,<br />
HENDRIX, JAGGER,<br />
OTIS REDDING,<br />
JOE STRUMMER,<br />
ETTA JAMES, EDDIE<br />
VEDDER...»<br />
Due chitarre bastano<br />
per raccontare storie infinite.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 75
GANG<br />
subito. Comunque è sempre risorta, riuscendo<br />
a liberarsi e trovando una sua funzione<br />
e utilità, a essere nuovamente bella!<br />
C’è il libro di Byrne, già citato, che trovo illuminante<br />
e completo da questo punto di<br />
vista, perché scritto da chi vive la musica<br />
da dentro, da chi ha attraversato come protagonista<br />
la storia della musica negli ultimi<br />
30 anni. Proprio da Come funziona la<br />
musica, per rispondere alla tua domanda,<br />
prendo in prestito alcuni passi: “Cosa viene<br />
venduto e comprato? In passato la musica<br />
era qualcosa che si ascoltava e si viveva,<br />
era un evento sia acustico che sociale.<br />
Prima dell’apparizione della tecnologia di<br />
registrazione non era possibile separare<br />
la musica dal suo contesto. Era legata a<br />
funzioni sociali, era comunitaria e rivestiva<br />
una funzione pratica. Non era possibile<br />
portarsela a casa, copiarla, venderla come<br />
una merce e non potevi riascoltarla. Nel<br />
XX secolo la tecnologia cambiò lo scenario.<br />
La musica, o meglio i suoi manufatti<br />
registrati, finì per essere considerata un<br />
prodotto, una cosa che si poteva comprare,<br />
scambiare, riascoltare all’infinito e in ogni<br />
contesto. Tali cambiamenti rivoluzionarono<br />
la funzione e la fruizione della musica<br />
«SONO ORGOGLIOSO<br />
DELLA BELLEZZA<br />
CHE LE MIE CANZONI<br />
RIESCONO A FAR<br />
FIORIRE»<br />
MARINO SEVERINI<br />
trasformandola da oggetto di condivisione<br />
in oggetto di consumo. I nostri istinti però<br />
restano intatti… vorremmo sempre essere<br />
parte del nostro tessuto sociale. Siamo attratti<br />
dai concerti e dai locali, ci scambiamo<br />
musica a mano, costruiamo luoghi o templi<br />
dove quelli come noi possono ascoltare<br />
il nostro genere di musica, vogliamo sapere<br />
tutto dei nostri gruppi preferiti. Nella<br />
musica c’è qualcosa che ci spinge a confrontarci<br />
con il contesto più ampio in cui<br />
è inserita, al di là del pezzo di plastica con<br />
cui ci è arrivata. Tentare di limitare e impacchettare<br />
un’entità così mutevole e ingovernabile<br />
è un’impresa sostanzialmente<br />
vana. Molti, però, ci provano come i padroni<br />
della musica”. Noi, ovviamente, faremo<br />
di tutto per sconfiggerli anche stavolta,<br />
liberando la musica dal loro dio: il profitto!<br />
Mi piace finire tornando a SANGUE E<br />
CENERE, dove la conclusione è affidata<br />
a Mia figlia ha le ali leggere, che è una<br />
splendida ballata…<br />
Lo specchio, le canzoni sono soprattutto<br />
degli specchi dove riscopriamo noi stessi,<br />
la nostra essenza, una cosa che per molti<br />
di noi resta difficile o impossibile provare<br />
nel rutilante arco dei giorni di una vita.<br />
Molte volte le nostre relazioni soffocano e<br />
ammutoliscono la nostra essenza. Il rapporto<br />
con i figli dovrebbe invece svegliare<br />
in noi questa parte che per troppo tempo<br />
ci resta sconosciuta o incosciente; una<br />
carezza data a mia figlia e anche un invito<br />
a darla ai tanti amici e compagni che<br />
hanno figli. La mia si chiama Clara e da<br />
quando è nata ho scoperto un’altra vita,<br />
una parte di me fino a pochi anni fa inedita,<br />
posso dire che è stata una vera… benedizione.<br />
Senza di lei sarei sicuramente un<br />
altro, quindi con questa canzone ho voluto<br />
“raccontare” quello che mi è successo<br />
negli ultimi 15 anni. Del resto se fossi un<br />
muratore avrei costruito casa per mia figlia,<br />
se fossi un falegname le avrei fatto<br />
tutti i mobili, ma scrivo canzoni, quindi<br />
m’è andata bene!!!<br />
Siamo arrivati alla fine<br />
del viaggio... per ora...<br />
76
Procol Harum<br />
50 anni di musica<br />
I PROCOL HARUM<br />
POSSONO ESSERE<br />
CONSIDERATI COME LA<br />
PRIMA BAND DI ROCK<br />
PROGRESSIVO AVENDO,<br />
CON I MOODY BLUES,<br />
ADDIRITTURA ANTICIPATO<br />
IL SERGEANT PEPPER DEI<br />
BEATLES, DISCO RITENUTO<br />
DA BUONA PARTE DELLA<br />
CRITICA COME UNO DEI<br />
PRIMI ESEMPI DEL GENERE.<br />
testo: Franco Vassia<br />
allavamo il fandango<br />
volteggiando sul pavimento<br />
/ Mi sentivo il<br />
mal di mare ma la folla<br />
gridava ‘ancora!’ / Nella stanza il mormorio<br />
stava diventando insopportabile fino a<br />
quando il soffitto non scomparì ai nostri<br />
occhi. / Quando chiedemmo nuovamente<br />
da bere, il cameriere portò un vassoio. / E<br />
fu così che poi, mentre il mugnaio raccontava<br />
la sua storia, / il viso di lei, dapprima<br />
spettrale come quello di un fantasma, divenne<br />
ancora più pallido. / Lei disse: ‘Non<br />
c’è nessuna ragione e la verità è facile da<br />
vedere’. / Ma io mi perdevo tra le mie carte<br />
da gioco / e non volevo che lei fosse una<br />
delle sedici vestali vergini / che stavano<br />
per partire per la Costa. / E per quanto<br />
tenessi gli occhi bene aperti avrebbero<br />
potuto benissimo essere chiusi. / E fu così<br />
che poi, mentre il mugnaio raccontava la<br />
sua storia, / il viso di lei, dapprima spettrale<br />
come quello di un fantasma, / divenne<br />
ancora più pallido”. Da A Whiter Shade<br />
Of Pale (pubblicato il 12 maggio 1967 –<br />
registrato il 29 marzo del medesimo anno<br />
agli Olympic Studios di Londra: Beatles,<br />
Jimi Hendrix, Rolling Stones, Led Zeppelin,<br />
Yardbirds, Who, Queen, The Small<br />
Faces, Traffic, Hawkwind, The Moody<br />
Blues, Deep Purple, Van Morrison, Peter<br />
Gabriel, Jesus Christ Superstar, The Rocky<br />
Horror Picture Show).<br />
Gary Brooker (classe 1945, pianista, cantante<br />
in possesso di una voce roca e profondamente<br />
emozionante, compositore<br />
principale del gruppo), Keith Reid (classe<br />
1946, visionario paroliere che molto contribuì<br />
alla “stranezza” del gruppo) e Matthew<br />
Charles Fisher (classe 1946, hammondista<br />
dallo stile classicheggiante)<br />
sono gli elementi distintivi dei primi tre album<br />
dei Procol Harum, poi Fisher abbandona<br />
dopo la pubblicazione di A SALTY<br />
DOG nel 1969. Il 45 giri A Whiter Shade Of<br />
Pale fa parte del ristretto club di quelli che<br />
hanno venduto più di 10 milioni di copie.<br />
Gary Brooker, l’anima del gruppo inglese,<br />
ci racconta un po’ di storie senza tempo…<br />
Sia A Whiter Shade Of Pale (diventata<br />
Senza luce nelle versioni italiane, la più<br />
conosciuta quella dei Dik Dik) che Homburg<br />
(L’ora dell’amore per i Camaleonti),<br />
e più ancora Repent Walpurgis (Fortuna<br />
in un 45 giri per gli stessi Procol Harum),<br />
Shine On Brightly (Il tuo diamante, facciata<br />
A del 45 giri appena citato), A Salty<br />
Dog, Grand Hotel, In Held Twas In I,<br />
erano delle vere e proprie mini suite di<br />
profondo stampo classicheggiante dove<br />
si avvertiva l’amore per la musica colta e<br />
per Bach.<br />
A Whiter Shade Of Pale è, ovviamente,<br />
influenzata da Bach; Homburg, invece, è<br />
una canzone diversa e rappresenta i Procol<br />
Harum nel momento in cui stavano<br />
tracciando un percorso piuttosto personale.<br />
A Salty Dog, un po’ per colpa della<br />
sua struttura armonica, che comunque<br />
richiedeva la sezione d’archi a gran voce,<br />
ha un suono molto più romantico e, per<br />
questo, direi che è il pezzo più classico<br />
in assoluto. Per quanto riguarda il primo<br />
gruppo di progressive… be’, forse direi di sì.<br />
Chi altro faceva il progressive all’epoca?<br />
Se non sbaglio, mi sembra di ricordare i<br />
Nice di Keith Emerson. Lui conosceva la<br />
musica classica e suonava in un trio molto<br />
rumoroso e spettacolare. Usavano la<br />
classica, questo sì. Noi, comunque, la utilizzammo<br />
ancora prima dei Moody Blues<br />
e, sicuramente, molto prima dei Deep<br />
Purple nel momento in cui suonarono con<br />
un’orchestra intera. Abbiamo anticipato il<br />
SGT. PEPPER’S? È vero! Quando uscì noi<br />
eravamo già al secondo disco, SHINE ON<br />
BRIGHTLY, che non era una risposta a<br />
quell’album ma un lavoro compiuto che<br />
conteneva In Held Twas In I, una vera<br />
A lato: alcune immagini<br />
da libretti interni, 45,<br />
album, biglietti concerti<br />
e antologie.<br />
78
suite. Repent Walpurgis, invece, era opera<br />
esclusiva di Matthew Fisher. Aveva un<br />
giro ripetitivo di quattro accordi, anche se<br />
bello. Ricordo di aver chiesto a Matthew di<br />
potervi aggiungere qualcos’altro di diverso.<br />
Così, ho suonato un estratto del Preludio<br />
n. 1 in mi, sul tessuto del quale, poi,<br />
ritorna ancora la chitarra.<br />
Con il vostro singolo d’esordio, verso la<br />
fine degli anni 60, avete letteralmente<br />
rivoluzionato il modo di fare musica. Il<br />
beat ingenuo del primo periodo si stava<br />
allargando a dismisura fino a diventare<br />
un genere nuovissimo: dai Vanilla Fudge<br />
in America ai Wallace Collection in Belgio,<br />
fino ad arrivare poi, verso la fine del<br />
decennio, ai King Crimson, ai Genesis, ai<br />
Renaissance…<br />
E Bob Dylan? Anche se non propriamente<br />
nella musica, i suoi testi stavano aprendo<br />
le porte del pop molto prima di noi. Sei<br />
l’unica persona che pensa che siamo stati<br />
noi a spianare la strada ai Genesis… l’altra<br />
che potrebbe dirlo è… Peter Gabriel.<br />
Ricordo che la prima volta che ho ascoltato<br />
Seven Stones dei Genesis mi è parso<br />
di vedere un tastierista vestito da mandarino<br />
cinese…<br />
Che canzone è? Seven Stones? È su uno<br />
degli ultimi dischi?<br />
«QUAL È<br />
IL SEGRETO<br />
DEI PROCOL HARUM?<br />
QUELLO DI NON<br />
ARRENDERSI<br />
MAI!»<br />
GARY BROOKER<br />
No. È un brano di NURSERY CRYME…<br />
pubblicato nel novembre 1971.<br />
Ho sentito molte delle loro canzoni e parecchie<br />
erano simili alle nostre al punto<br />
che, in qualche occasione, mi ero anche<br />
chiesto se fosse possibile citarli per plagio.<br />
Non conosco i titoli, però. Più seriamente:<br />
non penso che la gente sia dedita a copiare,<br />
credo piuttosto che lo faccia in modo<br />
inconscio.<br />
È comunque singolare come il vostro<br />
modo di scrivere le canzoni (reclutando<br />
per i testi un personaggio come Keith<br />
Reid, praticamente esterno alla band)<br />
sia stato preso ad esempio anche dai<br />
King Crimson con il paroliere Pete Sinfield.<br />
In campo rock sembrò quasi una<br />
rivoluzione.<br />
Prima abbiamo parlato di Bob Dylan, per<br />
La band sul finire degli anni<br />
60 è ai massimi livelli<br />
di popolarità.
PROCOL HARUM<br />
«I CATTIVONI DELLE CASE DISCOGRAFICHE<br />
SONO QUASI RIUSCITI A UCCIDERE<br />
LA MUSICA. QUANDO NON CI SARANNO<br />
PIÙ QUELLI DELLA NOSTRA GENERAZIONE<br />
CHI RIMARRÀ? BRITNEY SPEARS?»<br />
GARY BROOKER<br />
Hanno proprio detto “al mondo!”.<br />
Quando sei giovane (a quell’epoca avecui<br />
devi ricordarti che, almeno fino al<br />
1967-68, i testi delle canzoni non avevano<br />
una grande importanza. Sono comunque<br />
convinto che un testo non deve<br />
avere una rilevanza superiore alla musica<br />
perché, altrimenti, nella canzone<br />
c’è qualcosa che non funziona. In quel<br />
periodo si cominciò a sperimentare, ad<br />
esplorare nuovi territori. È stato introdotto<br />
il mistero, la psichedelia, molto<br />
spesso derivata dall’uso di sostanze<br />
stupefacenti. All’epoca c’era una dipendenza<br />
fin troppo diffusa dalle droghe.<br />
Ricordo come finii per lavorare con Pete<br />
Sinfield: un giorno lo trovai in fondo al<br />
mio giardino, era diventato, in pratica,<br />
un mio vicino di casa! Un ragazzo sve-<br />
Da sinistra: BJ Wilson,<br />
Dave Knights, Gary Brooker,<br />
Matthew Fisher, Robin<br />
Trower.<br />
glio, ovviamente, ma non quanto Keith!<br />
Approntò i testi per cinque canzoni che<br />
avevo scritto per NO MORE FEAR OF<br />
FLYING, mio album solista del 1979.<br />
La tua prima esperienza con i Raiders e<br />
poi con i Paramounts aveva, però, rivelato<br />
un amore alquanto diverso, quasi<br />
un’infatuazione per il rhythm’n’blues,<br />
tanto da venire considerati dai Rolling<br />
Stones come la più grande band bianca<br />
del mondo…<br />
Forse [sorridendo…] intendevano dire di<br />
Dover…<br />
vo circa 16 anni), cerchi d’imparare quel<br />
che più ti piace e che devi fare, cantare<br />
oppure suonare uno strumento. Noi imparavamo.<br />
Se non hai voglia di studiare<br />
seriamente allora devi rifarti ai tuoi idoli<br />
e, cioè, copiare. Cerchi di essere Ray<br />
Charles anche se nessuno può imitare<br />
Ray Charles, perché è unico. Mick Jagger,<br />
anche se non propriamente, era<br />
quasi diventato un nuovo Chuck Berry.<br />
Io stavo cercando di cantare senza dover<br />
imitare James Brown. In fondo era<br />
soltanto una questione di sound. Però,<br />
in nessuno modo volevamo somigliare<br />
a loro. I Rolling Stones, più o meno,<br />
cominciarono nello stesso periodo. Se<br />
ascolti attentamente, puoi renderti conto<br />
che, ai tempi, Mick Jagger non stava<br />
cantando: stava cercando d’interpretare!<br />
Non era lui! Fortunatamente, quando<br />
iniziammo l’avventura, noi avevamo già<br />
superato questa fase e io ero soltanto<br />
me stesso. Non c’era più solamente l’influenza<br />
del rhythm’n’blues americano…<br />
anche l’amore per la musica classica, per<br />
il jazz di Charlie Mingus e per il folk.<br />
Anche perché il gruppo aveva dimostrato<br />
di possedere una notevole duttilità: è<br />
vero che i Beatles e gli Stones hanno segnato<br />
i tempi e la storia della musica, ma<br />
credo però che uno dei meriti maggiori<br />
dei Procol Harum sia stato proprio quello
PROCOL HARUM<br />
L’eccentrico<br />
abbigliamento<br />
ha contraddistinto<br />
i PH nei primi anni<br />
di carriera.<br />
di essersi collocati a cavallo dei generi,<br />
senza necessariamente subire la dipendenza<br />
delle due band. Non dovendo sottostare<br />
a delle regole precise hanno potuto<br />
rigenerare e caratterizzare quel che<br />
c’era in giro…<br />
Gli Stones hanno cominciato a registrare<br />
nel 1964 mentre noi, come Procol Harum,<br />
soltanto nel 1967. Quindi, prima di affrontare<br />
il pubblico, abbiamo avuto tre o quattro<br />
anni in più per evolverci.<br />
Pur avendo personalità dogmatiche di<br />
grande spessore (Lennon & McCartney,<br />
Jagger & Richards) Beatles e Stones<br />
hanno sempre rappresentato al meglio<br />
il concetto del gruppo, della band. I<br />
Procol Harum, invece, sono stati spesso<br />
identificati come un laboratorio quasi<br />
personale di Gary Brooker, allargato<br />
a Keith Reid soltanto per la versatilità<br />
con cui sapeva costruire i testi. Le notizie<br />
che trapelavano facevano piuttosto<br />
supporre l’esistenza di un supergruppo<br />
aperto alle necessità e alle più disparate<br />
esperienze. Anche nel modo di presentarsi<br />
(meno estetici e più intellettuali),<br />
alquanto inusuale per l’epoca, aveva alcune<br />
attinenze che rimandavano direttamente<br />
al progetto iniziale dei Velvet<br />
Underground.<br />
È vero! Sperimentavamo con le canzoni,<br />
sapevamo il tipo di suono che volevamo<br />
e conoscevamo molto bene gli strumenti.<br />
Vestirmi da “mandarino” era solo un<br />
modo per sembrare un po’ diverso. In realtà,<br />
non seguivo nessuna moda. Volevamo<br />
due tastiere, una cosa molto insolita<br />
per l’epoca e, infatti, impiegammo un po’<br />
di tempo per trovare le persone giuste.<br />
Non trovammo uno stile realmente personale<br />
fino al secondo album.<br />
Oltre ad aver fatto saltare i canali tradizionali<br />
delle classifiche di vendita (in<br />
genere i requisiti richiesti a un successo<br />
commerciale devono essere piuttosto<br />
banali mentre A Whiter Shade Of Pale<br />
è forse il primo esempio commerciale<br />
dotato di un notevole spessore culturale),<br />
i Procol Harum, proprio dal secondo<br />
album, hanno dimostrato di possedere<br />
anime alquanto variegate. Oltre alla<br />
passione per la musica nera e per quella<br />
classica emergeva anche una nuova infatuazione,<br />
più marcata e quasi hard,<br />
riconducibile alla chitarra di Robin<br />
Trower, che trova il suo massimo splendore<br />
nelle asperità dell’album BROKEN<br />
BARRICADES del 1971…<br />
In quel disco eravamo in quattro, non<br />
più in cinque. Il lavoro precedente stava<br />
andando in una direzione differente<br />
e BROKEN BARRICADES, alla fine, fu<br />
un lavoro “pieno” di chitarra, con grandi<br />
assoli, completamente diverso da<br />
quello che avevamo fatto fino ad allora.<br />
In A Whiter Shade Of Pale la chitarra è<br />
completamente assente! Quel gruppo<br />
avrebbe potuto escogitare un’altra A<br />
Whiter Shade Of Pale e, in effetti, con<br />
Homburg, c’è quasi riuscita. Allora non<br />
c’era molto spazio per Robin Trower e la<br />
sua chitarra…<br />
Qual è il segreto dei Procol Harum se ancora<br />
oggi non si avvertono segni di cedimento?<br />
Quello di non arrendersi mai…<br />
A Whiter Shade Of Pale è una delle canzoni<br />
preferite dai nostri registi: è stata<br />
usata nella colonna sonora della pellicola<br />
I cento passi di Marco Tullio Giordana<br />
nella scena più emotiva del racconto,<br />
quella del funerale. È il culmine della storia,<br />
una delle migliori degli ultimi anni. E<br />
poi in Denti di Gabriele Salvatores e, prima<br />
ancora, da Martin Scorsese in un film<br />
a episodi.<br />
Sì, anche Martin Scorsese, in New York<br />
Stories. Sono sempre gli italiani a utilizzarla<br />
[ride]. Molte canzoni sono visive<br />
e, per via dei testi e delle atmosfere, si<br />
prestano a essere perfette per le colonne<br />
sonore. Si potrebbe fare un film per ogni<br />
canzone: suppongo che, all’epoca, sia<br />
stato un peccato non aver fatto in tempo<br />
a realizzare dei video. Comunque, anch’io<br />
ho assistito a funerali dove veniva suonata<br />
A Whiter Shade Of Pale anche se, personalmente,<br />
la ritengo più una canzone<br />
adatta ai matrimoni!<br />
Com’è la salute della musica di questi<br />
tempi?<br />
I “cattivoni” delle case discografiche sono<br />
quasi riusciti a uccidere la musica e, in<br />
realtà, sono un po’ preoccupato. John Lennon<br />
diceva che la musica era morta. Noi<br />
riusciamo a fare le nostre cose, registrare<br />
i dischi e suonare in giro. Voi potete ascoltarci.<br />
Quando non ci saranno più quelli<br />
della nostra generazione chi rimarrà? Britney<br />
Spears? È la vita, suppongo. Chi continuerà?<br />
Ma, intanto, davanti a noi abbiamo<br />
ancora qualche anno per suonare!<br />
Variazioni sul tema A Whiter<br />
Shade Of Pale, tra antologie<br />
e 45 giri italiani.<br />
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Dedicato a Gianmaria Testa (Cavallermaggiore,<br />
17 ottobre 1958 – Alba, 30 marzo 2016)<br />
testo: Franco Vassia<br />
passino attraverso le cose estremamente<br />
semplici. Quando scrivo mi sforzo di andare<br />
il più possibile verso la semplicità,<br />
al limite dell’ermetismo. Hanno definito<br />
ermetica la poesia di Ungaretti ma se<br />
pensi alla poetica di Soldati (“Si sta come<br />
d’autunno sugli alberi le foglie”), ti rendi<br />
conto di quanto sia evidentissima. Semplicissima.<br />
Chiara. Estremamente poetica<br />
perché lascia spazio d’immaginazione<br />
in modo che ognuno possa poi interpretarla<br />
come vuole”. Il lavoro di Gianmaria<br />
come capostazione a Cuneo, le continue<br />
aspettative, i numerosi rientri fino<br />
all’abbandono definitivo. Troppo ampia<br />
e larga la strada bianca di Luigi Tenco<br />
per non correre dietro al sogno.<br />
“Ho fatto il mio primo disco a trentacinque<br />
anni perché, prima, le<br />
mie canzoni non interessavano<br />
a nessuno. Ma non per questo<br />
erano per me meno importanti.<br />
Le ho inviate a divera<br />
figura del cantautore, nell’immaginario<br />
collettivo, è quasi<br />
sempre legata ai poeti e agli<br />
scrittori. Un legame a doppio<br />
