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SUONO n° 518

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MINA<br />

LE FOTO DI PASCUTTINI<br />

DEMETRIO<br />

STRATOS<br />

CANTARE LA VOCE<br />

AL JARREAU<br />

SULLE CORDE<br />

DELLE EMOZIONI<br />

MARINO<br />

SEVERINI<br />

GANG CALIBRO 77<br />

ENRICO<br />

CARUSO<br />

E MARIA<br />

CALLAS<br />

VOCI DELLA<br />

“CLASSICA”<br />

NUOVA<br />

COMPAGNIA<br />

DI CANTO<br />

POPOLARE<br />

TUTTE LE VOCI DI NAPOLI


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tilolo pezzo<br />

Mercoledì 27 settembre<br />

21:30<br />

La bocca della verità<br />

22:40<br />

Ingranaggi della Valle<br />

Giovedì 28 settembre<br />

21:30<br />

Accordo dei contrari<br />

22:40<br />

Slivovitz<br />

Venerdì 29 settembre<br />

21:30<br />

Consorzio<br />

Acqua Potabile<br />

22:40<br />

Jumbo<br />

Sabato 30 settembre<br />

21:30<br />

Italia 70 con Jenny<br />

e Alan Sorrenti,<br />

Enzo Vita e Pino Ballarini<br />

del Rovescio della<br />

Medaglia + altri ospiti<br />

22:40<br />

Semiramis<br />

Domenica 1 ottobre<br />

21:30<br />

La Coscienza di Zeno<br />

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Biglietto per l’inferno<br />

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129


<strong>518</strong><br />

• anno XLVII •<br />

• agosto 2017 •<br />

DAVID BOWIE<br />

06Una voce per l’eternità<br />

10 dischi per ascoltare la voce<br />

22Guida all’ascolto<br />

29 L’impianto<br />

Come “vivere” la voce<br />

34 MINA<br />

I record di una cantante inimitabile<br />

PIETRO PASCUTTINI<br />

39Fotografare Mina<br />

ENRICO CARUSO<br />

40Secondo Puccini l’ha mandato Dio!<br />

MARIA CALLAS<br />

46La voce divina<br />

AL JARREAU<br />

58Dentro la musica<br />

62 GANG<br />

Vita da cantastorie<br />

PROCOL HARUM<br />

7850 anni da A Whiter Shade of Pale<br />

Gianmaria Testa<br />

84Le stazioni del cuore<br />

Demetrio Stratos<br />

88Oltre la voce<br />

92 Area<br />

Senza confini<br />

Nuova Compagnia<br />

100di Canto Popolare<br />

Viaggio nella tradizione “diversa”<br />

106 Osanna<br />

Da Napoli verso il mondo<br />

Joe Bonamassa<br />

112Non solo blues<br />

David Byrne<br />

118Fuori dal coro


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1<br />

dalla A alla Z<br />

BEATLES, KING CRIMSON,<br />

YES, PINK FLOYD,<br />

HAWKWIND, QUEEN,<br />

ZAPPA…<br />

Belew, Adrian.<br />

Il chitarrista di King Crimson,<br />

Frank Zappa e Talking Heads ha suonato<br />

con Bowie in due periodi distinti della sua<br />

carriera: dal 1978 al 1979 e successivamente<br />

nel 1990 per il celebre Sound+Vitesto:<br />

Paolo Carnelli<br />

i sono artisti la cui carriera segue<br />

una lunga linea retta, e altri<br />

dai quali è invece alimentata<br />

attraverso scarti improvvisi.<br />

David Bowie era uno di questi. La personale<br />

idea di arte, basata sul desiderio di esplorare<br />

ogni tipo di suggestione, si rifletteva<br />

sulla sua musica e sulla sua personalità, in<br />

un continuo gioco di specchi. Cantautore,<br />

musicista, attore, pittore, produttore, Bowie<br />

ha fatto della capacità di cambiare pelle il<br />

principale punto di forza e di attrattiva verso<br />

il pubblico e la critica. David Robert Jones<br />

è stato sempre considerato un innovatore,<br />

e forse proprio per questo la sua strada<br />

si è incrociata spesso con quella di veri e<br />

propri campioni delle stagioni progressive<br />

come Robert Fripp o Rick Wakeman. Non<br />

è nostra intenzione, ovviamente, disquisire<br />

su quanto Bowie fosse prog o meno:<br />

piuttosto, ci sembrava semplicemente doveroso<br />

celebrare l’artista prematuramente<br />

scomparso lo scorso 10 gennaio e nel farlo,<br />

fornire nuovi stimoli di connessione con la<br />

sua produzione musicale. Dalla A alla Z, 25<br />

sfumature di Bowie…<br />

A<br />

Aladdin Sane.<br />

La title-track dell’album del 1973 è<br />

probabilmente uno dei pezzi migliori per<br />

apprezzare lo spirito onnivoro dell’artista<br />

londinese. L’andamento sinuoso del brano<br />

è spaccato in due dal selvaggio assolo<br />

di pianoforte di Mike Garson. Garson registrò<br />

la parte di piano, totalmente improvvisata,<br />

in una unica volta, cercando d’interpretare<br />

la richiesta di suonare “qualcosa<br />

in stile avant-garde jazz” che gli aveva<br />

fatto Bowie.<br />

B<br />

sion Tour. La chitarra di Belew è presente<br />

sul doppio live STAGE (1978) e sul successivo<br />

LODGER (1979). Come racconta<br />

spesso Adrian, Bowie lo scippò senza<br />

troppi complimenti a Zappa dopo averlo<br />

visto suonare dal vivo in Germania con<br />

l’artista di Baltimora, su raccomandazione<br />

di Brian Eno. A sua volta, Bowie è presente<br />

come ospite in due brani di YOUNG<br />

LIONS (1990) di Belew.<br />

C<br />

China Girl.<br />

Composta a quattro mani da Bowie<br />

insieme al suo grande amico Iggy Pop,<br />

questa canzone vide inizialmente la luce<br />

sull’album THE IDIOT, pubblicato dal<br />

cantante degli Stooges nel 1977. Ad avere<br />

successo fu però la versione rivisitata<br />

inclusa da Bowie nel suo album LET’S<br />

DANCE del 1983, che raggiunse la seconda<br />

posizione nelle classifiche britanniche.<br />

Lo splendido assolo di chitarra finale è<br />

opera del grande Stevie Ray Vaughan.<br />

D<br />

DIAMOND DOGS.<br />

Uno degli album più amati di<br />

Bowie, pubblicato nel maggio del 1974. Si<br />

Da sinistra: THE MAN WHO<br />

SOLD THE WORLD, edizione<br />

inglese (1971), BLACKSTAR<br />

(2016), DAVID BOWIE<br />

(1967), HEROES (1977),<br />

LOW (1977).<br />

6


tratta di un concept ispirato al romanzo<br />

1984 di George Orwell. I concerti del tour<br />

di DIAMOND DOGS erano caratterizzati<br />

da un allestimento scenico imponente,<br />

con Bowie che appariva sul palco all’interno<br />

di un gigantesco diamante.<br />

E<br />

Eno, Brian.<br />

L’incontro tra Bowie e l’ex tastierista<br />

dei Roxy Music, già attivo come artista<br />

solista e produttore, diede origine<br />

alla celebre “trilogia berlinese”, costituita<br />

dagli album LOW (1977), HEROES (1977)<br />

e LODGER (1979). Eno tornerà a lavorare<br />

con Bowie nel 1996 per il concept album<br />

OUTSIDE.<br />

F<br />

Fripp, Robert.<br />

Il leader dei King Crimson registrò<br />

la famosa melodia di chitarra elettrica<br />

presente su Heroes utilizzando esclusivamente<br />

il feedback proveniente dai monitor<br />

dello studio. In realtà si tratta di tre<br />

tracce di chitarra sovrapposte, incise in<br />

sequenza ma “alla cieca”, cioè senza tenere<br />

conto del take precedente. La chitarra di<br />

Fripp è presente anche su un altro album<br />

di Bowie, SCARY MONSTERS del 1980.<br />

G<br />

Garson, Mike.<br />

Straordinario pianista americano,<br />

collabora con Bowie dai tempi del tour di<br />

ZIGGY STARDUST, facendo il suo esordio<br />

in studio con il già citato solo di piano sul<br />

brano Aladdin Sane (1973). Il suo sodalizio<br />

con l’artista inglese prosegue fino al<br />

1976, per poi riprendere all’inizio degli<br />

anni 90, quando dal vivo diventerà un<br />

vero e proprio alter ego di Bowie.<br />

«SPERO<br />

CHE COL TEMPO<br />

FINISCA PER<br />

PRENDERMI<br />

SEMPRE MENO<br />

SUL SERIO»<br />

DAVID BOWIE<br />

Immagine dal servizio<br />

fotografico per la<br />

realizzazione della copertina<br />

di ALADDIN SANE. Il servizio<br />

fu realizzato a Londra nel<br />

gennaio 1973.


DAVID BOWIE<br />

H<br />

House, Simon.<br />

Esattamente come Adrian Belew,<br />

anche il violinista di Hight Tide, Third Ear<br />

Band e Hawkwind incrociò la sua strada<br />

con Bowie nel periodo 1978/79 e poi nel<br />

1990 per il Sound+Vision Tour.<br />

I Iman.<br />

David Bowie è stato sposato due volte.<br />

La prima volta con l’attrice e modella<br />

Mary Angela “Angie” Barnett, da cui ha<br />

divorziato nel 1980. Nel 1992 Bowie ha<br />

sposato la modella somala Iman Mohamed<br />

Abdulmajid, dalla quale nel 2000 ha<br />

avuto una figlia, Alexandria Zahra Jones.<br />

K<br />

Kaye, Tony.<br />

Non è una leggenda metropolitana:<br />

il tastierista dei primi tre album degli Yes<br />

ha suonato con Bowie durante il tour di<br />

STATION TO STATION (1975/76). E se l’è<br />

cavata anche abbastanza bene.<br />

J Jazz.<br />

Per realizzare il suo ultimo album,<br />

BLACKSTAR, pubblicato appena due<br />

giorni prima della sua morte, Bowie si è<br />

servito della band di Donny McCaslin,<br />

sassofonista della scena jazz di New York.<br />

Il quartetto comprende anche il batterista<br />

Mark Guiliana, il bassista Tim Lefebvre e<br />

il tastierista Jason Lindner. Bowie li aveva<br />

“scoperti” in un piccolo jazz club della<br />

Grande Mela nella primavera del 2014.<br />

L<br />

Lennon John.<br />

L’incontro tra Bowie e l’ex Beatles si<br />

consumò durante le registrazioni dell’album<br />

YOUNG AMERICANS (1975). I due<br />

si erano conosciuti qualche mese prima a<br />

un party organizzato dall’attrice Liz Taylor.<br />

Lennon e Bowie scrissero e registrarono insieme<br />

un nuovo brano, Fame, agli Electric<br />

Lady Studios di New York. Nello stesso album<br />

è presente anche una nuova versione<br />

di Across The Universe dei Beatles.<br />

M<br />

Moonage Daydream.<br />

Pensavate forse che il buon Mike<br />

Portnoy, ormai conosciuto universalmente<br />

come “il mago delle cover”, non<br />

trovasse il tempo per cimentarsi in una<br />

riproposizione bowiana? Fortunatamente<br />

(o sfortunatamente, dipende dai punti di<br />

vista) dopo la scomparsa di Bowie il batterista<br />

ha deciso di condividere liberamente<br />

in rete la sua versione di questo grande<br />

classico, registrata insieme al chitarrista<br />

Richie Kotzen e al bassista Billy Sheehan<br />

nell’ambito del progetto Winery Dogs.<br />

N Nirvana.<br />

Nel 1993, il gruppo di Kurt Cobain<br />

registrò una nuova versione della canzone<br />

di Bowie The Man Who Sold The World,<br />

tratta dall’album omonimo del 1970,<br />

durante il celebre MTV Unplugged in<br />

New York, rilanciandola presso il pubblico<br />

grunge.<br />

O OUTSIDE.<br />

Probabilmente l’album più prog di<br />

Bowie. Immaginifico, suggestivo, surreale:<br />

una tela bianca su cui si depositano<br />

pennellate di note in maniera<br />

imprevedibile. Non a caso<br />

questo concept album, pubblicato<br />

nel 1995, sancisce il ricongiungimento<br />

di Bowie con Brian<br />

Eno.<br />

P<br />

Pink Floyd.<br />

Nel 1973 Bowie<br />

decide di realizzare<br />

un album esclusivamente<br />

di cover<br />

intitolato PIN UPS.<br />

Nella tracklist, accanto<br />

a brani di Who,<br />

Kinks e Yardbirds, figura<br />

anche See Emily Play<br />

dei Pink Floyd, originariamente pubblicata<br />

su 45 giri nel giugno del 1967.<br />

Q Queen.<br />

Nel 1981 Bowie viene coinvolto<br />

nelle registrazioni del decimo album dei<br />

Queen, HOT SPACE, ai Mountain Studios<br />

di Montreux, Svizzera. Quella che doveva<br />

essere una semplice ospitata come corista<br />

si trasformò in un momento di creatività<br />

collettiva. Dalla jam nacque Under<br />

Pressure, uno dei brani di maggior successo<br />

dei Queen: pubblicata come 45 giri<br />

a nome “Queen & David Bowie”, raggiunse<br />

infatti il primo posto delle classifiche inglesi.<br />

David durante<br />

un’apparizione alla TV<br />

olandese nel 1974.<br />

Da sinistra: DIAMOND DOGS<br />

(1974) e THE RISE AND FALL<br />

OF ZIGGY STARDUST (1972).<br />

8


R<br />

RISE AND FALL OF<br />

ZIGGY STARDUST, THE.<br />

Pubblicato nel 1972, è uno degli album<br />

più celebri di Bowie. Il concept è incentrato<br />

sul personaggio di Ziggy Stardust, manifestazione<br />

terrestre di una entità aliena<br />

che intende utilizzare la musica per veicolare<br />

il suo messaggio di pace.<br />

S<br />

Space Oddity.<br />

Uno dei brani più noti e più coverizzati<br />

di Bowie: nel testo un astronauta, il<br />

Maggiore Tom, decide di abbandonare la<br />

missione in cui è impegnato per fluttuare<br />

da solo nello spazio. Nonostante ciò, nel<br />

1969 la canzone fu utilizzata come colonna<br />

sonora durante l’atterraggio dell’Apollo<br />

11 sulla luna. Rick Wakeman, che all’epoca<br />

lavorava come turnista ai Trident Studios,<br />

registrò le parti di Mellotron e di stilofono,<br />

un piccolo strumento elettronico<br />

acquistato per pochi euro in un negozio<br />

vicino allo studio.<br />

T<br />

Tin Machine.<br />

Nati alla fine degli anni 80 dall’incontro<br />

tra Bowie e il chitarrista Reeves<br />

Gabrels, i Tin Machine rappresentano il<br />

ritorno dell’artista inglese alle sonorità<br />

rock blues di Cream, Hendrix e Jeff Beck,<br />

filtrate attraverso l’aggressività punk<br />

della sezione ritmica formata dai fratelli<br />

Tony e Hunt Sales. La band, di cui Bowie<br />

voleva essere solo il frontman e non il leader,<br />

pubblicò due album in studio e un<br />

live prima di sciogliersi nel 1992.<br />

«NON RIESCO<br />

A PENSARE A<br />

NEANCHE UN<br />

ESSERE UMANO CHE<br />

IO POSSA DEFINIRE<br />

UN IDOLO»<br />

DAVID BOWIE<br />

U<br />

Union Chapel.<br />

La suggestiva location nella parte<br />

nord di Londra è stata scelta dai fan per<br />

dare l’ultimo saluto all’artista inglese. Il 17<br />

gennaio Bowie è stato ricordato e celebrato<br />

in una maratona di oltre cinque ore<br />

a cui hanno preso parte decine di artisti,<br />

la cui performance live è stata inframmezzata<br />

con filmati, interviste e testimonianze<br />

varie.<br />

V<br />

Visconti, Tony.<br />

Produttore storico di Bowie per<br />

quasi tutti gli anni 70, si è ricongiunto<br />

con l’artista londinese all’inizio del nuovo<br />

millennio seguendolo fino al recente<br />

e conclusivo BLACKSTAR. Tra le sue<br />

produzioni figurano anche i primi due<br />

album dei Gentle Giant e dischi di Osibisa,<br />

Strawbs, Caravan, Rick Wakeman e Jon<br />

Anderson.<br />

W<br />

DAVID BOWIE<br />

Wakeman, Rick.<br />

Durante l’intensa attività come<br />

turnista di inizio carriera, Wakeman incrociò<br />

Bowie già nel 1969, quando ai<br />

Trident Studios di Londra registrò il Mellotron<br />

su SPACE ODDITY, ripetendosi<br />

lo stesso anno nel successivo DAVID<br />

BOWIE. Impressionato dal successo di<br />

Wakeman con gli Strawbs, Bowie lo richiama<br />

nel 1971 chiedendogli di arrangiare<br />

al pianoforte i brani del suo quarto<br />

album, HUNKY DORY. La centralità del<br />

piano di Wakeman nell’economia del disco<br />

è evidente fin dalle prime note della<br />

celeberrima Changes, proseguendo con<br />

le ballate Life On Mars? e Quicksand.<br />

Proprio al termine delle sessioni di registrazione<br />

dell’album, Wakeman ricevette<br />

in contemporanea la proposta di Bowie di<br />

entrare a far parte della sua nuova band,<br />

gli Spiders From Mars, e quella degli Yes<br />

che cercavano un tastierista per sostituire<br />

Tony Kaye.<br />

X X Files.<br />

Nel 2002, la famosa serie televisiva<br />

di fantascienza omaggiò David Bowie<br />

intitolando il quattordicesimo episodio<br />

della nona stagione con il titolo SCARY<br />

MONSTERS, esattamente come l’album<br />

pubblicato da Bowie nel<br />

1980. Nell’ultima scena dell’episodio,<br />

è presente anche una citazione del<br />

film L’uomo che cadde sulla terra (1976)<br />

di cui fu protagonista lo stesso Bowie.<br />

Y<br />

Yamamoto, Kansai.<br />

Per gli abiti di scena del tour di ZIG-<br />

GY STARDUST (1972) e ALADDIN SANE<br />

(1973), Bowie si affidò a questo stilista<br />

giapponese. I suoi modelli dalle forme<br />

bizzarre e dilatate consentirono a Bowie<br />

di trascendere il genere maschile e femminile,<br />

utilizzando la tradizione del kabuki<br />

per ampliare la percezione della sua<br />

immagine da parte del pubblico.<br />

Z Zowie.<br />

Duncan Zowie Haywood Jones è l’unico<br />

figlio nato dal matrimonio tra David<br />

Bowie e Angela Barnett nel 1971. Duncan<br />

è uno sceneggiatore e regista cinematografico:<br />

il suo primo lungometraggio, il<br />

film di fantascienza Moon (2009) è stato<br />

accolto positivamente dalla critica, aggiudicandosi<br />

diversi riconoscimenti. Attualmente<br />

Jones sta lavorando all’adattamento<br />

cinematografico del celebre videogioco<br />

della Blizzard, Warcraft,<br />

dove sarà raccontato<br />

l’inizio della<br />

saga che vede protagonisti<br />

gli umani e<br />

gli orchi.<br />

Tin Machine, It’s My Life<br />

Tour. 9 ottobre 1991,<br />

Brancaccio, Roma (foto<br />

Guido Bellachioma).


DAVID BOWIE<br />

2<br />

testo: Peter Nicholls (IQ)<br />

1947-2016<br />

Sono rimasti pochi aggettivi che non siano stati già utilizzati dopo la sua tragica<br />

e prematura scomparsa, per descrivere David Bowie. È stato indubb iamente<br />

un cantautore enormemente dotato, un performer dal carisma inimitabile, un<br />

prodigioso talento e un grande innovatore con un appetito insaziabile per la<br />

sperimentazione e per il rischio. O forse, soprattutto, è stato il più abile e versatile<br />

cantante della sua generazione. Era famoso perché in studio di registrazione<br />

il primo take era quasi sempre quello giusto, anche a causa della sua limitata<br />

soglia di attenzione. Che voce. Provate a riascoltare canzoni come Life On<br />

Mars?, Five Years, The Jean Genie, Wild Is The Wind, China Girl… ma la lista<br />

dei brani caratterizzati da incredibili performance vocali che sono diventati dei<br />

veri e propri classici potrebbe andare avanti all’infinito. È un’eredità artistica che<br />

non avrà mai rivali.<br />

Chi altro, se non Bowie, poteva ancora sorprenderci e deliziarci con un album<br />

così vitale e sperimentale come BLACKSTAR, pubblicandolo nel giorno del suo<br />

sessantanovesimo compleanno, poche ore prima di morire? La sua voce nel disco<br />

è forte e impostata, emozionante e unica, scintillante e luminosa come non<br />

mai. Basta ascoltare brani come Lazarus, I Can’t Give Everything Away e la<br />

coinvolgente title-track.<br />

Come tanti altri che hanno la mia stessa età, da ragazzo il giovedì sera ero sempre<br />

incollato alla televisione per guardare Top of the Pops. Ricordo ancora l’epocale<br />

performance di Starman nel 1972, quando comparve davanti ai nostri occhi<br />

questa creatura che sembrava provenire da un altro mondo, aprendoci scenari<br />

che prima non saremmo mai riusciti a immaginare. Da quel momento in poi ho<br />

seguito ogni sua mossa, acquistando tutti i suoi album e andando a vederlo un<br />

sacco di volte dal vivo. È senza dubbio il mio cantante preferito.<br />

Per quanto riguarda la sua discografia, ovviamente ognuno di noi ha un album<br />

di Bowie a cui è più legato. Il mio è DIAMOND DOGS: un lavoro oscuro, atmosferico,<br />

da brividi, ma che oggi suona fresco esattamente come nel 1974, quando<br />

fu pubblicato.<br />

C’è una foto bellissima che è stata scattata al Marquee di Wardour Street, a<br />

Londra, nel 1973, quando Bowie era lì per le riprese del celebre The 1980 Floor<br />

Show. È seduto nel backstage, nella stessa microscopica stanzetta in cui ci siamo<br />

trovati tante volte anche noi degli IQ negli anni 80. Mi ha sempre emozionato<br />

pensare che eravamo seduti esattamente dove era seduto lui qualche anno<br />

prima.<br />

Il mondo ha perso un campione di originalità. Un vero maestro della sua arte<br />

che ha ispirato migliaia di musicisti. Mi rattrista pensare che non c’è più, ma il<br />

pensiero che il suo talento e la sua importanza proseguiranno a vivere per generazioni<br />

e generazioni mi conforta un po’. Sono stato veramente fortunato a<br />

vivere su questo pianeta nello stesso periodo in cui è esistito questo artista<br />

fuori dal comune.<br />

Dal sito www.iq-hq.co.uk<br />

3<br />

Memories 1<br />

testo: Guido Bellachioma<br />

icordare Bowie non è facile,<br />

né umanamente né artisticamente:<br />

troppo zigzagante nelle<br />

sue rotte esplorative, troppo volutamente<br />

contorto o spiazzante nelle provocazioni,<br />

quasi sempre evidenti. Tali atteggiamenti<br />

spesso trovavano terreno fertile nella poca<br />

predisposizione all’apertura mentale della<br />

critica musicale, non solo italiana, anche<br />

se pure dalle nostre parti ne ha scritte di<br />

cotte e di crude: è nazista, non è nazista, è<br />

glam, no è soul, no è post elettronico e pre<br />

junglepop, post e pre allo stesso tempo.<br />

Ma la morte, si sa, monda ogni peccato<br />

e per qualche giorno abbiamo assistito<br />

alla corte dei miracoli nelle tv, radio,<br />

quotidiani: chiunque poteva dire quanto<br />

fosse addolorato dalla sua scomparsa, da<br />

quanto il mondo avesse perso con la sua<br />

scomparsa, magari gli stessi che negli<br />

anni 70 stroncavano ogni suo disco, prima<br />

che diventasse operazione sacrilega il<br />

farlo. Dato che della sua malattia nessuno<br />

era al corrente, almeno tra i media, alcuni<br />

giovani eredi dei “giornalisti” italiani dei<br />

70 si erano divertiti a sottolineare radiofonicamente<br />

la pomposità arrogante di<br />

BLACKSTAR. Ma la velocità della comunicazione<br />

è ormai travolgente e si dimentica<br />

ogni castroneria. Ovviamente dopo la<br />

morte di David nulla è più stato lo stesso,<br />

impossibile per i media tradizionali o chi<br />

è legato all’audience, fare discorsi minimamente<br />

critici sull’artista inglese: Chi<br />

ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato,<br />

ha dato, ha dato… scurdámmoce ’o ppassato,<br />

simmo ’e Napule paisá! Ovviamente<br />

Napoli è citata solo per la frase presa in<br />

prestito dalla celebre canzone partenopea<br />

del 1944. Strano paese il Mondo. Oggi<br />

sono tutti orfani di Bowie, anche quelli<br />

«PENSO CHE LA COSA PIÙ IMPORTANTE<br />

SIA PROVARE A DIVENTARE VECCHI…<br />

IN MODO SIGNIFICATIVO»<br />

DAVID BOWIE<br />

10


DAVID BOWIE<br />

Bowie e la stampa<br />

internazionale. Sotto: un<br />

suo ritratto del fotografo<br />

Gavin Evans, 1995.<br />

che non ne ascoltavano un brano da decenni<br />

e, magari, non si sarebbero accorti<br />

dell’uscita del suo “ultimo” album se non<br />

fosse stata per l’eco mediatica di proporzioni<br />

galattiche. E Bowie ha sempre lottato<br />

contro questi luoghi comuni, compreso<br />

quello della morte che deve avvenire in<br />

un certo modo, sempre prevedibile: anche<br />

in questo caso ha smentito tutti con<br />

BLACKSTAR, la cui validità, o meno, è<br />

affrontata nella recensione, però nessuno<br />

può negarne la forza dirompente, ribadita<br />

dalla scelta “bowiana” di pubblicarlo tra<br />

un compleanno, il 69esimo e la morte…<br />

artista fino in fondo, poco importa che<br />

fosse Ziggy Stardust, il decadente uomo<br />

elettrico della trilogia berlinese o il Lazarus<br />

dell’oggi/ieri. Bowie musicalmente ha rappresentato,<br />

e ancora rappresenterà, moltissimo<br />

per diverse scene musicali, alcune<br />

volte in contrasto abbastanza consistente.<br />

Ovviamente le mille stagioni che ha attraversato,<br />

nella logica matematica<br />

delle cose, ci hanno affascinato,<br />

rapito, commosso o<br />

lasciato perplessi… mai<br />

indifferenti. Per lui sarebbe<br />

stata la peggiore<br />

delle offese…<br />

Eppure, tra le tutte le sue<br />

canzoni (sparse tra dischi<br />

solisti, collaborazioni, Tin<br />

Machine, colonne sonore),<br />

alcune consumate<br />

fino a non poterne più<br />

(vedi alcune parti “berlinesi”),<br />

quella che mi “arriva”<br />

forte in testa quando<br />

penso a lui è una composta<br />

da pochi accordi,<br />

molto Stones, e dall’approccio<br />

minimalmente rock: Rebel<br />

Rebel da DIAMOND DOGS<br />

del 1974, dove la sua chitarra<br />

elettrica e la sua voce hanno<br />

una semplice ma devastante<br />

urgenza espressiva, senza<br />

concessioni a sperimentazioni<br />

varie, eppure c’era<br />

già tutto!<br />

11


DAVID BOWIE<br />

4<br />

testo: Paolo Carnelli<br />

Memories 2<br />

l Camaleonte ha cambiato<br />

pelle (forse) per l’ultima<br />

volta. Quel soprannome,<br />

uno dei tanti, Bowie se<br />

l’era guadagnato per la sua<br />

capacità di adattarsi velocemente<br />

al contesto musicale<br />

in cui viveva. In realtà<br />

l’artista inglese non si<br />

è mai limitato a rincorrere<br />

le mode. È stato lui, quasi<br />

sempre, a fare tendenza,<br />

gettando ogni volta stili e<br />

sonorità come colori su una<br />

tela nuova di zecca. Come il<br />

giorno in cui si presentò negli<br />

uffici della Mercury Records, con<br />

una semplice chitarra acustica e uno<br />

stilofono, per far ascoltare al produttore<br />

John Anthony l’abbozzo di una canzone<br />

intitolata… Space Oddity!!! Era il giugno<br />

del 1969. Da quel momento Bowie<br />

ha pubblicato venticinque album (oltre<br />

al debut del 1967) e venduto circa 140<br />

milioni di dischi. Ha abbracciato il folk,<br />

il rock, il pop, la new wave, l’hard rock,<br />

il funk, il jungle. Ha sperimentato fino<br />

alla fine, regalandosi (e regalandoci) a<br />

69 anni, per il suo ultimo compleanno,<br />

un album straordinariamente inventivo<br />

e anticonformista come BLACKSTAR,<br />

destinato ancora una volta a segnare la<br />

rotta per le generazioni a venire. “Sono<br />

curioso di vedere stavolta chi sarà il primo<br />

a imitarlo”, ha dichiarato al mensile<br />

«Rolling Stone» il produttore Tony Visconti,<br />

commentando la strana miscela<br />

di jazz e hip hop che caratterizza l’ultimo<br />

lavoro di Bowie. “L’idea era quella<br />

di buttarci dentro un po’ di tutto, senza<br />

limitazioni. L’importante era provare ad<br />

andare oltre al rock & roll”. Andare oltre,<br />

appunto. Una costante nella produzione<br />

dell’artista inglese, che ha forse avuto il<br />

suo picco nelle atmosfere oscure e post<br />

moderne del concept album OUTSIDE<br />

(1996). Un disco senza tempo, sospeso<br />

in perpendicolare sulla metà degli anni<br />

90 ma intriso di almeno trent’anni di<br />

musica, compresa gran parte di quella<br />

che sarebbe venuta dopo. “È indubbio<br />

che Bowie abbia insegnato a molte persone<br />

come vivere. Ma è altrettanto vero<br />

che ora ci ha insegnato anche come morire”,<br />

ha dichiarato il chitarrista John Ellis.<br />

Il visionario videoclip di Blackstar ne<br />

è stata una dimostrazione lampante. Pur<br />

martoriato dalla lunga malattia, David<br />

Bowie ha voluto restare aggrappato fino<br />

all’ultimo alla sua vocazione artistica,<br />

non accontentandosi di uscire di scena in<br />

punta di piedi. Ora il significato di quelle<br />

immagini è più chiaro, come se fossero,<br />

più che un testamento, un rituale propedeutico<br />

all’ultimo viaggio verso l’infinito.<br />

Dietro di lui rimane la scia delle radio<br />

impazzite che dalla mattina del 10 gennaio<br />

hanno ripreso a suonare tutte le sue<br />

hit. Qualcuno si è svegliato pensando a<br />

un tardivo omaggio per il suo compleanno,<br />

festeggiato due giorni<br />

prima (Bowie è nato l’8 gennaio<br />

del 1947). In realtà era la<br />

colonna sonora per l’ultimo<br />

decollo del Maggiore Tom.<br />

Arrivederci, eterno ragazzo<br />

delle stelle.<br />

Hello Spaceboy<br />

You’re sleepy now<br />

Your silhouette is so<br />

stationary<br />

You’re released but<br />

your custody calls<br />

And I want to be free<br />

Don’t you want to be free<br />

Do you like girls or boys<br />

It’s confusing these days<br />

But Moondust will cover you<br />

Cover you<br />

(David Bowie – Hallo Spaceboy, 1996)<br />

12


DAVID BOWIE<br />

Recensione<br />

testo: Paolo Carnelli<br />

Autore: David Bowie<br />

Titolo:<br />

Anno: 2016<br />

Casa Discografica:<br />

Iso Records/Columbia/<br />

Sony Music<br />

Brano Preferito:<br />

Lazarus – L’arte Di Morire<br />

³ 09:57<br />

’Tis A Pity She Was A Whore ³ 04:52<br />

Lazarus ³ 06:22<br />

Sue (Or In A Season Of Crime) ³ 04:40<br />

Girl Loves Me ³ 04:51<br />

Dollar Days ³ 04:44<br />

I Can’t Give Everything Away ³ 05:47<br />

Non è semplice scrivere a così pochi giorni<br />

dalla scomparsa di David Bowie. Troppi<br />

eventi si sono accavallati in troppo poco<br />

tempo: l’uscita del nuovo album, il ventiseiesimo nella<br />

discografia dell’artista inglese, nel giorno del suo<br />

sessantanovesimo compleanno, seguito appena due<br />

giorni dopo dalla notizia della sua morte per una lunga<br />

malattia di cui in pochi erano a conoscenza. Qualcuno,<br />

appena un mese prima, lo aveva descritto in<br />

gran forma a New York alla prima del musical Lazarus,<br />

scritto insieme a Enda Walsh e diretto da Ivo van<br />

Hove. In realtà, Bowie stava lottando da tempo con<br />

un tumore al fegato. Inevitabile che il calvario personale<br />

si riflettesse anche nella composizione e nelle<br />

atmosfere del nuovo disco. Ma non per dare vita<br />

a una monocorde elegia: chi aveva avuto modo di<br />

ascoltarlo in anteprima aveva parlato di un lavoro affascinante,<br />

sperimentale; un ulteriore salto in avanti<br />

in una carriera piena di evoluzioni e scarti improvvisi,<br />

anche se velato da una luce strana. Il video promozionale<br />

di Blackstar aveva mostrato Bowie nelle<br />

vesti di un profeta cieco, il volto coperto da bende<br />

e gli occhi sostituiti da due pietre nere. Una donna<br />

caudata apriva l’elmetto di una tuta spaziale per<br />

prelevarne il teschio dell’astronauta (il Major Tom<br />

di Space Oddity?) defunto. Immagini che facevano<br />

intendere come Bowie avesse iniziato a interrogarsi,<br />

più che su un ipotetico futuro, sul momento preciso<br />

del trapasso dalla vita alla morte. Ancora più espliciti<br />

erano stati i fotogrammi girati per il clip di Lazarus,<br />

con l’artista inglese sofferente in un letto, poi intento<br />

a scrivere il suo testamento prima di scomparire<br />

all’interno di un armadio. Musicalmente, il contenuto<br />

di Blackstar è abbagliante. Come sa esserlo solo una<br />

stella mentre si trasforma in una supernova, prima<br />

di spegnersi per sempre. La voglia di sperimentare<br />

è confermata anche dal cast dei musicisti, completamente<br />

inedito. Si tratta infatti della band di Donny<br />

McCaslin, sassofonista della scena di New York, un<br />

quartetto formato anche dal batterista Mark Giuliana,<br />

dal bassista Tim Lefebvre e dal tastierista Jason<br />

Lindner. Bowie li ha “scoperti” in un piccolo jazz club<br />

della Grande Mela nella primavera del 2014. Su consiglio<br />

di una sua amica ha prenotato un tavolo davanti<br />

al palco e ha assistito al loro concerto fino alla<br />

fine, andandosene senza dire una parola. Il contatto<br />

ufficiale è avvenuto via email qualche giorno dopo.<br />

Inizialmente sono stati solo McCaslin e Giuliana a essere<br />

coinvolti nella registrazione di un nuovo brano,<br />

Sue (Or In A Season of Crime), poi pubblicato nella<br />

compilation NOTHING HAS CHANGED. Ma nel<br />

gennaio del 2015, tutti e quattro i musicisti sono stati<br />

convocati al Magic Shop Studio di New York per iniziare<br />

a lavorare, insieme al produttore Tony Visconti,<br />

a quello che sarebbe diventato l’ultimo album del<br />

Duca Bianco. Rispetto al precedente e dignitosissimo<br />

THE NEXT DAY (2013) si avverte chiaramente<br />

la voglia di Bowie di lanciarsi senza rete in territori<br />

completamente nuovi. “I musicisti di Donny McCaslin<br />

sono stati straordinari”, ha ammesso Visconti in una<br />

intervista su «Rolling Stone». “Sono stati in grado di<br />

(Blackstar)<br />

suonare praticamente qualsiasi cosa gli chiedessimo,<br />

dal krautrock all’hip hop, al jazz. Il risultato è un’incredibile<br />

fusione sonora che non è possibile ricondurre<br />

ad alcun genere musicale in particolare”. Sicuramente<br />

una grande attenzione è stata riservata alle<br />

ritmiche: il drumming di Giuliana è spesso scivoloso<br />

e frammentario, altre volte scarno ed essenziale, ma<br />

sempre ingegnoso nel posizionamento degli accenti<br />

e nell’interazione con gli altri strumenti. In questo<br />

senso la nuova, tagliente, versione di Sue (Or In A<br />

Season Of Crime) sembra riprendere le suggestioni<br />

jungle di EARTHLINGS (1997), ma la contaminazione<br />

è comunque a più ampio spettro, come dimostrano le<br />

ultime tre tracce dell’album: canzoni apparentemente<br />

più canoniche, eppure avvinghiate a una bolla di<br />

creatività palpabile e per certi versi disperata. Vitale.<br />

Come sa essere chi sa di non avere più molto tempo<br />

da vivere e troppe cose ancora da dire.<br />

Una delle ultime<br />

foto di Bowie.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 13


DAVID BOWIE<br />

5<br />

Nothing<br />

has changed…<br />

…ANCHE ORA CHE NON C’È PIÙ, NULLA È CAMBIATO:<br />

IL CAMALEONTICO DAVID BOWIE È SEMPRE TRA NOI.<br />

LA SUA SCOMPARSA È SOLO UN’ENNESIMA<br />

TRASFORMAZIONE CHE QUESTA VOLTA SEGNA<br />

IL PASSAGGIO DA PRESENZA IN CARNE E OSSA A ICONA<br />

IMPALPABILE E IMMORTALE DELLA MUSICA MONDIALE.<br />

testo: Francesco Bonerba<br />

ino all’ultimo istante della propria<br />

vita David Bowie ha con coerenza<br />

ribadito l’inesistenza di un grado<br />

di separazione tra la propria essenza e<br />

la sua immagine di artista; con l’estrema<br />

umiltà e discrezione che appartiene solo<br />

ai grandi ha nascosto la sua malattia a tutti<br />

non resistendo, al contempo, all’impulso di<br />

raccontarla a milioni di persone nel videoclip<br />

della canzone Lazarus. Perché quando<br />

sei un artista autentico, totale, l’arte si nutre<br />

inevitabilmente della tua vita e viceversa,<br />

in un circolo virtuoso o vizioso che magnifica<br />

o uccide. David Bowie ha assecondato<br />

il fato avverso per scegliere di andarsene<br />

come desiderava, pubblicando il suo ultimo<br />

album, BLACKSTAR, tra il giorno della<br />

sua nascita e quello della sua morte: una<br />

metafora, ci piace immaginare, del fatto<br />

che l’arte sia stata il vero riempitivo della<br />

sua esistenza. Anche la stella nera che fa da<br />

cover alla sua ultima opera diventa, chissà,<br />

l’ultimo riferimento alla più famosa tra le<br />

maschere indossate da Bowie lungo la sua<br />

carriera, quella di Ziggy Stardust, alieno<br />

approdato sulla Terra nel 1972 e ora finalmente<br />

ritornato al suo pianeta natale, un<br />

astro oscuro collocato chissà dove nell’infinità<br />

del cosmo. “Alcuni sostengono che sia<br />

una cover ‘semplice’, realizzata in cinque<br />

minuti”, ha affermato Jonathan Barnbrook,<br />

designer che ha curato cinque copertine<br />

di Bowie negli ultimi quindici anni. “Penso<br />

che oggi ci sia un fraintendimento in merito<br />

alla semplicità. L’immagine contiene<br />

l’idea della mortalità: evoca un buco nero<br />

che risucchia qualsiasi cosa, il Big Bang,<br />

l’inizio dell’universo, ammesso che ci sia<br />

una fine. Anche la scelta di rendere il disco<br />

un oggetto che dall’immaterialità assume<br />

lentamente una sua dimensione fisica e<br />

contemporaneamente dei graffi sulla sua<br />

superficie è a sua volta un commento alla<br />

mortalità umana”. Concetto reso ancora più<br />

spettacolarmente nell’edizione in vinile, in<br />

cui la cover presenta un ritaglio a forma di<br />

stella che rende visibile il disco nero, il cui<br />

Servizio fotografico per<br />

l’album HEROES.<br />

14


DAVID BOWIE<br />

colore va progressivamente sbiadendo.<br />

Quella di BLACKSTAR è solo una delle cover<br />

emblematiche che hanno caratterizzato<br />

la carriera dell’artista inglese e che hanno<br />

contribuito ad alimentare la mitologia del<br />

suo personaggio. Ne è un fulgido esempio<br />

NOTHING HAS CHANGED, raccolta dei<br />

suoi brani migliori uscita nel 2014, per la<br />

quale sono state scelte tre diverse immagini,<br />

una per ogni edizione dell’album: il triplo<br />

Cd deluxe/digitale presenta uno scatto<br />

di Jimmy King del 2013, l’edizione doppio<br />

Cd/digitale una (meravigliosa) foto di Steve<br />

Schapiro del 1975 e il doppio vinile un’immagine<br />

di Mick Rock scattata nella casa<br />

dell’artista, a Haddon Hall, Beckenham, nel<br />

1972. “Bowie che guarda se stesso in uno<br />

specchio”, ha raccontato Barnbrook, “è un<br />

archetipo abbastanza forte per comunicare<br />

al pubblico che si tratta di una raccolta di<br />

musiche entro cui è racchiuso l’intero percorso<br />

artistico di Bowie e non uno specifico<br />

periodo. Il riferimento delle immagini è ovviamente<br />

a Oscar Wilde e al suo Il ritratto<br />

di Dorian Gray”. A cosa starà pensando,<br />

Bowie, mentre si specchia? Alla sua giovinezza?<br />

Alla propria identità? Al tempo<br />

che avanza? Qualsiasi cosa gli passi per la<br />

testa, nonostante i 42 anni che separano il<br />

primo e l’ultimo scatto, lui è ancora lì, più<br />

vecchio ma sempre intento a riflettere la<br />

propria arte/immagine nel mondo e viceversa.<br />

Nulla, in effetti, è cambiato: declinata<br />

attraverso la passione la vita assume una<br />

propria rassicurante circolarità. Eppure, il<br />

flusso degli eventi non è arrestabile, il tempo<br />

scorre in una direzione univoca. Come<br />

mostra magistralmente la cover di THE<br />

NEXT DAY, un semplice quadrato bianco<br />

con una scritta nera che si sovrappone<br />

all’immagine del 1977 di Masayoshi Sukita<br />

scelta come cover all’album capolavoro<br />

HEROES. “Non ha importanza quanto ci<br />

proviamo, non potremo mai liberarci dal<br />

passato. Ci muoviamo al rallentatore verso<br />

il giorno successivo, abbandonando il passato<br />

perché non abbiamo altra scelta”: queste<br />

le parole, sempre di Barnbrook, che racchiudono<br />

il senso dell’insolita scelta. Quanti<br />

artisti continuano a essere associati all’immagine<br />

polverosa che il pubblico ne conserva,<br />

magari risalente all’epoca d’oro dei<br />

loro primi successi? Anche per Bowie HE-<br />

ROES ha rappresentato un punto di svolta<br />

«LA MUSICA NON È<br />

CHE UN’ESTENSIONE<br />

DI ME STESSO,<br />

PERÒ MOLTO<br />

IMPORTANTE»<br />

DAVID BOWIE<br />

e un’inevitabile “àncora mentale” per lui e<br />

i suoi milioni di fan; trentasei anni dopo, è<br />

giunto il momento di andare avanti, non<br />

rinnegando il passato ma celebrandolo e al<br />

contempo oscurandolo parzialmente con<br />

qualcosa di nuovo. Tornando all’immagine<br />

di Sukita e compiendo un balzo di un quarto<br />

di secolo, la foto si ispira al quadro Roquairol<br />

dell’artista tedesco Erich Heckel, da<br />

cui attinse anche Iggy Pop che, nella cover<br />

del suo album THE IDIOT, compare in una<br />

posa simile. Non è un riferimento pittorico,<br />

invece, l’immagine che campeggia sull’album<br />

LOW (1977), in cui Bowie compare<br />

“travestito” da Thomas Jerome Newton,<br />

alieno che interpreta nel film The Man Who<br />

Fell to Earth (1976), per il quale erano inizialmente<br />

previste le musiche dell’album,<br />

poi scartate dal regista Nicolas Roeg. L’immagine<br />

fu pensata dal musicista per creare<br />

un rimando visivo al titolo, dove low sta<br />

in realtà per “low profile”. È ugualmente di<br />

origine extraterrestre Ziggy Stardust, l’alter-ego<br />

che ha accompagnato Bowie lungo<br />

tutta la sua carriera e che è protagonista<br />

delle cover di due dei suoi album più celebri<br />

e amati: ALADDIN SANE (1973) e THE<br />

RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST<br />

AND THE SPIDERS FROM MARS (1972).<br />

Nel primo, nell’immagine forse più iconica<br />

della sua intera carriera, realizzata dal fotografo<br />

Brian Duffy con la collaborazione<br />

del make-up artist Pierre Laroche, l’artista<br />

compare a torso nudo, con i capelli ramati,<br />

gli occhi chiusi, l’incarnato rosato sul volto<br />

privo di sopracciglia e attraversato da un<br />

fulmine rosso e blu (in una dichiarazione,<br />

Duffy affermò di essersi ispirato al simbolo<br />

presente sul suo fornello elettrico!);<br />

su una scapola, sospesa, una goccia di<br />

un fluido che, oltre a enfatizzarne la provenienza<br />

aliena, sembra anticipare di<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 15


