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TRAKS MAGAZINE 029

C'è Belita sulla copertina del nuovo numero di TRAKS MAGAZINE, una fresca ventata pop per un numero che prosegue con le interviste a Random Clockwork, Maione, Portfolio, Mouth Water, Gastone, Hike, Marcello Parrilli, Gian Maria Castro, Sue. Leggilo subito!

C'è Belita sulla copertina del nuovo numero di TRAKS MAGAZINE, una fresca ventata pop per un numero che prosegue con le interviste a Random Clockwork, Maione, Portfolio, Mouth Water, Gastone, Hike, Marcello Parrilli, Gian Maria Castro, Sue. Leggilo subito!

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MAGAZINE

Numero 29 - novembre 2019

BELITA

la regina della festa

RANDOM CLOCKWORK

PORTFOLIO

MAIONE

MOUTH WATER

SUE

HIKE


sommario

4

8

12

16

20

24

28

32

36

40

Belita

Random Clockwork

Maione

Portfolio

Mouth Water

Gastone

Hike

Parrilli

Gian Maria Castro

Sue

Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata

senza alcuna periodicità. Non può pertanto

considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge

n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse

diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com

e provvederemo alla rimozione immediata

TRAKS MAGAZINE

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info@musictraks.com



BELITA

la regina della festa

Nata a Pordenone ma con madre brasiliana, la giovane cantante realizza

“Comando”, via italiana al pop internazionale di successo

Ci vuoi raccontare la tua storia?

Sono una ragazza normalissima,

assai determinata e con tanti sogni

nel cassetto. Sono nata a Pordenone,

ma milanese di adozione.

Madre brasiliana, e padre italiano.

Mi rende fiera pensare che

sono frutto di due persone di nazionalità

distinte, di paesi ricchi

culturalmente. Sogno di cantare

fin da piccola, perciò, dopo l’approvazione

dei miei genitori, mi



sono scritta a lezioni di canto, che

ho studiato per cinque anni, tra

Pordenone e Milano A fine primo

anno di studio, vinsi la borsa di

studio della scuola che frequentavo

all’epoca. Trasferitami a Milano,

per andare all’Università,

iniziai a frequentare il Massive

Arts Studios, dove ho iniziato

a registrare le mie prime cover.

Avvicinandomi alla fine del mio

percorso universitario, mi è stato

proposto di incidere il mio primo

album di debutto come cantante,

che si è rivelata un’esperienza

straordinaria! In ogni dettaglio

ci vuole disciplina, organizzazione

e tenacia. Così, a piccoli passi,

con un gran desiderio di imparare,

inizio a scrivere la mia storia

come artista.

Quali sono state le tue fonti di

ispirazione?

Innanzitutto, volevo raccontarmi

come persona e, soprattutto, come

artista. Inoltre, dietro ogni mio

singolo, c’è una storia, nella quale

spero le persone ci si possano immedesimare.

Ho anche voluto seguire

la contaminazione culturale,

dei paesi latini. Queste fonti di

ispirazione si devono al fatto che a

casa mia, sin da piccola, ascoltavo

ogni genere musicale, ma molta

musica latina, grazie a mia madre

brasiliana.

Come nasce il singolo “Comando”

e il relativo video?

Con “Comando” ho voluto raccontare

la storia di una donna forte,

moderna e sicura di se stessa.

Una donna che lascia chiaro che

non sarà mai di proprietà di un’altra

persona: lei ha il potere della

sua vita ed è, quindi, padrona di

sé. L’ambiente è caldo, sensuale,

dallo stile e colori vibranti del

Marocco, i quali si fondono perfettamente

e creano un’atmosfera

misteriosa. Forza, potere e ostentazione

sono, quindi, gli ingredienti

di questa donna, la regina

della festa, che tutti desiderano,

ma non possono toccare. Il video

nasce dall’idea

di rappresentare

una festa, in un

ambiente esotico

di cui la protagonista

è una

donna sensuale,

misteriosa, forte,

sicura di se stessa,

magnetica. Il

video è stato girato

da Davide Enrico Agosta,

nell’esclusivo Riad Yacout di

Milano, nel Luglio del 2019.

Quali sono gli artisti latini

che ami di più?

Amo Shakira, per la sua voce

unica e perchè è molto sensuale,

senza mai essere volgare, e

sa sorridere. Stimo molto anche

Jennifer Lopez, perchè è

un’artista completa: sa cantare,

ballare e recitare, è una vera

diva.

Quali saranno i tuoi prossimi

passi?

Continuerò su questa strada,

stiamo già lavorando a nuove

canzoni e progettando nuovi

video.

6

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RANDOM CLOCKWORK

la band laziale pubblica il debut album “Wires”,

pubblicato dopo un’intensa lavorazione.