filo poiché, con loro, condividono il suono<br />
della parola, l’ideologia sociale e politica,<br />
il dramma che affligge i poveri e i diseredati<br />
e, come i poeti – “perché accarezzano<br />
troppo le gobbe, amano l’odore delle armi<br />
e odiano la fine della giornata (Claudio<br />
Lolli)” – fanno paura. Anche se non apparteneva<br />
al periodo cosiddetto storico d’oro,<br />
quello degli anni 70, Gianmaria Testa era<br />
uno di loro, un partigiano che caricava le<br />
sue armi con la musica e divorava letture<br />
classiche.<br />
“Avevo quattordici anni quando ho letto<br />
La luna e i falò di Cesare Pavese. Il mio<br />
primo libro è stato quello. Soltanto qualche<br />
tempo dopo è arrivato La malora, di<br />
Beppe Fenoglio, e ricordo di aver pensato:<br />
parlano entrambi nello stesso modo! Per<br />
un certo periodo ho anche pensato che<br />
Fenoglio avesse copiato Pavese. Poi, rileggendoli,<br />
mi sono accorto anni dopo di<br />
quanto fosse stupido quel pensiero. Nel<br />
senso che radici comuni possono farti utilizzare<br />
un linguaggio che ti è proprio – e<br />
che somiglia moltissimo a quelli che hanno<br />
le tue stesse radici – ma per dire delle<br />
cose diverse”.<br />
E che Gianmaria Testa facesse cose diverse<br />
lo testimoniano perfettamente i suoi<br />
primi due album, MONTGOLFIÈRES del<br />
1995 ed EXTRA-MUROS, uscito l’anno<br />
dopo ma, curiosamente, su etichette francesi.<br />
Due lavori straordinari, che profumano<br />
di Piemonte, di terra scura, di pane<br />
e di vino. Un pugno di canzoni che, simili<br />
a una lama, s’immergono nel cuore come<br />
Le traiettorie delle mongolfiere: “Lasciano<br />
tracce impercettibili le traiettorie delle<br />
mongolfiere e l’uomo che sorveglia il cielo<br />
non scioglie la matassa del volo e non<br />
distingue più l’inizio sopra gli ormeggi e<br />
la zavorra” e, soprattutto, la struggente<br />
La ca sla colin-a (La casa sulla collina) in<br />
dialetto piemontese: “Mio padre faceva il<br />
muratore, è morto ancora sporco di calce,<br />
l’ha costruita lui la casa sulla collina… per<br />
quattro signori. La casa sulla collina è bella,<br />
Maria la guarda e dice: non potrò mai<br />
comprarla, per i poveri non c’è il paradiso”.<br />
Frasi di grande semplicità e odoranti di<br />
vita agra, di campi, di vento e di fieno.<br />
“Credo che le piccole verità di ognuno<br />
Nel corso del tempo gli<br />
album di Testa hanno<br />
incontrato sempre più<br />
consensi, pur non cercando<br />
compromessi.<br />
84
«HO FATTO<br />
IL MIO PRIMO DISCO<br />
A TRENTACINQUE<br />
ANNI PERCHÉ, PRIMA,<br />
LE MIE CANZONI<br />
NON INTERESSAVANO<br />
A NESSUNO»<br />
GIANMARIA<br />
TESTA<br />
se case discografiche ma sembrava che<br />
non funzionassero mai, che non andassero<br />
mai abbastanza bene. Bisognava<br />
sempre cambiare qualcosa e io – ma non<br />
per presunzione – non le ho cambiate…<br />
perché, quel che volevano, era togliermi<br />
degli aspetti fondamentali, soprattutto<br />
quella cosa che può essere definita come<br />
la mia libertà espressiva”.<br />
La svolta, per Gianmaria, si aprì appena<br />
al di là del crinale delle Alpi piemontesi.<br />
La terra di Francia mostrava colori smaglianti<br />
e una sensibilità che la nostra società<br />
aveva da tempo perduto.<br />
“La mia grande fortuna è stata quella di<br />
incontrare una produttrice che amava<br />
quel che facevo e quindi la Label Bleu,<br />
un’etichetta francese che mi ha mandato<br />
in studio senza che avessi mai inciso un<br />
disco. Non mi hanno chiesto né imposto<br />
nulla, tranne dirmi, semplicemente, fai<br />
quel che hai voglia di fare. Una fortuna che<br />
non capita a tutti e, se ti capita, succede<br />
una sola volta nella vita. Non si tratta neppure<br />
di bravura ma soltanto di arrivare in<br />
un momento particolare dove c’è qualcuno<br />
disposto ad ascoltarti”. In realtà, qualche<br />
piccolo successo Gianmaria lo aveva<br />
già ottenuto anche in Italia nel momento<br />
in cui, a cadenza annuale, aveva inviato<br />
al Festival di Recanati due musicassette<br />
vincendo a mani basse le edizioni del<br />
1993 e del 1994. Un piccolo incendio, comunque<br />
invisibile ai clamori di quel che<br />
il mercato musicale tendeva da decenni<br />
a far ingoiare. Un Paese non molto dissimile<br />
dall’infernale laboratorio del dottor<br />
Frankenstein dove – come nel romanzo<br />
di Mary Shelley – gli artisti, o presunti<br />
tali, vengono creati scientificamente, eliminando<br />
loro chili di grasso e brufoli ma<br />
agghindandoli come garruli pagliacci in<br />
lista d’attesa per la fiera delle vanità. Agli<br />
artisti veri non vengono lasciate neppure<br />
le briciole, negando promozione, apparizioni<br />
televisive e passaggi radiofonici.<br />
“Ho sempre amato coloro che hanno conservato<br />
e mantenuto la dignità della canzone,<br />
che è una cosa estremamente popolare<br />
ma altrettanto dignitosa. È una delle<br />
forme di comunicazione tra le più usate<br />
e ascoltate. La canzone avvicina la gente<br />
molto più della poesia, anche se, fra cinquant’anni,<br />
resteranno nei libri scolastici<br />
molte poesie e pochissime canzoni. Mi<br />
sono sempre piaciuti quelli che, mantenendone<br />
la dignità, riescono a creare una<br />
specie di alchimia fra parole e musica”.<br />
Un mondo, quello di Gianmaria, popolato<br />
non soltanto di note e di parole ma intriso<br />
nelle arti più disparate, che oltrepassano<br />
la letteratura per arrivare a carpire anche i<br />
segreti più reconditi della pittura.<br />
“Fare cose originali e al contempo schifose<br />
– oppure molto avanguardiste ma che<br />
non dicono nulla a nessuno – credo non<br />
serva assolutamente. Per fortuna ci sono<br />
artisti veri, quelli che, precorrendo i tempi,<br />
fanno capire a noi comuni mortali cose<br />
che altrimenti non avremmo compreso.<br />
Osservando i Girasoli di Van Gogh ho realizzato<br />
quale fosse il mio immaginario<br />
che, poi, era anche il suo. Me lo ha fatto<br />
capire lui, con le sue macchie di giallo.<br />
Basta guardare il campo di girasoli per<br />
perderti e poi chiudere gli occhi”.<br />
L’ombra lunga francese, col tempo, ne<br />
oltrepassò i confini dilatandosi nei cieli<br />
d’Europa per spingersi fino in America:<br />
concerti in Francia, Italia, Germania, Austria,<br />
Belgio, Portogallo, Olanda, Canada<br />
e Stati Uniti; numerose serate sold out<br />
all’Olympia di Parigi e finalmente, a cominciare<br />
da «Le Monde», tanti articoli sui<br />
principali quotidiani del mondo riguardo<br />
la sua capacità di creare un feeling particolare<br />
con il proprio pubblico. Una carica<br />
intimista talmente profonda da superare<br />
ogni difficoltà linguistica.<br />
“Questa è una delle cose che ho apprez-<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 85
GIANMARIA TESTA<br />
«QUANDO SCRIVO MI<br />
SFORZO DI ANDARE IL<br />
PIÙ POSSIBILE VERSO LA<br />
SEMPLICITÀ, AL LIMITE<br />
DELL’ERMETISMO»<br />
GIANMARIA TESTA<br />
zato di più e, devo dire, è successa in tutti<br />
i concerti, sia in Francia che in Canada,<br />
dove la gente neppure conosce la lingua<br />
italiana. Perché la gente capisce se gli stai<br />
raccontando delle balle oppure, anche se<br />
non condivisibile, sei lì a raccontare la tua<br />
verità. È questo che fa la differenza. Nel<br />
momento in cui, salendo sul palco, lo facessi<br />
soltanto per mestiere, non sarebbe<br />
più interessante. Quando hai l’appuntamento<br />
con il tuo concerto, devi essere lì…<br />
senza bluffare. Quando sei sul palco, le<br />
canzoni devono essere sufficientemente<br />
forti e in grado di portarti verso quelle<br />
stesse emozioni che le hanno generate.<br />
Questo la gente lo sa e capisce che non la<br />
stai prendendo in giro. Questo vale molto<br />
più di un concerto quasi perfetto e senza<br />
alcuna stonatura”.<br />
L’evoluzione artistica di Gianmaria Testa<br />
fu talmente profonda da proiettarlo finalmente<br />
tra i grandi autori del nostro cantautorato.<br />
Anche l’Italia, nel 2000, prende atto della<br />
sua esistenza pubblicando IL VALZER DI<br />
UN GIORNO, il suo primo disco in terra<br />
natia con una presentazione di Paolo De<br />
Bernardin: “Tre album, dal 1995 ad oggi<br />
che restituiscono adesso quelle canzoni<br />
dalle pieghe dell’uso e fanno indossar<br />
loro abiti stirati e profumati di lavanda.<br />
Sono più piccole senza essere smagrite.<br />
Sono più tenere senza aver perduto un<br />
centimetro di dolcezza. Si raccolgono nel<br />
palmo della mano. E stanno lì, in un taschino,<br />
dalla parte del cuore”. Un album<br />
che, tra qualche inedito e alcuni brani<br />
già pubblicati nei precedenti, lascia<br />
scorrere libera la sua poesia: “Le donne<br />
nelle stazioni, e certe gonne come<br />
aquiloni nelle tempeste, scure eleganze<br />
da cormorani, ombre di rosso<br />
sopra i capelli e sulle mani”.<br />
Un’azione di recupero che si ripete con<br />
LAMPO (che, curiosamente, è datato un<br />
anno prima). Anche qui, insieme al calore<br />
di una voce sempre più matura e carismatica,<br />
le parole assumono un aspetto<br />
ancora più austero tanto da dedicare un<br />
pensiero cupo anche alla morte. A Beppe<br />
Fenoglio, uno dei suoi autori prediletti che<br />
della morte ne rincorreva l’olézzo (“Se si<br />
sfrega a lungo e fortemente le dita di una<br />
mano sul dorso dell’altra e poi si annusa la<br />
pelle, l’odore che si sente, quello è l’odore<br />
della morte. Carlo lo aveva imparato fin<br />
da piccolo, forse dai discorsi di sua madre<br />
con le altre donne del cortile, o più probabilmente<br />
in quelle adunate di ragazzini<br />
nelle notti estive, nel tempo che sta tra<br />
l’ultimo gioco e il primo lavoro”), Gianmaria<br />
risponde con altrettanta lucidità:<br />
“È così corta la vita quando si corre dietro<br />
un amore, chissà se ho stretto abbastanza<br />
forte la fortuna al cuore, se ti ho stretta<br />
abbastanza fra le mie braccia. La morte,<br />
è strano, arriva per caso: l’orchestra tace,<br />
l’arena è delusa, io sono contento, perduto<br />
nei tuoi occhi”.<br />
Tre anni dopo, con ALTRE LATITUDINI,<br />
Gianmaria Testa è un autore affermato al<br />
punto da incuriosire e affascinare anche<br />
gli scrittori più smaliziati: “Profumo di<br />
balli di una volta la tua canzone di oggi.<br />
Uomo e donna accostano gli zigomi per<br />
fingere di dirsi una parola, si odorano i<br />
capelli, accostano il respiro alla curva del<br />
collo. I balli di una volta permettevano abbracci<br />
con la scusa di una danza in pista”<br />
(Erri De Luca). E testi che, ancora una volta,<br />
arrivano direttamente nelle stazioni<br />
del cuore: “Ancora un attimo e sarai<br />
come la pioggia che lava i marciapiedi<br />
e a noi scivola in faccia; soltanto un<br />
attimo e sarai come la pioggia per un<br />
amore di sabbia”.<br />
Altri tre anni di lavoro e di concerti<br />
per arrivare al suo massimo capolavoro.<br />
Se la poesia di Pavese e di<br />
Fenoglio cominciavano a segnare<br />
il passo fino a essere quasi relegate<br />
nell’ombra, Gianmaria si apriva<br />
a nuove tematiche indirizzate soprattutto<br />
a un mondo che lo aveva<br />
sempre incuriosito e amato:<br />
quello dei disperati e dei reietti,<br />
rifiuti umani per un mondo<br />
incolto e incivile. Con grande<br />
anticipo sui tempi aveva<br />
colto quello che, in capo<br />
a qualche anno, sarebbe<br />
Il cantautore guarda<br />
con affetto i suoi album,<br />
che ama nello stesso modo.<br />
86
GIANMARIA TESTA<br />
diventato il dramma disperato della migrazione.<br />
Interi popoli, soggiogati dalle<br />
guerre e dalla miseria, sfidando la morte<br />
e il deserto arrivavano al mare in cerca<br />
di un domani irrimediabilmente perduto.<br />
DA QUESTA PARTE DEL MARE era il<br />
sermone di un profeta, l’urlo di un uomo<br />
che aveva già previsto il futuro: “Siamo<br />
partiti in due da qualche porto del Nord<br />
Africa, clandestini nascosti nella stiva di<br />
un cargo. A due terzi del viaggio li hanno<br />
scoperti e buttati in mare. Li ha raccolti un<br />
peschereccio nell’alto Adriatico. Nessun<br />
tipo di soccorso a bordo. Li hanno scaricati<br />
come zavorra dentro un gommone attraccato<br />
a duecento metri da una spiaggia<br />
di Puglia. Quando li hanno portati a riva,<br />
per uno di loro non c’è stato più niente da<br />
fare. L’altro, dopo, ha raccontato. Erano i<br />
primi anni 90. Non ho scritto per loro. Non<br />
ne sarei capace. Ho scritto per me e per<br />
quelli che, come me, stanno da questa<br />
parte del mare”.<br />
Premiato con la Targa Tenco 2007 come<br />
miglior album dell’anno, DA QUESTA<br />
PARTE DEL MARE è la sua opera più<br />
matura: “Ma sono già stato qui, forse in<br />
un altro incanto, ma sono già stato qui e<br />
misuravo il passo che è meglio non far rumore<br />
quando si arriva, forestieri al caso di<br />
un’altra sponda, dal mare che ti rovescia<br />
come una deriva, dal mare severo che pulisce<br />
l’onda. E sono venuto qui tornando<br />
sul mio passo. Sono venuto qui a ritrovar<br />
l’incanto, l’incanto di quegli occhi neri di<br />
sabbia e sale, occhi negati alla paura e<br />
al pianto, occhi dischiusi come per me<br />
soltanto, rifugio al delirio freddo dell’attraversare,<br />
occhi che ancora mi sento accanto”.<br />
Un lavoro che, oltre a portarlo nei<br />
più grandi teatri del mondo, lo proietta in<br />
altre direzioni e in progetti paralleli. Una<br />
maturazione continua che, pur non tralasciando<br />
la vena folk, lo spinge verso il racconto,<br />
il teatro e atmosfere orientate maggiormente<br />
verso il jazz, un’isola musicale<br />
condivisa con i più grandi musicisti del<br />
settore, da Gabriele Mirabassi a Enzo Pietropaoli,<br />
da Paolo Fresu a Rita Marcotulli,<br />
da Riccardo Tesi a Enrico Rava, da Mario<br />
Brunello a Fausto Mesolella, da Stefano<br />
Bollani a Bill Frisell, da Philippe Garcia a<br />
Greg Cohen.<br />
Nel 2009 è la volta di SOLO – DAL VIVO:<br />
“Quelli come me incominciano da<br />
soli a battagliare una chitarra. Finché<br />
il legno si svernicia e le dita<br />
si scavano di corde”. Registrato<br />
all’Auditorium di Roma, l’album<br />
raccoglie il meglio della sua produzione<br />
con un inedito che rimanda<br />
all’ermetismo caro a Ungaretti:<br />
“Questa notte non sarebbero canzoni,<br />
questa notte passerebbe di<br />
per sé, come al cielo gli aeroplani,<br />
come i sogni che non so” (Come al<br />
cielo gli aeroplani).<br />
VITAMIA, del 2011, è l’ultimo<br />
disco d’inediti e rappresenta,<br />
soprattutto in 20 mila leghe<br />
(in fondo al mare), quasi l’idea<br />
ipotetica di un viaggio. Il<br />
capostazione di Cuneo che,<br />
guardando i treni, sognava<br />
aerei, aquiloni e navi è ormai<br />
uno cantautore acclamato ma<br />
non dimentica gli amici, tanto<br />
da dedicare a Erri De Luca<br />
la splendida 18 mila giorni:<br />
“Ci sono stati giorni, Vitamia,<br />
che tutto aveva un nome e di<br />
quel nome qualche voce si<br />
prendeva libertà e giorni così bianchi<br />
di parole accese da non poterti dire<br />
come. Tu trovameli adesso, Vitamia,<br />
trovali, portameli qua e giorni così<br />
bianchi di finestre accese e di parole<br />
nuove. Tu cercali, Vitamia, cercali,<br />
portameli qua”.<br />
Nel 2013 pubblica il doppio live MEN<br />
AT WORK, album e Dvd (registrato ai<br />
Cantieri OGR di Torino), che illustra<br />
tutto il suo talento e la sua magnificenza.<br />
Una raccolta che raccoglie tutte<br />
le sue canzoni più belle e che ne diventa<br />
il testamento. Tra tanta bellezza spicca<br />
una toccante versione di Hotel Supramonte<br />
in omaggio a Fabrizio De André,<br />
uno dei capiscuola della musica d’autore.<br />
Alla fine, quasi a voler chiudere il cerchio,<br />
forse la sua canzone più bella: La ca sla<br />
colin-a. E quindi ancora umori e odori di<br />
Piemonte, di terra nera, di pane e di vino.<br />
Dopo un anno di battaglie contro un male<br />
incurabile, Gianmaria Testa se ne è andato<br />
il 30 marzo. Il 25 aprile non ci sarà<br />
all’Osteria dell’Unione di Treiso per celebrare<br />
la Festa della Liberazione e dove,<br />
Con Erri De Luca.<br />
Con Gabriele Mirabassi.<br />
Con Paolo Fresu.<br />
da otto anni, cantando, amava ricordare i<br />
fratelli Ambrogio uccisi da “quelli” dell’altra<br />
parte.<br />
Perché, alla fine, così come i suoi amati<br />
scrittori, anche Gianmaria è stato un partigiano<br />
schierato dalla parte dei deboli e<br />
dei diseredati, al punto che è giusto ricordarlo<br />
con le parole di Beppe Fenoglio:<br />
“E pensò che forse un partigiano sarebbe<br />
stato come lui, ritto sull’ultima collina,<br />
guardando la città e pensando lo stesso<br />
di lui e della sua notizia, la sera del giorno<br />
della sua morte. Ecco l’importante: che ne<br />
restasse sempre uno”.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 87
Demetrio Stratos<br />
La voce secondo<br />
Luca…<br />
CLASSE 1975, MR SAPIO, NATO A SORA PER CASO,<br />
POSSIEDE CAPACITÀ VOCALI DI GRANDE SPESSORE,<br />
CHE LO HANNO PORTATO A SPERIMENTARNE I CONFINI<br />
VIAGGIANDO NELLA REPUBBLICA DI TUVA E NEGLI STATI<br />
UNITI… HA COLLABORATO CON TONY SCOTT, CAMERON<br />
BROWN, ELTON DEAN, QUINTORIGO… IN SINTONIA CON<br />
MOLTE COSE DEGLI AREA E GIULIO CAPIOZZO NEL 1999<br />
LO RECLUTA PER L’ULTIMA FORMAZIONE DEGLI AREA<br />
II. A LUI L’ONERE E L’ONORE DI PRESENTARE<br />
VOCALMENTE LE TRACCE CHE COMPONGONO<br />
LA BASE DELLA LEGGENDA “STRATOS”.<br />
testo: Luca Sapio<br />
emetrio è stato un<br />
pioniere. Un artista<br />
curioso e intelligent,<br />
capace di<br />
assorbire e trasformare le più<br />
disparate impressioni e suggestioni<br />
sonore. Agli inizi della<br />
carriera è stato, probabilmente<br />
insieme a Mario Musella degli<br />
Showmen, l’unico a cantare<br />
il r’n’b in italiano a ottenere<br />
credibilità. Dopo l’esperienza<br />
con i Ribelli, l’incontro con Giulio<br />
Capiozzo gli ha aperto le porte<br />
dell’embrionale progetto “Area”, pochi sanno<br />
che inizialmente il cantante sul quale<br />
Giulio aveva messo gli occhi era un altro<br />
greco, Tracy Apostolu, il cantante della Bo<br />
Bo’s band. Demetrio entrò nel progetto e<br />
si tolse immediatamente gli abiti del “soul<br />
man”, addentrandosi in quella splendida<br />
zona del crepuscolo… dove il blues incontra<br />
la sperimentazione, scoperta poco prima<br />
dallo straordinario Leon Thomas, la cui lezione<br />
fu subito metabolizzata e addirittura<br />
proseguita da Stratos. Divenne maestro di<br />
cerimonia, una volta abbandonato il gruppo<br />
per dedicarsi alla ricerca, come ne sono<br />
Luca Sapio ha<br />
uno sguardo poco<br />
rassicurante. :-)<br />
A sinistra Stratos<br />
fotografato da<br />
Renzo Chiesa.<br />
88
«LE BOCCHE DI<br />
STRATOS. QUESTA<br />
SEQUENZA È UN<br />
ESEMPIO LAMPANTE<br />
DI COSA SIGNIFICA<br />
FOTOGRAFARE<br />
LA VOCE»<br />
SILVIA LELLI<br />
SILVIA LELLI<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 89
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
«TRA LA GOLA<br />
E UNA CARTINA<br />
RIZLA C’È LA VOCE»<br />
ROBERTO MASOTTI<br />
testimonianza i suoi dischi per sola voce.<br />
Quello che resta oggi di Demetrio e su cui<br />
secondo me pochi si soffermano è quel<br />
grande insegnamento che il suo spirito<br />
votato al sapere, alla conoscenza, allo studio<br />
e all’ascolto ci ha lasciato. Bisogna apprendere<br />
per poi condividere. Lo spirito di<br />
Stratos è vivo ancora oggi proprio grazie<br />
alla sua condivisione, al lavoro svolto con<br />
i suoi allievi e con chiunque lo incontrasse<br />
e si interessasse al suo lavoro.<br />
Difficile capire oggi quali possano essere<br />
gli eredi degli Area e di Stratos.<br />
Per Stratos mi vengono in mente Phil<br />
Minton (suo contemporaneo), quel pazzo<br />
di David Moss, Yamatsuka Eye e sicuramente<br />
Mike Patton (Faith No More,<br />
Fantomas) che, oltre alla sperimentazione,<br />
ha, forse più di tutti e proprio come<br />
Demetrio, indubbie qualità canore. Credo,<br />