DAVID BOWIE<br />

due decenni la composizione liquida del<br />

micidiale androide polimorfo T-1000 in<br />

Terminator 2.<br />

Il suo aspetto, secondo il giornalista Peter<br />

Doggett, è “l’archetipo dell’artificialità<br />

– glitterato, pitturato, tinto, decorato con<br />

un fulmine, la carne di freddo marmo,<br />

deformato da una lacrima d’argento, scolpito,<br />

emaciato, fiero, vulnerabile e fondamentalmente<br />

alieno”. Nel secondo album,<br />

invece, Ziggy appare più defilato, ritratto<br />

in posa vicino al 23 di Heddon Street,<br />

Londra. L’effetto pittorico della copertina,<br />

che la rende contemporaneamente così<br />

realistica e così sfuggente, fu ottenuto dal<br />

grafico Terry Pastor colorando i 17 scatti in<br />

bianco e nero realizzati dal fotografo Brian<br />

Ward, il cui studio era proprio in Heddon<br />

Street. Sul significato dell’insegna K. West<br />

– in molti pensarono che fosse una sorta<br />

di codice segreto che stesse a indicare<br />

“quest” (ricerca) – Bowie ha lasciato che<br />

fioccassero le più stravaganti interpretazioni;<br />

si trattava, in realtà, del nome di una<br />

società di distribuzione di pellicce al primo<br />

piano dell’edificio, di cui oggi è scomparsa<br />

ogni traccia. Fu sempre Brian Ward a fotografare<br />

il “Duca Bianco” (dal personaggio<br />

comparso per la prima volta in STATION<br />

TO STATION, ricalcato sulla sua biografia)<br />

per l’immagine della copertina di HUNKY<br />

DORY (1971), che si rifà ad alcune pose di<br />

Marlene Dietrich e mostra il volto di Bowie<br />

rivolto verso l’alto, con l’aria persa tra i suoi<br />

pensieri. L’artwork della foto fu curato da<br />

George Underwood (che collaborò anche<br />

alla copertina di ZIGGY STARDUST AND<br />

THE SPIDERS FROM MARS), amico d’infanzia<br />

dell’artista che, all’età di quattordici<br />

anni, a causa di una discussione su una ragazza,<br />

lo colpì nell’occhio; da allora, Bowie<br />

ha sempre avuto una pupilla più aperta<br />

dell’altra (in medicina, anisocoria), difformità<br />

che dà l’impressione che i due occhi<br />

siano di colore diverso. Da quel momento<br />

in poi i due sono diventati inseparabili,<br />

tanto che il cantante scrisse per lui la canzone<br />

Song For Bob Dylan, tributo a Bob<br />

Dylan, di cui l’amico era appassionatissimo.<br />

“In seguito mi disse di avergli fatto un<br />

favore”, ammette Underwood, intervistato<br />

recentemente, dopo la scomparsa del<br />

musicista. “Ha dato tanta felicità e gioia a<br />

moltissime persone, questa è la magnifica<br />

eredità che lascia alle sue spalle. Passerà<br />

alla storia. Era una persona adorabile. Mi<br />

faceva ridere… mi mancherà”. Mancherà a<br />

molti, l’alieno trasformista Bowie, di ritorno<br />

finalmente sul pianeta Anthea.<br />

16


DAVID BOWIE<br />

avid Bowie è stato tutte queste<br />

cose e la sua grande influenza<br />

nella musica è quasi troppo<br />

vasta da poterla considerare nel dettaglio.<br />

Da Madonna a Nine Inch Nails, dai<br />

Depeche Mode a Lady Gaga, dai Blur a<br />

Marilyn Manson fino a The Arcade Fire,<br />

molti dei principali artisti di ieri e di oggi<br />

devono molto all’uomo che ha messo il<br />

make-up e cantato viaggi nello spazio.<br />

Troppo per tentarne una sintesi, persino<br />

per azzardare quel che in futuro sopravvivrà<br />

del suo lavoro, arricchito dall’ultimo<br />

capitolo costituito da quel triste ritorno<br />

che è BLACKSTAR, 25° album ufficiale<br />

di Bowie (vedi in altra parte della rivista).<br />

Più che abbastanza per arrischiare uno<br />

sguardo alla sua opera e stilare una top<br />

24 delle sue canzoni, sparse nella ricca<br />

discografia: la venticinquesima la lasciamo<br />

a voi, al vostro personalissimo giudizio,<br />

a comporre una playlist che, una volta<br />

ascoltata, rivela – se ve ne fosse bisogno<br />

– la grandezza dell’artista…<br />

24<br />

Modern Love<br />

(da LET’S DANCE)<br />

Per molti la frase “Bowie nell’era Let’s<br />

Dance” ha le stesse connotazioni di<br />

“Dylan Goes Christian”, che è un modo<br />

per dire che ci vi attendono grandi<br />

sorprese se siete disposti a<br />

guardare oltre certi<br />

L’uomo che<br />

cadde sulla terra<br />

6<br />

CANTANTE POP, ROCKER<br />

GLAM, CANTANTE SOUL,<br />

INNOVATORE<br />

DELL’ELETTRONICA,<br />

ROCKSTAR…<br />

ARTISTA SOSPESO<br />

TRA I GENERI,<br />

ATTORE,<br />

CARATTERISTA,<br />

ICONA DELLA<br />

MODA.<br />

testo: Antonio Gaudino<br />

David Bowie e Twiggy<br />

nel 1973 sulla copertina<br />

dell’album PIN UPS.<br />

Inizialmente la foto doveva<br />

essere usata sulla copertina<br />

della rivista «Vogue».<br />

«IO SONO UNO<br />

CHE CAMBIA<br />

SPESSO OPINIONE,<br />

NON SONO MOLTO<br />

COERENTE CON<br />

QUELLO CHE DICO»<br />

DAVID BOWIE<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 17


DAVID BOWIE<br />

pregiudizi stabiliti. Al primo ascolto Modern<br />

Love ha un suono un po’ trash anni<br />

80: synth, coristi, un sax piazzato su poche<br />

note, è tutto lì. In effetti, sentendo le<br />

prime note si potrebbe incorrere nell’errore<br />

di scambiarlo per l’apertura di Footloose.<br />

Il carisma di Bowie e il suo senso di<br />

esperto autore del pop trasformano però il<br />

brano in una travolgente “head bop-inducing”<br />

a cui è impossibile resistere.<br />

Bring Me The Head Of<br />

22 The Disco King<br />

(da REALITY)<br />

Contrariamente a quanto spesso si pensa,<br />

Bowie ha pubblicato prodotti di qualità<br />

verso la seconda metà della sua carriera.<br />

Questo è evidente soprattutto in Bring Me<br />

The Head Of The Disco King, la traccia<br />

finale del suo ultimo (o così credevamo)<br />

album, REALITY. Suona come una registrazione<br />

fatta in qualche oscuro jazz bar<br />

e nella canzone Bowie riflette sulla sua<br />

carriera. Non è un ascolto felice. Piuttosto,<br />

è una canzone piena di rammarico e<br />

tristezza. Non c’è da meravigliarsi se la<br />

gente pensasse che Bowie avesse chiuso<br />

per sempre con la musica. Anche se il<br />

contorto, sinuoso e farneticante brano di<br />

sette minuti e più potrebbe rivelarsi un po’<br />

faticoso per alcuni, è il tipo di canzone che<br />

se colpisce al momento giusto può perseguitarti<br />

per molto tempo dopo la sua fine.<br />

22<br />

Cat People (Putting<br />

Out The Fire)<br />

(da LET’S DANCE)<br />

Cat People è stata originariamente composta<br />

per il regista/scrittore Paul Schrader<br />

per il remake, fondamentalmente mal<br />

concepito, del classico horror Cat People<br />

(1982). Proprio come il film, la canzone<br />

è stata presto dimenticata. Ci voleva un<br />

esperto di revival come Quentin Tarantino<br />

per riconoscere la grandezza di questo<br />

brano e inserirlo in una sequenza fondamentale<br />

nel suo film Bastardi senza gloria<br />

(2009).<br />

21<br />

La chitarra acustica nei<br />

primi anni compare<br />

spesso nelle sue foto.<br />

I’m Afraid<br />

Of Americans<br />

(da EARTHLINGS)<br />

Ogni volta che si utilizza il modello di<br />

collaborazione “il vecchio che incontra<br />

il nuovo” è possibile che il successo sia<br />

quello di un “crapshoot”, ovvero un lancio<br />

di dadi preciso. In questo caso il lancio è<br />

stato perfetto. Qualunque siano le vostre<br />

sensazioni per quanto riguarda Trent<br />

Reznor come cantautore, si deve ammirare<br />

l’abilità della sua produzione industriale.<br />

Certo, il versatile Bowie si inserisce nel<br />

panorama musicale di Reznor come un<br />

guanto comodo, sia chiaro.<br />

20 Starman<br />

(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />

STARDUST)<br />

Uno dei punti focali del ZIGGY STAR-<br />

DUST concept album è certamente Starman,<br />

che ha alcuni richiami a HUNKY<br />

DORY, dato soprattutto dal suo salto di ottava<br />

durante il travolgente ritornello della<br />

canzone. Detto questo, dobbiamo dire che<br />

preferiamo ancora la versione di Dewey<br />

Cox (si scherza, ovviamente).<br />

19<br />

Rebel Rebel<br />

(da DIAMOND DOGS)<br />

Se mai dovessimo pensare a una canzone<br />

di Bowie perfetta come colonna sonora di<br />

un evento sportivo, sarebbe questa. Ironica,<br />

dato che i testi contengono soprattutto<br />

riferimenti a problematiche gender come<br />

“You got your mother in a whirl / She’s not<br />

sure if you’re a boy or a girl…”. Spesso citato<br />

come l’elegia di Bowie ai suoi giorni<br />

glam rock.<br />

18 Fashion<br />

(da SCARY MONSTERS)<br />

Mentre Mick Ronson è il chitarrista più<br />

spesso associato a Bowie, Robert Fripp<br />

dei King Crimson qui, più che rivaleggiare<br />

per questa eredità, ci offre qualche riff<br />

metallico intenso che aumenta l’influenza<br />

reggae della canzone. Di assoluto valore.<br />

17<br />

Rock And Roll Suicide<br />

(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />

STARDUST)<br />

Dimenticando per un istante i suoi numerosi<br />

ed elaborati costumi, basterebbe questa<br />

canzone, il brano di chiusura di RISE<br />

AND FALL OF ZIGGY STARDUST, a far<br />

intuire che Bowie era un uomo che godeva<br />

della stravaganza e della teatralità. In<br />

meno di tre minuti il musicista progredisce<br />

da un tranquillo “strimpellamento” di<br />

chitarra acustica a un’ampollosa esplosione<br />

di corde della chitarra e di ottoni, fino<br />

alla “distruzione” della chitarra. Notevole.<br />

18


DAVID BOWIE<br />

«QUANDO L’ARTISTA<br />

HA TERMINATO<br />

LA CREAZIONE,<br />

QUESTA NON GLI<br />

APPARTIENE PIÙ»<br />

DAVID BOWIE<br />

16 Ashes To Ashes<br />

(da SCARY MONSTERS)<br />

Cominciando con una linea di synth wonky<br />

che suona come un effetto sonoro preso<br />

da un vecchio episodio di Doctor Who,<br />

Ashes To Ashes rivisita il personaggio di<br />

Major Tom (da un altro brano di Bowie di cui<br />

parleremo in seguito), mostrandolo come<br />

un drogato deperito. Certamente una delle<br />

canzoni di Bowie che ha venduto meno e<br />

anche, naturalmente, una delle sue migliori.<br />

15<br />

TVC 15<br />

(da STATION TO STATION)<br />

Più si ascolta la grandezza di STATION<br />

TO STATION di Bowie (di ispirazione<br />

Kraftwerk) e più si capisce<br />

quanto la tristezza possa<br />

diventare penetrante fino<br />

ad annientare l’uomo stesso.<br />

Emotivamente depresso, Bowie a quel<br />

tempo passa attraverso una nebbia di cocaina;<br />

ricorda a malapena la registrazione<br />

e, a quanto sembra, fu ispirato da un’allucinazione<br />

avuta da Iggy Pop. TVC 15<br />

imbastisce la semplice storia di una donna<br />

che viene risucchiata in un televisore,<br />

lasciando il suo uomo alle spalle. I testi<br />

surreali contrastano in modo stridente<br />

con l’intro honky-tonk del pianoforte. Ma,<br />

ripetiamo, che cos’è Bowie se non fantastiche<br />

contraddizioni?<br />

14<br />

Suffragette City<br />

(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />

STARDUST)<br />

Wham bam thank you ma’am! Solo David<br />

Bowie può rendere un suono sconsiderato<br />

e raffazzonato (veloce) così dannatamente<br />

affascinante. Naturalmente questo<br />

scalfisce (graffia) solo la superficie<br />

di un brano inesorabilmente orecchiabile,<br />

esplosione furiosa di rock che suona<br />

come un numero di alta scuola e velocità<br />

del grande Chuck Berry.<br />

13 Changes<br />

(da HUNKY DORY)<br />

Il brano è primo singolo dell’album HUN-<br />

KY DORY. Ai tempi Bowie riferì di aver<br />

scritto questa canzone come una parodia<br />

di canzoni da discoteca. Considerando<br />

la natura camaleontica che la carriera di<br />

Bowie avrebbe preso in seguito, passando<br />

con la sua personalità musicale da un genere<br />

all’altro, frasi come “Changes are taking<br />

the pace I’m going through” (I cambiamenti<br />

stanno prendendo il passo che<br />

sto passando) rendono la canzone meno<br />

singolo pop e più simile a un manifesto<br />

artistico. Inevitabile!<br />

Bowie<br />

nei Konrads,<br />

1963.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 19


DAVID BOWIE<br />

12<br />

Sound And Vision<br />

(da LOW)<br />

Diciamolo chiaro: LOW può essere un album<br />

eccezionale e uno dei punti salienti<br />

della carriera di Bowie ma non è esattamente<br />

di facile ascolto. Con i suoi strati di<br />

consistenza del suono e testi ultra criptici<br />

manca volutamente dell’accessibilità pop<br />

di un HUNKY DORY o ZIGGY STARDUST.<br />

Detto questo, Sound And Vision è un brano<br />

ipnotico costruito abilmente su strati<br />

di strumentazione. Quando Bowie trova<br />

tempo per cantare realmente, sembra<br />

quasi non necessario. E, sul serio, si poteva<br />

ascoltare quel riff di chitarra per tutto il<br />

giorno senza stancarsi mai.<br />

11<br />

Queen Bitch<br />

(da HUNKY DORY)<br />

Scritto in onore dei Velvet Underground<br />

e Lou Reed, Queen Bitch ha introdotto il<br />

genere trash anche grazie ai riff di chitarra<br />

di Mick Ronson che hanno contribuito<br />

non poco a caratterizzare alcuni dei migliori<br />

momenti glam-rock successivi di<br />

Bowie. Dura poco più di tre minuti, giusto<br />

il tempo di timbrare il cartellino, ma<br />

il brano è forse il più contagiosamente<br />

orecchiabile all’interno di un album pieno<br />

di canzoni facilmente ascoltabili.<br />

10<br />

David Bowie interpreta<br />

Nikola Tesla nel film di<br />

Christopher Nolan del 2006,<br />

The Prestige.<br />

20<br />

Golden Years<br />

(da STATION TO STATION)<br />

In una canzone caratterizzata principalmente<br />

da trame elettroniche<br />

e techno<br />

di influenza mitteleuropea,<br />

Golden Years si offre come<br />

piacevole stranezza nell’album. Spinto<br />

dal tipo di drumming funk/soul che non<br />

sarebbe sembrato fuori luogo nell’album<br />

YOUNG AMERICANS, la canzone imprime<br />

su Bowie il ruolo di cascamorto navigato<br />

ma non ruffiano, con una base musicale<br />

elegante che, con un po’ di brillante<br />

fantasia, avrebbe potuto far parte della<br />

colonna sonora di Saturday Night.<br />

9<br />

Oh! You Pretty Things<br />

(da HUNKY DORY)<br />

Nonostante fosse stata originariamente<br />

pensata per essere il primo singolo<br />

dell’album HUNKY DORY, Bowie optò per<br />

Changes. Al tempo sembrò essere la decisione<br />

giusta ma, a posteriori, non si può<br />

fare a meno di pensare che questa magnifica<br />

canzone avrebbe meritato più attenzione.<br />

Ancorata da qualche pianoforte<br />

“cabarettesco”, il brano sale a un coro hooky<br />

di tale livello che probabilmente avrà<br />

fatto ingelosire Paul McCartney.<br />

8<br />

Bowie con la prima<br />

moglie Angie<br />

e il figlio Zowie.<br />

The Jean Genie<br />

(da ALADDIN SANE)<br />

David Bowie ammirava<br />

molto i Rolling Stones.<br />

Se c’è bisogno di una<br />

prova, basta far girare sul piatto (o il lettore)<br />

questo brano. Guidato da un riff di<br />

chitarra assassino e una grande armonica<br />

blues, questo brano si pone come uno dei<br />

maggiori highlight dell’album ALADDIN<br />

SANE.<br />

7<br />

The Man Who Sold The<br />

World<br />

(da THE MAN WHO SOLD THE WORLD)<br />

The Man Who Sold The World si pone<br />

come una delle canzoni più raccapriccianti<br />

dell’opera di Bowie. Il fatto che i<br />

suoni vocali ricordino il sibilo di serpente<br />

attraverso l’erba umida non migliorano le<br />

cose. Come molte canzoni di Bowie anche<br />

questa si è poi rivelata essere uno standard<br />

molto popolare. La cover più famosa<br />

rimane senza dubbio la versione inquietante<br />

e angosciata di Kurt Cobain a “MTV<br />

Unplugged” dei Nirvana.<br />

6<br />

Ziggy Stardust<br />

(da THE RISE AND FALL OF ZIGGY<br />

STARDUST)<br />

Con uno dei fraseggi di chitarra più riconoscibili<br />

di Mick Ronson, Ziggy Stardust<br />

– Bowie riassume la storia dell’album<br />

omonimo (e The Man Who Fell to Earth,<br />

se siete così pronti). Alla fine, però, la storia<br />

gioca un ruolo secondario per l’esuberanza<br />

pura che questa traccia esprime.<br />

5<br />

Under Pressure<br />

(da QUEEN’S HOT SPACE)<br />

Sì, possiamo dire che questa canzone sia<br />

tecnicamente in un album dei Queen. E<br />

anche che è stata usata in innumerevoli<br />

trailer cinematografici e televisivi. Hai<br />

necessità di rendere intensa l’ansia di un<br />

personaggio dall’aspetto affascinante?<br />

Questa è la canzone per te. In ultima analisi,<br />

tuttavia, ciò non toglie la linea di basso<br />

di John Deacon o il modo in cui la voce<br />

di Freddie Mercury impenna o il crooning<br />

sottostimato di Bowie. Brividi. Ci sono alcune<br />

canzoni che meritavano di essere<br />

stra-cantate. Questa è una di esse.<br />

4 Heroes<br />

(da HEROES)<br />

Ogni volta che si discute la carriera di<br />

David Bowie la parola “camaleonte” torna<br />

inevitabilmente in qualsiasi discorso


DAVID BOWIE<br />

David Bowie e Catherine<br />

Deneuve nel film The<br />

Hunger del 1983.<br />

e da qualsiasi parte si inizi. Sì, Bowie era<br />

davvero un maestro nel sapersi adattare<br />

a tendenze e personalità di scena sempre<br />

diverse. Eppure, una tale caratterizzazione<br />

implica anche una freddezza, una disconnessione<br />

non comune. Si connota in<br />

un’artista che mantiene emozioni e sentimenti<br />

a cuore nudo a distanza. Tali sono le<br />

critiche spesso lanciate a Bowie e ad artisti<br />

del suo stampo geniale. Poi c’è Heroes.<br />

Via la teatralità. Via le regressioni musicali<br />

sovversive. Via qualsiasi senso di ironia.<br />

Tutto quello che resta è un uomo che<br />

canta consapevolmente sulle splendide,<br />

ipnotiche onde di rumori elettronici ondulanti<br />

che lo circondano. Bowie scrisse<br />

originariamente la canzone dopo aver visto<br />

una coppia di amanti incontrarsi sotto<br />

il muro di Berlino; incuriosito, immaginò<br />

e ricostruì la loro storia, come spesso fa<br />

nei suoi migliori brani. Si comincia con il<br />

sussurrato, il tubare, con il narratore che<br />

implora la sua compagna di essere la sua<br />

regina. Circa tre minuti, il tono di voce di<br />

Bowie si sposta drammaticamente in un<br />

lamento emotivo non trascurabile. Con il<br />

tempo si arriva alla frase We’re nothing /<br />

And nothing can help<br />

us (Siamo niente / E<br />

nulla ci può aiutare),<br />

la sua voce è incrinata<br />

dall’emozione. Nonostante<br />

il suo suono<br />

progressivo, Heroes si<br />

tradisce (nell’accezione<br />

positiva del termine)<br />

verso alcuni sentimenti<br />

che sanno del suo vecchio<br />

stile. È il racconto<br />

emotivamente avvincente<br />

di un uomo alla disperata ricerca<br />

del conforto dell’amore e il calore sempre<br />

effervescente della felicità, anche se solo<br />

per un giorno. Bowie aveva scritto canzoni<br />

tristi prima ma non è mai sembrato<br />

così, beh, dolorosamente umano e grandioso<br />

come in questo brano immortale.<br />

3<br />

David Bowie con il libro Buster Keaton di Rudi<br />

Blesh, 1975.<br />

«IL SISTEMA<br />

MEDIATICO<br />

POTREBBE ESSERE<br />

LA NOSTRA SALVEZZA<br />

O LA NOSTRA FINE»<br />

DAVID BOWIE<br />

Young Americans<br />

(da YOUNG AMERICANS)<br />

Le parole “English glam rocker” e “Philly<br />

Soul” sembra che vadano sottobraccio<br />

come Morrissey e McDonald’s. Eppure<br />

non solo Bowie porta a termine il lavoro<br />

ma il risultato è una delle sue canzoni più<br />

forti di sempre. Nel fluido suono di un sax<br />

a tutto volume e coristi soul, Bowie costruisce<br />

una canzone<br />

allegra su una situazione<br />

decisamente infelice.<br />

Riesce persino a far<br />

scivolare un riferimento<br />

di A Day In A Life.<br />

Se mai ci fossero stati<br />

dubbi a riguardo della<br />

poliedricità di Bowie<br />

come artista musicale,<br />

questo brano (e l’intero<br />

album) li frantuma<br />

tutti.<br />

David Bowie<br />

fotografato da<br />

Anton Corbijn,<br />

Chigago 1980.<br />

2<br />

Space Oddity<br />

(da SPACE ODDITY)<br />

Si dice che oltre 45 anni dopo la sua prima<br />

uscita, Space Oddity rimane una strana,<br />

stranissima canzone. Ispirata al capolavoro<br />

del 1968 di Stanley Kubrick 2001:<br />

Odissea nello spazio, la canzone interpreta<br />

il racconto di “Major Tom”, uno sfortunato<br />

astronauta intrappolato alla deriva<br />

nello spazio. Quando si ascolta Space Oddity<br />

si ha come la sensazione di ascoltare<br />

due o tre parti diverse di canzoni fuse<br />

insieme che Bowie fa sembrare coerenti,<br />

manifestando grande maestria musicale.<br />

E chi non applaude alla geniale parte del<br />

bridge centrale?<br />

1<br />

Life on Mars?<br />

(da HUNKY DORY)<br />

HUNKY DORY rimane l’album più piacevole<br />

di Bowie, sulla breve e sulla lunga distanza.<br />

E la sua inclinazione alla teatralità<br />

“cabaresque” non è mai stata più evidente<br />

che in questa surreale traccia. Partendo<br />

dalla voce di Bowie lievemente poggiata<br />

su un pianoforte solitario, la traccia sviluppa<br />

rapidamente di intensità, con l’aggiunta<br />

di un’impennata di sezione d’archi<br />

che dà al brano una punteggiatura degna<br />

di Broadway. Capolavoro!<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 21


Dieci<br />

dischi per<br />

ascoltare<br />

una voce<br />

a sempre rifuggiamo dalle<br />

classifiche (fotografia parziale<br />

della realtà), da sempre<br />

la necessità di sintetizzare<br />

in poche note le indicazioni per chi naviga<br />

nel mare magnum della riproduzione<br />

musicale ci impone, per riduzione,<br />

di “arrivare al punto”. Ecco così come<br />

nascono le indicazioni qui contenute,<br />

non le migliori in assoluto ma ognuna di<br />

esse meritevole di apparire tra le migliori…!<br />

Ma migliori in che senso? Uno degli<br />

aspetti che ci ha sempre contraddistinto<br />

è quello di non aver voluto separare gli<br />

aspetti artistici di una composizione da<br />

quelli tecnici, convinti come siamo che<br />

il messaggio dell’autore, svelato in tutti i<br />

suoi aspetti e suggestioni, solo così possa<br />

essere percepito nella sua interezza. Una<br />

certa scuola di pensiero, costantemente<br />

alla ricerca di brani demo per saggiare le<br />

qualità dell’impianto (e non viceversa per<br />

avvicinarsi spiritualmente all’artista) non<br />

ci ha mai interessato né la consideriamo<br />

interessante o produttiva: pienezza e soddisfazione<br />

di un ascolto musicale hanno<br />

altri pilastri su cui poggiarsi! Piuttosto<br />

vale la pena di sottolineare un aspetto<br />

quasi subdolo della riproduzione musicatesto:<br />

Paolo Corciulo<br />

le quando la mancanza di standard minimi<br />

di qualità tecnica di una registrazione<br />

tende a moderare una soddisfazione che<br />

per gli aspetti squisitamente artistici quel<br />

brano meriterebbe! Sembrerebbe<br />

un rischio modesto in un’era<br />

di raffinati macchinari per<br />

la presa sonora ma non<br />

lo è a causa delle direttive<br />

imposte da chi si<br />

pone principalmente<br />

il problema di ottenere<br />

“qualcosa che<br />

suona bene in radio”<br />

o dall’analfabetismo<br />

di ritorno di cui non<br />

è esente il mondo della<br />

registrazione sonora…<br />

Così i 10 titoli scelti possono<br />

essere tranquillamente goduti<br />

dall’ascoltatore dall’inizio alla fine e non<br />

solo a tratti per brani selezionati, senza<br />

dover per forza ricorrere a impianti hi-fi<br />

spaziali (ma consci che maggiore ne sarà<br />

la qualità, maggiore risulterà la soddisfazione),<br />

concentrandosi sul piacere d’ascolto<br />

e non su questo o quel passaggio<br />

ripetuto onanisticamente all’infinito per…<br />

sentire l’effetto che fa…<br />

«BISOGNA SAPER<br />

ASCOLTARE,<br />

ASCOLTARE BENE PER<br />

AMARE, E VICEVERSA<br />

BISOGNA AMARE PER<br />

ASCOLTARE BENE»<br />

ELIE WIESEL<br />

22


1<br />

Oscar’s Motet Choir<br />

CANTATE DOMINO<br />

1976 – Proprius<br />

Produzione svedese affidata alla<br />

conduzione di Torsten Nilsson<br />

(con Marianne Mellnäs soprano<br />

e Alf Linder all’organo), questo disco<br />

di musica sacra, basato su di un coro di<br />

grandi dimensioni e organo (in alcuni<br />

brani compaiono anche degli ottoni), è<br />

stato registrato nel lontano 1976 ma rimane<br />

un riferimento assoluto in ragione<br />

dell’interpretazione, particolarmente<br />

coinvolgente, ma anche della straordinaria<br />

acustica della cattedrale di Stoccolma<br />

che rende la registrazione estremamente<br />

dettagliata e ricca di informazioni sonore.<br />

Originalmente pensato come classico<br />

disco di Natale, in realtà ha assunto una<br />

dimensione più ampia proprio in ragione<br />

del fatto che gli appassionati della riproduzione<br />

audio lo hanno eletto a riferimento.<br />

Facilmente reperibile sia in formato fisico<br />

(Lp, Cd che SACd) che in forma di file<br />

(PCM 192/24 – DSD 2x), in particolare la<br />

versione Lp è di grande caratura tecnica<br />

mentre altrettanto non si può dire della<br />

prima stampa Cd mentre le successive e<br />

l’edizione SACd offrono tutto quello che<br />

si vorrebbe avere da una registrazione<br />

di massima qualità, perlomeno in riferimento<br />

alle voci e agli strumenti utilizzati.<br />

In particolare le voci vengono valorizzate<br />

sia per naturalezza ed equilibrio timbrico<br />

che nei pieni per capacità dinamica: l’insieme<br />

è esplosivo e particolarmente partecipativo.<br />

La traccia che dà il titolo all’album,<br />

un testo salmico per coro, organo,<br />

trombe e tromboni di Enrico Bossi, inizia<br />

il programma musical in maniera magnifica;<br />

sono anche presenti due sezioni<br />

di solo organo interpretate in modo elegante<br />

da Alf Linder, tra cui il Concerto di<br />

A maggiore di Johann Gottfried Walther,<br />

e un paio di “folksongs religiosi” eseguiti<br />

“a cappella” e splendidamente modellati<br />

dalla Mellnäs. L’album è stato registrato<br />

con un Revox A77 e un paio di microfoni<br />

Pearl TC4 e rimasterizzato dall’ingegnere<br />

del suono canadese René Laflamme<br />

in 2xHD. Quattro opzioni ad alta risoluzione:<br />

WAV in PCM a 192/24, DXD (352<br />

kHz, anche come file wav), DSD e DSD<br />

2x. Tutti rendono giustizia all’originale<br />

analogico (che è stato realizzato anche<br />

in SACd) ed è possibile il download da<br />

HDtracks (in formato 88/24).<br />

2<br />

Gruppo Corale Montefiore<br />

LUCI SERALI<br />

2009 – Rara records<br />

A<br />

volte il caso ci mette lo zampino,<br />

più forte del diavolo e della<br />

necessità di trovare i… coperchi<br />

mancanti! Il caso poi può essere aiutato<br />

ed è quel che è successo quando Il Gruppo<br />

Corale Montefiori (sorto nel 1974 e<br />

itinerante rappresentante delle virtù polifoniche<br />

dello strumento più antico del<br />

mondo) ha scelto la chiesa di S. Francesco<br />

a Montefiore dell’Aso (AP) per la<br />

registrazione di un repertorio che spazia<br />

dalla polifonia sacra e profana (dal ’400<br />

ai nostri giorni), agli spiritual e al folklore<br />

italiano e straniero. L’eccellente riverbero<br />

naturale dell’ambiente e la scelta,<br />

quasi inevitabile con un’ensemble di<br />

oltre 30 elementi, di ricorrere alla presa<br />

diretta hanno donato un realismo e una<br />

ricchezza sonora alla registrazione difficilmente<br />

riscontrabile con altre opere<br />

eseguite da un coro. L’architettura medievale<br />

della chiesa del XIV secolo e la<br />

scelta della line-up di registrazione (un<br />

unico microfono Crown, alimentato da<br />

una consolle Revox 279, che provvede a<br />

preamplificarlo, poi tutto indirizzato a un<br />

registratore dat Tascam DA30, monitorando<br />

con una cuffia Beyer DT990PRO)<br />

ha fatto il resto. Certo un po’ di manico ci<br />

vuole perché anche piccoli spostamenti<br />

del microfono comportano differenze<br />

sostanziali e spostamenti timbrici e<br />

prospettici percepibilissimi nel risultato<br />

finale. Qui i cantanti risultano fusi armonicamente<br />

in un melange armonico, ma<br />

anche dotati del proprio colore timbrico;<br />

contralti e soprani non si mescolano<br />

sconfinando gli uni negli altri e confondendosi<br />

tra loro, così come tenori e bassi.<br />

Le sibilanti (ma anche le dentali, le labiali<br />

e quant’altro fa di una voce una voce credibile<br />

che articola parole intonate), croce<br />

e delizia dei cori, sono assolutamente<br />

al loro posto! Il programma musicale<br />

presentato è diviso in due parti: una più<br />

classica, che vede protagonisti alcuni<br />

brani della tradizione corale religiosa<br />

rinascimentale, come Loyset Compère,<br />

van Berchem, e della tradizione corale<br />

barocca, come Palestrina, Giovanni Croce,<br />

Grossi da Viadana (cui è stata attribuita<br />

l’invenzione musicale del “basso continuo”);<br />

un’ulteriore sezione è costituita<br />

da brani di autori recenti come Halmos<br />

Laszlo, Carter-Hudson, De Marzi. Scorrendo<br />

le varie tracce, l’ascoltatore compie<br />

un viaggio attraverso varie atmosfere<br />

musicali: dal mottetto al salmo religioso,<br />

fino a toccare momenti spiritual, un delicato<br />

commiato amoroso e brani ispirati<br />

a canti di guerra più o meno tradizionali,<br />

ma mai scontati.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 23


DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />

3<br />

Al Jarreau<br />

ALL FLY HOME<br />

1978 – Warner Bros.<br />

Degli oltre 25 titoli realizzati (tra<br />

live e studio) ALL FLY HOME<br />

non è certo uno dei più acclamati<br />

dai fan di quello straordinario interprete<br />

(che ha fatto della voce un vero e proprio<br />

strumento con cui sperimentare ogni<br />

tipo di sonorità) che è stato Al Jarreau,<br />

recentemente scomparso. Eppure il disco<br />

segna il primo grande cambiamento<br />

all’interno di un percorso musicale che si<br />

rivelerà polimorfo da parte di un artista<br />

che, non a caso, è l’unico ad aver vinto<br />

Grammy Award in tre diverse categorie,<br />

jazz, pop, e r&b, all’interno di un palmares<br />

che ne comprende un totale di ben 7! Dai<br />

percorsi canonici all’interno degli stilemi<br />

jazz qui Jarreau, sorretto da una potente<br />

band funk che si avvale anche del cameo<br />

di Lee Ritenour e delle commistioni introdotte<br />

dal percussionista Paulinho Da<br />

Costa, si diverte a reinterpretare alcuni<br />

standard del pop come She’s Leaving<br />

Home (Beatles), Sittin’ On The Dock Of<br />

The Bay (Otis Redding) e Wait A Little<br />

While (Kenny Loggins) inserendoli in atmosfere<br />

ancora jazz (poi l’artista si sposterà<br />

più prepotentemente verso il pop e<br />

il r&b).Registrato al Sound Labs di Hollywood,<br />

lo studio fondato da Armin Steiner<br />

nel 1972, mixato al Cherokee Studios<br />

da Rick Ruggieri e masterizzato da Mike<br />

Reese al Mastering Lab, l’album è stato<br />

rimasterizzato per i tipi di Mobile Fidelity<br />

in FLAC a 24 Bit/88,2 kHz e stampato in<br />

Half Speed sotto la supervisione del noto<br />

sound engeneering Stan Ricker, questo<br />

titolo a buon diritto può essere considerato<br />

un riferimento per qualità della registrazione,<br />

sia nella versione normale<br />

che in quella per audiofili e consente di<br />

godere dei virtuosismi vocali di Jarreau<br />

in tutte le sue nuance: una voce piena, a<br />

fuoco, mai debordante ma sufficientemente<br />

affilata lì dove l’artista si spinge<br />

verso i limiti superiori della sua estensione<br />

vocale.<br />

4<br />

Donald Fagen<br />

THE NIGHTFLY<br />

1982 – Warner Bros.<br />

Oltre 90 versioni (anche una multicanale<br />

hi-res) per questo classico<br />

del pop rock, vero disco di<br />

culto per buona parte degli anni 80 che<br />

ha tra l’altro la particolarità di essere stato<br />

una delle prime incisioni realizzate in digitale.<br />

Nonostante questo (i primi tentativi<br />

in tal senso sono terrificanti in termini<br />

di qualità della registrazione!) la registrazione<br />

fu di ottimo livello tanto che «EQ»<br />

magazine ha elencato THE NIGHTFLY<br />

nei 10 migliori album registrati di tutti i<br />

A sinistra Al Jarreau, l’unico<br />

artista ad aver vinto<br />

un Grammy Award in tre<br />

diverse categorie.<br />

A destra gli Steely Dan<br />

con Donald Fagen.


Fabrizio De Andrè,<br />

una voce fuori schema<br />

(foto Renzo Chiesa).<br />

tempi: d’altronde Fagen si avvalse delle<br />

competenze dell’intera squadra tecnica<br />

(dal produttore Gary Katz all’ingegnere<br />

del suono Roger Nichols) degli Steely<br />

Dan, notoriamente molto attenti alla qualità<br />

tecnica delle loro realizzazioni. Il risultato,<br />

al tempo, fu la produzione di un Lp (il<br />

Cd non aveva ancora fatto il suo esordio<br />

commerciale) di grande qualità e tutt’ora<br />

la versione tedesca da 180 g garantisce<br />

performance di altissimo livello. Meno<br />

coerente quanto offerto su Cd, soprattutto<br />

in riferimento alle prime edizioni (e qui<br />

il discorso fatto in apertura viene confermato:<br />

con la versione Original Mastering,<br />

masterizzata da Bob Ludwig, vera autorità<br />

in materia). Anche in termini artistici il<br />

disco è bellissimo, punteggiato dalla voce<br />

profonda e calda di Fagen e dall’originalità<br />

delle sue composizioni (tutti i brani tranne<br />

uno) a cui si aggiunge una spinta ritmica<br />

notevole (e ben riproposta) grazie anche<br />

ai cameo di Marcus Miller al basso, Jeff<br />

Porcaro alla batteria ed entrambi i fratelli<br />

Michael e Randy Brecker (sax e tromba).<br />

Musica senza tempo che, come Fagen<br />

scrive nelle note di copertina, “rappresenta<br />

alcune fantasie che ho avuto da giovane<br />

durante la fine degli anni cinquanta e primi<br />

anni sessanta, cresciuto nella remota<br />

periferia di una città nord-orientale”. Il colmo<br />

per una registrazione che è diventata<br />

una pietra miliare della musica riprodotta<br />

di qualità è che in copertina, scattata da<br />

James Hamilton a casa di Donald Fagen<br />

a New York, il microfono è erroneamente<br />

posizionato!<br />

5<br />

Fabrizio De André<br />

ANIME SALVE<br />

1996 BMG Ricordi<br />

viaggio di questo grande<br />

e atipico cantautore è il più<br />

L’ultimo<br />

complesso della sua discografia,<br />

sia perché diventato il suo testamento<br />

artistico che per l’indirizzo di massima<br />

contaminazione, grazie a suggestioni<br />

provenienti da culture sonore lontane e<br />

da lui mai tentate. Anime Salve o da salvare,<br />

il cui cogliere le sfaccettature è stato<br />

il compito dell’artista, sempre attento<br />

a interpretare le esperienze borderline, i<br />

vizi (tanti) e le virtù (poche) di quella variegata<br />

umanità fotografata in musica in<br />

modo vivido e privo di moralismi. Un ampio<br />

racconto la cui varietà è il frutto, non<br />

privo di frizioni, delle collaborazioni eccellenti<br />

che De André volle per un racconto<br />

a sei mani: Mauro Pagani da un lato,<br />

in grado di tessere melodie alla ricerca di<br />

quel profondo contributo culturale di cui<br />

il bacino del mediterraneo è ricco, Ivano<br />

Fossati dall’altro, teso verso le sonorità<br />

sudamericane. Un disco ricco di fermenti<br />

che solo per caso è l’ultimo e non il promo<br />

di una serie, la più ispirata e varia, profondamente<br />

attuale con il suo disegnare<br />

epicamente la figura del migrante, anticipandone<br />

però l’orrore del reale come lo<br />

racconta la cronaca. Da un punto di vista<br />

tecnico è un disco esemplare in linea, anche<br />

oltre, lo standard qualitativo che ha<br />

caratterizzato la produzione discografica<br />

nostrana degli anni 90, brilla per qualità<br />

tecnica di registrazione. Eccellente la<br />

resa delle voci e degli strumenti acustici,<br />

proposti in maniera materica e timbricamente<br />

ineccepibili. Buona l’immagine<br />

con uno stage ampio e ben delineato sui<br />

piani prospettici, scansiti in maniera realistica.<br />

Da segnalare anche una versione<br />

(una delle 15) su vinile realizzata da un<br />

pool di aziende hi-fi: per questo disco Antonio<br />

Baglio dello studio Nautilus Mastering<br />

ha realizzato il lavoro di mastering in<br />

formato DSD partendo dai master analogici<br />

originali. Attenzioni tecniche che<br />

donano alla narrazione quella definizione<br />

e corposità che trascina le “anime” trasformandole<br />

da semplici ombre in esseri<br />

umani…<br />

«L’ULTIMO VIAGGIO DI QUESTO GRANDE E ATIPICO<br />

CANTAUTORE È IL PIÙ COMPLESSO DELLA SUA<br />

DISCOGRAFIA, SIA PERCHÉ DIVENTATO IL SUO<br />

TESTAMENTO ARTISTICO CHE PER L’INDIRIZZO DI<br />

MASSIMA CONTAMINAZIONE»<br />

PAOLO CORCIULO<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 25


DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />

6<br />

Tuck &Patti<br />

DREAM<br />

1991 – Windham Hill Jazz<br />

Un sodalizio perfetto quello di Tuck<br />

& Patty, tutt’ora in essere. Chitarrista<br />

dalla straordinaria tecnica<br />

lui, voce straordinaria lei, in grado di generare<br />

suggestione e, appunto,<br />

sogno… DREAM<br />

è il loro terzo lavoro<br />

(tutti da collezionare)<br />

e inanela brani originali<br />

scritti da Patty<br />

A sinistra il chitarrista<br />

americano Tuck Andress<br />

(foto Guido Bellachioma),<br />

in basso Eva Cassidy.<br />

Cathcart e standard di Stevie Wonder,<br />

Bernstein/Sondheim, Jimmy Cliff, J.B.<br />

Lenoir, e del jazzista Horace Silver, straordinariamente<br />

rielaborate in partitura<br />

per chitarra solo dove Tuck Andress dà<br />

un saggio di quanta musica e quante voci<br />

possa assumere una chitarra! Sittin in<br />

Limbo la ascoltereste comunque per ore,<br />

qui anche qualche minuto in più; I Wish è<br />

un inno al tecnicismo non fine a se stesso<br />

ma al servizio della felice poesia di Steve<br />

Wonder… Ma sarebbe riduttivo soffermarsi<br />

solo sulle grandi doti di Tuck in quanto<br />

è il melange con la potente voce di Patty<br />

che riesce ad assumere i registri della<br />

rabbia e della gioia, della pienezza e della<br />

impercepibile nuance a completare il<br />

quadro di un modo di fare musica da hobo<br />

moderni, con la chitarra e la voce gestiti<br />

come parte di sé, bagaglio a mano per<br />

viaggiatori dai rapidi spostamenti… Non<br />

è difficile registrare 2 soli strumenti, non<br />

è mai facile farlo bene come accade qui<br />

dove Tuck Andress è anche ingegnere del<br />

suono accompagnato da Howard Johnson<br />

al mixer e con la sapiente mano di Bernie<br />

Grundman per la masterizzazione. La<br />

chitarra è sempre a fuoco, estesa verso le<br />

frequenze alte ma mai acida o invadente,<br />

pur mantenendo<br />

tutto il gioco delle<br />

dita che sfiorano<br />

e percuotono<br />

le 6 corde; la voce<br />

è piena, corposa, ripropo-<br />

sta in quell’alternarsi di pieni e pianissimo<br />

che contraddistinguono il modo di cantare<br />

di Patty. Se volete ascoltare chitarra e<br />

voce al massimo del loro potenziale questa<br />

è la scelta giusta.<br />

7<br />

Eva Cassidy<br />

LIVE AT BLUES ALLEY<br />

1998 Blix Street<br />

Strappata alla vita prima che il<br />

meritato successo decantasse<br />

depositandosi nella storia,<br />

Eva Cassidy rimane una straordinaria<br />

interprete tanto per le caratteristiche<br />

della sua voce che per la sua capacità<br />

interpretativa. Ricercare e ascoltare i


DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />

suoi lavori è come “risciacquar la bocca<br />

in Arno” se si ama la musica e LIVE AT<br />

BLUES ALLEY è l’occasione, per i molti<br />

che non l’hanno mai ascoltata live, di<br />

carpirne un po’ dello spirito e della dolce,<br />

dolorosa melanconia. Una canzone<br />

per tutte, la straordinaria e partecipata<br />

versione di Over The Rainbow, un pezzo<br />

meritevole di un posto nell’empireo musicale,<br />

ma quasi ogni standard interpretato<br />

dalla Cassidy quasi esclusivamente<br />

nell’essenzialità dei suoi classici arrangiamenti<br />

(solo chitarra e voce) lo merita.<br />

Piace citare Time After Time, successo<br />

di Cindy Lauper del 1983, da lei scritto<br />

insieme a Rob Hyman degli Hooters,<br />

dove le sue straordinarie doti vocali aggiungo<br />

qualcosa di originale a un brano<br />

sin troppo sfruttato come cover (persino<br />

da Miles Davis). Proprio l’essenzialità<br />

della proposta musicale della Cassidy<br />

se da un lato diminuisce la complessità<br />

della presa per la registrazione, dall’altro<br />

impone standard elevatissimi di qualità<br />

in termini di timbrica, focalizzazione<br />

degli strumenti e dello stage per consentire<br />

una rappresentazione sonora<br />

“vuota” di tutto ciò che non appare sul<br />

palco ma piena della vena interpretativa<br />

dell’artista. L’album è stato registrato in<br />

diretta al Blues Alley (il più antico club<br />

di Georgetown dove hanno suonato celebri<br />

artisti jazz come Dizzy Gillespie,<br />

Sarah Vaughan, Nancy Wilson, Grover<br />

Washington jr, Ramsey Lewis, Charlie<br />

Byrd) il 2 e 3 gennaio 1996, a eccezione<br />

della traccia 13 registrata nello Studio di<br />

Chris Biondo che vi appare per volere di<br />

Eva Cassidy: “Non era nello spettacolo<br />

dal vivo, ma è la mia canzone preferita”.<br />

L’atmosfera intima del posto è ben resa<br />

dalla registrazione che, come accade<br />

spesso nelle prese dirette, gode di un<br />

realismo notevole che rende secondari i<br />

piccoli difetti presenti.<br />

8<br />

Mina<br />

RIDI PAGLIACCIO<br />

1988 PDU<br />

«IN FIN DEI CONTI, COME HA DETTO JOHN<br />

LENNON, I BEATLES ERANO SOLO UN<br />

COMPLESSINO ROCK. HA FATTO MOLTO, HA<br />

SIGNIFICATO MOLTO PER TANTI, MA NON<br />

ERA POI COSÌ IMPORTANTE»<br />

GEORGE HARRISON<br />

Se esistesse la figura mitologica<br />

della moglie di Re Mida, quella<br />

sarebbe Mina che con la sola forza<br />

di una voce che riempe dirompente<br />

lo spettro sonoro, con una estensione da<br />

primato che la Tigre di Cremona non ha<br />

mancato di sottolineare in passato, trasforma<br />

in materiale pregiato tutto quello<br />

che tocca anche se, naturalmente, una<br />

oculata scelta dei brani e una confezione<br />

levigata e raffinata degli stessi (sotto<br />

la guida di Massimiliano Pani) ha reso<br />

ogni lavoro di Mina un riferimento, tanto<br />

artistico che tecnico, per chi ama riprodurre<br />

la voce. La maggior parte delle le<br />

sue registrazioni sono tecnicamente di<br />

standard molto elevato, caratterizzate da<br />

una cura della voce maniacale che ne garantisce<br />

la giusta dimensione prospettica<br />

e timbrica con caratteristiche dinamiche<br />

(l’esame tecnico rivela valori nella fascia<br />

dell’eccellenza) che variano dal buono<br />

all’ottimo. Caratteristiche che contribuiscono<br />

(anche se Mina potrebbe farcela da<br />

sola!) a esaltare la sua duttilità che spazia<br />

come d’abitudine lungo l’arco di un ampio<br />

numero di canzoni (21) con composizioni<br />

eterogenee: da Enrico Ruggeri a Bruno<br />

Canfora, passando per Madonna (Into<br />

The Groove) dando agio alla cantante<br />

di ribadire attraverso una visione senza<br />

pregiudizi della musica, che è pari solo<br />

alla sua capacità di adattare ogni brano<br />

alla sua voce e viceversa, le sue immense<br />

doti canore. Voce femminile sì ma anche<br />

duetti e arrangiamenti raffinati, esaltati<br />

dalla buona qualità tecnica che dona presenza<br />

e calore all’album rappresentando<br />

l’unico aspetto costante in un programma<br />

quanto mai eterogeneo. La title-track è<br />

tratta dall’aria conosciuta come “Vesti la<br />

giubba” e tratta dall’opera lirica I pagliacci<br />

di Ruggero Leoncavallo.<br />

9<br />

Jennifer Warnes<br />

FAMOUS BLUE RAINCOAT<br />

1987 – Cypress Records<br />

Un ispirato omaggio a Leonard<br />

Cohen, recentemente scomparso,<br />

da parte di una delle sue coriste,<br />

a tal punto indovinato da aver proiettato<br />

Jennifer Warnes su un palcoscenico<br />

illuminato di luce propria. Non è facile<br />

aggiungere qualcosa alla poesia del genio<br />

canadese ma la Warnes ci riesce, in<br />

particolare con le versioni di Bird On A<br />

Wire, A Singer Must Die (con un coro<br />

vocale dal carattere spettrale) e Joan Of<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 27


DIECI DISCHI PER ASCOLTARE UNA VOCE<br />

Arc che non peccano di poca originalità<br />

e compongono un programma nel complesso<br />

piacevolmente ascoltabile e che<br />

nulla toglie, solamente aggiungendo, alla<br />

costellazione coheniana. Nonostante le<br />

registrazioni siano avvenute in svariati<br />

studi (The Complex, Amigo Studios The<br />

Enterprise…) nell’area californiana, il progetto<br />

gode di una qualità tecnica costantemente<br />

orientata verso l’alto in grado di<br />

offrire uno stage saldo e corposo, ampio<br />

nelle dimensioni e nella capacità di scandire<br />

i vari piani sonori. Ottima la voce<br />

della Warnes, declinata in tonalità calde<br />

e partecipative senza alcun accenno a<br />

fatica sonora; più che buona la dinamica,<br />

sottolineata da una sezione ritmica che si<br />

avvale in alcuni brani di Vinnie Colaiuta.<br />

A fuoco e soprattutto estremamente corretti<br />

dal punto di vista del timbro tonale<br />

gli altri strumenti. Bird On A Wire è un ottimo<br />

compendio di come sia stato ottimamente<br />

bilanciato tutto ciò, inclusa la voce<br />

della Warnes che pur confrontandosi con<br />

una pietra miliare di Cohen non ne esce<br />

in alcuna misura screditata ma, anzi, offre<br />

un’altra lettura al classico dell’autore canadese.<br />

Meglio la versione in Lp che quella<br />

in Cd con l’eccezione di una rimasterizzazione<br />

di difficile reperibilità effettuata<br />

da Bernie Grundman (che si è avvalso di<br />

convertitori A/D Apogee, cavi Cardas e un<br />

reclocking Audio Alchemy) e stampata su<br />

Cd Gold a 24 carati.<br />

10<br />

Alice Pelle<br />

LITTLE DREAM<br />

2007 – <strong>SUONO</strong>records<br />

Jennifer Warnes<br />

Prendi un’artista pop di grandi<br />

speranze e creatività (e con<br />

una voce capace di modulazioni<br />

imprevedibili…) e inseriscila in un humus<br />

differente dall’abituale, segnato da<br />

atmosfere raffinate con nuance dark.<br />

Accompagnala con musicisti jazz di<br />

provata abilità (Manzi, Pareti…) che sanno<br />

quel che devono fare ancor prima di<br />

cominciare a farlo. Aggiungi fisarmonica<br />

e tamburi… Il cocktail che ne deriva è più<br />

che un piccolo sogno e dona alle composizioni<br />

originali di Alice Pelle uno spessore<br />

da grande artista (tra i brani anche una<br />

poesia di Gianni Rodari messa in musica)<br />

tant’è che a suo tempo alcuni brani del<br />

disco vennero opzionati dalla Meridian<br />

per apparire su un suo demo-disk. L’intera<br />

operazione è stata realizzata sotto la<br />

supervisione dello staff di «Suono» che<br />

ha curato anche la verifica tecnica delle<br />

registrazioni, effettuate in digitale ad<br />

alta risoluzione (96 kHz /24 bit) presso<br />

il Musicamania Digital Studio di Nepezzano,<br />

optando per compressioni minime<br />

quando non assenti e un attento equilibrio<br />

ottenuto testando i vari brani prima<br />

del mastering finale con alcuni raffinati<br />

sistemi hi-fi. Il risultato è un suono vivido,<br />

presente e coinvolgente, assoluto<br />

riferimento per la voce ma anche per la<br />

tromba che, in un brano, utilizzata con la<br />

sua sordina, è un assoluto riferimento su<br />

cui molti sistemi hi-fi mostrano le proprie<br />

criticità. Il programma musicale, con<br />

l’avvertenza proprio per la sua natura di<br />

non dover essere utilizzato ad altissimi<br />

volumi prima di una verifica, scorre piacevole<br />

e vario con atmosfere dove prevale<br />

la voce e il piano di Alice Pelle e altri<br />

dove prende il sopravvento l’ensemble e<br />

i raffinati arrangiamenti in chiave jazz<br />

dove ancora una volta è la voce della Pelle<br />

(drammatica, vivida, scoppiettante) a<br />

fare da collante del tutto.<br />

«NON VORREI ESSERE UN<br />

SOTTOFONDO, VORREI<br />

CHE LA MIA MUSICA<br />

FOSSE L’UNICA COSA<br />

IMPORTANTE, ALMENO<br />

NEL TEMPO IN CUI<br />

LA SI ASCOLTA»<br />

DAVID GILMOUR


Ad hoc<br />

per la voce?<br />

VISTO L’ARGOMENTO CENTRALE DI QUESTO NUMERO<br />

DI «<strong>SUONO</strong>» CI SIAMO INTERROGATI SU QUALI SIANO<br />

LE CARATTERISTICHE DI UN SISTEMA HI-FI<br />

PARTICOLARMENTE ADATTO ALLA RIPRODUZIONE<br />

DELLE VOCI. ECCO ALCUNE INDICAZIONI DI MASSIMA…<br />

testo: a cura della redazione<br />

erché una corretta riproduzione<br />

della voce è importante<br />

in un sistema hi-fi? Corum<br />

populi la cattura e la riproduzione<br />

della voce vengono considerati<br />

elementi preponderanti nella qualità nella<br />

riproduzione sonora! Una delle ragioni<br />

è senz’altro dovuta al fatto che le<br />

voci maschile e femminile hanno<br />

un’estensione all’interno della<br />

banda sonora che “copre” una<br />

ampia parte e in particolare quella<br />

cosiddetta “nobile” dello spettro<br />

sonoro (pari a circa il 98 per cento<br />

dell’energia sonora in musica): la<br />

porzione medio-alta. In particolare<br />

la parte più grave delle medie<br />

frequenze (250 – 2000 Hz) contiene<br />

le armoniche di gran parte<br />

degli strumenti ovvero quelle indicazioni<br />

che consentono di riconoscere<br />

uno strumento dall’altro e<br />

donargli un realismo accettabile o<br />

la qualità… di un cavo del telefono.<br />

Inoltre in questa porzione delle frequenze<br />

comprese ogni enfatizzazione o penuria<br />

del giusto contenuto armonico provvede<br />

più che in altre parti dello spettro a<br />

determinare la veridicità del suono riprodotto.<br />

La porzione successiva dello spettro<br />

sonoro (quella compresa tra 2000 e<br />

4000 Hz detta medio-alti) ha un impatto<br />

ancor più specifico sulla qualità di una<br />

voce riprodotta, determinando la maggiore<br />

o minore comprensione di alcune<br />

specifiche consonanti (come la b o la v)<br />

contribuendo a renderle maggiormente<br />

distinguibili o meno e, in generale, una<br />

certa presenza in questa porzione delle<br />

frequenze determina l’intellegibilità della<br />

voce.<br />

La porzione al di sopra di questo range,<br />

generalmente destinata alla riproduzione<br />

da parte del tweeter, contribuisce<br />

a fornire all’ascoltatore informazioni<br />

sulla chiarezza e sulla presenza della<br />

voce, incluse alcune notazioni spaziali,<br />

e, nella porzione più alta, determina<br />

la chiarezza e la brillantezza<br />

dei suoni; quando enfatizzata<br />

introduce, specificatamente per<br />

la voce, una maggior presenza di<br />

sibilanti.<br />

Prendendo per assunto quanto<br />

affermato (queste nozioni costituiscono<br />

i pilastri su cui si basa<br />

chi registra) ne deriverebbe che<br />

la gamma di frequenze compresa<br />

tra quelle medio-basse e quelle<br />

medio-alte – alte, generalmente<br />

il campo d’azione del midrange,<br />

sono determinanti nella riproduzione<br />

della voce, tesi coerente<br />

con quanto da sempre affermato<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 29


AD HOC PER LA VOCE?<br />

suo contenuto di frequenze e basta, prima<br />

di giungere ai morsetti del diffusore.<br />

In secondo luogo, e anche qui ci viene<br />

a conforto il “maestro” Serblin, “non dimentichiamoci<br />

il problema principale, la<br />

relazione fra ambiente e diffusore, una<br />

croce per diffusori a gamma estesissima.<br />

Tutti i diffusori hanno una loro personalità<br />

che non è, però, separabile da quella<br />

delle apparecchiature complementari<br />

e dall’ambiente in cui si esprimono. Accordare<br />

il tutto è il vero problema, non la<br />

tecnologia di questo o quell’altro componente.<br />

L’accordo è il fondamento della<br />

musica, l’accordatura è il fondamento<br />

dello strumento musicale e, altrettanto, il<br />

fondamento del riproduttore di musica,<br />

che sia il singolo componente o l’intero<br />

sistema. Accordo del crossover, accordo<br />

degli altoparlanti, accordo del cabinet,<br />

accordo della qualità della componentistica;<br />

una riproduzione musicale che<br />

vuol coinvolgere l’ascoltatore non può<br />

prescindere dall’accordo della singola e<br />

della molteplicità delle parti. La finalità?<br />

La qualità dell’illusione!”.<br />

A «Suono» già in passato avevamo definito<br />

questa capacità di concentrarsi<br />

sull’insieme, senza focalizzarsi eccessivamente<br />

sullo specifico, come una “cada<br />

Franco Serblin, non un ingegnere ma<br />

persona con grande intuizione, il quale,<br />

in merito ai suoi criteri di progettazione<br />

affermava: “…c’è una mia insoddisfazione<br />

nell’ascoltare un diffusore tradizionale<br />

a tre vie (un due vie no; ancora si<br />

salva): provo del fastidio perché arrivano<br />

più informazioni gravi che della parte<br />

nobile dello spettro musicale che è la<br />

gamma medio-alta… Tuttora se ascolto<br />

questo tipo di diffusori (che per altro ho<br />

fatto anch’io!), ho la sensazione che ci sia<br />

qualche cosa che non va…”. Affermazione<br />

che lascerebbe intendere una preferenza,<br />

mai negata (vedi box) per i diffusori di<br />

piccole dimensioni e a due vie che, non a<br />

caso, sono stati i più rappresentativi della<br />

cifra stilistica del compianto progettista.<br />

Siamo ora in possesso di almeno due indicazioni<br />

sulla strada della ricerca di un<br />

sistema hi-fi specificamente pensato per<br />

riprodurre la voce: dovrebbe per semplicità<br />

basarsi su un diffusore a due vie e<br />

adottare un midrange di qualità mentre<br />

altre soluzioni risulterebbero più complesse<br />

in termini di performance!<br />

Aggiungiamo una regola generale ancora<br />

valida (garbage in, garbage out): ogni<br />

elemento, ogni passaggio lungo la catena<br />

di riproduzione hi-fi possono al massimo<br />

mantenere la qualità all’origine e, aggiungeremmo<br />

noi, il livello qualitativo sarà<br />

determinato dal componente più “debole”<br />

in tal senso: se un corso d’acqua viene inquinato<br />

in qualche modo (indipendentemente<br />

da quale punto) quel che si otterrà<br />

alla “foce” è comunque inquinato!<br />

I cambiamenti tecnologici hanno invece<br />

reso meno certo un altro dei tradizionali<br />

motti dell’hi-fi, la gerarchia della sorgente,<br />

cioè quella scuola di pensiero in qualche<br />

modo sinergica con la precedente<br />

per cui, all’interno dell’ottimizzazione di<br />

un sistema, occorre investire molto nella<br />

fonte per evitare che essa rappresenti<br />

l’anello debole e inquinante del sistema (e<br />

vedi sopra…).<br />

Da quanto fino a ora affermato, si potrebbe<br />

dunque pensare che occorra concentrarsi<br />

sui diffusori per identificare una catena<br />

“adatta alla riproduzione della voce”;<br />

vero in parte perché non si può non riportare<br />

sul generale la discussione, innanzi<br />

tutto per il fatto che la stessa definizione<br />

di buono legata a un criterio condivisibile<br />

(quello di non alterare o alterare il meno<br />

possibile il messaggio sonoro originale)<br />

non discrimina tra questo e quello ma<br />

prevede che un segnale, quale sia la sua<br />

natura, venga amplificato nel rispetto del<br />

Ode al piccolo<br />

testo: Franco Serblin<br />

e guardiamo alla storia dei diffusori acustici,<br />

e al successo che alcuni modelli hanno ottenuto,<br />

ci accorgiamo che questi progetti,<br />

universalmente riconosciuti di gran pregio, sono<br />

costituiti quasi sempre da diffusori di piccole dimensioni.<br />

Diversamente dalla maggior parte dei<br />

modelli di grandi dimensioni, il piccolo diffusore<br />

sparisce per lasciar posto alla Musica. Il suo limite<br />

diventa grandezza. Rinunciare alle ultime ottave di<br />

estensione in frequenza, con la relativa necessità di<br />

mettere in movimento grandi masse d’aria, consente<br />

di evitare cabinet voluminosi e l’utilizzo di diversi<br />

altoparlanti, con le relative difficoltà di fusione tra<br />

gli stessi. Anche le vibrazioni generate dagli altoparlanti<br />

sono più facili da controllare e accordare in un<br />

cabinet di ridotte dimensioni… Devo dire che mi ha<br />

sempre affascinato il ricreare, dal piccolo, la capacità<br />

evocativa del grande. Ho da sempre intuito, a<br />

onta delle limitazioni fisiche, le dirompenti potenzialità<br />

del piccolo diffusore, dei piccoli altoparlanti,<br />

senza magari avere una razionale coscienza del perché<br />

di questa potenzialità. Oggi il tutto mi appare<br />

più razionale: è il bello del limite! Senza limitazione<br />

non c’è arte, sono ben conosciute le limitazioni dei<br />

piccoli diffusori e ci si aspetta poco da loro, ma è<br />

forse questo che li rende magici, la loro capacità<br />

di ricreare attraverso una sublime riproduzione<br />

della gamma media (non è forse questa la gamma<br />

più importante dello spettro musicale?) una magia<br />

musicale che spesso è sconosciuta a sistemi<br />

di grande dimensione ed estensione. Compito del<br />

progettista, e in seguito dell’utilizzatore, il saper<br />

estrarre emozioni dall’apparente poco a disposizione:<br />

mai, in qualsiasi forma d’arte, il dover miniaturizzare<br />

ha rappresentato un limite nel tentativo<br />

di replicare l’essenza del reale, semmai è vero il<br />

contrario. Da un’iniziale e semplicistica ricerca<br />

della fedeltà assoluta all’evento originale, oggi la<br />

scienza della riproduzione audio tende sempre<br />

più verso la ricreazione di un evento generatore<br />

di emozione e coinvolgimento, una forma d’arte<br />

che vede l’appassionato utilizzatore nella doppia<br />

veste di creatore e fruitore dell’opera. Il diffusore<br />

acustico acquisisce un ruolo fondamentale nel<br />

tentativo di tradurre un evento in un’emozione ed è<br />

inutile ribadire che ogni diffusore è un compromesso:<br />

ho ascoltato e utilizzato i Quad ESL 57 e come<br />

si fa a non ammettere che hanno delle limitazioni?<br />

Eppure, ancora oggi è un riferimento assoluto per<br />

la naturalezza della gamma media! E poi tutte le tipologie<br />

di diffusori sono un compromesso: lo sono<br />

i grandi diffusori a tromba, seri compromessi anche<br />

se fanno qualcosa che altri non possono fare;<br />

lo sono i monovia, che, anche loro, fanno qualcosa<br />

che altri non possono fare! Se creiamo grandi<br />

diffusori dobbiamo aver a che fare<br />

con grandi mobili che assorbono<br />

energia con le conseguenti problematiche<br />

di coerenza per la molteplicità<br />

delle vie. Se cerchiamo alta<br />

efficienza, perdiamo profondità alle<br />

basse frequenze e ci esponiamo a<br />

potenziali colorazioni.<br />

Lo speciale “Franco Serbin artigiano”<br />

è scaricabile gratuitamente dal sito di<br />

«Suono» (http://www.suono.it/La-rivista/<br />

<strong>SUONO</strong>-free/Serblin-Homage-n-001)<br />

30


AD HOC PER LA VOCE?<br />

Un’ipotesi essenziale:<br />

entro i 1000 euro<br />

Lettore digitale Onkyo C-7030<br />

249 euro<br />

Amplificatore integrato<br />

BC Acoustique EX 202.2<br />

460 euro<br />

Diffusori Indiana Line Tesi 260<br />

292 euro<br />

O<br />

ptando su qualche scelta fuori del<br />

mainstream è possibile mettere insieme<br />

un sistema di prima fascia particolarmente<br />

interessante e versatile (l’amplificato-<br />

re dispone di un ingresso digitale per ulteriori<br />

fonti di questo tipo) il CD Player è fra quelli più<br />

economici e “navigati” del settore in pista da<br />

oltre un lustro. In aggiunta o in alternativa ecco<br />

il giradischi Pro-Ject Essential III (325 euro + 49<br />

per modulo fono) per completare con la lettura<br />

dei vinili. Se si vuole invece contenere il prezzo<br />

(o se gli spazi sono davvero risicati): diffusori<br />

Indiana Line Tesi 240 (219 euro).<br />

1<br />

«VIVIAMO<br />

UN PERIODO<br />

DI TRANSIZIONE DOVE<br />

MOLTE DELLE REGOLE<br />

CLASSICHE VENGONO<br />

TRAVALICATE DALLE<br />

NUOVE CAPACITÀ DEI<br />

PRODOTTI.»<br />

pacità olistica” di utilizzare i vari aspetti<br />

che contribuiscono alla riproduzione<br />

sonora secondo la logica di una coperta<br />

che è sempre corta ma può essere posizionata<br />

dove più abbisogna. Aggiungiamo<br />

che oggi, decaduti in gran parte<br />

i criteri su cui in passato venivano edificate<br />

le scelte, ci si comincia a rendere<br />

conto che alla fine quel che conta è un<br />

intangibile “indice della gioia” che pur<br />

nella sua ascetica definizione si palesa<br />

in misura maggiore o minore a seconda<br />

dei prodotti e delle soluzioni scelte.<br />

Come selezionare allora i prodotti che<br />

assicurano un elevato indice della gioia?<br />

Fondamentalmente il professionista di<br />

settore può appoggiarsi ad alcuni criteri<br />

predittivi di buon senso e all’esperienza<br />

diretta sul campo, elemento che può<br />

essere condiviso anche da un neofita.<br />

Più che aggiungere regole e dogmi,<br />

oggi ha senso destrutturare le opinioni<br />

dalle cattive regole del passato. Qui di<br />

seguito alcune regole di buon senso che<br />

ci sentiamo di poter condividere…<br />

Cominciamo dalla sorgente dove, data<br />

la natura variabile delle possibili opzioni,<br />

va fatto immediatamente un distinguo<br />

tra sorgenti antiche (analogiche) e<br />

moderne (digitali). Per quanto riguarda<br />

l’analogico all’interno della catena “Testina-Braccio-Giradischi-Phono”<br />

vale la<br />

gerarchia della sorgente come anche le<br />

ipotesi di scalabilità e upgrading.<br />

Il discorso è estremamente più complesso<br />

per quello che riguarda il digitale ma,<br />

in sintesi, il punto critico, soprattutto in<br />

sistemi di prezzo non “estremo”, è la sezione<br />

DAC che non si distingue tramite<br />

le caratteristiche tecniche o meglio da<br />

quelle funzionali ma dal non essere pensata<br />

in modo “blindato” e con alcune funzionalità<br />

“imposte”. Ad esempio, i tipi di<br />

filtro digitale e l’oversampling hanno un<br />

impatto notevole sulla qualità di riproduzione,<br />

tanto che in certe circostanze<br />

è preferibile escludere l’oversampling<br />

e poter scegliere il filtro più “adatto” o<br />

gradito. Quindi, il criterio di scelta è non<br />

tanto sulle possibilità di elaborazione ma<br />

sulla possibilità di poterle “aggirare”! A<br />

riguardo dei cosiddetti player digitali l’evoluzione<br />

è talmente veloce e costante<br />

che non c’è regola oggi valida per nessun<br />

aspetto! Più che le prestazioni prevalgono<br />

la semplicità, l’immediatezza e la piacevolezza<br />

di utilizzo; tutto il resto è assolutamente<br />

“provvisorio”.Il passo successivo<br />

(l’amplificazione) è oggi seriamente<br />

condizionato dall’evoluzione che questo<br />

componente sta subendo grazie all’offerta<br />

della cosiddetta musica liquida.<br />

La migrazione della gestione digitale/<br />

analogica dal lettore Cd all’amplificatore<br />

ha riportato in auge il ruolo dell’amplificatore<br />

(che non a caso un tempo<br />

veniva definito “il cervello” dell’impianto)<br />

aumentandone la potenziale versatilità<br />

che diventa il vero punto di discrimine<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 31


AD HOC PER LA VOCE?<br />

2<br />

In medio stat…:<br />

attorno ai 1500 euro<br />

Giradischi Thorens TD 158<br />

420 euro<br />

Unità phono Micromega MyGroov<br />

199 euro<br />

Amplificatore integrato Micromega<br />

MyAmp<br />

499 euro<br />

Diffusori Elac Debut B6<br />

450 euro<br />

U<br />

na catena di riproduzione versatile<br />

e di qualità che può diventare una<br />

compagna duratura e che ruota attorno<br />

a quella killer app costituita dalla linea<br />

“My” di Micromega, tra le più valide in merito<br />

a prestazioni, design e costi. Sistema indicato<br />

per gli amanti del vinile ma non disdegna<br />

la musica liquida: tramite la Usb è possibile<br />

collegare un computer o altra fonte digitale<br />

in spdif!<br />

3 Un top<br />

ragionevole:<br />

appena sotto i<br />

2000 euro<br />

abbinata delle due elettroniche è<br />

una delle migliori che ci sia capitato<br />

di provare e offrono L’<br />

un’armonia<br />

Lettore digitale Yamaha CD-S700:<br />

599 euro<br />

Amplificatore integrato Yamaha<br />

A-S701:<br />

699 euro<br />

Diffusori Dali Spektor 6:<br />

650 euro<br />

estetica non disprezzabile quando la catena<br />

hi-fi assume una rilevanza sottolineata dalla<br />

presenza di un diffusore a torre che<br />

ci ha sorpreso oltre misura per<br />

le performance ampiamente<br />

al di là della classe di prezzo.<br />

È dotato di un suo DAC che<br />

amplia la possibilità di fruizione<br />

da ulteriori sorgenti digitali.<br />

32


AD HOC PER LA VOCE?<br />

Cittadino del mondo:<br />

in mobilità a partire<br />

da 350 euro<br />

Amplificatore per cuffie<br />

Audioquest Dragonfly Red<br />

199 euro<br />

Cuffia Focal Sphear<br />

129 euro<br />

L’<br />

ascolto in cuffia, in particolare in<br />

movimento è la grande new entry<br />

che ha rivoluzionato la modalità di<br />

fruizione della musica e l’Audioquest Dragonfly,<br />

ora nella versione Red, ha creato una nuova<br />

categoria di prodotto imbattibile per il rapporto<br />

spazio occupato/prestazioni! Si abbina agli<br />

smartphone ma ci si può godere<br />

dell’ottima musica anche tramite<br />

un computer e una cuffia più<br />

confortevole e isolata come<br />

ad esempio la Audio-Technica<br />

ATH-A500X (€<br />

250) più ingombrante<br />

ma che esibisce<br />

un gradevole<br />

abbinamento<br />

con il sistema<br />

“stanziale”.<br />

4<br />

visto che offerta e possibilità future sono<br />

in gran crescita: l’unico criterio “valido”<br />

per l’utente sarà quello di analizzare le<br />

sue esigenze “reali” di utilizzo optando<br />

per un sistema che le soddisfi, “fidandosi”<br />

per quel che riguarda la qualità sonora<br />

delle proprie orecchie o di quelle di chi ci<br />

si fida! Altri elementi costituiscono ormai<br />

un discrimine meno evidente: la potenza<br />

ad esempio è un dato importante ma<br />

assolutamente non significativo per la<br />

scelta di un sistema domestico “comune”<br />

così come la sensibilità del diffusore.<br />

La sensazione di “potenza” e di qualità di<br />

riproduzione non sono correlate con la<br />

potenza dell’ampli e con le “dimensioni”;<br />

inoltre, a volte basta abbastanza poco per<br />

ottenere un effetto gradevole e avvolgente<br />

in ambiente domestico. La maggior<br />

parte dei risultati dell’abbinamento<br />

diffusori-ampli non si può prevedere a<br />

priori ma si può verificare sul campo<br />

e, contrariamente a quanto si è propugnato<br />

in passato, le caratteristiche e le<br />

impostazioni non si possono affrontare<br />

con modalità scalare, nel senso che<br />

non ha senso abbinare “un ampli con<br />

suono chiaro” a un diffusore con timbro<br />

scuro per ottenere un suono “equilibrato”!<br />

E comunque un suono equilibrato è<br />

cosa molto lontana da uno “piacevole” e<br />

“buono”…<br />

La scelta del diffusore, infine. Si tratta<br />

del prodotto probabilmente più soggetto<br />

ad ampie variazioni di “gradevolezza” e<br />

di prestazioni. In parte ciò è frutto delle<br />

varianti legate alle condizioni di “abbinamento”<br />

all’ambiente e all’amplificazione<br />

ma gli aspetti che più determinano<br />

il “fattore” di gradevolezza sono quello<br />

estetico sia nella riproduzione che nel<br />

design!Probabilmente è l’oggetto meno<br />

“totemico” e più “ancestrale” nella catena<br />

di riproduzione; anche per questo<br />

prodotto le caratteristiche funzionali e<br />

«C’È UNA<br />

GENERAZIONE<br />

(GENERAZIONE M)<br />

DEFINITA DAL FATTO CHE<br />

GLI STRUMENTI CHE USA<br />

CONSENTONO UN USO<br />

UBIQUITARIO»<br />

prestazionali dichiarate raccontano veramente<br />

poco del sistema ed è ancor più<br />

complesso determinare uno standard di<br />

classificazione per azzardare un criterio<br />

di “abbinabilità” o meglio di destinazione<br />

d’uso.Ad esempio alcune caratteristiche<br />

“sostanziali” diametralmente<br />

opposte alla fin fine non sono particolarmente<br />

utili alla scelta: non è vero<br />

ad esempio che in una stanza piccola<br />

possono andare solo diffusori piccoli<br />

o non eccessivamente dimensionati, e<br />

comunque lontani dalle pareti di fondo:<br />

le regie degli studi di registrazione sono<br />

tutte “piccole” con diffusori “enormi” addossati<br />

alle pareti di fondo… L’avete mai<br />

sentita la musica nella regia di uno studio<br />

di registrazione?<br />

L’ipotesi che il prodotto finale debba<br />

anche essere accessibile a una grande<br />

moltitudine (in contrapposizione ai<br />

prodotti no compromise che devono,<br />

per esserlo, consentire performance<br />

assolute in ogni loro aspetto) ci ha<br />

portato infine a selezionare una serie<br />

di prodotti inseriti in alcune differenti<br />

tipologie di impianto (per costo e per<br />

possibile funzione) ma comunque intercambiabili.<br />

Ecco che cosa abbiamo scelto<br />

e perché…<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 33


34<br />

Uno sguardo magnetico<br />

ben espresso nella foto<br />

di Pietro Pascuttini.