Il gruppo si ispira a un genere di musica libera

e dura, che non si ammorbidisca di fronte alle

esigenze del mercato

Mi raccontate come nascono i

Random Clockwork?

I Random Clockwork nascono in

principio come duo live di estemporanee

elettroniche, da qui anche

il nome, dove la meccanicità della

strumentazione usata incontrava

l’estemporaneità umana dell’improvvisazione.

A mano a mano si



siamo stati per più di un anno sulla

produzione dei videoclips e la

pianificazione della promozione,

consapevoli dopo esperienze collaterali

pregresse, che pubblicare

un album è fin troppo facile ad

oggi, mentre farlo in modo decente

è tutt’altra cosa e richiede esperienza

e pianificazione.

A dispetto del vostro nome, il

vostro sembra un meccanismo

per niente casuale: siete dei perfezionisti

a livello sonoro?

Con la trasformazione musicale

da live set estemporaneo a band

a tutti gli effetti, anche il nome ha

assunto un’altra connotazione. Ciò

che ispira i nostri brani è del tutto

casuale, insomma succede sempre

così, no? Non si sceglie da cosa

lasciarsi ispirare, accade e basta.

La messa in opera invece, che si

occupa di trasporre e concretizzare

un’ idea sul piano musicale, è

meccanica e amiamo farla da perfezionisti.

Sono molto forti le influenze 90s

nella vostra musica. Quali sono i

vostri “totem”musicali?

Nine Inch Nails, Massive Attack,

Tool, Nirvana, The Prodigy, sono

solo alcuni dei nostri totem. Più

in generale è l’attitudine alternative

di quegli anni che ci ha inevitabilmente

segnato.

Come vedete il futuro dei Random

Clockwork?

Random no? Che domande... (lol)

sono uniti gli altri elementi, e con

l’ingresso della voce anche la formula

musicale si è cristallizzata in

brani di forma canzone.

“Wires” ha richiesto ben 4 anni

per essere terminato: come mai

un percorso così accidentato?

La principale causa di tanta lungaggine

è stata per l’appunto accidentale.

Alcune “collaborazioni”

infruttuose ci hanno portato alla

fine, dopo aver rifiutato una serie

di proposte , a decidere di proseguire

autonomamente anche con

la pubblicazione. Fare tutto da soli

è faticoso e richiede del tempo, e

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MAIONE

“Parola di Franz!” è l’ultimo disco del musicista napoletano trapiantato a

Milano: una rassegna di personaggi particolari con molto rock in circolo

Partiamo da una presentazione.

Chi è Maione?

Sono un musicista napoletano

trapiantato a Milano. Ho avuto

diverse collaborazioni come chitarrista,

di cui alcune molto importanti.

Attualmente svolgo ancora

la mia attività chitarristica,

in particolare col Rhapsòdija Trio,

che ha all’attivo 8 cd. Ma sono anche

e soprattutto un cantautore,

anche se l’etichetta non mi piace,

comunque sì, sono un cantautore.

Da poco è uscito il mio secondo

album Parola di Franz.

Il tuo ultimo disco comprende

molti personaggi che sembrano

“presi dalla strada”. Da dove

prendi i tuoi spunti per scrivere

canzoni?

Gli spunti li prendo dalle cose

che vedo o che immagino o che

in qualche modo trasformo dopo

averle incamerate. Per quanto riguarda

Franz è una persona realmente

esistita, di cui però non

ho mai conosciuto il vero nome,

anche perché lui stesso diceva di

chiamarsi con un nome diverso

ogni giorno. L’ho chiamato Franz

perché mi piace. È una persona

che ricordo con molta tenerezza...

Il brano descrive scene da un manicomio.

Mah, i personaggi di cui

mi piace parlare sono prevalentemente,

ma non solo, gli outsider

senza colpe... Oppure personaggi

un po’ “strambi” (le virgolette

sono d’obbligo), che suscitano in

me curiosità, interesse, emozioni...

Tra l’altro, se dovessi schierarmi

da qualche parte, sicuramente mi

schiererei dalla parte dei “condannati”,

dei deboli, degli ultimi, ma

anche di quelli che fanno dei propri

fallimenti una rinascita...

Di recente hai pubblicato anche

un nuovo video, Sono molto disturbato:

vuoi raccontare qualcosa

di questa canzone e del relativo

video?

Sono molto disturbato è il ritratto

dell’uomo contemporaneo, formatosi

e deformatosi nel caos,

schiacciato da un modello di società

che si afferma sempre più

sui principi della prevaricazione,

dell’efficienza, del profitto e di una

spietata competizione.