invece, non esistano eredi degli Area.<br />
Nessuna formazione è più riuscita a scrivere<br />
brani di quella complessità ritmica<br />
eppure così musicali, cantabili. Certamente<br />
negli anni ci sono state forme di<br />
scrittura molto più complesse, penso<br />
a Anthony Braxton o a Steve Coleman,<br />
ma non hanno quella “magia”, risultano<br />
spesso troppo difficili all’ascolto e rigide<br />
nella loro complessità. Gli Area erano un<br />
collettivo di talenti straordinari. Ti facevano<br />
ballare riproponendo danze macedoni,<br />
cicli dispari della musica popolare<br />
africana, grooves che sembrano usciti<br />
dalle registrazioni del Miles Davis di<br />
BITCHES BREW o dall’Art Ensemble of<br />
Chicago… impianti fantastici su cui costruirono<br />
quei temi storici… orecchiabili<br />
nonostante la loro complessità, sia dal<br />
punto di vista della divisione che della<br />
pasta sonora. Gli Area fecero fischiettare<br />
all’Italia dei primi anni 70 temi in 7/8<br />
come Luglio, agosto, settembre (nero)… e<br />
poi c’era la confezione, i testi di Gianni<br />
Sassi, le copertine, le citazioni. Non c’è<br />
stato più nulla di simile.<br />
ARBEIT MACHT FREI<br />
È decisamente il mio album preferito degli<br />
Area. La forma canzone è molto presente,<br />
i testi sono splendidi e c’è questo ponte<br />
magico tra il fraseggio jazz di Busnello,<br />
davvero notevole, e l’irrequietezza, la vivacità<br />
artistica, la curiosità di questi giovani<br />
talenti che coniugano la world music,<br />
l’elettronica come mai nessuno prima e<br />
dopo di loro.<br />
Luglio, agosto, settembre (nero)<br />
…Un capolavoro. La voce di Stratos risuona<br />
spettrale, affogata in un mare di<br />
riverbero, è nuda con solo qualche appoggio<br />
di organo. Quelle parole arrivano<br />
piano piano, spaventose, forti, visionarie,<br />
“bambini che il sole ha ridotto già vecchi”,<br />
ROBERTO MASOTTI<br />
Questa foto con una cartina Rizla, scattata da Roberto<br />
Masotti, uno dei migliori fotografi degli anni 70,<br />
è una delle icone delle visioni musicali.<br />
90
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
Investigazioni<br />
(Diplofonie e Triplofonie)<br />
Questa tecnica è la più straordinaria delle invenzioni<br />
di Stratos. La scansione coordinata del palato<br />
molle insieme alle formanti* generate dalle labbra<br />
crea un effetto davvero impressionante di gocce<br />
che cadono. Splendido. Un altro gioco divertente sul<br />
registro di falsetto, la lingua batte sul palato molle<br />
e sempre una coordinazione tra formanti e colpi di<br />
lingua crea questo effetto di sirena, molto interessante.<br />
Il tentativo di Stratos di “overtones singing”,<br />
che oggi potremmo ricondurre e definire, grazie agli<br />
studi di Mark Van Tongeren, come “emissione a due<br />
cavità”**, risulta pionieristico. Demetrio, come del<br />
resto tutti i pionieri dell’overtone singing occidentali<br />
(David Hykes, Roberto Laneri), molto probabilmente<br />
non aveva a disposizione esempi sonori di “Khoomei”<br />
ossia il “Throat Singing” di Tuva. L’occidente<br />
ancora non era a conoscenza di questa tecnica e i<br />
suoi relativi stili e quindi questo frammento risulta<br />
dal punto di vista “tecnico” piuttosto rudimentale, armonici<br />
sbilanciati rispetto alla fondamentale. Resta<br />
però un documento che lascia chiaramente intendere<br />
l’“intuizione” di Stratos della possibilità di generare<br />
degli overtones. Assolutamente impensabile per<br />
i tempi. L’ultima parte del primo percorso è un tentativo<br />
di produrre delle vere e proprie triadi. Anche<br />
questo risulta pionieristico se pensiamo a quello che<br />
riescono oggi a fare cantanti come Lalah Hathaway,<br />
ossia l’emissione chiara e netta di triadi con la voce.<br />
Ancora una volta però sorprende l’intuizione. Demetrio<br />
lo aveva capito. Demetrio sapeva che era possibile.<br />
Lo stava cercando. Ci sarebbe arrivato.<br />
Come sappiamo tutti, e come lui stesso spiegava, la<br />
tecnica è una cosa che tutti possono acquisire. Questo<br />
frammento ce lo mette davanti, nudo senza inibizioni,<br />
in una dimensione intima, estremamente umana,<br />
quello di un uomo impegnato nell’esplorazione<br />
dei limiti fino ad allora conosciuti della voce umana.<br />
Passaggi 1, 2<br />
Stratos sembra voler tornare a uno stadio primitivo<br />
dell’emissione vocale. Le corde vocali sono immobili.<br />
Il lavoro è tutto sulle “false corde vocali” e soprattutto<br />
la seconda parte del percorso è impressionante,<br />
Demetrio riesce a modulare la voce aspirata, spingendosi<br />
verso un registro di sovracuti al limite. Viene<br />
da chiedersi, dove sarebbe arrivato oggi Stratos?<br />
Criptomelodie Infantili<br />
Qui viene fuori la grande ironia di Demetrio. La voce<br />
che regredisce, si libera, una sorta di macchina del<br />
tempo che lo riporta indietro, ancora una volta si<br />
lascia fotografare senza inibizioni, somiglia a un bambino<br />
assorto in un gioco solitario, che si canta delle<br />
filastrocche per divertirsi.<br />
Flautofonie ed Altro<br />
Le Flautofonie di Stratos sono incredibili. Ancora<br />
oggi, a distanza di così tanti anni restano qualcosa di<br />
clamoroso. Un’imitazione perfetta di un flautofono<br />
di legno, anche il soffio d’aria, davvero straordinario.<br />
Inarrivabile.<br />
Le Sirene<br />
Un esperimento claustrofobico. Assurdo. Presto si<br />
viene intontiti dalle accelerazioni e decelerazioni<br />
delle voci di Stratos. L’ascoltatore, in meno di un minuto,<br />
piomba in una dimensione estraniante… è tutto<br />
perfetto, anche l’utilizzo dei riverberi e i piani sonori<br />
del missaggio. Un viaggio ipnotico, Stratos e le sue<br />
ripetizioni sono le sirene, gli ascoltatori sono l’argonauta<br />
Bute, che si getta in mare rapito dal suo canto.<br />
*formanti sonore generate dalla posizione assunta<br />
dalle labbra per emettere le vocali.<br />
**poiché la cavità orofaringea viene divisa dalla<br />
posizione della lingua sul palato in due cavità.<br />
sono un pugno nello stomaco. La metrica<br />
è difficilissima, serrata, eppure s’incastra<br />
perfettamente su quel 7/8. La parte centrale<br />
evoca una casbah, sembra celebrare<br />
il disordine e Stratos un muezzin intento<br />
a salmodiare il caos. Il pezzo finisce con<br />
la voce che doppia contagiosa il basso finale,<br />
credo che tutti noi almeno una volta<br />
nella vita ci siamo sorpresi a canticchiare<br />
quel “dum-dum-dum-du-du-du-dumdum-du-du-du-du”…<br />
all’improvviso.<br />
Arbeit Macht Frei<br />
Adoro il suo groove, suona super funk,<br />
potrebbe essere un pezzo di Sly and<br />
The Family Stone o dei Temptations di<br />
PSYCHEDELIC SHACK. Demetrio canta<br />
una linea vocale splendida, in cui è libero<br />
di muoversi e di fiorire con questi vibrati<br />
strettissimi. Un rullo di Giulio lancia l’ultima<br />
parte della canzone, quel crescendo<br />
potentissimo dove la voce si arrampica<br />
spericolata e sul finire della frase<br />
“consapevole sono ogni volta di più” si<br />
fa largo tra quella selva di suoni con un<br />
violento Do di petto che spazza via tutto.<br />
Consapevolezza<br />
Mi piace questo pezzo. La melodia della<br />
voce è molto musicale e sono enfatizzate<br />
le parole chiave delle liriche. Demetrio<br />
trasmette il testo, lo interpreta. Penso a<br />
quando canta frasi come “tu allora vedrai…<br />
tutta la squallida realtà” ed è davvero<br />
comunicativo, anche nell’analisi<br />
finale… “tutto l’amore riposto nel nulla,<br />
riposa vecchio tra mostri di muffa”… infine<br />
la liberazione ascensionale… “lascia<br />
partire il tuo ascensore”, dove la voce<br />
sembra partire per un viaggio siderale a<br />
cavallo delle note del sac di Busnello che<br />
si libra in questo cosmo generato dalle<br />
forme d’onda del VCS 3 di Tofani. E poi<br />
ancora la rabbiosa “schiaccia sul muro<br />
senza pietà la tua morale”… e di nuovo<br />
la liberazione, stavolta in un ostinato<br />
decisamente “black rock”, in cui libera il<br />
falsetto dialogando ancora con Busnello,<br />
fino ad avvitarsi e a schiantarsi insieme<br />
sull’ultimo rullo di Giulio.<br />
Grafica e fotografia,<br />
più di oggi, avevano<br />
importanza nelle musiche<br />
diverse. Grafica a cura dello<br />
Studio Lapis, che si occupò<br />
anche di 1978 GLI DEI SE<br />
NE VANNO GLI ARRABBIATI<br />
RESTANO! degli Area.<br />
Foto di Roberto Masotti.<br />
Le labbra del tempo<br />
La splendida trama è creata dall’arpeggio<br />
di chitarra su cui Demetrio, Busnello e<br />
Djivas si contrappuntano in un equilibrio<br />
magico. Anche qui interpreta con enfasi…<br />
“l’uomo che ha perso la sua animalità nel<br />
buio bianco di un’idiota realtà”… “solo chi è<br />
nudo riesce a capire la tua forza muta che<br />
comunica realtà”… e nella seconda parte,<br />
distesa, racconta il declino… “facce sporche<br />
di paura che si nascondono nel buio”<br />
culminando con la potentissima… “gesti,<br />
coiti, urla, rabbia, vivere senza nulla dire,<br />
senza nulla fare è un diritto che io ho, io<br />
ho”, dove esplode tenendo questa nota<br />
lunghissima.<br />
L’abbattimento dello Zeppelin<br />
Giulio mi raccontò che L’abbattimento dello<br />
Zeppelin fu un brano sarcastico, scritto<br />
perché spesso i proprietari dei locali gli<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 91
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
«BISOGNA<br />
APPRENDERE<br />
PER POI CONDIVIDERE.<br />
LO SPIRITO DI STRATOS<br />
È VIVO OGGI PROPRIO<br />
PER LA SUA CAPACITÀ<br />
DI CONDIVISIONE»<br />
LUCA SAPIO<br />
chiedevano di suonare un brano dei Led<br />
Zeppelin, all’epoca tra le stelle del rock.<br />
Credo che il testo fosse una sorta di augurio<br />
o, se volete, di avvisaglia, quasi per<br />
dire… occhio che lo Zeppelin, per quanto<br />
maestoso sembri, è solo un pallone gonfio<br />
d’aria… c’è l’utilizzo di suoni onomatopeici<br />
per la prima volta credo in un brano “Pop”.<br />
Demetrio enfatizza… “piombare nel fango<br />
senza più stile”… “giocano tutti con il corpo<br />
sgonfiato” e ironizza… “dicono tutti che è<br />
colpa mia”… poi c’è quello scambio interessantissimo<br />
tra Giulio e Demetrio in cui<br />
i tamburi rispondono con le stesse note<br />
Stratos dai microfoni<br />
tirava fuori<br />
davvero tutto<br />
(foto Renzo Chiesa).<br />
alle frasi ritmiche della voce. Una batteria<br />
e una voce che cantano.<br />
CAUTION RADIATION AREA<br />
…È secondo me il disco più controverso e<br />
coraggioso degli area. Cambio di formazione,<br />
vanno via Busnello e Djivas, entra<br />
il bassista e polistrumentista Ares Tavolazzi.<br />
Patrizio Fariselli ha un sintetizzatore<br />
monofonico Arp Odissey e in generale tutto<br />
il collettivo non si limiterà a suonare il<br />
proprio strumento originale, ma cercherà<br />
di contribuire in ogni modo possibile alle<br />
trame sonore dei brani. La netta volontà<br />
di non ripetersi, di allargare ancora di<br />
più gli orizzonti è evidente. Caution ha<br />
un largo uso di elettronica e lunghe forme<br />
improvvisative, ma soprattutto la scelta<br />
coraggiosa di utilizzare la voce di Stratos<br />
più come strumento che lascerà spiazzati<br />
i fan e la critica del tempo.<br />
Cometa rossa<br />
L’unico ponte con il disco precedente. Immediatamente<br />
l’esposizione di un tema<br />
dal sapore balcanico, suonato con l’ARP<br />
è già un segno chiarissimo di quanto gli<br />
Area fossero avanti da un punto di vista<br />
della ricerca timbrica e sonora. Poi l’arpeggio<br />
di Tofani e arriva Demetrio, che<br />
canterà l’unico brano del disco, in greco.<br />
Una linea vocale difficile, misteriosa, muscolosa,<br />
con le fioriture di jodler che ormai<br />
sono un marchio di fabbrica.<br />
Zyg (Crescita zero)<br />
Un brano interessante, i suoni sono incredibili.<br />
La voce filtrata di Stratos, “l’estetica<br />
del lavoro è lo spettacolo della merce<br />
umana”, lancia il groove di Ares Tavolazzi,<br />
il brano diventa un uragano, la chitarra di<br />
Paolo Tofani ha un suono alieno, il fraseggio<br />
di Patrizio è interessantissimo, sembra<br />
Cecil Taylor con un Wurlitzer e la voce di<br />
Demetrio tornerà solo alla fine su un pedale<br />
dal vago sapore “progressive” e chiuderà<br />
sul lunghissimo obbligato finale. In<br />
5:32 succede veramente di tutto.<br />
Brujo<br />
La voce entra sulla seconda parte del brano,<br />
è onomatopeica, l’atmosfera ricorda<br />
L’abbattimento dello Zeppelin. Demetrio<br />
canta l’asfissia, la mancanza di ossigeno<br />
delle idee… “Ossidare i cavi della mia libertà,<br />
la mia merce non servirà”… “la mia mente<br />
non ha più creatività progettare totalità”.<br />
Mirage? Mirage!<br />
Introduzione vicina al free jazz, in cui<br />
Stratos interviene con il falsetto. Intorno<br />
al sesto minuto del brano entra un brusio<br />
di voci, presto annientato da una specie di<br />
lux aeterna di Clint Mansell che esploderà<br />
in una foresta animale fino a interrompersi<br />
con un fragore di vetri infranti. Nell’ultima<br />
parte del brano ancora Stratos che<br />
dialoga con l’Arp di Patrizio, fino a restare<br />
da solo in una specie di brevissimo mantra<br />
a chiudere il pezzo.<br />
92
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
Pianeta Area<br />
GLI AREA SONO STATI SICURAMENTE IL GRUPPO<br />
“DIVERSO” IN QUEL TERRITORIO SOSPESO TRA ROCK,<br />
JAZZ, AVANGUARDIA E CANZONE “CONSAPEVOLE”.<br />
L’ALCHIMIA TRA I MUSICISTI E LA CRAMPS RECORDS ERA<br />
DAVVERO MAGICA, SPECIALMENTE CON UN<br />
PERSONAGGIO “FUORI SCHEMA” COME GIANNI SASSI,<br />
CHE INVENTA L’ETICHETTA ANCHE PER LORO.<br />
RIPERCORRIAMONE LA DISCOGRAFIA, SEMPLICEMENTE<br />
MONUMENTALE, ANCHE LIMITANDOCI SOLO AGLI ALBUM<br />
IN STUDIO, FINO ALL’USCITA DI DEMETRIO STRATOS…<br />
testo: Alan Bedin<br />
Victor Edouard Busnello: ance<br />
Giulio Capiozzo: percussioni<br />
Yan Patrick Erard Djivas: basso,<br />
contrabbasso<br />
Patrizio Fariselli: piano, piano<br />
elettrico<br />
Demetrio Stratos: organo, voce, steel<br />
drums<br />
Gianpaolo Tofani: chitarra solista,<br />
sintetizzatore VCS 3<br />
Voce araba recitante: registrazione<br />
pirata in un museo del Cairo<br />
1<br />
ARBEIT MACHT FREI<br />
(IL LAVORO RENDE<br />
LIBERI) 9/1973<br />
Cramps CRSLP 5101<br />
Luglio, agosto, settembre (nero)<br />
Arbeit Macht Frei<br />
Consapevolezza<br />
Le labbra del tempo<br />
240 chilometri da Smirne<br />
L’abbattimento dello Zeppelin<br />
Testi: Frankenstein – Musica: Fariselli<br />
Frankenstein per questo album è uno<br />
pseudonimo di Sergio Albergoni ma in realtà<br />
i testi sono opera di Albergoni e Gianni<br />
Sassi con la collaborazione dei musicisti<br />
del gruppo, in particolare di Patrizio<br />
Fariselli. La musica è depositata da Terzo<br />
Fariselli, padre di Patrizio, ma è composta<br />
da tutti gli Area, ancora con Patrizio in evidenza.<br />
Prima edizione, con pistola sagomata<br />
in cartone inclusa, distribuita<br />
dalla Dischi Ricordi.<br />
«ARBEIT MACHT<br />
FREI HA VOGLIA<br />
DI ROMPERE LE<br />
BARRIERE ANCHE<br />
SE NON CON MOLTA<br />
CHIAREZZA»<br />
DEMETRIO STRATOS<br />
Meccanico del suono: Gaetano Ria – Studio:<br />
Fonorama c.a.r., Milano – Art director:<br />
Gianni Sassi – Designer: Marco Santini –<br />
Fotografo: Fabio Simion<br />
Episodio non casuale che il primo titolo<br />
della Cramps corrisponda con<br />
l’esordio e il primo capolavoro della nuova<br />
creatività musicale italiana: due realtà<br />
così eccentriche dovevano incontrarsi<br />
e vivere insieme. Obbligatorio<br />
ricordare che<br />
Da sinistra: Patrick<br />
Djivas, Victor Edouard<br />
Busnello ai Fonorama<br />
Studio di Milano<br />
per l’incisione<br />
del primo album.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 93
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
il disco è stato anticipato da una intensa<br />
attività live – nella quale i cambiamenti<br />
fulminei da una parte dell’ensemble e la<br />
solida sezione ritmica – hanno permesso<br />
un amalgama sonoro esaltante con un<br />
impatto notevole. La musica, la copertina,<br />
l’intero progetto piomba sulla scena<br />
musicale italiana come una cometa capace<br />
ancora di infuocare la nostra sterile<br />
generazione. Un disco che se fosse stato,<br />
come in origine, concepito in inglese sarebbe<br />
senza dubbio – ai giorni nostri –<br />
corrispondente a 21st Century Schizoid<br />
Man dei King Crimson. Poi da dire che<br />
l’impeto politico del gruppo e i testi scritti<br />
da illustri personaggi di contro-cultura<br />
non hanno facilitato la discussione con<br />
la stampa musicale. La critica dell’epoca<br />
si preoccupa di trovare i riferimenti musicali<br />
a cui si sono ispirati gli Area per la<br />
proposta artistica: i Soft Machine sono<br />
tra i più citati ma le componenti<br />
originali della musica<br />
Area sono tutt’altro. Sono la<br />
dominante percussiva, voluta<br />
da Capiozzo, la ricerca e la<br />
scoperta di linguaggi<br />
antichi ma miracolosamente<br />
moderni<br />
(vedi ‘Il mistero delle<br />
voci bulgare’ per il brano<br />
Luglio, agosto, settembre<br />
(nero)), la varietà delle linee<br />
Alan Bedin è la voce<br />
di Hommage à Area,<br />
diretto da<br />
Christian Capiozzo.<br />
«CI SPINGEVAMO<br />
OLTRE: JAZZ,<br />
ROCK, MUSICA<br />
MEDITERRANEA<br />
E BALCANICA,<br />
SPERIMENTAZIONI<br />
CONTEMPORANEE»<br />
PATRIZIO FARISELLI<br />
melodiche di Fariselli, la splendida e fondamentale<br />
vocalità delle radici lontane<br />
di Stratos, le applicazioni tecnologiche<br />
Tofani, le incursioni jazzistiche dello sregolato<br />
Busnello, il tutto supportato da<br />
una ritmica micidiale e da una tridimensionalità<br />
del suono realizzata dalle mani<br />
esperte di Gaetano Ria (riverberazione e<br />
creazione della dimensione-ambiente<br />
nella voce di Stratos). Lo spirito etnico e<br />
l’inclinazione al free jazz si trasforma in<br />
uno dei primi esempi di world music;<br />
le influenze bulgare, arabe e mediterranee,<br />
la multinazionalità<br />
dei suoi componenti e<br />
le sorprendenti liriche<br />
si stagliano in maniera<br />
memorabile nel panorama<br />
musicale nazionale.<br />
Senza dubbio una<br />
perla di creatività artistica<br />
contemporanea a livello<br />
mondiale.<br />
2<br />
CAUTION<br />
RADIATION AREA<br />
3/1974<br />
Cramps CRSLP 5102<br />
Cometa rossa<br />
ZYG Crescita zero<br />
Brujo<br />
MIRage? Mirage!<br />
Lobotomia<br />
Testi e musiche: Fariselli, Tavolazzi, Tofani<br />
Le musiche sono depositate da Terzo Fariselli<br />
(per il figlio Patrizio), Ares Tavolazzi<br />
e Gian Paolo Tofani; i testi da Sergio Albergoni<br />
ma sono opera di Albergoni e Sassi<br />
con la collaborazione dei musicisti del<br />
gruppo.<br />
Prima edizione distribuita dalla Dischi Ricordi.<br />
Giulio Capiozzo: percussioni, batteria<br />
Hajaman<br />
Patrizio Fariselli: piano elettrico,<br />
piano acustico, clarinetto basso,<br />
percussioni, sintetizzatore (A.R.P.<br />
Odissey)<br />
Ares Tavolazzi: basso elettrico, basso<br />
acustico, trombone<br />
Giampaolo Tofani: chitarra elettrica,<br />
sintetizzatori E.M.S., flauto<br />
Demetrio Stratos: voce, organo,<br />
clavicembalo, steel drums, percussioni<br />
Meccanico del suono: Piero Bravin – Assistente:<br />
Ambrogio Ferrario – Studio:<br />
Fono Roma Sound Recording Spa, Milano<br />
– Missaggio: Advision Studios, Londra<br />
– Art director: Gianni Sassi – Designers:<br />
Marco Santini, Fabio Bortuzzo – Fotografo:<br />
Gianni Ummarino<br />
abbandono a sorpresa di Patrick<br />
L’ Djivas (che entra nella PFM), a ridosso<br />
di un concerto in Francia, conduce<br />
a tensioni generali che portano l’allontanamento<br />
dell’ingestibile Busnello. Il<br />
suono e il mood jazzistico, che il fiatista<br />
aveva manifestato su ARBEIT MACHT<br />
FREI, non si sarebbe più sentito. Alcune<br />
prove nella sala della Davoli (storica ditta<br />
parmense di strumenti musicali), messa<br />
a disposizione in cambio della consulenza<br />