La Mina…<br />

dei record<br />

LA RINASCITA DEL VINILE<br />

RIPORTA INEVITABILMENTE<br />

AI RECORD DI GRANDI<br />

INTERPRETI, CHE NELL’EPOCA<br />

D’ORO DEI 33 GIRI HANNO<br />

REGNATO INCONTRASTATI.<br />

SICURAMENTE MINA<br />

È TRA LORO…<br />

testo: Fernando Fratarcangeli<br />

foto: Pietro Pascuttini<br />

ipudiato e accantonato agli<br />

inizi degli anni 90 dalla tecnologia<br />

digitale, il vinile era<br />

rimasto più che altro nel<br />

cuore dei nostalgici, di quanti l’avevano<br />

vissuto, ma soprattutto degli imperterriti<br />

collezionisti. Poi, da sei-sette anni a<br />

questa parte, a partire dagli Stati Uniti, il<br />

vinile è tornato a fare capolino nei grandi<br />

negozi, sia per quel che riguarda le nuove<br />

produzioni sia le ristampe di album classici<br />

soprattutto quelli che hanno tracciato<br />

la storia del pop e del rock. E così, seppure<br />

un po’ più in ritardo, in Italia e nel resto<br />

dell’Europa. Alcuni artisti sono rimasti<br />

ugualmente fedeli al vinile anche negli<br />

anni bui che questo supporto ha attraversato;<br />

uno di questi artisti è Mina.<br />

grandi del pop, quelli nati soprattutto<br />

I nell’epoca d’oro del vinile, non hanno<br />

infatti mai smesso di accompagnare le<br />

proprie uscite discografiche con il supporto<br />

in vinile, magari in tirature limitate<br />

e in alcuni casi numerate. Adriano Celentano,<br />

Vasco Rossi, Ligabue, Nomadi<br />

i primi che mi vengono in mente. Oggi<br />

queste emissioni si sono notevolmente<br />

moltiplicate, dando vita a edizioni speciali,<br />

versioni deluxe e vinili colorati. Di<br />

Mina è stato particolarmente apprezzato,<br />

oltre che super venduto qualche anno fa,<br />

l’album a tema natalizio, CHRISTMAS<br />

SONG BOOK, in vinile rosso e numerato,<br />

stampato in 2000 copie con l’inserimento<br />

di dodici disegni di Giorgio Cavazzano,<br />

stile Paperino, e già ricercatissimo dai<br />

collezionisti in quanto subito esaurito.<br />

Anche la più recente emissione, LE MI-<br />

GLIORI (novembre 2016), che ha visto il<br />

ritorno sul mercato della fortunata coppia<br />

di artisti-amici Mina e Adriano Celentano,<br />

è stato stampato in ben tre versioni<br />

diverse in vinile; la classica di colore<br />

nero, un picture con riprodotta la foto-copertina<br />

dell’album (due Mina e due<br />

Celentano a spasso per le vie di Milano)<br />

e un picture quasi analogo con impressa<br />

una foto dello stesso set fotografico e già<br />

ricercata preda di fan-collezionisti per il<br />

quale il costo di vendita iniziale è lievitato<br />

smisuratamente. Ricordandoci, infine,<br />

«PASSANO<br />

LE STAGIONI<br />

MA, OGGI COME<br />

IERI, È SEMPRE<br />

MINA<br />

LA REGINA»<br />

delle ristampe in vinile e in picture-disc<br />

(compresi box-set) di due delle case discografiche<br />

di cui Mina ha fatto parte<br />

negli anni passati, la RiFi Records e la<br />

PDU, quest’ultima attraverso il catalogo<br />

EMI che li distribuiva. Naturalmente, altre<br />

numerose emissioni, nuove e ristampe,<br />

di pop, di rock e di rock progressivo<br />

hanno scelto questo supporto per essere<br />

riproposte oggi sul mercato perlopiù in<br />

edizioni limitate. A contribuire a questa,<br />

se vogliamo, “rinascita” del vinile<br />

ha contribuito notevolmente l’iniziativa<br />

Record Store Day che, per festeggiarlo,<br />

ha immesso sul mercato nei suoi appuntamenti<br />

semestrali, edizioni particolari<br />

alcune di esse legate a una determinata<br />

ricorrenza celebrativa. Restando in tema<br />

Mina, ad esempio, l’edizione 2017 del Record<br />

Store Day ha stampato, anche per<br />

i 50 anni della nascita dell’etichetta indipendente<br />

PDU, di proprietà della cantante,<br />

uno speciale 45 giri in vinile color<br />

arancio e in tiratura limitata, La canzone<br />

di Marinella, incisa da Mina, appunto, nel<br />

1967 e nel quale singolo come b-side è<br />

stata inserita la versione della canzone<br />

cantata in duo dalla stessa Mina con Fabrizio<br />

De André, datata 1997. È di questi<br />

giorni, la notizia che una delle più prestigiose<br />

major di casa nostra, oltre che la più<br />

attiva sul mercato del vinile, la Sony Music,<br />

ha creato uno speciale marchio che<br />

contraddistinguerà le proprie emissioni<br />

in vinile denominato For Vynil Lovers (da<br />

De André al Perigeo, da Rino Gaetano a<br />

La collezione discografica<br />

su Mina di Fernando<br />

Fratarcangeli è superiore<br />

a quella della stessa<br />

cantante.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 35


MINA<br />

De Gregori, da Lucio Dalla a Lucio Battisti,<br />

solo per fare qualche nome).<br />

Mina come artista nasce nel dicembre del<br />

‘58, usando due diversi nomi d’arte, Mina<br />

per le incisioni in italiano, e un più esotico<br />

Baby Gate per le cover in lingua inglese. I<br />

rispettivi 45 giri, Malatia e When, pur appartenenti<br />

allo stesso gruppo discografico,<br />

si differenziano per le etichette, Italdisc<br />

la prima, Broadway la seconda. Oggi<br />

molto quotati nel mercato collezionistico.<br />

Tre elementi grafici molto<br />

diversi tra loro per Mina.<br />

Mina (Anna Mina Mazzini), cremonese,<br />

nasce “urlatrice” proponendo rock’n’roll<br />

all’italiana allineandosi con altri valenti<br />

artisti di quel genere musicale in quel fine<br />

anni 50: Adriano Celentano, Giorgio Gaber,<br />

Tony Dallara, Joe Sentieri, Jenny Luna.<br />

Il primo cambiamento di stile Mina lo attua<br />

nel 1960. Abbandonato lo pseudonimo<br />

Baby Gate, poiché scoperta l’identità,<br />

incide Il cielo in una stanza, una canzone<br />

melodica composta dal giovane cantau-<br />

tore Gino Paoli e scartata da qualche poco<br />

accorto collega; contemporaneamente,<br />

abbraccia twist, cha cha cha e bossa nova.<br />

Con la piccola etichetta milanese, Mina<br />

rimane fino al 1963, facendo la fortuna<br />

del suo produttore Davide Matalon, facendo<br />

registrare un vero e proprio record<br />

di emissioni, nello spazio di soli cinque<br />

anni; cinquantasette 45 giri, dieci Extended-play<br />

e altrettanti 33 giri, compresi<br />

flexi pubblicitari ed edizioni particolari. A<br />

metà del ’63 è considerata però già artista<br />

al tramonto dagli addetti ai lavori (ma<br />

non dal pubblico), a causa dell’ostracismo<br />

televisivo che la tiene lontana dalla televisione<br />

a causa della sua condizione di<br />

ragazza madre (molti i bacchettoni in<br />

quel periodo). Giovanni Battista Ansoldi,<br />

capo di un’altra piccola etichetta milane-<br />

Le foto di Pascuttini hanno<br />

un’anima molto intensa.


MINA<br />

se da poco fondata, la RiFi Records,<br />

scommette su di lei puntando 250 milioni<br />

sul suo contratto di quattro anni e<br />

sbanca. Il successo è rapido: Città vuota,<br />

È l’uomo per me, Un anno d’amore, E se<br />

domani, la riportano in testa alle classifiche<br />

di vendita e di conseguenza le viene<br />

riaperta la porta principale della televisione,<br />

soprattutto quella degli show del<br />

sabato sera. All’edizione ’65 di Studio Uno<br />

seguono quelle nel ’66 e ’67 (quest’ultima<br />

con il titolo Sabato sera), Canzonissima<br />

nel ’68, Teatro 10 nel ’72, Milleluci nel ’74…<br />

in qualità di vedette assoluta. Nei quattro<br />

anni con la RiFi incide oltre venti 45 giri e<br />

sette Lp, in gran parte di successo. Il primo<br />

33 giri edito dalla RiFi, l’omonimo<br />

MINA, viene premiato quale “miglior disco<br />

dell’anno” durante il “Premio della Critica<br />

Giornalistica” e rappresenta il suo primo<br />

vero album (prima di allora per lo più i<br />

33 giri consistevano in raccolte di brani<br />

già editi nel formato 45 giri), nel quale<br />

presenta classici internazionali cantati<br />

nella lingua originale, oltre a due sole canzoni<br />

in italiano: Non illuderti di Bruno Palesi,<br />

E se domani, incisa per espresso desiderio<br />

del suo amico-autore Carlo Alberto<br />

Rossi, brano scartato dalla giuria del<br />

precedente Festival di Sanremo. Anche il<br />

successivo MINA 2 conquista l’ambito riconoscimento<br />

da parte dei critici. Nel<br />

frattempo, la cantante conquista ancor<br />

più il mercato estero, soprattutto quello<br />

spagnolo, tedesco e giapponese. Nel Paese<br />

del “Sol levante”, nel ’64 consegue il<br />

premio “Perla d’Oro”, consegnato all’artista<br />

che ha venduto in Giappone il maggior<br />

numero di dischi (superando persino i Beatles<br />

nel loro momento d’oro nel mondo)<br />

grazie al 45 giri Kimi Ni Namida To<br />

Hohoemi Wo, versione in lingua di Un<br />

buco nella sabbia. In Giappone Mina oggi<br />

è ancora molto popolare, come dimostrato<br />

da dischi antologici made in Japan prima<br />

e d’importazione poi. Per quel mercato<br />

Mina inciderà altre canzoni: Un anno d’amore,<br />

Se piangi se ridi e la locale Settemari,<br />

tutte di grande successo. Brani in<br />

lingua vengono pubblicati in spagnolo, in<br />

tedesco (Heisser Sand resta al primo posto<br />

delle classifiche per molte settimane<br />

nel ’62), francese, inglese e persino in lingua<br />

turca (Un anno d’amore, Soli, Io sono<br />

«NELLA SUA VOCE<br />

VIVONO GRANDI<br />

PALCOSCENICI,<br />

PIANTO<br />

E RISATE»<br />

quel che sono). Avrebbe potuto conquistare<br />

altri Paesi (Medio Oriente, Australia<br />

e, soprattutto, Stati Uniti) se si fosse dedicata<br />

alle versioni in lingua originale. A<br />

metà anni Settanta, infatti, Frank Sinatra<br />

inviò a Lugano, città di residenza dell’artista,<br />

alcuni suoi emissari con un assegno in<br />

bianco per farla esibire nei più importanti<br />

locali di Las Vegas. Mina rifiutò per non<br />

lasciare l’Italia e soprattutto la sua famiglia!<br />

Nel ’67, dopo l’ennesimo successo<br />

discografico, La banda, decide di non rinnovare<br />

il contratto con Ansoldi e di fondare<br />

una propria etichetta in Svizzera, la<br />

PDU (Plattendurcharbeit Ultraphone),<br />

soprattutto per avere il totale controllo<br />

del suo repertorio discografico e della sua<br />

carriera. A fine ’67 escono i primi dischi<br />

del nuovo corso, il 45 giri I discorsi, che la<br />

vede coautrice in coppia con Augusto<br />

Martelli e lo straordinario album DEDI-<br />

CATO A MIO PADRE, in cui esplora il repertorio<br />

che più ama: Besame mucho di<br />

Velazquez, Sentimental Journey, Lazy<br />

River, The Man That Got Away di Gershwin,<br />

Johnny Guitar di Lee Yong e grande<br />

successo di Peggy Lee, la tradizionale<br />

Ma se ghe penso in dialetto genovese. C’è<br />

anche La canzone di Marinella di Fabrizio<br />

De André (“Ho iniziato a guadagnare i<br />

primi veri soldi come autore – dirà in seguito<br />

De André – dopo che Mina ha inciso<br />

la mia Marinella”). Mentre l’Italia vive ancora<br />

il predominio del supporto 45 giri,<br />

tra il ’67 e il ’68, Mina e Fabrizio De André<br />

sono gli unici artisti a incidere 33 giri<br />

specifici o a tema. A Mina si deve anche<br />

un altro primato, quello di essere la prima<br />

artista italiana a pubblicare un album dal<br />

vivo. MINA ALLA BUSSOLA DAL VIVO<br />

documenta il suo recital annuale nella<br />

versiliese La Bussola, proprietà di Sergio<br />

Bernardini, dove, nell’ormai lontano ’57, la<br />

ragazza diciassettenne chiese all’orchestra<br />

di Don Marino Barreto jr, allora importante<br />

artista da night, di potersi esibire a<br />

fine serata, eseguendo un brano che poco<br />

prima aveva eseguito la stessa orchestra<br />

(nonché hit dello stesso cantante cubano):<br />

Un’anima tra le mani, proponendolo a<br />

modo suo, un misto tra swing e “urlato”.<br />

Ascoltandola, Bernardini le consiglia di lasciar<br />

perdere e di dedicarsi agli studi.<br />

Tempo perso… le dice. Per Mina diventa<br />

una sfida. Tornata a Cremona, si mette in<br />

contatto, nonostante l’ostilità del padre<br />

Mino, industriale farmaceutico, con il<br />

complesso orchestrale più rinomato della<br />

zona, gli Happy Boys, chiedendo loro: “Mi<br />

fate cantare?”. La storia inizia qui, con le<br />

prime serate di piazza del posto, e di conseguenza<br />

l’incontro con Matalon su consiglio<br />

degli stessi Happy Boys. In MINA<br />

ALLA BUSSOLA DAL VIVO, la cantante<br />

non si limita a proporre brani dal proprio<br />

repertorio, ma attinge a quello di altri: La<br />

Lo sguardo di Mina<br />

nei suoi dischi è icona<br />

assoluta. Sopra la copertina<br />

dell’album LE MIGLIORI,<br />

edito nel 2016 da Mina<br />

e Celentano.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 37


voce del silenzio, che al Festival di Sanremo<br />

precedente era stata cantata da Tony<br />

Del Monaco e Dionne Warwick, l’interprete<br />

preferita di Burt Bacharach; Deborah,<br />

hit di Fausto Leali e Wilson Pickett; Cry di<br />

Johnny Ray, a cui si era ispirata a inizio<br />

carriera; Se stasera sono qui di Luigi Tenco<br />

e Per ricominciare, versione italiana di<br />

Can’t Take My Eyes Off Of You, un successo<br />

di Frankie Valli. Mina anticipa i tempi<br />

anche nel pubblicare il doppio 33 giri.<br />

Così nel 1972 si presenta sul mercato con<br />

1+1, dove in un volume è presente il live<br />

dalla Bussola, nell’altro canzoni inedite.<br />

La consuetudine di pubblicare annualmente<br />

un doppio album, metà cover e<br />

metà brani inediti, termina solo nel ’95 con<br />

PAPPA DI LATTE; come album singolo<br />

escono invece 33 giri a tema tra cui MINA<br />

CANTA I BEATLES, MAZZINI CANTA<br />

BATTISTI e le raccolte DEL MIO MEGLIO.<br />

In ventitré anni tanti i grandi successi su<br />

doppio album: FRUTTA E VERDURA/<br />

AMANTI DI VALORE, BABY GATE/MINA<br />

R, LA MINA/MINACANTALUCIO, MINA<br />

CON BIGNÈ/MINA QUASI JANNACCI,<br />

LIVE ’78, quest’ultimo segna il suo addio<br />

alle scene con il concerto a Bussoladomani,<br />

ATTILA (terzo album più venduto del<br />

’79 dopo THE WALL dei Pink Floyd e<br />

SONO SOLO CANZONETTE di Edoardo<br />

Bennato). Il record di vendita di Mina legato<br />

all’ellepì lo detiene …BUGIARDO PIÙ<br />

CHE MAI… PIÙ INCOSCIENTE CHE MAI…<br />

edito nel 1969 con 40 settimane di permanenze<br />

di cui 12 al primo posto. Con il<br />

passare del tempo il repertorio di Mina si è<br />

sempre più indirizzato a dischi di qualità e<br />

decisamente meno commerciali, mantenendo<br />

di tanto in tanto l’idea di incidere<br />

album a tema: il repertorio napoletano in<br />

NAPOLI, l’omaggio a Frank Sinatra in<br />

L’ALLIEVA, quello a Domenico Modugno<br />

in SCONCERTO, i canti sacri in<br />

DALLA TERRA, le romanze in SULLA<br />

TUA BOCCA LO DIRÒ. Da ricordare poi il<br />

milione e duecento mila copie vendute<br />

da MINA CELENTANO nel ’98, in coppia<br />

con il suo amico di sempre, Adriano. Tra<br />

i vari record detenuti da Mina anche<br />

quello di essere l’artista italiana che ha<br />

piazzato nella classifica di vendita il<br />

maggior numero di titoli al primo posto.<br />

E la leggenda continua…


MINA<br />

Tra Mina e Pietro<br />

LA FOTOGRAFIA DI PIETRO<br />

PASCUTTINI, CHE IN QUESTO<br />

CASO RIPRENDE MINA, È IL<br />

CORRISPONDENTE DEL VINILE<br />

RISPETTO A UN PESSIMO MP3. IL<br />

TRIONFO DELL’ANALOGICO, PIÙ<br />

BIANCO/NERO CHE COLORE. È IN<br />

PREPARAZIONE UN VOLUME<br />

CON LE PIÙ BELLE FOTO DI<br />

QUESTO ARTISTA<br />

DELL’IMMAGINE…<br />

testo: Guido Bellachioma<br />

e c’è una cantante nel panorama italiano in<br />

cui coesistono, quasi di pari livello, la qualità<br />

vocale e l’immagine da diva, anche quando<br />

vuol apparire come semplice mamma, moglie e persino<br />

casalinga, quella è Mina. Persino oggi, che la sua<br />

immagine è possibile solo sognarla, è la più diva di<br />

tutte. Pietro Pascuttini è il fotografo che più mi<br />

ha appassionato per la confidenziale normalità<br />

con cui è riuscito a ritrarla durante la loro collaborazione.<br />

L’ineguagliabile Totò, che stimava Mina<br />

moltissimo, la dipinse con affetto meglio di qualsiasi<br />

altra persona: “Quell’anima lunga, che sembra<br />

un contrabbasso con tutte le corde a posto,<br />

quelle carni bianche da gelato alla crema, quella<br />

creatura recita poco e male, ride al momento sbagliato,<br />

coprendosi la bocca con la mano. Ma se si<br />

spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella<br />

voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate”.<br />

Totò la ritraeva con le parole, Pietro con le immagini<br />

delle sue macchine fotografiche, a colori e in<br />

bianco e nero. L’ho conosciuto negli ultimi anni<br />

di vita, quando abitava in una casa a Tor San<br />

Lorenzo, una località di mare in provincia di<br />

Roma. Si parlava di fare un libro con le sue<br />

foto, mi piaceva parlare con lui e con sua<br />

moglie, prendere un caffè circondati<br />

dalle stampe di queste immagini senza<br />

tempo. A volte, quando mi parlava<br />

di Mina, Patty Pravo, Alberto Sordi<br />

e altri miti simili un po’ lo invidiavo…<br />

a lui Marcello Mastroianni, Louis<br />

Armstrong, Clint Eastwood, Domenico<br />

Modugno, Tyrone Power,<br />

Franco Fabrizi; a noi gli anonimi<br />

personaggi usciti dai talent show<br />

senza senso… ti credo che passa<br />

la voglia di fotografare! Mi dispiace<br />

tanto di non essere riuscito a<br />

portare a termine quel libro, solo<br />

immaginato, purtroppo c’è sempre<br />

meno spazio per iniziative legate<br />

al bello ma non effimero. Immagine<br />

nella sostanza, questa è la definizione<br />

che calza meglio allo stile di Pietro.<br />

Foto decise, dirette anche quando<br />

cercano il fascino del mistero. Milanese,<br />

classe 1936, proviene da una nobile famiglia<br />

friulana; inizia a fotografare a 18 anni e<br />

nel 1962 vince il Premio Nazionale Fotoreporter<br />

per le immagini di un poker di donne affascinanti:<br />

Sophia Loren, Claudia Cardinale, Sylva<br />

Koscina, Monica Vitti. Fotografo di prima linea per<br />

agenzie come Farabola e Grazia Neri. Si ritira nel<br />

2004 e muore nel 2009 a Marino.<br />

Meglio fotografarla da sinistra, dove non ha i nei<br />

Così la racconta Pietro attraverso l’obbiettivo della<br />

sua macchina fotografica.<br />

“Mina vive e agisce, momento per momento, seguendo<br />

unicamente l’impulso e i sentimenti. Credo<br />

sia la creatura meno complessata del mondo, la più<br />

spontanea, immediata, forte e sicura. La prima fotografia<br />

giornalistica credo di avergliela fatta proprio<br />

io: in una strada di Cremona, molti anni fa. Allora<br />

non la conosceva quasi nessuno, era una ragazzina<br />

timida, addirittura vergognosa di farsi fotografare.<br />

Oggi è diversa: più donna, soprattutto professionalmente<br />

matura. In tutti questi anni ho imparato a<br />

conoscerla. So che deve essere fotografata con luci<br />

molto morbide, con “soli” gialli piuttosto che rossi<br />

o violacei, che renderebbero dura e aggressiva la<br />

sua bellezza, di cui deve essere invece valorizzato al<br />

massimo l’interiore contenuto di morbidezza, di dolcezza,<br />

d’estrema femminilità. Mina non ama le fotografie<br />

in “esterni”: troppa gente che si ferma, guarda<br />

Il rapporto tra Mina<br />

e Pietro Pascuttini<br />

è sempre<br />

stato speciale.<br />

e fa commenti. Preferisce essere fotografata in studio,<br />

sola e tranquilla. Io, viceversa, cerco sempre di<br />

riprenderla per la strada: la presenza di altre persone,<br />

i rumori, il traffico, la vita della strada le comunicano<br />

quella vitalità e allegrezza che le sono tipiche,<br />

ma che nel chiuso di uno studio, dopo un poco, tendono<br />

sia pure minimamente a spegnersi. Il suo viso<br />

deve essere fotografato di tre quarti, da sinistra: la<br />

sua parte meno bella, infatti, è la destra, quella con<br />

i nei, per intenderci. Da questa parte Mina sembra<br />

più triste, malinconica e perfino più dura.<br />

Ha cambiato colore di capelli un’infinità di volte:<br />

per me, il colore più “suo”, quello che le donava di<br />

più, era il nero-corvino, quando portava i capelli<br />

lunghissimi, divisi nel mezzo… ne veniva fuori quel<br />

tanto di spagnolesco che è in lei, nella sua bellezza,<br />

che ha ereditati evidentemente (come lei<br />

stessa mi ha raccontato) da una nonna spagnola.<br />

Di lei, fotograficamente parlando, trovo belli in<br />

particolare il volto nel suo insieme, i denti, le mani.<br />

Le mani sono lunghe, nervose ma morbide; il volto<br />

è spiritoso, espressivo, sempre mutevole… i denti<br />

sono stupendi, tanto che, ultimamente, ho cercato<br />

di fotografarla più volte con le labbra dischiuse<br />

e una sigaretta tra i denti, con la “grinta” felina che<br />

le è tipica, e che trovo unica e straordinaria.<br />

È pigra, se potesse eviterebbe volentieri di truccarsi,<br />

infatti quando è possibile lo fa… esce col viso<br />

assolutamente pulito”.<br />

A Pietro… artista dell’immagine.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 39


Sin dalla sua prima seduta d’incisione, Caruso<br />

prende in mano e domina il mercato discografico.


ENRICO CARUSO, CHE<br />

INIZIALMENTE VENIVA<br />

CHIAMATO ERRICO, ALLA<br />

NAPOLETANA, LUNGO<br />

L’ARCO DEI DUE PRIMI<br />

DECENNI DEL 900 NON<br />

SOLO DOMINÒ LE SCENE<br />

LIRICHE DI TUTTO IL<br />

MONDO, NON SOLO<br />

DOMINÒ L’INCIPIENTE<br />

MERCATO DISCOGRAFICO,<br />

MA DETERMINÒ CON LA<br />

SUA SOLA PRESENZA LA<br />

GENERALIZZAZIONE DEL<br />

BEL CANTO COME ARTE,<br />

MA PRINCIPALMENTE<br />

ANCHE COME SCUOLA…<br />

testo: Marino Mariani<br />

ziale dei grammofoni a<br />

tromba, e quando sul<br />

piatto rotante veniva<br />

deposto un disco di<br />

Caruso, questi arcaici<br />

precursori dell’alta<br />

fedeltà si mettevano a<br />

suonare veramente e la<br />

gente accorreva a sentire<br />

la voce di Caruso suonata dal<br />

grammofono.<br />

I vari “re” delle ferrovie, delle automobili,<br />

dell’aviazione, delle banche, del petrolio,<br />

della stampa, del cinema, dei telegrafi e<br />

dei telefoni, avrebbero dovuto accogliere<br />

nei loro circoli esclusivi anche i re… dei<br />

grammofoni a tromba, allora un’attrazioa<br />

carriera di Enrico Caruso non è<br />

confrontabile con quella di nessun<br />

altro protagonista della scena<br />

lirica, ma se questo confronto<br />

venisse eseguito in maniera sistematica,<br />

i critici troverebbero che De Reske gli<br />

era superiore come presenza sulla scena,<br />

mentre Alfredo Kraus e Luciano Pavarotti,<br />

e non solo loro, potevano infilare ridendo i<br />

sette do di petto che ci sono nella Figlia del<br />

reggimento, mentre Enrico Caruso fermava<br />

la sua gamma acustica sì e no a un si<br />

bequadro o bemolle. Ma nessuno si azzarderebbe<br />

ad affermare che qualsiasi tenore,<br />

o più in generale qualsiasi cantante maschile<br />

o femminile, nella gamma alta, media<br />

o bassa, sia stato superiore a Caruso.<br />

Caruso qualcuno l’ha definito un baritenore,<br />

vale a dire un cantante dalla voce calda<br />

e piena di baritono, ma capace di entrare<br />

nella gamma acuta fino alla soglia del do<br />

di petto. Per riempire comunque il ruolo<br />

problematica riuscita,<br />

sotto l’incubo di una<br />

stecca che il pubblico<br />

non perdonava<br />

mai, e che costava al<br />

malcapitato il bando<br />

dalle scene. Nelle biografie<br />

non risulta mai<br />

che Caruso abbia avuto<br />

problemi con il pubblico in<br />

materia di estensione vocale: al<br />

contrario il pubblico rimaneva estasiato<br />

per il piglio franco e disinvolto, per l’inarrivabile<br />

eguaglianza dei suoi gradi timbrici,<br />

per il suo legato rigoroso e per i suoi<br />

portamenti che quasi annullavano la differenza<br />

tonale tra due note contigue. Ma<br />

Tutte le incisioni<br />

di Caruso furono<br />

effettuate con<br />

questo tipo di<br />

microfono di legno. I<br />

risultati, comunque,<br />

sono stupefacenti.<br />

«QUANDO GIACOMO<br />

PUCCINI ASCOLTÒ CARUSO<br />

NELLE PRIME BATTUTE<br />

DI CHE GELIDA MANINA,<br />

GRIDÒ: “MA CHI VI HA<br />

MANDATO? DIO?”»<br />

Enrico Caruso<br />

mentre queste qualità di Caruso venivano<br />

La voce<br />

recepite e osannate dal pubblico delirante<br />

(a quei tempi veniva utilizzato anche il<br />

neologismo “mesmerizzato”) presente in<br />

sala, il miracolo decisivo, quello che maggiormente<br />

servì a catalogare Caruso in<br />

di tenore, Caruso ricorreva abitualmente<br />

alla trasposizione di un mezzo tono, o dal resto di tutto il mondo teatrale, fu che<br />

una categoria a parte, nettamente divisa<br />

di un intero tono, sotto. Tali trasposizioni tali eccezionali qualità risaltavano mirabilmente<br />

nei suoi dischi riprodotti dagli<br />

venivano condannate da taluni cantanti,<br />

come la signora Maria Meneghini Callas, ineffabili grammofoni a tromba di quell’epoca.<br />

I quali erano strumenti gracchianti<br />

che avrebbe preferito morire sulla scena<br />

piuttosto che trasporre un’aria. Ma Giuseppe<br />

Verdi in persona era invece molto immancabilmente presente nelle fiere,<br />

ben conosciuti come “curiosità” acustica,<br />

comprensivo nei confronti delle trasposizioni,<br />

e talora le favoriva e consigliava, pubblici. La composizione spettrale del-<br />

nei Luna Park, nei mercati e nei giardini<br />

perché, secondo Verdi, il cantante<br />

non doveva vivere sotto<br />

perfettamente complementala<br />

voce di Caruso sembrava essere<br />

l’incubo di un acuto dalla<br />

re con la curva esponen-<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 41


ENRICO CARUSO<br />

«LE INVENZIONI DI EDISON (RULLI)<br />

E DI BERLINER (DISCHI) HANNO TROVATO<br />

LA LORO PIATTAFORMA DI LANCIO NELLA<br />

VOCE DI QUESTO TENORE NAPOLETANO,<br />

CHE IMMEDIATAMENTE<br />

CONQUISTÒ LE MASSE»<br />

In alto:<br />

confezione dei rulli incisi da Caruso<br />

per la Anglo-Italian Commerce<br />

Company. Stampati in Germania<br />

e offerti a € 69 cadauno.<br />

ne nei baracconi dei circhi, nelle fiere e nei<br />

mercatini! E gli impresari teatrali avrebbero<br />

dovuto tener testa agli impresari discografici,<br />

i teatri agli studi di registrazione.<br />

A dire la verità, alcune di quelle industrie<br />

ancora non erano in esercizio, perché il<br />

primo aeroplano ancora non aveva volato<br />

(ed Edison aveva predetto che neanche in<br />

un milione di anni sarebbe stato inventato),<br />

la Ford ancora non era stata fondata,<br />

stampa e banche non facevano nominalmente<br />

parte del settore manifatturiero<br />

etc. Ma durante la carriera di Caruso non<br />

solo dischi e grammofoni cominciarono (e<br />

proseguirono) a essere venduti a milioni<br />

di esemplari, ma la musica stessa cambiò<br />

in maniera radicale, e nei teatri lirici si<br />

passò dal cosiddetto bel canto al verismo.<br />

Entrambe queste trasformazioni ebbero<br />

come protagonista Enrico Caruso. Nei libri<br />

di musicologia, storia della musica, e nelle<br />

biografie dei grandi cantanti, spesso ci si<br />

imbatte nel rammarico, espresso dagli autori,<br />

per il tramonto del bel canto a favore<br />

del verismo, e sul principio m’ero fatto l’idea<br />

che, con il bel canto, fosse tramontato<br />

anche il canto stesso. Ma esaminiamo un<br />

po’ più da vicino il concetto di bel canto,<br />

che consisteva in un tipo di canto ornato,<br />

contornato di abbellimenti quali i trilli, gli<br />

arpeggi, le volatine, le rullate, i mordenti<br />

e tante altre figure tecniche studiate per<br />

far rifulgere l’abilità del cantante. Sotto<br />

certi aspetti il bel canto era al servizio di<br />

se stesso, e il suo nome sembra coniato<br />

su misura per illustrarne la finalità ultima.<br />

Ma la natura del bel canto era determinata<br />

non solo e non tanto da dettami puramente<br />

accademici, quanto dagli usi e costumi<br />

della società, che nel corso dei secoli subirono<br />

inevitabili cambiamenti. E così, agli<br />

inizi, la musica era figlia dei facoltosi signori<br />

che allevavano e mantenevano nelle<br />

loro corti i compositori, i solisti e le orchestre,<br />

e le composizioni venivano obbligatoriamente<br />

dedicate a questi mecenati, ai<br />

cardinali e alle nobildonne. Le musiche, e<br />

tra esse in prima fila i melodrammi, erano<br />

essenzialmente garbate, perché le esecuzioni<br />

dovevano servire da intrattenimento<br />

al gentil consesso di cotanta nobiltà. Ma,<br />

come sappiamo, i tempi gradualmente<br />

cambiavano, e alla fine clero e nobiltà<br />

ebbero problemi che li distolsero dal compito<br />

di patrocinare musiche e musicisti.<br />

E cambiarono i contenuti, le forme e le<br />

strutture delle opere liriche: eroi della<br />

storia e della leggenda, quali Giulio Cesare,<br />

Ercole ed Enea, che venivano solitamente<br />

interpretati da<br />

soprani maschili, passarono<br />

a registri più virili, e finalmente le<br />

donne furono interpretate da donne. Dal<br />

classicismo arcaico si passò al romanticismo,<br />

in cui le opere si trasformarono da<br />

narrazioni, rappresentazioni e recite in vicende<br />

e tragedie vissute in prima persona<br />

dagli attori sulla scena. Siamo ancora nel<br />

dominio del bel canto, con la differenza<br />

che le opere adesso vengono rappresentate<br />

in teatri aperti al grosso pubblico, e gli<br />

interpreti non possono più contare sulla<br />

benevolenza dei mecenati, ma devono<br />

fare i conti con gli impresari, e vengono<br />

scritturati e pagati proporzionalmente al<br />

loro successo… al botteghino!<br />

Il pubblico italiano era maturo per la<br />

Napoli a Enrico Caruso<br />

ha intitolato solo una strada<br />

di minima importanza.<br />

42


ENRICO CARUSO<br />

trasformazione del teatro lirico, e in ciò<br />

fu seguito da tutto il resto del mondo, che<br />

accettò di buon grado questa trasformazione<br />

sulle ali del canto di Enrico Caruso,<br />

che si mise a capo, in prima persona, di<br />

tale trasformazione. La sua voce divenne<br />

la voce di riferimento assoluto, e sui suoi<br />

dischi i cantanti di tutto il mondo impararono<br />

i dettami della nuova scuola.<br />

Nel 1902, durante le rappresentazioni<br />

dell’opera Germania di Franchetti al teatro<br />

La Scala di Milano, Fred Gaisberg, pioniere<br />

non solo dell’arte di scoprire e ingaggiare<br />

i grandi artisti di tutto il mondo ma anche<br />

in quella di effettuare materialmente<br />

le incisioni discografiche, udì il nome<br />

di Enrico Caruso, e lo andò ad ascoltare:<br />

sull’istante decise di portare Caruso nello<br />

studio di registrazione… a qualsiasi prezzo!<br />

Caruso chiese 100 lire per incidere dieci<br />

brani, Gaisberg compì l’imprudenza di telegrafare<br />

al suo ufficio centrale, il quale gli<br />

proibì tassativamente di spendere quella<br />

cifra folle, ma fortunatamente decise di<br />

ignorare il veto, e la registrazione avvenne.<br />

L’ufficio centrale aveva posto il suo<br />

veto per una ragione in fondo abbastanza<br />

plausibile: investire tali somme per un<br />

cantante che era sconosciuto a Londra e a<br />

New York? Ma quel giorno la prospettiva<br />

cambiò, e la fama di Caruso, in virtù dei<br />

suoi dischi, come una fiammata dilagò in<br />

tutto il mondo. Quel giorno era l’11 aprile<br />

1902. In due ore Gaisberg riuscì a incidere<br />

i seguenti dieci brani:<br />

“Studenti! Udite!” (Franchetti: Germania)<br />

“Questa o quella” (Verdi: Rigoletto)<br />

“Celeste Aida” (Verdi: Aida)<br />

“O dolce incanto” (Massenet: Manon)<br />

“Una furtiva lacrima” (Donizetti: L’elisir<br />

d’amore)<br />

“Giunto sul passo estremo” (Boito:<br />

Mefistofele)<br />

“Ah, vieni qui… No, non chiuder gli occhi<br />

vaghi” (Franchetti: Germania)<br />

“Dai campi, dai prati” (Boito: Mefistofele)<br />

“E lucevan le stelle” (Puccini: Tosca)<br />

“Apri la tua finestra” (Mascagni: Iris)<br />

Dunque Caruso intascò le 100 lire e Gaisberg<br />

si meravigliò, e in un certo senso<br />

rimase atterrito dalla facilità con cui una<br />

tale somma poteva essere guadagnata in<br />

I funerali di Enrico Caruso nella Reale<br />

Basilica di S. Francesco di Paola concessa<br />

dal re Vittorio Emanuele III.<br />

un così breve tempo. Eppure, per vincere<br />

il veto impostogli dalla Casamadre, aveva<br />

calcolato che bastava guadagnare uno<br />

scellino per duemila copie vendute per far<br />

quadrare i conti: qualcuno dei dieci brani<br />

incisi vendette più di un milione di copie…<br />

Nel corso della sua carriera Caruso intascò<br />

più di due milioni di dollari dalle case<br />

discografiche, e cioè più di quanto guadagnò<br />

cantando sui palcoscenici di tutto il<br />

mondo. E comunque le case discografiche<br />

guadagnarono il doppio di quanto pagassero<br />

Caruso. Faccio notare che si trattava<br />

di dollari anteriori agli anni Venti, che avevano<br />

un valore enormemente maggiore<br />

del dollaro di oggi (purtuttavia intorno<br />

all’anno 1950 un quadrimotore Constellation<br />

costava ancora soltanto 300.000<br />

dollari). Molti dei brani contenuti nella lista<br />

dei primi dieci, furono reincisi, e fecero<br />

una statistica a parte.<br />

Questi dieci brani, che andarono a ruba<br />

sotto forma di dischi a 78 giri a incisione<br />

laterale (adatti quindi alla riproduzione<br />

mediante i grammofoni a tromba, in cui<br />

la voce di Caruso veniva accompagnata al<br />

pianoforte dal maestro Salvatore Cottone),<br />

segnarono una vera e propria rivoluzione,<br />

perché non solo la voce e l’interpretazione<br />

di Caruso piacquero ai critici, agli impresari,<br />

ai colleghi cantanti, ai maestri insegnanti<br />

e agli appassionati frequentatori di<br />

opera lirica, ma piacquero altresì al grosso<br />

pubblico, a coloro per i quali, finora, il<br />

grammofono a tromba costituiva un’attrazione<br />

da banconi di mercato e baracconi<br />

da circo, perché la calda voce di Caruso,<br />

dal timbro baritonale, risultava assolutamente<br />

“congrua” con la timbrica di quelle<br />

trombe, per cui, anche se gli accompagnamenti<br />

orchestrali mantenevano la loro sonorità<br />

arcaica, la voce di Caruso sprizzava<br />

forte e chiara come in teatro. È come se,<br />

limitatamente alla voce di Enrico Caruso,<br />

fosse in quel momento nata l’alta fedeltà,<br />

e il volume di vendita di dischi e grammofoni<br />

balzò istantaneamente dalle decine<br />

di migliaia a decine di milioni di esemplari.<br />

Col tempo, le incisioni di Caruso nulla<br />

hanno perso del loro fascino iniziale. Anzi!<br />

Oggi esse sono integralmente disponibili<br />

nei moderni supporti, e sono state passate<br />

e ripassate attraverso diabolici dispositivi<br />

elettronici che hanno isolato ed esaltato<br />

la timbrica di Caruso, e liberate dai gravami<br />

del fruscio e dei graffi. Si è fatto di<br />

più: la voce è stata addirittura scorporata<br />

dall’incisione originale e inserita in un<br />

accompagnamento sinfonico moderno,<br />

con risultati contrastanti, tecnicamente<br />

ineccepibili ma musicalmente opinabili,<br />

destinati a piacere principalmente agli<br />

ascoltatori inesperti. Al tempo per convogliare<br />

la voce dei cantanti e degli strumenti<br />

orchestrali nelle “porte acustiche”<br />

si ricorreva a ogni artificio. Per esempio i<br />

violini, che sono omnidirezionali, venivano<br />

equipaggiati con certi cornetti acustici,<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 43


ENRICO CARUSO<br />

per cui perdevano la timbrica degli strumenti<br />

ad arco ed acquistavano quella di…<br />

tromboni! Le antiche incisioni hanno tutte<br />

questo suono tipico di trombone, che non<br />

è dovuto tanto a limitazioni della banda<br />

passante, quanto al fatto che i violini stessi<br />

venivano modificati in modo che il loro<br />

suono divenisse direzionale e potesse essere<br />

rivolto alle porte acustiche che sostituivano<br />

i microfoni, non ancora inventati.<br />

Accompagnata da questo suono arcaico<br />

eppur naturale, la voce di Caruso suonava<br />

più naturale ancora!<br />

Prima dell’avvento di Caruso sulla scena<br />

discografica, le vendite di grammofoni a<br />

tromba in America e in tutto il resto del<br />

mondo ammontavano a migliaia e migliaia<br />

di pezzi. Dopo la prima salva di 10<br />

incisioni di Caruso le vendite di questi<br />

grammofoni ebbero un’impennata, e passarono<br />

dalle migliaia alle decine di milioni<br />

di pezzi. Alcune tra le 10 incisioni iniziali<br />

di Caruso superarono il milione di copie<br />

vendute, e le statistiche sarebbero state<br />

ancora più floride se quegli stessi brani<br />

non fossero stati reincisi più volte in varie<br />

epoche, figurando quindi nelle statistiche<br />

sotto voci diverse.<br />

Amletici biografi si domandano se fu Caruso<br />

a lanciare l’industria discografica, o<br />

se è stata l’industria discografica a lanciare<br />

Caruso. Il dubbio non sussiste. In effetti,<br />

a conti fatti, Caruso ha introitato dai dischi<br />

più di quanto non abbia raccolto nei botteghini<br />

dei teatri. E inoltre Caruso, fatto<br />

inaudito, fu ingaggiato dal Metropolitan<br />

senza che nessuno l’avesse mai sentito<br />

cantare, se non attraverso i dischi incisi<br />

all’Hotel Spatz.<br />

Caruso, si potrebbe concludere, ha viaggiato<br />

sulle ali dell’industria discografica.<br />

Ma l’industria discografica a quei tempi<br />

era virtualmente inesistente, e ciò che<br />

si vendeva a milioni di pezzi non erano i<br />

dischi, bensì i “dischi di Caruso”, e si può<br />

del pari concludere che fu Caruso a creare<br />

l’industria discografica.<br />

poco dire che Enrico Caruso sia stato<br />

È il maggiore dei cantanti lirici di tutti i<br />

tempi: il suo canto era veramente straordinario,<br />

e sopravanzava i suoi colleghi rivali<br />

non di una corta incollatura, ma di un intero<br />

giro di pista, e ciò avveniva in teatro, ove<br />

«LA VITA MI PROCURA<br />

MOLTE SOFFERENZE.<br />

QUELLI CHE NON<br />

HANNO MAI PROVATO<br />

NIENTE, NON POSSONO<br />

CANTARE»<br />

ENRICO CARUSO<br />

portava al trionfo personaggi che a volte<br />

non erano di primo piano, come Ottavio<br />

nel Don Giovanni di Mozart, o che non<br />

erano “buoni”, come il Duca nel Rigoletto<br />

di Verdi, o Canio nei Pagliacci di Leoncavallo<br />

o Turiddu nella Cavalleria Rusticana<br />

di Mascagni. Buoni o cattivi, principali o<br />

secondari, Caruso li portava al trionfo tutti,<br />

sulla scena, ma principalmente sui dischi<br />

dei grammofoni a tromba, dove il divario<br />

con il resto del mondo era netto, inequivocabile,<br />

improponibile: solo i dischi di<br />

Caruso cantavano, gli altri miagolavano!<br />

La carriera di Caruso si spense, con la sua<br />

morte invero prematura, prima dell’entrata<br />

in servizio di microfoni e altoparlanti<br />

elettrodinamici. E si può dire che fu un<br />

peccato che la voce di Caruso non sia stata<br />

tramandata ai posteri con mezzi tecnici<br />

più efficienti di quelli che caratterizzarono<br />

la cosiddetta “epoca acustica”. Ma anche<br />

questo è inesatto. Ciò che fa gridare<br />

al miracolo, e indusse molti ad asserire<br />

che i cantanti di quei tempi godessero<br />

di un particolare patrimonio genetico è<br />

totalmente un equivoco: tra i cantanti<br />

di quell’epoca e i successivi non si è<br />

verificata nessuna mutazione genetica:<br />

essi erano chiaramente<br />

superiori perché avevano supporti<br />

tecnici nettamente inferiori, ed educavano<br />

la loro voce a riempire i milioni di<br />

metri cubi d’aria della Scala e del Metropolitan<br />

(o di qualunque teatro di provincia,<br />

che in Italia si contavano a centinaia)<br />

senza l’aiuto di microfoni e amplificatori.<br />

La loro scuola era infinitamente più dura<br />

che non nei tempi successivi, perché dovevano<br />

imparare non a riempire i teatri<br />

con un singolo urlo stentoreo, bensì con<br />

una serie di note che dovevano tutte, anche<br />

quelle sussurrate a parte, raggiungere<br />

in maniera perspicua non solo la prima<br />

fila occupata dagli ufficiali austriaci in<br />

divisa di gala, ma soprattutto i loggionisti<br />

di ennesimo ordine, che notoriamente<br />

costituivano i giudici più severi, che non<br />

lasciavano impunita la minima imperfezione.<br />

E così i cantanti lirici di quell’epoca<br />

cantavano meglio perché si sottoponevano<br />

a un estenuante lavoro di raffinamento<br />

caduto oggi in disuso, per via dell’avvento<br />

di mirabolanti mezzi tecnici a sostegno.<br />

Da fenomeno italiano<br />

Caruso si trasformerà<br />

in attrazione internazionale<br />

grazie all’esordio alla Scala<br />

di Milano sotto la direzione<br />

di Arturo Toscanini.<br />

44


Maria Callas<br />

Il bel canto<br />

SARANNO QUARANT’ANNI TRA POCO DALLA MORTE<br />

DI MARIA CALLAS E LA SUA VOCE E LA SUA FIGURA<br />

UMANA RIMANGONO UN MITO PER TUTTI<br />

GLI APPASSIONATI D’OPERA, E NON SOLO. LA SUA<br />

TRAVAGLIATA VICENDA UMANA E LE SUE INCREDIBILI<br />

DOTI DI CANTANTE L’HANNO RESA L’ICONA DEL PERIODO<br />

D’ORO DELL’OPERA E, ANCORA OGGI, CONTA SEGUACI<br />

IN TUTTO IL MONDO. LA VOCE DI MARIA CALLAS VIVE<br />

OGNI GIORNO NELLE NUMEROSE REGISTRAZIONI DELLE<br />

SUE ESIBIZIONI E NELLE INCISIONI IN STUDIO: UN<br />

PATRIMONIO CHE WARNER CLASSICS HA RESTAURATO,<br />

RIMASTERIZZANDOLO E DISTRIBUENDOLO IN FORMA<br />

DI COFANETTO SIA IN CD CHE IN FILE HI-RES A 96/24.<br />

testo: Archivio Suono<br />

sotto la supervisione del grande produttore<br />

Walter Legge, e l’ultima opera completa<br />

nel 1965, a Parigi, con la sua seconda Tosca.<br />

CALLAS REMASTERED: THE COM-<br />

PLETE STUDIO RECORDINGS contiene<br />

almeno una registrazione completa (in alcuni<br />

casi due) di tutti i più importanti ruoli<br />

operistici della Callas, salvo che di Anna<br />

Bolena, della quale si conserva solo la<br />

lunga scena finale dell’opera, qui inclusa<br />

nel recital Mad scenes (Scene di pazzia).<br />

La collezione contiene anche incisioni<br />

complete di opere che la Callas cantò solo<br />

raramente sul palcoscenico, o addirittura<br />

mai, come Manon Lescaut e Carmen. Il<br />

repertorio affrontato sia nelle opere complete<br />

sia nei recital dimostra le eccezionali<br />

risorse tecniche e artistiche della Callas.<br />

La sua voce, che può essere etichettata<br />

come “soprano drammatico d’agilità”, la<br />

rendeva ideale per un ruolo come Norma,<br />

ma il suo repertorio comprendeva anche<br />

ruoli normalmente affidati a un soprano<br />

drammatico (Turandot), lirico-spinto<br />

(Aida), lirico (Mimì, in Bohème) e lirico di<br />

coloratura (Gilda, nel Rigoletto). Affrontò<br />

persino ruoli da mezzosoprano come<br />

Rosina (Il barbiere di Siviglia) e Carmen.<br />

I recital inclusi nel cofanetto ci danno asoiché<br />

la storia di Maria Callas<br />

è stata probabilmente celebrata<br />

in tutti i suoi aspetti,<br />

abbiamo cercato una chiave<br />

differente per raccontarvela; per questo,<br />

partiamo proprio… dalla fine, da quella<br />

collezione di opere e recital che compongono<br />

CALLAS REMASTERED: THE COM-<br />

PLETE STUDIO RECORDINGS, concepito<br />

come un’edizione per veri collezionisti, visto<br />

che presenta ogni singolo Cd, opera o<br />

recital con la copertina originale. L’accompagna<br />

un libro di 136 pagine che contiene<br />

saggi, biografia e cronologia, foto rare e<br />

riproduzioni di interessantissime lettere<br />

scritte da Maria Callas, Walter Legge e altri<br />

responsabili della EMI negli anni delle<br />

registrazioni, mentre i libretti delle opere<br />

e i testi delle arie sono inclusi in un Cd-<br />

Rom (le 26 opere complete e i 13 recital<br />

contenuti nel cofanetto sono disponibili<br />

anche singolarmente). Maria Callas realizzò<br />

la sua prima registrazione in studio<br />

per EMI (Lucia di Lammermoor) nel 1952,<br />

46<br />

Warner Classics, proprietaria del catalogo con le registrazioni ufficiali di Maria Callas, ha pubblicato in un lussuoso cofanetto di 69 Cd tutte le registrazioni<br />

che la grande interprete fece sia per EMI/Columbia che per l’etichetta italiana Cetra fra il 1949 e il 1969.


«NON SONO UN ANGELO<br />

E NON PRETENDO<br />

DI ESSERLO.MA NON SONO<br />

NEMMENO IL DIAVOLO.<br />

SONO UNA DONNA E<br />

UNA SERIA ARTISTA,<br />

E GRADIREI ESSERE<br />

GIUDICATA PER QUELLO»<br />

MARIA CALLAS<br />

Nata a New York nel 1923<br />

ma di origine greca, Maria<br />

Callas morì a Parigi<br />

il 16 settembre 1977.


