LE STORIE CHE NON TI ASPETTI di Giuseppe Mugnano editoriale TRA FORMELLO E NEPI la mafia non esiste”: sembra essere andato definitivamente in sordina il ritornello che molti si affrettavano a cantare, soprattutto al Nord. A spegnere i microfoni ci ha “Qui pensato la magistratura, ma anche i fatti di cronaca. Troppo schiaccianti per essere ignorati o minimizzati. Riavvolgendo il nastro delle innumerevoli inchieste condotte, si è scoperto poi che non solo la mafia c’era, bensì era ben radicata da decenni, anche nei luoghi più insospettabili. Finito il negazionismo, si prova poi a spiegare, soprattutto ai più giovani, le storie dei rispettivi territori, trovando testimoni di realtà pa-rallele, che hanno percorso una strada fin qui poco battute. Allora ecco che si viene a sapere che già negli anni Ottanta la ‘ndrangheta era arrivata in Piemonte e in Veneto, che la camorra aveva messo radici in Emilia-Romagna, che nelle Marche vi aveva messo su casa uno della Banda della Magliana, che Cosa Nostra non era un problema solo siciliano, ma un po’ di tutta l’Italia. Un po’ ovunque si corre ai ripari affermando che quelle della mafia erano dinamiche latenti, mentre oggi ci si interroga sul come sia stato possibile non accorgersi di nulla. Non solo, scavando ancora un po’ si trovano realtà associative che sono presenti sul territorio da più di dieci anni, mentre in altre regioni d’Italia, come nel caso di Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto-Adige, in seguito alle confische (seppur si contino sulle dita di una mano) non vi è nata alcuna attività di riutilizzo dei beni confiscati, oppure quelle che vi erano sorte sono ormai scomparse. Questo accade per le difficoltà che s’incontrano per l’assegnazione dei beni, gli iter interminabili, le difficoltà nel reperire fondi utili a portare avanti una cooperativa sociale che non vive solo di ideali, ma anche di fatturati (come vedremo più avanti) e stipendi da pagare. Spesso si fa affidamento sul lavoro di volontari (vedi Libera), pronti a mettere a disposizione tempo e competenze per progetti sociali, però si tratta comunque di un lavoro. Spiegare e contrastare la mafia e provare a creare delle alternative produttive non dovrebbe essere un’occupazione svolta per beneficenza. IL LAZIO TRA LEGALITà Secondo le stime di gennaio, il Lazio, con 1270 beni immobili, è la sesta regione in Italia per numero di confische. Di questi, la fetta più importante – quasi il 66 per cento – sarebbe gestita dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati, mentre la parte restante è già stata destinata prevalentemente ai comuni. «I pochi beni confiscati che abbiamo qui, non vengono dati in affidamento», dice e integrazione di Danilo Daquino Marco Carducci, che con la cooperativa Sinergie ha gestito Villa Sandra durante la fase di sequestro. «Solitamente le assegnazioni avvengono dopo la confisca definitiva e una volta terminato l’iter giudiziario. Lì è accaduto il contrario, è bastato il primo grado di giudizio – racconta Carducci –. Il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma ha pensato di avviare un utilizzo sociale dell’immobile ed è stato stipulato un contratto di affitto tra l’amministratore giudiziario e la nostra cooperativa. Poi, dal momento in cui l’iter giudiziario è andato avanti e si è concretizzata la condanna definitiva, è passato tutto in mano all’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati. A luglio 2015 il Comune di Formello è diventato proprietario visto il decreto dell’ANBSC e ha garantito la continuità delle attività che la 4 n.35 | SETTEMBRE 2017 5