tecnica di Tofani, convincono i restanti<br />
Area a intraprendere il nuovo viaggio con<br />
94
PRECISION SA-CD TRANSPORT DP-950<br />
PRECISION MDSD DIGITAL PROCESSOR DC-950<br />
WWW.H-FIDELITY.COM
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
l’esperto Ares Tavolazzi, che va a creare<br />
una sezione ritmica eccezionalmente<br />
plasmabile e potente con Capiozzo. Poi da<br />
prendere in considerazione che Tofani, a<br />
differenza del primo album, che ricordiamo<br />
era arrivato verso la fine delle registrazioni,<br />
su CAUTION RADIATION AREA,<br />
ha raggiunto, anche in fase compositiva<br />
– gli altri musicisti. Appare chiaro come<br />
gli Area siano riusciti a convogliare meglio<br />
e in maniera più compiuta, le loro idee<br />
artistiche. L’intesa ideologica con il creativo<br />
Gianni Sassi è elevata e conduce alla<br />
creazione di un’opera unica per intensità,<br />
complessità e istanze avanguardistiche.<br />
È singolare l’elemento stilistico e il brano<br />
che riconduce al primo album: il minimalismo<br />
lirico (greco) di Cometa rossa. Il resto<br />
è un manifesto di sperimentazione musicale<br />
e violenza sonora, che ‘salta in aria’ in<br />
Lobotomia con una direzione maniacale<br />
dei sintetizzatori E.M.S., magistralmente<br />
comandati da Tofani. Si ricorre a una innovativa<br />
forma narrativa, quasi declamativa,<br />
negli interventi di Stratos, relazionandosi<br />
con i primi tentativi di poesia sonora in<br />
Italia. Fariselli, insieme al nuovo arrivato<br />
Tavolazzi, sviluppa Brujo, composizione<br />
strumentale e manifesto programmatico<br />
della capacità improvvisativa del gruppo,<br />
capace di trasformare la radicalizzazione<br />
politica in musica senza equivoci o inutili<br />
elucubrazioni.<br />
3<br />
CRAC!<br />
4/1975<br />
Cramps CRSLP 5103<br />
L’elefante bianco<br />
La mela di Odessa (1920)<br />
Megalopoli<br />
Nervi scoperti<br />
Gioia e rivoluzione<br />
Implosion<br />
Area 5<br />
Testi: Frankenstein – Musiche: Patrizio<br />
Fariselli, Ares Tavolazzi, Paolo Tofani<br />
Frankenstein è uno pseudonimo di Sergio<br />
Albergoni ma in realtà i testi sono opera di<br />
Albergoni e Sassi con la collaborazione dei<br />
musicisti del gruppo. La musica di Area 5<br />
è di Juan Hidalgo e Walter Marchetti<br />
Prima edizione, con adesivo incluso, distribuita<br />
dalla Dischi Ricordi.<br />
Giulio Capiozzo: percussioni, batteria<br />
Slingerland<br />
Patrizio Fariselli: piano elettrico,<br />
piano acustico, clarinetto basso,<br />
percussioni, sintetizzatore (A.R.P.<br />
Odissey)<br />
Ares Tavolazzi: basso elettrico, basso<br />
acustico, trombone<br />
Paolo Tofani: chitarra elettrica,<br />
sintetizzatore E.M.S., flauto<br />
Demetrio Stratos: voce, organo,<br />
clavicembalo, steel drums, percussioni.<br />
Meccanico del suono: Piero Bravin – Studio:<br />
Fono Roma Sound Recording Spa, Milano<br />
– Missaggio: I.B.C. Sound Recording<br />
Studios Ltd, Londra – Art Director: Gianni<br />
Sassi – Designers: Marco Santini, Fabio<br />
Bortuzzo – Illustratore: Gian Michele Monti<br />
– Fotografi: Roberto Masotti, Fabio Simion<br />
Dopo CAUTION RADIATION AREA si<br />
chiude definitivamente il rapporto<br />
tra il gruppo e il manager Franco Mamone.<br />
che li aveva seguiti dall’inizio della carriera,<br />
il crescente impegno politico e l’estremizzazione<br />
della proposta musicale aveva<br />
creato una spaccatura nei rapporti (“Sono<br />
cazzi vostri, ragazzi!” celebre il suo commento<br />
all’ascolto dei nastri). Quindi resta la<br />
Cramps a occuparsi di tutti gli aspetti operativi<br />
e organizzativi dell’attività. CRAC! è<br />
fondamentalmente il disco pop degli Area.<br />
Mi spiego meglio: diciamo che si avvicina<br />
di più al concetto Pop, all’estremità pop-olare<br />
sempre con il concetto del termine<br />
adattato alle qualità musicali e artistiche<br />
di Stratos e compagni. A differenza del<br />
primo e del secondo, il terzo Long playing<br />
riesce nel difficile tentativo di combinare<br />
la sperimentazione dei super-musicisti<br />
con una nuova visione dello scenario politico<br />
e sociale, italiano e internazionale. In<br />
CRAC! Demetrio riesce a imporsi definitivamente<br />
facendo valorizzare in pieno la<br />
partitura timbrica della sua voce, sia in forma<br />
narrativa (La mela di Odessa (1920))<br />
che in forma cantante (L’Elefante bianco,<br />
Gioia e rivoluzione) dando prova di essere<br />
indiscutibilmente il più grande cantante-vocista<br />
italiano. Il grande affiatamento<br />
Teatro Uomo, Milano,<br />
1975. A destra: Giulio<br />
Capiozzo al Piper<br />
di Roma, 1972.<br />
FOTO FABIO D'EMILIO.<br />
96
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
Da sinistra: ARBEIT MACHT<br />
FREI (1973),<br />
CAUTION RADIATION AREA<br />
(1974),<br />
CRA! (1975),<br />
MALEDETTI (1976),<br />
1978 GLI DEI SE NE VANNO<br />
GLI ARRABBIATI RESTANO!<br />
(1978).<br />
raggiunto dai musicisti permette di privilegiare<br />
l’aspetto melodico, senza snaturare<br />
singolari gli elementi distintivi: avanguardia,<br />
atmosfere mediterranee, fraseggi progressive<br />
e pop che sono alla base del loro<br />
discorso. Stratos “suona” con la voce dando<br />
risalto con il suo inconfondibile timing<br />
alla solida base ritmica, su cui s’innestano<br />
assoli nervosi e di grande tecnicismo da<br />
parte di Fariselli e Tofani. La strumentale<br />
Nervi scoperti è impreziosita da un esperto<br />
lavoro di Patrizio Fariselli al pianoforte.<br />
Gioia e rivoluzione, diventato il brano più<br />
famoso dell’intero repertorio degli Area,<br />
si esaltano la chitarra acustica, registrata<br />
da negli studi IBC di Londra, e la voce di<br />
Stratos che dimostra eccellente tecnica<br />
vocale da “canzone”. Il risultato? Un brano<br />
italiano orecchiabile, fruibile, cantabile,<br />
che, attraverso la poliedricità dei musicisti,<br />
ha finalmente permesso di veicolare<br />
il grande pubblico ad ascolti più estremi<br />
del loro repertorio. Diciamo, una mossa<br />
intelligente studiata insieme al filosofo del<br />
gruppo Gianni Sassi, vero e proprio sesto<br />
Area. Non si calma comunque il desiderio<br />
di sperimentazione ed esplorazione nel<br />
suono. Prima con Implosion e poi con Area<br />
5 entra dichiaratamente nella musica d’avanguardia,<br />
che si affaccia con prepotenza<br />
nella loro proposta e in quella di “mamma”<br />
Cramps più in generale: negli anni diventerà<br />
una componente fondamentale del<br />
marchio verde nella creazione di un repertorio<br />
musicale di grande impatto culturale.<br />
Quindi nessuna svolta commerciale del<br />
quintetto! Solo la necessità di convogliare<br />
le sempre maggiori capacità e intuizioni,<br />
nella realizzazione di un prodotto finale.<br />
Una cosa poco chiara è che non risulti<br />
mai, fra i compositori delle musiche, il leader<br />
Stratos e soprattutto Giulio Capiozzo,<br />
vista la gigante presenza e importanza<br />
che il suo “drumming” assume in queste<br />
registrazioni. Ho sempre auspicato in una<br />
leggerezza giovanile dei cinque musicisti.<br />
Da sinistra:<br />
Patrizio Fariselli,<br />
Ares Tavolazzi,<br />
Gianni Sassi, più<br />
un esponente<br />
portoghese (foto<br />
Archivio Cramps).<br />
4<br />
MALEDETTI<br />
11/1976<br />
Cramps CRSLP 5105<br />
Evaporazione<br />
Diforisma urbano<br />
Gerontocrazia<br />
Scum<br />
Il massacro di Brandeburgo numero tre<br />
in sol maggiore<br />
Giro, giro, tondo<br />
Caos (parte seconda)<br />
Testi: Frankenstein – Musiche: Fariselli,<br />
Tofani<br />
Frankenstein è lo pseudonimo usato, per<br />
questo disco, da Sergio Albergoni. I testi<br />
sono in realtà composti da Albergoni e<br />
Sassi. Per il brano Il massacro di Brandeburgo<br />
numero tre in sol maggiore è stato<br />
usato un frammento del Terzo Concerto<br />
Brandenburghese in sol maggiore di J.S.<br />
Bach.<br />
Prima edizione distribuita dalla Baby Records.<br />
Demetrio Stratos: voce, organo<br />
Hammond, campane, voce filtrata<br />
Paolo Tofani: rasoio elettrico a<br />
batterie Philips, chitarra elettrica,<br />
sintetizzatore Tcherepnin<br />
Patrizio Fariselli: sintetizzatore<br />
(A.R.P. Odissey), piano elettrico, piano<br />
acustico, piano preparato<br />
Ares Tavolazzi: contrabbasso, basso<br />
elettrico<br />
Giulio Capiozzo: batteria -<br />
Eugenio Colombo: kazumba<br />
Hugh Bullen: basso elettrico<br />
Walter Calloni: batteria<br />
Steve Lacy: sassofono soprano<br />
Anton Arze: txalaparta<br />
José Arze: txalaparta<br />
Steve Lacy: sassofono soprano<br />
Umberto Benedetti<br />
Michelangeli: violino<br />
Armando Burattini: viola<br />
Paolo Salvi: violoncello<br />
Giorgio Garulli: contrabbasso<br />
Paul Lytton: percussioni<br />
Meccanici del suono: Piero Bravin, Ruggero<br />
Penazzo – Studio: Fono Roma Sound<br />
Recording Spa, Milano. Alcuni materiali<br />
sono stati preregistrati con un Teac 3340<br />
S e con un mixer Tascam Teac Model 3<br />
della ditta Audel di Milano<br />
Art director: Gianni Sassi – Designer: Edoardo<br />
Sivelli – Fotografi: Toni Thorimbert,<br />
Marcello Arfini – Illustratori: E. Siber, Hapier<br />
attività live del 1975 è stata molto<br />
L’ intensa e i musicisti escono distrutti<br />
dal tour. Nascono di conseguenza tensioni<br />
dovute alla stanchezza fisica e psicologica:<br />
Capiozzo e Tavolazzi abbandonano il<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 97
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
collettivo per suonare in situazioni diverse<br />
e più tranquille. Infatti nell’estate 1976,<br />
dopo una serie di concerti all’estero (Parigi<br />
e Lisbona), aumentano le incomprensioni<br />
e i nervosismi provocheranno la temporanea<br />
scissione del gruppo in due tronconi:<br />
Stratos, Fariselli e Tofani da una parte e<br />
Capiozzo e Tavolazzi dall’altra. Il nuovo<br />
progetto è ambizioso: un concept album<br />
“fanta-socio-politico”. In un ipotetico futuro,<br />
l’intera memoria umana si disperde a<br />
causa di un guasto del computer che conservava<br />
il plasma liquido, dove appunto<br />
era immersa. Vengono esposte tre possibili<br />
evoluzioni: in Gerontocrazia si prevede<br />
il potere agli anziani, in Scum, ispirato<br />
a uno scritto di V.J. Solanas (1936-1988),<br />
Society for Cutting Up Men, si enuncia la<br />
presa di potere da parte delle donne, mentre<br />
in Girotondo sono i bambini con la loro<br />
immaginazione ad assegnare le nuove direttive.<br />
Musicalmente l’album non risente<br />
del nuovo assetto triangolare, anzi con<br />
l’aggiunta artisti da diversi ambienti musicali,<br />
assume una sonorità diversa e contemporanea:<br />
i fratelli baschi Anton e José<br />
Arze, esperti di txalaparta… il percussionista<br />
londinese Paul Lytton, paragonabile<br />
oggi a un Aphex Twin del suono elettronico<br />
e acusmatico… il sassofonista Steve<br />
Lacy, eclettico della nuova scena jazz… la<br />
ritmica formata da un giovane funkettaro<br />
lisergico, Hugh Bullen, e dal virtuoso<br />
batterista Walter Calloni (al tempo diciottenne).<br />
Davvero infuocato il risultato! Non<br />
manca la vena avanguardista e rumoristica:<br />
in Evaporazione c’è il tubo corrugato<br />
di Eugenio Colombo con Paolo Tofani<br />
impegnato con un rasoio elettrico; uno<br />
strumentale con Diforisma urbano, suonato<br />
da una formazione allargata con Tavolazzi,<br />
Bullen, Calloni e Lacy che si vanno<br />
a unire al trio base. Gerontocrazia perfora<br />
la mente dell’ascoltatore e fa entrare nella<br />
parte centrale del concept di MALEDET-<br />
TI. Il fitto intreccio ritmico è basato sulle<br />
percussioni dei fratelli Arze e sulla batteria<br />
di Capiozzo che, vista la presenza di Tavolazzi,<br />
ricostruisce la formazione storica. Lo<br />
stesso quintetto base è quello che salva su<br />
nastro Scum, durissimo attacco al genere<br />
maschile impostato su un testo omonimo<br />
dell’attivista Valerie Solanas, che tentò anche<br />
di assassinare Andy Warhol a colpi di<br />
pistola. Poi come dimenticare Il massacro<br />
di Brandeburgo numero tre in sol maggiore,<br />
eseguito da un quartetto da camera,<br />
però impegnato in un attacco concettuale<br />
contro l’estetica classica e i suoi dogmi<br />
classici (con tanto di note in copertina). Il<br />
capolavoro si chiude con Giro, giro, tondo<br />
e con Caos (parte seconda). Quest’ultima<br />
è un’improvvisazione, riproposta nel famoso<br />
concerto all’Università Statale di<br />
Milano, immortalato sull’album EVENT<br />
’76. Il concetto base di questa lunga improvvisazione,<br />
eseguita da Stratos, Tofani,<br />
Fariselli, Lacy e Lytton, prevede improvvisazioni<br />
individuali contemporanee basate<br />
sugli stati d’animo descritti in foglietti volanti<br />
che di volta in volta girano tra i musicisti.<br />
Per chiarire meglio: ogni musicista<br />
ha cinque foglietti che deve obbligatoriamente<br />
cambiare ogni 180 secondi e in<br />
base al biglietto che trova, improvvisare<br />
indipendentemente dagli altri.<br />
Milano, Vigorelli, 1974.<br />
Paolo Tofani, 1974<br />
(foto Archivio Cramps).<br />
Ares Tavolazzi,<br />
Parco Lambro 1976<br />
(foto Roberto Masotti).<br />
È un album in cui si nota l’ennesimo mutamento<br />
stilistico da parte dei musicisti:<br />
c’è la vena jazz-rock, le qualità tecniche<br />
di Capiozzo, Tavolazzi e soprattutto del<br />
maestro Fariselli, c’è la fusion zappiana di<br />
Giro, giro, tondo. MALEDETTI è uno dei<br />
dischi più ricchi degli Area, materiale prezioso<br />
per tutti noi musicisti maledetti.<br />
5<br />
THE TURNING POINT<br />
1978 GLI DEI<br />
SE NE VANNO<br />
GLI ARRABBIATI<br />
RESTANO!<br />
4/1978<br />
Ascolto ASC 20063<br />
Il bandito del deserto<br />
Interno con figure e luci<br />
Return From Workuta<br />
Guardati dal mese vicino all’aprile!<br />
Hommage a Violette Nozières<br />
Ici on Dance!<br />
Acrostico in memoria di Laio<br />
“FFF” (festa, farina e forca)<br />
Vodka Cola<br />
Testi: Area – Musiche: Stratos, Fariselli,<br />
Tavolazzi, Tofani<br />
Prima edizione distribuita dalla CGD.<br />
Giulio Capiozzo: batteria, balafon<br />
Patrizio Fariselli: piano acustico,<br />
organo, sintetizzatori (Arp, Pro-soloist,<br />
Polymoog, Odyssey, Omni)<br />
98
DEMETRIO STRATOS - AREA<br />
Ares Tavolazzi: basso elettrico, basso<br />
acustico, chitarra acustica, mandola,<br />
trombone, tromba<br />
Demetrio Stratos: voce, organo,<br />
ocarina, sintetizzatori (Aro, Omni), piano<br />
elettrico<br />
Meccanico del suono: Allan “Beep” Goldberg<br />
– Studio: Sciascia Sound, Rozzano/<br />
Milano – Designers: Studio Lapis – Fotografo:<br />
Cesare Monti<br />
questo punto del mio viaggio con gli<br />
A Area, devo frenare un attimo e respirare,<br />
così da condividere una cosa con voi<br />
lettori. Dopo sette anni di lavoro in Cramps<br />
Music srl posso dire di avere ricevuto dal<br />
catalogo storico (Cramps Records) una<br />
spinta culturale non indifferente. Il giovane<br />
Alfred Tisocco e Frankenstein (nome<br />
storico-astratto che identifica il demanio<br />
culturale del marchio verde) hanno alimentato<br />
– lavorando assiduamente per il<br />
riordino dell’archivio – la mia crescita di<br />
musicista e di difuorista – come direbbe<br />
il Gran Genio Sassi: rock alternativo,<br />
progressive italiano, avanguardia, arte<br />
contemporanea, fluxus. Come ben sapete<br />
GLI DEI SE NE VANNO E GLI ARRABIATI<br />
RESTANO! – purtroppo – non è un disco<br />
Cramps Records e questo piccolo particolare<br />
non mi ha mai permesso di condividere,<br />
promuovere, parlare, ristampare<br />
alcun suo contenuto. Quindi permettetemi<br />
di vivere questa parte della recensione<br />
con un trasporto inconsueto. A mettersi in<br />
luce in questo singolare ensemble è soprattutto<br />
il cantante, le cui sperimentazioni<br />
vocali e uso innovativo del testo scritto<br />
non hanno eguali. Demetrio sviluppa una<br />
competenza vocale straordinaria, che<br />
comprende l’uso di diplofonie e armonici<br />
vocali, maturati con il suo disco da solista<br />
CANTARE LA VOCE e attraverso l’esperienza<br />
artistica con John Cage. Le sue<br />
inflessioni mediterraneo-mediorientali e<br />
per la musica sperimentale erano già state<br />
rese note. Le canzoni diventano brevi e<br />
poco significative, ma esaltano l’improvvisazione<br />
portandola alla esasperazione<br />
(Vodka Cola). Inevitabilmente – per la<br />
spiccata sensibilità di Capiozzo e Tavolazzi<br />
– si intuisce un mood jazz più marcato<br />
(Guardati dal mese vicino all’aprile!)<br />
ma che non riesce comunque a snaturare<br />
il marchio di fabbrica del gruppo. Inevitabile<br />
invece la mancanza dell’effetto-Tofani<br />
(uno dei più sottovalutati geni italiani<br />
dello strumento) e dei testi di Gianni Sassi<br />
& Company. Comunque il collettivo Area,<br />
anche se vestito da festa, rimane sempre<br />
una band compatta e incazzata. Con Il<br />
bandito del deserto si apre certamente<br />
un mondo nuovo: il fretless di Tavolazzi,<br />
il tasto arabo di Fariselli, il drumming tunisino<br />
di Capiozzo, il sorriso sicuro, quasi<br />
vendicativo mujahidin di Stratos. Il resto<br />
del disco? Una mitragliata creativa senza<br />
eguali. Insegue Interno con figure e luci,<br />
brano fusion-strumentale dove Ares Tavolazzi<br />
si trasforma in Jaco Pastorius. Return<br />
to Workuta è brano più di effetto che<br />
d’importanza letteraria. Hommage a Violette<br />
Nozieres è rivista come la versione<br />
meno anarchica e sovversiva di Gioia e<br />
rivoluzione. Il divertente Ici On Dance!<br />
è quasi un dance remix personalizzato<br />
per dimostrare in un teaser tutte le loro<br />
capacità di musicisti inimitabili. Risponde,<br />
invece, con riferimenti colti e sapienti<br />
il brano Acrostico in memoria di Laio.<br />
Un originale omaggio al testo classic, al<br />
simbolismo, al linguaggio parlato, alla<br />
psicanalisi, al teatro artaudiano. Tutto<br />
impreziosito dal genio creativo di Stratos<br />
e dal sonoro drumming dell’indimenticabile<br />
Capiozzo (FFF), il più massiccio tra i<br />
batteristi italiani, che dalla fusion passa al<br />
jazz più Bop. La cosa più impressionante<br />
in questo disco è senza dubbio il vigore<br />
e il pathos dei musicisti pur sapendo che<br />
quello che stavano incidendo sarebbe stato<br />
l’ultimo lavoro insieme.<br />
Palazzina Liberty<br />
di Milano. Accanto<br />
gli Area con Massimo<br />
Urbani al sax, che tra<br />
la fine del 1973<br />
e l’inizio del 1974 prova<br />
con loro ma le strade<br />
non sono conciliabili.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 99
NCCP<br />
Voci e suoni<br />
del mondo<br />
TRA I GRANDI FENOMENI DELLA NOSTRA CULTURA MUSICALE,<br />
LA NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE È UNO DEGLI<br />
ESEMPI PIÙ FULGIDI DI UN MATRIMONIO ARTISTICO CELEBRATO<br />
SUGLI ALTARI DEL SACRO E DEL PROFANO. ASCOLTIAMO LE<br />
STORIE RACCONTATE DA ALCUNI ELEMENTI CHE HANNO<br />
CREATO LA LEGGENDA DI QUESTO GRUPPO SENZA TEMPO:<br />
EUGENIO BENNATO, PEPPE BARRA, GIOVANNI MAURIELLO,<br />
PATRIZIO TRAMPETTI E FAUSTA VETERE.<br />
testo: Franco Vassia<br />
Miscelando la tradizione popolare con la<br />
musica classica e la ricerca etnica con il<br />
rock, l’ensemble ha saputo rimodellare la<br />
nostra storia abbellendola con maschere,<br />
cipria, teatro, istinto ma soprattutto con un<br />
variegato ventaglio di eccellenti vocalità.<br />
Acqua e lava, acciaio e rugiada, ferro e fuoco,<br />
sole e tempesta. Forgiata da Roberto De<br />
Simone ed edificata con i più grandi talenti<br />
delle scena partenopea (Eugenio Bennato,<br />
Carlo D’Angiò, Giovanni Mauriello, Peppe<br />
Barra, Patrizio Trampetti e Fausta Vetere),<br />
la N.C.C.P. può essere considerata tra gli<br />
esempi più significativi di quel decennio<br />
che – tra la fine dei 60 e gli inizi dei 70 –<br />
sembrava soffiare aria nuova nei polmoni<br />
di un possibile e nuovo Rinascimento.<br />
Eugenio Bennato<br />
Come nacque l’alchimia vocale<br />
della N.C.C.P.?<br />