MARIA CALLAS<br />

«NON HA MAI CANTATO FORSE CON TANTA<br />

INTENSITÀ, PROCURANDO UN’EMOZIONE CHE<br />

NON SAPREMMO RIDIRE IN PAROLE. QUANDO<br />

L’INTERPRETAZIONE TOCCA UN COSÌ ALTO LIVELLO<br />

È ILLUSORIO PARLARE DI BELLA VOCE<br />

O DI BRUTTA VOCE»<br />

TEODORO CELLI SU «OGGI»<br />

saggi di molti dei suoi ruoli ma anche di un<br />

ampio spettro di personaggi mai cantati a<br />

teatro. Callas collaborò con celebri direttori,<br />

come Tullio Serafin (fondamentale<br />

mentore del soprano), Victor de Sabata,<br />

Herbert von Karajan e Georges Prêtre, e<br />

con notissimi cantanti: Tito Gobbi, Giuseppe<br />

di Stefano, Franco Corelli, Richard<br />

Tucker, Nicolai Gedda, Elisabeth Schwarzkopf,<br />

Ebe Stignani, Fedora Barbieri, Fiorenza<br />

Cossotto, Christa Ludwig, Rolando<br />

Panerai e Piero Cappuccilli. Gli anni Cinquanta<br />

segnarono l’apogeo della carriera<br />

della Callas, che si svolse prevalentemente<br />

nei teatri italiani, a cominciare dal Teatro<br />

alla Scala – nelle storiche produzioni<br />

firmate da Luchino Visconti – ma anche<br />

alla Royal Opera House di Londra, al Metropolitan<br />

di New York, all’Opéra di Parigi<br />

e di Vienna e nei teatri di Chicago, Dallas,<br />

Houston, Lisbona nonché, nei primi anni<br />

50, a Città del Messico, San Paolo e Rio<br />

de Janeiro. Dal 1959, quando la sua vita<br />

cambiò profondamente in coincidenza<br />

con la storia d’amore con l’armatore greco<br />

Aristotele Onassis, poco alla volta la sua<br />

carriera rallentò e la sua voce divenne più<br />

fragile. Le sue ultime apparizioni operistiche<br />

nel 1965, a soli 42 anni. Ci furono in<br />

seguito molti progetti per un ritorno sulle<br />

scene – e per altre incisioni complete – ma<br />

nessuno di essi giunse a realizzazione anche<br />

se, nel 1974, la Callas diede una serie<br />

di concerti in Europa, America del Nord e<br />

Giappone col tenore Giuseppe di Stefano,<br />

suo compagno sul palcoscenico e in sala<br />

d’incisione: basti pensare alla Tosca del<br />

1953, realizzata alla Scala con la direzione<br />

di Victor de Sabata e considerata una pietra<br />

miliare della musica registrata.<br />

Studiando il fenomeno Callas abbiamo<br />

scoperto che esiste negli archivi della Fonit<br />

Cetra di Torino il suo primo provino<br />

discografico, nel quale canta “Casta diva”.<br />

Quando in una delle tante ricorrenze si è<br />

fatto ascoltare quel provino di una giovanissima<br />

cantante, la commozione ha<br />

preso tutti. Del suo esordio sulle scene in<br />

età abbastanza precoce, sotto i vent’anni,<br />

e dei suoi studi alla fine degli anni Trenta,<br />

ad Atene, dove si era trasferita dalla nativa<br />

New York (era nata nel 1923, il 12 dicembre)<br />

con Elvira de Hidalgo, la sua maestra<br />

cui è rimasta sempre devota, e con la quale<br />

ha mantenuto una fitta corrispondenza<br />

epistolare, si sa tutto. Della sua scoperta<br />

e del successivo esordio italiano, prima<br />

all’Arena (dove il 3 agosto 1947, all’età di<br />

23 anni, cantò La Gioconda) e poi alla Fenice<br />

e solo dopo a Firenze, a opera di una<br />

coppia di musicisti illuminati e di grande<br />

fiuto, il direttore Tullio Serafin e l’organizzatore/musicista<br />

Francesco Siciliani, anche.<br />

Così Siciliani racconta l’incontro con<br />

la giovane cantante, del quale a distanza<br />

di molti anni ricordava anche il mese e il<br />

giorno: 16 ottobre 1948, in casa del Maestro<br />

Serafin, con il quale Lei aveva già<br />

cantato, in via dei Monti Parioli, a Roma.<br />

“Alcuni giorni prima dell’incontro in casa<br />

Serafin – racconta Siciliani all’indomani<br />

della morte della celebre cantante – ascoltavo<br />

Tristano alla radio. Ricordo che l’ascoltai<br />

fino alla fine per conoscere il nome<br />

della cantante che interpretava Isotta,<br />

dalla cui voce ero rimasto colpito: Maria<br />

Callas. All’epoca ero direttore artistico del<br />

Maggio Fiorentino. Pochi giorni prima di<br />

quell’incontro ricevetti una telefonata angosciata<br />

di Serafin. Ho qui con me – mi<br />

disse con voce concitata – una cantante<br />

greco-americana che ha già lavorato con<br />

me, ha fatto poi una serie di audizioni, a<br />

cominciare dalla Scala, senza esito. Ora<br />

è, di conseguenza, costretta a imbarcarsi<br />

a Napoli per l’America; non ha soldi<br />

e dovrà viaggiare in classe “emigrante”.<br />

Perché non viene a Roma per ascoltarla?<br />

Incontrai, dunque, Maria in casa di Serafin:<br />

era una donna un po’ rotonda, ma dal<br />

vitino stretto e con uno sguardo magico.<br />

Una grande personalità. Serafin si mise<br />

al pianoforte e accompagnò la Callas in<br />

Turandot, Gioconda, Tristano ecc… in un<br />

repertorio di grande taglio drammatico.<br />

Ebbi l’impressione di trovarmi di fronte a<br />

una cantante eccezionale. Le chiesi con<br />

chi aveva studiato, mi rispose: de Hidalgo,<br />

un grande soprano di coloratura. Ma allora,<br />

le chiesi, perché non interpreta questo<br />

repertorio? Perché non me lo fanno<br />

cantare, fu la sua risposta. Mi misi allora<br />

io al pianoforte e le feci cantare Puritani.<br />

Mi convinsi immediatamente di aver scoperto<br />

con lei quello che nell’Ottocento era<br />

detto “soprano drammatico di agilità”, che<br />

all’importanza della voce univa la possibilità<br />

di fare colorature di espressione,<br />

non di solo virtuosismo. Chiamai subito<br />

il sovrintendente fiorentino, Pariso Votto,<br />

fratello di Antonino – il celebre direttore<br />

– e gli esposi il caso. Feci fare alla Callas<br />

48


MARIA CALLAS<br />

un contratto triennale per riprendere il repertorio<br />

per il quale sembrava essere fatta<br />

la sua voce. Cominciammo con Norma,<br />

anche posticipando l’inizio della stagione<br />

invernale. Le recite di Norma, due appena,<br />

ottennero un successo travolgente.<br />

Seguirono Traviata e Lucia – in quest’ultima<br />

opera fece tremare il teatro, perché<br />

eravamo abituati ad ascoltare Lucia da<br />

voci di soprano lirico leggero. Poi Puritani,<br />

Orfeo ed Euridice di Haydn, diretto<br />

da Erich Kleiber (padre di Carlos), Vespri<br />

siciliani, che poi riprese anche alla Scala,<br />

diretta da de Sabata. Per due anni ancora<br />

ebbi modo di lavorare con Lei, facendole<br />

studiare un’opera, che poi non è stata più<br />

ripresa, Armida di Rossini, nella quale la<br />

Callas credette di aver raggiunto i vertici<br />

dell’arte, sebbene quei vertici li avrebbe<br />

raggiunti davvero quando le feci studiare,<br />

nonostante la sua riluttanza, Medea<br />

di Cherubini. Dimenticavo: dopo le recite<br />

di Norma della fine 1948, a settembre<br />

dell’anno dopo la portai a Perugia, alla Sagra<br />

Musicale Umbra [il celebre festival di<br />

cui Siciliani è stato per decenni direttore,<br />

ndr] dove interpretò, dopo pianti e ripensamenti,<br />

il S. Giovanni Battista di Stradella<br />

in prima ripresa moderna”.<br />

Questi i primi anni di carriera, già luminosa,<br />

di Maria Callas, raccontata dal suo<br />

“scopritore”, ruolo nel quale la Callas, a Siciliani,<br />

affiancava Serafin, dal quale riconosceva<br />

di aver appreso una grande lezione:<br />

“Recitare attraverso la musica, mi diceva.<br />

Non rendere Gilda ‘graziosa’. Sarà pure<br />

vergine, ma non dimenticare che muore<br />

per amore!”. Dopo quegli inizi la Callas, nel<br />

corso della sua non lunga carriera, operò<br />

una vera rivoluzione nel repertorio operistico,<br />

professando la sua fedeltà assoluta<br />

al testo e sancendo la fine definitiva<br />

dell’epoca d’oro del bel canto. Via le “belle<br />

voci” con il “cuore in mano” e lo “spartito<br />

in soffitta”. Ebbe scarsa considerazione<br />

della tradizione, che definiva ironicamente<br />

“l’ultima cattiva interpretazione”, per<br />

concludere che la tecnica, che possedeva<br />

in grado altissimo, doveva sottoporsi alla<br />

necessità drammatica. E così, con tale<br />

uso della tecnica, la poesia faceva il suo<br />

ingresso nel mondo dell’interpretazione<br />

vocale. Per questa sua unicità, la Callas ha<br />

fatto scuola, ma senza avere eredi, contrariamente<br />

a ciò che qualche studioso ebbe<br />

a proporre, affermando che se al tempo<br />

della Callas fossero state attive la Caballé<br />

o la Sutherland, queste le avrebbero dato<br />

filo da torcere. No, Montserrat Caballé, la<br />

più bella voce del secolo, come anche Joan<br />

Sutherland, magnifica cantante, mai e poi<br />

mai avrebbero potuto essere antagoniste<br />

della Callas, e tanto meno sue eredi. Belle<br />

voci, ottime interpreti, ma non interpreti<br />

di storica rilevanza. Un duro colpo lo diede<br />

anche alla sostanziale impreparazione<br />

I genitori di Maria avrebbero<br />

voluto un maschio,<br />

per rimediare alla perdita<br />

del figlio Vasily, morto<br />

durante un’epidemia di tifo<br />

a soli 3 anni nel 1923<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 49


MARIA CALLAS<br />

della critica “vocalistica” – che non l’amò<br />

– e alle grosse carenze della musicologia<br />

che “illuminata dal genio dell’arte vocale<br />

e dal soffio vitalizzante dell’arte tragica<br />

della Callas, dovrà smentire frettolose<br />

bocciature, minimizzanti etichettature e<br />

sghembe suddivisioni gerarchiche di cui<br />

erano costellate certe Storie della musica<br />

in circolazione” (Franco Soprano). Ma allora<br />

la Callas è divenuta più popolare di<br />

Giuseppe Verdi? Non sappiamo. In un’asta<br />

recente, un pacco di lettere indirizzate alla<br />

sua maestra de Hidalgo ha trovato subito<br />

il compratore, e non a un prezzo di favore,<br />

mentre una bella e storica collezione di<br />

lettere di Giuseppe Verdi è rimasta invenduta.<br />

Come spiegarcelo? Non sappiamo.<br />

Noi preferiamo pensare che quella vendita<br />

si spieghi semplicemente con il feticismo<br />

nei riguardi di grandi personalità e di ogni<br />

loro cosa, oppure con la semplice, diffusa<br />

mania del possesso; e che Verdi perciò sia<br />

– e debba restare – più popolare di Maria<br />

Callas.<br />

«MARIA CALLAS<br />

NON POTRÀ<br />

RIPETERSI<br />

MAI PIÙ»<br />

FRANCO ZEFFIRELLI<br />

Callas remastered<br />

“Sono stupefatto. È una rivelazione.<br />

Nell’ascoltare quel “Casta diva”… ho pianto.<br />

Questo è l’effetto che ha su di me la voce<br />

della Callas”. Queste, almeno secondo la<br />

pubblicistica, le parole pronunciate da Robert<br />

Gooch, uno degli ingegneri del suono<br />

che aveva lavorato con la Callas, quando<br />

ha ascoltato alcune delle tracce recentemente<br />

rimasterizzate… Di certo CALLAS<br />

REMASTERED: THE COMPLETE STU-<br />

DIO RECORDINGS è un lavoro complesso<br />

e articolato, visto che prende in esame<br />

brani registrati da diverse etichette (Cetra<br />

ed EMI, in diversi periodi e con diverse<br />

tecniche – mono e stereo). Le registrazioni<br />

della Callas, peraltro, erano già state rimasterizzate<br />

due volte: verso la metà degli<br />

anni Ottanta, quando furono trasferite su<br />

Cd, e poi nel 1997, in occasione del ventesimo<br />

anniversario della sua morte (altre<br />

ripubblicazioni sono state proposte<br />

nell’ambito della serie Great Recordings e<br />

in altri contesti); in entrambi i casi era stata<br />

adoperata la risoluzione a 44,1/16 utilizzando,<br />

secondo i tecnici di Abbey Road,<br />

non sempre il master originario. “Sta diventando<br />

sempre più difficile lavorare con<br />

alcuni dei nastri originali degli anni Cinquanta”<br />

ci ha raccontato Andrew Cornall,<br />

vicepresidente di EMI (già vincitore di un<br />

Grammy Award e responsabile del progetto).<br />

“Quando facevamo partire i nastri sul<br />

registratore alcuni tagli di montaggio saltavano:<br />

è stato già molto difficile e di importanza<br />

cruciale riversare un nastro su<br />

computer senza inconvenienti. Sul piano<br />

artistico, ora siamo in grado di presentare<br />

queste registrazioni nel miglior modo immaginabile.<br />

Non sono sempre stato un<br />

grande appassionato della Callas, ma mi<br />

rendo conto che una parte del problema<br />

era costituita semplicemente dal fatto che<br />

il trasferimento dell’audio non era stato<br />

eseguito in maniera ideale. I recenti progressi<br />

nell’editing digitale ci hanno offerto<br />

i mezzi per effettuare un lavoro migliore”.<br />

Maria Callas nel<br />

Trovatore (1956).<br />

Cornall è stato il supervisore di un’équipe<br />

di quattro ingegneri degli Abbey Road<br />

Studios di Londra, responsabili della rimasterizzazione:<br />

Allan Ramsay (capo del<br />

team), Ian Jones, Simon Gibson e Andrew<br />

Walter. Il legame tra gli Abbey Road Studios<br />

e la produzione della Callas era intenso<br />

(fu lì, infatti, che veniva eseguito il taglio<br />

dei dischi), sebbene la diva non fosse<br />

entusiasta di eseguirvi le registrazioni,<br />

preferendo la Kingsway Hall, che è stata<br />

recentemente demolita. Tutte le rimasterizzazioni<br />

sono state effettuate a 98/24,<br />

sebbene questo sia stato il minore degli<br />

impegni: il primo compito a cui si è dovuto<br />

dedicare Ramsay è stato quello di effettuare<br />

ricerche su quelli che erano i retroscena<br />

della registrazione ed esaminare<br />

meticolosamente gli appunti originali presi<br />

durante la produzione. Questo per assicurare<br />

che venisse utilizzato il materiale<br />

corretto e per cercare di interpretarlo nel<br />

modo più dettagliato possibile. In uno dei<br />

corridoi dell’intero isolato dove sono situati<br />

gli Abbey Road Studios è presente un<br />

grande schedario che contiene le varie<br />

matrici dei progetti; esse contengono rife-<br />

50


MARIA CALLAS<br />

rimenti incrociati a un archivio che fin dal<br />

1959 contiene i “job file” (ovvero i file di<br />

progetto). Per i meno esperti ricordiamo<br />

che nel processo di produzione di un Lp<br />

una volta stabilito il contenuto musicale<br />

tramite il master, dal nastro viene innanzitutto<br />

realizzata una lacca, incisa attraverso<br />

un apposito giradischi di registrazione<br />

(vedi «Suono» n. 483 – marzo, speciale vinile).<br />

Questa viene quindi sottoposta a un<br />

trattamento galvanico al fine di produrre<br />

uno stampo negativo in metallo (la cosiddetta<br />

matrice). Sin dall’epoca in cui la EMI<br />

produceva i primi dischi a 78 giri, a ogni<br />

matrice è stata assegnata una scheda, in<br />

cui è specificata la data di taglio della matrice<br />

e se sono state eseguite matrici successive.<br />

Talvolta può accadere che una<br />

matrice venga danneggiata nello stabilimento<br />

oppure, dopo una revisione, può<br />

essere richiesto di crearne una nuova o,<br />

infine, la matrice può semplicemente logorarsi.<br />

Il numero della matrice – che nel<br />

caso delle registrazioni stereo della Callas<br />

con la Scala inizia con il prefisso YBX –<br />

viene stampato sull’area centrale dell’Lp<br />

denominata “lead-out”. Il numero sul lato<br />

3 della stampa Lp eseguita da Ramsay<br />

«PARAGONARE ME ALLA TEBALDI È COME<br />

PARAGONARE LO CHAMPAGNE<br />

AL COGNAC, NO... MEGLIO<br />

ALLA COCA COLA»<br />

MARIA CALLAS<br />

La Callas con Walter Legge.<br />

della Gioconda indica che è stata tagliata<br />

sei volte prima di essere approvata. Le<br />

schede delle matrici confermano la presenza<br />

di problemi con il rumore di superficie<br />

ed errori nell’elaborazione (in questi<br />

casi viene tagliato un nuovo disco in lacca,<br />

che viene poi inviato allo stabilimento per<br />

la rielaborazione). In generale i job file<br />

contengono appunti molto dettagliati sulle<br />

sessioni di registrazione, note relative al<br />

luogo di registrazione e se sono stati rilevati<br />

dei problemi, come rumori indesiderati;<br />

spesso contengono anche istruzioni<br />

del produttore. Nel job file per la registrazione<br />

in stereo della Norma si può leggere,<br />

ad esempio: “Pagine 166-167 della partitura.<br />

Forte rumore del traffico. Si prega di<br />

usare il filtro rumble o, se necessario, tagliare<br />

i bassi a un livello più alto per eliminare<br />

la maggior parte possibile del rumore”;<br />

queste erano le istruzioni per l’ingegnere<br />

responsabile del taglio della lacca<br />

dal nastro master. A quel punto il nastro<br />

In alto<br />

Allan Ramsay: la decisione se eliminare o mantenere<br />

qualcosa nella registrazione è sempre un gioco di destrezza.<br />

Alcuni sono convinti del fatto che il rumore sia una<br />

componente autentica del disco a 78 giri e che il disco in<br />

gommalacca debba suonare così. Io ho la sensazione che,<br />

finché non alteriamo la voce, rendiamo un ottimo servizio alla<br />

registrazione.<br />

In basso:<br />

Andrew Walter, a riguardo del confronto tra copia originale e<br />

versione con i clic eliminati del 78 giri di “Casta diva”: quando<br />

i clic e il rumore scompaiono, è come se improvvisamente la<br />

cantante fosse presente davanti a te con molta più chiarezza.<br />

E si tratta davvero di un 78 giri magnificamente registrato. Lei<br />

sta proprio davanti al microfono cantando a voce spiegata, il<br />

risultato sonoro è splendido.<br />

52


MARIA CALLAS<br />

Il suo guardaroba: 25<br />

pellicce, 130 paia di scarpe,<br />

200 tailleurs, 300 cappelli<br />

e 50 vestiti da sera.<br />

veniva equalizzato per regolare il livello<br />

delle frequenze e del riverbero secondo le<br />

indicazioni del produttore ed eventualmente<br />

venivano applicati dei filtri rumore…<br />

“Queste istruzioni sono preziosissime<br />

per chi si accinge a una rimasterizzazione”,<br />

racconta Allan Ramsay, “ci siamo trovati<br />

ad affrontare il rumore della metropolitana<br />

sotto Kingsway Hall o quello di<br />

moto e vespe a La Scala!”. L’intervento effettuato<br />

nel dominio digitale è avvenuto<br />

utilizzando il software Retouch dell’inglese<br />

Cedar (sede a Cambridge), un’azienda<br />

specializzata nella restaurazione dell’audio<br />

(collabora anche con la Polizia di Stato).<br />

Retouch è in grado di intervenire in<br />

maniera selettiva definendo il contenuto<br />

temporale e spettrale dei suoni che si vogliono<br />

eliminare e lavora con le principali<br />

workstation con una definizione fino a 64<br />

bit. Nella registrazione in stereo della Norma<br />

i job file indicano, inoltre, che si è verificato<br />

del rumore durante l’introduzione<br />

del secondo verso della “Casta diva”. L’istruzione<br />

del produttore è: “Copiare e inserire<br />

per favore il passaggio identico, a<br />

pag. 183”. Il responsabile dell’editing originale<br />

avrebbe letteralmente effettuato una<br />

copia di una battuta precedente, tagliato il<br />

nastro originale, rimosso la parte rumorosa<br />

e giuntato la sezione copiata. “Tuttavia,<br />

ai tempi della registrazione analogica,<br />

quando si copiava un nastro aumentava<br />

purtroppo il fruscio; quindi, per la durata<br />

di una battuta il livello del rumore saliva<br />

improvvisamente”, spiega Ramsay. “Fortunatamente<br />

hanno conservato la parte<br />

del nastro che presentava problemi, incollandola<br />

alla fine della bobina. L’abbiamo<br />

digitalizzata, abbiamo rimosso il rumore<br />

indesiderato e l’abbiamo reinserita nell’aria.<br />

In altre parole abbiamo effettuato la<br />

correzione esattamente come avrebbero<br />

fatto gli addetti alla registrazione e gli artisti,<br />

se avessero avuto a disposizione la<br />

tecnologia di oggi”. Non tutti gli interventi,<br />

però, sono stati di tipo intrusivo. Quando la<br />

puntina si avvicina ai solchi più interni, il<br />

suono peggiora a causa della cosiddetta<br />

“distorsione a fine lato” e talvolta gli ingegneri<br />

aggiungevano alte frequenze alla<br />

fine del disco per correggere il problema:<br />

naturalmente questa procedura nelle versione<br />

master in digitale è superflua! Allo<br />

stesso modo è interessante soffermarsi su<br />

alcuni “danni” procurati nel tempo: “Quando<br />

iniziammo la registrazione del Barbiere<br />

di Siviglia, secondo Walter Legge nella<br />

registrazione (mono) c’era troppo riverbero”,<br />

racconta Robert Gooch, “per lui il Barbiere<br />

era un’opera da camera; così, invece<br />

di sfruttare al massimo l’acustica della<br />

Kingsway Hall, fece isolare il loggione della<br />

sala, a forma di cavallo, con un materasso<br />

in Cabot Quilt (un materiale costituito<br />

da strati di erba secca alternati a stoffa o<br />

carta, utilizzato in passato come isolante<br />

termico). Lo usavamo per smorzare quanto<br />

necessario il suono… La registrazione<br />

originale è piuttosto asciutta e intima e chi<br />

ha rimasterizzato in seguito il brano considerò<br />

la cosa un errore e vi aggiunse<br />

dell’eco. Legge non sarebbe stato d’accordo<br />

e siamo risaliti al nastro originale consultando<br />

il piano lavoro e rispettando le<br />

motivazioni originali”. Consideriamo, infine,<br />

un ultimo elemento connaturato alla<br />

produzione di dischi in vinile. Più alto è il<br />

livello del segnale musicale (e maggiore è<br />

il contenuto di basse frequenze) e più larghi<br />

sono i solchi incisi sul disco Lp: il solco<br />

riflette infatti l’onda sonora corrispondente.<br />

Di conseguenza, per immagazzinare<br />

sul lato di un disco un programma musicale<br />

della durata di circa 25 minuti (considerata<br />

al tempo la giusta lunghezza di un<br />

lato per un Lp) in molti casi i produttori si<br />

ritrovavano a dover intervenire “comprimendo”<br />

in qualche modo il segnale. Queste<br />

alterazioni (oggi superflue) sono tutte<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 53


MARIA CALLAS<br />

annotate nei job file, consentendo a Ramsay<br />

e al suo staff di confrontare Lp originale<br />

e nastro master, apportando correzioni<br />

in nome della piena qualità originaria! Una<br />

volta in possesso di tutte le possibili informazioni<br />

sul programma musicale i tecnici<br />

hanno fisicamente messo mano ai nastri<br />

originali, archiviati in scatole di latta presso<br />

l’archivio EMI a Hayes, nel Middlesex. I<br />

nastri sono stati trasportati a Abbey Road,<br />

anche perché lo Studio possiede un ampio<br />

magazzino di registratori a nastro, dai primi<br />

modelli a filo fino agli ultimi multitraccia:<br />

in questo modo, in molti casi il master<br />

è stato riprodotto sulla stessa macchina su<br />

cui era stato creato; considerando la forte<br />

influenza degli elementi meccanici di ogni<br />

registratore, potremmo dire che ognuno di<br />

essi sia stato “costruito su misura”. Gli ingegneri<br />

addetti alla rimasterizzazione<br />

hanno inoltre potuto utilizzare il nastro di<br />

calibrazione EMI risalente alla data della<br />

particolare registrazione per regolare la<br />

risposta in frequenza del registratore. D’altronde,<br />

l’ottimizzazione dell’interfacciamento<br />

nastro – riproduttore ha una grande<br />

influenza sulla qualità sonora, che è<br />

stata poi trasferita in forma digitale, non<br />

prima, se necessario, di sottoporre i nastri<br />

a riparazione. Con i nastri magnetici d’epoca,<br />

infatti, possono verificarsi vari tipi di<br />

problemi. In alcuni casi la colla applicata<br />

durante il processo di editing si stacca e<br />

finisce per incollare insieme accidentalmente<br />

alcune parti del nastro, oppure le<br />

giunzioni si spezzano durante il riavvolgimento;<br />

altro problema è costituito dalla<br />

cosiddetta “sticky-shed syndrome” causata<br />

dal deterioramento chimico del collante<br />

che mantiene la parte magnetica<br />

(ovvero registrabile) incollata alla striscia<br />

di materiale plastico lungo l’intera lunghezza<br />

del nastro. In questo caso può essere<br />

di aiuto soltanto la cosiddetta “cottura”<br />

del nastro per ripristinare l’integrità del<br />

legante. Fortunatamente quest’ultimo<br />

problema non ha interessato i nastri master<br />

della Callas, anche se è stato necessario<br />

riparare numerosi edit: nella scena finale<br />

della Manon Lescaut, sul nastro master<br />

erano presenti piccole strisce di nastro<br />

di giuntaggio bianco ogni pochi secondi<br />

di programma musicale! Va inoltre<br />

considerato che ogni volta che il nastro<br />

La forte miopia costrinse<br />

la Callas a enormi sforzi<br />

di memoria: durante la<br />

carriera ha interpretato<br />

decine di opere in teatro<br />

senza vedere il direttore!<br />

«I REGGITORI DELLA SCALA DOVRANNO<br />

LIBERARE L’ESECUZIONE DI ANNA<br />

BOLENA, E DEFINITIVAMENTE<br />

IL PALCOSCENICO DEL NOSTRO TEATRO,<br />

DA MARIA MENEGHINI CALLAS»<br />

BENIAMINO DAL FABBRO SU «IL GIORNO»<br />

viene riavvolto le giunzioni possono allentarsi<br />

leggermente; talvolta si spezzano<br />

completamente ed è stato compito di<br />

Ramsay ripararle. Più “sinuosi”, invece, altri<br />

tipi di problemi: “In quell’epoca la velocità<br />

del nastro non era controllata dal<br />

computer, ed era dunque alla mercé della<br />

frequenza della rete elettrica e del trasporto<br />

del nastro”, racconta Ramsay. “Di fatto,<br />

l’intonazione in molti Lp di allora era crescente<br />

semplicemente perché durante<br />

l’incisione del vinile la velocità dei registratori<br />

era leggermente più rapida. E durante<br />

una sessione di registrazione, talvolta<br />

due registratori funzionavano simultaneamente<br />

a velocità differenti. Se<br />

per il montaggio sono stati usati entrambi<br />

i nastri, l’altezza del suono oscillava tra i<br />

due edit. Anche in questo caso, all’epoca<br />

non si poteva fare di meglio. Oggi siamo in<br />

grado di risolvere quei problemi”. Va considerato<br />

che la Callas non ha registrato<br />

soltanto su nastro ma anche su dischi di<br />

cera (per la Cetra) che poi sono stati utilizzati<br />

per produrre dischi in gommalacca a<br />

78 giri. Queste registrazioni furono originariamente<br />

concesse in leasing alla EMI<br />

per la pubblicazione con l’etichetta Parlophone<br />

nel Regno Unito e sono stati rimasterizzati<br />

nell’ambito del nuovo progetto.<br />

Una delle preoccupazioni è stata<br />

quella di trovare il tipo di puntina ottimale<br />

per il disco: esistono regole per quanto riguarda<br />

la scelta del tipo di puntina adatto,<br />

a seconda dell’anno. Nella pratica, per<br />

stessa ammissione dei tecnici coinvolti,<br />

sono state provate tutte le opzioni (in alcuni<br />

casi anche con oscillazioni tra stili da 2,7<br />

millesimi di pollice e da 4,0 millesimi) fino<br />

a identificare quella in grado di ricavare<br />

dal disco il maggior numero di informazioni<br />

possibile. A questo punto il materiale<br />

“originale” viene riprodotto attraverso un<br />

convertitore A/D e immagazzinato su un<br />

hard disk per il montaggio digitale. È utile<br />

ricordare che quando i nastri furono digi-<br />

54


MARIA CALLAS<br />

talizzati per la prima volta negli anni 80<br />

per la pubblicazione su Cd, i dati vennero<br />

memorizzati (con frequenza di campionamento<br />

44,1/16) su nastri video, che furono<br />

utilizzati come base per la rimasterizzazione<br />

del 1997. Per il nuovo progetto,<br />

Ramsay e la sua équipe sono tornati ai<br />

master analogici digitalizzandoli alla frequenza<br />

di campionamento di 96/24 e non<br />

maggiore per varie ragioni. La principale è<br />

che Retouch opera a questa frequenza e<br />

dunque campionamenti maggiori sarebbero<br />

stati una mera operazione di upsampling.<br />

Allo stesso modo la modesta qualità<br />

di parte dei master ha convinto i tecnici a<br />

non utilizzare soluzioni tipo “direct-to-D-<br />

SD” o DXD. La fase successiva è stata<br />

quella di aprire i file digitali al computer e<br />

iniziare il processo di montaggio e di ritocco.<br />

Nel caso delle registrazioni immagazzinate<br />

sui dischi in gommalacca, poiché il<br />

supporto è molto rumoroso il suono è stato<br />

elaborato utilizzando in maniera massiva<br />

il software Retouch ed eliminando i<br />

“clic” in un processo a due fasi, una per i<br />

clic più grandi e la seconda per i clic più<br />

piccoli (Retouch è in grado di rimuovere<br />

circa 25.000 clic al secondo!). Più in generale,<br />

alcuni dettagli del resoconto sull’operato<br />

di remastering chiariscono le difficoltà<br />

che i tecnici si sono trovati ad affrontare.<br />

Nella registrazione della Tosca è presente<br />

uno stridio acuto causato da un amplificatore<br />

difettoso usato nella sessione di registrazione<br />

(sullo schermo è visibile come<br />

una linea fine inclinata ed è facilmente<br />

eliminabile). “Prima di Retouch, l’unico<br />

modo per correggere questo tipo di errore<br />

era di tagliare tutte le frequenze alte, cambiando<br />

così l’intero suono”, racconta Ramsay.<br />

Su alcuni Lp registrati nella Kingsway<br />

Hall (dove la Callas registrò Il barbiere di<br />

Siviglia, la seconda Lucia di Lammermoor<br />

e il disco dedicato alle “Scene di follia”)<br />

sono udibili i treni della metropolitana di<br />

Londra che rimbombano sotto la sala. Durante<br />

la registrazione in stereo della Norma<br />

alla Scala, invece, si ascolta il ronzio di<br />

una Vespa mentre sta accelerando: sullo<br />

schermo è visibile come linea ascendente.<br />

Tutti questi disturbi possono essere rimossi<br />

semplicemente con pochi clic del<br />

mouse e senza influenzare la musica. Il<br />

montaggio originale, inoltre, a volte non è<br />

del tutto corretto: se è stata utilizzata una<br />

quantità eccessiva di nastro (creando una<br />

specie di “doppio attacco” sulla nota), è<br />

possibile correggere l’errore tramite rimozione.<br />

Se è stata tagliata una quantità eccessiva,<br />

il problema è più grave. “Se manca<br />

un piccolo frammento e il tempo è accelerato,<br />

nessuno strumento al mondo<br />

sarà in grado di correggere l’errore”, continua<br />

Ramsay. Ancora: sui dischi dei recital<br />

può verificarsi un problema tra le tracce<br />

perché al tempo i responsabili originali<br />

dell’editing inserirono<br />

tra aria e aria strisce di nastro<br />

di inizio in plastica<br />

(nastro vuoto) creando<br />

canali (bande larghe di<br />

separazione) sul disco<br />

Lp quando questo è<br />

stato tagliato. “Su un<br />

Lp come Maria Callas<br />

canta arie di Rossini e<br />

Donizetti, il fruscio<br />

provocato dalla superficie<br />

del vinile nasconde<br />

l’improvviso silenzio”, racconta Ramsay,<br />

“ma quando si riproduce il nastro originale<br />

o lo si ascolta digitalmente, si nota una<br />

netta interruzione. Era dunque necessario<br />

ricreare le caratteristiche acustiche<br />

della Salle Wagram di Parigi, dove la<br />

Callas aveva eseguito la registrazione, da<br />

inserire in quei punti”. Nei casi in cui non<br />

era disponibile l’esatto ambiente sonoro<br />

della sessione di registrazione originale,<br />

Ramsay ha effettuato una ricerca per rintracciare<br />

l’atmosfera sonora che più vi si<br />

avvicinasse. Un altro pericolo era<br />

costituito dal cosiddetto “magnetic<br />

print-through”: quando<br />

il volume della registrazione<br />

è molto alto, il suono<br />

può debordare sulla striscia<br />

di nastro contigua durante<br />

la registrazione. “Più forte è<br />

il volume della musica, più<br />

intenso è il campo magnetico”,<br />

spiega Ramsay, “e questo<br />

può influenzare lo strato di<br />

nastro più prossimo a quello<br />

La rivalità<br />

Callas – Tebaldi<br />

fu un classico<br />

degli anni 50.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 55


MARIA CALLAS<br />

della registrazione, provocando un effetto<br />

di pre-eco o post-eco, a seconda di come è<br />

stato conservato il nastro”. È presente, ad<br />

esempio, un’eco di questo tipo durante un<br />

punto culminante orchestrale nel Trovatore:<br />

sullo schermo era visibile ed è stato<br />

corretto! Più in generale, va notato che la<br />

voce della Callas qualche volta è stata criticata<br />

per il suo tremolio: il produttore Walter<br />

Legge disse scherzosamente che poteva<br />

addirittura provocare il mar di mare! È<br />

affascinante notare che parte del problema<br />

era dovuto semplicemente all’inadeguatezza<br />

delle attrezzature di registrazione<br />

di allora. La sua voce era così potente<br />

che talvolta microfoni e nastro erano incapaci<br />

di gestirla: il risultato era una serie di<br />

interferenze elettriche tra gli armonici della<br />

sua voce. Tale fenomeno si verifica,<br />

come in altre occasioni, durante il punto<br />

culminante in fortissimo di “In questa reggia”<br />

nella registrazione presso il Teatro alla<br />

Scala della Turandot, realizzata nel 1957<br />

sotto la direzione di Serafin. Nella rappresentazione<br />

grafica fornita da Retouch appaiono<br />

sullo schermo sotto forma di piccole<br />

linee verticali tra gli armonici, e sono<br />

state rimosse. Una volta che l’audio è stato<br />

completamente ripulito, viene fatto<br />

passare – laddove necessario – attraverso<br />

un equalizzatore per regolare il livello<br />

dei bassi, la brillantezza del suono o per<br />

aggiungere altri effetti richiesti dal produttore,<br />

esattamente come si faceva negli<br />

anni Cinquanta. Esiste un software<br />

che ricrea digitalmente gli effetti di una<br />

consolle di mixaggio manuale, completa<br />

di fader e quadranti, ma Ramsay ha preferito<br />

la vecchia versione analogica: “Ci<br />

piace il calore del suono EQ analogico,<br />

ma useremo il digitale se risulterà più<br />

adatto. Siamo fortunati a poter disporre<br />

di questa opzione”. A questo punto la registrazione<br />

viene tracciata, ovvero viene<br />

eseguito il “PQ”. Un Cd può contenere, oltre<br />

all’audio, vari sottocanali di informazioni.<br />

Questi sottocanali sono denominati<br />

P, Q, R, S, T e così via, fino alla W. I canali<br />

P e Q vengono usati per memorizzare, fra<br />

altre cose, le informazioni relative all’inizio<br />

e alla durata della traccia. Anche questo<br />

processo è stato revisionato: ad alcuni<br />

Cd degli anni Ottanta, fra cui la versione<br />

mono della Tosca, furono assegnate solo<br />

«POTREBBE L’ANNA<br />

BOLENA ENTRARE<br />

NEL REPERTORIO<br />

INTERNAZIONALE? CON LA<br />

CALLAS SÌ. SENZA DI LEI, O<br />

QUALCHE ALTRO SOPRANO<br />

A LEI AFFINE, DI CUI PER<br />

ORA NON VI È SEGNO, NO»<br />

DESMOND SHAWE-TAYLOR<br />

SU «OPERA»<br />

due tracce, oggi considerate insufficienti.<br />

Sono state aggiunte più tracce PQ e il piano<br />

PQ di ciascuna opera è stato razionalizzato<br />

attraverso l’intero progetto. Ad esempio,<br />

il piano è ora identico sia nelle versioni<br />

mono che in quelle stereo di Tosca, Lucia,<br />

Gioconda e Norma. Ma queste forme di<br />

intervento possono essere considerate<br />

una sorta di ingerenza artistica? Ecco la<br />

Il rapporto della Callas<br />

con i critici non fu mai<br />

dei più semplici: Guido<br />

Pannain, vate della critica<br />

italiana negli anni 50,<br />

non le diede mai la gioia<br />

di lodare la sua voce<br />

in maniera inequivocabile.<br />

risposta di Ramsay: “Se abbiamo un dubbio<br />

circa una modifica, la lasciamo perdere.<br />

E poi, se la rimasterizzazione che abbiamo<br />

eseguito è buona, nessuno dovrebbe<br />

rendersene conto. Stiamo semplicemente<br />

rimuovendo le inefficienze del<br />

processo di registrazione di quell’epoca.<br />

L’obiettivo è soltanto eliminare la polvere,<br />

tanto per usare una metafora, affinché il<br />

cristallo possa brillare. Presentiamo la registrazione<br />

con l’ottica migliore, così come<br />

avrebbero voluto ascoltarla gli artisti”. Una<br />

volta finiti gli interventi, i file digitali destinati<br />

alla produzione dei Cd sono stati elaborati<br />

da un convertitore di frequenza di<br />

campionamento e dithering, per ridurre la<br />

risoluzione a 44,1/16; per la versione ad<br />

alta definizione scaricabile (disponibile sul<br />

sito Bowers & Wilkins Society of Sound) i<br />

file non sono stati sottoposti ad alcuna<br />

modifica rimanendo a 96/24.<br />

56


I nostri prodotti sono di un altro pianeta.<br />

DISTRIBUTORE UFFICIALE<br />

www.tecnofuturo.it - info@tecnofuturo.it - T. 030 24 52 475


Al Jarreau<br />

Dentro la musica<br />

IN QUEL GRAN MARE DI<br />

EMOZIONI E COSTRUZIONI<br />

CHE IL CANTO DISEGNA È<br />

CERTO CHE PER IL JAZZ LA<br />

VOCALITÀ, LA CARRIERA E<br />

LA STESSA FIGURA UMANA<br />

DI AL JARREAU<br />

RAPPRESENTANO UN<br />

FENOMENO PARTICOLARE,<br />

BELLISSIMO E RARO COME<br />

OGNI REALTÀ VERAMENTE<br />

BELLA SA ESSERE.<br />

testo: Pier Luigi Zanzi<br />

essere realmente praticata in modo efficace.<br />

I vocalizzi da urlo per i critici musicali,<br />

i salti di ottava, lo scat fenomenale, il<br />

gusto dell’improvvisazione prima ancora<br />

delle capacità tecniche per attuarla non<br />

gli mancavano affatto e Jarreau poteva<br />

permettersene in ogni momento, ma la<br />

grandezza dell’artista è stata anche e forse<br />

soprattutto nel sapere quando e come far<br />

uso di quelle doti, dove avvicinare più rispettose<br />

ortodossie e dove lasciar andare<br />

gioia e cantabilità largamente al primo posto,<br />

facendo quasi sorvolare i meno attenti<br />

sul fatto che dietro la canzoncina pop ci<br />

fosse un gigante.<br />

Solo per citare qualche esempio di chial<br />

cantante di Milwaukee (12 marzo<br />

1940 –12 febbraio 2017) è un<br />

caso a sé perché è per numerosi<br />

motivi un emblema della versatilità.<br />

“Duttile” è parola desueta vissuta tra<br />

l’essere abusata e l’oblio, ma che alla voce<br />

di Jarreau è stata benissimo addosso sostanzialmente<br />

per tutto il di lui percorso<br />

musicale. Un laureato in psicologia che<br />

comincia coi jazz club a far serate e, tanto<br />

per avviarsi, si esibisce con un giovane<br />

amico di nome George Duke, si presenta<br />

già bene, visto da qui, ma questo è stato<br />

appunto solo l’inizio.<br />

La sua voce gli è valsa sei Grammy, come<br />

magari è capitato a diversi artisti, ma, caso<br />

unico, per lui il palmares spazia in tre generi<br />

diversi (jazz, r&b, pop), oltretutto distribuiti<br />

in quarant’anni, a certificare (per<br />

chi nei premi crede, ma è difficile screditare<br />

quarant’anni di premi) una voce che<br />

sapeva adattarsi a tanta diversa musica.<br />

Un’altra storia così, semplicemente, non<br />

c’è stata.<br />

Ci sono opinioni talvolta contrastanti su<br />

questo cantante che poi, a stringere, fa<br />

storcere il naso al purismo da salotto perché<br />

uno forte che piace a troppi fa tanto<br />

sconveniente, ma c’è da augurarsi la<br />

chiusura definitiva di questo approccio<br />

alla musica per guardare verso un mondo<br />

in cui i confini li detti solo la qualità, fatti<br />

salvi i gusti personali che però non sfioriamo<br />

nemmeno.<br />

Uno dei motivi forti per cui Jarreau ha avuto<br />

il meritato successo che ha avuto, sta<br />

proprio nell’osservazione concreta, cantata,<br />

della causa di questi premi variegati: la<br />

capacità, la voglia e l’entusiasmo di stare<br />

dentro la musica senza incastrare il proprio<br />

stile in un genere. Questa scelta si può<br />

fare con la testa se si ha l’indole giusta, ma<br />

poi richiede doti a parte e aggiuntive per<br />

Su ogni palco Al viveva<br />

con passione il rapporto<br />

voce-suono.<br />

58


a fama, interpretazioni come in L Is For<br />

Lover, Morning o We’re In This Love Together,<br />

alcuni tra i principali successi,<br />

sono manifesti chiarissimi di come un artista<br />

davvero bravo, davvero letteralmente<br />

fuoriclasse, possa in nome del pop fare…<br />

pop. Chiamandolo così, senza infingimenti.<br />

Le sue capacità di stare “dentro” il genere<br />

musicale che un brano attraversa, senza<br />

far sentir mancanza d’altro né suscitare<br />

le pesantezze che uno “serio” sa piazzare<br />

ovunque quando ostenta, sono doti rare,<br />

si diceva, e oltretutto ancor più meritorie<br />

quando c’è di mezzo il jazz, perché jazz<br />

per un sacco di gente – diciamola senza<br />

scandali com’è e sorridendo – significa<br />

rottura di scatole, difficoltà, cinque minuti<br />

insostenibili, un macigno sonoro sulla<br />

strada di una vita semplice. Al Jarreau è,<br />

in questo senso, uno dei più grandi contributori<br />

all’idea stessa di diffusione di<br />

un minimo di jazz nel pop, e con ciò della<br />

possibilità che tante persone possano avvicinare<br />

qualità, classe e creatività mantenendo<br />

un’esperienza di ascolto leggera.<br />

Milioni di persone hanno almeno provato<br />

ad accennare la linea melodica di Spain o<br />

anche solo di Take Five per il semplice fatto<br />

che qualcuno in un walkman, su un giradischi<br />

o in radio gli ha fatto sentire che…<br />

si poteva – non come Al, ma si poteva –,<br />

e sicuramente almeno qualche migliaio<br />

di persone in questo modo ha trovato<br />

una porta d’ingresso aperta verso Chick<br />

Corea o Dave Brubeck e Paul Desmond,<br />

ha sentito che il jazz, l’improvvisazione,<br />

il gusto del cercare un filo oltre sé in musica<br />

erano questioni accessibili, erano in<br />

fondo non solo questioni da salotto intellettuale<br />

ma roba di curiosità, scoperta. È<br />

indubitabile che con la sua voce la complicata<br />

sequenza di azioni corporee su<br />

emissioni, fiato da prendere, diaframma<br />

e quant’altro diventano sostanzialmente<br />

trasparenti all’ascolto, raggiungendo due<br />

risultati diversamente fondamentali per la<br />

riconoscibilità e la grandezza stessa di un<br />

cantante: per chi mastichi musiche colte<br />

e mestiere si manifesta in modo chiaro<br />

un vocalist di tutto rispetto con le ulteriori<br />

doti dell’elasticità, della fluidità timbrica,<br />

della comunicatività; dall’altra parte l’ascoltatore<br />

meno svezzato avrà davanti a<br />

sé un divulgatore di cose meno semplici<br />

Al era molto stimato<br />

sia dalla critica<br />

che dal pubblico.<br />

che, come detto sopra, troveranno così il<br />

loro modo di arrivare.<br />

La voce di Jarreau è rimasta riconoscibilissima<br />

lungo tutto il cammino<br />

dei suoi album, che ha spaziato partendo<br />

dal 1975 e proseguendo per i suddetti<br />

quarant’anni (tralasciamo il primo album,<br />

1965, finito nell’anno stesso e lo facciamo<br />

per rispetto, visto che proprio Jarreau non<br />

ne gradì affatto l’uscita a posteriori nel<br />

1982, dopo aver tentato più volte di<br />

impedirla). Magari qualche<br />

piccola discontinuità tra<br />

gli album o nelle tracklist<br />

degli album stessi resta<br />

visibile e in una carriera<br />

del genere la diamo pure<br />

per quasi inevitabile, ma<br />

il tutto è avvenuto componendo<br />

complessivamente un tracciato<br />

piuttosto lineare, di rassicurante coerenza<br />

per chi quei dischi comprava sapendo<br />

che, a prescindere da ambiti, produttori,<br />

brani ed esecutori di dettaglio, avrebbe<br />

trovato comunque un livello alto. Si è<br />

passati, anche restando all’interno di ogni<br />

singola uscita, dal funk-jazz al pop venato<br />

di soul e r&b come i Grammy testimoniano,<br />

e le produzioni hanno coinvolto anche<br />

dei grandissimi per fama come Narada<br />

Michael Walden o Nile


AL JARREAU<br />

Rodgers – che sugli hit single ha veramente<br />

una capacità mostruosa e chirurgica<br />

di colorare alla perfezione i brani, e qui<br />

parliamo specificamente di L Is For Lover,<br />

gioiello pop non troppo d’altri tempi visto<br />

che quei suoni ogni tanto ce li ritroviamo<br />

intorno. Fin dai primissimi tempi ai dischi<br />

e ai live hanno lavorato con lui professionisti<br />

di livello non discutibile: l’elenco<br />

esaustivo è lungo, tedioso e sostanzialmente<br />

inutile o ridondante, ma quando hai<br />

a che fare più o meno regolarmente, o anche<br />

solo saltuariamente ma da subito, con<br />

Joe Sample, Dave Grusin, Tommy Li Puma,<br />

Lee Ritenour, i giganti scritti sopra, David<br />

Foster, Steve Gadd, i lavori di mastering di<br />

Doug Sax e così via, significa che il livello<br />

qualitativo a cui si vuole stare è stabile, a<br />

servizio di una voce che ha saputo essere<br />

tanto perché conteneva moltitudini, per<br />

dirla col poeta. Una morbidezza che stava<br />

assolutamente e compiutamente assieme<br />

alla nitidezza, ad esempio, a delineare uno<br />

dei principali tratti distintivi di Jarreau; la<br />

sua grandissima capacità di restare lieve<br />

e senza gradini mantenendo nello stesso<br />

tempo una scansione fortemente analitica<br />

e dettagliata delle singole parole, ed è questa<br />

una vetta di complicata raggiungibilità.<br />

Il canto jazz ha troppe volte conosciuto<br />

estremizzazioni magari nemmeno volute<br />

fino in fondo, ma che hanno poi reso complessivamente<br />

il settore merceologico non<br />

tra i più graditi della musica moderna, in<br />

special modo per la parte maschile: da una<br />

parte scelte e impostazioni melliflue e vellutate<br />

con effetto garantito e immaginabile<br />

ma di breve, brevissima tenuta sul piano<br />

della sostenibilità di ascolto (figuriamoci<br />

di una carriera); dall’altra dei diapason tecnicissimi,<br />

lame vocali che affettano l’Hertz<br />

in quattro e lasciano attoniti di fronte a<br />

tanta bravura ma anche ad altrettanta distanza<br />

dall’anima. Jarreau passa di ottava<br />

in un gioco, col soffio di un timbro che ti fa<br />

venire agli occhi il sorriso della bocca che<br />

lo genera senza nemmeno averla davanti.<br />

Vendere e far musica di qualità son due<br />

mondi che al loro incontrarsi scatenano<br />

spesso guerre; troppi commentatori ne<br />

han fatto questione dirimente, di qua il<br />

bene e di là il male, Al Jarreau a Sanremo<br />

è il male e cantare standard jazz nei club è<br />

il bene, punto, dimenticando tante cose tra<br />

cui primariamente lo scopo ultimo di chi a<br />

qualunque livello personale di conoscenza<br />

ascolta musica, che è il piacere, lo star<br />

bene, e che dovrebbe far concentrare chi<br />

fa musica e chi ne parla sulla qualità senza<br />

pensare allo scaffale in cui questa si trovi.<br />

È in direzione della qualità e non dello<br />

scaffale che conviene incamminarsi, anche<br />

perché è solo così che si possono scoprir<br />

sorprese. Certo, lo abbiamo detto e non<br />

staremo a nicchiare sul tema: non tutta la<br />

discografia di Al Jarreau viaggia su livelli<br />

stellari e magari qualche compromesso<br />

è stato fatto, in nome di qualche numero<br />

in più che forse, e questo è sì dirimente,<br />

ha tolto qualche punticino di creatività. È<br />

importante però sottolineare come ogni<br />

volta la sua presenza in un negozio di dischi<br />

per l’ultima uscita o la sua presenza<br />

in città per una tappa del tour siano state<br />

sempre garanzie che ci si sarebbe trovati<br />

di fronte a qualcosa di lontano dalla<br />

mediocrità, che poteva essere avvicinato<br />

senza paure per i neofiti e senza delusioni<br />

per i palati più fini. È soprattutto questo<br />

aspetto ad aver fatto di Al Jarreau un artista<br />

per certi versi necessario; è qualcuno<br />

che in abbinamento a un piatto semplice<br />

ti porta un vino un po’ più ricercato, senza<br />

darsi arie da sommelier e col sorriso di chi<br />

sa farlo senza doverlo raccontare. Per chi<br />

va avanti a grandi etichette magari non<br />

sarà la bottiglia dell’anno ma resterà gradevole,<br />

coi più sofisticati pronti a lagnarsi<br />

dell’assenza di sentori terziari; per tutti<br />

gli altri sul momento sembrerà un buon<br />

pranzo qualunque, e invece la prossima<br />

volta ci sarà almeno una persona in più<br />

che, senza nozionismi e con leggerezza,<br />

berrà meglio. Se la musica è tra le cose che<br />

sanno elevarci allora la voce di Al Jarreau è<br />

stata musica.<br />

La sua scomparsa ha lasciato<br />

un vuoto enorme nella<br />

musica a tinte soul-jazz.


