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Storie e luoghi della Grande Guerra

Storie e luoghi della Grande Guerra - Esedra editrice - Biblioteche Valle del Sacco - Progetto finanziato dalla Regione Lazio (LR.n.26/2009) - Associazione culturale Progetto Arkés

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trincee, per una nazione che ancora non avvertivano come unita.<br />

Il numero delle denunce per renitenza in Italia fu di circa 470.000,<br />

ma talvolta si trattò di semplici ritardi nella presentazione alle armi.<br />

Sul totale dei casi, 370.000 riguardavano infatti italiani che erano<br />

emigrati all’estero negli anni precedenti alla guerra per cercare<br />

altrove migliori condizioni di vita e di lavoro. Ad essi fu concesso<br />

del tempo in più per presentarsi alla visita di leva. Alla fine, più di<br />

300.000 uomini rientrarono dai Paesi d’emigrazione per imbracciare<br />

il fucile e combattere per l’Italia. In alcuni casi, invece, gli italiani<br />

all’estero si arruolarono volontariamente negli eserciti dei Paesi che<br />

li ospitavano.<br />

La diserzione si configurava come un problema più grave, per<br />

il quale spesso si faceva ricorso alla giustizia militare. In realtà in<br />

alcuni casi si trattava semplicemente di un ritardo nel rientro dopo<br />

la licenza o di un allontanamento arbitrario, ben altra cosa rispetto<br />

alla fuga davanti al nemico. Nel corso <strong>della</strong> guerra le denunce per<br />

diserzione furono circa 190.000, con 162.000 processi e 101.000<br />

condanne. Questo perché il Codice penale per l’esercito, in vigore<br />

in Italia dal 1869, all’art. 137 stabiliva che venisse dichiarato disertore<br />

il soldato che spariva ingiustificatamente per più di ventiquattro<br />

ore, senza indagare se ci fosse o meno una reale volontà di<br />

abbandonare la battaglia. È facile immaginare come i militari provenienti<br />

dalle regioni più lontane dal fronte impiegassero più tempo<br />

per gli spostamenti, e che perciò si presentassero al comando con<br />

qualche giorno di ritardo.<br />

Laddove ci fosse intenzionalità, invece, i modi per sfuggire alla<br />

guerra erano molteplici, anche se nessuno garantiva la riuscita. Ci<br />

furono soldati che si autoinflissero delle ferite, molto spesso colpi di<br />

fucile alle mani o ai piedi, per sfuggire dalla prima linea e ottenere<br />

alcuni giorni di licenza. Non mancava l’ingestione di sostanze che<br />

causavano reazioni allergiche o comunque scompensi all’organismo<br />

e che necessitavano di cure specifiche negli ospedali da campo.<br />

Altri casi “sospetti” erano legati alle malattie mentali: non era<br />

raro, infatti, che alcuni combattenti si fingessero pazzi per essere<br />

rimandati a casa. Un altro espediente prevedeva infine di consegnarsi<br />

spontaneamente al nemico come prigioniero, sperando che,<br />

lontano dal fuoco delle pallottole e dei cannoni, le condizioni nei<br />

campi di prigionia fossero migliori.<br />

Questa fu l’accusa che il generale Cadorna lanciò contro le truppe<br />

italiane che non erano state in grado di arrestare l’avanzata<br />

austro-ungarica nella disfatta di Caporetto, cioè quella di essere<br />

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