Nel 1969 io e Carlo D’Angiò, amici da sempre<br />
e per sempre, fondammo la Nuova<br />
Compagnia di Canto Popolare a Bagnoli,<br />
periferia operaia di Napoli. L’idea nacque<br />
dopo uno spettacolo musicale dal titolo Gospel<br />
Time che ci vide impegnati nello scegliere<br />
melodie e versi del filone afroamericano<br />
dello spiritual, caratterizzato dall’intreccio<br />
di più voci e dall’andamento ritmico<br />
marcato e travolgente. Carlo, Eugenio,<br />
Gabriele, Lucia, Mario, Claudio, insieme<br />
nell’entusiasmo di una nuova generazione<br />
alla scoperta del mondo. Dal sud dell’Alabama<br />
e del Mississippi al paesaggio arido<br />
di Puglia e Basilicata, da Nobody Knows<br />
The Troubles I’ve Seen a Padrone mio te<br />
voglio arricchire, il passaggio fu naturale e<br />
spontaneo. La N.C.C.P. fu l’assemblaggio di<br />
voci straordinarie, Carlo D’Angiò, Giovanni<br />
Mauriello, Peppe Barra, Patrizio Trampetti,<br />
Fausta Vetere. Quel sound polifonico che<br />
proponeva cinquecentesche villanelle napoletane,<br />
tammurriate vesuviane, ballate<br />
siciliane e ritmi salentini, fu un’alchimia<br />
nuova che conquistò grandi platee, nel clima<br />
del folk revival italiano degli anni 60. Di<br />
quelle voci, quella di Carlo era la più straordinaria,<br />
un mix di potenza e di sensibilità<br />
popolare, di dolcezza e di trasgressione,<br />
che gli permise, fra l’altro, di registrare una<br />
versione della Tarantella del Gargano, rispettosa<br />
del timbro originale del vecchio<br />
cantore Andrea Sacco di Carpino in provincia<br />
di Foggia, ma artisticamente proiettata<br />
verso il futuro. La versione registrata<br />
da Carlo ebbe una inaspettata diffusione,<br />
e divenne sigla di una trasmissione a puntate<br />
dal titolo Garofano d’amore trasmessa<br />
con frequenza settimanale da RadioUno. E<br />
pochi anni dopo, nel 1980, fu ancora Carlo<br />
a veicolare con la sua interpretazione vocale<br />
un brano, questa volta scritto da noi,<br />
che era la sigla di uno sceneggiato televisivo,<br />
destinato a diventare un inno, potrei<br />
dire il più grande successo popolare degli<br />
ultimi decenni, cantato da milioni di ragazzi:<br />
Brigante se more.<br />
La tua voce contribuiva a quella magica<br />
alchimia: a volte calda come il sole<br />
del Mediterraneo altre volte cupa come un<br />
temporale incombente.<br />
Nella N.C.C.P. il mio specifico ruolo era<br />
soprattutto l’attenzione alla ricerca stru-<br />
100
L’interazione tra parte<br />
vocale e strumentale<br />
ha sempre caratterizzato<br />
la NCCP.<br />
mentale, alla scoperta e alla vivificazione di<br />
strumenti abbandonati dal tempo, alla scelta<br />
di un polveroso mandoloncello esposto<br />
tra scintillanti chitarre elettriche nella vetrina<br />
di De Falco a Napoli. Quel mandoloncello<br />
lo acquistai senza esitazioni e tornò<br />
a risuonare dopo decenni di silenzio. E poi<br />
la chitarra battente del grande liutaio calabrese<br />
Vincenzo De Bonis, che continuava a<br />
costruire quello strumento capace di disegnare<br />
a ogni semplice accordo il paesaggio<br />
potente e misterioso del Sud della storia e<br />
della leggenda. Ma contemporaneamente<br />
coltivavo ovviamente la passione per la vocalità<br />
popolare, che oltre alla cifra del canto<br />
«NELLA N.C.C.P.<br />
IL MIO RUOLO ERA<br />
FAR ATTENZIONE<br />
ALLA RICERCA<br />
STRUMENTALE»<br />
EUGENIO BENNATO<br />
a distesa, della voce spiegata ad attraversare<br />
i campi dei contadini o a volare dalla<br />
strada del paesino in alto fino alla finestra<br />
della donna amata, comprendeva anche<br />
un filone più intimo, e per certi versi più<br />
intenso, il canto sommesso dei cantastorie,<br />
l’interpretazione della ballata popolare,<br />
il racconto di storie e personaggi fantastici<br />
o reali. In quel cammino ebbi due punti di<br />
riferimento, due voci che mi attraevano,<br />
pur partendo da mondi apparentemente<br />
distanti. La voce del grande “cantatore”<br />
popolare Matteo Salvatore, che raccontava<br />
della siccità e della povertà della sua terra<br />
di Puglia, e la voce dell’atipico “cantatore”<br />
genovese Fabrizio De André, che solo voce<br />
e chitarra ci trasportava nelle strade di un<br />
epos aulico straordinariamente attuale e<br />
metropolitano, che parlava di re e sudditi,<br />
di ricchi banchieri e di giovani fanciulle in<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 101
NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />
Manifestazione contro l’abrogazione del<br />
divorzio, Palasport di Roma, 1974.<br />
fiore nell’acqua dello stagno. De André mi<br />
riportava al grande George Brassens, figlio<br />
francese di madre emigrata dalla Basilicata,<br />
che con immediatezza vocale ci<br />
introduceva nel suo mondo di reietti e di<br />
diseredati. La ballata popolare la interpretai<br />
prima come studioso di brani scritti da altri,<br />
poi come autore o, se vuoi, come cantautore<br />
di brani che incominciai a scrivere per<br />
affrontare gli argomenti a me cari come<br />
l’identità del Sud, la “questione meridionale”,<br />
il Mediterraneo, la nuova emigrazione,<br />
la coesistenza di popoli e culture<br />
diverse, la sottocultura dell’era televisiva,<br />
la globalizzazione.<br />
Peppe Barra<br />
La voce è lo strumento musicale<br />
per eccellenza. Con la Nuova<br />
Compagnia, e successivamente come solista,<br />
l’hai talmente rielaborata tanto da<br />
farla diventare un tuo segno distintivo.<br />
Non sapevo neppure di avere una bella<br />
voce. L’ho curata, questo sì, attraverso lo<br />
studio, prima in preparazione e poi subito<br />
dopo, quando ho avuto la possibilità di<br />
cantare nel gruppo. Ma prima c’è stato un<br />
grande e scrupoloso lavoro per farla uscire,<br />
per potermi poi preparare alla passione<br />
verso altre voci. La mia è un’eredità<br />
che ho avuto da mia madre Concetta, che<br />
è stata una delle cantanti italiane più popolari.<br />
La mia voce somiglia moltissimo<br />
«PER DE SIMONE<br />
LA MIA VOCE<br />
RAPPRESENTAVA LA<br />
FORZA DI NAPOLI,<br />
DEL VESUVIO»<br />
PEPPE BARRA<br />
alla sua. Mi ricordo che per MO’ VENE,<br />
il disco che vinse la Targa Tenco del ’93,<br />
portammo in sala d’incisione una delle<br />
sue ultime canzoni con l’intenzione di<br />
sovrapporre la mia voce alla sua. Quando<br />
la risentimmo pensammo a un miracolo:<br />
tutti quanti in sala, ascoltandola registrata<br />
a doppia velocità, eravamo convinti di<br />
ascoltare la sua voce. Invece era la mia.<br />
Un fatto che mi colpì profondamente tanto<br />
da cancellarla. Era come se, con quella<br />
registrazione, mamma avesse voluto dirmi<br />
che eravamo ancora un tutt’uno e che<br />
non se n’era andata.<br />
GIOVANNI COCCIA<br />
Nell’economia del gruppo qual era la valenza<br />
della tua voce?<br />
Credo che sia stata quella più potente.<br />
Perché armoniosa e leggiadra era la voce<br />
di Fausta Vetere, dolce e barocca quella di<br />
Patrizio Trampetti. Secondo De Simone,<br />
la mia era quella che più rappresentava la<br />
forza di Napoli, del Vesuvio: il fuoco, il temperamento<br />
del napoletano prorompente, il<br />
guappo.<br />
Una duttilità che, sia in ambito musicale<br />
che teatrale, ha saputo valorizzare e<br />
amplificare la tellurica Tammurriata nera,<br />
opere di culto quali La gatta Cenerentola<br />
o La cantata dei pastori… Interpretazioni<br />
geniali ed estrose in grado di ribaltare gli<br />
stessi canoni, i dialoghi, gli spartiti…<br />
Tutto quanto è iniziato quasi per gioco<br />
perché, per divertire gli amici, da ragazzo<br />
mi piaceva cambiarne le tonalità. Con<br />
la Nuova Compagnia mi sono dedicato<br />
a sperimentare con la voce, così come<br />
nel teatro, dove spesso riuscivo a fondere<br />
due personaggi in uno solo: l’uomo o<br />
la donna. Una particolarità che ho avuto<br />
fin dal mio primo teatro, quello dell’avanspettacolo,<br />
il varietà, dove con mamma<br />
cantavo i duetti. E cambiavo voce, facevo<br />
quella del bambino e della vecchia,<br />
quella dell’uomo e della donna. Cose che<br />
nascono dall’unione e dal divertimento<br />
condiviso con i maestri d’orchestra con<br />
i quali ho lavorato per tanti anni. Con De<br />
Simone ci stuzzicavamo nel fare queste<br />
cose e, se ci divertivamo, le fissavamo<br />
per poi darle successivamente al pubblico.<br />
Tranne le nacchere non suono nessun<br />
altro strumento perché, in realtà, sarebbe<br />
stato sprecato. Una scelta che ha liberato<br />
la mia voce e anche le mie mani, perché<br />
queste agissero insieme al corpo.<br />
Giovanni Mauriello<br />
La voce è un dono divino?<br />
Certo che lo è! Con estrema sincerità<br />
posso dire che la mia voce è un dono<br />
divino perché tutto il mio percorso artistico<br />
è iniziato grazie a lei. Avevo 12 anni ed ero<br />
in collegio a Bagnoli quando, un mattino,<br />
un istitutore del collegio, Giacomo Caridi –<br />
che era anche il maestro di musica di Edoardo,<br />
Eugenio e Giorgio Bennato – chiese<br />
chi di noi sapesse cantare. Alzai la mano<br />
tra lo stupore generale, non perché convinto<br />
di essere bravo ma per una strana forma<br />
di curiosità. Un gesto istintivo che fu presto<br />
premiato: dei 10 ragazzi scelti, rimasi<br />
soltanto io. Eravamo negli anni 50 e la mia<br />
attenzione non era rivolta esclusivamente<br />
alla musica leggera di quegli anni, ma soprattutto<br />
verso il repertorio classico napo-<br />
102
NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />
Su ogni palco la Nuova<br />
Compagnia si trovava<br />
a proprio agio: dote rara.<br />
letano, quello decisamente più lirico. Tra i<br />
miei artisti prediletti c’era il famosissimo<br />
Mario Del Monaco, un tenore che, con la<br />
sua possente voce, riusciva a trasmettermi<br />
sensazioni bellissime. Così, nonostante la<br />
mia voce fosse piuttosto esile, per cercare<br />
di imitarlo riuscivo a trasformarla al punto<br />
tale da cambiarne anche la modulazione<br />
che non era più quella di un adolescente<br />
ma di un adulto. Una particolarità che per<br />
qualche tempo mi ha permesso di ricoprire<br />
il ruolo di cantante dei Merry Boys, il<br />
gruppo musicale del collegio. Fu così che,<br />
partecipando ai vari festival che si svolgevano<br />
nei dintorni, cominciammo a farci<br />
conoscere anche al di fuori del collegio. Fu<br />
in occasione di uno spettacolo organizzato<br />
al teatro Mediterraneo di Napoli per i dipendenti<br />
dell’Italsider, che conobbi Eugenio.<br />
Diventammo amici fin dal primo momento.<br />
Era la prima metà degli anni 60 e<br />
la Nuova Compagnia cominciava a gettare<br />
i suoi semi: con me c’erano Carlo D’Angiò,<br />
Eugenio Bennato, Lucia Bruno, Mario Malavenda,<br />
Claudio Mondella e, soprattutto,<br />
Roberto De Simone.<br />
L’alchimia perfetta<br />
tra voci, strumenti<br />
e teatralità.<br />
La Nuova Compagnia,<br />
la particolarità<br />
delle sue voci…<br />
La particolarità della Compagnia, sin dal<br />
primo momento, è stata la caratteristica<br />
delle sue voci: tenore, baritono, mezzo soprano<br />
e basso. Gli strumenti erano la chitarra<br />
e la fisarmonica. Il grande successo<br />
degli esordi non era dovuto soltanto alla<br />
musica popolare che, in quel periodo, rappresentava<br />
una rottura con la musica imperante,<br />
quanto alla particolarità delle voci.<br />
Qualsiasi cosa cantassimo, la facevamo<br />
sempre a più voci. Un valore aggiunto, se<br />
vogliamo, alla teatrale gestualità napoletana.<br />
In quel periodo cantavo con una voce<br />
che potrei definire “ingolata”: fu il maestro<br />
De Simone a consigliarmi di cantare in<br />
modo naturale. Perplesso dalla sua richiesta<br />
e tormentato da un’inaspettata insicurezza,<br />
gli chiesi: “Perché? Con questa voce<br />
non vi piaccio?”. E lui: “No! Anzi… Penso<br />
però che la tua voce naturale sia ancora più<br />
bella”. Lo ascoltai e, con infinita gratitudine,<br />
mi accorsi che cantando in modo naturale<br />
non mi stancavo neppure. Aveva ragione<br />
il maestro: la mia voce era più bella, particolare<br />
e piena di armonie. Da lì è iniziato il<br />
periodo più bello della mia carriera. E una<br />
voce che oggi, a 72 anni, resiste ancora<br />
all’usura del tempo.<br />
Patrizio Trampetti<br />
La tua è la voce dolce e barocca<br />
della N.C.C.P.<br />
Ho cantato per la prima volta su un palcoscenico<br />
a 11 anni, appena 20 giorni dopo<br />
la morte improvvisa di mio padre. Ero un<br />
ragazzo timido e mingherlino, ma capii<br />
da solo che quella poteva essere non solo<br />
il superare il dolore che avevo dentro ma<br />
anche una probabile strada da seguire in<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 103
NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />
futuro. Cantai al teatrino del convento dei<br />
Frati Francescani al Vomero, il mio quartiere,<br />
e una settimana dopo nel giornalino<br />
della Parrocchia uscì, nella recensione<br />
dello spettacolo, un “occhiello” che parlava<br />
di me: “La voce era infantile e insicura ma<br />
singolare, spinta da una forza poco comune,<br />
un soffio che non finiva mai di espandersi.<br />
Il ragazzo attaccò la seconda strofa<br />
molto piano e risalì progressivamente, tenendo<br />
la nota e facendola vibrare. La gente<br />
rispose con un mormorìo di approvazione”.<br />
Quasi una voce dell’anima…<br />
Che per me esiste ed è l’unica che riconosco.<br />
Cantare non è un esercizio di stile,<br />
la voce non la devi sentire dal di fuori ma<br />
dentro di te. Non importa se è un soffio o<br />
un fastidioso fragore come un martello<br />
che batte sull’incudine. Soltanto così puoi<br />
trasmettere un’emozione a chi ti ascolta,<br />
soltanto così puoi arrivare al cuore della<br />
gente. Un concetto di certo romantico e<br />
molto lontano dal pragmatismo della vita<br />
quotidiana, talmente dura e spietata anche<br />
in una dimensione a prima vista impalpabile<br />
e innocua come può essere il canto.<br />
Canto che non ho studiato, privilegiando<br />
invece la chitarra classica con il maestro<br />
Eduardo Caliendo che poi, tra l’altro, era<br />
anche il chitarrista dell’ANTOLOGIA DEL-<br />
LA CANZONE NAPOLETANA di Roberto<br />
Murolo. Ricordo ancora quando mi portava<br />
in sala di registrazione, nell’allora, per me<br />
ragazzino, mitica Vis Radio a Mergellina.<br />
Forse è lì che ho un po’ imparato a cantare<br />
o forse l’ho rubato dal canto delle Sirene.<br />
Fausta Vetere<br />
…è la voce femminile della N.C.C.P.<br />
È stato grazie a Roberto De Simone,<br />
che ho conosciuto in RAI, dove ero la<br />
protagonista settimanale di un programma<br />
per ragazzi di tantissimi anni fa, i primi<br />
anni 70. Quando mi ha proposto di entrare<br />
a far parte della Nuova Compagnia di Canto<br />
Popolare ho provato un senso strano,<br />
quasi una doccia fredda, perché avevo una<br />
cultura un po’ vaga della musica folk. Brani<br />
internazionali come Malagueña, qualche<br />
ballata francese, ma non avevo assolutamente<br />
conoscenza di quello che potesse<br />
essere un repertorio popolare o popolaresco<br />
campano. Per cui rimasi un po’ perplessa<br />
e questa perplessità gliela dimostrai<br />
pure. Lui mi disse: “Non ti preoccupare,<br />
perché ti farò partecipare alle mie ricerche<br />
e andremo nei posti dove questi balli<br />
sono nati. Ti renderai conto della bellezza<br />
di questa musica e di quanto sia parte della<br />
nostra cultura”. Fu così che lo seguii nelle<br />
varie feste popolari, nei collettivi e nelle<br />
riunioni culturali dedicate non necessariamente<br />
a madonne o santi dei vari paesi. Un<br />
passo non indifferente che mi ha allontanata<br />
da quel che fino ad allora era stato il<br />
mio percorso. Mi ero diplomata in conservatorio,<br />
avevo seguito particolari studi sul-<br />
«LA VOCE SI PERDE<br />
QUANDO NON HAI<br />
COSCIENZA DI CIÒ<br />
CHE STAI FACENDO»<br />
FAUSTA VETERE<br />
104
NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />
la voce, sulla respirazione, sul vocalismo<br />
puro e pulito, ma tutto ciò non bastava a<br />
dimostrare che il bel canto era soprattutto<br />
un tipo di espressione, una purezza di<br />
suono. Mi sono lasciata andare perché,<br />
quando ho cominciato a cantare canzoni<br />
popolari come Donna ’Sabella o qualche<br />
villanella, avevo la sensazione che la mia<br />
voce non reggesse, non avevo più un’identità.<br />
Cambiando completamente il mio stile<br />
vocale ero andata in tilt. D’altro canto ne<br />
ha guadagnato però moltissimo la ricerca.<br />
Mi ha fatto capire che il bel canto, anche<br />
se fine a se stesso, ti permette un modo di<br />
espressione e di divulgazione ma non di<br />
stile. Non era più quel che avevo ricercato<br />
fino ad allora. Avevo capito che il canto popolare<br />
si accompagnava a un rituale e che<br />
questo rituale doveva far parte di me. Per<br />
poter esprimere quel che volevo dovevo<br />
crearne uno tutto mio. Quando ho capito<br />
questo mi sono lasciata andare e la voce<br />
arrivava senza alcun problema. Per non<br />
stancarmi eccessivamente usavo la tecnica,<br />
la stessa che avevo imparato al conservatorio.<br />
Il canto aveva raggiunto una sua<br />
validità senza i problemi vocali che avevo<br />
avuto agli inizi perché c’è una cosa che è<br />
bene chiarire: molti cantanti si lamentano<br />
perché ogni tanto perdono la voce. La voce<br />
si perde quando non si ha la dimensione di<br />
quel che si fa, quando non hai la coscienza<br />
di quel che in quel momento stai facendo.<br />
Ma se pensi che di fronte a te c’è un pubblico<br />
che ti ascolta, la voce va avanti forse<br />
anche afona, vibrata dall’emozione, ma<br />
va avanti. Infatti, quando andavo a vedere<br />
queste feste popolari, non mi spiegavo<br />
perché vecchiette di ottant’anni ostentavano<br />
una voce straordinaria. E mi domandavo:<br />
“Ma come? Così giovane e fresca di<br />
studi io perdo la voce e loro invece niente?”.<br />
Cantavano così, senza studio, senza<br />
niente e, nonostante tutto, riuscivano a<br />
esprimere le emozioni più profonde.<br />
correvano fra di noi. E, questa, era una cosa<br />
molto importante perché, oltre ai rapporti,<br />
conosceva perfettamente i pregi e i difetti<br />
di ciascuno di noi. Era lo psicanalista della<br />
N.C.C.P. e, piano piano, senza alcuna invadenza,<br />
riusciva a entrare in ognuno di noi<br />
Una immagine di fine<br />
anni 90 di Eugenio<br />
Bennato, sopra Fausta<br />
Vetere nel 1976<br />
a un concerto romano<br />
per Democrazia<br />
Proletaria.<br />
GIOVANNI COCCIA<br />
Che spazio ti sei ritagliata nel contesto<br />
della N.C.C.P.?<br />
Nel gruppo eravamo sei personalità completamente<br />
diverse. De Simone aveva<br />
capito una cosa perché, in questo, era<br />
veramente un mago. Come soggetti ci<br />
scambiava anche psicologicamente e, con<br />
arguzia, lavorava sulle relazioni che interper<br />
valorizzare al meglio il nostro carattere<br />
musicale. Un esempio è quello di Peppe<br />
Barra, la cui personalità sovrastava anche<br />
la mia immagine e, nel quale, ha intravisto<br />
la matrigna della Gatta Cenerentola.<br />
Nella sua preponderante irruenza, a volte<br />
fin troppo mascolina, era riuscito a stanare<br />
anche il suo carattere femminile. Questo<br />
era il grande disquilibrio della Nuova<br />
Compagnia: Peppe era donna e uomo, così<br />
come, in Trampetti, era riuscito a valorizzarne<br />
la dolcezza e l’innocenza. Patrizio<br />
era il sognatore per eccellenza, quello che<br />
cantava le villanelle d’amore. Aveva una<br />
voce affascinante, delicata e molto beat,<br />
perché era il più beat fra tutti noi. Un termine,<br />
all’epoca, usato per indicare una<br />
persona che cantava in maniera più moderna,<br />
più attuale. E poi c’era il carattere<br />
impulsivo e quasi insolente di Giovanni<br />
Mauriello, il Masaniello che chiamavamo<br />
“’o pazzo” perché faceva delle cose molto<br />
istintive. Giovanni non aveva alcun tipo di<br />
cultura musicale alle spalle ma possedeva<br />
un carattere talmente forte tanto da imparare<br />