62


IL GRUPPO DEI FRATELLI SEVERINI, MARINO<br />

E SANDRO, RACCONTA LE STORIE DI QUESTA<br />

NOSTRA ITALIA DAL 1984, ANNO DI USCITA<br />

DEL LORO PRIMO ALBUM: STORIE TRASVERSALI,<br />

SPESSO DIVERGENTI DALLA REALTÀ MUSICALE<br />

ISTITUZIONALE, SIA PURE ALTERNATIVA.<br />

testo: Guido Bellachioma<br />

«LA GUERRA<br />

È UNA NOTTE<br />

INFINITA, QUESTA<br />

È L’IMMAGINE CHE<br />

MI VIENE IN MENTE<br />

QUANDO CI PENSO»<br />

MARINO SEVERINI<br />

on è facile trovare gente<br />

che abbia ancora voglia di<br />

ascoltare ma i Gang continuano<br />

a raccontare storie<br />

per i volenterosi. Dopo lo splendido SAN-<br />

GUE E CENERE del 2015, uno dei migliori<br />

esempi di canzone d’autore nel senso<br />

più vero del termine, il gruppo marchigiano<br />

ha pubblicato nel 2017 CALIBRO<br />

77, il nuovo “antico” album che i fratelli Severini<br />

avevano in mente da molti anni. È<br />

un viaggio all’interno di quegli anni<br />

70 che non sembrano affatto<br />

così lontani. Marino, voce<br />

della band, racconta<br />

come sono state<br />

scelte le 11 canzoni<br />

che lo compongono,<br />

opera di artisti<br />

come Francesco<br />

De Gregori, Fabrizio<br />

De André, Francesco<br />

Guccini… oltre<br />

a un sacco di altre<br />

storie e senza un preciso<br />

ordine cronologico…<br />

1.<br />

Vengono da lontano.<br />

15 anni per SANGUE<br />

E CENERE.<br />

La loro patria è Filottrano, paese collinare<br />

a 30 km da Ancona, provincia vera, quella<br />

della cultura fatta in casa ma con la sensibilità<br />

comune ai “diversi” di tutto il mondo.<br />

Nati sul confine, poco delineato, tra i Clash<br />

e Bob Dylan, Marino e Sandro dopo 14 anni<br />

sono tornati a produrre un disco in studio<br />

di canzoni inedite, non sulla spinta della<br />

nevrosi di avere un disco “nuovo” a tutti i<br />

costi bensì a modo loro, senza tutte quelle<br />

pastoie, artistiche e di produzione, care<br />

alle case discografiche. Non che nel frattempo<br />

siano stati con le mani in mano (per<br />

questo andate a vedere sul www.the-gang.<br />

it), ovunque ci fosse una causa “giusta” i<br />

Severini hanno portato le proprie voci e<br />

chitarre, esaudendo anche tante richieste<br />

di collaborazione. Se fossero stati più accomodanti,<br />

forse, avrebbero ottenuto di<br />

più dal circo delle sette note, più che altro<br />

se avessero voluto… ma la vita va vissuta<br />

profondamente, godendo pienamente le<br />

emozioni, senza troppe rinunce. Per questo<br />

motivo fanno parte di una rete vasta,<br />

più reale e solida di quelle millantate dai<br />

troppi eroi di una sola stagione. Per produrre<br />

SANGUE E CENERE hanno usato<br />

il crowfunding, chiedendo 6000 euro e<br />

ottenendone quasi 60.000; la gente gli<br />

vuole bene e i Gang ricambiano con affetto<br />

e canzoni vere, un loro nuovo disco ha ancora<br />

senso per molte persone. Non ne avevano<br />

bisogno per fare concerti, avrebbero<br />

potuto suonare le loro canzoni all’infinito,<br />

senza che la gente li rimproverasse. Mica è<br />

poco! Dimenticavo, SANGUE E CENERE è<br />

un disco meraviglioso di canzoni d’autore<br />

nel senso più pieno del termine, americano<br />

al punto giusto da far risaltare al meglio<br />

la cultura italiana degli orizzonti aperti…<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 63


GANG<br />

senza preconcetti. Chi non lo conosce ha il<br />

dovere di colmare questa lacuna…<br />

2<br />

SANGUE E CENERE non<br />

sembra un album pensato<br />

per così tanti anni, nel<br />

senso che non ha l’urgenza<br />

espressiva di chi sta in astinenza<br />

discografica. Come nasce?<br />

Le canzoni sono nate e cresciute nell’arco<br />

di diversi anni. Poi le ho messe nella “botte”<br />

a fermentare e, quando è stato il momento,<br />

le ho versate nel bicchiere. Il disco, invece,<br />

è nato relativamente presto, diciamo<br />

un paio d’anni da quando abbiamo capito<br />

che era ora di tornare ad aprire una finestra<br />

sul Mondo e raccontare il “sentimento del<br />

tempo”, quello che avevamo attraversato e<br />

che ci aveva attraversato, come un vento.<br />

Così ho rimesso insieme alcune canzoni,<br />

quelle che insieme formavano una sorta di<br />

prospettiva, non una linea ma tante linee<br />

diverse, quelle che potessero comporre<br />

una sorta di narrazione. In quel momento<br />

io e Sandro abbiamo incontrato Jono Manson<br />

(cantautore e produttore statunitense)<br />

e da questo incontro tutto ha preso un altro<br />

ritmo. Il disco, tranne Gli angeli di Novi<br />

Sad con l’orchestra Pergolesi, è stato registrato<br />

negli Stati Uniti e vede la presenza<br />

di musicisti americani come Jason Crosby<br />

alle tastiere, Garth Hudson alla fisarmonica<br />

(leggendario componente della Band di<br />

dylaniana memoria, immortalato da Martin<br />

Scorsese nel film The Last Waltz) e la<br />

sezione fiati di Bruce Springsteen. Abbiamo<br />

accelerato e siamo arrivati alla fine, a<br />

un’altra puntata.<br />

3<br />

Ma gli analogici Gang<br />

come si sono rapportati<br />

con un mezzo digitale<br />

come il crowfunding, sia per<br />

SANGUE E CENERE che per<br />

CALIBRO 77? In realtà sembra<br />

un mezzo antico per voi, che<br />

siete sempre stati in mezzo alla<br />

gente come in una rete sociale…<br />

una sorta di crowfunding ante<br />

litteram…<br />

Da molto tempo ci sentiamo parte di una<br />

sorta di comunità: quella che incontriamo<br />

attorno al fuoco delle nostre canzoni.<br />

Con centinaia di questi uomini e donne<br />

abbiamo stabilito delle belle relazioni. Conosciamo<br />

le loro famiglie, molte delle loro<br />

storie, siamo stati ospitati nelle loro case e<br />

in questo mondo ho ritrovato una nuova<br />

“appartenenza”, un universo che si è fatto<br />

carico della nostra esistenza, artistica e<br />

non solo… ci ha permesso di continuare a<br />

fare il nostro lavoro e di cantare insieme le<br />

nostre canzoni, di trovare nuove voci, nuovi<br />

cuori e nuove menti. Nel momento in cui<br />

noi abbiamo dichiarato che c’era bisogno<br />

di loro per realizzare un disco nuovo, sono<br />

accorsi subito e con grandissima generosità.<br />

Il crowdfunding non è stato altro che<br />

mostrare in rete una parte di questa realtà.<br />

Con un po’ di amici ad aiutarci nell’arco di<br />

tre mesi abbiamo fatto come gli zingari<br />

quando ricomincia l’anno: siamo tornati<br />

indietro, raccontando nuovamente la storia<br />

dei Gang, condividendola con tutti coloro<br />

che partecipavano con noi alla nuova<br />

avventura, a un altro capitolo. Di questa<br />

esperienza a me interessa sottolineare<br />

due aspetti. Primo: il fatto che si è spezzato<br />

il pensiero unico circa la produzione della<br />

musica o dei supporti discografici, c’è un<br />

altro modo e noi abbiamo dimostrato la<br />

cosa più importante: si può fare! Secondo:<br />

La copertina dell’album<br />

SANGUE E CENERE<br />

(foto Paolo Simonazzi).<br />

64


GANG<br />

abbiamo dato allo strumento “della cassa<br />

comune” un elemento politico e un’essenza<br />

politica. Creare comunità attorno a un<br />

progetto, dare a essa vigore, forza e ispirazione,<br />

cioè vincere, creare all’interno della<br />

comunità e non solo dell’economia; inoltre<br />

essere riusciti a puntare il dito sulla produzione,<br />

quando tutta la sottocultura di<br />

sinistra da sempre ha puntato l’attenzione<br />

solo sul consumo. Tutto ciò fa di SANGUE<br />

E CENERE un vero bene comune, inoltre<br />

riesce a restituire alla musica, o meglio<br />

alla canzone, una sua funzione: bellezza<br />

e utilità, senza l’una non esiste l’altra, almeno<br />

nella tradizione popolare, meglio<br />

contadina, che è la mia. Per una riflessione<br />

su tutto ciò invito chiunque alla lettura<br />

di Come funziona la musica, bel libro di<br />

David Byrne, uscito in Italia nel 2013 (l’edizione<br />

originale, How Music Works, è del<br />

2012).<br />

4<br />

Ci si sente mai prigionieri<br />

delle proprie canzoni?<br />

Si finisce mai per odiare<br />

una canzone a forza<br />

di suonarla?<br />

Io posso rispondere soltanto<br />

per me. No, non mi sono<br />

mai sentito prigioniero di<br />

una canzone. Ho sempre<br />

suonato quelle canzoni<br />

che mi andava di suonare<br />

e cantare, quelle che permettevano<br />

di creare un<br />

momento di canto comune, di condivisione,<br />

di raccoglimento attorno al fuoco.<br />

Le canzoni ogni sera cambiano a seconda<br />

di chi c’è e di chi partecipa, a seconda<br />

dell’atmosfera che si riesce a creare insieme.<br />

Sempre uguali ma sempre diverse<br />

ogni volta che le canti. Del resto questo<br />

vale per ogni rito e ogni liturgia, del resto<br />

il significato originario di questa parola è<br />

“opera del popolo” o meglio “servizio fatto<br />

per il bene del popolo”. E io sono uno del<br />

mio popolo, non l’ho scoperto o studiato<br />

sui libri. Sono uno di loro. Tutta la questione<br />

sta in una buona relazione basata<br />

sul rispetto, la stima e la fiducia reciproci,<br />

questo si ottiene e si realizza col tempo,<br />

mantenendo il passo attraverso “territori”<br />

diversi, che siano palude o montagna, deserto<br />

o pianura…<br />

«PER CANTARE<br />

È IMPORTANTE<br />

L’INTERPRETAZIONE,<br />

IL CARISMA,<br />

LA CAPACITÀ<br />

TEATRALE, L’ENERGIA,<br />

L’ESPRESSIVITÀ,<br />

IL RITMO»<br />

5<br />

E capita mai che le<br />

canzoni siano prigioniere<br />

di chi le compone? Hai<br />

mai scoperto un brano liberato<br />

da qualcuno che non l’aveva<br />

scritto o interpretato per primo?<br />

Un mio professore di sociologia ai tempi<br />

dell’università, che dirigeva anche una<br />

galleria d’arte, una volta mi disse che la<br />

cosa più difficile per chiunque facesse<br />

un’opera, che fosse canzone o quadro, era<br />

liberarsene, cioè lasciarla libera. Io provo<br />

una grande soddisfazione quando vedo<br />

che la canzone che ho scritto è capace di<br />

prendere il volo, di camminare da sola e<br />

La vita dei fratelli Severini<br />

scorre parallela alla musica.<br />

Da sinistra, sopra e sotto:<br />

Sandro e Marino.<br />

andare chissà dove. Canzoni come Bandito<br />

senza tempo, La pianura dei 7 fratelli,<br />

Sesto San Giovanni o Kowalsky sono<br />

di chi le canta… Nel corso degli anni, per<br />

esempio, non ho mai sentito due identiche<br />

versioni di Bandito senza tempo, ognuno<br />

ci ritrova un pezzo del suo privato immaginario;<br />

tutte le versioni messe insieme ne<br />

fanno una completamente diversa dalla<br />

mia… diciamo che quella di partenza me la<br />

sono dimenticata a forza di ascoltare quelle<br />

degli altri. Sono sempre state le unicità<br />

a costituire una comunità, ognuno dovrebbe<br />

sempre coltivare la propria unicità per<br />

comporre una società. Guarda gli alberi di<br />

un bosco o i sassi di una spiaggia, ognuno<br />

è diverso eppure insieme fanno una cosa<br />

sola. Questo vale anche per l’Umanità. Ci<br />

sono casi in cui l’interpretazione di un brano<br />

riesce a cogliere di esso un lato inedito,<br />

un lato inesplorato dall’autore… è come se<br />

in questo modo il fiume riuscisse ad arrivare<br />

all’oceano, a farsi oceano. Succede<br />

di rado ma succede. Un esempio per tutti:<br />

All Along The Watchtower, la versione di<br />

Hendrix rispetto all’originale di Dylan…<br />

6<br />

15 anni senza un nuovo<br />

disco in studio ma non<br />

siete rimasti con le<br />

mani in mano. In quale mondo<br />

hanno vissuto i Gang, non solo<br />

artisticamente, in questo lungo<br />

periodo?<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 65


GANG<br />

Con i Gang sono stati anni di “movimento”.<br />

Abbiamo fatto moltissimi concerti e ovunque,<br />

senza badare alle circostanze, anzi<br />

adattandoci a tutte le situazioni possibili.<br />

E casa per casa, quartiere per quartiere,<br />

villaggio per villaggio siamo andati portando<br />

le nostre canzoni e ogni sera attorno<br />

a quelle ci siamo radunati, scaldati, contati<br />

col nostro popolo, vincendo il grande freddo,<br />

il buio, la paura del futuro. Poi abbiamo<br />

inciso diversi dischi, e, pur essendo lavori<br />

stagionali, ognuno ha rivestito il ruolo<br />

di “progetto”. Basti citare NEL TEMPO E<br />

OLTRE… CANTANDO con La Macina, guidata<br />

da Gastone Pietrucci. Questo è stato<br />

un incontro importante anche perché ha<br />

abbattuto i muri, i pregiudizi fra realtà<br />

musicali diverse, come quelle del folk tradizionale<br />

e il rock, e da questo incontro si<br />

è cercato di mettere in comune le affinità<br />

elettive, tutte provenienti dall’unica sorgente…<br />

che è la cultura popolare, al di là<br />

degli stili. E questo lo realizzammo anche<br />

con molti concerti insieme a La Macina,<br />

costituendo un gruppo di una decina di<br />

elementi e un repertorio comune, questo<br />

molto prima dell’esperienza-incontro Giovanna<br />

Marini-Francesco De Gregori. Un<br />

disco del quale vado fiero è IL SEME<br />

E LA SPERANZA, prodotto dalla<br />

CIA Marche (Confederazione<br />

Italiana Agricoltori), tutto centrato<br />

sulla cultura contadina,<br />

«CALIBRO 77 È UN VIAGGIO<br />

ALL’INTERNO<br />

DI QUEGLI ANNI 70 CHE<br />

NON SEMBRANO AFFATTO<br />

COSÌ LONTANI, ANZI SONO<br />

VICINISSIMI»<br />

GUIDO BELLACHIOMA<br />

su “l’umanesimo di razza contadina”. Un<br />

momento di riflessione sulla rivoluzione in<br />

atto, quella di riconciliazione dell’uomo<br />

con la terra. Lo ritengo, oggi soprattutto,<br />

un disco di grande attualità.<br />

In questi 15 anni abbiamo inciso<br />

anche LA ROSSA PRIMAVERA,<br />

canzoni ispirate alla Resistenza,<br />

alcune nostre, altre che<br />

sono passate attraverso molte<br />

generazioni, come dire che la<br />

Resistenza va sempre cantata,<br />

ribadendo un concetto che<br />

Maria Cervi esprimeva spesso<br />

nei suoi incontri pubblici, ovvero<br />

Ogni conquista non è per<br />

sempre. In questo disco abbiamo<br />

inciso, rivisitandole, Fischia<br />

il vento e canzoni di autori<br />

come Fabrizio De André, Francesco<br />

De Gregori, Francesco<br />

Guccini, Claudio Lolli, Stormy Six,<br />

Yo Yo Mundi. E inoltre non abbiamo<br />

mai smesso di collaborare<br />

con tanti gruppi e artisti italiani,<br />

siamo ormai presenti in più di un<br />

centinaio di dischi altrui e questo<br />

è una sorta di record in Italia. Fra<br />

Sopra: Primo<br />

maggio 1991.<br />

Sotto: foto promo<br />

dell’album<br />

UNA VOLTA PER<br />

SEMPRE, 1995.<br />

le tante collaborazioni c’è n’è una in particolare<br />

che è quella con Daniele Biacchessi,<br />

scrittore, giornalista e uomo di teatro<br />

civile. Con lui abbiamo realizzato quattro<br />

spettacoli, da cui abbiamo tratto alcuni Cd:<br />

IL PAESE DELLA VERGOGNA, PASSIONE<br />

REPORTER, STORIE DELL’ALTRA ITALIA,<br />

GIOVANNI E NORI (questo narra la vita di<br />

Giovanni Pesce, comandante partigiano, e<br />

di sua moglie, Onorina Brambilla, ufficiale<br />

di collegamento partigiana: una storia di<br />

amore e resistenza). Tutto ciò per ribadire<br />

il principio dei principi: “Nella pietra che<br />

rotola non cresce mai il muschio”. Posso<br />

dire quindi che In questi 14 anni abbiamo<br />

“rotolato “ molto…<br />

7<br />

E poi nel 2017 arriva quel<br />

CALIBRO 77 che non ti<br />

aspetti…<br />

È un lavoro che ha avuto una lunga gestazione.<br />

Già dall’inizio del nuovo secolo<br />

ci era venuta la voglia di raccontare il “77”<br />

attraverso alcune delle canzoni che, sia<br />

io che Sandro, cantavamo e suonavamo<br />

in quegli anni. Poi col passare del tempo<br />

non siamo mai riusciti, per un motivo o<br />

per l’altro, a realizzare questo progetto. E<br />

solo oggi, a 40 anni esatti dal 1977, eccoci<br />

qua, finalmente, con un pugno di canzoni<br />

rivitalizzate, pronti a “raccontar cantando”<br />

i migliori anni delle nostre gioventù. Abbiamo<br />

anche approfittato dell’incontro con<br />

Jono Manson e della nostra ottima intesa…<br />

così ci siamo detti: “Se non ora… quando?”.<br />

Aspettare qualche mese in più avrebbe significato,<br />

ancora una volta, rinunciare al<br />

66


GANG<br />

progetto per dare la precedenza a un altro<br />

album d’inediti. Più che gli anni 70 in genere<br />

a me interessa mettere a fuoco il 77,<br />

cioè un arco di tempo che va dal golpe in<br />

Cile (1973) fino al rapimento Moro (1978),<br />

tanto per capirci. Ebbene, di quegli anni si<br />

è detto e scritto tutto, persino il contrario di<br />

tutto! Alla fine resta una definizione che a<br />

me non piace, soprattutto perché la trovo<br />

estremamente riduttiva: anni di piombo.<br />

8<br />

Qualche problema c’è<br />

stato…<br />

Ci sarà stato il piombo ma ci sono<br />

state migliaia e migliaia di storie, di vite, di<br />

esperienze, che ne danno una versione “altra”,<br />

molto più estesa e allargata. C’è stato<br />

il Movimento e, soprattutto, in quell’arco<br />

di tempo sfondò il portone della Storia un<br />

soggetto nuovo: il proletariato giovanile.<br />

Ed è proprio su quel proletariato giovanile<br />

che vorrei accendere nuovamente una<br />

luce, ricantarlo attraverso alcune delle<br />

canzoni che quello stesso proletariato giovanile<br />

cantava in quegli anni. E sia io che<br />

Sandro facevamo allora parte del Movimento<br />

ed eravamo giovani e proletari!<br />

E attraverso queste canzoni, non prese<br />

una a una ma messe insieme, ecco che si<br />

ricompone un grande affresco, nel quale<br />

potrà facilmente riemergere una caratteristica<br />

fondante e unica: il fatto che in quel<br />

Movimento, in quel proletariato giovanile,<br />

per la prima e, forse, unica volta protagonista<br />

e partecipe, convivevano molte differenze…<br />

di linguaggio, di immaginari, di<br />

culture, di stili ma tutte diventavano UNO.<br />

Quindi a me interessa cantare, come ho<br />

già fatto per la resistenza e la classe operaia,<br />

un momento della storia d’Italia in cui<br />

ci fu la stagione di un nuovo umanesimo.<br />

Cantare quella stagione, tornando al 77, è<br />

ancora una volta come fare “la danza della<br />

pioggia”. Evocare, chiamare a Noi, la stagione<br />

di un nuovo umanesimo.<br />

9<br />

Il titolo può sembrare<br />

forte, legato a un anno<br />

“cattivo” come il 1977…<br />

Il titolo ironizza o, meglio, cerca di dissacrare<br />

l’immagine unica che i vincitori hanno<br />

imposto del “77”, cioè il piombo, le P38…<br />

ecco perché calibro, che è unità di misura<br />

delle armi da fuoco ma fuori da quel contesto<br />

è anche sinonimo di qualità, valore,<br />

importanza… di cose o persone.<br />

Oggi più di ieri, senza dubbio. Sono sempre<br />

più convinto che per andare avanti e uscire<br />

dal pantano nel quale siamo finiti, non c’è<br />

altro modo che quello di “tornare indietro”.<br />

Ritornare sulle strade percorse anche per<br />

capire cosa è andato storto lungo il cammino,<br />

cercare quello che ci siamo persi<br />

per strada. È lo stesso rito che compiono i<br />

Rom una volta l’anno, ritornando indietro,<br />

sulle strade dalle quali sono venuti. Grande<br />

civiltà quella dei Rom! Abbiamo molto da<br />

imparare. E infine per un dato oggettivo.<br />

Non c’è dubbio che oggi, come secoli fa,<br />

ci troviamo nuovamente in un presente…<br />

in un punto del cammino, in cui le grandi<br />

utopie, i grandi sogni e le rivoluzioni si trovano<br />

alle nostre spalle, sono dietro di noi<br />

e non davanti a noi… e questo ci disorienta<br />

e ci impedisce di muovere il passo verso il<br />

futuro.<br />

10<br />

Davvero un lungo<br />

viaggio…<br />

È stato un bellissimo VIAG-<br />

GIO. Pieno e ricco di scoperte, di entusiasmi,<br />

di gioia… di musica!<br />

Si parte come sempre da una base di chitarra<br />

acustica e voce, che faccio io, poi con<br />

questa piccola imbarcazione si va in mare<br />

e da qui l’ammiraglio Jono Manson la guida<br />

con la sua splendida ciurma fino a destinazione.<br />

E durante la navigazione quella<br />

barchetta diventa sempre più grande, fino<br />

a diventare un bastimento… e porto dopo<br />

TRIBES’ UNION, 1984.<br />

porto raggiunge la destinazione: TERRA!<br />

Di nuovo a casa, ma nuovi e più ricchi di<br />

esperienze, di avventure, più grandi.<br />

Anche stavolta la collaborazione con Jono<br />

ha reso il tutto estremamente piacevole.<br />

Come per SANGUE E CENERE abbiamo<br />

registrato al Drum Code studio di Sesta<br />

Godano e al The Kitchen Sink studio di<br />

Santa Fe, quello di Jono. Parte del lavoro è<br />

stato fatto a distanza, scambiandoci i file<br />

e questo ha sempre creato una situazione<br />

molto tranquilla e rilassata. Lui è uno che<br />

non molla un colpo e lavora moltissimo<br />

fino a che i musicisti non danno il meglio<br />

di se stessi, fino a che gli arrangiamenti<br />

non sono quelli “giusti”, fino a che non c’è<br />

quell’ALLELUJA, che significa che è stato<br />

catturato lo spirito, l’anima di quella canzone…<br />

Voglio ringraziare tutti coloro che<br />

hanno partecipato alla produzione di questo<br />

disco col crowfunding: i nostri affettuosi<br />

co-produttori. Senza questa grande<br />

e generosa fiducia non avremmo goduto<br />

di quelle risorse necessarie per realizzare<br />

questo “Calibro”. E non avremmo potuto<br />

lavorare in completa libertà e autonomia.<br />

È stata una vera e propria vittoria anche<br />

questa volta… e di tutto ciò io ne sono profondamente<br />

commosso ed eternamente<br />

grato. Aggiungo un consiglio amichevole…<br />

quello di “ascoltare” l’album sperando che<br />

arrivi a tutti voi, attraverso queste canzoni,<br />

una strana sensazione, uno strano “senso<br />

di vittoria”… lo stesso che provai anch’io in<br />

un lontano, e sempre più vicino, millenovecento<br />

“77”…<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 67


GANG<br />

11<br />

La voce è…<br />

…lo strumento che meglio si<br />

adatta a rappresentare un’epoca,<br />

un ambiente sociale. È anche uno strumento<br />

molto malleabile, quello che ha più<br />

possibilità di evoluzione e involuzione.<br />

Mentre gli strumenti musicali appaiono e<br />

scompaiono nel giro di qualche generazione,<br />

la voce resta una costante di tutta la<br />

storia della musica adattandosi a riempire<br />

il vuoto, che può andare da una vocalità<br />

estremamente strumentale a una molto<br />

espressiva a seconda dell’uso che ne vuol<br />

fare chi scrive per essa, chi la usa e chi la<br />

vuole ascoltare. Nel corso dei secoli assistiamo<br />

a una incredibile molteplicità delle<br />

forme di canto, dal gregoriano a quello dei<br />

trovatori o dei trovieri (dove troviamo la<br />

prima forma di canzone), alla polifonia, al<br />

“bel canto” del Seicento, il canto da camera,<br />

l’opera ottocentesca, il lied… fino ad arrivare<br />

al blues, il gospel, il jazz, quindi non esiste<br />

un solo modo di cantare ma un’infinità<br />

di “canti”. Io mi ritengo un “cantante” per<br />

caso o per necessità, nel senso che ho suonato<br />

la chitarra in un gruppo da quando<br />

avevo 14-15 anni, ma non ho mai cantato<br />

fino a quando nei Papers Gang nessuno<br />

degli altri componenti voleva farlo, quindi<br />

provai io e, prova dopo prova, eccomi qua.<br />

Cantare è un modo per comunicare, quindi<br />

oltre alla voce sono importanti anche altri<br />

elementi, che fanno la differenza e l’unicità<br />

del cantante come l’interpretazione, il carisma,<br />

la sua capacità teatrale, l’energia, la<br />

sua espressività, il ritmo…<br />

12<br />

Perché ti emozionano<br />

alcune voci?<br />

Perché mi emozionano non lo<br />

so. Cioran scrive che la musica giace nel<br />

nostro profondo ricordo, quando non avevamo<br />

nome ma comunque udito tutto. La<br />

musica è la nostalgia del paradiso terrestre.<br />

Se così fosse le seguenti voci mi emozionano<br />

perché mi ricordano quelle che ho<br />

già sentito e mi erano care…<br />

1. Bob Dylan… the Voice!<br />

2. Jimi Hendrix… è un peccato che tutti<br />

lo considerino solo per lo stile chitarristico<br />

rivoluzionario.<br />

3. Roberto Murolo… la voce che proviene<br />

dalla parte più profonda e mi commuove<br />

più di tutte.<br />

4. Iris Dement… cantautrice statunitense,<br />

già con Steve Earle e Mark Knopfler.<br />

5. Jay Farrar… nel suo DNA ci sono Uncle<br />

Tupelo, Son Volt e Gob Iron.<br />

6. Mick Jagger… gli Stones.<br />

7. Otis Redding… quel sapore di soul<br />

che non muore.<br />

8. Joe Strummer… per sempre Clash.<br />

9. Etta James… l’anima della musica<br />

nera.<br />

10. Eddie Vedder… una voce fuori schema.<br />

Ma ce ne sarebbero ancora molte altre…<br />

13<br />

Cosa succede quando<br />

altri cantano le tue<br />

canzoni?<br />

Non saprei esattamente… fino a ora non ho<br />

sentito nessuno che mi ha particolarmente<br />

colpito mentre cantava una mia canzone.<br />

Sono canzoni che possono essere cantate<br />

da tutti, non richiedono una vocalità particolare<br />

o eccezionale; hanno un’anima e<br />

uno spirito popolare. La mia soddisfazione<br />

più grande è sentirle cantare dal pubblico<br />

più che da un o una cantante.<br />

Mick Jagger, Milano 1970<br />

(foto Renzo Chiesa).<br />

68


GANG<br />

14<br />

Puoi parlarci<br />

vocalmente degli artisti<br />

di cui avete interpretato<br />

i brani su CALIBRO 77?<br />

Eugenio Finardi<br />

È una voce potente, ha una grande estensione,<br />

contiene una sorta di vibrato. Una voce<br />

forte e impostata, quasi operistica e che sa<br />

ben declamare ma non è adatta al racconto<br />

e alla commozione. È un vero cantante.<br />

Claudio Lolli<br />

È l’esatto opposto di Finardi. Una grande<br />

fragilità, disarmante, quasi parlata e nei<br />

suoi dischi migliori è quella voce che duetta<br />

col sax ed è la sua ombra. Ha poco a che<br />

fare con le metriche popolari e rock… ha<br />

un’anima e un fraseggio jazz.<br />

Ricky Gianco<br />

È la voce beat della nostra cultura, l’associo<br />

agli anni 60 italiani e all’avvento del rock.<br />

A destra: Eugenio Finardi<br />

inizio anni 90 (foto Guido<br />

Bellachioma). Sotto: Paolo<br />

Pietrangeli al Folkstudio<br />

di Roma nei primi anni 70<br />

(foto Fabio D’Emilio).<br />

Gianfranco Manfredi<br />

È un “non cantante” ma ha la voce perfetta<br />

per interpretare le sue canzoni, è più che<br />

autorevole per le sue storie.<br />

Giorgio Gaber<br />

È la voce dell’osteria, è il teatro (dell’osteria)<br />

che canta. C’è partecipazione nella sua<br />

voce, però mai troppa ed eccessiva. È una<br />

lama fredda. È più una lingua che non una<br />

voce. Mi piace quel suo stare sempre in perfetto<br />

equilibrio. È una voce da funambolo.<br />

Francesco Guccini<br />

È la voce più arcaica di tutte le altre, piena<br />

di accento e ritmo, buona per tante parole,<br />

a volte anche troppe… ma il suo è un grande<br />

romanzo, quindi ha una voce adatta per la<br />

bella lettura. È la voce del romanziere ottocentesco.<br />

Paolo Pietrangeli<br />

È una voce potente e che racchiude la visione<br />

potente della classe operaia di fine<br />

anni 60… è la voce di un Lenin che canta.<br />

Ivan Della Mea<br />

È l’agit prop, è la voce del megafono, che ha<br />

ragione per via dell’urgenza di quella parola<br />

scritta sui muri… è il prendere la parola e<br />

cantarla… la voce dell’Emergenza.<br />

Francesco De Gregori<br />

È l’unica voce che può cantare quei testi, è<br />

un acquerello con la luce filtrata dalle nebbie<br />

basse del mattino. A volte gioca con il<br />

finale che rimbalza la vocale alla Dylan o<br />

cerca la profondità di Leonard Cohen ma<br />

è un’altra cosa. Ha una sua malinconia feroce…<br />

è riflessiva, sembra voler prendere il<br />

volo ma di fatto sta sul filo della corrente<br />

elettrica, non in cima alla montagna. È una<br />

voce che sembra cantare per se stessa…<br />

che se la canta…<br />

Fabrizio De André<br />

È il tempio della Parola e della Narrazione<br />

Grande. La sua voce ha il tono sommesso,<br />

quasi sacro tanto è solenne, come quella<br />

del Pontefice.<br />

Edoardo Bennato<br />

È la voce nasale, impertinente come quella<br />

del “monello”, dissacrante, la voce adatta<br />

alla denuncia. È la voce del rock italiano di<br />

seconda generazione, che cerca di passare<br />

da Elvis a Dylan…<br />

15<br />

La tua voce negli album<br />

dei Gang?<br />

Sono molto soddisfatto della<br />

voce negli ultimi due album, soprattutto<br />

in SANGUE E CENERE. Sicuramente<br />

fra la mia voce e la mia anima, narrante o<br />

cantante, si è stretta una confidenza maggiore,<br />

una conoscenza più approfondita<br />

rispetto ad anni fa. Poi sono molte le com-<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 69


FERRUCCIO-GIBELLINI<br />

ponenti necessarie per realizzare la voce<br />

giusta per determinate canzoni, le storie<br />

che canto, gli arrangiamenti, gli strumenti<br />

e le armonie; in questo caso il produttore<br />

fa la differenza. In studio mi sono sempre<br />

lasciato guidare. Con Jono Manson, per<br />

esempio, si fanno di solito tre tracce, non di<br />

più, e da quelle si prende il meglio e che più<br />

emoziona, non quello che tecnicamente è<br />

venuto meglio. L’emozione, la commozione,<br />

muovere i sentimenti quello è il fine…<br />

cerco di cantare per raggiungere le profondità<br />

del cuore… di muovere le acque delle<br />

emozioni. Ma so benissimo di non essere<br />

un cantante ma uno che cerca di usare anche<br />

la voce per “agitare”!<br />

16<br />

Marino vorrebbe<br />

giocare con la voce di…<br />

Non saprei, ma se giocassi ai<br />

desideri direi Emmylou Harris che canta in<br />

italiano… sarebbe perfetta!<br />

17<br />

Anche se mi sembrate<br />

ben radicati nel<br />

presente pensi mai al<br />

passato dei Gang, almeno come<br />

dischi da voi incisi? Quali sono<br />

quelli che ti hanno sorpreso in<br />

positivo, come reazione della<br />

gente, e quali in negativo?<br />

Riflessioni a posteriori…<br />

TRIBES’ UNION (1984).<br />

L’inizio, la sfida (il disco inizia con The<br />

Challenge), la missione impossibile… il riscatto,<br />

il viaggio sulla strada alla ricerca<br />

della libertà, di un destino diverso da quello<br />

che altri hanno già scritto per te. Quel disco<br />

per noi fu il vero grande miracolo, fu un po’<br />

come il Mar Rosso che si aprì davanti a noi<br />

senza nessuna aspettativa, senza grande<br />

sforzo. Un miracolo e anche la scoperta<br />

di una forza sconosciuta, che avevamo e<br />

potevamo mettere in circolo, che ci faceva<br />

avanzare… nella giungla!<br />

AGAINST POWER-DOLLAR (1986)<br />

La scoperta che non eravamo soli su quella<br />

strada. Billy Bragg, un gesto dovuto e doveroso…<br />

un modo anche per prendere fiato e<br />

anche per mettere a fuoco… era necessario.<br />

BARRICADA RUMBLE BEAT<br />

(1987)<br />

L’applauso meritato per la tanta fatica, la<br />

tanta strada percorsa… ma con quel disco<br />

Sandro con la chitarra<br />

elettrica, Marino<br />

con l’acustica e la magia<br />

dei Gang si accende su<br />

qualsiasi palcoscenico.<br />

ebbi la sensazione e la paura che fosse la<br />

strada a cominciare la corsa e non io… una<br />

sorta di grande confusione, volumi alti, abbracci<br />

forti, la spinta verso l’orizzonte nuovo,<br />

che era ormai vicino.<br />

REDS (1989)<br />

Il vedere la fine della strada e ricominciare<br />

a guardare avanti comunque, misurare<br />

le forze, provarle, cominciare l’assedio e<br />

aprire delle crepe, annusare la primavera<br />

nonostante il freddo che arrivava… resistere!<br />

Un bel disco, ne vado fiero, e soprattutto<br />

una sorta di zen, portato dal produttore<br />

dalla romantica Inghilterra, un vero lord<br />

come Paul Roland.<br />

LE RADICI E LE ALI (1991)<br />

Ci siamo, siamo sbarcati sull’isola che non<br />

c’era, il nuovo mondo… tantissima fatica,<br />

milioni di scazzi, un risultato deludente<br />

ma che ci permise di abitare nella terra<br />

nuova, il varco trovato, la soluzione stava<br />

adesso nel costruire la città nuova e chiamare<br />

a noi i nuovi abitanti, profughi, sbandati,<br />

fuggitivi e sognatori… avevamo terra<br />

nuova d’abitare, prospettiva per costruire<br />

e, soprattutto, il ponte era stato costruito!<br />

Eravamo Oltre!!!<br />

Da sinistra:<br />

TRIBES’ UNION (1984),<br />

AGAINST POWER-DOLLAR<br />

(1986),<br />

BARRICADA RUMBLE BEAT<br />

(1987),<br />

REDS (1989),<br />

LE RADICI E LE ALI (1991).<br />

70


GANG<br />

STORIE D’ITALIA (1993)<br />

Lo rifarei, con un altro produttore. Dopo LE<br />

RADICI E LE ALI, soprattutto dopo il tour<br />

che seguì l’uscita, avevamo energia e ispirazione<br />

che non ho più trovato nei Gang; si<br />

trattava di accelerare e di dare tutto, invece,<br />

almeno per me, quel disco mi risulta oggi<br />

come una frenata, una sorta di arrendevolezza,<br />

l’aver sbagliato strada all’incrocio…<br />

ma ci sono delle gran belle canzoni, prima<br />

fra tutte Sesto San Giovanni. Non fu felice<br />

neanche il periodo che seguì, tour e promozione<br />

del disco; sentivo che il timone<br />

m’era sfuggito di mano, che la navigazione<br />

ci stava portando alla deriva o a sbattere<br />

sugli scogli se non l’avessi ripresa… e<br />

subito. Nel disco c’è 200 giorni a Palermo,<br />

una canzone che ci procurerà un processo<br />

durato 10 anni, la prima volta che gli autori<br />

di una canzone vengono denunciati da un<br />

senatore della Repubblica, in questo caso<br />

Russo, ex Pci, allora DS.<br />

UNA VOLTA PER SEMPRE (1995)<br />

È il disco che più amo dei Gang, a parte<br />

l’ultimo SANGUE E CENERE. Supera ogni<br />

stile, i riferimenti non reggono il confronto,<br />

sfugge a qualsiasi classificazione. È molto<br />

narrativo, più epica che poesia, ma soprattutto<br />

il suono t’incanta ed è, più di ogni altra<br />

cosa, un disco di musica Italiana degli<br />

anni 90, quando in Italia imperversava la<br />

scena rap. Una volta Ronchi, assessore alla<br />

cultura di Bologna, paragonò questo lavoro<br />

a quando Dylan incise JOHN WESLEY<br />

HARDING, mentre tutti sommavano e si<br />

davano alla psichedelia lui fece questo disco<br />

sottraendo al massimo, lo incise con<br />

batteria, basso, chitarra acustica e armonica…<br />

significava andare controcorrente,<br />

quindi risalire il fiume, andare verso la<br />

sorgente, l’inizio! Tornare a casa! Lo strumentale<br />

Il ritorno chiude disco e trilogia,<br />

«UNA CANZONE<br />

È COME IL VENTO.<br />

SE POTESSE<br />

RACCONTARE<br />

TUTTO CIÒ CHE<br />

ATTRAVERSA!»<br />

MARINO SEVERINI<br />

iniziata con Esilio. Comunque fu il disco<br />

che critica e pubblico non accettarono<br />

volentieri. Peggio per loro: La pianura dei<br />

7 fratelli vale ancora oggi tutto il disco,<br />

questo significa aver saputo tenere il passo<br />

nonostante le diffidenze, le difficoltà e le<br />

incomprensioni del momento.<br />

FUORI DAL CONTROLLO (1997)<br />

Un disco sbagliato su tutta la linea dal<br />

punto di vista della realizzazione. Un album<br />

che subisce l’influenza della casa<br />

discografica e del pensiero egemone del<br />

rock italiano, rappresentato dal prodotto<br />

Wea allora dominante sul mercato: Ligabue.<br />

Viene realizzato nello stesso studio e<br />

con il produttore che per anni ha lavorato<br />

a quel sound di riferimento… Gianfranco<br />

Fornaciari, ottimo musicista e arrangiatore<br />

ma che non riuscì a portare il disco fuori da<br />

quella palude. Ci sono gran belle canzoni, a<br />

cominciare da Giorni o Chi ha ucciso Ilaria<br />

Alpi, che troveranno una sorta di rinascita<br />

nelle versioni live. Comunque sia, dopo<br />

anni di camicie a scacchi è il ritorno al vecchio<br />

giubbotto di pelle, più chiaro di così…<br />

STUDIO-135<br />

CONTROVERSO (2000)<br />

Opera fatta in casa, lontani da ogni ingerenza<br />

della casa discografica, cucita su misura<br />

per un nuovo gruppo, stavolta non ci<br />

sono turnisti ma suono da garage, da sala<br />

prove, alla ricerca del nostro modo di vivere<br />

il Rock’n’Roll. La fine di un decennio di<br />

case discografiche, di manager, di agenzie,<br />

di un mondo che è succube del mercato e<br />

del profitto, l’inizio di nuovi territori, di<br />

grandi cavalcate nella prateria… la libertà<br />

tanto sospirata e, finalmente, riconquistata!<br />

Con CONTROVERSO si ricomincia. Paz,<br />

dedicata al disegnatore Andrea Pazienza,<br />

scomparso nel 1988, è la canzone che brilla<br />

più delle altre ancora oggi [anche se io<br />

trovo meravigliosa l’intensità avvolgente,<br />

letteraria e musicale, della ballata Dopo<br />

come primavere, nda].<br />

La famiglia e i fratelli<br />

Severini è costituita<br />

anche da tutti gli amici<br />

che partecipano ai loro<br />

concerti sulla strada.<br />

Immagine periodo<br />

SANGUE E CENERE.<br />

Da sinistra:<br />

STORIE D’ITALIA (1993),<br />

UNA VOLTA PER SEMPRE<br />

(1995),<br />

FUORI DAL CONTROLLO<br />

(1997),<br />

CONTROVERSO (2000).<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 71


Da sinistra Marino e Sandro,<br />

sulle colline intorno<br />

a Filottrano, Marche, periodo<br />

SANGUE E CENERE.<br />

Novo!?! E tutto con una forte dose di entusiasmo,<br />

di altruismo che muoveva il corso<br />

del tempo, niente di niente a che fare col<br />

profitto, il mercato e i soliti mostri, questi<br />

sono venuti dopo e pian piano hanno divorato<br />

tutto. Oggi di quel tempo non rimane<br />

niente di niente, sopravvive qualche isola<br />

infelice. La situazione odierna la vediamo<br />

tutti i giorni e in base alle circostanze che si<br />

sono create con la complicità di tutti. Oggi<br />

se una band decide di suonare in giro per<br />

l’Italia è impresa quasi impossibile, i pochi<br />

live club passano quello che le agenzie di<br />

concerti passano: la scena che viene supportata<br />

da investimenti promozionali, ossia<br />

le realtà affiliate alle case discografiche<br />

o a etichette distribuite da multinazionali.<br />

Chi resta fuori può godere dei club più<br />

piccoli, locali, centri culturali, una sorta di<br />

volontariato resistente che può offrire non<br />

più di 300 euro: se fai 200 chilometri di<br />

autostrada e pigli un furgone in affitto già<br />

stai sotto con le spese. Poi c’è internet, il<br />

toccasana di tutti i mali, il rimedio dei rimedi,<br />

ma a conti fatti, al di là dello scambio<br />

18<br />

Differenze<br />

e similitudini tra<br />

la scena musicale<br />

in cui sono nati i Gang<br />

e quella di oggi…<br />

La differenza è enorme, come dire si stava<br />

meglio quando si stava peggio… allora era il<br />

momento in cui si andava a costruire qualcosa<br />

di cui avevamo bisogno per esprimerci,<br />

per essere presenti e partecipare, quindi<br />

72<br />

una sorta di circuito culturale. C’era una<br />

nuova “orda d’oro” che, sulle ceneri delle<br />

aggregazioni giovanili attorno alla politica<br />

degli anni 70, riaccendeva il fuoco. Era la<br />

rivolta dello stile, d’ispirazione anglosassone<br />

e di cui il punk era bandiera, motore<br />

di rivolta. La Strada tornava protagonista e<br />

con essa l’ultima stagione del rock ribelle…<br />

cosa volere di più dalla vita? Radio, fanzine,<br />

locali che aprivano e ovunque dolce Stil<br />

Al negozio CALIBRO 77<br />

i Gang dispensano grandi<br />

emozioni a tutti.


GANG<br />

e conoscenza dei prodotti del proprio orto<br />

non si va; nessuno si fa più carico di una<br />

resurrezione culturale, quindi musicale,<br />

perché non si lavora per creare una “scena”,<br />

senza quella non si muove né si muoverà<br />

nulla. Non sono le difficoltà oggettive<br />

a impedirla ma quelle culturali, soprattutto<br />

la cattiva educazione del farsi ognuno i<br />

cazzi propri, uno contro tutti e tutti contro<br />

uno, come nella vita. La vera assenza è la<br />

cultura, la relazione, l’incontro e lo scambio,<br />

l’idea di cosa e casa comune, di condivisione.<br />

Mai come oggi la musica è nelle<br />

mani del mercato, del profitto, dell’affare e<br />

dei suoi adoratori; neanche ai tempi di David<br />

Zard e Franco Mamone, considerati i<br />

padroni della musica live negli anni 70, le<br />

cose erano così gravi, la verità, purtroppo,<br />

è che ci sono pochi, veri, comunisti in circolazione<br />

e non troppi, questa è la verità.<br />

19<br />

Comporre, registrare,<br />

suonare dal vivo?<br />

La musica che produciamo ha<br />

ragione di esistere nella dimensione “live”,<br />

nel rito, nel canto comune, questa è la sua<br />

essenza, però, per quello che mi riguarda, i<br />

momenti più belli sono quelli in cui la canzone<br />

nasce… testo, accordi, melodia, quello<br />

che in sostanza faccio da solo; quando dici<br />

“ecco, adesso c’è la canzone”. In seguito<br />

comincia tutto il lavoro di confronto, di<br />

crescita, di realizzazione, incisione, arrangiamento…<br />

il più delle volte è tutta una mediazione<br />

su mediazione, compromesso su<br />

compromesso e questo mi stanca, a volte<br />

mi toglie pure la voglia… anche questa è<br />

una dimensione “politica”, necessaria alla<br />

realizzazione del supporto che fissa nel<br />

tempo la versione di quelle canzoni che<br />

compongono un disco. Solo in SANGUE E<br />

CENERE posso dire di essermi goduto tutte<br />

le fasi con la stessa intensità e gioia per<br />

le scoperte, per ogni cosa che, giorno dopo<br />

giorno, andava a prender vita.<br />

20<br />

Perché nasce una<br />

canzone?<br />

Una canzone è una cosa<br />

piccola ma che può contenere molti universi,<br />

molte arti, molte storie, molte emozioni:<br />

è come il vento. Se il vento potesse<br />

raccontare tutto ciò che attraversa! Non<br />

esiste una formula, ognuno ha il proprio<br />

stile, priorità, bisogni, desideri: saper mediare<br />

fra testo e musica, farli incontrare,<br />

conoscere, dialogare, innamorare, essere<br />

dei buoni ruffiani o politici fra i due aspetti<br />

delle canzoni. Sono d’accordo con una<br />

frase di Dylan: “Mi piacciono quelle canzoni<br />

che ti spingono a fare bene, a fare<br />

cose buone”… ecco, sono d’accordo con lui,<br />

quando questo accade significa che è una<br />

canzone giusta!!!<br />

21<br />

Sei orgoglioso di…?<br />

Sono orgoglioso non per la<br />

bellezza delle canzoni che ho<br />

scritto ma per quella bellezza che queste<br />

canzoni riescono a far fiorire. Sono fiero di<br />

questo “mio” giardino, sempre più bello e<br />

colorato ogni stagione che passa; cantare<br />

le mie canzoni è come prendersi cura di<br />

questo giardino, e di questo vado orgoglioso…<br />

del mio giardino.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 73


GANG<br />

22<br />

Esiste, invece,<br />

una “cosa” che non<br />

rifaresti?<br />

A volte se mi guardo indietro me la faccio<br />

spesso questa domanda ma non trovo ancora<br />

la risposta definitiva. Il mio più grande<br />

rammarico è non aver fatto il maestro<br />

delle elementari, quel desiderio ancora ce<br />

l’ho ma so che non potrò mai realizzarlo<br />

e un po’ mi rende triste: è andata così per<br />

questa vita ma non è andata male, però alla<br />

prossima non cederò al canto delle sirene.<br />

E farò di sicuro il maestro delle elementari,<br />

se ci saranno ancora le scuole elementari,<br />

naturalmente. Male che vada imparerò a<br />

fare bene il contadino, dedicarmi alla terra<br />

e ai suoi frutti; ho capito, magari troppo tardi,<br />

che è una cosa che mi arricchisce più di<br />

altre, mi rende felice e mi dà il senso di una<br />

piena realizzazione. Quindi una cosa che<br />

non rifarei è… la Gang!!!<br />

23<br />

I dieci dischi che non<br />

abbandoneresti mai<br />

e porteresti sulla<br />

leggendaria isola deserta<br />

per sfuggire al mondo?<br />

In un’isola deserta si presuppone che non<br />

ci sia corrente elettrica, quindi l’unica cosa<br />

che porterei è la mia chitarra acustica Yairii<br />

11 corde e con quella suonerei le canzoni<br />

che mi va di cantare… quali? dipende<br />

dalla giornata, da come te la senti e te la<br />

passi.<br />

1. Clash: SANDINISTA<br />

2. Bob Dylan: BLONDE ON BLONDE<br />

3. Creedence Clearwater Revival:<br />

PENDULUM<br />

4. Who: THE KIDS ARE ALRIGHT<br />

5. U2: JOSHUA TREE<br />

6. Elvis Presley: ELVIS IN CONCERT<br />

7. Pearl Jam: NO CODE<br />

8. una raccolta di classici rock’n’roll<br />

9. una raccolta di classici rhythm’n’blues e<br />

soul e un best dei Gang… ancora da registrare…<br />

24<br />

I primi dischi che hai<br />

comprato?<br />

Erano dei 45 giri… li compravo<br />

in società con alcuni degli amici più<br />

cari: Jimi Hendrix, Rolling Stones, Beatles,<br />

Canned Heat, tutti i CCR. Una montagna<br />

di dischi soul e rhythm’n’blues, che non<br />

compravo ma ascoltavo a casa di Lucio<br />

Mazzoli, che mi ha insegnato a suonare la<br />

chitarra, e non solo.<br />

Il primo 33 giri lo comprò Sandro, MADE<br />

IN JAPAN dei Deep Purple, e di conseguenza<br />

acquistò a rate un giradischi. Fino<br />

ad allora io utilizzavo il mangiadischi di<br />

mia madre. Del resto a casa nostra era<br />

Sandro che comprava i dischi, io mi dedicavo<br />

ai libri. Da sempre è stata questa<br />

la divisione dei ruoli, si è mantenuta nel<br />

tempo e nel rispetto delle nostre vocazioni<br />

personali.<br />

25<br />

Il concerto vicino<br />

a “toccare il cielo”<br />

della tua vita, come<br />

artista e come ascoltatore?<br />

Come artista non saprei… non ce n’è uno in<br />

particolare, vivo sempre col fatto che sarà<br />

il prossimo.<br />

Spesso a farti ricordare un concerto sono<br />

le circostanze, il momento in cui li hai fatti,<br />

sono sempre del parere che un concerto<br />

non lo realizza solo il gruppo o “l’artista”<br />

ma tante condizioni, soprattutto il cosiddetto<br />

pubblico. Come ascoltatore, di sicuro<br />

i Clash a Bologna nel giugno dell’80, Patti<br />

Smith, sempre a Bologna nel settembre<br />

1979 ma anche Finardi a Parco Lambro<br />

nel ’76; sono tracce profonde, legate<br />

soprattutto a un periodo della mia vita,<br />

quando quei concerti hanno avuto un’influenza<br />

su di me maggiore che non altri in<br />

altri tempi.<br />

Se non dovessi tener conto di questo ti<br />

direi Peter Gabriel o David Byrne; vicino a<br />

toccare il cielo ricordo i concerti di Sun Ra<br />

o Don Cherry… molti anni fa…<br />

26<br />

Ci sono canzoni<br />

di altri che ti<br />

rappresentano<br />

pienamente fino a farti pensare<br />

“è ingiusto che non l’abbiano<br />

scritta i Gang”?<br />

Ce ne sono tante in cui mi specchio e riconosco<br />

una parte di me ma è giusto che<br />

l’abbia scritta un altro perché, magari, di<br />

quella mia parte non me ne sarei mai accorto;<br />

dell’altro, o degli altri, ho sempre<br />

avuto un disperato bisogno, da solo sto benissimo<br />

ma dopo un po’ m’annoio e solo a<br />

contatto con gli altri che mi scopro e rivelo<br />

limiti, difetti e pregi (pochi o non abbastanza).<br />

Il confronto con l’altro è l’unico mezzo<br />

per migliorarmi, che poi è la missione della<br />

vita, essere migliori, migliorarsi… e alla fine<br />

renderne conto a noi stessi per primi. Per<br />

esempio A Pa di De Gregori mi è sempre<br />

piaciuta tantissimo ma anche All Along<br />

The Watchtower di Dylan. Potrei continuare<br />

per molto. Ci sono alcune canzoni<br />

che ti danno l’idea della perfezione eppure<br />

sono incompiute, lasciano uno spiraglio al<br />

tuo sentimento e alla tua fantasia, come se<br />

t’invitassero a completare l’opera, dicendoti<br />

che hanno bisogno anche di te. Canzoni<br />

dove bellezza e utilità s’incontrano e<br />

diventano una cosa sola. In Il viaggiatore<br />

notturno di Maurizio Maggiani c’è Père<br />

Foucauld che dice una cosa affascinante e<br />

ha sempre suscitato la curiosità: “Quando<br />

l’utilità s’incontra con la bellezza allora ha a<br />

che fare con Dio”. La Pianura dei 7 fratelli è<br />

la canzone in cui sono riuscito a far incontrare<br />

utilità e bellezza, ma non so se questo<br />

abbia a che fare con Dio… so che quando la<br />

cantiamo insieme torniamo a essere una<br />

vera comunità.<br />

La musica è ormai considerata una merce<br />

come tutto il resto. Non dovrebbe essere<br />

un bene comune, un elemento di condivisione<br />

culturale?<br />

Hai detto giusto: dovrebbe! Questa è la<br />

domanda che richiede la risposta da “un<br />

milione di dollari”, ovvero la soluzione a<br />

tutti i mali odierni della musica. Io sono del<br />

parere che per andare avanti devi per forza<br />

tornare indietro. In questo caso tornare<br />

indietro significa rivedere i tanti momenti<br />

storici che la musica ha attraversato, gli<br />

sconvolgimenti e le trasformazioni che ha<br />

74


«LE VOCI CHE MI<br />

EMOZIONANO? DYLAN,<br />

HENDRIX, JAGGER,<br />

OTIS REDDING,<br />

JOE STRUMMER,<br />

ETTA JAMES, EDDIE<br />

VEDDER...»<br />

Due chitarre bastano<br />

per raccontare storie infinite.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 75


GANG<br />

subito. Comunque è sempre risorta, riuscendo<br />

a liberarsi e trovando una sua funzione<br />

e utilità, a essere nuovamente bella!<br />

C’è il libro di Byrne, già citato, che trovo illuminante<br />

e completo da questo punto di<br />

vista, perché scritto da chi vive la musica<br />

da dentro, da chi ha attraversato come protagonista<br />

la storia della musica negli ultimi<br />

30 anni. Proprio da Come funziona la<br />

musica, per rispondere alla tua domanda,<br />

prendo in prestito alcuni passi: “Cosa viene<br />

venduto e comprato? In passato la musica<br />

era qualcosa che si ascoltava e si viveva,<br />

era un evento sia acustico che sociale.<br />

Prima dell’apparizione della tecnologia di<br />

registrazione non era possibile separare<br />

la musica dal suo contesto. Era legata a<br />

funzioni sociali, era comunitaria e rivestiva<br />

una funzione pratica. Non era possibile<br />

portarsela a casa, copiarla, venderla come<br />

una merce e non potevi riascoltarla. Nel<br />

XX secolo la tecnologia cambiò lo scenario.<br />

La musica, o meglio i suoi manufatti<br />

registrati, finì per essere considerata un<br />

prodotto, una cosa che si poteva comprare,<br />

scambiare, riascoltare all’infinito e in ogni<br />

contesto. Tali cambiamenti rivoluzionarono<br />

la funzione e la fruizione della musica<br />

«SONO ORGOGLIOSO<br />

DELLA BELLEZZA<br />

CHE LE MIE CANZONI<br />

RIESCONO A FAR<br />

FIORIRE»<br />

MARINO SEVERINI<br />

trasformandola da oggetto di condivisione<br />

in oggetto di consumo. I nostri istinti però<br />

restano intatti… vorremmo sempre essere<br />

parte del nostro tessuto sociale. Siamo attratti<br />

dai concerti e dai locali, ci scambiamo<br />

musica a mano, costruiamo luoghi o templi<br />

dove quelli come noi possono ascoltare<br />

il nostro genere di musica, vogliamo sapere<br />

tutto dei nostri gruppi preferiti. Nella<br />

musica c’è qualcosa che ci spinge a confrontarci<br />

con il contesto più ampio in cui<br />

è inserita, al di là del pezzo di plastica con<br />

cui ci è arrivata. Tentare di limitare e impacchettare<br />

un’entità così mutevole e ingovernabile<br />

è un’impresa sostanzialmente<br />

vana. Molti, però, ci provano come i padroni<br />

della musica”. Noi, ovviamente, faremo<br />

di tutto per sconfiggerli anche stavolta,<br />

liberando la musica dal loro dio: il profitto!<br />

Mi piace finire tornando a SANGUE E<br />

CENERE, dove la conclusione è affidata<br />

a Mia figlia ha le ali leggere, che è una<br />

splendida ballata…<br />

Lo specchio, le canzoni sono soprattutto<br />

degli specchi dove riscopriamo noi stessi,<br />

la nostra essenza, una cosa che per molti<br />

di noi resta difficile o impossibile provare<br />

nel rutilante arco dei giorni di una vita.<br />

Molte volte le nostre relazioni soffocano e<br />

ammutoliscono la nostra essenza. Il rapporto<br />

con i figli dovrebbe invece svegliare<br />

in noi questa parte che per troppo tempo<br />

ci resta sconosciuta o incosciente; una<br />

carezza data a mia figlia e anche un invito<br />

a darla ai tanti amici e compagni che<br />

hanno figli. La mia si chiama Clara e da<br />

quando è nata ho scoperto un’altra vita,<br />

una parte di me fino a pochi anni fa inedita,<br />

posso dire che è stata una vera… benedizione.<br />

Senza di lei sarei sicuramente un<br />

altro, quindi con questa canzone ho voluto<br />

“raccontare” quello che mi è successo<br />

negli ultimi 15 anni. Del resto se fossi un<br />

muratore avrei costruito casa per mia figlia,<br />

se fossi un falegname le avrei fatto<br />

tutti i mobili, ma scrivo canzoni, quindi<br />

m’è andata bene!!!<br />

Siamo arrivati alla fine<br />

del viaggio... per ora...<br />

76


Procol Harum<br />

50 anni di musica<br />

I PROCOL HARUM<br />

POSSONO ESSERE<br />

CONSIDERATI COME LA<br />

PRIMA BAND DI ROCK<br />

PROGRESSIVO AVENDO,<br />

CON I MOODY BLUES,<br />

ADDIRITTURA ANTICIPATO<br />

IL SERGEANT PEPPER DEI<br />

BEATLES, DISCO RITENUTO<br />

DA BUONA PARTE DELLA<br />

CRITICA COME UNO DEI<br />

PRIMI ESEMPI DEL GENERE.<br />

testo: Franco Vassia<br />

allavamo il fandango<br />

volteggiando sul pavimento<br />

/ Mi sentivo il<br />

mal di mare ma la folla<br />

gridava ‘ancora!’ / Nella stanza il mormorio<br />

stava diventando insopportabile fino a<br />

quando il soffitto non scomparì ai nostri<br />

occhi. / Quando chiedemmo nuovamente<br />

da bere, il cameriere portò un vassoio. / E<br />

fu così che poi, mentre il mugnaio raccontava<br />

la sua storia, / il viso di lei, dapprima<br />

spettrale come quello di un fantasma, divenne<br />

ancora più pallido. / Lei disse: ‘Non<br />

c’è nessuna ragione e la verità è facile da<br />

vedere’. / Ma io mi perdevo tra le mie carte<br />

da gioco / e non volevo che lei fosse una<br />

delle sedici vestali vergini / che stavano<br />

per partire per la Costa. / E per quanto<br />

tenessi gli occhi bene aperti avrebbero<br />

potuto benissimo essere chiusi. / E fu così<br />

che poi, mentre il mugnaio raccontava la<br />

sua storia, / il viso di lei, dapprima spettrale<br />

come quello di un fantasma, / divenne<br />

ancora più pallido”. Da A Whiter Shade<br />

Of Pale (pubblicato il 12 maggio 1967 –<br />

registrato il 29 marzo del medesimo anno<br />

agli Olympic Studios di Londra: Beatles,<br />

Jimi Hendrix, Rolling Stones, Led Zeppelin,<br />

Yardbirds, Who, Queen, The Small<br />

Faces, Traffic, Hawkwind, The Moody<br />

Blues, Deep Purple, Van Morrison, Peter<br />

Gabriel, Jesus Christ Superstar, The Rocky<br />

Horror Picture Show).<br />

Gary Brooker (classe 1945, pianista, cantante<br />

in possesso di una voce roca e profondamente<br />

emozionante, compositore<br />

principale del gruppo), Keith Reid (classe<br />

1946, visionario paroliere che molto contribuì<br />

alla “stranezza” del gruppo) e Matthew<br />

Charles Fisher (classe 1946, hammondista<br />

dallo stile classicheggiante)<br />

sono gli elementi distintivi dei primi tre album<br />

dei Procol Harum, poi Fisher abbandona<br />

dopo la pubblicazione di A SALTY<br />

DOG nel 1969. Il 45 giri A Whiter Shade Of<br />

Pale fa parte del ristretto club di quelli che<br />

hanno venduto più di 10 milioni di copie.<br />

Gary Brooker, l’anima del gruppo inglese,<br />

ci racconta un po’ di storie senza tempo…<br />

Sia A Whiter Shade Of Pale (diventata<br />

Senza luce nelle versioni italiane, la più<br />

conosciuta quella dei Dik Dik) che Homburg<br />

(L’ora dell’amore per i Camaleonti),<br />

e più ancora Repent Walpurgis (Fortuna<br />

in un 45 giri per gli stessi Procol Harum),<br />

Shine On Brightly (Il tuo diamante, facciata<br />

A del 45 giri appena citato), A Salty<br />

Dog, Grand Hotel, In Held Twas In I,<br />

erano delle vere e proprie mini suite di<br />

profondo stampo classicheggiante dove<br />

si avvertiva l’amore per la musica colta e<br />

per Bach.<br />

A Whiter Shade Of Pale è, ovviamente,<br />

influenzata da Bach; Homburg, invece, è<br />

una canzone diversa e rappresenta i Procol<br />

Harum nel momento in cui stavano<br />

tracciando un percorso piuttosto personale.<br />

A Salty Dog, un po’ per colpa della<br />

sua struttura armonica, che comunque<br />

richiedeva la sezione d’archi a gran voce,<br />

ha un suono molto più romantico e, per<br />

questo, direi che è il pezzo più classico<br />

in assoluto. Per quanto riguarda il primo<br />

gruppo di progressive… be’, forse direi di sì.<br />

Chi altro faceva il progressive all’epoca?<br />

Se non sbaglio, mi sembra di ricordare i<br />

Nice di Keith Emerson. Lui conosceva la<br />

musica classica e suonava in un trio molto<br />

rumoroso e spettacolare. Usavano la<br />

classica, questo sì. Noi, comunque, la utilizzammo<br />

ancora prima dei Moody Blues<br />

e, sicuramente, molto prima dei Deep<br />

Purple nel momento in cui suonarono con<br />

un’orchestra intera. Abbiamo anticipato il<br />

SGT. PEPPER’S? È vero! Quando uscì noi<br />

eravamo già al secondo disco, SHINE ON<br />

BRIGHTLY, che non era una risposta a<br />

quell’album ma un lavoro compiuto che<br />

conteneva In Held Twas In I, una vera<br />

A lato: alcune immagini<br />

da libretti interni, 45,<br />

album, biglietti concerti<br />

e antologie.<br />

78


suite. Repent Walpurgis, invece, era opera<br />

esclusiva di Matthew Fisher. Aveva un<br />

giro ripetitivo di quattro accordi, anche se<br />

bello. Ricordo di aver chiesto a Matthew di<br />

potervi aggiungere qualcos’altro di diverso.<br />

Così, ho suonato un estratto del Preludio<br />

n. 1 in mi, sul tessuto del quale, poi,<br />

ritorna ancora la chitarra.<br />

Con il vostro singolo d’esordio, verso la<br />

fine degli anni 60, avete letteralmente<br />

rivoluzionato il modo di fare musica. Il<br />

beat ingenuo del primo periodo si stava<br />

allargando a dismisura fino a diventare<br />

un genere nuovissimo: dai Vanilla Fudge<br />

in America ai Wallace Collection in Belgio,<br />

fino ad arrivare poi, verso la fine del<br />

decennio, ai King Crimson, ai Genesis, ai<br />

Renaissance…<br />

E Bob Dylan? Anche se non propriamente<br />

nella musica, i suoi testi stavano aprendo<br />

le porte del pop molto prima di noi. Sei<br />

l’unica persona che pensa che siamo stati<br />

noi a spianare la strada ai Genesis… l’altra<br />

che potrebbe dirlo è… Peter Gabriel.<br />

Ricordo che la prima volta che ho ascoltato<br />

Seven Stones dei Genesis mi è parso<br />

di vedere un tastierista vestito da mandarino<br />

cinese…<br />

Che canzone è? Seven Stones? È su uno<br />

degli ultimi dischi?<br />

«QUAL È<br />

IL SEGRETO<br />

DEI PROCOL HARUM?<br />

QUELLO DI NON<br />

ARRENDERSI<br />

MAI!»<br />

GARY BROOKER<br />

No. È un brano di NURSERY CRYME…<br />

pubblicato nel novembre 1971.<br />

Ho sentito molte delle loro canzoni e parecchie<br />

erano simili alle nostre al punto<br />

che, in qualche occasione, mi ero anche<br />

chiesto se fosse possibile citarli per plagio.<br />

Non conosco i titoli, però. Più seriamente:<br />

non penso che la gente sia dedita a copiare,<br />

credo piuttosto che lo faccia in modo<br />

inconscio.<br />

È comunque singolare come il vostro<br />

modo di scrivere le canzoni (reclutando<br />

per i testi un personaggio come Keith<br />

Reid, praticamente esterno alla band)<br />

sia stato preso ad esempio anche dai<br />

King Crimson con il paroliere Pete Sinfield.<br />

In campo rock sembrò quasi una<br />

rivoluzione.<br />

Prima abbiamo parlato di Bob Dylan, per<br />

La band sul finire degli anni<br />

60 è ai massimi livelli<br />

di popolarità.