Un personaggio che non riesce

più a gestire il conflitto tra ruolo

sociale e identità personale e urla

al mondo la sua nevrosi. Ho voluto

sottolineare, con questo brano,

appunto il disagio dell’uomo

contemporaneo, spaesato, manipolato,

alienato... Il video è stato

realizzato con immagini (in movimento)

di alcune opere d’arte del

pittore e scultore Luca Lischetti.

La prima volta che ho visto una

sua mostra sono rimasto folgorato.

Già nel video del brano Nastro

Trasportatore presente nel mio

primo cd Assassini si nasce avevo

inserito qualche immagine delle

opere di Luca. Ma questo video

è interamente realizzato con le

sue opere. E’ un artista che sento

molto vicino come tematiche e tra

l’altro è una gran bella persona. E’

un artista che bisogna conoscere.

Intanto si può fare un’ escursione

su internet.

Sei di Napoli ma vivi a Milano:

dal punto di vista strettamente

musicale qual è il tuo giudizio

sulla metropoli lombarda?

Ormai la musica è globale. In tutti

i luoghi arrivano musiche da tutti

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i luoghi. Chiaramente opto per la

musica che non rientra nel mainstream...

Hai una carriera ricchissima di

collaborazioni.

Qual è

quella

che ti è

rimasta

di più

nel cuore?

Tutte! Forse in particolar modo

quella con il grandissimo e poliedrico

Antonio Albanese, che

ha utilizzato una mia musica su

un testo di Michele Serra, L’uomo

bomba e la donna cannone. Albanese

la presentò in una puntata

del (ormai lontano) programma

in onda su Rai 3 Non c’è problema.

Il brano fu eseguito dal Rhapsòdija

Trio, di cui sono tuttora il chitarrista.

Lo si trova anche su Youtube,

tra le varie versioni.

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PORTFOLIO

A distanza di quasi sei anni dall’ultimo lavoro discografico torna la

band reggiana con “Stefi Wonder”: otto canzoni che si muovono tra pop,

funk, soul e rock

Ci sono voluti sei anni per tornare

a incidere un disco: che cos’è

successo nel frattempo?

La produzione è stata piuttosto

lunga in quanto abbiamo fatto tutte

le registrazioni nella nostra sala

prove, in una situazione tranquilla

e rilassata. Non avendo scadenze

da studio di registrazione, questo

ha fatto sì che i pezzi si siano presi

tutto il tempo necessario e i tempi

si sono allungati molto. Abbiamo

avuto alcuni cambi di formazione

e anche questo ha richiesto un

po’ di tempo per assestarci. La decisione

di cantare in italiano ha

ulteriormente allungato i tempi

in quanto abbiamo cercato il cantante

giusto per cantare sui nostri

pezzi. Ci sono stati inoltre in mezzo

i due dischi solisti di Tiziano

in ambito jazz (Now and then con

Giovanni Lindo Ferretti e Relate

con Bill Frisell) e la nostra partecipazione

a diversi eventi di Arzan,

il collettivo di musicisti di band di

Reggio Emilia (tra cui Giardini di

Mirò, Julie’s Haircut, Offlaga Di-

16

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sco Pax) diretto da Olivier Manchion

(Ulan Bator).

Ci sono forti colori e sapori

black in “Stefi Wonder”: da che

cosa avete preso ispirazione?

Non c’è stata una fonte di ispirazione

precisa, probabilmente tanti

ascolti di musica che arriva da

quel mondo lì. Penso si tratti più

di rigetto verso certa musica oltremodo

prevedibile e ripetitiva.

Peraltro già nel nostro disco precedente

alcuni pezzi presentavano

già caratteristiche simili. Si tratta

di un percorso di evoluzione piuttosto

naturale.

Anche dal punto di vista della

struttura dei pezzi ci sono cambiamenti:

come mai un disco

(quasi) tutto improntato sulla

forma canzone “classica”?

Ci siamo un poco sforzati di semplificare

le cose rispetto al passato,

senza snaturare il nostro mondo

musicale. Abbiamo cercato di ottenere

di più da poche ma solide

idee. Mentre lavoravamo ai brani

abbiamo impostavamo anche le linee

vocali, e questo probabilmente

ci ha portato naturalmente piu’

vicino alla forma canzone.

Vorrei saperne di più su “Agosto”,

che mi ha fatto pensare a

band alternative italiane anni ’90

nonostante la sua forma apparentemente

“tipica” (e infatti celiate

dicendo che è il vostro pezzo

per Sanremo)

È vero, anche a noi ha subito ricordato

alcune cose anni 90 italiane.

In realtà quando abbiamo

registrato la traccia strumentale

l’intendo era quello di cercare di

fare un po’ gli Air – uno dei gruppi

che in assoluto amiamo di più.