le cose a memoria. E poi c’era Eugenio<br />
Bennato, quello che aveva le maggiori doti<br />
interpretative, musicali e creative e che,<br />
con grande professionalità, cercava di trasmetterle<br />
al gruppo. Questo eravamo, e De<br />
Simone ci conosceva perfettamente e sapeva<br />
benissimo quel che eravamo in grado<br />
di dare. Non facevamo prove sulla vocalità,<br />
le facevamo sul brano, ne curavamo l’interpretazione.<br />
La scoperta delle villanelle<br />
è stata una vera bomba perché nessuno<br />
le conosceva perché i tedeschi, trafugandole<br />
dalle nostre biblioteche, le avevano<br />
portate in Germania. Un patrimonio che è<br />
tornato alla luce grazie alle ricerche di Roberto<br />
De Simone. Non sapevano né come<br />
si cantassero, a quante voci, né come si<br />
interpretassero. Abbiamo dovuto lavorare<br />
sulla scrittura e, successivamente, sul vocalismo<br />
a tre e a quattro voci. È stata una<br />
ricerca strumentale, vocale e interpretativa.<br />
Ciascuno di noi aveva il suo compito: io<br />
cantavo le villanelle dedicate a donne della<br />
storia del 500; Trampetti quelle d’amore;<br />
Peppe, sfruttando il suo carattere a cavallo<br />
tra l’ironico e il cattivo, quelle un po’ più<br />
licenziose e orgiastiche. Giovanni, invece,<br />
era bravissimo a interpretare le moresche,<br />
le danze dei Mori.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 105
FOTO RICCARDO PICCIRILLO<br />
«IL CANTO<br />
È PASSIONE,<br />
STRADA, MEZZO<br />
E ARMA CREATIVA<br />
PER COMUNICARE»<br />
LINO VAIRETTI<br />
106
Vairetti-Osanna<br />
Rapporto speciale<br />
LINO VAIRETTI, NAPOLETANO E ANIMA DEI PROGRESSIVI<br />
OSANNA, HA UN RAPPORTO MAGICO CON IL PIANETA VOCE,<br />
FATTO DI RICERCA DEL <strong>SUONO</strong> GIUSTO E DI RISCOPERTA<br />
DELLA TRADIZIONE.<br />
testo: Guido Bellachioma<br />
Hai studiato canto?<br />
Ho studiato canto lirico un solo anno a Napoli;<br />
avevo già diciassette anni e decisi di<br />
studiare. Intanto mi ero approcciato al rock,<br />
al blues, al soul e avevo nuovi riferimenti<br />
musicali: Rolling Stones, Beatles, Kinks e<br />
tutta la scena del rock inglese, ma anche<br />
il r&b di Wilson Pickett o di Otis Redding.<br />
Il mio idolo era diventato Steve Winwood<br />
che militava, già ragazzino, con lo Spenonostante<br />
sia in pista già dal<br />
finire degli anni 60 (Volti di<br />
Pietra) e nella decade successiva<br />
abbia raggiunto successi<br />
notevoli con gli Osanna (collaborando<br />
con il M° Bacalov per la colonna sonora<br />
del film Milano calibro 9), contribuendo<br />
anche agli esordi di Pino Daniele, Lino Vairetti<br />
non ha mai perso la voglia di manipolare<br />
emozioni attraverso la musica, in cui<br />
la voce è uno degli strumenti principali. Gli<br />
Osanna sono ancora in pista e negli ultimi<br />
due anni hanno prodotto opere notevoli:<br />
PALEPOLITANA del 2015 e PAPE SA-<br />
TAN ALEPPE del 2016 (il primo propone<br />
sia brani inediti che la proposizione della<br />
partitura originale di PALEPOLI; il secondo<br />
è un live con brani storici degli Osanna,<br />
l’inedita title track e alcuni omaggi a Guccini,<br />
Banco, PFM, Area, Alan Sorrenti, Guccini/Equipe<br />
84, in cui sono presenti Jenny<br />
Sorrenti dei Saint Just Donella Del Monaca<br />
degli Opus Avantra). Le storie di Lino attraversano<br />
la dimensione voce a 360°.<br />
Che tipo di strumento è la voce? Come hai<br />
capito che lo avevi con te?<br />
La voce e le percussioni sono i nostri strumenti<br />
primordiali, usati dagli esseri umani<br />
per comunicare, esprimere le proprie emozioni.<br />
Dall’emissione del primo vagito, poi<br />
i suoni gutturali non ben definiti, fino ad<br />
arrivare all’uso della parola, del linguaggio<br />
verbale, si arriva anche al canto. Io da piccolo<br />
ho capito che il canto sarebbe diventato<br />
la mia passione, la mia strada, il mio<br />
mezzo e la mia arma creativa per comunicare.<br />
Mia madre cantava sempre; lavorava<br />
e cantava con intonazione straordinaria e<br />
mi ha aperto la strada, facendomi superare<br />
qualsiasi inibizione. A dieci anni ero un fan<br />
di Claudio Villa e cantavo Granada, Binario<br />
o Serenata per sedici bionde, ma di lì a<br />
poco rimasi catturato dalla voce di Arturo<br />
Testa (famoso per Io sono il vento), il cui<br />
timbro baritonale e caldo mi affascinava<br />
più di quello da tenore di Villa. Mi piaceva<br />
istintivamente il bel canto e rompevo<br />
le palle a tutti gli abitanti del mio palazzo,<br />
cantando a squarciagola sia in casa che<br />
in cortile. Poi col tempo, attraverso Gianni<br />
Morandi e qualche artista dell’epoca, ho<br />
seguito altre strade, diventando un “figlio<br />
dei fiori”. Sono approdato al beat, folgorato<br />
dalla voce di Maurizio Vandelli dell’Equipe<br />
84. A quindici anni comprai la mia prima<br />
chitarra e, strimpellando alla meno peggio,<br />
feci il mio primo gruppo: The Shades,<br />
capendo subito che la mia vocazione, più<br />
di suonare, era quella di cantare. Di lì a<br />
poco, con Lino Ajello alla chitarra solista,<br />
Enzo Petrone al basso e Carlo Fagiani alla<br />
batteria, formai i Volti di Pietra aprendo le<br />
braccia a quel nuovo fermento musicale<br />
chiamato rock, diventato poi in seguito per<br />
me, attraverso Città Frontale e gli Osanna,<br />
“progressive rock”.<br />
Da sinistra:<br />
ROSSO ROCK (2012),<br />
PALEPOLITANA (2015),<br />
SUDDANCE (1978),<br />
LANDSCAPE OF LIFE (1974).<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 107
LINO VAIRETTI<br />
cer Davis Group. Amavo cantare Gimme<br />
Some Lovin’ e tutti i brani del loro primo e<br />
splendido album (THEIR FIRST LP, 1965).<br />
Il mio maestro di canto, scoprendo i miei<br />
gusti musicali, mi proibì categoricamente<br />
di cantare quella “robaccia”, quel tipo di<br />
musica che lui giudicava negativa e dannosa<br />
per lo studio vocale d’impostazione<br />
classica. Così mi trovai a un bivio e, spinto<br />
dalla mia passione per la musica rock, abbandonai<br />
le lezioni di canto.<br />
Che differenza c’è tra utilizzare la voce,<br />
anche in musica, e cantare?<br />
Utilizzare la voce entra in una sfera più ampia<br />
che riguarda non solo la comunicazione<br />
verbale, ma anche la sperimentazione e<br />
la ricerca sonora e vocale. L’impostazione<br />
vocale si diversifica nelle sue varie rappresentazioni.<br />
Si usa la voce per comunicare,<br />
per parlare, per recitare, per fare conferenze,<br />
per gridare o per sussurrare, utilizzando<br />
la parola o il linguaggio verbale per<br />
descrivere e comunicare un testo, una poesia,<br />
una canzone, una lettera d’amore. Le<br />
sue intonazioni e/o alterazioni, esprimono<br />
e mettono in evidenza la sensibilità, il carattere,<br />
anche la posizione sociale e professionale<br />
di una persona; ne affermano la<br />
sua forza comunicativa, la sua debolezza<br />
e timidezza. Nella ricerca sonora, oltre i<br />
confini della musica, la “voce” come strumento,<br />
come emissione di suoni, è invece<br />
legata alla sperimentazione dei linguaggi<br />
non verbali e alla capacità di trovare, come<br />
nel caso della ricerca di Demetrio Stratos,<br />
una possibile polifonia in un mezzo vocale<br />
che notoriamente è definito monofonico. Il<br />
suono vocale diventa qualcosa di non codificato<br />
e non identificato con ciò che attiene<br />
alla comunicazione tradizionale. In questo<br />
caso specifico, ancor più che nel canto<br />
(che prevede uno studio accurato dell’impostazione<br />
vocale, della corretta articolazione<br />
dei muscoli facciali, dell’estensione,<br />
dell’intonazione, del ritmo, dell’emissione<br />
dei fiati e quant’altro necessario per utilizzare<br />
al meglio la propria voce), concorrono<br />
studi, metodologie e ricerche che prevedono<br />
altri strumenti, sia elettronici che<br />
fisici, alterando e dissacrando spesso, le<br />
tradizionali impostazioni, ben conosciute<br />
e codificate nello studio classico della voce<br />
e del canto. È decisamente un fenomeno<br />
legato alle avanguardie, sempre presenti<br />
in tutte le discipline e in tutte le poliedriche<br />
espressioni artistiche avvenute dalla<br />
preistoria ai giorni nostri e che continueranno<br />
fino alla fine dell’umanità. Il Cantare<br />
(avendo consapevolezza dei propri mezzi<br />
e dei requisiti naturali legati, appunto,<br />
all’intonazione, al ritmo, all’impostazione<br />
nell’uso delle corde vocali e nell’utilizzo<br />
del diaframma per l’emissione del fiato) è<br />
più semplicemente seguire una linea melodica,<br />
sia essa semplice o complessa, ma<br />
comunque ben definita nelle sue altezze<br />
e nel ritmo. Qui concorrono, tuttavia, per<br />
caratterizzare una voce o un cantante,<br />
elementi importanti come il timbro, la dinamica,<br />
l’interpretazione e la capacità di<br />
saper gestire questo mezzo meraviglioso<br />
per comunicare emozioni, siano esse gradevoli<br />
o volutamente sgradevoli. Insomma<br />
siamo di fronte a un mezzo che è fonte di<br />
studio perenne e principale veicolo di comunicazione.<br />
10 voci che ti emozionano e perché?<br />
Escludo, per una scelta personale, alcune<br />
delle voci più famose, sia nella musica<br />
che nel teatro: Caruso, Callas, Robert Plant,<br />
Freddie Mercury, Stevie Wonder e Michael<br />
Jackson, Mina, Barbra Streisand, Carmelo<br />
Bene, Vittorio Gassman. Inserisco, invece,<br />
Lino Vairetti e Gianni<br />
Leone del Balletto<br />
di Bronzo, antichi<br />
compagni in Città<br />
Frontale.<br />
le voci che mi hanno lasciato un segno e<br />
da cui ho attinto grandi insegnamenti per<br />
lo studio della mia vocalità.<br />
Steve Winwood<br />
Senza dubbio una delle mie voci preferite,<br />
che unisce il rock, il blues e il soul. Ha un<br />
timbro meraviglioso, una vocalità straordinaria<br />
e una grande estensione. Davvero<br />
bravissimo ed emozionante.<br />
Mick Jagger<br />
Semplicemente il simbolo assoluto dell’universo<br />
rock. Nessuno più di lui in questo<br />
genere.<br />
Chris Farlowe<br />
Cantante dei Colosseum e Atomic Rooster,<br />
straordinario per le sue capriole e improvvisazioni<br />
vocali. Un grandissimo cantante<br />
e interprete, capace di spaziare tra il rock,<br />
il blues e il jazz.<br />
Roger Chapman<br />
Cantante dei Family, famoso per la voce<br />
roca che metteva i brividi, provocando<br />
sensazioni erotiche e dissacranti.<br />
Demetrio Stratos<br />
Un vero mito, sia per la magnifica voce,<br />
potente e affascinante dai tempi dei Ri-<br />
108
LINO VAIRETTI<br />
belli con Pugni chiusi fino agli Area, che<br />
per la sua sperimentazione e ricerca sulla<br />
vocalità.<br />
Jeff Buckley<br />
Per la voce soave, dolce, ricca di emozioni,<br />
al contempo drammatica e struggente.<br />
Una vocalità ereditata da Tim Buckley, suo<br />
padre.<br />
Al Jarreau<br />
Un vero mago della voce in bilico tra jazz<br />
(sua reale provenienza stilistica e peculiarità),<br />
soul e pop. Dotato di grande ironia,<br />
capacità d’improvvisazione e di un particolare<br />
uso della voce come strumento.<br />
Davvero un cantante eccellente.<br />
Bobby McFerrin<br />
Come Al Jarreau viene dal jazz, non lo definirei<br />
neanche un cantante ma uno strumento<br />
vivente. Possiede una vocalità impressionante<br />
che sfiora le quattro ottave,<br />
un orecchio assoluto e una gestione della<br />
voce e del corpo che lo rendono un One<br />
Man Band senza alcun bisogno di accessori<br />
o strumenti. Un vero acrobata della<br />
voce.<br />
Sting<br />
Splendido cantante, carismatico e moderno.<br />
Un mix di rock storico e vocalità contemporanea.<br />
Timbro ed estensione vocale<br />
di grande fascino.<br />
Annie Lennox<br />
Signora della voce in assoluto per la sua<br />
classe smisurata, per il timbro caldo e<br />
grintoso e per la gestione delle dinamiche<br />
timbriche. Aggiunge alla voce una mimica<br />
facciale straordinaria.<br />
Chi potrebbe prestare la propria voce ai<br />
brani degli Osanna?<br />
Non so rispondere a questa domanda perché<br />
sono troppo coinvolto; tuttavia credo<br />
che la mia vocalità non sia difficile o così<br />
particolare da creare difficoltà a nessuno.<br />
Sicuramente immagino un cantante che<br />
sappia essere in sintonia con la mia musica,<br />
con la mia poetica e con la mia interpretazione.<br />
Forse mio figlio Irvin, che è<br />
negli Osanna odierni, anche se ha gusti e<br />
riferimenti vocali diversi dai miei, potrebbe<br />
essere un mio possibile esecutore, conoscendo<br />
bene il mio modulo interpretativo.<br />
Come è cambiato nel tempo il modo di<br />
registrare la tua voce?<br />
«MI PIACEREBBE<br />
CANTARE<br />
CON ANTONELLA<br />
RUGGIERO O ANNIE<br />
LENNOX»<br />
LINO VAIRETTI<br />
Non è cambiato molto. Da sempre in registrazione,<br />
a parte i microfoni, ho utilizzato<br />
e utilizzo ancora oggi un compressore/<br />
limitatore, tipo Fairchild o gli Avalon e<br />
Tube-Tech, un equalizzatore per meglio<br />
evidenziare il mio timbro vocale… naturalmente<br />
un effetto di echo, riverbero o<br />
delay secondo le esigenze del brano. Ho<br />
iniziato a registrare agli inizi degli anni 70,<br />
con classico Neumann U 87 negli studi di<br />
Bideri a Napoli e della Fonit Cetra a Milano,<br />
e ancora oggi alla Italy Sound Lab di<br />
Napoli (sperimentando altri microfoni professionali<br />
da studio della Rode, dell’AKG<br />
o dell’Audio Technica), spesso e volentieri<br />
ritorno al vecchio Neumann, che è sempre<br />
pronto e disponibile. Ma in fondo preferisco<br />
cantare con i microfoni live come gli<br />
Shure SM58/Beta58, l’Audix OM7 o anche<br />
l’Audio Technica AE5400. In realtà sono<br />
cambiato più io con l’acquisizione di una<br />
maggiore consapevolezza dei miei mezzi<br />
vocali, con l’esperienza, con la ricerca e<br />
lo studio personale intorno alla mia voce.<br />
Oggi, rispetto a ieri, preferisco usare un<br />
timbro più caldo, dove la mia voce si esprime<br />
decisamente meglio, principalmente<br />
legata all’interpretazione dei testi che<br />
scrivo; poi, francamente, riaffermo che<br />
preferisco cantare più in concerto che in<br />
studio. La musica per me si fa dal vivo, la<br />
testimonianza di una registrazione è legata<br />
a un solo momento, che riascoltandolo<br />
cambieresti continuamente.<br />
Gli Osanna al Club<br />
Giardino di Lugagnano<br />
con Donella Del Monaco<br />
e Mauro Martello<br />
degli Opus Avantra.<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 109
LINO VAIRETTI<br />
Usi accorgimenti e microfoni particolari?<br />
Sì, certamente; ho usato e uso accorgimenti<br />
vari. Alla fine degli anni 60 e nei<br />
primi Osanna cantavo con un doppio<br />
microfono, di cui uno passava attraverso<br />
un vecchio Echo Binson ed entrava poi<br />
in alcuni pedali usati per chitarra elettrica,<br />
come un distorsore, un Wah-wah e un<br />
flanger, creando atmosfere legate a momenti<br />
più psichedelici. Solo alla fine degli<br />
anni 70 (periodo dell’album SUDDANCE<br />
degli Osanna, 1978), iniziai a usare, sia dal<br />
vivo che in registrazione, l’Harmonizer<br />
Eventide H949, creando armonizzazioni<br />
in sintonia con la nostra musica. Avendo<br />
una discreta predisposizione all’improvvisazione,<br />
negli anni 80 e 90, per una ricerca<br />
personale, ho sperimentato vari “aggeggi”<br />
e strumenti elettronici per creare<br />
sonorità che mi aiutassero a usare la voce<br />
come uno strumento. Ho provato vari microfoni<br />
midi per pilotare campionatori e<br />
moduli di sintesi strumentale digitali (trovando<br />
sempre una grande difficoltà per la<br />
110<br />
forte latenza, ovvero un certo ritardo nella<br />
trasmissione e la conversione del segnale<br />
fino alla fonte sonora), poi altri strumenti<br />
e pedali per la voce che ho ancora nel mio<br />
studio, quali: DigiTeck Studio Vocalist, TC<br />
Helicon voicelive, DigiTeck Vocal 300,<br />
Boss VE-20 e Loop Sation Boss RC50. Ma<br />
oggi, con una miriade di plug-in inseriti<br />
nelle librerie del computer, si può sperimentare<br />
di tutto. Tuttavia, proprio in questo<br />
momento storico, preferisco utilizzare<br />
la voce lavorando più sulla interpretazione<br />
dei testi, non solo cantando ma anche<br />
recitando.<br />
Sei soddisfatto della tua voce negli album<br />
degli Osanna?<br />
Non sono mai soddisfatto fino in fondo.<br />
Nel primo album, L’UOMO, ricordo la mia<br />
voce intimidita da quello studio storico in<br />
via Meda a Milano, dove avevano registrato<br />
giganti come Mina e Lucio Battisti.<br />
Era inevitabile stare davanti al microfono<br />
con le gambe che tremavano, e io (rispetto<br />
a chi mi fa ancora oggi complimenti<br />
per quel dolce modo di cantare di allora),<br />
ripenso sempre a quella mia timidezza e<br />
insicurezza. Poi il tempo passa, fai esperienza<br />
e diventi più sicuro.<br />
E poi?<br />
Dopo L’UOMO registrammo nel 1972,<br />
PRELUDIO TEMA VARIAZIONI E CAN-<br />
ZONA per il film Milano Calibro 9, ma in<br />
quell’album le parti vocali sono pochissime,<br />
tranne la splendida There Will Be<br />
Time, che Luis Bacalov scrisse proprio<br />
per me. Anche qui avverto una leggera<br />
timidezza ma l’interpretazione mi piace<br />
molto e avverto già una maturità acquisita.<br />
Con PALEPOLI nel 1973, la voce è inserita<br />
come strumento. LANDSCAPE OF<br />
LIFE del 1974, è decisamente più cantato.<br />
La voce è messa in evidenza dalla stessa<br />
scrittura dei brani. Da Fog In My Mind a<br />
Fiume, da Landscape Of Life a Il castello<br />
dell’Es, credo di aver espresso<br />
una buona vocalità,<br />
La maschera inconfondibile<br />
di Lino Vairetti.<br />
sicuramente sempre più matura e sicura.<br />
Sono soddisfatto. EL TOR di Città Frontale<br />
del 1975, decisamente una mia creatura in<br />
tutti i suoi aspetti. La storia, i testi, le musiche<br />
e il canto sono l’esatta espressione<br />
della mia creatività e maturità artistica<br />
di quegli anni. Francamente sono molto<br />
orgoglioso di quel lavoro, registrato con i<br />
giovanissimi Enzo Avitabile e Rino Zurzolo<br />
oltre a Massimo Guarino, Gianni Guarracino<br />
e Paolo Raffone. Nel 1978, i rinati<br />
Osanna (con me, Danilo Rustici, Massimo<br />
Guarino e i nuovi Enzo Petrone e Fabrizio<br />
D’Angelo) pubblicavano SUDDANCE. L’album<br />
abbandona gli stilemi propri del prog<br />
e si avvicina al jazz-rock. Ed è proprio qui<br />
che inizio a sperimentare e usare l’harmonizer<br />
per la voce, destreggiandomi in<br />
particolari vocalizzi con testi in dialetto.<br />
La mia vocalità diventa più sicura e aggressiva,<br />
utilizzando spesso, grazie a un<br />
nuovo entusiasmo, la voglia di osare e<br />
una discreta forza fisica, l’estensione che<br />
non è naturalmente nelle mie corde e nel<br />
mio range vocale. Il risultato mi piace<br />
moltio e sicuramente andrebbe rivalutato<br />
anche per le parti vocali. Nel Dvd TEMPO<br />
(live del 2013 con l’orchestra, registrato<br />
al Teatro Trianon di Napoli, con brani<br />
storici e inediti) credo siano state messe<br />
in evidenza sia la vocalità che le mie doti<br />
di showman. In questo concerto. dove ho<br />
al mio fianco Gennaro Barba alla batteria,<br />
Pako Capobianco alla chitarra, Nello<br />
D’Anna al basso, Sasà Priore alle tastiere,<br />
Irvin Vairetti alla voce e synth e il mitico<br />
David Jackson dei VdGG al flauto e sax,<br />
sono soddisfatto della voce. Infine PA-<br />
LEPOLITANA e PAPE SATÀN ALEPPE,<br />
dove l’uso del dialetto e della napoletanità<br />
è fondamentale.<br />
Il partner ideale per Lino Vairetti a livello<br />
vocale?<br />
Non ho un partner ideale, ma indubbiamente<br />
preferirei una voce femminile per<br />
dialogare meglio su estensioni diverse. Ho<br />
cantato con Brunella Selo, Sophya Baccini,<br />
Jenny Sorrenti, Donella Del Monaco, Antonella<br />
Morea e ultimamente con Fausta<br />
Vetere e Fiorenza Calogero; tutte interpreti<br />
bravissime. Per esplorare una nuova vocalità<br />
a due voci mi piacerebbe cantare con<br />
Antonella Ruggiero o Annie Lennox.
