KN8-2018
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famiglia 11<br />
sabato 3 marzo <strong>2018</strong> - Anno 9 n°8<br />
L’amore ai tempi del cellulare<br />
Generazione iphone<br />
DI PIERO DEL BENE<br />
Quando incontriamo fidanzati, ci capita<br />
spesso di invitarli a guardarsi negli<br />
occhi, magari nell’angolo più nascosto<br />
di un ristorantino intimo, al lume di una<br />
candela, per riflettere sulla loro storia a<br />
partire dagli spunti che abbiamo fornito loro e che<br />
sono nati dalle interazioni dell’incontro tra noi e<br />
loro. Come è risaputo, trovarsi qualche tempo per<br />
chiedersi anche solo “come stai?” oppure “dove<br />
stiamo?”, cioè “A che punto della nostra storia<br />
siamo giunti?” “Stiamo andando dove abbiamo deciso?”<br />
“E questa meta coincide con quella che Dio<br />
ha pensato per noi?” è una pratica salutare. Se si<br />
assume come stile da fidanzati, è più facile che<br />
questa prassi possa resistere anche all’urto della ferialità<br />
coniugale e, quindi, possa contribuire alla<br />
felicità matrimoniale. È capitato anche ultimamente,<br />
per giunta in prossimità della festa di san<br />
Valentino. Poi, però, nel giorno fatidico, succede<br />
che entri nel ristorantino, con tua moglie (per lo<br />
stesso motivo) e invece che da lumi di candele sei<br />
accolto da algide luci da cellulare. Senti di essere<br />
antico (ma non te ne vergogni) e rifletti un poco<br />
(perché non vuoi che quegli smartphone rovinino<br />
la tua serata dopo aver distrutto il romanticismo di<br />
quella degli altri). A casa, rifletti. Soprattutto<br />
quando ti imbatti in una ricerca che narra di un<br />
cambiamento antropologico in corso. Anzi, già avvenuto.<br />
Da ricerche condotte soprattutto negli States<br />
(ma anche nella vecchia cara Europa le cose<br />
non sono molto diverse) se ne ricava un quadro<br />
preoccupante: “Ossessionati dai “mi piace”, spaventati<br />
dall’essere isolati ma solo sui social (non<br />
importa se lo sono nella vita), vorrebbero liberarsi<br />
della loro “terza mano”, lo smartphone, ma appena<br />
affrontano la realtà si spaventano e preferiscono<br />
tornare nelle loro comode camere, dove i genitori<br />
li lasciano vivere (pensando che sia un posto più<br />
sicuro della strada) incollati a internet e dove<br />
hanno accesso ad un mondo su misura capace di<br />
soddisfare immediatamente, senza sacrifici, tutte<br />
le loro pulsioni e voglie. Così, incapaci di relazioni,<br />
di affrontare i problemi, sono depressi, per nulla ribelli<br />
e persino disinteressati alla sessualità carnale”.<br />
Il lume di candela per guardarsi negli occhi? No,<br />
grazie! E non finisce qui. Augusto Biasini, già primario<br />
dell’ospedale Bufalini di Cesena, quando gli<br />
è stato chiesto se la colpa sia dei telefonini, ha risposto:<br />
“Basta vedere in pizzeria la sera; lui e lei a<br />
tavola tutti e due a pigiare sui tasti del telefono, e<br />
così anche i bambini intenti a mandare messaggi,<br />
nessuno si parla”. In altri termini, il “problema” è la<br />
tecnologia, ma prima ancora gli adulti che ne abusano<br />
e che permettono ai bambini e i ragazzini di<br />
vivere incollati al piccolo schermo, che<br />
ormai segue tutti perfino in bagno (le ricerche dicono<br />
che i giovani non riescono ad addormentarsi<br />
se il cellulare non è vicino al loro cuscino a meno<br />
di andare in crisi di astinenza). Esattamente come<br />
accade ad un drogato con le sostante tossiche.” Allo<br />
Bufalini, va detto, curano bimbi “incollati” al display.<br />
Chamath Palihapitiya, ex vicepresidente di<br />
Facebook, spiegando di sentirsi in colpa, ha confessato:<br />
“Abbiamo creato un sistema di gratificazione<br />
a breve termine di like e di feedback guidato<br />
dalla dopamina, che sta distruggendo il modo normale<br />
in cui la società funziona ... quello che dico<br />
non è un problema solo americano ... ha a che fare<br />
con tutto il mondo”. Non a caso, ha chiarito “di<br />
usare Facebook il meno possibile” e che ai suoi figli<br />
“non è permesso usare questa schifezza”. Dopo una<br />