Poi Claudia Domenichini, cantante

con la quale collaboriamo

da sempre, ha messo la sua voce e

immediatamente è scattato anche

su di noi il rimando a quegli anni.

Domanda

del tutto prematura:

viste

le vostre innumerevoli

mutazioni,

soprattutto a

livello sonoro

e di genere,

se doveste

pensare ora

a come sarà

il prossimo

disco dei Portfolio,

a che

cosa potreste pensare?

Davvero difficile da dire. La tendenza

a cambiare da un disco

all’altro non è mai pianificata.

Suoniamo insieme ormai da più

di quindici anni e tra un disco

e l’altro passa parecchio tempo,

durante il quale ascoltiamo tanta

musica e portiamo avanti progetti

diversi. Questo si riversa sulle

cose che scriviamo. Difficile dire

quindi cosa faremo in futuro, anche

se l’elettronica è sicuramente

un mondo che continueremo ad

approfondire.

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MOUTH WATER

E’ disponibile in digital download, in streaming e in vinile, il nuovo omonimo

disco dell’energico duo electro pop composto dall’autore e produttore

Lawrence Fancelli, che risponde alle nostre domande, e dalla DJ Elle Vegas

Come nasce il progetto Mouth

Water?

Il progetto nasce dopo aver studiato

e suonato per anni vari

strumenti in diversi gruppi ed en-



semble, in genere come bassista,

inizialmente al clarinetto, una volta

al sax, e comunque in ruoli non

da protagonista in quanto non sapevo

cantare. A un certo punto ho

semplicemente deciso di cantare

i miei brani per agevolare il processo

di produzione. Il risultato è

piaciuto ad alcune persone, tra cui

la DJ Elle Vegas, incontrata 2 anni

fa a un concerto e con la quale ho

instaurato questa collaborazione.

Con quali premesse vi siete messi

al lavoro su questo album?

L’idea è stata di creare un disco

electropop che fosse per lo più

orecchiabile e ballabile, ma inserendovi

anche alcune sonorità

appartenenti ad altri generi che

ci hanno influenzato negli anni.

Infatti alcuni dei brani sono decisamente

non ballabili perché ci

siamo lasciati trasportare in varie

direzioni cercando però di mantenere

un unico filo conduttore.

Mi sembra che le sonorità saltino

volutamente tra i riferimenti

dei decenni scorsi. Ma qual è il

decennio tra le cui sonorità vi

sentite più “a casa”?

Direi sia gli anni ‘80 di cui non ricordiamo

molto ma che ci hanno

evidentemente lasciato un imprinting

sonoro indelebile, sia gli anni

‘00 che sono quelli che hanno visto

la nostra “coming of age”.

Però ci sono anche alcuni riferimenti

al rock degli anni ‘90 e al

funk anni ‘70 e speriamo anche a

qualcosa di più recente...

Come nascono le numerose collaborazioni

presenti nel disco?

Dalla voglia di migliorare l’aspetto

produttivo dei brani che sapevamo

non essere al meglio dal punto

di vista sonoro. Inizialmente erano

tutti un po’ più grezzi, poi abbiamo

deciso di interpellare Gianni

Bini per dargli quel tocco dance

primi anni 2000 che tanto ci piace,

I Francesi Sylvain Rabbath e Aurélien

Fradagrada per un po’ di

French Touch, Paolo Cognetti con

i suoi arrangiamenti per archi e

Sabina Sciubba dei Brazilian Girls

per l’estro vocale.

Perché la cover del brano degli

Stealers Wheel?

Sono sempre stato un amante del

“classic rock” anni ‘70, in più quel

pezzo fa parte della colonna sonora

di “Reservoir Dogs” (Le Iene)

di Quentin Tarantino, una delle

mie preferite e quindi ho voluto

reinterpretare

in modo

personale

e diverso

questo che

alla fine è

un blues.

22

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GASTONE

Tra storie dei nonni e tentazioni letargiche, “II” è il secondo album della

band nata a Gabicce e influenzata da un mood etereo e malinconico

Su quali presupposti è nato il vostro

nuovo disco?

- Il disco è nato in seguito all’esigenza

di continuare il percorso

intrapreso con il primo. Per certi

versi si può anche definire simmetrico

a quest’ultimo, in quanto

24 25



contiene lo stesso numero di brani

ed è stato scritto negli stessi esatti

mesi e nello stesso arco temporale

(settembre-dicembre 2016 / settembre-dicembre

2018).

L’umore dell’album sembra piuttosto

malinconico. Che cosa lo

ha influenzato? C’è stato qualcosa

di progettuale oppure è del

tutto spontaneo?

Le atmosfere dell’album sono

emerse in maniera del tutto spontanea.