PROCOL HARUM<br />

«I CATTIVONI DELLE CASE DISCOGRAFICHE<br />

SONO QUASI RIUSCITI A UCCIDERE<br />

LA MUSICA. QUANDO NON CI SARANNO<br />

PIÙ QUELLI DELLA NOSTRA GENERAZIONE<br />

CHI RIMARRÀ? BRITNEY SPEARS?»<br />

GARY BROOKER<br />

Hanno proprio detto “al mondo!”.<br />

Quando sei giovane (a quell’epoca avecui<br />

devi ricordarti che, almeno fino al<br />

1967-68, i testi delle canzoni non avevano<br />

una grande importanza. Sono comunque<br />

convinto che un testo non deve<br />

avere una rilevanza superiore alla musica<br />

perché, altrimenti, nella canzone<br />

c’è qualcosa che non funziona. In quel<br />

periodo si cominciò a sperimentare, ad<br />

esplorare nuovi territori. È stato introdotto<br />

il mistero, la psichedelia, molto<br />

spesso derivata dall’uso di sostanze<br />

stupefacenti. All’epoca c’era una dipendenza<br />

fin troppo diffusa dalle droghe.<br />

Ricordo come finii per lavorare con Pete<br />

Sinfield: un giorno lo trovai in fondo al<br />

mio giardino, era diventato, in pratica,<br />

un mio vicino di casa! Un ragazzo sve-<br />

Da sinistra: BJ Wilson,<br />

Dave Knights, Gary Brooker,<br />

Matthew Fisher, Robin<br />

Trower.<br />

glio, ovviamente, ma non quanto Keith!<br />

Approntò i testi per cinque canzoni che<br />

avevo scritto per NO MORE FEAR OF<br />

FLYING, mio album solista del 1979.<br />

La tua prima esperienza con i Raiders e<br />

poi con i Paramounts aveva, però, rivelato<br />

un amore alquanto diverso, quasi<br />

un’infatuazione per il rhythm’n’blues,<br />

tanto da venire considerati dai Rolling<br />

Stones come la più grande band bianca<br />

del mondo…<br />

Forse [sorridendo…] intendevano dire di<br />

Dover…<br />

vo circa 16 anni), cerchi d’imparare quel<br />

che più ti piace e che devi fare, cantare<br />

oppure suonare uno strumento. Noi imparavamo.<br />

Se non hai voglia di studiare<br />

seriamente allora devi rifarti ai tuoi idoli<br />

e, cioè, copiare. Cerchi di essere Ray<br />

Charles anche se nessuno può imitare<br />

Ray Charles, perché è unico. Mick Jagger,<br />

anche se non propriamente, era<br />

quasi diventato un nuovo Chuck Berry.<br />

Io stavo cercando di cantare senza dover<br />

imitare James Brown. In fondo era<br />

soltanto una questione di sound. Però,<br />

in nessuno modo volevamo somigliare<br />

a loro. I Rolling Stones, più o meno,<br />

cominciarono nello stesso periodo. Se<br />

ascolti attentamente, puoi renderti conto<br />

che, ai tempi, Mick Jagger non stava<br />

cantando: stava cercando d’interpretare!<br />

Non era lui! Fortunatamente, quando<br />

iniziammo l’avventura, noi avevamo già<br />

superato questa fase e io ero soltanto<br />

me stesso. Non c’era più solamente l’influenza<br />

del rhythm’n’blues americano…<br />

anche l’amore per la musica classica, per<br />

il jazz di Charlie Mingus e per il folk.<br />

Anche perché il gruppo aveva dimostrato<br />

di possedere una notevole duttilità: è<br />

vero che i Beatles e gli Stones hanno segnato<br />

i tempi e la storia della musica, ma<br />

credo però che uno dei meriti maggiori<br />

dei Procol Harum sia stato proprio quello


PROCOL HARUM<br />

L’eccentrico<br />

abbigliamento<br />

ha contraddistinto<br />

i PH nei primi anni<br />

di carriera.<br />

di essersi collocati a cavallo dei generi,<br />

senza necessariamente subire la dipendenza<br />

delle due band. Non dovendo sottostare<br />

a delle regole precise hanno potuto<br />

rigenerare e caratterizzare quel che<br />

c’era in giro…<br />

Gli Stones hanno cominciato a registrare<br />

nel 1964 mentre noi, come Procol Harum,<br />

soltanto nel 1967. Quindi, prima di affrontare<br />

il pubblico, abbiamo avuto tre o quattro<br />

anni in più per evolverci.<br />

Pur avendo personalità dogmatiche di<br />

grande spessore (Lennon & McCartney,<br />

Jagger & Richards) Beatles e Stones<br />

hanno sempre rappresentato al meglio<br />

il concetto del gruppo, della band. I<br />

Procol Harum, invece, sono stati spesso<br />

identificati come un laboratorio quasi<br />

personale di Gary Brooker, allargato<br />

a Keith Reid soltanto per la versatilità<br />

con cui sapeva costruire i testi. Le notizie<br />

che trapelavano facevano piuttosto<br />

supporre l’esistenza di un supergruppo<br />

aperto alle necessità e alle più disparate<br />

esperienze. Anche nel modo di presentarsi<br />

(meno estetici e più intellettuali),<br />

alquanto inusuale per l’epoca, aveva alcune<br />

attinenze che rimandavano direttamente<br />

al progetto iniziale dei Velvet<br />

Underground.<br />

È vero! Sperimentavamo con le canzoni,<br />

sapevamo il tipo di suono che volevamo<br />

e conoscevamo molto bene gli strumenti.<br />

Vestirmi da “mandarino” era solo un<br />

modo per sembrare un po’ diverso. In realtà,<br />

non seguivo nessuna moda. Volevamo<br />

due tastiere, una cosa molto insolita<br />

per l’epoca e, infatti, impiegammo un po’<br />

di tempo per trovare le persone giuste.<br />

Non trovammo uno stile realmente personale<br />

fino al secondo album.<br />

Oltre ad aver fatto saltare i canali tradizionali<br />

delle classifiche di vendita (in<br />

genere i requisiti richiesti a un successo<br />

commerciale devono essere piuttosto<br />

banali mentre A Whiter Shade Of Pale<br />

è forse il primo esempio commerciale<br />

dotato di un notevole spessore culturale),<br />

i Procol Harum, proprio dal secondo<br />

album, hanno dimostrato di possedere<br />

anime alquanto variegate. Oltre alla<br />

passione per la musica nera e per quella<br />

classica emergeva anche una nuova infatuazione,<br />

più marcata e quasi hard,<br />

riconducibile alla chitarra di Robin<br />

Trower, che trova il suo massimo splendore<br />

nelle asperità dell’album BROKEN<br />

BARRICADES del 1971…<br />

In quel disco eravamo in quattro, non<br />

più in cinque. Il lavoro precedente stava<br />

andando in una direzione differente<br />

e BROKEN BARRICADES, alla fine, fu<br />

un lavoro “pieno” di chitarra, con grandi<br />

assoli, completamente diverso da<br />

quello che avevamo fatto fino ad allora.<br />

In A Whiter Shade Of Pale la chitarra è<br />

completamente assente! Quel gruppo<br />

avrebbe potuto escogitare un’altra A<br />

Whiter Shade Of Pale e, in effetti, con<br />

Homburg, c’è quasi riuscita. Allora non<br />

c’era molto spazio per Robin Trower e la<br />

sua chitarra…<br />

Qual è il segreto dei Procol Harum se ancora<br />

oggi non si avvertono segni di cedimento?<br />

Quello di non arrendersi mai…<br />

A Whiter Shade Of Pale è una delle canzoni<br />

preferite dai nostri registi: è stata<br />

usata nella colonna sonora della pellicola<br />

I cento passi di Marco Tullio Giordana<br />

nella scena più emotiva del racconto,<br />

quella del funerale. È il culmine della storia,<br />

una delle migliori degli ultimi anni. E<br />

poi in Denti di Gabriele Salvatores e, prima<br />

ancora, da Martin Scorsese in un film<br />

a episodi.<br />

Sì, anche Martin Scorsese, in New York<br />

Stories. Sono sempre gli italiani a utilizzarla<br />

[ride]. Molte canzoni sono visive<br />

e, per via dei testi e delle atmosfere, si<br />

prestano a essere perfette per le colonne<br />

sonore. Si potrebbe fare un film per ogni<br />

canzone: suppongo che, all’epoca, sia<br />

stato un peccato non aver fatto in tempo<br />

a realizzare dei video. Comunque, anch’io<br />

ho assistito a funerali dove veniva suonata<br />

A Whiter Shade Of Pale anche se, personalmente,<br />

la ritengo più una canzone<br />

adatta ai matrimoni!<br />

Com’è la salute della musica di questi<br />

tempi?<br />

I “cattivoni” delle case discografiche sono<br />

quasi riusciti a uccidere la musica e, in<br />

realtà, sono un po’ preoccupato. John Lennon<br />

diceva che la musica era morta. Noi<br />

riusciamo a fare le nostre cose, registrare<br />

i dischi e suonare in giro. Voi potete ascoltarci.<br />

Quando non ci saranno più quelli<br />

della nostra generazione chi rimarrà? Britney<br />

Spears? È la vita, suppongo. Chi continuerà?<br />

Ma, intanto, davanti a noi abbiamo<br />

ancora qualche anno per suonare!<br />

Variazioni sul tema A Whiter<br />

Shade Of Pale, tra antologie<br />

e 45 giri italiani.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 81


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“GLI IGNORANTI SARANNO<br />

SEMPRE IGNORANTI,<br />

PERCHÉ LA FORZA È NELLE<br />

MANI DI CHI HA INTERESSE<br />

CHE LA GENTE<br />

NON CAPISCA, NELLE<br />

MANI DEL GOVERNO,<br />

DEI NERI, DEI CAPITALISTI…”<br />

(CESARE PAVESE, LA LUNA E I FALÒ).<br />

Dedicato a Gianmaria Testa (Cavallermaggiore,<br />

17 ottobre 1958 – Alba, 30 marzo 2016)<br />

testo: Franco Vassia<br />

passino attraverso le cose estremamente<br />

semplici. Quando scrivo mi sforzo di andare<br />

il più possibile verso la semplicità,<br />

al limite dell’ermetismo. Hanno definito<br />

ermetica la poesia di Ungaretti ma se<br />

pensi alla poetica di Soldati (“Si sta come<br />

d’autunno sugli alberi le foglie”), ti rendi<br />

conto di quanto sia evidentissima. Semplicissima.<br />

Chiara. Estremamente poetica<br />

perché lascia spazio d’immaginazione<br />

in modo che ognuno possa poi interpretarla<br />

come vuole”. Il lavoro di Gianmaria<br />

come capostazione a Cuneo, le continue<br />

aspettative, i numerosi rientri fino<br />

all’abbandono definitivo. Troppo ampia<br />

e larga la strada bianca di Luigi Tenco<br />

per non correre dietro al sogno.<br />

“Ho fatto il mio primo disco a trentacinque<br />

anni perché, prima, le<br />

mie canzoni non interessavano<br />

a nessuno. Ma non per questo<br />

erano per me meno importanti.<br />

Le ho inviate a divera<br />

figura del cantautore, nell’immaginario<br />

collettivo, è quasi<br />

sempre legata ai poeti e agli<br />

scrittori. Un legame a doppio<br />

filo poiché, con loro, condividono il suono<br />

della parola, l’ideologia sociale e politica,<br />

il dramma che affligge i poveri e i diseredati<br />

e, come i poeti – “perché accarezzano<br />

troppo le gobbe, amano l’odore delle armi<br />

e odiano la fine della giornata (Claudio<br />

Lolli)” – fanno paura. Anche se non apparteneva<br />

al periodo cosiddetto storico d’oro,<br />

quello degli anni 70, Gianmaria Testa era<br />

uno di loro, un partigiano che caricava le<br />

sue armi con la musica e divorava letture<br />

classiche.<br />

“Avevo quattordici anni quando ho letto<br />

La luna e i falò di Cesare Pavese. Il mio<br />

primo libro è stato quello. Soltanto qualche<br />

tempo dopo è arrivato La malora, di<br />

Beppe Fenoglio, e ricordo di aver pensato:<br />

parlano entrambi nello stesso modo! Per<br />

un certo periodo ho anche pensato che<br />

Fenoglio avesse copiato Pavese. Poi, rileggendoli,<br />

mi sono accorto anni dopo di<br />

quanto fosse stupido quel pensiero. Nel<br />

senso che radici comuni possono farti utilizzare<br />

un linguaggio che ti è proprio – e<br />

che somiglia moltissimo a quelli che hanno<br />

le tue stesse radici – ma per dire delle<br />

cose diverse”.<br />

E che Gianmaria Testa facesse cose diverse<br />

lo testimoniano perfettamente i suoi<br />

primi due album, MONTGOLFIÈRES del<br />

1995 ed EXTRA-MUROS, uscito l’anno<br />

dopo ma, curiosamente, su etichette francesi.<br />

Due lavori straordinari, che profumano<br />

di Piemonte, di terra scura, di pane<br />

e di vino. Un pugno di canzoni che, simili<br />

a una lama, s’immergono nel cuore come<br />

Le traiettorie delle mongolfiere: “Lasciano<br />

tracce impercettibili le traiettorie delle<br />

mongolfiere e l’uomo che sorveglia il cielo<br />

non scioglie la matassa del volo e non<br />

distingue più l’inizio sopra gli ormeggi e<br />

la zavorra” e, soprattutto, la struggente<br />

La ca sla colin-a (La casa sulla collina) in<br />

dialetto piemontese: “Mio padre faceva il<br />

muratore, è morto ancora sporco di calce,<br />

l’ha costruita lui la casa sulla collina… per<br />

quattro signori. La casa sulla collina è bella,<br />

Maria la guarda e dice: non potrò mai<br />

comprarla, per i poveri non c’è il paradiso”.<br />

Frasi di grande semplicità e odoranti di<br />

vita agra, di campi, di vento e di fieno.<br />

“Credo che le piccole verità di ognuno<br />

Nel corso del tempo gli<br />

album di Testa hanno<br />

incontrato sempre più<br />

consensi, pur non cercando<br />

compromessi.<br />

84


«HO FATTO<br />

IL MIO PRIMO DISCO<br />

A TRENTACINQUE<br />

ANNI PERCHÉ, PRIMA,<br />

LE MIE CANZONI<br />

NON INTERESSAVANO<br />

A NESSUNO»<br />

GIANMARIA<br />

TESTA<br />

se case discografiche ma sembrava che<br />

non funzionassero mai, che non andassero<br />

mai abbastanza bene. Bisognava<br />

sempre cambiare qualcosa e io – ma non<br />

per presunzione – non le ho cambiate…<br />

perché, quel che volevano, era togliermi<br />

degli aspetti fondamentali, soprattutto<br />

quella cosa che può essere definita come<br />

la mia libertà espressiva”.<br />

La svolta, per Gianmaria, si aprì appena<br />

al di là del crinale delle Alpi piemontesi.<br />

La terra di Francia mostrava colori smaglianti<br />

e una sensibilità che la nostra società<br />

aveva da tempo perduto.<br />

“La mia grande fortuna è stata quella di<br />

incontrare una produttrice che amava<br />

quel che facevo e quindi la Label Bleu,<br />

un’etichetta francese che mi ha mandato<br />

in studio senza che avessi mai inciso un<br />

disco. Non mi hanno chiesto né imposto<br />

nulla, tranne dirmi, semplicemente, fai<br />

quel che hai voglia di fare. Una fortuna che<br />

non capita a tutti e, se ti capita, succede<br />

una sola volta nella vita. Non si tratta neppure<br />

di bravura ma soltanto di arrivare in<br />

un momento particolare dove c’è qualcuno<br />

disposto ad ascoltarti”. In realtà, qualche<br />

piccolo successo Gianmaria lo aveva<br />

già ottenuto anche in Italia nel momento<br />

in cui, a cadenza annuale, aveva inviato<br />

al Festival di Recanati due musicassette<br />

vincendo a mani basse le edizioni del<br />

1993 e del 1994. Un piccolo incendio, comunque<br />

invisibile ai clamori di quel che<br />

il mercato musicale tendeva da decenni<br />

a far ingoiare. Un Paese non molto dissimile<br />

dall’infernale laboratorio del dottor<br />

Frankenstein dove – come nel romanzo<br />

di Mary Shelley – gli artisti, o presunti<br />

tali, vengono creati scientificamente, eliminando<br />

loro chili di grasso e brufoli ma<br />

agghindandoli come garruli pagliacci in<br />

lista d’attesa per la fiera delle vanità. Agli<br />

artisti veri non vengono lasciate neppure<br />

le briciole, negando promozione, apparizioni<br />

televisive e passaggi radiofonici.<br />

“Ho sempre amato coloro che hanno conservato<br />

e mantenuto la dignità della canzone,<br />

che è una cosa estremamente popolare<br />

ma altrettanto dignitosa. È una delle<br />

forme di comunicazione tra le più usate<br />

e ascoltate. La canzone avvicina la gente<br />

molto più della poesia, anche se, fra cinquant’anni,<br />

resteranno nei libri scolastici<br />

molte poesie e pochissime canzoni. Mi<br />

sono sempre piaciuti quelli che, mantenendone<br />

la dignità, riescono a creare una<br />

specie di alchimia fra parole e musica”.<br />

Un mondo, quello di Gianmaria, popolato<br />

non soltanto di note e di parole ma intriso<br />

nelle arti più disparate, che oltrepassano<br />

la letteratura per arrivare a carpire anche i<br />

segreti più reconditi della pittura.<br />

“Fare cose originali e al contempo schifose<br />

– oppure molto avanguardiste ma che<br />

non dicono nulla a nessuno – credo non<br />

serva assolutamente. Per fortuna ci sono<br />

artisti veri, quelli che, precorrendo i tempi,<br />

fanno capire a noi comuni mortali cose<br />

che altrimenti non avremmo compreso.<br />

Osservando i Girasoli di Van Gogh ho realizzato<br />

quale fosse il mio immaginario<br />

che, poi, era anche il suo. Me lo ha fatto<br />

capire lui, con le sue macchie di giallo.<br />

Basta guardare il campo di girasoli per<br />

perderti e poi chiudere gli occhi”.<br />

L’ombra lunga francese, col tempo, ne<br />

oltrepassò i confini dilatandosi nei cieli<br />

d’Europa per spingersi fino in America:<br />

concerti in Francia, Italia, Germania, Austria,<br />

Belgio, Portogallo, Olanda, Canada<br />

e Stati Uniti; numerose serate sold out<br />

all’Olympia di Parigi e finalmente, a cominciare<br />

da «Le Monde», tanti articoli sui<br />

principali quotidiani del mondo riguardo<br />

la sua capacità di creare un feeling particolare<br />

con il proprio pubblico. Una carica<br />

intimista talmente profonda da superare<br />

ogni difficoltà linguistica.<br />

“Questa è una delle cose che ho apprez-<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 85


GIANMARIA TESTA<br />

«QUANDO SCRIVO MI<br />

SFORZO DI ANDARE IL<br />

PIÙ POSSIBILE VERSO LA<br />

SEMPLICITÀ, AL LIMITE<br />

DELL’ERMETISMO»<br />

GIANMARIA TESTA<br />

zato di più e, devo dire, è successa in tutti<br />

i concerti, sia in Francia che in Canada,<br />

dove la gente neppure conosce la lingua<br />

italiana. Perché la gente capisce se gli stai<br />

raccontando delle balle oppure, anche se<br />

non condivisibile, sei lì a raccontare la tua<br />

verità. È questo che fa la differenza. Nel<br />

momento in cui, salendo sul palco, lo facessi<br />

soltanto per mestiere, non sarebbe<br />

più interessante. Quando hai l’appuntamento<br />

con il tuo concerto, devi essere lì…<br />

senza bluffare. Quando sei sul palco, le<br />

canzoni devono essere sufficientemente<br />

forti e in grado di portarti verso quelle<br />

stesse emozioni che le hanno generate.<br />

Questo la gente lo sa e capisce che non la<br />

stai prendendo in giro. Questo vale molto<br />

più di un concerto quasi perfetto e senza<br />

alcuna stonatura”.<br />

L’evoluzione artistica di Gianmaria Testa<br />

fu talmente profonda da proiettarlo finalmente<br />

tra i grandi autori del nostro cantautorato.<br />

Anche l’Italia, nel 2000, prende atto della<br />

sua esistenza pubblicando IL VALZER DI<br />

UN GIORNO, il suo primo disco in terra<br />

natia con una presentazione di Paolo De<br />

Bernardin: “Tre album, dal 1995 ad oggi<br />

che restituiscono adesso quelle canzoni<br />

dalle pieghe dell’uso e fanno indossar<br />

loro abiti stirati e profumati di lavanda.<br />

Sono più piccole senza essere smagrite.<br />

Sono più tenere senza aver perduto un<br />

centimetro di dolcezza. Si raccolgono nel<br />

palmo della mano. E stanno lì, in un taschino,<br />

dalla parte del cuore”. Un album<br />

che, tra qualche inedito e alcuni brani<br />

già pubblicati nei precedenti, lascia<br />

scorrere libera la sua poesia: “Le donne<br />

nelle stazioni, e certe gonne come<br />

aquiloni nelle tempeste, scure eleganze<br />

da cormorani, ombre di rosso<br />

sopra i capelli e sulle mani”.<br />

Un’azione di recupero che si ripete con<br />

LAMPO (che, curiosamente, è datato un<br />

anno prima). Anche qui, insieme al calore<br />

di una voce sempre più matura e carismatica,<br />

le parole assumono un aspetto<br />

ancora più austero tanto da dedicare un<br />

pensiero cupo anche alla morte. A Beppe<br />

Fenoglio, uno dei suoi autori prediletti che<br />

della morte ne rincorreva l’olézzo (“Se si<br />

sfrega a lungo e fortemente le dita di una<br />

mano sul dorso dell’altra e poi si annusa la<br />

pelle, l’odore che si sente, quello è l’odore<br />

della morte. Carlo lo aveva imparato fin<br />

da piccolo, forse dai discorsi di sua madre<br />

con le altre donne del cortile, o più probabilmente<br />

in quelle adunate di ragazzini<br />

nelle notti estive, nel tempo che sta tra<br />

l’ultimo gioco e il primo lavoro”), Gianmaria<br />

risponde con altrettanta lucidità:<br />

“È così corta la vita quando si corre dietro<br />

un amore, chissà se ho stretto abbastanza<br />

forte la fortuna al cuore, se ti ho stretta<br />

abbastanza fra le mie braccia. La morte,<br />

è strano, arriva per caso: l’orchestra tace,<br />

l’arena è delusa, io sono contento, perduto<br />

nei tuoi occhi”.<br />

Tre anni dopo, con ALTRE LATITUDINI,<br />

Gianmaria Testa è un autore affermato al<br />

punto da incuriosire e affascinare anche<br />

gli scrittori più smaliziati: “Profumo di<br />

balli di una volta la tua canzone di oggi.<br />

Uomo e donna accostano gli zigomi per<br />

fingere di dirsi una parola, si odorano i<br />

capelli, accostano il respiro alla curva del<br />

collo. I balli di una volta permettevano abbracci<br />

con la scusa di una danza in pista”<br />

(Erri De Luca). E testi che, ancora una volta,<br />

arrivano direttamente nelle stazioni<br />

del cuore: “Ancora un attimo e sarai<br />

come la pioggia che lava i marciapiedi<br />

e a noi scivola in faccia; soltanto un<br />

attimo e sarai come la pioggia per un<br />

amore di sabbia”.<br />

Altri tre anni di lavoro e di concerti<br />

per arrivare al suo massimo capolavoro.<br />

Se la poesia di Pavese e di<br />

Fenoglio cominciavano a segnare<br />

il passo fino a essere quasi relegate<br />

nell’ombra, Gianmaria si apriva<br />

a nuove tematiche indirizzate soprattutto<br />

a un mondo che lo aveva<br />

sempre incuriosito e amato:<br />

quello dei disperati e dei reietti,<br />

rifiuti umani per un mondo<br />

incolto e incivile. Con grande<br />

anticipo sui tempi aveva<br />

colto quello che, in capo<br />

a qualche anno, sarebbe<br />

Il cantautore guarda<br />

con affetto i suoi album,<br />

che ama nello stesso modo.<br />

86


GIANMARIA TESTA<br />

diventato il dramma disperato della migrazione.<br />

Interi popoli, soggiogati dalle<br />

guerre e dalla miseria, sfidando la morte<br />

e il deserto arrivavano al mare in cerca<br />

di un domani irrimediabilmente perduto.<br />

DA QUESTA PARTE DEL MARE era il<br />

sermone di un profeta, l’urlo di un uomo<br />

che aveva già previsto il futuro: “Siamo<br />

partiti in due da qualche porto del Nord<br />

Africa, clandestini nascosti nella stiva di<br />

un cargo. A due terzi del viaggio li hanno<br />

scoperti e buttati in mare. Li ha raccolti un<br />

peschereccio nell’alto Adriatico. Nessun<br />

tipo di soccorso a bordo. Li hanno scaricati<br />

come zavorra dentro un gommone attraccato<br />

a duecento metri da una spiaggia<br />

di Puglia. Quando li hanno portati a riva,<br />

per uno di loro non c’è stato più niente da<br />

fare. L’altro, dopo, ha raccontato. Erano i<br />

primi anni 90. Non ho scritto per loro. Non<br />

ne sarei capace. Ho scritto per me e per<br />

quelli che, come me, stanno da questa<br />

parte del mare”.<br />

Premiato con la Targa Tenco 2007 come<br />

miglior album dell’anno, DA QUESTA<br />

PARTE DEL MARE è la sua opera più<br />

matura: “Ma sono già stato qui, forse in<br />

un altro incanto, ma sono già stato qui e<br />

misuravo il passo che è meglio non far rumore<br />

quando si arriva, forestieri al caso di<br />

un’altra sponda, dal mare che ti rovescia<br />

come una deriva, dal mare severo che pulisce<br />

l’onda. E sono venuto qui tornando<br />

sul mio passo. Sono venuto qui a ritrovar<br />

l’incanto, l’incanto di quegli occhi neri di<br />

sabbia e sale, occhi negati alla paura e<br />

al pianto, occhi dischiusi come per me<br />

soltanto, rifugio al delirio freddo dell’attraversare,<br />

occhi che ancora mi sento accanto”.<br />

Un lavoro che, oltre a portarlo nei<br />

più grandi teatri del mondo, lo proietta in<br />

altre direzioni e in progetti paralleli. Una<br />

maturazione continua che, pur non tralasciando<br />

la vena folk, lo spinge verso il racconto,<br />

il teatro e atmosfere orientate maggiormente<br />

verso il jazz, un’isola musicale<br />

condivisa con i più grandi musicisti del<br />

settore, da Gabriele Mirabassi a Enzo Pietropaoli,<br />

da Paolo Fresu a Rita Marcotulli,<br />

da Riccardo Tesi a Enrico Rava, da Mario<br />

Brunello a Fausto Mesolella, da Stefano<br />

Bollani a Bill Frisell, da Philippe Garcia a<br />

Greg Cohen.<br />

Nel 2009 è la volta di SOLO – DAL VIVO:<br />

“Quelli come me incominciano da<br />

soli a battagliare una chitarra. Finché<br />

il legno si svernicia e le dita<br />

si scavano di corde”. Registrato<br />

all’Auditorium di Roma, l’album<br />

raccoglie il meglio della sua produzione<br />

con un inedito che rimanda<br />

all’ermetismo caro a Ungaretti:<br />

“Questa notte non sarebbero canzoni,<br />

questa notte passerebbe di<br />

per sé, come al cielo gli aeroplani,<br />

come i sogni che non so” (Come al<br />

cielo gli aeroplani).<br />

VITAMIA, del 2011, è l’ultimo<br />

disco d’inediti e rappresenta,<br />

soprattutto in 20 mila leghe<br />

(in fondo al mare), quasi l’idea<br />

ipotetica di un viaggio. Il<br />

capostazione di Cuneo che,<br />

guardando i treni, sognava<br />

aerei, aquiloni e navi è ormai<br />

uno cantautore acclamato ma<br />

non dimentica gli amici, tanto<br />

da dedicare a Erri De Luca<br />

la splendida 18 mila giorni:<br />

“Ci sono stati giorni, Vitamia,<br />

che tutto aveva un nome e di<br />

quel nome qualche voce si<br />

prendeva libertà e giorni così bianchi<br />

di parole accese da non poterti dire<br />

come. Tu trovameli adesso, Vitamia,<br />

trovali, portameli qua e giorni così<br />

bianchi di finestre accese e di parole<br />

nuove. Tu cercali, Vitamia, cercali,<br />

portameli qua”.<br />

Nel 2013 pubblica il doppio live MEN<br />

AT WORK, album e Dvd (registrato ai<br />

Cantieri OGR di Torino), che illustra<br />

tutto il suo talento e la sua magnificenza.<br />

Una raccolta che raccoglie tutte<br />

le sue canzoni più belle e che ne diventa<br />

il testamento. Tra tanta bellezza spicca<br />

una toccante versione di Hotel Supramonte<br />

in omaggio a Fabrizio De André,<br />

uno dei capiscuola della musica d’autore.<br />

Alla fine, quasi a voler chiudere il cerchio,<br />

forse la sua canzone più bella: La ca sla<br />

colin-a. E quindi ancora umori e odori di<br />

Piemonte, di terra nera, di pane e di vino.<br />

Dopo un anno di battaglie contro un male<br />

incurabile, Gianmaria Testa se ne è andato<br />

il 30 marzo. Il 25 aprile non ci sarà<br />

all’Osteria dell’Unione di Treiso per celebrare<br />

la Festa della Liberazione e dove,<br />

Con Erri De Luca.<br />

Con Gabriele Mirabassi.<br />

Con Paolo Fresu.<br />

da otto anni, cantando, amava ricordare i<br />

fratelli Ambrogio uccisi da “quelli” dell’altra<br />

parte.<br />

Perché, alla fine, così come i suoi amati<br />

scrittori, anche Gianmaria è stato un partigiano<br />

schierato dalla parte dei deboli e<br />

dei diseredati, al punto che è giusto ricordarlo<br />

con le parole di Beppe Fenoglio:<br />

“E pensò che forse un partigiano sarebbe<br />

stato come lui, ritto sull’ultima collina,<br />

guardando la città e pensando lo stesso<br />

di lui e della sua notizia, la sera del giorno<br />

della sua morte. Ecco l’importante: che ne<br />

restasse sempre uno”.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 87


Demetrio Stratos<br />

La voce secondo<br />

Luca…<br />

CLASSE 1975, MR SAPIO, NATO A SORA PER CASO,<br />

POSSIEDE CAPACITÀ VOCALI DI GRANDE SPESSORE,<br />

CHE LO HANNO PORTATO A SPERIMENTARNE I CONFINI<br />

VIAGGIANDO NELLA REPUBBLICA DI TUVA E NEGLI STATI<br />

UNITI… HA COLLABORATO CON TONY SCOTT, CAMERON<br />

BROWN, ELTON DEAN, QUINTORIGO… IN SINTONIA CON<br />

MOLTE COSE DEGLI AREA E GIULIO CAPIOZZO NEL 1999<br />

LO RECLUTA PER L’ULTIMA FORMAZIONE DEGLI AREA<br />

II. A LUI L’ONERE E L’ONORE DI PRESENTARE<br />

VOCALMENTE LE TRACCE CHE COMPONGONO<br />

LA BASE DELLA LEGGENDA “STRATOS”.<br />

testo: Luca Sapio<br />

emetrio è stato un<br />

pioniere. Un artista<br />

curioso e intelligent,<br />

capace di<br />

assorbire e trasformare le più<br />

disparate impressioni e suggestioni<br />

sonore. Agli inizi della<br />

carriera è stato, probabilmente<br />

insieme a Mario Musella degli<br />

Showmen, l’unico a cantare<br />

il r’n’b in italiano a ottenere<br />

credibilità. Dopo l’esperienza<br />

con i Ribelli, l’incontro con Giulio<br />

Capiozzo gli ha aperto le porte<br />

dell’embrionale progetto “Area”, pochi sanno<br />

che inizialmente il cantante sul quale<br />

Giulio aveva messo gli occhi era un altro<br />

greco, Tracy Apostolu, il cantante della Bo<br />

Bo’s band. Demetrio entrò nel progetto e<br />

si tolse immediatamente gli abiti del “soul<br />

man”, addentrandosi in quella splendida<br />

zona del crepuscolo… dove il blues incontra<br />

la sperimentazione, scoperta poco prima<br />

dallo straordinario Leon Thomas, la cui lezione<br />

fu subito metabolizzata e addirittura<br />

proseguita da Stratos. Divenne maestro di<br />

cerimonia, una volta abbandonato il gruppo<br />

per dedicarsi alla ricerca, come ne sono<br />

Luca Sapio ha<br />

uno sguardo poco<br />

rassicurante. :-)<br />

A sinistra Stratos<br />

fotografato da<br />

Renzo Chiesa.<br />

88


«LE BOCCHE DI<br />

STRATOS. QUESTA<br />

SEQUENZA È UN<br />

ESEMPIO LAMPANTE<br />

DI COSA SIGNIFICA<br />

FOTOGRAFARE<br />

LA VOCE»<br />

SILVIA LELLI<br />

SILVIA LELLI<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 89


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

«TRA LA GOLA<br />

E UNA CARTINA<br />

RIZLA C’È LA VOCE»<br />

ROBERTO MASOTTI<br />

testimonianza i suoi dischi per sola voce.<br />

Quello che resta oggi di Demetrio e su cui<br />

secondo me pochi si soffermano è quel<br />

grande insegnamento che il suo spirito<br />

votato al sapere, alla conoscenza, allo studio<br />

e all’ascolto ci ha lasciato. Bisogna apprendere<br />

per poi condividere. Lo spirito di<br />

Stratos è vivo ancora oggi proprio grazie<br />

alla sua condivisione, al lavoro svolto con<br />

i suoi allievi e con chiunque lo incontrasse<br />

e si interessasse al suo lavoro.<br />

Difficile capire oggi quali possano essere<br />

gli eredi degli Area e di Stratos.<br />

Per Stratos mi vengono in mente Phil<br />

Minton (suo contemporaneo), quel pazzo<br />

di David Moss, Yamatsuka Eye e sicuramente<br />

Mike Patton (Faith No More,<br />

Fantomas) che, oltre alla sperimentazione,<br />

ha, forse più di tutti e proprio come<br />

Demetrio, indubbie qualità canore. Credo,<br />

invece, non esistano eredi degli Area.<br />

Nessuna formazione è più riuscita a scrivere<br />

brani di quella complessità ritmica<br />

eppure così musicali, cantabili. Certamente<br />

negli anni ci sono state forme di<br />

scrittura molto più complesse, penso<br />

a Anthony Braxton o a Steve Coleman,<br />

ma non hanno quella “magia”, risultano<br />

spesso troppo difficili all’ascolto e rigide<br />

nella loro complessità. Gli Area erano un<br />

collettivo di talenti straordinari. Ti facevano<br />

ballare riproponendo danze macedoni,<br />

cicli dispari della musica popolare<br />

africana, grooves che sembrano usciti<br />

dalle registrazioni del Miles Davis di<br />

BITCHES BREW o dall’Art Ensemble of<br />

Chicago… impianti fantastici su cui costruirono<br />

quei temi storici… orecchiabili<br />

nonostante la loro complessità, sia dal<br />

punto di vista della divisione che della<br />

pasta sonora. Gli Area fecero fischiettare<br />

all’Italia dei primi anni 70 temi in 7/8<br />

come Luglio, agosto, settembre (nero)… e<br />

poi c’era la confezione, i testi di Gianni<br />

Sassi, le copertine, le citazioni. Non c’è<br />

stato più nulla di simile.<br />

ARBEIT MACHT FREI<br />

È decisamente il mio album preferito degli<br />

Area. La forma canzone è molto presente,<br />

i testi sono splendidi e c’è questo ponte<br />

magico tra il fraseggio jazz di Busnello,<br />

davvero notevole, e l’irrequietezza, la vivacità<br />

artistica, la curiosità di questi giovani<br />

talenti che coniugano la world music,<br />

l’elettronica come mai nessuno prima e<br />

dopo di loro.<br />

Luglio, agosto, settembre (nero)<br />

…Un capolavoro. La voce di Stratos risuona<br />

spettrale, affogata in un mare di<br />

riverbero, è nuda con solo qualche appoggio<br />

di organo. Quelle parole arrivano<br />

piano piano, spaventose, forti, visionarie,<br />

“bambini che il sole ha ridotto già vecchi”,<br />

ROBERTO MASOTTI<br />

Questa foto con una cartina Rizla, scattata da Roberto<br />

Masotti, uno dei migliori fotografi degli anni 70,<br />

è una delle icone delle visioni musicali.<br />

90


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

Investigazioni<br />

(Diplofonie e Triplofonie)<br />

Questa tecnica è la più straordinaria delle invenzioni<br />

di Stratos. La scansione coordinata del palato<br />

molle insieme alle formanti* generate dalle labbra<br />

crea un effetto davvero impressionante di gocce<br />

che cadono. Splendido. Un altro gioco divertente sul<br />

registro di falsetto, la lingua batte sul palato molle<br />

e sempre una coordinazione tra formanti e colpi di<br />

lingua crea questo effetto di sirena, molto interessante.<br />

Il tentativo di Stratos di “overtones singing”,<br />

che oggi potremmo ricondurre e definire, grazie agli<br />

studi di Mark Van Tongeren, come “emissione a due<br />

cavità”**, risulta pionieristico. Demetrio, come del<br />

resto tutti i pionieri dell’overtone singing occidentali<br />

(David Hykes, Roberto Laneri), molto probabilmente<br />

non aveva a disposizione esempi sonori di “Khoomei”<br />

ossia il “Throat Singing” di Tuva. L’occidente<br />

ancora non era a conoscenza di questa tecnica e i<br />

suoi relativi stili e quindi questo frammento risulta<br />

dal punto di vista “tecnico” piuttosto rudimentale, armonici<br />

sbilanciati rispetto alla fondamentale. Resta<br />

però un documento che lascia chiaramente intendere<br />

l’“intuizione” di Stratos della possibilità di generare<br />

degli overtones. Assolutamente impensabile per<br />

i tempi. L’ultima parte del primo percorso è un tentativo<br />

di produrre delle vere e proprie triadi. Anche<br />

questo risulta pionieristico se pensiamo a quello che<br />

riescono oggi a fare cantanti come Lalah Hathaway,<br />

ossia l’emissione chiara e netta di triadi con la voce.<br />

Ancora una volta però sorprende l’intuizione. Demetrio<br />

lo aveva capito. Demetrio sapeva che era possibile.<br />

Lo stava cercando. Ci sarebbe arrivato.<br />

Come sappiamo tutti, e come lui stesso spiegava, la<br />

tecnica è una cosa che tutti possono acquisire. Questo<br />

frammento ce lo mette davanti, nudo senza inibizioni,<br />

in una dimensione intima, estremamente umana,<br />

quello di un uomo impegnato nell’esplorazione<br />

dei limiti fino ad allora conosciuti della voce umana.<br />

Passaggi 1, 2<br />

Stratos sembra voler tornare a uno stadio primitivo<br />

dell’emissione vocale. Le corde vocali sono immobili.<br />

Il lavoro è tutto sulle “false corde vocali” e soprattutto<br />

la seconda parte del percorso è impressionante,<br />

Demetrio riesce a modulare la voce aspirata, spingendosi<br />

verso un registro di sovracuti al limite. Viene<br />

da chiedersi, dove sarebbe arrivato oggi Stratos?<br />

Criptomelodie Infantili<br />

Qui viene fuori la grande ironia di Demetrio. La voce<br />

che regredisce, si libera, una sorta di macchina del<br />

tempo che lo riporta indietro, ancora una volta si<br />

lascia fotografare senza inibizioni, somiglia a un bambino<br />

assorto in un gioco solitario, che si canta delle<br />

filastrocche per divertirsi.<br />

Flautofonie ed Altro<br />

Le Flautofonie di Stratos sono incredibili. Ancora<br />

oggi, a distanza di così tanti anni restano qualcosa di<br />

clamoroso. Un’imitazione perfetta di un flautofono<br />

di legno, anche il soffio d’aria, davvero straordinario.<br />

Inarrivabile.<br />

Le Sirene<br />

Un esperimento claustrofobico. Assurdo. Presto si<br />

viene intontiti dalle accelerazioni e decelerazioni<br />

delle voci di Stratos. L’ascoltatore, in meno di un minuto,<br />

piomba in una dimensione estraniante… è tutto<br />

perfetto, anche l’utilizzo dei riverberi e i piani sonori<br />

del missaggio. Un viaggio ipnotico, Stratos e le sue<br />

ripetizioni sono le sirene, gli ascoltatori sono l’argonauta<br />

Bute, che si getta in mare rapito dal suo canto.<br />

*formanti sonore generate dalla posizione assunta<br />

dalle labbra per emettere le vocali.<br />

**poiché la cavità orofaringea viene divisa dalla<br />

posizione della lingua sul palato in due cavità.<br />

sono un pugno nello stomaco. La metrica<br />

è difficilissima, serrata, eppure s’incastra<br />

perfettamente su quel 7/8. La parte centrale<br />

evoca una casbah, sembra celebrare<br />

il disordine e Stratos un muezzin intento<br />

a salmodiare il caos. Il pezzo finisce con<br />

la voce che doppia contagiosa il basso finale,<br />

credo che tutti noi almeno una volta<br />

nella vita ci siamo sorpresi a canticchiare<br />

quel “dum-dum-dum-du-du-du-dumdum-du-du-du-du”…<br />

all’improvviso.<br />

Arbeit Macht Frei<br />

Adoro il suo groove, suona super funk,<br />

potrebbe essere un pezzo di Sly and<br />

The Family Stone o dei Temptations di<br />

PSYCHEDELIC SHACK. Demetrio canta<br />

una linea vocale splendida, in cui è libero<br />

di muoversi e di fiorire con questi vibrati<br />

strettissimi. Un rullo di Giulio lancia l’ultima<br />

parte della canzone, quel crescendo<br />

potentissimo dove la voce si arrampica<br />

spericolata e sul finire della frase<br />

“consapevole sono ogni volta di più” si<br />

fa largo tra quella selva di suoni con un<br />

violento Do di petto che spazza via tutto.<br />

Consapevolezza<br />

Mi piace questo pezzo. La melodia della<br />

voce è molto musicale e sono enfatizzate<br />

le parole chiave delle liriche. Demetrio<br />

trasmette il testo, lo interpreta. Penso a<br />

quando canta frasi come “tu allora vedrai…<br />

tutta la squallida realtà” ed è davvero<br />

comunicativo, anche nell’analisi<br />

finale… “tutto l’amore riposto nel nulla,<br />

riposa vecchio tra mostri di muffa”… infine<br />

la liberazione ascensionale… “lascia<br />

partire il tuo ascensore”, dove la voce<br />

sembra partire per un viaggio siderale a<br />

cavallo delle note del sac di Busnello che<br />

si libra in questo cosmo generato dalle<br />

forme d’onda del VCS 3 di Tofani. E poi<br />

ancora la rabbiosa “schiaccia sul muro<br />

senza pietà la tua morale”… e di nuovo<br />

la liberazione, stavolta in un ostinato<br />

decisamente “black rock”, in cui libera il<br />

falsetto dialogando ancora con Busnello,<br />

fino ad avvitarsi e a schiantarsi insieme<br />

sull’ultimo rullo di Giulio.<br />

Grafica e fotografia,<br />

più di oggi, avevano<br />

importanza nelle musiche<br />

diverse. Grafica a cura dello<br />

Studio Lapis, che si occupò<br />

anche di 1978 GLI DEI SE<br />

NE VANNO GLI ARRABBIATI<br />

RESTANO! degli Area.<br />

Foto di Roberto Masotti.<br />

Le labbra del tempo<br />

La splendida trama è creata dall’arpeggio<br />

di chitarra su cui Demetrio, Busnello e<br />

Djivas si contrappuntano in un equilibrio<br />

magico. Anche qui interpreta con enfasi…<br />

“l’uomo che ha perso la sua animalità nel<br />

buio bianco di un’idiota realtà”… “solo chi è<br />

nudo riesce a capire la tua forza muta che<br />

comunica realtà”… e nella seconda parte,<br />

distesa, racconta il declino… “facce sporche<br />

di paura che si nascondono nel buio”<br />

culminando con la potentissima… “gesti,<br />

coiti, urla, rabbia, vivere senza nulla dire,<br />

senza nulla fare è un diritto che io ho, io<br />

ho”, dove esplode tenendo questa nota<br />

lunghissima.<br />

L’abbattimento dello Zeppelin<br />

Giulio mi raccontò che L’abbattimento dello<br />

Zeppelin fu un brano sarcastico, scritto<br />

perché spesso i proprietari dei locali gli<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 91