Joe Bonamassa<br />
oltre le 12 battute...<br />
PRENDI LA CHITARRA E VIA… COSÌ IL CHITARRISTA<br />
AMERICANO JOE BONAMASSA PUÒ ESSERE<br />
RAPPRESENTATO. UNA VITA DEDICATA ALLA MUSICA E<br />
CHE SI RIGENERA OGNI GIORNO CON LE DIVERSIFICATE<br />
ESPERIENZE ARTISTICHE. NEL SUO DNA LE 12 BATTUTE DEL<br />
BLUES VENGONO CONTINUAMENTE RIMPASTATE CON<br />
ALTRO, MA ALLA FINE TUTTO RITORNA AL PUNTO DI<br />
PARTENZA… QUEL BLUES CHE SCORRE NELLE SUE VENE,<br />
SIA PURE VIRATO ROCK!<br />
testo: Guido Bellachioma<br />
fa ho deciso, insieme al mio produttore<br />
Kevin Shirley, di riprovare a realizzare un<br />
lavoro tutto di brani originali e così è nato<br />
DIFFERENT SHADES OF BLUE. Stavolta<br />
sono stato così contento del risultato che<br />
ho deciso di proseguire su questa strada.<br />
Il procedimento è stato lo stesso ma volevo<br />
cercare di fare ancora meglio: volevo<br />
scrivere canzoni migliori, raffinare sia gli<br />
arrangiamenti che i testi. Volevo stimolare<br />
me stesso e gli ascoltatori. La cosa bella<br />
è che penso di essermi riconnesso con<br />
il compositore che è in me. Sicuramente<br />
il successo di DIFFERENT SHADES OF<br />
BLUE mi ha aiutato, mi ha dato sicurezza.<br />
Mi ha permesso di lavorare al nuovo<br />
album con maggiore fiducia. Ci sono musicisti<br />
che entrano in studio senza avere<br />
niente di pronto. Compongono tutto in<br />
studio. Per me è una cosa pazzesca… forse<br />
perché provengo dalla vecchia scuola,<br />
quella in cui hai solo diecimila dollari e<br />
quattro giorni di tempo per registrare e<br />
terminare tutto. Quindi cerco di arrivare<br />
in studio il più preparato possibile e registrare<br />
i brani che so già suonare. Se hai<br />
una buona band (e fortunatamente io ho<br />
la migliore band del mondo, con cui non<br />
solo registro in studio ma con cui vado<br />
anche in tour) e se le canzoni sono a posto,<br />
ben definite, se le idee funzionano,<br />
allora è tutto molto semplice. Riusciamo<br />
a registrare due o tre pezzi al giorno. Non<br />
rimane nessuna bonus track, solo gli undici<br />
brani che andranno sul disco, inutile<br />
perdere tempo, bisogna concentrarsi<br />
per ottenere il risultato sperato. È andaescrivere<br />
Joe Bonamassa è<br />
complicato, quasi impossibile<br />
persino per lui, che<br />
su questo argomento è abbastanza<br />
reticente nella sua semplicità<br />
espressiva… quasi timido, mentre sul palco<br />
è sfrontato e deflagrante. Un predestinato<br />
della sei corde, oggi ne possiede<br />
più di cento, che a soli 40 anni (5 maggio<br />
1977, Utica, NY) ha inciso una marea<br />
di “cose” a suo nome… col supergruppo<br />
Black Country Communion… coi Rock<br />
Candy Funk Party… con le straordinarie<br />
cantanti Beth Hart e Mahalia Jackson.<br />
A parte, ovviamente, le apparizioni nei<br />
dischi di altri artisti come Ozzy Osbourne<br />
(Black Sabbath), Joe Lynn Turner<br />
(Rainbow, Yngwie Malmsteen’s Rising<br />
Force, Deep Purple), Walter Trout (John<br />
Mayall’s Bluesbreakers), Lee Ritenour<br />
(Dizzy Gillespie), Leslie West (Mountain),<br />
Carl Verheyen (Supertramp), Jon<br />
Lord (Deep Purple), Europe. E sul palco<br />
non ha lesinato certo le energie sin da<br />
giovanissimo, quando a 12 anni affiancò<br />
la leggenda B.B. King… poi Buddy Guy,<br />
Foreigner, Robert Cray, Ian Anderson,<br />
Stephen Stills, Joe Cocker, Gregg Allman,<br />
Steve Winwood, Paul Jones, Steve<br />
Lukather, Ted Nugent, Warren Haynes,<br />
Eric Clapton, Derek Trucks, Eric Johnson,<br />
Jack Bruce… basta? Mani sporche di<br />
blues… e non solo. Il 23 giugno è uscito il<br />
suo ultimo disco dal vivo: LIVE AT CAR-<br />
NEGIE HALL AN ACOUSTIC EVENING.<br />
Iniziamo a parlare del tuo ultimo album<br />
in studio del 2016…<br />
Penso che BLUES OF DESPERATION sia<br />
un po’ un proseguimento di DIFFERENT<br />
SHADES OF BLUE nel 2014. All’inizio<br />
della mia carriera avevo provato a realizzare<br />
un album composto solo da pezzi<br />
originali, ma non mi è piaciuto per niente<br />
come è venuto fuori. Così mi sono allontanato<br />
da questo tipo di soluzione e ho<br />
perso un po’ di confidenza nelle mie capacità<br />
di songwriter. Finalmente tre anni<br />
La sua produzione<br />
discografica è inarrestabile,<br />
negli ultimi anni ha<br />
pubblicato moltissimi<br />
prodotti-<br />
112
ta esattamente così: abbiamo registrato<br />
due o tre pezzi il primo giorno, due o tre<br />
pezzi il secondo… in due giorni avevamo<br />
già inciso metà album. Se ci sono da fare<br />
alcune sovraincisioni cerco di limitarmi<br />
allo stretto indispensabile. Ad esempio,<br />
le coriste e gli ottoni hanno registrato le<br />
loro parti un mese o un mese e mezzo<br />
dopo. Ma tutte le voci principali sono incise<br />
lo stesso giorno della parte musicale.<br />
E lo stesso è avvenuto per gli assoli… il<br />
theremin, le chitarre acustiche. Le tastiere<br />
le abbiamo lasciate alla fine della settimana,<br />
ci sono volute giusto due o tre ore.<br />
Cinque giorni di lavoro sono stati assolutamente<br />
sufficienti. Abbiamo addirittura<br />
chiuso in anticipo il quinto e il sesto giorno.<br />
Ma non è che siamo andati di corsa…<br />
però Reese Wynans, il tastierista, è uno a<br />
cui basta un take per le sue parti. Magari<br />
può provare un paio di volte, ma poi stop.<br />
Lo stesso è accaduto con Michael Rhodes<br />
(basso) e Anton Fig (batteria), o con Greg<br />
Morrow (batteria). Sono tutti musicisti a<br />
cui basta un take. Sono abituati a lavorare<br />
in questo modo, e così ovviamente i tempi<br />
si accorciano.<br />
Ma è sempre stato così dalla nascita del<br />
rock’n’roll… persino con le boyband di allora,<br />
come i Monkees…<br />
Vero, però anche se prendi i Monkees<br />
erano migliori anni luce dalle boyband<br />
di oggi. I loro dischi venivano registrati<br />
dalla Wrecking Crew [celebre gruppo di<br />
turnisti di Los Angeles che spesso negli<br />
anni 60 registrava al posto degli artisti di<br />
copertina, senza poi apparire nei credits],<br />
e i Monkees non suonavano quasi mai<br />
ma, perlomeno, dovevano cantare e lo<br />
facevano bene. Non per sembrare nostalgico,<br />
ma non riesco a capire come oggi<br />
certe “cose” siano considerate musica. È<br />
incomprensibile che la gente possa interfacciarsi<br />
con questo tipo di produzione<br />
che non prevede nessun coinvolgimento<br />
emotivo nella sua realizzazione. La musica<br />
è qualcosa che mette in contatto le<br />
anime, che suscita emozioni attingendo a<br />
esperienze di gioia, paura, dolore, tristezza.<br />
Ma se ascolti tanti brani in commercio,<br />
sembra cyborg rap… e tutti i cantanti<br />
assomigliano a bambini. Non cantano<br />
con la voce da adulti, ma da adolescenti.<br />
È uno schifo.<br />
Kevin Shirley: undici anni di lavoro insieme<br />
e cinque album in studio… quasi un<br />
complice musicale…<br />
Mi piace fare le cose alla vecchia maniera.<br />
Alcuni dei miei idoli, come B.B. King, ad<br />
esempio, hanno avuto lo stesso manager<br />
per un sacco di tempo: Sid Seidenberg lo<br />
ha seguito per circa 24 anni. Anche io e<br />
Roy Weisman, il mio manager, quest’anno<br />
festeggiamo 25 anni insieme. È un’altra<br />
cosa che oggi ha dell’incredibile. Con Kevin<br />
ci siamo conosciuti nel 2005, quindi<br />
sono già passati undici anni. Prima di lui<br />
ho lavorato con Tom Dowd, Clif Magness,<br />
Bob Held. Un live l’ho mixato io [ride]. Ma<br />
non mi sono mai sentito di poter produrre<br />
i miei dischi. Comunque, era solo per dire<br />
che prima d’incontrare Kevin avevo già<br />
pubblicato altri cinque album. Ora, se pensi<br />
a Tom Dowd, altro mio idolo, e vai a vedere<br />
la discografia degli Allman Brothers<br />
o dei Lynyrd Skynyrd, nei primi album c’è<br />
sempre lui. A loro serviva Tom e a Tom<br />
servivano loro, perché il produttore e l’artista<br />
crescono insieme. Il problema è quando<br />
sei a caccia di qualche hit. Puoi decidere<br />
di utilizzare qualsiasi produttore, ma se<br />
«SONO AMERICANO<br />
MA AMO IL BLUES<br />
REVIVAL INGLESE<br />
DI FINE ANNI 60»<br />
JOE BONAMASSA<br />
La sua grinta è<br />
proverbiale (foto<br />
Marty Moffatt).<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 113
JOE BONAMASSA<br />
cambi in continuazione è difficile dare vita<br />
a un percorso artistico basato su un tuo<br />
sound. Non puoi pensare che se ti piace<br />
un album di qualcun altro la cosa più semplice<br />
da fare sia lavorare con il suo produttore.<br />
Se ti piacciono i dischi dei Rival Sons,<br />
non è sufficiente chiamare David Cobb<br />
per suonare come loro. Sarebbe poco corretto<br />
chiedergli di fare ciò, perché ognuno<br />
ha e deve avere la propria personalità. Al<br />
tempo stesso non bisogna fossilizzarsi.<br />
Kevin Shirley mi stimola in continuazione.<br />
Mi ha proiettato in una dimensione in cui<br />
non sarei mai riuscito a vedermi. Prendi<br />
ad esempio l’ultimo concerto acustico che<br />
ho fatto alla Carnegie Hall di New York.<br />
L’idea era quella di alcuni brani del nuovo<br />
album, poi altri pezzi originali e qualche<br />
cover: quella che avevo scelto io era How<br />
Can A Poor Man Stand And Live, vecchio<br />
pezzo folk che avrà un centinaio d’anni,<br />
nella versione di Ry Cooder, che aveva già<br />
realizzato Pete Seeger. Ero convinto che<br />
avremmo potuto riproporla alla grande.<br />
Kevin mi dice: “Ok, ora ti dico la mia idea<br />
riguardo la possibile scelta. Sei seduto?”.<br />
E mi ha proposto The Rose di Bette<br />
Midler. Sono saltato sulla sedia. Doug<br />
Henthorn, che è un mio grande amico e<br />
un ottimo cantante, aveva registrato un<br />
demo in cui l’aveva abbassata di tonalità<br />
in modo che potessi cantarla. E anche se<br />
non è stato il pezzo più apprezzato della<br />
serata, ha funzionato benissimo come<br />
bis, con il pubblico in piedi ad applaudire<br />
e gente che piangeva. Questo per farti<br />
capire in poche parole chi è Kevin Shirley.<br />
È uno capace di pensare fuori dagli<br />
schemi. All’improvviso i due brani che<br />
mi ha suggerito di mettere in repertorio,<br />
ovvero The Rose e Hummingbird, una<br />
vecchia canzone di Leon Russell che, a<br />
parte B.B. King, non ha mai riproposto<br />
nessuno, hanno avuto un successo pazzesco.<br />
Ecco la genialità di Kevin Shirley.<br />
Mi stimola in continuazione artisticamente,<br />
mi mette anche un po’ in difficoltà<br />
a volte, anche in grande difficoltà,<br />
e mi costringe a essere all’altezza della<br />
situazione. L’ha fatto così tante volte in<br />
questi undici anni in cui siamo cresciuti<br />
insieme, che ora la pensiamo allo stesso<br />
modo. E a questo punto non mi sorprende<br />
più niente. Devo solo fidarmi di lui,<br />
«NON IMPORTA CHE<br />
SALGA SUL PALCO<br />
ACCANTO A ERIC<br />
CLAPTON… RIMARRÒ<br />
COMUNQUE<br />
UN SUO FAN»<br />
JOE BONAMASSA<br />
perché come mi ha detto fin dall’inizio,<br />
l’unica cosa che gli interessa è che artisticamente<br />
io possa avere successo. A<br />
volte mi chiede di cantare cose impossibili,<br />
e io mi rifiuto persino di provarci,<br />
ma sa come stimolarmi quando tendo<br />
a diventare un po’ pigro. Sa però fare un<br />
passo indietro quando si rende conto<br />
che siamo andati un po’ troppo fuori dal<br />
seminato e io non sono a mio agio.<br />
Nella tua musica c’è tanta “roba”… ma gira<br />
che ti rigira si torna sempre al blues… nonostante<br />
i critici ogni tanto storcano la<br />
bocca e cerchino di dire che sei “troppo”<br />
rock… allora spunta un disco acustico<br />
come AN ACOUSTIC EVENING AT THE<br />
VIENNA OPERA HOUSE…<br />
Sono un artista blues, almeno sono considerato<br />
tale. Sono orgoglioso di esserlo.<br />
Ma se ascolti la mia produzione musicale,<br />
direi che un buon cinquanta per cento non<br />
Manifesti dei suoi concerti.<br />
è proprio blues. Forse anche di più. Neanche<br />
il politico più bravo riuscirebbe a convincerti<br />
che si tratta di blues. È un misto<br />
di Americana, hard rock, country music<br />
borderline. Ma non è blues. Non ho mai<br />
voluto andare in una sola direzione, non<br />
mi mette paura fare del blues classico o<br />
suonare più sporco, questo è l’unico modo<br />
per continuare ad amare la musica, evitare<br />
di rimanere intrappolato nelle medesime<br />
cose. Ovviamente non sempre ci si riesce.<br />
Il blues è all’origine di tutto, non a caso lo<br />
trovi nei padri neri o in quelli bianchi del<br />
blues revival britannico di fine anni 60,<br />
come John Mayall e i suoi Bluesbreakers<br />
o nei Led Zeppelin… che nel primo disco<br />
hanno rivisitato i classici per arrivare a un<br />
nuovo suono. E che dire di Rory Gallagher,<br />
l’irlandese dal fuoco sacro del blues? D’altronde<br />
sono americano e il blues è musica<br />
che respiro sin da bambino, anche inconsapevolmente,<br />
ma non posso negare che<br />
la scena del blues revival inglese alla fine<br />
degli anni 60 fosse spettacolare. Proprio<br />
perché amo questa musica senza tempo<br />
cerco di non avere il paraocchi e cercare<br />
un mio linguaggio, pur avendo profondo<br />
rispetto per la sua incredibile storia. Il<br />
blues rappresenta davvero la mia vita e,<br />
mettendoci tutto me stesso, mi permette<br />
di trasmettere le mie emozioni al mondo.<br />
Visto che entrano sempre in ballo queste<br />
114
JOE BONAMASSA<br />
tue influenze “spurie”, non ortodosse per<br />
chi, come te, è considerato la nuova “certezza”<br />
del blues…<br />
Come ho iniziato a dire… chi può discutere<br />
Robert Johnson, T-Bone Walker, Muddy<br />
Waters? Non certo io… però non posso<br />
vergognarmi di dire che ho imparato ad<br />
amare certi brani prima e più nelle versioni<br />
degli artisti inglesi. La visione inglese<br />
del blues probabilmente mi ha cambiato la<br />
vita. Ascoltate la straordinaria I’m Ready<br />
di Willie Dixon suonata dai potenti Humble<br />
Pie di Steve Marriott e Peter Framton…<br />
vera poesia hard-blues. I miei riferimenti<br />
adolescenziali erano poeti della sei corde<br />
come Paul Kossoff dei Free, Peter Green<br />
dei Fleetwood Mac, Eric Clapton dei Cream,<br />
Rory Gallagher dei Taste… e poi Jeff<br />
Beck, specialmente col Jeff Beck Group,<br />
Jimmy Page, anche se i Led Zeppelin non<br />
erano certo solo lui… basti pensare a Robert<br />
Plant alla voce, John Bonham alla batteria<br />
e John Paul Jones al basso. Gli Zeps<br />
sono una delle mie band favorite ed era<br />
tempo che volevo inciderne un brano senza<br />
che fosse uno di quelli scontati, di quelli<br />
che avevano suonato proprio tutti… così<br />
nell’album YOU & ME del 2006 ho incluso<br />
la loro Tea For One da PRESENCE, lavoro<br />
dove la chitarra di Page ha una grande forza<br />
espressiva. Per la voce ho scelto Doug<br />
Henthorn, cantante/chitarrista dell’Indiana<br />
[ha inciso con una buona band progressive-rock,<br />
Pod, poi sciolta per approdare<br />
agli Healing Sixes, più rock blues, e<br />
collabora con John Hiatt, ndr]. Amo molto<br />
pure gli ZZ Top. Nei miei album e concerti<br />
inserisco composizioni degli artisti che<br />
stimo, è un modo per rimanere, nonostante<br />
il successo, un fan della musica e di chi<br />
l’ha composta e suonata… ovviamente cerco<br />
di renderle mie e di non farmi schiacciare<br />
dalla versione originaria, pur rispettandola.<br />
Nella scelta della canzone conta<br />
anche il testo, se mi colpisce e la musica<br />
mi prende, allora posso suonarla come se<br />
fosse mia. Non è una cosa strana… pensa<br />
ai Cream con I’m So Glad di Skip James…<br />
Bonamassa sul palco prima<br />
di un concerto alla Carnegie<br />
Hall di New York<br />
(foto Christie Goodwin).<br />
come se l’avessero ricomposta a modo<br />
loro, pur lasciando gli elementi portanti.<br />
Non importa che salga sul palco accanto<br />
a Eric Clapton… rimarrò comunque un suo<br />
fan, anche se sono contento che la gente<br />
mi accosti a questi straordinari chitarristi.<br />
Penso che pure loro siano stati fan di altri<br />
grandi artisti… è la logica della vita. Mi<br />
chiedono spesso quali siano i miei album<br />
preferiti ma la risposta varia a seconda del<br />
mio umore… però un posto questi quattro<br />
spesso lo trovano: WITH ERIC CLAPTON<br />
di John Mayall, FRESH dei Cream, IRISH<br />
TOUR di Rory Gallagher e TRUTH del<br />
Jeff Beck Group con Rod Stewart. L’artista<br />
americano che più mi ha influenzato? Sicuramente<br />
B.B. King.<br />
Possiamo dire che omaggi il rock-blues<br />
britannico di fine anni 60?<br />
Assolutamente. A volte quando fai così<br />
tante cose diverse come me – ho inciso un<br />
disco di canzoni di Betty Davis con la cantante<br />
australiana Mahalia Barnes (sua corista<br />
anche in BLUES OF DESPERATION<br />
e figlia del leggendario Jimmy dei Cold<br />
Chisel), due dischi con Beth Hart e con lei<br />
presto ne farò un altro, i concerti tributo<br />
a Howlin’ Wolf, Muddy Waters, quelli dedicati<br />
ai tre Re (Freddie, B.B., Albert), gli<br />
album della Black Country Communion,<br />
quelli della Rock Candy Funk Party, un<br />
sacco di ospitate, oltre ai miei album solisti<br />
e due tour acustici – è facile perdere<br />
di vista le proprie qualità. Ricordo che,<br />
dopo aver registrato Mountain Climbing<br />
in BLUES OF DESPERATION, ho detto a<br />
Kevin: “Non per autoincensarmi, ma sono<br />
proprio bravo a suonare il rock blues”. Hai<br />
presente, quel tipo di blues saturo, potente,<br />
che affonda le radici nel periodo che<br />
va dal 1968 al 1974. Mi sono ricordato da<br />
dove provengo, ovvero dall’heavy blues<br />
rock inglese di quell’epoca. Fa parte del<br />
mio DNA, della mia anima. A volte rimane<br />
sotto traccia, nascosto, ma quando emerge,<br />
allora c’è da divertirsi.<br />
Musica… quando componi, quando la incidi<br />
in studio e quando la esegui live sul<br />
palco…<br />
Per me è uguale, è sempre musica, la<br />
mia… sia che l’abbia composta sia che la<br />
esegua solamente; per vivere bene questi<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 115
JOE BONAMASSA<br />
Joe Bonamassa (a destra)<br />
con l’armonicista milanese<br />
Fabio Treves, detto Il puma<br />
di Lambrate.<br />
Hai appena compiuto 40 anni e hai inciso<br />
una marea di dischi…<br />