Sicuramente, accordature

diverse hanno contribuito alla realizzazione

di particolari arrangiamenti

o melodie, in quanto Marco

ha utilizzato ben quattro accordature

differenti.

Il Letargo è soprattutto una forma

di sopravvivenza. Da che

cosa nasce l’omonima canzone,

che è la prima che avete scritto

per il disco, la prima della

tracklist e anche uno dei singoli?

Letargo è stata la prima canzone

scritta dopo quasi 2 anni di pausa

compositiva. Personalmente, penso

rappresenti la forza di rincominciare

dopo tanto tempo e tanti

cambiamenti.

Mi sembra che anche “Transatlantico”

porti con sé una bella

storia: avete voglia di raccontarla?

“Transatlantico” è ispirata alla storia

d’amore tra i miei nonni materni,

due romagnoli conosciutisi

a Buenos Aires, che dopo aver vissuto

un periodo della loro vita (ed

essersi sposati) in Argentina, sono

tornati in terra natale e hanno

aperto un bar.

Avete già pensato alla versione

live del disco? Cosa ci si deve

aspettare dai vostri prossimi

concerti?

La nostra formazione live è composta

solitamente da quattro elementi

(occasionalmente cinque

quando si aggiunge il violinista).

Ritengo che la dimensione live

sia quella in cui siamo in grado di

dare il meglio, perché alla fine nasciamo

come musicisti e rockers

di provincia. Quando scriviamo

le canzoni, mi occupo prevalentemente

della batteria e della voce,

mentre dal vivo passo a chitarra e

voce, Marco fa le chitarre complicate

e altri due (bravi) ragazzi si

occupano di basso e batteria.

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HIKE

Un ep da tre canzoni, “Hike_01”, che è anche un biglietto da visita per una

band innamorata dei suoni rock alternative, anche con qualche idea vintage

Chi sono gli Hike?

Gli Hike sono una band alternative

rock italiana. Il gruppo è

composto da me (Simone Micheli),

tastierista e cantante e dai due

chitarristi Stefano Piermarini e

Riccardo Biscetti. Il progetto nasce

nel 2018, o meglio “rinasce”,

perché in realtà si tratta di una conoscenza

di vecchia data. Noi tre

siamo amici da una vita, ci siamo

conosciuti con la musica, abbiamo

sempre fatto musica e abbiamo

visto nascere e morire diversi

progetti insieme. Tranne gli Hike.

Questo al massimo lo abbiamo

chiuso nel cassetto… che abbiamo

riaperto lo scorso anno!

La nostra vela vira verso la possibilità

di poter collaborare con

artisti musicali e visivi per la realizzazione

di contenuti originali e

autoprodotti, sia per le produzioni

in studio che per le esibizioni

dal vivo: è una cosa che ci intriga

moltissimo.

Come nascono i tre brani del vo-

stro ep?

I tre brani inclusi nell’ep sono vecchie

composizioni, datate all’incirca

2013/2014 (qualcuna forse

anche più indietro). Facevano

parte di un album di undici tracce

che avevamo iniziato a scrivere e

che, per una serie di ragioni, non

avevamo mai concluso. Abbiamo

quindi deciso di fare una cernita

e ripescare quelle che, secondo

noi, erano le migliori per poter

ripresentare e mostrare il progetto

sotto una nuova veste. La cosa

in realtà è nata per divertimento.

Ascoltando uno dei nostri vecchi

brani lo scorso anno (2018), mi

sono messo al computer, ho riaperto

la sessione su Pro Tools e ho

programmato l’intera parte di batteria

di uno dei tre brani. Di lì al

mese successivo avremmo poi registrato

il basso, le voci, sistemato

l’intero arrangiamento ed eseguito

mix e master: Good Speech era

quindi pronta per la distribuzione

digitale. Un’emozione granitica,

giuro.

Quali sono gli spunti da cui nascono

i vostri testi? E di cosa

parlano le vostre canzoni?

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Seems legit. La domanda più complicata

in assoluto. Personalmente,

reputo i testi il passaggio più difficile

con cui mi trovo a combattere.

In generale perché individuo nella

voce più un elemento di “contorno”,

che un ruolo di “protagonista

principale della storia”.Adoro

lasciar ampio spazio alla libera

interpretazione dei nostri brani e

credo, anzi, che le parole rischino

talvolta di confondere l’ascoltatore.

Il significato dei brani poi

non è soltanto nei testi, ma anche

nelle singole note: motivo per cui

pubblichiamo sempre anche le

versioni strumentali e invitiamo

le persone ad ascoltarle e scaricarle

gratuitamente dal nostro sito.

Per la stesura comunque, prendo

molto spunto da storie, racconti

di persone, riflessioni e fantasie.