vita esposta all’overdose della gratificazione immediata,<br />
come parlare del “per sempre”? è un argomento<br />
su cui bisogna riflettere.<br />
Un ragazzo racconta<br />
Un pacco con tre indirizzi<br />
DI ASSUNTA SCIALDONE<br />
Professoressa, io sono un ragazzo molto<br />
sfortunato!. All’udire questa affermazione,<br />
così netta, chiedo: “Perché dici<br />
così? Il Signore ti ha donato la vita!<br />
Cosa ti manca”? “Prof, mi manca tutto!”. Mentre<br />
pronuncia questa frase i suoi occhi si riempiono<br />
di lacrime, abbassa lo sguardo sul banco<br />
e, incominciando a scuotere la testa, incalza<br />
con una domanda: “Perché io non devo avere<br />
dei genitori che vivono assieme? Perché devo<br />
andare una volta da mio padre, un’altra volta<br />
da mia madre e all’uscita di scuola devo andare<br />
a mangiare da mia nonna? Cosa ho fatto di<br />
male per meritarmi tutto questo?”. Mi avvicino<br />
al suo banco, cerco di incrociare i suoi occhi e<br />
gli dico: “Tu non hai fatto nulla! Tu non sei colpevole<br />
di nulla”. Cerco di farmi raccontare la<br />
sua storia e, mentre racconta, mi colpisce una<br />
frase: “Mio padre doveva sapersi tenere mia<br />
madre e anche mia madre doveva tenersi mio<br />
padre”. Gli chiedo cosa intenda dire e lui: “Non<br />
è possibile che ad un certo punto dicano di<br />
non andare più d’accordo dimenticandosi di<br />
quanto si volevano bene. Io ho visto le foto del<br />
matrimonio ed erano felici, si<br />
volevano bene, come è possibile<br />
tutto questo? La colpa deve<br />
essere per forza la mia perché<br />
quando erano felici io non<br />
c’ero”. Incalza affermando:<br />
“Non ho nulla! Ho tante cose<br />
materiali ma non ho la mia<br />
casa con i miei genitori. Ho<br />
tante case e il compagno di<br />
mamma e la compagna di<br />
papà. Prof, non è facile vedere<br />
un altro uomo e un’altra donna<br />
accanto ai tuoi genitori. Io mi<br />
sento male. Allora non ho<br />
nulla! Mi manca la famiglia”. Io<br />
gli dico che lui comunque è<br />
amato. Lui annuisce con la<br />
testa, ma non è convinto e mi<br />
dice: “Mi sembro un pacco postale<br />
che ha tre indirizzi: la casa<br />
di mamma, di papà e dei<br />
nonni”. Gli dico che tutta la rabbia<br />
che lui porta dentro è normale<br />
perché gli è stata tolta la<br />
stabilità e il calore di una famiglia<br />
ma deve<br />
farsi forza e<br />
andare avanti.<br />
A lui è stato chiesto di crescere<br />
prima e sarà un uomo più forte.<br />
Lui si asciuga le lacrime, mi<br />
guarda e dice: “Voi credete veramente<br />
che io ce la possa<br />
fare”? “Certo! - gli rispondo e<br />
aggiungo - Guai a te se non ce<br />
la dovessi fare”! Scherzando e<br />
col sorriso aggiungo: “Ti verrò<br />
a cercare a casa, so dove abiti e<br />
poi faremo due conti…perché<br />
tu sei una bella persona che ha<br />
molti doni. Devi tirare fuori la<br />
bellezza che Dio ha posto dentro<br />
di te”. All’udire queste parole<br />
i suoi occhi s’illuminano e<br />
con un sorriso, mi ringrazia. Da<br />
quella chiacchierata ogni mattina<br />
mi viene a cercare per salutarmi<br />
con il suo solito sorriso<br />
e con quel velo di tristezza che<br />
adombra i suoi occhi. Ed io<br />
puntualmente lo saluto e gli<br />
chiedo: “Come va? Come stai?”.<br />
E lui: “Ci sto provando ad essere<br />
meno arrabbiato e ad accettare<br />
la situazione.” Quando<br />
non mi vede, il giorno seguente<br />
quasi mi rimprovera: “Non<br />
siete venuta a scuola, come<br />
mai? Mi sono preoccupato, se<br />
non doveste più venire con chi<br />
potrò parlare?”. Lo rassicuro e<br />
gli dico che lui potrà farcela<br />
anche senza di me ma mai<br />
senza Dio. “Prof, quando parlo<br />
con voi mi sento meglio, non so<br />
perché, mi sento più sereno”.<br />
Ho voluto riportare i danni e la<br />
sofferenza che provoca una separazione<br />
nei figli dedicandola<br />
a quanti, ancora oggi, affermano<br />
con tanta leggerezza che<br />
separarsi non è mica la fine del<br />
mondo! Del mondo forse no<br />
ma di frequente è l’inizio di<br />
tanta sofferenza gratuita.