Sono un tipo curioso e mi piace esplorare<br />
tutto. Avrò tempo per stare fermo quando<br />
mi mancheranno le forze, ora c’è tanto da<br />
fare e non si può dormire sugli allori… fino<br />
a quando non avrò inciso il miglior album<br />
possibile non saprò se avrò tirato fuori il<br />
meglio della mia creatività… e anche allora<br />
ci sarà un altro orizzonte da oltrepassare.<br />
Certo, se abbino ai dischi anche l’attività<br />
live, capisco che gli altri possano chiedersi<br />
come faccio ad andare avanti… solo amore<br />
per la musica… può bastare. E poi l’anno<br />
ha 12 mesi, basta saper gestirsi i tempi di<br />
ogni progetto, qualche volta, però, non è<br />
facile…<br />
tre momenti devi avere un po’ di talento,<br />
altrimenti cambia tutto, ma lo devi sostenere<br />
con il rigore del lavoro, se non studi<br />
sul tuo strumento il talento appassisce e<br />
nei casi più gravi… sparisce. Comunque,<br />
qualcosa dentro lo devi avere naturalmente,<br />
altrimenti come fai a comunicarlo alla<br />
gente? Certo i tre momenti sono diversi<br />
nell’approccio e nel vissuto… comporre e<br />
registrare in studio sono più intimi, puoi<br />
modificare tutto come ti pare, fare 2000<br />
prove di come dovrà essere una frase o<br />
un solo di chitarra o di un altro strumento,<br />
non hai la nozione del tempo che scorre,<br />
quasi mai… mentre quando sei sul palco<br />
hai le persone davanti, tu vivi per le loro<br />
emozioni e loro vivono per le tue, il riuscire<br />
a fonderle è determinante per fare o<br />
meno un buon concerto. Certo è anche un<br />
po’ una sfida con te stesso a fare sempre<br />
meglio, a provare qualcosa che non hai<br />
mai fatto… e dalla reazione del pubblico ti<br />
accorgi se stai andando nella giusta direzione…<br />
ma non devi farti tiranneggiare da<br />
questo rapporto, altrimenti non cambieresti<br />
mai nulla nello spettacolo. Il giudice più<br />
severo di me stesso? Io, sicuramente sono<br />
il meno incline ad assolvermi. Però, che<br />
«AVRÒ TEMPO<br />
PER STARE FERMO<br />
QUANDO MI<br />
MANCHERANNO<br />
LE FORZE, ORA C’È<br />
TANTO DA FARE»<br />
JOE BONAMASSA<br />
sensazione quando abbandoni la sicurezza<br />
del retropalco per uscire allo scoperto…<br />
c’è sempre quella piccola stretta allo stomaco<br />
che ti prende, inevitabilmente… puoi<br />
essere tranquillo quanto vuoi ma quando<br />
sei allo scoperto c’è sempre quella piccola<br />
stretta a ricordarti che la musica comincia<br />
sul serio. Non importa quanto sia grande<br />
e importante il palco, se suoni per 100 o<br />
100.000 appassionati, non ti abbandona<br />
mai. Fortunatamente.<br />
Beth Hart…<br />
Amo SEESAW, il nostro secondo album, e<br />
sono contento della nostra collaborazione.<br />
Una grande cantante che meriterebbe<br />
maggiore popolarità nel mondo, doti incredibili<br />
dal punto di vista umano e artistico.<br />
Diventerà una stella assoluta…<br />
…In effetti bisognerebbe chiederlo ai suoi<br />
compagni nei Black Country Communion,<br />
che si lamentavano, specialmente<br />
il bizzoso Glenn Hughes (ex Deep Purple<br />
e Black Sabbath), della sua scarsa disponibilità<br />
ad andare in tour con loro. Questi<br />
problemi sembra siano stati la causa<br />
deflagrante dello scioglimento della<br />
band, almeno della fuoriuscita di Bonamassa,<br />
che a marzo 2013 ha dichiarato<br />
alla rivista «Premier Guitar»:<br />
“Per quanto mi riguarda il mio coinvolgimento<br />
con la band è giunto al termine, e<br />
vi spiego il perché: originariamente, l’ho<br />
fatto per gli stessi motivi per cui ho realizzato<br />
il progetto con Beth Hart e Rock Candy<br />
Funk Party. Era una scusa per suonare<br />
musica diversa da quella che suono abitualmente.<br />
I primi due album erano una<br />
bomba. È una rock band dalla bravura devastante,<br />
Glenn è un cantante fantastico,<br />
semplicemente uno dei migliori… e poi ho<br />
passato nove settimane in tour nel 2011,<br />
alla fine non è stato affatto divertente. E<br />
non perché non mi piacessero i ragazzi<br />
nella band, semplicemente era “troppo”.<br />
Tutti erano davvero tesi e non è il modo in<br />
cui mi piace andare in tour. Ho una famiglia<br />
di 21 persone con me ogni volta che<br />
parto in tour… e se chiedi a ognuno di loro<br />
chi è quello che gli crea il minor numero di<br />
problemi, rispondono tutti che sono io. A<br />
meno che non manchi la Diet Coke… allora<br />
sarebbe un grandissimo guaio. Ma poi<br />
finisce che vado al supermarket e la compro<br />
da me, quindi…”.<br />
C<br />
M<br />
Y<br />
CM<br />
MY<br />
CY<br />
CMY<br />
K<br />
116
David Byrne<br />
Testa o croce?<br />
33 anni di magie<br />
QUANDO IL SIPARIO SI APRE<br />
– DICE BYRNE – NON C’È PIÙ<br />
MOLTO DA FARE. CON STOP<br />
MAKING SENSE VOLEVO<br />
RACCONTARE UNA STORIA<br />
DEL GRUPPO E<br />
ORGANIZZARE UN<br />
CRESCENDO CHE RENDESSE<br />
IL CONCERTO PIÙ INTENSO E<br />
DRAMMATICO<br />
testo: Paolo Carnelli<br />
rentatré anni fa i Talking Heads<br />
e il giovane regista Jonathan<br />
Demme giravano Stop Making<br />
Sense, concert film destinato<br />
a diventare leggenda. Il progetto sancì<br />
anche la consacrazione del cantante e<br />
compositore David Byrne, non solo come<br />
leader indiscusso della band statunitense,<br />
ma soprattutto come artista eclettico e<br />
geniale, capace di manipolare e miscelare<br />
varie forme di espressione artistica in<br />
maniera assolutamente innovativa…<br />
ono orgoglioso di Stop Making<br />
«SSense, certo. Ma da un certo<br />
punto di vista, in tutti questi anni è stato<br />
anche un bel fardello da sopportare.<br />
So che non potrò mai fare di meglio, ma<br />
non posso neanche fare finta che non sia<br />
mai esistito». Sorprendono un po’, conoscendo<br />
il tipo, le parole che l’ex leader dei<br />
Talking Heads, David Byrne, spende dopo<br />
trent’anni esatti per quello che probabilmente<br />
rappresenta ancora oggi l’esempio<br />
migliore di come si possa fissare su<br />
pellicola un concerto rock. Sorprendono<br />
perché Byrne, che ha da poco superato<br />
i sessant’anni, non è certo uno che si è<br />
seduto sugli allori: da quegli incredibili<br />
spettacoli con i Talking Heads del dicembre<br />
1983, da cui è tratto il film, il musicista<br />
americano (anche se scozzese di nascita)<br />
ha intrapreso un percorso di ricerca che lo<br />
ha portato ad attraversare generi e forme<br />
di espressione, passando dalla musica<br />
sudamericana a quella per orchestra, dal<br />
balletto alle installazioni d’arte: si pensi<br />
ad esempio al suggestivo esperimento di<br />
qualche anno fa, quando Byrne trasformò<br />
la Roundhouse di Londra in una gigantesca<br />
“macchina sonora”, in cui tutte le “appendici<br />
timbriche” venivano pilotate da<br />
un vecchio armonium posizionato al centro<br />
della struttura. In ambito strettamente<br />
musicale, la sua ultima produzione è invece<br />
rappresentata dalla collaborazione<br />
con la giovane cantante e polistrumen-<br />
tista statunitense Annie Clark, in arte St.<br />
Vincent, con cui ha pubblicato nel 2012<br />
un album intitolato LOVE THIS GIANT, e<br />
con cui sarà in tour nel nostro Paese all’inizio<br />
di settembre.<br />
Eppure, quando si pensa a David Byrne,<br />
è impossibile non vederselo comparire<br />
davanti agli occhi immerso in quel<br />
completo di lino “oversize” che campeggiava<br />
sulla copertina di STOP MAKING<br />
SENSE, oppure impegnato nella surreale e<br />
calcolata gestualità che ha reso celebre la<br />
riproposizione di Once In A Lifetime presente<br />
nel film, per la quale Byrne spiegò<br />
poi di essersi ispirato ai predicatori americani.<br />
La storia della “big suit”, come era<br />
chiamata dallo stesso leader dei Talking<br />
Heads, è abbastanza curiosa: l’idea di indossare<br />
un abito gigantesco nacque una<br />
sera in un ristorante di Tokyo, dove David<br />
era a cena con la sua futura moglie,<br />
Adelle Luiz, e con lo stilista Jurghen Lehl.<br />
Byrne, che era un grande appassionato<br />
della cultura giapponese, manifestò ai<br />
due l’intenzione di indossare sul palco,<br />
per il nuovo tour della band, una specie di<br />
“costume”, ispirato a quelli, estremamente<br />
geometrici, del teatro Kabuki. Tracciò delle<br />
linee sul tovagliolo e disegnò un personaggio<br />
caratterizzato da un enorme abito<br />
squadrato, così sproporzionato rispetto<br />
al corpo che la sua testa sembrava una<br />
piccola pallina. “Volevo prendere quella<br />
immagine e trasportarla all’interno della<br />
iconografia tipica della nostra cultura, ad<br />
esempio sostituendo il costume di scena<br />
con un completo occidentale, giacca<br />
e cravatta. Mi affascinava di più l’idea di<br />
prendere degli oggetti dell’uso quotidiano<br />
118
David Byrne al festival<br />
Rockin’ Umbria del 1992<br />
(foto Domenico di Bona).<br />
«SAPEVO<br />
ESATTAMENTE COME<br />
RIPRENDERE LE<br />
CANZONI, PASSAI MOLTO<br />
TEMPO A SPIEGARLO<br />
AGLI OPERATORI»<br />
JONATHAN DEMME<br />
e deformarli, piuttosto che creare qualcosa<br />
di totalmente immaginario. Prendete<br />
un classico completo da uomo, rendetelo<br />
gigantesco e fatelo indossare a una persona<br />
normale… cosa può rappresentare?<br />
Un uomo d’affari che sta scomparendo<br />
all’interno della sua uniforme, che sta appassendo…<br />
o magari è il vestito che se lo<br />
sta divorando?”. In fin dei conti, non era<br />
stata da sempre la chiave principale della<br />
musica e dei testi dei Talking Heads,<br />
quella di prendere ispirazione dal quotidiano,<br />
dalle piccole cose di ogni giorno,<br />
per poi provare a stravolgerne l’aspetto<br />
e il significato, ingigantendone la portata?<br />
In più, l’idea di indossare in scena un<br />
abito molto più grande di lui permetteva<br />
a Byrne di veicolare al pubblico un altro<br />
messaggio che gli stava particolarmente<br />
a cuore: “Volevo che la mia testa sembrasse<br />
più piccola, e il modo più semplice<br />
per ottenere questo risultato era rendere<br />
il mio corpo più grande. La musica è una<br />
forma di espressione molto fisica, in cui<br />
spesso è il corpo a comandare e a capire<br />
cosa deve fare prima ancora che sia la testa<br />
a dirglielo”.<br />
Contrariamente a quello che molti<br />
pensano, la sceneggiatura e il concept,<br />
sia scenico che narrativo, di Stop<br />
Making Sense, non fu un parto del regista<br />
Jonathan Demme. Fu infatti lo stesso David<br />
Byrne a elaborare per il tour di Speaking<br />
in Tongues una nuova idea di concerto,<br />
basato ad esempio sull’allestimento<br />
in tempo reale del palcoscenico su cui la<br />
band era chiamata a esibirsi: “Se il sipario<br />
si apre e dietro tutto è già pronto – spiega<br />
Byrne – non c’è più molto da fare. L’idea<br />
era quella di raccontare in<br />
un certo senso una storia<br />
del gruppo e organizzare<br />
un crescendo che<br />
rendesse il concerto<br />
via via sempre più<br />
intenso e drammatico”.<br />
Per questo<br />
motivo lo spettacolo<br />
iniziava con il solo<br />
Byrne che eseguiva<br />
la celebre Psycho Killer<br />
alla chitarra acustica, accompagnato<br />
da una base di<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 119
DAVID BYRNE<br />
batteria elettronica (una Roland TR-808).<br />
L’audio della base, gestito dal mixer di<br />
sala, sembrava provenire direttamente da<br />
uno stereo che lo stesso Byrne aveva portato<br />
con sé sul palco e poi azionato manualmente,<br />
come se stesse riproducendo<br />
una cassetta registrata in precedenza. Da<br />
quel momento, i brani successivi in scaletta<br />
vedevano aumentare progressivamente<br />
il numero di musicisti presenti in<br />
scena, fino ad arrivare ad avere sul palco<br />
la line up completa comprendente, oltre<br />
ai quattro Talking Heads storici, anche gli<br />
altri cinque musicisti aggiunti, dando vita<br />
a quella miscela inconfondibile di funk e<br />
rock che faceva scatenare il pubblico. Ma<br />
soprattutto, nell’ideazione dello spettacolo<br />
Byrne riuscì a conciliare mirabilmente<br />
l’esigenza di ricondurre tutte le canzoni in<br />
scaletta a un contesto scenico omogeneo,<br />
eppure a caratterizzare ogni pezzo da un<br />
punto di vista visivo ben preciso: questo<br />
fu reso possibile da un approccio teatrale<br />
che privilegiava sul palco l’utilizzo esclusivo<br />
della luce bianca, ma indirizzata verso<br />
i musicisti da sorgenti e angolazioni<br />
Da sinistra: Byrne,<br />
Tina Weymouth,<br />
Chris Frantz,<br />
Jerry Harrison.<br />
differenti (durante What A Day That It<br />
Was, ad esempio, le luci erano posizionate<br />
sotto i musicisti, proiettando le loro<br />
ombre ingigantite sullo sfondo), e attraverso<br />
la presenza di parti di scenografia,<br />
come la celebre lampada Woolworth modificata<br />
con cui Byrne danzava alla fine di<br />
This Must Be The Place. Spesso durante il<br />
balletto le tre lampadine all’interno della<br />
lampada finivano per esplodere, ma questo<br />
fortunatamente non accadde quando<br />
vennero effettuate le riprese per il film.<br />
In più, durante alcuni brani lo sfondo del<br />
palco si trasformava in un grande schermo<br />
su cui venivano proiettate parole e<br />
immagini.<br />
Quando Jonathan Demme vide i<br />
Talking Heads in tour nel 1982, il<br />
concerto lo colpì a tal punto che decise<br />
di incontrare David Byrne per chiedergli<br />
se fosse interessato a realizzare un film<br />
di quello spettacolo. Demme, all’epoca<br />
quarantenne, era ancora molto lontano<br />
dalla celebrità che avrebbe poi ottenuto<br />
con Il silenzio degli innocenti: fino a quel<br />
momento il suo film di maggior successo<br />
(perlomeno a livello di critica) era stato<br />
Melvin and Howard del 1980, a cui però<br />
era seguito il disastroso Swing Shift, funestato<br />
dai dissapori con la star Goldie<br />
Hawn e con la Warner Bros. Pochi sanno<br />
che nel 1978 Demme aveva anche girato<br />
una puntata del telefilm Colombo, intitolata<br />
Murder under Glass. Il merito principale<br />
di Demme, nell’economia di Stop Making<br />
Sense, fu quello di rendersi praticamente<br />
invisibile, limitandosi a intervenire il mini-<br />
120<br />
«STOP MAKING<br />
SENSE<br />
RAPPRESENTÒ<br />
IL MOMENTO DELLA<br />
CONSACRAZIONE<br />
PER I TALKING<br />
HEADS»
DAVID BYRNE<br />
La sceneggiatura<br />
del film fu ideata<br />
da David Byrne.<br />
mo indispensabile sul concept originario:<br />
qualche ritocco della setlist, che fu necessariamente<br />
accorciata rispetto ai 135<br />
minuti originari e l’idea di non mostrare<br />
mai (se non verso la fine della pellicola) il<br />
pubblico presente in teatro, distaccandosi<br />
dal classico concert film in stile The Last<br />
Waltz. Piuttosto che l’evento in cui la performance<br />
aveva avuto luogo, Demme preferì<br />
invece documentare filologicamente<br />
la pura e semplice performance, in modo<br />
tale che chi sarebbe poi andato al cinema<br />
per assistere alla proiezione si sarebbe<br />
sentito maggiormente partecipe. Per lo<br />
stesso motivo, Demme scartò immediatamente<br />
l’opzione di inserire delle interviste<br />
o degli altri filmati all’interno del film. Al<br />
tempo stesso, il regista preparò accuratamente<br />
lo storyboard delle riprese: “Andai<br />
in tour con la band un paio di volte, e iniziai<br />
a creare una sceneggiatura che revisionavo<br />
e ottimizzavo costantemente. Sapevo<br />
esattamente come volevo riprendere<br />
le varie canzoni, e passai parecchio tempo<br />
a spiegare il tutto agli operatori prima delle<br />
riprese, in maniera tale da potergli fornire<br />
delle indicazioni molto precise durante<br />
il concerto, del tipo: Ok, Camera D, adesso<br />
arriva la parte di cui parlavamo, preparati<br />
a scarrellare sulla sinistra e a stringere<br />
sul percussionista”. La direzione della fotografia<br />
e la gestione delle luci di scena<br />
fu invece affidata a Jordan Cronenweath,<br />
che si era appena occupato della fotografia<br />
per Blade Runner, mentre per i titoli di<br />
testa venne utilizzato lo stesso font del<br />
Dottor Stranamore di Kubrick. L’audio del<br />
concerto fu registrato, per la prima volta in<br />
assoluto, direttamente in formato digitale<br />
su un registratore Sony a 24 piste.<br />
S<br />
top Making Sense rappresentò il<br />
momento della consacrazione per<br />
i Talking Heads, ma soprattutto per David<br />
Byrne: la regia di Demme non fece<br />
altro che esaltare le coreografie e il concept<br />
ideato con attenzione dal musicista<br />
scozzese: i suoi movimenti sul palco, così<br />
come quelli degli altri musicisti, non erano<br />
frutto dell’improvvisazione, ma erano<br />
stati studiati e provati nei minimi dettagli<br />
per ore. Volendo fare un parallelo, Byrne<br />
diventò per i Talking Heads l’equivalente<br />
di quello che Peter Gabriel era diventato<br />
per i Genesis dieci anni prima: le sue maschere<br />
e la sua teatralità finirono per relegare<br />
inevitabilmente il gruppo in secondo<br />
piano e creare una frattura al suo interno.<br />
Non a caso, dopo i concerti immortalati in<br />
Stop Making Sense i Talking Heads non<br />
andarono più in tour, pur continuando a<br />
pubblicare dischi fino al 1988. Il film invece<br />
continuò a essere proiettato regolarmente<br />
sugli schermi dei cinema di tutto il<br />
mondo ancora per molti anni: “Era come<br />
se non avessimo mai smesso di suonare<br />
quel concerto, ma continuassimo a ripeterlo<br />
all’infinito, come se fossimo rimasti<br />
intrappolati al suo interno”, spiega Byrne.<br />
E allora il testo di uno dei brani più belli<br />
dei Talking Heads, Memories Can’t Wait,<br />
non può non venire alla mente, con la sua<br />
valenza quasi profetica…<br />
There’s a party in my mind…<br />
And I hope it never stops<br />
There’s a party up there all the<br />
time…<br />
They’ll party till they drop<br />
Other people can go home…<br />
Other people they can split<br />
I’ll be here all the time…<br />
I can never quit<br />
GLI SPECIALI DI MUSICA 121
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Foto: Archivio Cramps, Guido Bellachioma, Renzo Chiesa, Francesco Desmaele, Gavin Evans, Fabio<br />
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