Cercando di parafrasare nella maniera

più sintetica possibile: Good

Speech parla della narcisistica ricerca

della propria integrità, della

propria completezza, della propria

motivazione e delle soddisfazioni

personali

nel compiacimento

e

nelle belle

parole ricevute;

Red-

Eyed parla

della rabbia

come un parassita

che

si annida

nel cervello

e prende le

redini della

nostra mente.

È la breve

storiella

di un uomo che vende la propria

anima alla dea dell’ira per privarsi

delle proprie emozioni e in cambio

è costretto a uccidere il padre.

Il patto gli costa però una vita grigia

e una prigionia eterna che lo

porta a desiderare la morte; Clean

è una storia di amore puro e di

redenzione da una vita di scelte

sbagliate e sogni irrealizzati. P.S.:

Prometto che ci saranno anche

testi felici “in questa vita o nell’altra”!

Il vostro ep ha un sound internazionale

con qualche idea progressive.

Chi sono i vostri capisaldi

musicali?

Sicuramente un bell’accostamento.

Tra le band che maggiormente

hanno influenzato (e influenzano)

la nostra musica ci sono: Periphery,

TesseracT, Dream Theater,

Haken, Muse, 22, Nothing But

Thieves, Porcupine Tree, A Perfect

Circle e TOOL.

So che avete in preparazione un

nuovo album. Ci puoi anticipare

come sarà?

Al momento è difficile dirlo, abbiamo

iniziato a lavorarci da poco.

Posso dire con certezza che c’è

sicuramente un cambio di rotta

dal punto di vista dell’approccio

compositivo, ma non dello stile.

Ciononostante, è una nostra grande

premura quella di rimanere

al passo coi tempi e assecondare

l’evoluzione dei nostri interessi.

Abbiamo già alcuni riff pronti che

sono sicuro che chi ha apprezzato

l’ep gradirà particolarmente! Poi

be’… io vorrei vedere in studio e

sul palco una 7 corde, ma Stefano

e Riccardo continuano a remarmi

contro!

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MARCELLO PARRILLI

Quarto lavoro per il toscano Marcello Parrilli, che torna in scena con un

disco dal titolo Moderne solitudini pubblicato da RadiciMusic. Una raccolta

di canzoni d’amore, anticipata dal singolo Perso nei tuoi occhi, un

viaggio in cui proprio l’amore è il vero leitmotiv

Come hai affrontato il lavoro sul

tuo quarto album?

Ho iniziato a lavorare a questo disco

circa due anni fa a casa scrivendo

le canzoni, poi ho registrato

le demo chitarra e voce in studio

e successivamente ho registrato i

synth e alcuni pianoforti a casa.

Dopo sono andato in studio da

voro uscito per la Radici Music.

Il titolo del disco, “Moderne solitudini”,

sembra far riferimento a

un mondo sempre più connesso

a livello tecnologico ma sempre

più scollato. Hai una tua ricetta

personale per evadere da queste

solitudini?

La tecnologia è una gran cosa, ma

Gianfilippo Boni a finire di registrare

tutto il resto, Lorenzo Forti

ha suonato i bassi e Fabrizio Morganti

le batterie, così poi abbiamo

registrato altri strumenti come

l’ukulele e abbiamo aggiunto dei

pianoforti suonati da Gianfilippo

Boni, così il disco ha preso forma.

Sono molto contento di questo lanon

dobbiamo abusarne e soprattutto

non deve sostituire i rapporti

umani. La tecnologia deve rimanere

un mezzo per migliorare la

qualità della vita e non per stravolgercela

e peggiorarla. La solitudine

in sé può essere una gran

cosa, possiamo riflettere in solitudine,

possiamo scrivere, suonare,

comporre e riconciliarci con noi

stessi. L’importante è che si tratti

di solitudine volontaria e non di

emarginazione.

Il disco suona spesso molto intimo

e parla quasi sempre d’amore.

E’ stato più naturale o più

difficile esporsi così in queste

canzoni?

Direi che è stato molto naturale.

Mi sono reso conto solo durante

la stesura del disco che tutte le

canzoni in realtà parlavano d’amore.

Questo è stato il filo conduttore

e sinceramente mi è piaciuta

molto l’idea di pubblicare un

disco di canzoni d’amore, ognuna

con un arrangiamento diverso,

uno stile diverso ma tutte legate

tra loro.

Si parla tutto sommato poco della

produzione musicale contem-

32 33



poranea toscana: che cosa pensi

dei tuoi colleghi che condividono

la tua provenienza geografica?