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

«BISOGNA<br />

APPRENDERE<br />

PER POI CONDIVIDERE.<br />

LO SPIRITO DI STRATOS<br />

È VIVO OGGI PROPRIO<br />

PER LA SUA CAPACITÀ<br />

DI CONDIVISIONE»<br />

LUCA SAPIO<br />

chiedevano di suonare un brano dei Led<br />

Zeppelin, all’epoca tra le stelle del rock.<br />

Credo che il testo fosse una sorta di augurio<br />

o, se volete, di avvisaglia, quasi per<br />

dire… occhio che lo Zeppelin, per quanto<br />

maestoso sembri, è solo un pallone gonfio<br />

d’aria… c’è l’utilizzo di suoni onomatopeici<br />

per la prima volta credo in un brano “Pop”.<br />

Demetrio enfatizza… “piombare nel fango<br />

senza più stile”… “giocano tutti con il corpo<br />

sgonfiato” e ironizza… “dicono tutti che è<br />

colpa mia”… poi c’è quello scambio interessantissimo<br />

tra Giulio e Demetrio in cui<br />

i tamburi rispondono con le stesse note<br />

Stratos dai microfoni<br />

tirava fuori<br />

davvero tutto<br />

(foto Renzo Chiesa).<br />

alle frasi ritmiche della voce. Una batteria<br />

e una voce che cantano.<br />

CAUTION RADIATION AREA<br />

…È secondo me il disco più controverso e<br />

coraggioso degli area. Cambio di formazione,<br />

vanno via Busnello e Djivas, entra<br />

il bassista e polistrumentista Ares Tavolazzi.<br />

Patrizio Fariselli ha un sintetizzatore<br />

monofonico Arp Odissey e in generale tutto<br />

il collettivo non si limiterà a suonare il<br />

proprio strumento originale, ma cercherà<br />

di contribuire in ogni modo possibile alle<br />

trame sonore dei brani. La netta volontà<br />

di non ripetersi, di allargare ancora di<br />

più gli orizzonti è evidente. Caution ha<br />

un largo uso di elettronica e lunghe forme<br />

improvvisative, ma soprattutto la scelta<br />

coraggiosa di utilizzare la voce di Stratos<br />

più come strumento che lascerà spiazzati<br />

i fan e la critica del tempo.<br />

Cometa rossa<br />

L’unico ponte con il disco precedente. Immediatamente<br />

l’esposizione di un tema<br />

dal sapore balcanico, suonato con l’ARP<br />

è già un segno chiarissimo di quanto gli<br />

Area fossero avanti da un punto di vista<br />

della ricerca timbrica e sonora. Poi l’arpeggio<br />

di Tofani e arriva Demetrio, che<br />

canterà l’unico brano del disco, in greco.<br />

Una linea vocale difficile, misteriosa, muscolosa,<br />

con le fioriture di jodler che ormai<br />

sono un marchio di fabbrica.<br />

Zyg (Crescita zero)<br />

Un brano interessante, i suoni sono incredibili.<br />

La voce filtrata di Stratos, “l’estetica<br />

del lavoro è lo spettacolo della merce<br />

umana”, lancia il groove di Ares Tavolazzi,<br />

il brano diventa un uragano, la chitarra di<br />

Paolo Tofani ha un suono alieno, il fraseggio<br />

di Patrizio è interessantissimo, sembra<br />

Cecil Taylor con un Wurlitzer e la voce di<br />

Demetrio tornerà solo alla fine su un pedale<br />

dal vago sapore “progressive” e chiuderà<br />

sul lunghissimo obbligato finale. In<br />

5:32 succede veramente di tutto.<br />

Brujo<br />

La voce entra sulla seconda parte del brano,<br />

è onomatopeica, l’atmosfera ricorda<br />

L’abbattimento dello Zeppelin. Demetrio<br />

canta l’asfissia, la mancanza di ossigeno<br />

delle idee… “Ossidare i cavi della mia libertà,<br />

la mia merce non servirà”… “la mia mente<br />

non ha più creatività progettare totalità”.<br />

Mirage? Mirage!<br />

Introduzione vicina al free jazz, in cui<br />

Stratos interviene con il falsetto. Intorno<br />

al sesto minuto del brano entra un brusio<br />

di voci, presto annientato da una specie di<br />

lux aeterna di Clint Mansell che esploderà<br />

in una foresta animale fino a interrompersi<br />

con un fragore di vetri infranti. Nell’ultima<br />

parte del brano ancora Stratos che<br />

dialoga con l’Arp di Patrizio, fino a restare<br />

da solo in una specie di brevissimo mantra<br />

a chiudere il pezzo.<br />

92


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

Pianeta Area<br />

GLI AREA SONO STATI SICURAMENTE IL GRUPPO<br />

“DIVERSO” IN QUEL TERRITORIO SOSPESO TRA ROCK,<br />

JAZZ, AVANGUARDIA E CANZONE “CONSAPEVOLE”.<br />

L’ALCHIMIA TRA I MUSICISTI E LA CRAMPS RECORDS ERA<br />

DAVVERO MAGICA, SPECIALMENTE CON UN<br />

PERSONAGGIO “FUORI SCHEMA” COME GIANNI SASSI,<br />

CHE INVENTA L’ETICHETTA ANCHE PER LORO.<br />

RIPERCORRIAMONE LA DISCOGRAFIA, SEMPLICEMENTE<br />

MONUMENTALE, ANCHE LIMITANDOCI SOLO AGLI ALBUM<br />

IN STUDIO, FINO ALL’USCITA DI DEMETRIO STRATOS…<br />

testo: Alan Bedin<br />

Victor Edouard Busnello: ance<br />

Giulio Capiozzo: percussioni<br />

Yan Patrick Erard Djivas: basso,<br />

contrabbasso<br />

Patrizio Fariselli: piano, piano<br />

elettrico<br />

Demetrio Stratos: organo, voce, steel<br />

drums<br />

Gianpaolo Tofani: chitarra solista,<br />

sintetizzatore VCS 3<br />

Voce araba recitante: registrazione<br />

pirata in un museo del Cairo<br />

1<br />

ARBEIT MACHT FREI<br />

(IL LAVORO RENDE<br />

LIBERI) 9/1973<br />

Cramps CRSLP 5101<br />

Luglio, agosto, settembre (nero)<br />

Arbeit Macht Frei<br />

Consapevolezza<br />

Le labbra del tempo<br />

240 chilometri da Smirne<br />

L’abbattimento dello Zeppelin<br />

Testi: Frankenstein – Musica: Fariselli<br />

Frankenstein per questo album è uno<br />

pseudonimo di Sergio Albergoni ma in realtà<br />

i testi sono opera di Albergoni e Gianni<br />

Sassi con la collaborazione dei musicisti<br />

del gruppo, in particolare di Patrizio<br />

Fariselli. La musica è depositata da Terzo<br />

Fariselli, padre di Patrizio, ma è composta<br />

da tutti gli Area, ancora con Patrizio in evidenza.<br />

Prima edizione, con pistola sagomata<br />

in cartone inclusa, distribuita<br />

dalla Dischi Ricordi.<br />

«ARBEIT MACHT<br />

FREI HA VOGLIA<br />

DI ROMPERE LE<br />

BARRIERE ANCHE<br />

SE NON CON MOLTA<br />

CHIAREZZA»<br />

DEMETRIO STRATOS<br />

Meccanico del suono: Gaetano Ria – Studio:<br />

Fonorama c.a.r., Milano – Art director:<br />

Gianni Sassi – Designer: Marco Santini –<br />

Fotografo: Fabio Simion<br />

Episodio non casuale che il primo titolo<br />

della Cramps corrisponda con<br />

l’esordio e il primo capolavoro della nuova<br />

creatività musicale italiana: due realtà<br />

così eccentriche dovevano incontrarsi<br />

e vivere insieme. Obbligatorio<br />

ricordare che<br />

Da sinistra: Patrick<br />

Djivas, Victor Edouard<br />

Busnello ai Fonorama<br />

Studio di Milano<br />

per l’incisione<br />

del primo album.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 93


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

il disco è stato anticipato da una intensa<br />

attività live – nella quale i cambiamenti<br />

fulminei da una parte dell’ensemble e la<br />

solida sezione ritmica – hanno permesso<br />

un amalgama sonoro esaltante con un<br />

impatto notevole. La musica, la copertina,<br />

l’intero progetto piomba sulla scena<br />

musicale italiana come una cometa capace<br />

ancora di infuocare la nostra sterile<br />

generazione. Un disco che se fosse stato,<br />

come in origine, concepito in inglese sarebbe<br />

senza dubbio – ai giorni nostri –<br />

corrispondente a 21st Century Schizoid<br />

Man dei King Crimson. Poi da dire che<br />

l’impeto politico del gruppo e i testi scritti<br />

da illustri personaggi di contro-cultura<br />

non hanno facilitato la discussione con<br />

la stampa musicale. La critica dell’epoca<br />

si preoccupa di trovare i riferimenti musicali<br />

a cui si sono ispirati gli Area per la<br />

proposta artistica: i Soft Machine sono<br />

tra i più citati ma le componenti<br />

originali della musica<br />

Area sono tutt’altro. Sono la<br />

dominante percussiva, voluta<br />

da Capiozzo, la ricerca e la<br />

scoperta di linguaggi<br />

antichi ma miracolosamente<br />

moderni<br />

(vedi ‘Il mistero delle<br />

voci bulgare’ per il brano<br />

Luglio, agosto, settembre<br />

(nero)), la varietà delle linee<br />

Alan Bedin è la voce<br />

di Hommage à Area,<br />

diretto da<br />

Christian Capiozzo.<br />

«CI SPINGEVAMO<br />

OLTRE: JAZZ,<br />

ROCK, MUSICA<br />

MEDITERRANEA<br />

E BALCANICA,<br />

SPERIMENTAZIONI<br />

CONTEMPORANEE»<br />

PATRIZIO FARISELLI<br />

melodiche di Fariselli, la splendida e fondamentale<br />

vocalità delle radici lontane<br />

di Stratos, le applicazioni tecnologiche<br />

Tofani, le incursioni jazzistiche dello sregolato<br />

Busnello, il tutto supportato da<br />

una ritmica micidiale e da una tridimensionalità<br />

del suono realizzata dalle mani<br />

esperte di Gaetano Ria (riverberazione e<br />

creazione della dimensione-ambiente<br />

nella voce di Stratos). Lo spirito etnico e<br />

l’inclinazione al free jazz si trasforma in<br />

uno dei primi esempi di world music;<br />

le influenze bulgare, arabe e mediterranee,<br />

la multinazionalità<br />

dei suoi componenti e<br />

le sorprendenti liriche<br />

si stagliano in maniera<br />

memorabile nel panorama<br />

musicale nazionale.<br />

Senza dubbio una<br />

perla di creatività artistica<br />

contemporanea a livello<br />

mondiale.<br />

2<br />

CAUTION<br />

RADIATION AREA<br />

3/1974<br />

Cramps CRSLP 5102<br />

Cometa rossa<br />

ZYG Crescita zero<br />

Brujo<br />

MIRage? Mirage!<br />

Lobotomia<br />

Testi e musiche: Fariselli, Tavolazzi, Tofani<br />

Le musiche sono depositate da Terzo Fariselli<br />

(per il figlio Patrizio), Ares Tavolazzi<br />

e Gian Paolo Tofani; i testi da Sergio Albergoni<br />

ma sono opera di Albergoni e Sassi<br />

con la collaborazione dei musicisti del<br />

gruppo.<br />

Prima edizione distribuita dalla Dischi Ricordi.<br />

Giulio Capiozzo: percussioni, batteria<br />

Hajaman<br />

Patrizio Fariselli: piano elettrico,<br />

piano acustico, clarinetto basso,<br />

percussioni, sintetizzatore (A.R.P.<br />

Odissey)<br />

Ares Tavolazzi: basso elettrico, basso<br />

acustico, trombone<br />

Giampaolo Tofani: chitarra elettrica,<br />

sintetizzatori E.M.S., flauto<br />

Demetrio Stratos: voce, organo,<br />

clavicembalo, steel drums, percussioni<br />

Meccanico del suono: Piero Bravin – Assistente:<br />

Ambrogio Ferrario – Studio:<br />

Fono Roma Sound Recording Spa, Milano<br />

– Missaggio: Advision Studios, Londra<br />

– Art director: Gianni Sassi – Designers:<br />

Marco Santini, Fabio Bortuzzo – Fotografo:<br />

Gianni Ummarino<br />

abbandono a sorpresa di Patrick<br />

L’ Djivas (che entra nella PFM), a ridosso<br />

di un concerto in Francia, conduce<br />

a tensioni generali che portano l’allontanamento<br />

dell’ingestibile Busnello. Il<br />

suono e il mood jazzistico, che il fiatista<br />

aveva manifestato su ARBEIT MACHT<br />

FREI, non si sarebbe più sentito. Alcune<br />

prove nella sala della Davoli (storica ditta<br />

parmense di strumenti musicali), messa<br />

a disposizione in cambio della consulenza<br />

tecnica di Tofani, convincono i restanti<br />

Area a intraprendere il nuovo viaggio con<br />

94


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DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

l’esperto Ares Tavolazzi, che va a creare<br />

una sezione ritmica eccezionalmente<br />

plasmabile e potente con Capiozzo. Poi da<br />

prendere in considerazione che Tofani, a<br />

differenza del primo album, che ricordiamo<br />

era arrivato verso la fine delle registrazioni,<br />

su CAUTION RADIATION AREA,<br />

ha raggiunto, anche in fase compositiva<br />

– gli altri musicisti. Appare chiaro come<br />

gli Area siano riusciti a convogliare meglio<br />

e in maniera più compiuta, le loro idee<br />

artistiche. L’intesa ideologica con il creativo<br />

Gianni Sassi è elevata e conduce alla<br />

creazione di un’opera unica per intensità,<br />

complessità e istanze avanguardistiche.<br />

È singolare l’elemento stilistico e il brano<br />

che riconduce al primo album: il minimalismo<br />

lirico (greco) di Cometa rossa. Il resto<br />

è un manifesto di sperimentazione musicale<br />

e violenza sonora, che ‘salta in aria’ in<br />

Lobotomia con una direzione maniacale<br />

dei sintetizzatori E.M.S., magistralmente<br />

comandati da Tofani. Si ricorre a una innovativa<br />

forma narrativa, quasi declamativa,<br />

negli interventi di Stratos, relazionandosi<br />

con i primi tentativi di poesia sonora in<br />

Italia. Fariselli, insieme al nuovo arrivato<br />

Tavolazzi, sviluppa Brujo, composizione<br />

strumentale e manifesto programmatico<br />

della capacità improvvisativa del gruppo,<br />

capace di trasformare la radicalizzazione<br />

politica in musica senza equivoci o inutili<br />

elucubrazioni.<br />

3<br />

CRAC!<br />

4/1975<br />

Cramps CRSLP 5103<br />

L’elefante bianco<br />

La mela di Odessa (1920)<br />

Megalopoli<br />

Nervi scoperti<br />

Gioia e rivoluzione<br />

Implosion<br />

Area 5<br />

Testi: Frankenstein – Musiche: Patrizio<br />

Fariselli, Ares Tavolazzi, Paolo Tofani<br />

Frankenstein è uno pseudonimo di Sergio<br />

Albergoni ma in realtà i testi sono opera di<br />

Albergoni e Sassi con la collaborazione dei<br />

musicisti del gruppo. La musica di Area 5<br />

è di Juan Hidalgo e Walter Marchetti<br />

Prima edizione, con adesivo incluso, distribuita<br />

dalla Dischi Ricordi.<br />

Giulio Capiozzo: percussioni, batteria<br />

Slingerland<br />

Patrizio Fariselli: piano elettrico,<br />

piano acustico, clarinetto basso,<br />

percussioni, sintetizzatore (A.R.P.<br />

Odissey)<br />

Ares Tavolazzi: basso elettrico, basso<br />

acustico, trombone<br />

Paolo Tofani: chitarra elettrica,<br />

sintetizzatore E.M.S., flauto<br />

Demetrio Stratos: voce, organo,<br />

clavicembalo, steel drums, percussioni.<br />

Meccanico del suono: Piero Bravin – Studio:<br />

Fono Roma Sound Recording Spa, Milano<br />

– Missaggio: I.B.C. Sound Recording<br />

Studios Ltd, Londra – Art Director: Gianni<br />

Sassi – Designers: Marco Santini, Fabio<br />

Bortuzzo – Illustratore: Gian Michele Monti<br />

– Fotografi: Roberto Masotti, Fabio Simion<br />

Dopo CAUTION RADIATION AREA si<br />

chiude definitivamente il rapporto<br />

tra il gruppo e il manager Franco Mamone.<br />

che li aveva seguiti dall’inizio della carriera,<br />

il crescente impegno politico e l’estremizzazione<br />

della proposta musicale aveva<br />

creato una spaccatura nei rapporti (“Sono<br />

cazzi vostri, ragazzi!” celebre il suo commento<br />

all’ascolto dei nastri). Quindi resta la<br />

Cramps a occuparsi di tutti gli aspetti operativi<br />

e organizzativi dell’attività. CRAC! è<br />

fondamentalmente il disco pop degli Area.<br />

Mi spiego meglio: diciamo che si avvicina<br />

di più al concetto Pop, all’estremità pop-olare<br />

sempre con il concetto del termine<br />

adattato alle qualità musicali e artistiche<br />

di Stratos e compagni. A differenza del<br />

primo e del secondo, il terzo Long playing<br />

riesce nel difficile tentativo di combinare<br />

la sperimentazione dei super-musicisti<br />

con una nuova visione dello scenario politico<br />

e sociale, italiano e internazionale. In<br />

CRAC! Demetrio riesce a imporsi definitivamente<br />

facendo valorizzare in pieno la<br />

partitura timbrica della sua voce, sia in forma<br />

narrativa (La mela di Odessa (1920))<br />

che in forma cantante (L’Elefante bianco,<br />

Gioia e rivoluzione) dando prova di essere<br />

indiscutibilmente il più grande cantante-vocista<br />

italiano. Il grande affiatamento<br />

Teatro Uomo, Milano,<br />

1975. A destra: Giulio<br />

Capiozzo al Piper<br />

di Roma, 1972.<br />

FOTO FABIO D'EMILIO.<br />

96


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

Da sinistra: ARBEIT MACHT<br />

FREI (1973),<br />

CAUTION RADIATION AREA<br />

(1974),<br />

CRA! (1975),<br />

MALEDETTI (1976),<br />

1978 GLI DEI SE NE VANNO<br />

GLI ARRABBIATI RESTANO!<br />

(1978).<br />

raggiunto dai musicisti permette di privilegiare<br />

l’aspetto melodico, senza snaturare<br />

singolari gli elementi distintivi: avanguardia,<br />

atmosfere mediterranee, fraseggi progressive<br />

e pop che sono alla base del loro<br />

discorso. Stratos “suona” con la voce dando<br />

risalto con il suo inconfondibile timing<br />

alla solida base ritmica, su cui s’innestano<br />

assoli nervosi e di grande tecnicismo da<br />

parte di Fariselli e Tofani. La strumentale<br />

Nervi scoperti è impreziosita da un esperto<br />

lavoro di Patrizio Fariselli al pianoforte.<br />

Gioia e rivoluzione, diventato il brano più<br />

famoso dell’intero repertorio degli Area,<br />

si esaltano la chitarra acustica, registrata<br />

da negli studi IBC di Londra, e la voce di<br />

Stratos che dimostra eccellente tecnica<br />

vocale da “canzone”. Il risultato? Un brano<br />

italiano orecchiabile, fruibile, cantabile,<br />

che, attraverso la poliedricità dei musicisti,<br />

ha finalmente permesso di veicolare<br />

il grande pubblico ad ascolti più estremi<br />

del loro repertorio. Diciamo, una mossa<br />

intelligente studiata insieme al filosofo del<br />

gruppo Gianni Sassi, vero e proprio sesto<br />

Area. Non si calma comunque il desiderio<br />

di sperimentazione ed esplorazione nel<br />

suono. Prima con Implosion e poi con Area<br />

5 entra dichiaratamente nella musica d’avanguardia,<br />

che si affaccia con prepotenza<br />

nella loro proposta e in quella di “mamma”<br />

Cramps più in generale: negli anni diventerà<br />

una componente fondamentale del<br />

marchio verde nella creazione di un repertorio<br />

musicale di grande impatto culturale.<br />

Quindi nessuna svolta commerciale del<br />

quintetto! Solo la necessità di convogliare<br />

le sempre maggiori capacità e intuizioni,<br />

nella realizzazione di un prodotto finale.<br />

Una cosa poco chiara è che non risulti<br />

mai, fra i compositori delle musiche, il leader<br />

Stratos e soprattutto Giulio Capiozzo,<br />

vista la gigante presenza e importanza<br />

che il suo “drumming” assume in queste<br />

registrazioni. Ho sempre auspicato in una<br />

leggerezza giovanile dei cinque musicisti.<br />

Da sinistra:<br />

Patrizio Fariselli,<br />

Ares Tavolazzi,<br />

Gianni Sassi, più<br />

un esponente<br />

portoghese (foto<br />

Archivio Cramps).<br />

4<br />

MALEDETTI<br />

11/1976<br />

Cramps CRSLP 5105<br />

Evaporazione<br />

Diforisma urbano<br />

Gerontocrazia<br />

Scum<br />

Il massacro di Brandeburgo numero tre<br />

in sol maggiore<br />

Giro, giro, tondo<br />

Caos (parte seconda)<br />

Testi: Frankenstein – Musiche: Fariselli,<br />

Tofani<br />

Frankenstein è lo pseudonimo usato, per<br />

questo disco, da Sergio Albergoni. I testi<br />

sono in realtà composti da Albergoni e<br />

Sassi. Per il brano Il massacro di Brandeburgo<br />

numero tre in sol maggiore è stato<br />

usato un frammento del Terzo Concerto<br />

Brandenburghese in sol maggiore di J.S.<br />

Bach.<br />

Prima edizione distribuita dalla Baby Records.<br />

Demetrio Stratos: voce, organo<br />

Hammond, campane, voce filtrata<br />

Paolo Tofani: rasoio elettrico a<br />

batterie Philips, chitarra elettrica,<br />

sintetizzatore Tcherepnin<br />

Patrizio Fariselli: sintetizzatore<br />

(A.R.P. Odissey), piano elettrico, piano<br />

acustico, piano preparato<br />

Ares Tavolazzi: contrabbasso, basso<br />

elettrico<br />

Giulio Capiozzo: batteria -<br />

Eugenio Colombo: kazumba<br />

Hugh Bullen: basso elettrico<br />

Walter Calloni: batteria<br />

Steve Lacy: sassofono soprano<br />

Anton Arze: txalaparta<br />

José Arze: txalaparta<br />

Steve Lacy: sassofono soprano<br />

Umberto Benedetti<br />

Michelangeli: violino<br />

Armando Burattini: viola<br />

Paolo Salvi: violoncello<br />

Giorgio Garulli: contrabbasso<br />

Paul Lytton: percussioni<br />

Meccanici del suono: Piero Bravin, Ruggero<br />

Penazzo – Studio: Fono Roma Sound<br />

Recording Spa, Milano. Alcuni materiali<br />

sono stati preregistrati con un Teac 3340<br />

S e con un mixer Tascam Teac Model 3<br />

della ditta Audel di Milano<br />

Art director: Gianni Sassi – Designer: Edoardo<br />

Sivelli – Fotografi: Toni Thorimbert,<br />

Marcello Arfini – Illustratori: E. Siber, Hapier<br />

attività live del 1975 è stata molto<br />

L’ intensa e i musicisti escono distrutti<br />

dal tour. Nascono di conseguenza tensioni<br />

dovute alla stanchezza fisica e psicologica:<br />

Capiozzo e Tavolazzi abbandonano il<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 97


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

collettivo per suonare in situazioni diverse<br />

e più tranquille. Infatti nell’estate 1976,<br />

dopo una serie di concerti all’estero (Parigi<br />

e Lisbona), aumentano le incomprensioni<br />

e i nervosismi provocheranno la temporanea<br />

scissione del gruppo in due tronconi:<br />

Stratos, Fariselli e Tofani da una parte e<br />

Capiozzo e Tavolazzi dall’altra. Il nuovo<br />

progetto è ambizioso: un concept album<br />

“fanta-socio-politico”. In un ipotetico futuro,<br />

l’intera memoria umana si disperde a<br />

causa di un guasto del computer che conservava<br />

il plasma liquido, dove appunto<br />

era immersa. Vengono esposte tre possibili<br />

evoluzioni: in Gerontocrazia si prevede<br />

il potere agli anziani, in Scum, ispirato<br />

a uno scritto di V.J. Solanas (1936-1988),<br />

Society for Cutting Up Men, si enuncia la<br />

presa di potere da parte delle donne, mentre<br />

in Girotondo sono i bambini con la loro<br />

immaginazione ad assegnare le nuove direttive.<br />

Musicalmente l’album non risente<br />

del nuovo assetto triangolare, anzi con<br />

l’aggiunta artisti da diversi ambienti musicali,<br />

assume una sonorità diversa e contemporanea:<br />

i fratelli baschi Anton e José<br />

Arze, esperti di txalaparta… il percussionista<br />

londinese Paul Lytton, paragonabile<br />

oggi a un Aphex Twin del suono elettronico<br />

e acusmatico… il sassofonista Steve<br />

Lacy, eclettico della nuova scena jazz… la<br />

ritmica formata da un giovane funkettaro<br />

lisergico, Hugh Bullen, e dal virtuoso<br />

batterista Walter Calloni (al tempo diciottenne).<br />

Davvero infuocato il risultato! Non<br />

manca la vena avanguardista e rumoristica:<br />

in Evaporazione c’è il tubo corrugato<br />

di Eugenio Colombo con Paolo Tofani<br />

impegnato con un rasoio elettrico; uno<br />

strumentale con Diforisma urbano, suonato<br />

da una formazione allargata con Tavolazzi,<br />

Bullen, Calloni e Lacy che si vanno<br />

a unire al trio base. Gerontocrazia perfora<br />

la mente dell’ascoltatore e fa entrare nella<br />

parte centrale del concept di MALEDET-<br />

TI. Il fitto intreccio ritmico è basato sulle<br />

percussioni dei fratelli Arze e sulla batteria<br />

di Capiozzo che, vista la presenza di Tavolazzi,<br />

ricostruisce la formazione storica. Lo<br />

stesso quintetto base è quello che salva su<br />

nastro Scum, durissimo attacco al genere<br />

maschile impostato su un testo omonimo<br />

dell’attivista Valerie Solanas, che tentò anche<br />

di assassinare Andy Warhol a colpi di<br />

pistola. Poi come dimenticare Il massacro<br />

di Brandeburgo numero tre in sol maggiore,<br />

eseguito da un quartetto da camera,<br />

però impegnato in un attacco concettuale<br />

contro l’estetica classica e i suoi dogmi<br />

classici (con tanto di note in copertina). Il<br />

capolavoro si chiude con Giro, giro, tondo<br />

e con Caos (parte seconda). Quest’ultima<br />

è un’improvvisazione, riproposta nel famoso<br />

concerto all’Università Statale di<br />

Milano, immortalato sull’album EVENT<br />

’76. Il concetto base di questa lunga improvvisazione,<br />

eseguita da Stratos, Tofani,<br />

Fariselli, Lacy e Lytton, prevede improvvisazioni<br />

individuali contemporanee basate<br />

sugli stati d’animo descritti in foglietti volanti<br />

che di volta in volta girano tra i musicisti.<br />

Per chiarire meglio: ogni musicista<br />

ha cinque foglietti che deve obbligatoriamente<br />

cambiare ogni 180 secondi e in<br />

base al biglietto che trova, improvvisare<br />

indipendentemente dagli altri.<br />

Milano, Vigorelli, 1974.<br />

Paolo Tofani, 1974<br />

(foto Archivio Cramps).<br />

Ares Tavolazzi,<br />

Parco Lambro 1976<br />

(foto Roberto Masotti).<br />

È un album in cui si nota l’ennesimo mutamento<br />

stilistico da parte dei musicisti:<br />

c’è la vena jazz-rock, le qualità tecniche<br />

di Capiozzo, Tavolazzi e soprattutto del<br />

maestro Fariselli, c’è la fusion zappiana di<br />

Giro, giro, tondo. MALEDETTI è uno dei<br />

dischi più ricchi degli Area, materiale prezioso<br />

per tutti noi musicisti maledetti.<br />

5<br />

THE TURNING POINT<br />

1978 GLI DEI<br />

SE NE VANNO<br />

GLI ARRABBIATI<br />

RESTANO!<br />

4/1978<br />

Ascolto ASC 20063<br />

Il bandito del deserto<br />

Interno con figure e luci<br />

Return From Workuta<br />

Guardati dal mese vicino all’aprile!<br />

Hommage a Violette Nozières<br />

Ici on Dance!<br />

Acrostico in memoria di Laio<br />

“FFF” (festa, farina e forca)<br />

Vodka Cola<br />

Testi: Area – Musiche: Stratos, Fariselli,<br />

Tavolazzi, Tofani<br />

Prima edizione distribuita dalla CGD.<br />

Giulio Capiozzo: batteria, balafon<br />

Patrizio Fariselli: piano acustico,<br />

organo, sintetizzatori (Arp, Pro-soloist,<br />

Polymoog, Odyssey, Omni)<br />

98


DEMETRIO STRATOS - AREA<br />

Ares Tavolazzi: basso elettrico, basso<br />

acustico, chitarra acustica, mandola,<br />

trombone, tromba<br />

Demetrio Stratos: voce, organo,<br />

ocarina, sintetizzatori (Aro, Omni), piano<br />

elettrico<br />

Meccanico del suono: Allan “Beep” Goldberg<br />

– Studio: Sciascia Sound, Rozzano/<br />

Milano – Designers: Studio Lapis – Fotografo:<br />

Cesare Monti<br />

questo punto del mio viaggio con gli<br />

A Area, devo frenare un attimo e respirare,<br />

così da condividere una cosa con voi<br />

lettori. Dopo sette anni di lavoro in Cramps<br />

Music srl posso dire di avere ricevuto dal<br />

catalogo storico (Cramps Records) una<br />

spinta culturale non indifferente. Il giovane<br />

Alfred Tisocco e Frankenstein (nome<br />

storico-astratto che identifica il demanio<br />

culturale del marchio verde) hanno alimentato<br />

– lavorando assiduamente per il<br />

riordino dell’archivio – la mia crescita di<br />

musicista e di difuorista – come direbbe<br />

il Gran Genio Sassi: rock alternativo,<br />

progressive italiano, avanguardia, arte<br />

contemporanea, fluxus. Come ben sapete<br />

GLI DEI SE NE VANNO E GLI ARRABIATI<br />

RESTANO! – purtroppo – non è un disco<br />

Cramps Records e questo piccolo particolare<br />

non mi ha mai permesso di condividere,<br />

promuovere, parlare, ristampare<br />

alcun suo contenuto. Quindi permettetemi<br />

di vivere questa parte della recensione<br />

con un trasporto inconsueto. A mettersi in<br />

luce in questo singolare ensemble è soprattutto<br />

il cantante, le cui sperimentazioni<br />

vocali e uso innovativo del testo scritto<br />

non hanno eguali. Demetrio sviluppa una<br />

competenza vocale straordinaria, che<br />

comprende l’uso di diplofonie e armonici<br />

vocali, maturati con il suo disco da solista<br />

CANTARE LA VOCE e attraverso l’esperienza<br />

artistica con John Cage. Le sue<br />

inflessioni mediterraneo-mediorientali e<br />

per la musica sperimentale erano già state<br />

rese note. Le canzoni diventano brevi e<br />

poco significative, ma esaltano l’improvvisazione<br />

portandola alla esasperazione<br />

(Vodka Cola). Inevitabilmente – per la<br />

spiccata sensibilità di Capiozzo e Tavolazzi<br />

– si intuisce un mood jazz più marcato<br />

(Guardati dal mese vicino all’aprile!)<br />

ma che non riesce comunque a snaturare<br />

il marchio di fabbrica del gruppo. Inevitabile<br />

invece la mancanza dell’effetto-Tofani<br />

(uno dei più sottovalutati geni italiani<br />

dello strumento) e dei testi di Gianni Sassi<br />

& Company. Comunque il collettivo Area,<br />

anche se vestito da festa, rimane sempre<br />

una band compatta e incazzata. Con Il<br />

bandito del deserto si apre certamente<br />

un mondo nuovo: il fretless di Tavolazzi,<br />

il tasto arabo di Fariselli, il drumming tunisino<br />

di Capiozzo, il sorriso sicuro, quasi<br />

vendicativo mujahidin di Stratos. Il resto<br />

del disco? Una mitragliata creativa senza<br />

eguali. Insegue Interno con figure e luci,<br />

brano fusion-strumentale dove Ares Tavolazzi<br />

si trasforma in Jaco Pastorius. Return<br />

to Workuta è brano più di effetto che<br />

d’importanza letteraria. Hommage a Violette<br />

Nozieres è rivista come la versione<br />

meno anarchica e sovversiva di Gioia e<br />

rivoluzione. Il divertente Ici On Dance!<br />

è quasi un dance remix personalizzato<br />

per dimostrare in un teaser tutte le loro<br />

capacità di musicisti inimitabili. Risponde,<br />

invece, con riferimenti colti e sapienti<br />

il brano Acrostico in memoria di Laio.<br />

Un originale omaggio al testo classic, al<br />

simbolismo, al linguaggio parlato, alla<br />

psicanalisi, al teatro artaudiano. Tutto<br />

impreziosito dal genio creativo di Stratos<br />

e dal sonoro drumming dell’indimenticabile<br />

Capiozzo (FFF), il più massiccio tra i<br />

batteristi italiani, che dalla fusion passa al<br />

jazz più Bop. La cosa più impressionante<br />

in questo disco è senza dubbio il vigore<br />

e il pathos dei musicisti pur sapendo che<br />

quello che stavano incidendo sarebbe stato<br />

l’ultimo lavoro insieme.<br />

Palazzina Liberty<br />

di Milano. Accanto<br />

gli Area con Massimo<br />

Urbani al sax, che tra<br />

la fine del 1973<br />

e l’inizio del 1974 prova<br />

con loro ma le strade<br />

non sono conciliabili.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 99


NCCP<br />

Voci e suoni<br />

del mondo<br />

TRA I GRANDI FENOMENI DELLA NOSTRA CULTURA MUSICALE,<br />

LA NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE È UNO DEGLI<br />

ESEMPI PIÙ FULGIDI DI UN MATRIMONIO ARTISTICO CELEBRATO<br />

SUGLI ALTARI DEL SACRO E DEL PROFANO. ASCOLTIAMO LE<br />

STORIE RACCONTATE DA ALCUNI ELEMENTI CHE HANNO<br />

CREATO LA LEGGENDA DI QUESTO GRUPPO SENZA TEMPO:<br />

EUGENIO BENNATO, PEPPE BARRA, GIOVANNI MAURIELLO,<br />

PATRIZIO TRAMPETTI E FAUSTA VETERE.<br />

testo: Franco Vassia<br />

Miscelando la tradizione popolare con la<br />

musica classica e la ricerca etnica con il<br />

rock, l’ensemble ha saputo rimodellare la<br />

nostra storia abbellendola con maschere,<br />

cipria, teatro, istinto ma soprattutto con un<br />

variegato ventaglio di eccellenti vocalità.<br />

Acqua e lava, acciaio e rugiada, ferro e fuoco,<br />

sole e tempesta. Forgiata da Roberto De<br />

Simone ed edificata con i più grandi talenti<br />

delle scena partenopea (Eugenio Bennato,<br />

Carlo D’Angiò, Giovanni Mauriello, Peppe<br />

Barra, Patrizio Trampetti e Fausta Vetere),<br />

la N.C.C.P. può essere considerata tra gli<br />

esempi più significativi di quel decennio<br />

che – tra la fine dei 60 e gli inizi dei 70 –<br />

sembrava soffiare aria nuova nei polmoni<br />

di un possibile e nuovo Rinascimento.<br />

Eugenio Bennato<br />

Come nacque l’alchimia vocale<br />

della N.C.C.P.?<br />

Nel 1969 io e Carlo D’Angiò, amici da sempre<br />

e per sempre, fondammo la Nuova<br />

Compagnia di Canto Popolare a Bagnoli,<br />

periferia operaia di Napoli. L’idea nacque<br />

dopo uno spettacolo musicale dal titolo Gospel<br />

Time che ci vide impegnati nello scegliere<br />

melodie e versi del filone afroamericano<br />

dello spiritual, caratterizzato dall’intreccio<br />

di più voci e dall’andamento ritmico<br />

marcato e travolgente. Carlo, Eugenio,<br />

Gabriele, Lucia, Mario, Claudio, insieme<br />

nell’entusiasmo di una nuova generazione<br />

alla scoperta del mondo. Dal sud dell’Alabama<br />

e del Mississippi al paesaggio arido<br />

di Puglia e Basilicata, da Nobody Knows<br />

The Troubles I’ve Seen a Padrone mio te<br />

voglio arricchire, il passaggio fu naturale e<br />

spontaneo. La N.C.C.P. fu l’assemblaggio di<br />

voci straordinarie, Carlo D’Angiò, Giovanni<br />

Mauriello, Peppe Barra, Patrizio Trampetti,<br />

Fausta Vetere. Quel sound polifonico che<br />

proponeva cinquecentesche villanelle napoletane,<br />

tammurriate vesuviane, ballate<br />

siciliane e ritmi salentini, fu un’alchimia<br />

nuova che conquistò grandi platee, nel clima<br />

del folk revival italiano degli anni 60. Di<br />

quelle voci, quella di Carlo era la più straordinaria,<br />

un mix di potenza e di sensibilità<br />

popolare, di dolcezza e di trasgressione,<br />

che gli permise, fra l’altro, di registrare una<br />

versione della Tarantella del Gargano, rispettosa<br />

del timbro originale del vecchio<br />

cantore Andrea Sacco di Carpino in provincia<br />

di Foggia, ma artisticamente proiettata<br />

verso il futuro. La versione registrata<br />

da Carlo ebbe una inaspettata diffusione,<br />

e divenne sigla di una trasmissione a puntate<br />

dal titolo Garofano d’amore trasmessa<br />

con frequenza settimanale da RadioUno. E<br />

pochi anni dopo, nel 1980, fu ancora Carlo<br />

a veicolare con la sua interpretazione vocale<br />

un brano, questa volta scritto da noi,<br />

che era la sigla di uno sceneggiato televisivo,<br />

destinato a diventare un inno, potrei<br />

dire il più grande successo popolare degli<br />

ultimi decenni, cantato da milioni di ragazzi:<br />

Brigante se more.<br />

La tua voce contribuiva a quella magica<br />

alchimia: a volte calda come il sole<br />

del Mediterraneo altre volte cupa come un<br />

temporale incombente.<br />

Nella N.C.C.P. il mio specifico ruolo era<br />

soprattutto l’attenzione alla ricerca stru-<br />

100


L’interazione tra parte<br />

vocale e strumentale<br />

ha sempre caratterizzato<br />

la NCCP.<br />

mentale, alla scoperta e alla vivificazione di<br />

strumenti abbandonati dal tempo, alla scelta<br />

di un polveroso mandoloncello esposto<br />

tra scintillanti chitarre elettriche nella vetrina<br />

di De Falco a Napoli. Quel mandoloncello<br />

lo acquistai senza esitazioni e tornò<br />

a risuonare dopo decenni di silenzio. E poi<br />

la chitarra battente del grande liutaio calabrese<br />

Vincenzo De Bonis, che continuava a<br />

costruire quello strumento capace di disegnare<br />

a ogni semplice accordo il paesaggio<br />

potente e misterioso del Sud della storia e<br />

della leggenda. Ma contemporaneamente<br />

coltivavo ovviamente la passione per la vocalità<br />

popolare, che oltre alla cifra del canto<br />

«NELLA N.C.C.P.<br />

IL MIO RUOLO ERA<br />

FAR ATTENZIONE<br />

ALLA RICERCA<br />

STRUMENTALE»<br />

EUGENIO BENNATO<br />

a distesa, della voce spiegata ad attraversare<br />

i campi dei contadini o a volare dalla<br />

strada del paesino in alto fino alla finestra<br />

della donna amata, comprendeva anche<br />

un filone più intimo, e per certi versi più<br />

intenso, il canto sommesso dei cantastorie,<br />

l’interpretazione della ballata popolare,<br />

il racconto di storie e personaggi fantastici<br />

o reali. In quel cammino ebbi due punti di<br />

riferimento, due voci che mi attraevano,<br />

pur partendo da mondi apparentemente<br />

distanti. La voce del grande “cantatore”<br />

popolare Matteo Salvatore, che raccontava<br />

della siccità e della povertà della sua terra<br />

di Puglia, e la voce dell’atipico “cantatore”<br />

genovese Fabrizio De André, che solo voce<br />

e chitarra ci trasportava nelle strade di un<br />

epos aulico straordinariamente attuale e<br />

metropolitano, che parlava di re e sudditi,<br />

di ricchi banchieri e di giovani fanciulle in<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 101


NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />

Manifestazione contro l’abrogazione del<br />

divorzio, Palasport di Roma, 1974.<br />

fiore nell’acqua dello stagno. De André mi<br />

riportava al grande George Brassens, figlio<br />

francese di madre emigrata dalla Basilicata,<br />

che con immediatezza vocale ci<br />

introduceva nel suo mondo di reietti e di<br />

diseredati. La ballata popolare la interpretai<br />

prima come studioso di brani scritti da altri,<br />

poi come autore o, se vuoi, come cantautore<br />

di brani che incominciai a scrivere per<br />

affrontare gli argomenti a me cari come<br />

l’identità del Sud, la “questione meridionale”,<br />

il Mediterraneo, la nuova emigrazione,<br />

la coesistenza di popoli e culture<br />

diverse, la sottocultura dell’era televisiva,<br />

la globalizzazione.<br />

Peppe Barra<br />

La voce è lo strumento musicale<br />

per eccellenza. Con la Nuova<br />

Compagnia, e successivamente come solista,<br />

l’hai talmente rielaborata tanto da<br />

farla diventare un tuo segno distintivo.<br />

Non sapevo neppure di avere una bella<br />

voce. L’ho curata, questo sì, attraverso lo<br />

studio, prima in preparazione e poi subito<br />

dopo, quando ho avuto la possibilità di<br />

cantare nel gruppo. Ma prima c’è stato un<br />

grande e scrupoloso lavoro per farla uscire,<br />

per potermi poi preparare alla passione<br />

verso altre voci. La mia è un’eredità<br />

che ho avuto da mia madre Concetta, che<br />

è stata una delle cantanti italiane più popolari.<br />

La mia voce somiglia moltissimo<br />

«PER DE SIMONE<br />

LA MIA VOCE<br />

RAPPRESENTAVA LA<br />

FORZA DI NAPOLI,<br />

DEL VESUVIO»<br />

PEPPE BARRA<br />

alla sua. Mi ricordo che per MO’ VENE,<br />

il disco che vinse la Targa Tenco del ’93,<br />

portammo in sala d’incisione una delle<br />

sue ultime canzoni con l’intenzione di<br />

sovrapporre la mia voce alla sua. Quando<br />

la risentimmo pensammo a un miracolo:<br />

tutti quanti in sala, ascoltandola registrata<br />

a doppia velocità, eravamo convinti di<br />

ascoltare la sua voce. Invece era la mia.<br />

Un fatto che mi colpì profondamente tanto<br />

da cancellarla. Era come se, con quella<br />

registrazione, mamma avesse voluto dirmi<br />

che eravamo ancora un tutt’uno e che<br />

non se n’era andata.<br />

GIOVANNI COCCIA<br />

Nell’economia del gruppo qual era la valenza<br />

della tua voce?<br />

Credo che sia stata quella più potente.<br />

Perché armoniosa e leggiadra era la voce<br />

di Fausta Vetere, dolce e barocca quella di<br />

Patrizio Trampetti. Secondo De Simone,<br />

la mia era quella che più rappresentava la<br />

forza di Napoli, del Vesuvio: il fuoco, il temperamento<br />

del napoletano prorompente, il<br />

guappo.<br />

Una duttilità che, sia in ambito musicale<br />

che teatrale, ha saputo valorizzare e<br />

amplificare la tellurica Tammurriata nera,<br />

opere di culto quali La gatta Cenerentola<br />

o La cantata dei pastori… Interpretazioni<br />

geniali ed estrose in grado di ribaltare gli<br />

stessi canoni, i dialoghi, gli spartiti…<br />

Tutto quanto è iniziato quasi per gioco<br />

perché, per divertire gli amici, da ragazzo<br />

mi piaceva cambiarne le tonalità. Con<br />

la Nuova Compagnia mi sono dedicato<br />

a sperimentare con la voce, così come<br />

nel teatro, dove spesso riuscivo a fondere<br />

due personaggi in uno solo: l’uomo o<br />

la donna. Una particolarità che ho avuto<br />

fin dal mio primo teatro, quello dell’avanspettacolo,<br />

il varietà, dove con mamma<br />

cantavo i duetti. E cambiavo voce, facevo<br />

quella del bambino e della vecchia,<br />

quella dell’uomo e della donna. Cose che<br />

nascono dall’unione e dal divertimento<br />

condiviso con i maestri d’orchestra con<br />

i quali ho lavorato per tanti anni. Con De<br />

Simone ci stuzzicavamo nel fare queste<br />

cose e, se ci divertivamo, le fissavamo<br />

per poi darle successivamente al pubblico.<br />

Tranne le nacchere non suono nessun<br />

altro strumento perché, in realtà, sarebbe<br />

stato sprecato. Una scelta che ha liberato<br />

la mia voce e anche le mie mani, perché<br />

queste agissero insieme al corpo.<br />

Giovanni Mauriello<br />

La voce è un dono divino?<br />

Certo che lo è! Con estrema sincerità<br />

posso dire che la mia voce è un dono<br />

divino perché tutto il mio percorso artistico<br />

è iniziato grazie a lei. Avevo 12 anni ed ero<br />

in collegio a Bagnoli quando, un mattino,<br />

un istitutore del collegio, Giacomo Caridi –<br />

che era anche il maestro di musica di Edoardo,<br />

Eugenio e Giorgio Bennato – chiese<br />

chi di noi sapesse cantare. Alzai la mano<br />

tra lo stupore generale, non perché convinto<br />

di essere bravo ma per una strana forma<br />

di curiosità. Un gesto istintivo che fu presto<br />

premiato: dei 10 ragazzi scelti, rimasi<br />

soltanto io. Eravamo negli anni 50 e la mia<br />

attenzione non era rivolta esclusivamente<br />

alla musica leggera di quegli anni, ma soprattutto<br />

verso il repertorio classico napo-<br />

102


NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />

Su ogni palco la Nuova<br />

Compagnia si trovava<br />

a proprio agio: dote rara.<br />

letano, quello decisamente più lirico. Tra i<br />

miei artisti prediletti c’era il famosissimo<br />

Mario Del Monaco, un tenore che, con la<br />

sua possente voce, riusciva a trasmettermi<br />

sensazioni bellissime. Così, nonostante la<br />

mia voce fosse piuttosto esile, per cercare<br />

di imitarlo riuscivo a trasformarla al punto<br />

tale da cambiarne anche la modulazione<br />

che non era più quella di un adolescente<br />

ma di un adulto. Una particolarità che per<br />

qualche tempo mi ha permesso di ricoprire<br />

il ruolo di cantante dei Merry Boys, il<br />

gruppo musicale del collegio. Fu così che,<br />

partecipando ai vari festival che si svolgevano<br />

nei dintorni, cominciammo a farci<br />

conoscere anche al di fuori del collegio. Fu<br />

in occasione di uno spettacolo organizzato<br />

al teatro Mediterraneo di Napoli per i dipendenti<br />

dell’Italsider, che conobbi Eugenio.<br />

Diventammo amici fin dal primo momento.<br />

Era la prima metà degli anni 60 e<br />

la Nuova Compagnia cominciava a gettare<br />

i suoi semi: con me c’erano Carlo D’Angiò,<br />

Eugenio Bennato, Lucia Bruno, Mario Malavenda,<br />

Claudio Mondella e, soprattutto,<br />

Roberto De Simone.<br />

L’alchimia perfetta<br />

tra voci, strumenti<br />

e teatralità.<br />

La Nuova Compagnia,<br />

la particolarità<br />

delle sue voci…<br />

La particolarità della Compagnia, sin dal<br />

primo momento, è stata la caratteristica<br />

delle sue voci: tenore, baritono, mezzo soprano<br />

e basso. Gli strumenti erano la chitarra<br />

e la fisarmonica. Il grande successo<br />

degli esordi non era dovuto soltanto alla<br />

musica popolare che, in quel periodo, rappresentava<br />

una rottura con la musica imperante,<br />

quanto alla particolarità delle voci.<br />

Qualsiasi cosa cantassimo, la facevamo<br />

sempre a più voci. Un valore aggiunto, se<br />

vogliamo, alla teatrale gestualità napoletana.<br />

In quel periodo cantavo con una voce<br />

che potrei definire “ingolata”: fu il maestro<br />

De Simone a consigliarmi di cantare in<br />

modo naturale. Perplesso dalla sua richiesta<br />

e tormentato da un’inaspettata insicurezza,<br />

gli chiesi: “Perché? Con questa voce<br />

non vi piaccio?”. E lui: “No! Anzi… Penso<br />

però che la tua voce naturale sia ancora più<br />

bella”. Lo ascoltai e, con infinita gratitudine,<br />

mi accorsi che cantando in modo naturale<br />

non mi stancavo neppure. Aveva ragione<br />

il maestro: la mia voce era più bella, particolare<br />

e piena di armonie. Da lì è iniziato il<br />

periodo più bello della mia carriera. E una<br />

voce che oggi, a 72 anni, resiste ancora<br />

all’usura del tempo.<br />

Patrizio Trampetti<br />

La tua è la voce dolce e barocca<br />

della N.C.C.P.<br />

Ho cantato per la prima volta su un palcoscenico<br />

a 11 anni, appena 20 giorni dopo<br />

la morte improvvisa di mio padre. Ero un<br />

ragazzo timido e mingherlino, ma capii<br />

da solo che quella poteva essere non solo<br />

il superare il dolore che avevo dentro ma<br />

anche una probabile strada da seguire in<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 103


NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />

futuro. Cantai al teatrino del convento dei<br />

Frati Francescani al Vomero, il mio quartiere,<br />

e una settimana dopo nel giornalino<br />

della Parrocchia uscì, nella recensione<br />

dello spettacolo, un “occhiello” che parlava<br />

di me: “La voce era infantile e insicura ma<br />

singolare, spinta da una forza poco comune,<br />

un soffio che non finiva mai di espandersi.<br />

Il ragazzo attaccò la seconda strofa<br />

molto piano e risalì progressivamente, tenendo<br />

la nota e facendola vibrare. La gente<br />

rispose con un mormorìo di approvazione”.<br />

Quasi una voce dell’anima…<br />

Che per me esiste ed è l’unica che riconosco.<br />

Cantare non è un esercizio di stile,<br />

la voce non la devi sentire dal di fuori ma<br />

dentro di te. Non importa se è un soffio o<br />

un fastidioso fragore come un martello<br />

che batte sull’incudine. Soltanto così puoi<br />

trasmettere un’emozione a chi ti ascolta,<br />

soltanto così puoi arrivare al cuore della<br />

gente. Un concetto di certo romantico e<br />

molto lontano dal pragmatismo della vita<br />

quotidiana, talmente dura e spietata anche<br />

in una dimensione a prima vista impalpabile<br />

e innocua come può essere il canto.<br />

Canto che non ho studiato, privilegiando<br />

invece la chitarra classica con il maestro<br />

Eduardo Caliendo che poi, tra l’altro, era<br />

anche il chitarrista dell’ANTOLOGIA DEL-<br />

LA CANZONE NAPOLETANA di Roberto<br />

Murolo. Ricordo ancora quando mi portava<br />

in sala di registrazione, nell’allora, per me<br />

ragazzino, mitica Vis Radio a Mergellina.<br />

Forse è lì che ho un po’ imparato a cantare<br />

o forse l’ho rubato dal canto delle Sirene.<br />

Fausta Vetere<br />

…è la voce femminile della N.C.C.P.<br />

È stato grazie a Roberto De Simone,<br />

che ho conosciuto in RAI, dove ero la<br />

protagonista settimanale di un programma<br />

per ragazzi di tantissimi anni fa, i primi<br />

anni 70. Quando mi ha proposto di entrare<br />

a far parte della Nuova Compagnia di Canto<br />

Popolare ho provato un senso strano,<br />

quasi una doccia fredda, perché avevo una<br />

cultura un po’ vaga della musica folk. Brani<br />

internazionali come Malagueña, qualche<br />

ballata francese, ma non avevo assolutamente<br />

conoscenza di quello che potesse<br />

essere un repertorio popolare o popolaresco<br />

campano. Per cui rimasi un po’ perplessa<br />

e questa perplessità gliela dimostrai<br />

pure. Lui mi disse: “Non ti preoccupare,<br />

perché ti farò partecipare alle mie ricerche<br />

e andremo nei posti dove questi balli<br />

sono nati. Ti renderai conto della bellezza<br />

di questa musica e di quanto sia parte della<br />

nostra cultura”. Fu così che lo seguii nelle<br />

varie feste popolari, nei collettivi e nelle<br />

riunioni culturali dedicate non necessariamente<br />

a madonne o santi dei vari paesi. Un<br />

passo non indifferente che mi ha allontanata<br />

da quel che fino ad allora era stato il<br />

mio percorso. Mi ero diplomata in conservatorio,<br />

avevo seguito particolari studi sul-<br />

«LA VOCE SI PERDE<br />

QUANDO NON HAI<br />

COSCIENZA DI CIÒ<br />

CHE STAI FACENDO»<br />

FAUSTA VETERE<br />

104


NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE<br />

la voce, sulla respirazione, sul vocalismo<br />

puro e pulito, ma tutto ciò non bastava a<br />

dimostrare che il bel canto era soprattutto<br />

un tipo di espressione, una purezza di<br />

suono. Mi sono lasciata andare perché,<br />

quando ho cominciato a cantare canzoni<br />

popolari come Donna ’Sabella o qualche<br />

villanella, avevo la sensazione che la mia<br />

voce non reggesse, non avevo più un’identità.<br />

Cambiando completamente il mio stile<br />

vocale ero andata in tilt. D’altro canto ne<br />

ha guadagnato però moltissimo la ricerca.<br />

Mi ha fatto capire che il bel canto, anche<br />

se fine a se stesso, ti permette un modo di<br />

espressione e di divulgazione ma non di<br />

stile. Non era più quel che avevo ricercato<br />

fino ad allora. Avevo capito che il canto popolare<br />

si accompagnava a un rituale e che<br />

questo rituale doveva far parte di me. Per<br />

poter esprimere quel che volevo dovevo<br />

crearne uno tutto mio. Quando ho capito<br />

questo mi sono lasciata andare e la voce<br />

arrivava senza alcun problema. Per non<br />

stancarmi eccessivamente usavo la tecnica,<br />

la stessa che avevo imparato al conservatorio.<br />

Il canto aveva raggiunto una sua<br />

validità senza i problemi vocali che avevo<br />

avuto agli inizi perché c’è una cosa che è<br />

bene chiarire: molti cantanti si lamentano<br />

perché ogni tanto perdono la voce. La voce<br />

si perde quando non si ha la dimensione di<br />

quel che si fa, quando non hai la coscienza<br />

di quel che in quel momento stai facendo.<br />

Ma se pensi che di fronte a te c’è un pubblico<br />

che ti ascolta, la voce va avanti forse<br />

anche afona, vibrata dall’emozione, ma<br />

va avanti. Infatti, quando andavo a vedere<br />

queste feste popolari, non mi spiegavo<br />

perché vecchiette di ottant’anni ostentavano<br />

una voce straordinaria. E mi domandavo:<br />

“Ma come? Così giovane e fresca di<br />

studi io perdo la voce e loro invece niente?”.<br />

Cantavano così, senza studio, senza<br />

niente e, nonostante tutto, riuscivano a<br />

esprimere le emozioni più profonde.<br />

correvano fra di noi. E, questa, era una cosa<br />

molto importante perché, oltre ai rapporti,<br />

conosceva perfettamente i pregi e i difetti<br />

di ciascuno di noi. Era lo psicanalista della<br />

N.C.C.P. e, piano piano, senza alcuna invadenza,<br />

riusciva a entrare in ognuno di noi<br />

Una immagine di fine<br />

anni 90 di Eugenio<br />

Bennato, sopra Fausta<br />

Vetere nel 1976<br />

a un concerto romano<br />

per Democrazia<br />

Proletaria.<br />

GIOVANNI COCCIA<br />

Che spazio ti sei ritagliata nel contesto<br />

della N.C.C.P.?<br />

Nel gruppo eravamo sei personalità completamente<br />

diverse. De Simone aveva<br />

capito una cosa perché, in questo, era<br />

veramente un mago. Come soggetti ci<br />

scambiava anche psicologicamente e, con<br />

arguzia, lavorava sulle relazioni che interper<br />

valorizzare al meglio il nostro carattere<br />

musicale. Un esempio è quello di Peppe<br />

Barra, la cui personalità sovrastava anche<br />

la mia immagine e, nel quale, ha intravisto<br />

la matrigna della Gatta Cenerentola.<br />

Nella sua preponderante irruenza, a volte<br />

fin troppo mascolina, era riuscito a stanare<br />

anche il suo carattere femminile. Questo<br />

era il grande disquilibrio della Nuova<br />

Compagnia: Peppe era donna e uomo, così<br />

come, in Trampetti, era riuscito a valorizzarne<br />

la dolcezza e l’innocenza. Patrizio<br />

era il sognatore per eccellenza, quello che<br />

cantava le villanelle d’amore. Aveva una<br />

voce affascinante, delicata e molto beat,<br />

perché era il più beat fra tutti noi. Un termine,<br />

all’epoca, usato per indicare una<br />

persona che cantava in maniera più moderna,<br />

più attuale. E poi c’era il carattere<br />

impulsivo e quasi insolente di Giovanni<br />

Mauriello, il Masaniello che chiamavamo<br />

“’o pazzo” perché faceva delle cose molto<br />

istintive. Giovanni non aveva alcun tipo di<br />

cultura musicale alle spalle ma possedeva<br />

un carattere talmente forte tanto da imparare<br />

le cose a memoria. E poi c’era Eugenio<br />

Bennato, quello che aveva le maggiori doti<br />

interpretative, musicali e creative e che,<br />

con grande professionalità, cercava di trasmetterle<br />

al gruppo. Questo eravamo, e De<br />

Simone ci conosceva perfettamente e sapeva<br />

benissimo quel che eravamo in grado<br />

di dare. Non facevamo prove sulla vocalità,<br />

le facevamo sul brano, ne curavamo l’interpretazione.<br />

La scoperta delle villanelle<br />

è stata una vera bomba perché nessuno<br />

le conosceva perché i tedeschi, trafugandole<br />

dalle nostre biblioteche, le avevano<br />

portate in Germania. Un patrimonio che è<br />

tornato alla luce grazie alle ricerche di Roberto<br />

De Simone. Non sapevano né come<br />

si cantassero, a quante voci, né come si<br />

interpretassero. Abbiamo dovuto lavorare<br />

sulla scrittura e, successivamente, sul vocalismo<br />

a tre e a quattro voci. È stata una<br />

ricerca strumentale, vocale e interpretativa.<br />

Ciascuno di noi aveva il suo compito: io<br />

cantavo le villanelle dedicate a donne della<br />

storia del 500; Trampetti quelle d’amore;<br />

Peppe, sfruttando il suo carattere a cavallo<br />

tra l’ironico e il cattivo, quelle un po’ più<br />

licenziose e orgiastiche. Giovanni, invece,<br />

era bravissimo a interpretare le moresche,<br />

le danze dei Mori.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 105


FOTO RICCARDO PICCIRILLO<br />

«IL CANTO<br />

È PASSIONE,<br />

STRADA, MEZZO<br />

E ARMA CREATIVA<br />

PER COMUNICARE»<br />

LINO VAIRETTI<br />

106


Vairetti-Osanna<br />

Rapporto speciale<br />

LINO VAIRETTI, NAPOLETANO E ANIMA DEI PROGRESSIVI<br />

OSANNA, HA UN RAPPORTO MAGICO CON IL PIANETA VOCE,<br />

FATTO DI RICERCA DEL <strong>SUONO</strong> GIUSTO E DI RISCOPERTA<br />

DELLA TRADIZIONE.<br />

testo: Guido Bellachioma<br />

Hai studiato canto?<br />

Ho studiato canto lirico un solo anno a Napoli;<br />

avevo già diciassette anni e decisi di<br />

studiare. Intanto mi ero approcciato al rock,<br />

al blues, al soul e avevo nuovi riferimenti<br />

musicali: Rolling Stones, Beatles, Kinks e<br />

tutta la scena del rock inglese, ma anche<br />

il r&b di Wilson Pickett o di Otis Redding.<br />

Il mio idolo era diventato Steve Winwood<br />

che militava, già ragazzino, con lo Spenonostante<br />

sia in pista già dal<br />

finire degli anni 60 (Volti di<br />

Pietra) e nella decade successiva<br />

abbia raggiunto successi<br />

notevoli con gli Osanna (collaborando<br />

con il M° Bacalov per la colonna sonora<br />

del film Milano calibro 9), contribuendo<br />

anche agli esordi di Pino Daniele, Lino Vairetti<br />

non ha mai perso la voglia di manipolare<br />

emozioni attraverso la musica, in cui<br />

la voce è uno degli strumenti principali. Gli<br />

Osanna sono ancora in pista e negli ultimi<br />

due anni hanno prodotto opere notevoli:<br />

PALEPOLITANA del 2015 e PAPE SA-<br />

TAN ALEPPE del 2016 (il primo propone<br />

sia brani inediti che la proposizione della<br />

partitura originale di PALEPOLI; il secondo<br />

è un live con brani storici degli Osanna,<br />

l’inedita title track e alcuni omaggi a Guccini,<br />

Banco, PFM, Area, Alan Sorrenti, Guccini/Equipe<br />

84, in cui sono presenti Jenny<br />

Sorrenti dei Saint Just Donella Del Monaca<br />

degli Opus Avantra). Le storie di Lino attraversano<br />

la dimensione voce a 360°.<br />

Che tipo di strumento è la voce? Come hai<br />

capito che lo avevi con te?<br />

La voce e le percussioni sono i nostri strumenti<br />

primordiali, usati dagli esseri umani<br />

per comunicare, esprimere le proprie emozioni.<br />

Dall’emissione del primo vagito, poi<br />

i suoni gutturali non ben definiti, fino ad<br />

arrivare all’uso della parola, del linguaggio<br />

verbale, si arriva anche al canto. Io da piccolo<br />

ho capito che il canto sarebbe diventato<br />

la mia passione, la mia strada, il mio<br />

mezzo e la mia arma creativa per comunicare.<br />

Mia madre cantava sempre; lavorava<br />

e cantava con intonazione straordinaria e<br />

mi ha aperto la strada, facendomi superare<br />

qualsiasi inibizione. A dieci anni ero un fan<br />

di Claudio Villa e cantavo Granada, Binario<br />

o Serenata per sedici bionde, ma di lì a<br />

poco rimasi catturato dalla voce di Arturo<br />

Testa (famoso per Io sono il vento), il cui<br />

timbro baritonale e caldo mi affascinava<br />

più di quello da tenore di Villa. Mi piaceva<br />

istintivamente il bel canto e rompevo<br />

le palle a tutti gli abitanti del mio palazzo,<br />

cantando a squarciagola sia in casa che<br />

in cortile. Poi col tempo, attraverso Gianni<br />

Morandi e qualche artista dell’epoca, ho<br />

seguito altre strade, diventando un “figlio<br />

dei fiori”. Sono approdato al beat, folgorato<br />

dalla voce di Maurizio Vandelli dell’Equipe<br />

84. A quindici anni comprai la mia prima<br />

chitarra e, strimpellando alla meno peggio,<br />

feci il mio primo gruppo: The Shades,<br />

capendo subito che la mia vocazione, più<br />

di suonare, era quella di cantare. Di lì a<br />

poco, con Lino Ajello alla chitarra solista,<br />

Enzo Petrone al basso e Carlo Fagiani alla<br />

batteria, formai i Volti di Pietra aprendo le<br />

braccia a quel nuovo fermento musicale<br />

chiamato rock, diventato poi in seguito per<br />

me, attraverso Città Frontale e gli Osanna,<br />

“progressive rock”.<br />

Da sinistra:<br />

ROSSO ROCK (2012),<br />

PALEPOLITANA (2015),<br />

SUDDANCE (1978),<br />

LANDSCAPE OF LIFE (1974).<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 107