Credo che a Firenze ci sia un bel

fermento, ci sono tanti bravi cantautori,

con alcuni abbiamo organizzato

rassegne e collaborato per

alcune canzoni, penso a Marco

Cantini, Massimiliano Larocca, Il

Fano, penso ad altri cantautori che

vivono a Firenze come Andrea

Lovito, Giorgia del Mese, Francesco

Garito e tanti altri….si parla

poco di noi perché in generale

adesso si parla poco di cantautorato,

ma ognuno di noi ha come

minimo più di due album pubblicati

e almeno una decina di anni

di concerti alle spalle.

Quali saranno i tuoi prossimi

passi?

Suonare dal vivo e portare in giro

le mie canzoni. Suonerò il 24 novembre

alla Gelateria Vivaldi di

Firenze accompagnato da Carlo

Ciulli al Cajon e Antonio Mereu

al Basso in occasione della rassegna

Salotto Cantautori ideata da

Vito Musichitiello, cantautore di

Forlì col quale dividiamo il palco

ormai da qualche anno e insieme

a noi ci sarà anche Riccardo

Maffoni, bravissimo

cantautore di Brescia

che i più ricorderanno

perché è stato

vincitore di Sanremo

giovani nel 2006. Il 1

Dicembre suoneremo

all’Hangar di Firenze,

sempre in formazione

acustica. A Gennaio

poi usciremo con un

altro singolo del disco

con relativo video

diretto anche questa

volta da Lucio Lepri.

Se volete potete seguirmi

sul mio canale

yuotube e su www.

marcelloparrilli.com

grazie a presto e viva

la musica sempre.

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35



GIAN MARCO CASTRO

“Out of the Past” è il primo album del musicista e compositore siciliano:

un lavoro attento e delicato, legato al tema del viaggio

Qual è la tua storia?

Ho iniziato come pianista e ho intrapreso

lo studio del pianoforte

a 11 anni, quando frequentavo le

scuole medie. Sono poi entrato al

conservatorio e da quel momento

c’è stato un cambio repentino di

idee: mi sono dapprima avvicinato

alla composizione, poi alle colonne

sonore e alla musica contemporanea,

approcciando un nuovo

percorso di studio fatto di elettronica

e elettroacustica. A 18-19

anni ho composto demo per colonne

sonore: è così che ho conosciuto

Riccardo Cannella, regista



di Palermo, con cui ho collaborato

per alcuni suoi lavori. Grazie

a lui ho avuto modo di ascoltare

Richter, appassionandomi sempre

più alla musica contemporanea,

più che altro per una esigenza creativa,

perché vedevo nelle colonne

sonore qualcosa di limitante per la

mia creatività dato che composte

esclusivamente per dare supporto

al visivo.

Il tuo ep Healing ha avuto ottimi

riscontri. Come hai affrontato

il lavoro sull’album Out of the

past?

Mi sono concentrato principalmente

su luoghi visitati, persone

che hanno ispirato il mio percorso

formativo, passaggi della vita

che hanno segnato il mio vissuto

e tematiche che mi hanno lasciato

qualcosa dentro sia consciamente

che inconsciamente.

Quindi il brano dedicato a Jóhann

Jóhannsson fino al brano dedicato

alla seconda guerra mondiale

Ashes.

Il tema del disco è il viaggio. Che

tipo di viaggio è e che tipo di

viaggiatore sei tu?

Per lo più in Out Of The Past è un

viaggio introspettivo ma anche un

viaggio d’immaginazione attraverso

luoghi mai visti prima, Through

your eyes è immaginare qualcosa

vista con gli occhi di qualcun altro

per esempio. Non ho ancora viaggiato

quanto basta per definirmi

“viaggiatore” secondo me, ma ho

in programma di viaggiare molto

di più e perché no, magari grazie

alla mia musica.

Benché il disco si chiami Out

of the past, presenti numerosi

omaggi alla cultura e a figure

fondamentali del passato. Ti ritieni

un “passatista” o uno che

guarda per lo più avanti?

Mi ritengo un “malinconico”, a

volte penso a ciò che sarei potuto

essere se magari fossi nato in un

altra epoca ma allo stesso tempo

penso che ogni azione corrisponda

a una reazione quindi se mi

trovo qui adesso ci sarà un motivo

che non conosco. Credo di ritenermi

anche un tipo che guarda

avanti, forse anche troppo, infatti

ho già programmato la mia discografia

per i prossimi 3-4 anni.

Quali saranno i tuoi prossimi

passi?

Ricollegandomi

alla

risposta

di prima,

“Out of

the past”

fa parte di

un un unico

progetto,

il tema

del viaggio

appunto,

nato circa

un anno fa

con “Healing”,

scritto

dopo essere

stato

a Londra.

Inizialmente

avevo pensato di concluderlo

con un concept album ma poi ho

pensato di fare un EP chiamato

“Journey” a cui sto già lavorando,

avevo iniziato a comporre delle

tracce dedicate ai luoghi che avevo

visitato ma non sentivo che fosse

arrivato ancora il momento di

pubblicarle anche perché ancora

non avevo trovato tutte e cinque

le città, infatti sto programmando

appositamente un viaggio a Berlino

appunto per poterlo concludere.

L’EP sarà composto da 5 tracce

di cui ognuna avrà il nome di un

luogo diverso, solo dopo concluderò

con il concept album. “Fall is

coming” è una sorta di Easter Egg

poiché il concept album avrà un

titolo simile che ricollega all’autunno

e alle sonorità che sto pensando

di dargli.

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SUE

Giovane e molto sorridente, ma con già degli

ottimi piazzamenti ad Area Sanremo e ad

alcuni altri contest, Sue è Susanna Cisini.

“Ho capito una cosa importante” è il suo

nuovo singolo e video

Chi è Sue?

Sue è una cantautrice che si serve

di canzoni per raccontare storie,

storie che nascondono significati

raccontate attraverso personaggi,

luoghi e situazioni. Sue è inoltre

un progetto (indipendente e autoprodotto)

composto da una testa

ma tante braccia e tante gambe

dove le persone sono importanti.

Infatti, le persone che ho scelto

per camminare con me le ho fortemente

volute e non le cambierei

con nessuno, sto parlando di miei

musicisti naturalmente, i Sui, ma

anche di tante altre persone che

ruotano attorno al progetto costantemente.

Vorrei sapere come nasce la tua

nuova canzone, “Ho capito una

cosa importante”?



L’idea è nata da una cosa su cui

stavo riflettendo e che effettivamente

avrei voluto dire in quel

brano, infatti, è nato prima il ritornello.

Andando poi avanti col

testo mi sono resa conto che, invece,

sarebbe stato scontato dirla

quella cosa, lo

avrebbe reso un

brano semplicemente

banale, non

dicendola invece lo

ha reso un brano

ironico e particolare.

Due parole anche

sul video: è stato

divertente come

sembra?

Sì molto, ho coinvolto

soprattutto

amiche e ci siamo

divertite tanto. Abbiamo

deciso di

girare a Rho, nella

mia città, e questo

ha contribuito

a farci sentire “a

casa”. E poi con il

regista Brace Beltempo

ormai c’è

molto feeling e affetto,

riesce sempre a strapparmi

un sorriso e a mettermi completamente

a mio agio.

La tua scrittura è spesso ironica.

Rispecchia anche come sei nella

“vita vera”?

Sì, adoro l’ironia nella scrittura e

la ricerco anche in ciò che ascolto.

Mi piace usarla per raccontare

temi anche di un certo spessore

perché credo li renda più accessibili

e più leggeri. Sono abbastanza

ironica anche nella vita anche se

chi mi conosce bene mi definisce

più permalosa che ironica, ma io

non sono molto d’accordo...

Scrivi canzoni vicine al pop e

folk. Quali sono i tuoi idoli di

questi generi?

Io adoro Mannarino e come sonorità

in parte cerco di avvicinarmi

a lui riprendendo, per esempio,

alcuni colori della musica popolare;

fortemente voluta nella mia

formazione, è infatti, la fisarmonica.

Per quanto riguarda la musica

d’autore per me idolo incontrastato

è sempre Fabi, mentre

per quanto riguarda il pop mi è

sempre piaciuta molto Margherita

Vicario e nella scrittura mi ispiro

molto a lei.

Hai già accumulato qualche

esperienza “da cantautrice”.

Quali sono gli errori che non ripeteresti?

Mi occupo di organizzare tutto

completamente in autonomia,

questo mi ha permesso di imparare

molto ma probabilmente mi ha

portato a fare diversi errori. Forse

l’errore più grosso è quello di rendersi

conto che un lavoro come il

management e la comunicazione

non si improvvisa. Per i prossimi

passi l’idea è quella di trovare una

squadra con la quale condividere

la passione per il progetto, una

squadra con cui definire i ruoli, i

passi e lavorare con maggiore professionalità.

Usi la musica anche nella tua “altra”

professione, quella di educatrice.

E’ un aiuto importante per

un mestiere così complesso?

Assolutamente. Lavoro con bambini

e ragazzi con disabilità, organizzo

e gestisco laboratori musicali

all’interno di un centro diurno,

ma poi mi capita di lavorare con

bambini normodotati. La musica

mi aiuta molto a entrare in relazione,

a parlare di sentimenti, a

stimolare il movimento, a fare ritornare

il sorriso. Scrivo moltissime

canzoni per bambini che poi

utilizzo nei miei laboratori, le più

belle diventano canzoni di Sue.

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