LINO VAIRETTI<br />

cer Davis Group. Amavo cantare Gimme<br />

Some Lovin’ e tutti i brani del loro primo e<br />

splendido album (THEIR FIRST LP, 1965).<br />

Il mio maestro di canto, scoprendo i miei<br />

gusti musicali, mi proibì categoricamente<br />

di cantare quella “robaccia”, quel tipo di<br />

musica che lui giudicava negativa e dannosa<br />

per lo studio vocale d’impostazione<br />

classica. Così mi trovai a un bivio e, spinto<br />

dalla mia passione per la musica rock, abbandonai<br />

le lezioni di canto.<br />

Che differenza c’è tra utilizzare la voce,<br />

anche in musica, e cantare?<br />

Utilizzare la voce entra in una sfera più ampia<br />

che riguarda non solo la comunicazione<br />

verbale, ma anche la sperimentazione e<br />

la ricerca sonora e vocale. L’impostazione<br />

vocale si diversifica nelle sue varie rappresentazioni.<br />

Si usa la voce per comunicare,<br />

per parlare, per recitare, per fare conferenze,<br />

per gridare o per sussurrare, utilizzando<br />

la parola o il linguaggio verbale per<br />

descrivere e comunicare un testo, una poesia,<br />

una canzone, una lettera d’amore. Le<br />

sue intonazioni e/o alterazioni, esprimono<br />

e mettono in evidenza la sensibilità, il carattere,<br />

anche la posizione sociale e professionale<br />

di una persona; ne affermano la<br />

sua forza comunicativa, la sua debolezza<br />

e timidezza. Nella ricerca sonora, oltre i<br />

confini della musica, la “voce” come strumento,<br />

come emissione di suoni, è invece<br />

legata alla sperimentazione dei linguaggi<br />

non verbali e alla capacità di trovare, come<br />

nel caso della ricerca di Demetrio Stratos,<br />

una possibile polifonia in un mezzo vocale<br />

che notoriamente è definito monofonico. Il<br />

suono vocale diventa qualcosa di non codificato<br />

e non identificato con ciò che attiene<br />

alla comunicazione tradizionale. In questo<br />

caso specifico, ancor più che nel canto<br />

(che prevede uno studio accurato dell’impostazione<br />

vocale, della corretta articolazione<br />

dei muscoli facciali, dell’estensione,<br />

dell’intonazione, del ritmo, dell’emissione<br />

dei fiati e quant’altro necessario per utilizzare<br />

al meglio la propria voce), concorrono<br />

studi, metodologie e ricerche che prevedono<br />

altri strumenti, sia elettronici che<br />

fisici, alterando e dissacrando spesso, le<br />

tradizionali impostazioni, ben conosciute<br />

e codificate nello studio classico della voce<br />

e del canto. È decisamente un fenomeno<br />

legato alle avanguardie, sempre presenti<br />

in tutte le discipline e in tutte le poliedriche<br />

espressioni artistiche avvenute dalla<br />

preistoria ai giorni nostri e che continueranno<br />

fino alla fine dell’umanità. Il Cantare<br />

(avendo consapevolezza dei propri mezzi<br />

e dei requisiti naturali legati, appunto,<br />

all’intonazione, al ritmo, all’impostazione<br />

nell’uso delle corde vocali e nell’utilizzo<br />

del diaframma per l’emissione del fiato) è<br />

più semplicemente seguire una linea melodica,<br />

sia essa semplice o complessa, ma<br />

comunque ben definita nelle sue altezze<br />

e nel ritmo. Qui concorrono, tuttavia, per<br />

caratterizzare una voce o un cantante,<br />

elementi importanti come il timbro, la dinamica,<br />

l’interpretazione e la capacità di<br />

saper gestire questo mezzo meraviglioso<br />

per comunicare emozioni, siano esse gradevoli<br />

o volutamente sgradevoli. Insomma<br />

siamo di fronte a un mezzo che è fonte di<br />

studio perenne e principale veicolo di comunicazione.<br />

10 voci che ti emozionano e perché?<br />

Escludo, per una scelta personale, alcune<br />

delle voci più famose, sia nella musica<br />

che nel teatro: Caruso, Callas, Robert Plant,<br />

Freddie Mercury, Stevie Wonder e Michael<br />

Jackson, Mina, Barbra Streisand, Carmelo<br />

Bene, Vittorio Gassman. Inserisco, invece,<br />

Lino Vairetti e Gianni<br />

Leone del Balletto<br />

di Bronzo, antichi<br />

compagni in Città<br />

Frontale.<br />

le voci che mi hanno lasciato un segno e<br />

da cui ho attinto grandi insegnamenti per<br />

lo studio della mia vocalità.<br />

Steve Winwood<br />

Senza dubbio una delle mie voci preferite,<br />

che unisce il rock, il blues e il soul. Ha un<br />

timbro meraviglioso, una vocalità straordinaria<br />

e una grande estensione. Davvero<br />

bravissimo ed emozionante.<br />

Mick Jagger<br />

Semplicemente il simbolo assoluto dell’universo<br />

rock. Nessuno più di lui in questo<br />

genere.<br />

Chris Farlowe<br />

Cantante dei Colosseum e Atomic Rooster,<br />

straordinario per le sue capriole e improvvisazioni<br />

vocali. Un grandissimo cantante<br />

e interprete, capace di spaziare tra il rock,<br />

il blues e il jazz.<br />

Roger Chapman<br />

Cantante dei Family, famoso per la voce<br />

roca che metteva i brividi, provocando<br />

sensazioni erotiche e dissacranti.<br />

Demetrio Stratos<br />

Un vero mito, sia per la magnifica voce,<br />

potente e affascinante dai tempi dei Ri-<br />

108


LINO VAIRETTI<br />

belli con Pugni chiusi fino agli Area, che<br />

per la sua sperimentazione e ricerca sulla<br />

vocalità.<br />

Jeff Buckley<br />

Per la voce soave, dolce, ricca di emozioni,<br />

al contempo drammatica e struggente.<br />

Una vocalità ereditata da Tim Buckley, suo<br />

padre.<br />

Al Jarreau<br />

Un vero mago della voce in bilico tra jazz<br />

(sua reale provenienza stilistica e peculiarità),<br />

soul e pop. Dotato di grande ironia,<br />

capacità d’improvvisazione e di un particolare<br />

uso della voce come strumento.<br />

Davvero un cantante eccellente.<br />

Bobby McFerrin<br />

Come Al Jarreau viene dal jazz, non lo definirei<br />

neanche un cantante ma uno strumento<br />

vivente. Possiede una vocalità impressionante<br />

che sfiora le quattro ottave,<br />

un orecchio assoluto e una gestione della<br />

voce e del corpo che lo rendono un One<br />

Man Band senza alcun bisogno di accessori<br />

o strumenti. Un vero acrobata della<br />

voce.<br />

Sting<br />

Splendido cantante, carismatico e moderno.<br />

Un mix di rock storico e vocalità contemporanea.<br />

Timbro ed estensione vocale<br />

di grande fascino.<br />

Annie Lennox<br />

Signora della voce in assoluto per la sua<br />

classe smisurata, per il timbro caldo e<br />

grintoso e per la gestione delle dinamiche<br />

timbriche. Aggiunge alla voce una mimica<br />

facciale straordinaria.<br />

Chi potrebbe prestare la propria voce ai<br />

brani degli Osanna?<br />

Non so rispondere a questa domanda perché<br />

sono troppo coinvolto; tuttavia credo<br />

che la mia vocalità non sia difficile o così<br />

particolare da creare difficoltà a nessuno.<br />

Sicuramente immagino un cantante che<br />

sappia essere in sintonia con la mia musica,<br />

con la mia poetica e con la mia interpretazione.<br />

Forse mio figlio Irvin, che è<br />

negli Osanna odierni, anche se ha gusti e<br />

riferimenti vocali diversi dai miei, potrebbe<br />

essere un mio possibile esecutore, conoscendo<br />

bene il mio modulo interpretativo.<br />

Come è cambiato nel tempo il modo di<br />

registrare la tua voce?<br />

«MI PIACEREBBE<br />

CANTARE<br />

CON ANTONELLA<br />

RUGGIERO O ANNIE<br />

LENNOX»<br />

LINO VAIRETTI<br />

Non è cambiato molto. Da sempre in registrazione,<br />

a parte i microfoni, ho utilizzato<br />

e utilizzo ancora oggi un compressore/<br />

limitatore, tipo Fairchild o gli Avalon e<br />

Tube-Tech, un equalizzatore per meglio<br />

evidenziare il mio timbro vocale… naturalmente<br />

un effetto di echo, riverbero o<br />

delay secondo le esigenze del brano. Ho<br />

iniziato a registrare agli inizi degli anni 70,<br />

con classico Neumann U 87 negli studi di<br />

Bideri a Napoli e della Fonit Cetra a Milano,<br />

e ancora oggi alla Italy Sound Lab di<br />

Napoli (sperimentando altri microfoni professionali<br />

da studio della Rode, dell’AKG<br />

o dell’Audio Technica), spesso e volentieri<br />

ritorno al vecchio Neumann, che è sempre<br />

pronto e disponibile. Ma in fondo preferisco<br />

cantare con i microfoni live come gli<br />

Shure SM58/Beta58, l’Audix OM7 o anche<br />

l’Audio Technica AE5400. In realtà sono<br />

cambiato più io con l’acquisizione di una<br />

maggiore consapevolezza dei miei mezzi<br />

vocali, con l’esperienza, con la ricerca e<br />

lo studio personale intorno alla mia voce.<br />

Oggi, rispetto a ieri, preferisco usare un<br />

timbro più caldo, dove la mia voce si esprime<br />

decisamente meglio, principalmente<br />

legata all’interpretazione dei testi che<br />

scrivo; poi, francamente, riaffermo che<br />

preferisco cantare più in concerto che in<br />

studio. La musica per me si fa dal vivo, la<br />

testimonianza di una registrazione è legata<br />

a un solo momento, che riascoltandolo<br />

cambieresti continuamente.<br />

Gli Osanna al Club<br />

Giardino di Lugagnano<br />

con Donella Del Monaco<br />

e Mauro Martello<br />

degli Opus Avantra.<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 109


LINO VAIRETTI<br />

Usi accorgimenti e microfoni particolari?<br />

Sì, certamente; ho usato e uso accorgimenti<br />

vari. Alla fine degli anni 60 e nei<br />

primi Osanna cantavo con un doppio<br />

microfono, di cui uno passava attraverso<br />

un vecchio Echo Binson ed entrava poi<br />

in alcuni pedali usati per chitarra elettrica,<br />

come un distorsore, un Wah-wah e un<br />

flanger, creando atmosfere legate a momenti<br />

più psichedelici. Solo alla fine degli<br />

anni 70 (periodo dell’album SUDDANCE<br />

degli Osanna, 1978), iniziai a usare, sia dal<br />

vivo che in registrazione, l’Harmonizer<br />

Eventide H949, creando armonizzazioni<br />

in sintonia con la nostra musica. Avendo<br />

una discreta predisposizione all’improvvisazione,<br />

negli anni 80 e 90, per una ricerca<br />

personale, ho sperimentato vari “aggeggi”<br />

e strumenti elettronici per creare<br />

sonorità che mi aiutassero a usare la voce<br />

come uno strumento. Ho provato vari microfoni<br />

midi per pilotare campionatori e<br />

moduli di sintesi strumentale digitali (trovando<br />

sempre una grande difficoltà per la<br />

110<br />

forte latenza, ovvero un certo ritardo nella<br />

trasmissione e la conversione del segnale<br />

fino alla fonte sonora), poi altri strumenti<br />

e pedali per la voce che ho ancora nel mio<br />

studio, quali: DigiTeck Studio Vocalist, TC<br />

Helicon voicelive, DigiTeck Vocal 300,<br />

Boss VE-20 e Loop Sation Boss RC50. Ma<br />

oggi, con una miriade di plug-in inseriti<br />

nelle librerie del computer, si può sperimentare<br />

di tutto. Tuttavia, proprio in questo<br />

momento storico, preferisco utilizzare<br />

la voce lavorando più sulla interpretazione<br />

dei testi, non solo cantando ma anche<br />

recitando.<br />

Sei soddisfatto della tua voce negli album<br />

degli Osanna?<br />

Non sono mai soddisfatto fino in fondo.<br />

Nel primo album, L’UOMO, ricordo la mia<br />

voce intimidita da quello studio storico in<br />

via Meda a Milano, dove avevano registrato<br />

giganti come Mina e Lucio Battisti.<br />

Era inevitabile stare davanti al microfono<br />

con le gambe che tremavano, e io (rispetto<br />

a chi mi fa ancora oggi complimenti<br />

per quel dolce modo di cantare di allora),<br />

ripenso sempre a quella mia timidezza e<br />

insicurezza. Poi il tempo passa, fai esperienza<br />

e diventi più sicuro.<br />

E poi?<br />

Dopo L’UOMO registrammo nel 1972,<br />

PRELUDIO TEMA VARIAZIONI E CAN-<br />

ZONA per il film Milano Calibro 9, ma in<br />

quell’album le parti vocali sono pochissime,<br />

tranne la splendida There Will Be<br />

Time, che Luis Bacalov scrisse proprio<br />

per me. Anche qui avverto una leggera<br />

timidezza ma l’interpretazione mi piace<br />

molto e avverto già una maturità acquisita.<br />

Con PALEPOLI nel 1973, la voce è inserita<br />

come strumento. LANDSCAPE OF<br />

LIFE del 1974, è decisamente più cantato.<br />

La voce è messa in evidenza dalla stessa<br />

scrittura dei brani. Da Fog In My Mind a<br />

Fiume, da Landscape Of Life a Il castello<br />

dell’Es, credo di aver espresso<br />

una buona vocalità,<br />

La maschera inconfondibile<br />

di Lino Vairetti.<br />

sicuramente sempre più matura e sicura.<br />

Sono soddisfatto. EL TOR di Città Frontale<br />

del 1975, decisamente una mia creatura in<br />

tutti i suoi aspetti. La storia, i testi, le musiche<br />

e il canto sono l’esatta espressione<br />

della mia creatività e maturità artistica<br />

di quegli anni. Francamente sono molto<br />

orgoglioso di quel lavoro, registrato con i<br />

giovanissimi Enzo Avitabile e Rino Zurzolo<br />

oltre a Massimo Guarino, Gianni Guarracino<br />

e Paolo Raffone. Nel 1978, i rinati<br />

Osanna (con me, Danilo Rustici, Massimo<br />

Guarino e i nuovi Enzo Petrone e Fabrizio<br />

D’Angelo) pubblicavano SUDDANCE. L’album<br />

abbandona gli stilemi propri del prog<br />

e si avvicina al jazz-rock. Ed è proprio qui<br />

che inizio a sperimentare e usare l’harmonizer<br />

per la voce, destreggiandomi in<br />

particolari vocalizzi con testi in dialetto.<br />

La mia vocalità diventa più sicura e aggressiva,<br />

utilizzando spesso, grazie a un<br />

nuovo entusiasmo, la voglia di osare e<br />

una discreta forza fisica, l’estensione che<br />

non è naturalmente nelle mie corde e nel<br />

mio range vocale. Il risultato mi piace<br />

moltio e sicuramente andrebbe rivalutato<br />

anche per le parti vocali. Nel Dvd TEMPO<br />

(live del 2013 con l’orchestra, registrato<br />

al Teatro Trianon di Napoli, con brani<br />

storici e inediti) credo siano state messe<br />

in evidenza sia la vocalità che le mie doti<br />

di showman. In questo concerto. dove ho<br />

al mio fianco Gennaro Barba alla batteria,<br />

Pako Capobianco alla chitarra, Nello<br />

D’Anna al basso, Sasà Priore alle tastiere,<br />

Irvin Vairetti alla voce e synth e il mitico<br />

David Jackson dei VdGG al flauto e sax,<br />

sono soddisfatto della voce. Infine PA-<br />

LEPOLITANA e PAPE SATÀN ALEPPE,<br />

dove l’uso del dialetto e della napoletanità<br />

è fondamentale.<br />

Il partner ideale per Lino Vairetti a livello<br />

vocale?<br />

Non ho un partner ideale, ma indubbiamente<br />

preferirei una voce femminile per<br />

dialogare meglio su estensioni diverse. Ho<br />

cantato con Brunella Selo, Sophya Baccini,<br />

Jenny Sorrenti, Donella Del Monaco, Antonella<br />

Morea e ultimamente con Fausta<br />

Vetere e Fiorenza Calogero; tutte interpreti<br />

bravissime. Per esplorare una nuova vocalità<br />

a due voci mi piacerebbe cantare con<br />

Antonella Ruggiero o Annie Lennox.


Joe Bonamassa<br />

oltre le 12 battute...<br />

PRENDI LA CHITARRA E VIA… COSÌ IL CHITARRISTA<br />

AMERICANO JOE BONAMASSA PUÒ ESSERE<br />

RAPPRESENTATO. UNA VITA DEDICATA ALLA MUSICA E<br />

CHE SI RIGENERA OGNI GIORNO CON LE DIVERSIFICATE<br />

ESPERIENZE ARTISTICHE. NEL SUO DNA LE 12 BATTUTE DEL<br />

BLUES VENGONO CONTINUAMENTE RIMPASTATE CON<br />

ALTRO, MA ALLA FINE TUTTO RITORNA AL PUNTO DI<br />

PARTENZA… QUEL BLUES CHE SCORRE NELLE SUE VENE,<br />

SIA PURE VIRATO ROCK!<br />

testo: Guido Bellachioma<br />

fa ho deciso, insieme al mio produttore<br />

Kevin Shirley, di riprovare a realizzare un<br />

lavoro tutto di brani originali e così è nato<br />

DIFFERENT SHADES OF BLUE. Stavolta<br />

sono stato così contento del risultato che<br />

ho deciso di proseguire su questa strada.<br />

Il procedimento è stato lo stesso ma volevo<br />

cercare di fare ancora meglio: volevo<br />

scrivere canzoni migliori, raffinare sia gli<br />

arrangiamenti che i testi. Volevo stimolare<br />

me stesso e gli ascoltatori. La cosa bella<br />

è che penso di essermi riconnesso con<br />

il compositore che è in me. Sicuramente<br />

il successo di DIFFERENT SHADES OF<br />

BLUE mi ha aiutato, mi ha dato sicurezza.<br />

Mi ha permesso di lavorare al nuovo<br />

album con maggiore fiducia. Ci sono musicisti<br />

che entrano in studio senza avere<br />

niente di pronto. Compongono tutto in<br />

studio. Per me è una cosa pazzesca… forse<br />

perché provengo dalla vecchia scuola,<br />

quella in cui hai solo diecimila dollari e<br />

quattro giorni di tempo per registrare e<br />

terminare tutto. Quindi cerco di arrivare<br />

in studio il più preparato possibile e registrare<br />

i brani che so già suonare. Se hai<br />

una buona band (e fortunatamente io ho<br />

la migliore band del mondo, con cui non<br />

solo registro in studio ma con cui vado<br />

anche in tour) e se le canzoni sono a posto,<br />

ben definite, se le idee funzionano,<br />

allora è tutto molto semplice. Riusciamo<br />

a registrare due o tre pezzi al giorno. Non<br />

rimane nessuna bonus track, solo gli undici<br />

brani che andranno sul disco, inutile<br />

perdere tempo, bisogna concentrarsi<br />

per ottenere il risultato sperato. È andaescrivere<br />

Joe Bonamassa è<br />

complicato, quasi impossibile<br />

persino per lui, che<br />

su questo argomento è abbastanza<br />

reticente nella sua semplicità<br />

espressiva… quasi timido, mentre sul palco<br />

è sfrontato e deflagrante. Un predestinato<br />

della sei corde, oggi ne possiede<br />

più di cento, che a soli 40 anni (5 maggio<br />

1977, Utica, NY) ha inciso una marea<br />

di “cose” a suo nome… col supergruppo<br />

Black Country Communion… coi Rock<br />

Candy Funk Party… con le straordinarie<br />

cantanti Beth Hart e Mahalia Jackson.<br />

A parte, ovviamente, le apparizioni nei<br />

dischi di altri artisti come Ozzy Osbourne<br />

(Black Sabbath), Joe Lynn Turner<br />

(Rainbow, Yngwie Malmsteen’s Rising<br />

Force, Deep Purple), Walter Trout (John<br />

Mayall’s Bluesbreakers), Lee Ritenour<br />

(Dizzy Gillespie), Leslie West (Mountain),<br />

Carl Verheyen (Supertramp), Jon<br />

Lord (Deep Purple), Europe. E sul palco<br />

non ha lesinato certo le energie sin da<br />

giovanissimo, quando a 12 anni affiancò<br />

la leggenda B.B. King… poi Buddy Guy,<br />

Foreigner, Robert Cray, Ian Anderson,<br />

Stephen Stills, Joe Cocker, Gregg Allman,<br />

Steve Winwood, Paul Jones, Steve<br />

Lukather, Ted Nugent, Warren Haynes,<br />

Eric Clapton, Derek Trucks, Eric Johnson,<br />

Jack Bruce… basta? Mani sporche di<br />

blues… e non solo. Il 23 giugno è uscito il<br />

suo ultimo disco dal vivo: LIVE AT CAR-<br />

NEGIE HALL AN ACOUSTIC EVENING.<br />

Iniziamo a parlare del tuo ultimo album<br />

in studio del 2016…<br />

Penso che BLUES OF DESPERATION sia<br />

un po’ un proseguimento di DIFFERENT<br />

SHADES OF BLUE nel 2014. All’inizio<br />

della mia carriera avevo provato a realizzare<br />

un album composto solo da pezzi<br />

originali, ma non mi è piaciuto per niente<br />

come è venuto fuori. Così mi sono allontanato<br />

da questo tipo di soluzione e ho<br />

perso un po’ di confidenza nelle mie capacità<br />

di songwriter. Finalmente tre anni<br />

La sua produzione<br />

discografica è inarrestabile,<br />

negli ultimi anni ha<br />

pubblicato moltissimi<br />

prodotti-<br />

112


ta esattamente così: abbiamo registrato<br />

due o tre pezzi il primo giorno, due o tre<br />

pezzi il secondo… in due giorni avevamo<br />

già inciso metà album. Se ci sono da fare<br />

alcune sovraincisioni cerco di limitarmi<br />

allo stretto indispensabile. Ad esempio,<br />

le coriste e gli ottoni hanno registrato le<br />

loro parti un mese o un mese e mezzo<br />

dopo. Ma tutte le voci principali sono incise<br />

lo stesso giorno della parte musicale.<br />

E lo stesso è avvenuto per gli assoli… il<br />

theremin, le chitarre acustiche. Le tastiere<br />

le abbiamo lasciate alla fine della settimana,<br />

ci sono volute giusto due o tre ore.<br />

Cinque giorni di lavoro sono stati assolutamente<br />

sufficienti. Abbiamo addirittura<br />

chiuso in anticipo il quinto e il sesto giorno.<br />

Ma non è che siamo andati di corsa…<br />

però Reese Wynans, il tastierista, è uno a<br />

cui basta un take per le sue parti. Magari<br />

può provare un paio di volte, ma poi stop.<br />

Lo stesso è accaduto con Michael Rhodes<br />

(basso) e Anton Fig (batteria), o con Greg<br />

Morrow (batteria). Sono tutti musicisti a<br />

cui basta un take. Sono abituati a lavorare<br />

in questo modo, e così ovviamente i tempi<br />

si accorciano.<br />

Ma è sempre stato così dalla nascita del<br />

rock’n’roll… persino con le boyband di allora,<br />

come i Monkees…<br />

Vero, però anche se prendi i Monkees<br />

erano migliori anni luce dalle boyband<br />

di oggi. I loro dischi venivano registrati<br />

dalla Wrecking Crew [celebre gruppo di<br />

turnisti di Los Angeles che spesso negli<br />

anni 60 registrava al posto degli artisti di<br />

copertina, senza poi apparire nei credits],<br />

e i Monkees non suonavano quasi mai<br />

ma, perlomeno, dovevano cantare e lo<br />

facevano bene. Non per sembrare nostalgico,<br />

ma non riesco a capire come oggi<br />

certe “cose” siano considerate musica. È<br />

incomprensibile che la gente possa interfacciarsi<br />

con questo tipo di produzione<br />

che non prevede nessun coinvolgimento<br />

emotivo nella sua realizzazione. La musica<br />

è qualcosa che mette in contatto le<br />

anime, che suscita emozioni attingendo a<br />

esperienze di gioia, paura, dolore, tristezza.<br />

Ma se ascolti tanti brani in commercio,<br />

sembra cyborg rap… e tutti i cantanti<br />

assomigliano a bambini. Non cantano<br />

con la voce da adulti, ma da adolescenti.<br />

È uno schifo.<br />

Kevin Shirley: undici anni di lavoro insieme<br />

e cinque album in studio… quasi un<br />

complice musicale…<br />

Mi piace fare le cose alla vecchia maniera.<br />

Alcuni dei miei idoli, come B.B. King, ad<br />

esempio, hanno avuto lo stesso manager<br />

per un sacco di tempo: Sid Seidenberg lo<br />

ha seguito per circa 24 anni. Anche io e<br />

Roy Weisman, il mio manager, quest’anno<br />

festeggiamo 25 anni insieme. È un’altra<br />

cosa che oggi ha dell’incredibile. Con Kevin<br />

ci siamo conosciuti nel 2005, quindi<br />

sono già passati undici anni. Prima di lui<br />

ho lavorato con Tom Dowd, Clif Magness,<br />

Bob Held. Un live l’ho mixato io [ride]. Ma<br />

non mi sono mai sentito di poter produrre<br />

i miei dischi. Comunque, era solo per dire<br />

che prima d’incontrare Kevin avevo già<br />

pubblicato altri cinque album. Ora, se pensi<br />

a Tom Dowd, altro mio idolo, e vai a vedere<br />

la discografia degli Allman Brothers<br />

o dei Lynyrd Skynyrd, nei primi album c’è<br />

sempre lui. A loro serviva Tom e a Tom<br />

servivano loro, perché il produttore e l’artista<br />

crescono insieme. Il problema è quando<br />

sei a caccia di qualche hit. Puoi decidere<br />

di utilizzare qualsiasi produttore, ma se<br />

«SONO AMERICANO<br />

MA AMO IL BLUES<br />

REVIVAL INGLESE<br />

DI FINE ANNI 60»<br />

JOE BONAMASSA<br />

La sua grinta è<br />

proverbiale (foto<br />

Marty Moffatt).<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 113


JOE BONAMASSA<br />

cambi in continuazione è difficile dare vita<br />

a un percorso artistico basato su un tuo<br />

sound. Non puoi pensare che se ti piace<br />

un album di qualcun altro la cosa più semplice<br />

da fare sia lavorare con il suo produttore.<br />

Se ti piacciono i dischi dei Rival Sons,<br />

non è sufficiente chiamare David Cobb<br />

per suonare come loro. Sarebbe poco corretto<br />

chiedergli di fare ciò, perché ognuno<br />

ha e deve avere la propria personalità. Al<br />

tempo stesso non bisogna fossilizzarsi.<br />

Kevin Shirley mi stimola in continuazione.<br />

Mi ha proiettato in una dimensione in cui<br />

non sarei mai riuscito a vedermi. Prendi<br />

ad esempio l’ultimo concerto acustico che<br />

ho fatto alla Carnegie Hall di New York.<br />

L’idea era quella di alcuni brani del nuovo<br />

album, poi altri pezzi originali e qualche<br />

cover: quella che avevo scelto io era How<br />

Can A Poor Man Stand And Live, vecchio<br />

pezzo folk che avrà un centinaio d’anni,<br />

nella versione di Ry Cooder, che aveva già<br />

realizzato Pete Seeger. Ero convinto che<br />

avremmo potuto riproporla alla grande.<br />

Kevin mi dice: “Ok, ora ti dico la mia idea<br />

riguardo la possibile scelta. Sei seduto?”.<br />

E mi ha proposto The Rose di Bette<br />

Midler. Sono saltato sulla sedia. Doug<br />

Henthorn, che è un mio grande amico e<br />

un ottimo cantante, aveva registrato un<br />

demo in cui l’aveva abbassata di tonalità<br />

in modo che potessi cantarla. E anche se<br />

non è stato il pezzo più apprezzato della<br />

serata, ha funzionato benissimo come<br />

bis, con il pubblico in piedi ad applaudire<br />

e gente che piangeva. Questo per farti<br />

capire in poche parole chi è Kevin Shirley.<br />

È uno capace di pensare fuori dagli<br />

schemi. All’improvviso i due brani che<br />

mi ha suggerito di mettere in repertorio,<br />

ovvero The Rose e Hummingbird, una<br />

vecchia canzone di Leon Russell che, a<br />

parte B.B. King, non ha mai riproposto<br />

nessuno, hanno avuto un successo pazzesco.<br />

Ecco la genialità di Kevin Shirley.<br />

Mi stimola in continuazione artisticamente,<br />

mi mette anche un po’ in difficoltà<br />

a volte, anche in grande difficoltà,<br />

e mi costringe a essere all’altezza della<br />

situazione. L’ha fatto così tante volte in<br />

questi undici anni in cui siamo cresciuti<br />

insieme, che ora la pensiamo allo stesso<br />

modo. E a questo punto non mi sorprende<br />

più niente. Devo solo fidarmi di lui,<br />

«NON IMPORTA CHE<br />

SALGA SUL PALCO<br />

ACCANTO A ERIC<br />

CLAPTON… RIMARRÒ<br />

COMUNQUE<br />

UN SUO FAN»<br />

JOE BONAMASSA<br />

perché come mi ha detto fin dall’inizio,<br />

l’unica cosa che gli interessa è che artisticamente<br />

io possa avere successo. A<br />

volte mi chiede di cantare cose impossibili,<br />

e io mi rifiuto persino di provarci,<br />

ma sa come stimolarmi quando tendo<br />

a diventare un po’ pigro. Sa però fare un<br />

passo indietro quando si rende conto<br />

che siamo andati un po’ troppo fuori dal<br />

seminato e io non sono a mio agio.<br />

Nella tua musica c’è tanta “roba”… ma gira<br />

che ti rigira si torna sempre al blues… nonostante<br />

i critici ogni tanto storcano la<br />

bocca e cerchino di dire che sei “troppo”<br />

rock… allora spunta un disco acustico<br />

come AN ACOUSTIC EVENING AT THE<br />

VIENNA OPERA HOUSE…<br />

Sono un artista blues, almeno sono considerato<br />

tale. Sono orgoglioso di esserlo.<br />

Ma se ascolti la mia produzione musicale,<br />

direi che un buon cinquanta per cento non<br />

Manifesti dei suoi concerti.<br />

è proprio blues. Forse anche di più. Neanche<br />

il politico più bravo riuscirebbe a convincerti<br />

che si tratta di blues. È un misto<br />

di Americana, hard rock, country music<br />

borderline. Ma non è blues. Non ho mai<br />

voluto andare in una sola direzione, non<br />

mi mette paura fare del blues classico o<br />

suonare più sporco, questo è l’unico modo<br />

per continuare ad amare la musica, evitare<br />

di rimanere intrappolato nelle medesime<br />

cose. Ovviamente non sempre ci si riesce.<br />

Il blues è all’origine di tutto, non a caso lo<br />

trovi nei padri neri o in quelli bianchi del<br />

blues revival britannico di fine anni 60,<br />

come John Mayall e i suoi Bluesbreakers<br />

o nei Led Zeppelin… che nel primo disco<br />

hanno rivisitato i classici per arrivare a un<br />

nuovo suono. E che dire di Rory Gallagher,<br />

l’irlandese dal fuoco sacro del blues? D’altronde<br />

sono americano e il blues è musica<br />

che respiro sin da bambino, anche inconsapevolmente,<br />

ma non posso negare che<br />

la scena del blues revival inglese alla fine<br />

degli anni 60 fosse spettacolare. Proprio<br />

perché amo questa musica senza tempo<br />

cerco di non avere il paraocchi e cercare<br />

un mio linguaggio, pur avendo profondo<br />

rispetto per la sua incredibile storia. Il<br />

blues rappresenta davvero la mia vita e,<br />

mettendoci tutto me stesso, mi permette<br />

di trasmettere le mie emozioni al mondo.<br />

Visto che entrano sempre in ballo queste<br />

114


JOE BONAMASSA<br />

tue influenze “spurie”, non ortodosse per<br />

chi, come te, è considerato la nuova “certezza”<br />

del blues…<br />

Come ho iniziato a dire… chi può discutere<br />

Robert Johnson, T-Bone Walker, Muddy<br />

Waters? Non certo io… però non posso<br />

vergognarmi di dire che ho imparato ad<br />

amare certi brani prima e più nelle versioni<br />

degli artisti inglesi. La visione inglese<br />

del blues probabilmente mi ha cambiato la<br />

vita. Ascoltate la straordinaria I’m Ready<br />

di Willie Dixon suonata dai potenti Humble<br />

Pie di Steve Marriott e Peter Framton…<br />

vera poesia hard-blues. I miei riferimenti<br />

adolescenziali erano poeti della sei corde<br />

come Paul Kossoff dei Free, Peter Green<br />

dei Fleetwood Mac, Eric Clapton dei Cream,<br />

Rory Gallagher dei Taste… e poi Jeff<br />

Beck, specialmente col Jeff Beck Group,<br />

Jimmy Page, anche se i Led Zeppelin non<br />

erano certo solo lui… basti pensare a Robert<br />

Plant alla voce, John Bonham alla batteria<br />

e John Paul Jones al basso. Gli Zeps<br />

sono una delle mie band favorite ed era<br />

tempo che volevo inciderne un brano senza<br />

che fosse uno di quelli scontati, di quelli<br />

che avevano suonato proprio tutti… così<br />

nell’album YOU & ME del 2006 ho incluso<br />

la loro Tea For One da PRESENCE, lavoro<br />

dove la chitarra di Page ha una grande forza<br />

espressiva. Per la voce ho scelto Doug<br />

Henthorn, cantante/chitarrista dell’Indiana<br />

[ha inciso con una buona band progressive-rock,<br />

Pod, poi sciolta per approdare<br />

agli Healing Sixes, più rock blues, e<br />

collabora con John Hiatt, ndr]. Amo molto<br />

pure gli ZZ Top. Nei miei album e concerti<br />

inserisco composizioni degli artisti che<br />

stimo, è un modo per rimanere, nonostante<br />

il successo, un fan della musica e di chi<br />

l’ha composta e suonata… ovviamente cerco<br />

di renderle mie e di non farmi schiacciare<br />

dalla versione originaria, pur rispettandola.<br />

Nella scelta della canzone conta<br />

anche il testo, se mi colpisce e la musica<br />

mi prende, allora posso suonarla come se<br />

fosse mia. Non è una cosa strana… pensa<br />

ai Cream con I’m So Glad di Skip James…<br />

Bonamassa sul palco prima<br />

di un concerto alla Carnegie<br />

Hall di New York<br />

(foto Christie Goodwin).<br />

come se l’avessero ricomposta a modo<br />

loro, pur lasciando gli elementi portanti.<br />

Non importa che salga sul palco accanto<br />

a Eric Clapton… rimarrò comunque un suo<br />

fan, anche se sono contento che la gente<br />

mi accosti a questi straordinari chitarristi.<br />

Penso che pure loro siano stati fan di altri<br />

grandi artisti… è la logica della vita. Mi<br />

chiedono spesso quali siano i miei album<br />

preferiti ma la risposta varia a seconda del<br />

mio umore… però un posto questi quattro<br />

spesso lo trovano: WITH ERIC CLAPTON<br />

di John Mayall, FRESH dei Cream, IRISH<br />

TOUR di Rory Gallagher e TRUTH del<br />

Jeff Beck Group con Rod Stewart. L’artista<br />

americano che più mi ha influenzato? Sicuramente<br />

B.B. King.<br />

Possiamo dire che omaggi il rock-blues<br />

britannico di fine anni 60?<br />

Assolutamente. A volte quando fai così<br />

tante cose diverse come me – ho inciso un<br />

disco di canzoni di Betty Davis con la cantante<br />

australiana Mahalia Barnes (sua corista<br />

anche in BLUES OF DESPERATION<br />

e figlia del leggendario Jimmy dei Cold<br />

Chisel), due dischi con Beth Hart e con lei<br />

presto ne farò un altro, i concerti tributo<br />

a Howlin’ Wolf, Muddy Waters, quelli dedicati<br />

ai tre Re (Freddie, B.B., Albert), gli<br />

album della Black Country Communion,<br />

quelli della Rock Candy Funk Party, un<br />

sacco di ospitate, oltre ai miei album solisti<br />

e due tour acustici – è facile perdere<br />

di vista le proprie qualità. Ricordo che,<br />

dopo aver registrato Mountain Climbing<br />

in BLUES OF DESPERATION, ho detto a<br />

Kevin: “Non per autoincensarmi, ma sono<br />

proprio bravo a suonare il rock blues”. Hai<br />

presente, quel tipo di blues saturo, potente,<br />

che affonda le radici nel periodo che<br />

va dal 1968 al 1974. Mi sono ricordato da<br />

dove provengo, ovvero dall’heavy blues<br />

rock inglese di quell’epoca. Fa parte del<br />

mio DNA, della mia anima. A volte rimane<br />

sotto traccia, nascosto, ma quando emerge,<br />

allora c’è da divertirsi.<br />

Musica… quando componi, quando la incidi<br />

in studio e quando la esegui live sul<br />

palco…<br />

Per me è uguale, è sempre musica, la<br />

mia… sia che l’abbia composta sia che la<br />

esegua solamente; per vivere bene questi<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 115


JOE BONAMASSA<br />

Joe Bonamassa (a destra)<br />

con l’armonicista milanese<br />

Fabio Treves, detto Il puma<br />

di Lambrate.<br />

Hai appena compiuto 40 anni e hai inciso<br />

una marea di dischi…<br />

Sono un tipo curioso e mi piace esplorare<br />

tutto. Avrò tempo per stare fermo quando<br />

mi mancheranno le forze, ora c’è tanto da<br />

fare e non si può dormire sugli allori… fino<br />

a quando non avrò inciso il miglior album<br />

possibile non saprò se avrò tirato fuori il<br />

meglio della mia creatività… e anche allora<br />

ci sarà un altro orizzonte da oltrepassare.<br />

Certo, se abbino ai dischi anche l’attività<br />

live, capisco che gli altri possano chiedersi<br />

come faccio ad andare avanti… solo amore<br />

per la musica… può bastare. E poi l’anno<br />

ha 12 mesi, basta saper gestirsi i tempi di<br />

ogni progetto, qualche volta, però, non è<br />

facile…<br />

tre momenti devi avere un po’ di talento,<br />

altrimenti cambia tutto, ma lo devi sostenere<br />

con il rigore del lavoro, se non studi<br />

sul tuo strumento il talento appassisce e<br />

nei casi più gravi… sparisce. Comunque,<br />

qualcosa dentro lo devi avere naturalmente,<br />

altrimenti come fai a comunicarlo alla<br />

gente? Certo i tre momenti sono diversi<br />

nell’approccio e nel vissuto… comporre e<br />

registrare in studio sono più intimi, puoi<br />

modificare tutto come ti pare, fare 2000<br />

prove di come dovrà essere una frase o<br />

un solo di chitarra o di un altro strumento,<br />

non hai la nozione del tempo che scorre,<br />

quasi mai… mentre quando sei sul palco<br />

hai le persone davanti, tu vivi per le loro<br />

emozioni e loro vivono per le tue, il riuscire<br />

a fonderle è determinante per fare o<br />

meno un buon concerto. Certo è anche un<br />

po’ una sfida con te stesso a fare sempre<br />

meglio, a provare qualcosa che non hai<br />

mai fatto… e dalla reazione del pubblico ti<br />

accorgi se stai andando nella giusta direzione…<br />

ma non devi farti tiranneggiare da<br />

questo rapporto, altrimenti non cambieresti<br />

mai nulla nello spettacolo. Il giudice più<br />

severo di me stesso? Io, sicuramente sono<br />

il meno incline ad assolvermi. Però, che<br />

«AVRÒ TEMPO<br />

PER STARE FERMO<br />

QUANDO MI<br />

MANCHERANNO<br />

LE FORZE, ORA C’È<br />

TANTO DA FARE»<br />

JOE BONAMASSA<br />

sensazione quando abbandoni la sicurezza<br />

del retropalco per uscire allo scoperto…<br />

c’è sempre quella piccola stretta allo stomaco<br />

che ti prende, inevitabilmente… puoi<br />

essere tranquillo quanto vuoi ma quando<br />

sei allo scoperto c’è sempre quella piccola<br />

stretta a ricordarti che la musica comincia<br />

sul serio. Non importa quanto sia grande<br />

e importante il palco, se suoni per 100 o<br />

100.000 appassionati, non ti abbandona<br />

mai. Fortunatamente.<br />

Beth Hart…<br />

Amo SEESAW, il nostro secondo album, e<br />

sono contento della nostra collaborazione.<br />

Una grande cantante che meriterebbe<br />

maggiore popolarità nel mondo, doti incredibili<br />

dal punto di vista umano e artistico.<br />

Diventerà una stella assoluta…<br />

…In effetti bisognerebbe chiederlo ai suoi<br />

compagni nei Black Country Communion,<br />

che si lamentavano, specialmente<br />

il bizzoso Glenn Hughes (ex Deep Purple<br />

e Black Sabbath), della sua scarsa disponibilità<br />

ad andare in tour con loro. Questi<br />

problemi sembra siano stati la causa<br />

deflagrante dello scioglimento della<br />

band, almeno della fuoriuscita di Bonamassa,<br />

che a marzo 2013 ha dichiarato<br />

alla rivista «Premier Guitar»:<br />

“Per quanto mi riguarda il mio coinvolgimento<br />

con la band è giunto al termine, e<br />

vi spiego il perché: originariamente, l’ho<br />

fatto per gli stessi motivi per cui ho realizzato<br />

il progetto con Beth Hart e Rock Candy<br />

Funk Party. Era una scusa per suonare<br />

musica diversa da quella che suono abitualmente.<br />

I primi due album erano una<br />

bomba. È una rock band dalla bravura devastante,<br />

Glenn è un cantante fantastico,<br />

semplicemente uno dei migliori… e poi ho<br />

passato nove settimane in tour nel 2011,<br />

alla fine non è stato affatto divertente. E<br />

non perché non mi piacessero i ragazzi<br />

nella band, semplicemente era “troppo”.<br />

Tutti erano davvero tesi e non è il modo in<br />

cui mi piace andare in tour. Ho una famiglia<br />

di 21 persone con me ogni volta che<br />

parto in tour… e se chiedi a ognuno di loro<br />

chi è quello che gli crea il minor numero di<br />

problemi, rispondono tutti che sono io. A<br />

meno che non manchi la Diet Coke… allora<br />

sarebbe un grandissimo guaio. Ma poi<br />

finisce che vado al supermarket e la compro<br />

da me, quindi…”.<br />

C<br />

M<br />

Y<br />

CM<br />

MY<br />

CY<br />

CMY<br />

K<br />

116


David Byrne<br />

Testa o croce?<br />

33 anni di magie<br />

QUANDO IL SIPARIO SI APRE<br />

– DICE BYRNE – NON C’È PIÙ<br />

MOLTO DA FARE. CON STOP<br />

MAKING SENSE VOLEVO<br />

RACCONTARE UNA STORIA<br />

DEL GRUPPO E<br />

ORGANIZZARE UN<br />

CRESCENDO CHE RENDESSE<br />

IL CONCERTO PIÙ INTENSO E<br />

DRAMMATICO<br />

testo: Paolo Carnelli<br />

rentatré anni fa i Talking Heads<br />

e il giovane regista Jonathan<br />

Demme giravano Stop Making<br />

Sense, concert film destinato<br />

a diventare leggenda. Il progetto sancì<br />

anche la consacrazione del cantante e<br />

compositore David Byrne, non solo come<br />

leader indiscusso della band statunitense,<br />

ma soprattutto come artista eclettico e<br />

geniale, capace di manipolare e miscelare<br />

varie forme di espressione artistica in<br />

maniera assolutamente innovativa…<br />

ono orgoglioso di Stop Making<br />

«SSense, certo. Ma da un certo<br />

punto di vista, in tutti questi anni è stato<br />

anche un bel fardello da sopportare.<br />

So che non potrò mai fare di meglio, ma<br />

non posso neanche fare finta che non sia<br />

mai esistito». Sorprendono un po’, conoscendo<br />

il tipo, le parole che l’ex leader dei<br />

Talking Heads, David Byrne, spende dopo<br />

trent’anni esatti per quello che probabilmente<br />

rappresenta ancora oggi l’esempio<br />

migliore di come si possa fissare su<br />

pellicola un concerto rock. Sorprendono<br />

perché Byrne, che ha da poco superato<br />

i sessant’anni, non è certo uno che si è<br />

seduto sugli allori: da quegli incredibili<br />

spettacoli con i Talking Heads del dicembre<br />

1983, da cui è tratto il film, il musicista<br />

americano (anche se scozzese di nascita)<br />

ha intrapreso un percorso di ricerca che lo<br />

ha portato ad attraversare generi e forme<br />

di espressione, passando dalla musica<br />

sudamericana a quella per orchestra, dal<br />

balletto alle installazioni d’arte: si pensi<br />

ad esempio al suggestivo esperimento di<br />

qualche anno fa, quando Byrne trasformò<br />

la Roundhouse di Londra in una gigantesca<br />

“macchina sonora”, in cui tutte le “appendici<br />

timbriche” venivano pilotate da<br />

un vecchio armonium posizionato al centro<br />

della struttura. In ambito strettamente<br />

musicale, la sua ultima produzione è invece<br />

rappresentata dalla collaborazione<br />

con la giovane cantante e polistrumen-<br />

tista statunitense Annie Clark, in arte St.<br />

Vincent, con cui ha pubblicato nel 2012<br />

un album intitolato LOVE THIS GIANT, e<br />

con cui sarà in tour nel nostro Paese all’inizio<br />

di settembre.<br />

Eppure, quando si pensa a David Byrne,<br />

è impossibile non vederselo comparire<br />

davanti agli occhi immerso in quel<br />

completo di lino “oversize” che campeggiava<br />

sulla copertina di STOP MAKING<br />

SENSE, oppure impegnato nella surreale e<br />

calcolata gestualità che ha reso celebre la<br />

riproposizione di Once In A Lifetime presente<br />

nel film, per la quale Byrne spiegò<br />

poi di essersi ispirato ai predicatori americani.<br />

La storia della “big suit”, come era<br />

chiamata dallo stesso leader dei Talking<br />

Heads, è abbastanza curiosa: l’idea di indossare<br />

un abito gigantesco nacque una<br />

sera in un ristorante di Tokyo, dove David<br />

era a cena con la sua futura moglie,<br />

Adelle Luiz, e con lo stilista Jurghen Lehl.<br />

Byrne, che era un grande appassionato<br />

della cultura giapponese, manifestò ai<br />

due l’intenzione di indossare sul palco,<br />

per il nuovo tour della band, una specie di<br />

“costume”, ispirato a quelli, estremamente<br />

geometrici, del teatro Kabuki. Tracciò delle<br />

linee sul tovagliolo e disegnò un personaggio<br />

caratterizzato da un enorme abito<br />

squadrato, così sproporzionato rispetto<br />

al corpo che la sua testa sembrava una<br />

piccola pallina. “Volevo prendere quella<br />

immagine e trasportarla all’interno della<br />

iconografia tipica della nostra cultura, ad<br />

esempio sostituendo il costume di scena<br />

con un completo occidentale, giacca<br />

e cravatta. Mi affascinava di più l’idea di<br />

prendere degli oggetti dell’uso quotidiano<br />

118


David Byrne al festival<br />

Rockin’ Umbria del 1992<br />

(foto Domenico di Bona).<br />

«SAPEVO<br />

ESATTAMENTE COME<br />

RIPRENDERE LE<br />

CANZONI, PASSAI MOLTO<br />

TEMPO A SPIEGARLO<br />

AGLI OPERATORI»<br />

JONATHAN DEMME<br />

e deformarli, piuttosto che creare qualcosa<br />

di totalmente immaginario. Prendete<br />

un classico completo da uomo, rendetelo<br />

gigantesco e fatelo indossare a una persona<br />

normale… cosa può rappresentare?<br />

Un uomo d’affari che sta scomparendo<br />

all’interno della sua uniforme, che sta appassendo…<br />

o magari è il vestito che se lo<br />

sta divorando?”. In fin dei conti, non era<br />

stata da sempre la chiave principale della<br />

musica e dei testi dei Talking Heads,<br />

quella di prendere ispirazione dal quotidiano,<br />

dalle piccole cose di ogni giorno,<br />

per poi provare a stravolgerne l’aspetto<br />

e il significato, ingigantendone la portata?<br />

In più, l’idea di indossare in scena un<br />

abito molto più grande di lui permetteva<br />

a Byrne di veicolare al pubblico un altro<br />

messaggio che gli stava particolarmente<br />

a cuore: “Volevo che la mia testa sembrasse<br />

più piccola, e il modo più semplice<br />

per ottenere questo risultato era rendere<br />

il mio corpo più grande. La musica è una<br />

forma di espressione molto fisica, in cui<br />

spesso è il corpo a comandare e a capire<br />

cosa deve fare prima ancora che sia la testa<br />

a dirglielo”.<br />

Contrariamente a quello che molti<br />

pensano, la sceneggiatura e il concept,<br />

sia scenico che narrativo, di Stop<br />

Making Sense, non fu un parto del regista<br />

Jonathan Demme. Fu infatti lo stesso David<br />

Byrne a elaborare per il tour di Speaking<br />

in Tongues una nuova idea di concerto,<br />

basato ad esempio sull’allestimento<br />

in tempo reale del palcoscenico su cui la<br />

band era chiamata a esibirsi: “Se il sipario<br />

si apre e dietro tutto è già pronto – spiega<br />

Byrne – non c’è più molto da fare. L’idea<br />

era quella di raccontare in<br />

un certo senso una storia<br />

del gruppo e organizzare<br />

un crescendo che<br />

rendesse il concerto<br />

via via sempre più<br />

intenso e drammatico”.<br />

Per questo<br />

motivo lo spettacolo<br />

iniziava con il solo<br />

Byrne che eseguiva<br />

la celebre Psycho Killer<br />

alla chitarra acustica, accompagnato<br />

da una base di<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 119


DAVID BYRNE<br />

batteria elettronica (una Roland TR-808).<br />

L’audio della base, gestito dal mixer di<br />

sala, sembrava provenire direttamente da<br />

uno stereo che lo stesso Byrne aveva portato<br />

con sé sul palco e poi azionato manualmente,<br />

come se stesse riproducendo<br />

una cassetta registrata in precedenza. Da<br />

quel momento, i brani successivi in scaletta<br />

vedevano aumentare progressivamente<br />

il numero di musicisti presenti in<br />

scena, fino ad arrivare ad avere sul palco<br />

la line up completa comprendente, oltre<br />

ai quattro Talking Heads storici, anche gli<br />

altri cinque musicisti aggiunti, dando vita<br />

a quella miscela inconfondibile di funk e<br />

rock che faceva scatenare il pubblico. Ma<br />

soprattutto, nell’ideazione dello spettacolo<br />

Byrne riuscì a conciliare mirabilmente<br />

l’esigenza di ricondurre tutte le canzoni in<br />

scaletta a un contesto scenico omogeneo,<br />

eppure a caratterizzare ogni pezzo da un<br />

punto di vista visivo ben preciso: questo<br />

fu reso possibile da un approccio teatrale<br />

che privilegiava sul palco l’utilizzo esclusivo<br />

della luce bianca, ma indirizzata verso<br />

i musicisti da sorgenti e angolazioni<br />

Da sinistra: Byrne,<br />

Tina Weymouth,<br />

Chris Frantz,<br />

Jerry Harrison.<br />

differenti (durante What A Day That It<br />

Was, ad esempio, le luci erano posizionate<br />

sotto i musicisti, proiettando le loro<br />

ombre ingigantite sullo sfondo), e attraverso<br />

la presenza di parti di scenografia,<br />

come la celebre lampada Woolworth modificata<br />

con cui Byrne danzava alla fine di<br />

This Must Be The Place. Spesso durante il<br />

balletto le tre lampadine all’interno della<br />

lampada finivano per esplodere, ma questo<br />

fortunatamente non accadde quando<br />

vennero effettuate le riprese per il film.<br />

In più, durante alcuni brani lo sfondo del<br />

palco si trasformava in un grande schermo<br />

su cui venivano proiettate parole e<br />

immagini.<br />

Quando Jonathan Demme vide i<br />

Talking Heads in tour nel 1982, il<br />

concerto lo colpì a tal punto che decise<br />

di incontrare David Byrne per chiedergli<br />

se fosse interessato a realizzare un film<br />

di quello spettacolo. Demme, all’epoca<br />

quarantenne, era ancora molto lontano<br />

dalla celebrità che avrebbe poi ottenuto<br />

con Il silenzio degli innocenti: fino a quel<br />

momento il suo film di maggior successo<br />

(perlomeno a livello di critica) era stato<br />

Melvin and Howard del 1980, a cui però<br />

era seguito il disastroso Swing Shift, funestato<br />

dai dissapori con la star Goldie<br />

Hawn e con la Warner Bros. Pochi sanno<br />

che nel 1978 Demme aveva anche girato<br />

una puntata del telefilm Colombo, intitolata<br />

Murder under Glass. Il merito principale<br />

di Demme, nell’economia di Stop Making<br />

Sense, fu quello di rendersi praticamente<br />

invisibile, limitandosi a intervenire il mini-<br />

120<br />

«STOP MAKING<br />

SENSE<br />

RAPPRESENTÒ<br />

IL MOMENTO DELLA<br />

CONSACRAZIONE<br />

PER I TALKING<br />

HEADS»


DAVID BYRNE<br />

La sceneggiatura<br />

del film fu ideata<br />

da David Byrne.<br />

mo indispensabile sul concept originario:<br />

qualche ritocco della setlist, che fu necessariamente<br />

accorciata rispetto ai 135<br />

minuti originari e l’idea di non mostrare<br />

mai (se non verso la fine della pellicola) il<br />

pubblico presente in teatro, distaccandosi<br />

dal classico concert film in stile The Last<br />

Waltz. Piuttosto che l’evento in cui la performance<br />

aveva avuto luogo, Demme preferì<br />

invece documentare filologicamente<br />

la pura e semplice performance, in modo<br />

tale che chi sarebbe poi andato al cinema<br />

per assistere alla proiezione si sarebbe<br />

sentito maggiormente partecipe. Per lo<br />

stesso motivo, Demme scartò immediatamente<br />

l’opzione di inserire delle interviste<br />

o degli altri filmati all’interno del film. Al<br />

tempo stesso, il regista preparò accuratamente<br />

lo storyboard delle riprese: “Andai<br />

in tour con la band un paio di volte, e iniziai<br />

a creare una sceneggiatura che revisionavo<br />

e ottimizzavo costantemente. Sapevo<br />

esattamente come volevo riprendere<br />

le varie canzoni, e passai parecchio tempo<br />

a spiegare il tutto agli operatori prima delle<br />

riprese, in maniera tale da potergli fornire<br />

delle indicazioni molto precise durante<br />

il concerto, del tipo: Ok, Camera D, adesso<br />

arriva la parte di cui parlavamo, preparati<br />

a scarrellare sulla sinistra e a stringere<br />

sul percussionista”. La direzione della fotografia<br />

e la gestione delle luci di scena<br />

fu invece affidata a Jordan Cronenweath,<br />

che si era appena occupato della fotografia<br />

per Blade Runner, mentre per i titoli di<br />

testa venne utilizzato lo stesso font del<br />

Dottor Stranamore di Kubrick. L’audio del<br />

concerto fu registrato, per la prima volta in<br />

assoluto, direttamente in formato digitale<br />

su un registratore Sony a 24 piste.<br />

S<br />

top Making Sense rappresentò il<br />

momento della consacrazione per<br />

i Talking Heads, ma soprattutto per David<br />

Byrne: la regia di Demme non fece<br />

altro che esaltare le coreografie e il concept<br />

ideato con attenzione dal musicista<br />

scozzese: i suoi movimenti sul palco, così<br />

come quelli degli altri musicisti, non erano<br />

frutto dell’improvvisazione, ma erano<br />

stati studiati e provati nei minimi dettagli<br />

per ore. Volendo fare un parallelo, Byrne<br />

diventò per i Talking Heads l’equivalente<br />

di quello che Peter Gabriel era diventato<br />

per i Genesis dieci anni prima: le sue maschere<br />

e la sua teatralità finirono per relegare<br />

inevitabilmente il gruppo in secondo<br />

piano e creare una frattura al suo interno.<br />

Non a caso, dopo i concerti immortalati in<br />

Stop Making Sense i Talking Heads non<br />

andarono più in tour, pur continuando a<br />

pubblicare dischi fino al 1988. Il film invece<br />

continuò a essere proiettato regolarmente<br />

sugli schermi dei cinema di tutto il<br />

mondo ancora per molti anni: “Era come<br />

se non avessimo mai smesso di suonare<br />

quel concerto, ma continuassimo a ripeterlo<br />

all’infinito, come se fossimo rimasti<br />

intrappolati al suo interno”, spiega Byrne.<br />

E allora il testo di uno dei brani più belli<br />

dei Talking Heads, Memories Can’t Wait,<br />

non può non venire alla mente, con la sua<br />

valenza quasi profetica…<br />

There’s a party in my mind…<br />

And I hope it never stops<br />

There’s a party up there all the<br />

time…<br />

They’ll party till they drop<br />

Other people can go home…<br />

Other people they can split<br />

I’ll be here all the time…<br />

I can never quit<br />

GLI SPECIALI DI MUSICA 121


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Hanno collaborato<br />

Testo: Alan Bedin, Francesco Bonerba, Paolo Carnelli, Paolo Corciulo, Fernando Fratarcangeli,<br />

Antonio Gaudino, Marino Mariani, Luca Sapio, Franco Serblin, Franco Vassia, Pier Luigi Zanzi.<br />

Foto: Archivio Cramps, Guido Bellachioma, Renzo Chiesa, Francesco Desmaele, Gavin Evans, Fabio<br />

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Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di luglio 2017.<br />

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aut. N. 140 del 2007 •<br />

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anno XLVII<br />

agosto 2017<br />

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